Quaderni del volontariato
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Ali di Vela
Ali di Vela a cura di Simonetta Regni
a cura di Simonetta Regni
sociale Centro Servizi per il Volontariato Perugia Terni
Edizione 2013 Ristampa aggiornata 2016
CESVOL PERUGIA EDITORE ristampa 2016
Quaderni del volontariato
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Quaderni del volontariato
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Edizione 2013
Ristampa aggiornata 2016
Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provicia di Perugia Via Campo di Marte 9 06124 Perugia tel. 075.5271976 fax. 075.5287998 Sito Internet: www.pgcesvol.net Visita anche la nostra pagina su
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Con il Patrocinio della Regione Umbria
Edizione: Marzo 2013 Stampa Digital Point (Ponte Felcino) Ristampa aggiornata 2016 Digital Editor (Umbertide)
Tutti i diritti sono riservati Ogni riproduzione, anche parziale è vietata
ISBN: 978-88-96649-19-0
I QUADERNI DEL VOLONTARIATO, UN VIAGGIO ATTRAVERSO UN LIBRO NEL MONDO DEL SOCIALE
Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifico nell’area della pubblicistica del volontariato. L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temi di interesse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio di esperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato organizzato ed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusione di argomenti e questioni che possono rite nersi coerenti rispetto a quelli presenti al centro della riflessione regionale o nazionale sulle tematiche sociali. La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzioni pubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alle associazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria collana editoriale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti ed alle azioni portate avanti dall’associazionismo provinciale. I Quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto per chiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi di studio ed approfondimento.
a cura di Simonetta Regni
Associazione A.U.C.C. “Associazione Umbra per la lotta Contro il Cancro�
Ali di vela
Edizione 2013 Ristampa 2016
Ali di vela
Indice
Capitolo I Come è nato il progetto
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Centro Velico Caprera Scuola di vela e di mare
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Chi siamo?
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Corsi on demand
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L’ambiente
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La giornata tipo
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Il Corso 1C
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Progetto Ali di Vela Destinatari: persone affette da malattia oncologica Obiettivi
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Capitolo II Le emozioni di un’esperienza, l’esperienza delle emozioni
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Il Viaggio
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L’isola
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Le barche e il vento
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Ali di vela
La navigazione
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La base
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Luisa Non sono più la stessa
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Nadia La mia lotta contro il vento
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Patrizia Ali di Vela 1C 19 Caprera
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Elena Il mio libro non è ancora concluso
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Sandra Un pianeta in mezzo al mare
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Daniela L’isola del sogno, un’utopia possibile
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Anna Maria Caprera terra dei sogni
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Rosa Caprera una parte di me
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Valter Iddu
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Paolo Caprera: un sogno nel cassetto
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Ali di vela
Manuela Festeggiare un compleanno
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Filastrocca della vela
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Capitolo III Ancora Emozioni
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Ai miei ragazzi senza etĂ La vostra Capobarca
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Ali di...vela e di rinascita La vostra Capobarca
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Capitolo IV Caprera...oltre la vela...le ali
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Non solo vela
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Obiettivi di partenza
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Obiettivi raggiunti
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Foto Ricordo
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Dedicato a Rosa che ha attraversato le nostre vite come una folata di vento portandoci il profumo della gioia
Ali di vela
Questo libro nasce e prende vita dalle emozioni vissute dal nostro “ equipaggio” e sono delle emozioni quelle che vogliamo regalare ai lettori. Per quanto mi riguarda non avrei potuto scriverlo diversamente perchè Caprera è questo: una lunghissima e profondissima e multiforme emozione che più passa il tempo più capisci e assapori. Ringrazio l’Associazione Umbra Contro il Cancro che ha appoggiato con grande entusiasmo questa esperienza e il centro velico di Caprera che, con competenza e professionalità, ma soprattutto con amore ci ha ospitato. Ringrazio i nostri istruttori che ci hanno insegnato tanto altro oltre la vela e che con la loro umanità ci hanno guidato in questa avventura facendo in modo che ne cogliessimo appieno tutti i frutti. Ma il mio ringraziamento più grande e più profondo va ai “miei velisti” perchè con entusiasmo si sono fidati e affidati alla mia “strana” proposta e mi hanno seguito con spontaneità e semplicità senza porsi e pormi troppe domande, ma sentendo, come me, che era la cosa giusta da fare e che mi hanno regalato una esperienza professionale e umana unica. Un grazie ovviamente va a Caprera, alla nostra isola perchè ad ognuno di noi ha donato il tesoro che cercava. Dopo i ringraziamenti un augurio...spero che chi leggerà questo libro possa, con le ali di vela della sua fantasia, salire insieme a noi a bordo delle nostre barche per trovare la sua rotta. Buon vento
Simonetta Regni
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CAPITOLO I COME È NATO IL PROGETTO
Squilla il cellulare “Ciao sono Bea (la conoscevo superficialmente in quanto moglie di un collega) avrei bisogno di parlare con te, ci possiamo vedere?”. Ci accordiamo per prendere un caffè insieme. Mi racconta della sua esperienza di istruttrice di vela e soprattutto dell’esperienza fatta con alcuni ragazzi disabili e quanto le fosse piaciuta, trasmettendomi tutto l’entusiasmo che prova, e di come avesse cominciato a vedere la vela sotto una luce nuova. Non so come, immediatamente ho pensato ad alcune persone a cui avrei potuto proporre la cosa e mi sono ritrovata ad aderire alla sua proposta con mio grande stupore,non amo particolarmente il mare, non sono mai andata in barca, so a mala pena nuotare. Eppure dentro di me sentivo una spinta irrefrenabile verso questa cosa, non sapevo perché ma era così ad essere sincera non mi sono posta il problema. Abbiamo deciso che ne avrei parlato con le persone che immediatamente mi erano balzate alla mente e in base alla loro reazione avremmo valutato come procedere e se procedere. Alcuni giorni dopo mi sono ritrovata a fare la proposta e la prima risposta è stata “quando partiamo?” Vista la reazione altrettanto entusiasta e irrazionale della mia da parte dei primi “velisti”, io e Bea ci siamo riviste e ci siamo poste l’obiettivo di elaborare un progetto che avremmo poi sottoposto all’attenzione del Centro Velico Caprera e dell’Associazione Umbra per la lotta contro il cancro (AUCC). Ho cominciato a riflettere, in base alle informazioni tecniche che Bea mi aveva fornito sulla vela, su quella che potesse essere la valenza terapeutica di tale esperienza perché era chiaro che non saremmo andati a fare una vacanza! E così e nato ALI DI VELA. Evidentemente 15
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è nato sotto una buona stella o meglio sotto un buon vento (come dicono i marinai ) perché è stato facile elaborarlo, perché è stato da subito accolto con favore da entrambe i nostri interlocutori (AUCC e CVC) che hanno supportato e agevolato in tutti i modi il nostro progetto che prendeva sempre più le sembianze di un sogno . Il nostro entusiasmo cresceva ogni giorno di più e contagiava tutti coloro che ci hanno aiutato a realizzarlo, il gruppo dei partecipanti si è allargato notevolmente. Eravamo consapevoli di fare un’esperienza assolutamente innovativa e questo ci faceva sentire tutti un po’ pionieri alla scoperta di chissà quale tesoro. Il progetto sotto riportato è stato presentato in una conferenza stampa che ha dato l’avvio ufficiale alla nostra avventura.
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Centro Velico Caprera Scuola di Vela e di Mare
Chi siamo? Fondato nel 1967, il Centro Velico Caprera è una scuola di vela e di mare. Scopo del CVC è creare, attraverso la pratica della vela, una coscienza marinara ispirata alle tradizioni della Marineria Italiana. Il CVC è una scuola in cui si impara ad affrontare il mare in modo semplice e diretto. La vita della Scuola è infatti organizzata come la vita a bordo:la partecipazione ai corsi richiede entusiasmo, spirito di adattamento, disponibilità, capacita di convivenza ed umiltà nell’apprendere. I nostri corsi sono appositamente studiati per rispondere alle esigenze dell’allievo neofita fino ai corsi più avanzati, sia nell’ambito delle derive che dei cabinati.
“Corsi on demand” Dedicati a Scuole, Famiglie, Aziende, Gruppi di lavoro, si possono svolgere nelle basi di Caprera e di Lerici, concordando le date. In proporzione alle esigenze del team interessato, si possono costituire corsi appositi in esclusiva per tale gruppo, come invece renderlo parte integrante di un corso gia esistente con altri allievi. I mesi più indicati per tali corsi escludono l’alta stagione – Giugno, Luglio, Agosto – per ovvi motivi di affollamento; mesi adatti sono certamente Maggio e Ottobre. Tali corsi avranno durata settimanale, con arrivo il sabato e partenza il sabato successivo, come avviene di routine per i corsi settimanali standard.
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“L’ambiente” La scuola possiede due basi: una a Lerici, in liguria; l’altra, quella “storica”, sull’isola di Caprera, nell’Arcipelago de La Maddalena, ora parco naturale. I corsi proposti in questa sede è auspicabile siano collocati nella base sarda, in quanto l’ambiente con il quale ci si rapporta in questo caso è assolutamente indicato per un distacco dalla realta quotidiana con una full-immersion, non solo nello sport della vela, ma pure in una natura incredibilmente ricca e stimolante, ancora incontaminata e selvaggia, naturalisticamente coinvolgente ed affascinante. Sull’isola di Caprera e nella base del Centro Velico pare quasi non ancora approdata la civilizzazione: non vi sono centri abitati, nè insediamenti turistici (eccezion fatta per il villaggio del Touring Club, dall’altro capo dell’isola) nè collegamenti telematici-internet tv ecc... ed anche il turismo balneare che approda all’isola non raggiunge la nostra base, separata dal resto di Caprera da l’indicazione “Proprietà Privata”. Si può a ragione affermare che un corso nel nostro Centro, oltre che una settimana sportiva intensa e ad alto livello, possa senza dubbio offrire un’esperienza di coesione umana e di ritorno ai valori piu profondi e genuini senza pari.
“La giornata tipo” La giornata al Centro Velico Caprera inizia presto, alle 6.30, con la sveglia generale. Alle 6.55 si compie il rito dell’alzabandiera secondo la tradizione della nostra marineria. Alle 7.00 vi è la colazione comune nel refettorio. Alle 7.30 inizia nell’aula didattica la lezione di teoria durante la quale gli istruttori illustrano l’argomento del giorno e spiegano le esercitazioni che saranno poi eseguite nell’arco della giornata in mare. Al termine della lezione, verso le 8.40/9.00 ci si reca tutti sul pontile 18
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per l’armamento delle barche e, appena pronti, la piccola flotta salpa. Orientativamente verso le 13 viene scelta una baia, ogni giorno diversa, idonea alla pausa pranzo, in relazione alle condizioni meteo della giornata. Dopo una sosta di circa un’ora e mezzo nella quale, compatibilmente con la stagione, è possibile godere del bagno nelle acque cristalline dell'arcipelago, si riparte per le esercitazioni pomeridiane che vedono il loro termine verso le 18, con il rientro alla base. Allievi ed istruttori hanno tempo libero disponibile fino alle ore 20ora della cena comune – per la doccia, un po’ di riposo, attività personali. Terminata la cena, verso le 21 si tiene il commento serale, momento alquanto piacevole ed accomunante, in cui gli allievi si confrontano fra loro e con i loro istruttori sulle esperienze vissute “sul campo” nella giornata...non mancano momenti di ilarità e condivisione. Alle 22.30 vi è il silenzio da rispettarsi nelle aree prospicienti i capanni, necessario dopo una giornata impegnativa di mare e sport; per i più insonni vi è il piacere della semplice compagnia, magari intorno ad una chitarra, una improvvisata “lezione di stelle” sul pontile, una passeggiata al chiaro di luna per le stradicciole della base.
Il corso “1C” Tale corso, qui proposto, ha la peculiarità di svolgersi su piccoli cabinati in cui i 4 allievi imbarcati non sono mai lasciati a se stessi, ma, se pur chiamati alle manovre fin dal primo istante di navigazione, si avvalgono purtuttavia della figura di un Istruttore, sempre imbarcato: ciò rende assolutamente sicura la navigazione, che avviene in perimetri ben delimitati dalla Scuola ed inviolabili e garantisce una presenza professionale a bordo per affrontare eventuali imprevisti o condizioni meteo avverse. L’allievo, quindi, in piena serenità e sicurezza, potrà cimentarsi nelle esercitazioni del giorno, costantemente affiancato dal docente che gli permettera di mettere in pratica le no19
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zioni apprese nella lezione teorica, sbagliando il necessario per imparare, senza rischiare nulla che possa mettere a repentaglio l’incolumità sua e dei suoi compagni. Presto si formerà cosi nell’equipaggio un’atmosfera molto collaborativa ed amichevole, senza prevaricazioni nè pretese di comando, bensì con l’unico intento del raggiungimento degli scopi comuni. Spesso tali legami di amicizia, creatisi all’ombra delle vele, resistono al tempo e si scoprono indissolubili, come sovente accade quando ci si trova in un ambiente in cui la natura è dominante e ci porta ad affrontarla con armonia di intenti e condivisione.
Progetto Pilota: Ali di Vela Destinatari: persone affette da malattia oncologica Obiettivi Riteniamo che questa esperienza abbia una grande valenza terapeutica, intanto per il contesto del tutto particolare in cui si svolge, per il contatto con la natura, per il fatto che l’acqua è l’elemento primordiale di nascita e di rinascita. Tale contesto ambientale favorisce l’entrare profondamente in contatto con se stessi e l’inserirsi in un ritmo e un ciclo naturale che consente di vivere la malattia in modo meno traumatico e drammatico, in quanto ci si riappropria della “naturalità degli eventi”. Calarsi in un ambiente così primitivo e incontaminato permette di recuperare una concezione della malattia come un evento naturale con il quale ci si può relazionare in modo armonico, perchè la si libera di tutte quelle sovrastrutture che i nostri modelli sociali creano. In una società infatti dove bisogna essere tutti giovani, sani, produttivi l’essere ammalati si carica di angoscie ulteriori quindi recuperare la “naturalità” della malattia ci libera di questo inutile fardello. 20
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Inoltre imparare a navigare, a governare una barca simbolicamente significa riprendere in mano la gestione della propria vita, gestire il timone della propria esistenza. In navigazione è necessario sfruttare gli elementi favorevoli e imparare a gestire quelli avversi (il vento, le correnti) e nella malattia è la stessa cosa: bisogna sfruttare e potenziare le risorse che ognuno di noi ha ed imparare a governare i propri limiti. Far parte di un equipaggio significa condividere con l’altro, affidarsi all’altro e aver fiducia dell’altro, diminuisce il senso di isolamento, di diversità che spesso caratterizza il vissuto delle persone ammalate, non ci sono differenze o ruoli “si è tutti sulla stessa barca” questo modo di dire è indicativo del profondo senso di comunanza che si crea in tale situazione. Imparare a seguire il vento significa imparare ad adattarsi alle situazioni che non dipendono dalla nostra volontà cercando di sfruttarle nel miglior modo possibile, volgerle a nostro favore e se ciò non è possibile ad affrontarle senza lasciarsene sopraffare e questo simbolicamente riportato alla malattia ha un grande valore terapeutico. Quando si naviga ci si pone degli obiettivi, obiettivi che sono ragionevoli e possibili e ciò è fondamentale perchè, a volte, la sofferenza deriva dal fatto che questi sono irraggiungibili o superiori alle proprie capacità. In barca si impara a calibrare gli obiettivi, si cercano le strategie migliori per raggiungerli e si impara che ci sono sempre delle soluzioni che si possono trovare, delle rotte diverse che si possono percorrere. Tutto ciò consente di attivare la parte sana che è presente anche quando ci si ammala,ma che spesso la malattia occulta perchè in barca si scoprono potenzialità finora sconosciute perchè si impara ad essere artefici del proprio viaggio, attori e non spettatori perchènon si è portati in barca, ma si naviga. Chi è malato a volte tende ad assumere un ruolo passivo e dipendente mentre in barca ognuno deve fare la propria parte, non si può essere passivi e solo dalla combinazione e dal coordinamento delle singole azioni si ottiene il risultato.
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Modalità L’organizzazione della giornata è quella precedentemente descritta con l’aggiunta di una seduta giornaliera di psicoterapia di gruppo atta a rielaborare i vissuti emersi dall’esperienza e a potenziare la terapeuticità della stessa. Tali sedute verranno effettuate o prima di cena o subito dopo e avranno la durata di un ora e trenta.
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CAPITOLO II LE EMOZIONI DI UN’ESPERIENZA , L’ESPERIENZA DELLE EMOZIONI Il viaggio
Siamo partiti... C’è stupore e incredulità nei nostri occhi, ma anche l’orgoglio di essere riusciti a fare una cosa fuori dal nostro ordinario, a pensare finalmente e veramente solo a noi stessi. Aperti, curiosi, sicuramente un po’ impauriti, con quel patema che si ha quando si deve affrontare qualcosa che non si conosce, ma desiderosi e determinati a goderci e a sfruttare questo spazio fisico e mentale che è solo nostro, senza remore, reticenze, con allegria e leggerezza, anche se profondamente consapevoli di ciò che stavamo facendo. C’è anche un pizzico di superiorità come quando i bambini condividono il segreto di un luogo magico e misterioso che gli adulti non conosceranno mai. Ecco...la nostra isola segreta e magica ci aspetta piena di promesse. Il viaggio per raggiungerla sarà lungo, ma questo tempo sarà il tempo della nostra decompressione. È bello avere questo tempo prima di arrivare, è bello vedere scorrere paesi, città dal finestrino del treno...è come se i nostri affanni, le nostre fatiche, i nostri impegni scivolassero via insieme al treno e si allontanassero sempre più da noi fino a diventare piccole e insignificanti. Qualunque cosa ci aspetta nella nostra Isola sarà solo nostra perché scopriremo una parte di noi che forse non conoscevamo, che era segreta anche a noi e che è sempre stata lì ad aspettarci. È una trepidante attesa quella che ci fa brillare gli occhi perché sappiamo nel nostro cuore che l’Isola ci regalerà qualcosa di molto prezioso. 25
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Prendere il treno e poi il traghetto ci ha dato proprio il senso del viaggio, il senso di allontanarci e lasciare il continente è stato simbolicamente e realmente lasciarci tutto alle spalle inebriandoci di libertà. Ci siamo svegliati con i profumi e i colori di un alba sul mare. È stato veramente l’inizio di un nuovo giorno e tutto il resto era già lontano...molto, molto lontano. Eccola...è lì...ormai manca poco...stanchi...ma emozionati ci avviciniamo baldanzosi.
L’Isola L’Isola ci ha accolto vestita a festa con i colori e i profumi della primavera imponendoci, con la sua bellezza, gratitudine e rispetto. E noi, come al cospetto di una regina, ci siamo inchinati a questa natura così grande e bella, consapevoli del fatto che d’ora in avanti avrebbe comandato lei e ciò non ci dispiaceva affatto e avremmo accettato di buon grado tutto ciò che lei ci avrebbe regalato senza protestare se non fosse stato conforme ai nostri desideri. E questo perché già appena sbarcati ci siamo sentiti parte di un universo più grande e più vero e dove a poco a poco il respiro della natura sarebbe divenuto il nostro respiro. L’abbiamo subito amata e sentita nostra! Non eravamo turisti che vanno a visitare un bel luogo, ma persone alla ricerca di una dimensione più vera, più arcaica e intensa e abbiamo capito subito che l’Isola ce ne avrebbe fatto dono. Lei, come una regina maestosa e semplice come solo le vere regine sanno essere, ci ha abbracciati facendoci sentire a casa...era come se fossimo lì da sempre
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Le barche e il vento Quando siamo scesi al pontile per salire in barca è stato come entrare in un paese straniero e profondamente diverso dal nostro di cui non conoscevamo la lingua, gli usi e costumi, le caratteristiche, la mentalità. Abbiamo avuto la percezione che avremmo dovuto entrare in un’altra dimensione dimenticando tutte quelle che erano state le nostre certezze assolute e indiscusse per esplorare un nuovo modo di vivere. Ci sentivamo come un bambino che muove i primi passi. Timore e curiosità erano due venti che ci spingevano in un’unica direzione...SALPARE! A poco a poco questo mondo così estraneo e sconosciuto ha cominciato a diventare un po’ più familiare, abbiamo imparato a prendercene cura come della nostra casa, a volte confondendo i termini per cui le vele diventavano tende, abbiamo cominciato a capire come si muove e come si governa. Abbiamo cominciato a parlare questa lingua sconosciuta e misteriosa a comprenderne un po’ la difficile grammatica, ogni errore veniva accompagnato da una salutare risata che tanto ha fatto bene ai nostri cuori. Ci siamo resi conto che in barca le regole sono sovvertite. Noi siamo abituati ad avviare il motore e andare dove vogliamo, quando vogliamo senza farci domande senza dover tener conto di nient’altro che il nostro volere. In barca non è così. Ci sono altri padroni prima di noi: IL VENTO e IL MARE. Il vento è stato un altro universo che si è spalancato! Scoprire come tra il vento e le vele si può instaurare una sorta di danza è stato fantastico e affascinante. Poter essere poi noi i coreografi, seppure maldestri, di questa danza è stato esaltante e ci ha regalato un senso di potenza e al tempo stesso una sorta di timore reverenziale verso questo elemento della natura. Ci siamo sentiti piccoli e grandi al tempo stesso, ma comunque parte integrante di questo mondo. 27
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Siamo passati,con una serie di gamme intermedie, dai 30 nodi alla totale assenza di vento, comprendendone fino in fondo tutta la potenza e la forza. All’improvviso e in modo del tutto naturale il vento era diventato la cosa più importante e ci siamo resi conto che era come se lo percepissimo per la prima volta pur avendolo sentito tante volte sulla nostra pelle, a volte in modo piacevole altre in modo fastidioso, ma mai come un elemento che potesse condizionare la nostra giornata. Al risveglio il primo pensiero era rivolto a lui, ci chiedevamo da dove provenisse, quanta forza avesse con un’attenzione e un interesse rispettoso e umile, lasciavamo che riempisse i nostri polmoni con il profumo del mirto e del mare. Ci siamo inondati di natura, di sole, di mare, di vento ,di profumi che non sono più presenti nel nostro quotidiano. Ce ne siamo inebriati,ubriacati in un diluvio di emozioni entrando piano, piano, ma sempre più profondamente, a far parte di questo mondo recuperando la naturalità delle cose con gioia, senza fatica consapevoli di essere parte di qualcosa di grande, di misterioso, ma al tempo stesso semplice e ovvio. E come se ci fossimo detti “ma come ho fatto a dimenticare che la vita è questa?” In quel momento era logico che fosse così, non c’era bisogno d’altro ...c’eravamo noi!
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La Navigazione Abbiamo iniziato a navigare con un vento forte e impetuoso, quasi avesse voluto dimostrarci da subito il suo predominio, che ci ha colti impreparati e un po’ impauriti. Le barche subivano le raffiche, ci sentivamo in balia delle onde e serpeggiava nei nostri cuori il timore di non farcela a resistere. Avevamo la sensazione, già peraltro provata nella vita, ognuno per motivi diversi, che gli eventi ci avrebbero sopraffatto. Era come se Eolo fosse sceso con tutta la sua furia dall’Olimpo per rimarcare la nostra fragilità,la nostra pochezza. Ma nessuno ha mai pensato neanche per un attimo di scendere dalla barca. Tenacemente e con caparbietà siamo rimasti. A poco a poco abbiamo cominciato a capire come potevamo utilizzare la forza impetuosa del vento per far andare la barca dove volevamo. Con stupore ci siamo resi conto che se assecondavamo il vento lui non era più nostro nemico, meno lo contrastavamo più lui ci obbediva. Lo abbiamo percepito con le nostre mani che tenevano le cime, con i nostri occhi che leggevano il linguaggio delle vele, con il nostro corpo che cominciava a sentire ciò che la barca ci diceva. Si...lei ci parlava anche se in una lingua che noi non comprendevamo. Piano, piano i muscoli hanno cominciato a rilassarsi, i nostri sensi si sono acuiti, affinati. Lentamente ci siamo liberati dei vecchi schemi e timidamente ci siamo affacciati in questa nuova dimensione che cominciava ad apparire più familiare e naturale. La sera quando siamo rientrati ci sentivamo tutti un po’ più forti per avercela fatta, orgogliosi di non aver mollato. E lui, il vento, ha ricompensato la nostra tenacia, la nostra voglia di metterci in gioco, di scoprire un nuovo aspetto di noi stessi, perché nei giorni successivi 29
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ci ha cullato, all’ interno della barca, come nel grembo materno. In questa culla è nato e cresciuto ciò che ognuno di noi è venuto a cercare nell’Isola e chi la conosce bene sa che l’Isola non delude mai. Abbiamo cominciato a parlare delle barche e del vento come si parla di vecchi amici,quasi fossero divenuti membri del nostro gruppo. Curiosi ed entusiasti abbiamo cercato di conoscere più e meglio questo mondo articolato e complesso, abbiamo studiato, preso appunti, fatto e rifatto i nodi con quel cameratismo un po’ goliardico tipico degli studenti e tali ci sentivamo. All’interno delle barche è stato facile e naturale collaborare, aiutarci senza giudizi, finalizzare i nostri sforzi verso un unico obiettivo. Con quanto entusiasmo e quanta allegria gridavamo “pronti a virare?” “viriamo!” E che soddisfazione quando la virata riusciva bene...che gioia quando riuscivamo a farlo tutti insieme...quasi che non fossimo più quattro, ma una unica grande barca. Ecco...li abbiamo capito che cosa è la sintonia. È stata esaltante la sensazione di armonia che abbiamo provato con noi stessi, con gli altri e con tutto ciò che ci circondava. Ci sentivamo al posto giusto e non avremmo voluto essere in nessun altro luogo e con nessun altro che noi. Non c’erano rimpianti, recriminazioni, desideri perché tutto era perfetto, siamo riusciti veramente a cogliere l’attimo. Eravamo lì il quel momento con il nostro corpo, la nostra anima, il nostro cuore e i nostri sensi. Abbiamo navigato con i delfini ed i gabbiani che ci hanno accolto per nulla infastiditi dalla nostra presenza umile e discreta, siamo entrati a far parte, con lo stupore dei bambini, di un universo smisurato e magico e la sera la luna e le stelle, molto più luminose e intense che altrove, fornivano l’unico chiarore che illuminava i nostri passi. Che emozione! e che emozione alcuni di noi hanno provato nel governare la barca bendati e sentire che il nostro corpo, privato della vista, ascoltava e seguiva la barca con semplicità e naturalezza e come tutto fosse facile se seguivamo l’istinto. Tutte queste emozioni si sono depositate nel fondo dei nostri cuori 30
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come un relitto in fondo al mare incontaminato e ricco di storia pronto a spalancare i suoi tesori a chi ha voglia di immergersi negli abissi.
La base La base ci ha accolto con la sua essenzialità proiettandoci immediatamente in una dimensione di cameratismo nel senso più alto e nobile. Eravamo come i bambini in colonia felici di essere per la prima volta senza genitori. È stato facile, logico, naturale spogliarci di tutte le sovrastrutture inutili che caratterizzano il nostro quotidiano e vivere le relazioni in maniera totalmente spontanea e libera senza diffidenze, senza reticenze o paure. È stata immediata la consapevolezza che potevamo finalmente essere noi stessi, nient’ altro che noi stessi, non c’erano più ruoli, pregiudizi o giudizi, cose da dimostrare a noi stessi o agli altri. Potevamo giocare liberi e spensierati senza nessun altro obiettivo che giocare questo gioco nuovo senza chiederci dove ci avrebbe portato, ma pronti a cogliere qualunque cosa fosse venuta. È questa la magia dell’Isola che ci ha ammaliato da subito. Questa sensazione nuova eppure antica, ancestrale ci ha dato una leggerezza che gli eventi della vita ci avevano tolto, dando ragione al nome che ci siamo dati ALI DI VELA. Ci siamo sentiti come tante vele alate che potevano volteggiare leggere tra cielo e mare e chi era insieme a noi ha intensificato con grazia, disponibilità e discrezione questa nostra leggerezza. È stato importante ri-scoprire il senso vero e profondo della condivisione, lì era così naturale sostenerci, aiutarci a vicenda senza competizioni o invidie sciocche e inutili.Quello che nella vita giornaliera risulta a volte difficile, lì era semplice. La semplicità è stata un’altra ri-scoperta e ci è sembrato così assurdo quel mare di complicazioni che spesso ci creiamo perché perdiamo di vista questa semplicità, questa purezza d’animo che hanno solo i bambini.Questo profumo di cose buone e semplici è il profumo dell’ISOLA. 31
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LUISA Non sono più la stessa Vuoi vivere un’esperienza unica di mare, di vela, di emozioni? Recitava il volantino di ALI DI VELA. Tra mille dubbi ho deciso di salpare ignara di ciò che potesse accadermi, ma cosciente di non volerlo sapere perché unico mio scopo era quello di andare qualunque fosse la destinazione. Immediatamente ho scoperto che a Caprera non esiste una giornata qualsiasi, non esiste una giornata, non esiste una, esistono un susseguirsi di emozioni che trafiggono ogni singola parte del mio corpo. Chiudo gli occhi e sento che non sono più la stessa. Ho voglia di sentirmi, di ascoltarmi, di parlare alle stelle, di respirare tutto intensamente, di abbracciare la mia esistenza e stringerla forte e sono gelosa delle mie emozioni che nessuno comprende. E poi mi fermo di colpo, mi accorgo che non sto sognando e questo mi fa sentire una privilegiata. Sicuramente non ho ancora imparato ad impugnare il timone senza contrastare la barca, ma di certo mi sento diversa e questo per il momento mi basta.
NADIA La mia lotta contro il vento Ho sempre desiderato avere, anche solo per un momento, un angolo di paradiso dove isolarmi per fare un inventario della mia vita.La strada dell’ evasione l’ho trovata a Caprera dove mi sono persa in un arcobaleno di colori brillanti che mi hanno scaldato il cuore. Colori festosi che mi hanno fatto vivere ogni giorno in tranquillità con la mente persa nella loro immensità attraverso contrasti sorprendenti. Tutto questo in contrasto con la mia vita dove mi è sempre stato difficile distinguere il colore. 32
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Mi sono sempre sentita un tronco vuoto che galleggia in mezzo al mare che viene poi risucchiato per essere sputato. Dopo l’esperienza di Caprera ho capito che la vita è come una barca che scuffia tra le onde del mare e con fatica la raddrizzi, l’importante è non sentirsi un tronco vuoto, ma raddrizzarsi in ogni modo, comunque e sempre. Non voglio ormeggiare, ma navigare nell’immensa distesa del mare chiamata vita. Issare le vele e, come una vera velista, navigare senza voltarmi, seguire il vento e virare per non essere travolta nell’angolo morto. In questa breve riflessione ho usato alcuni termini della navigazione che ho trovato affini per descrivere le mie sensazioni,le mie paure, le mie insicurezze. Ringrazio il Centro Velico Caprera e i suoi istruttori che hanno conosciuto il mio angolo morto, la psichiatra e l’AUCC che hanno permesso che ciò accadesse. Un grazie al favoloso gruppo di cui ho fatto parte, composto da persone combattive che hanno saputo ascoltarmi e rassicurarmi. Ci ha legato un unico nodo che con forza e coraggio cercheremo di sciogliere. Gli eventi non sempre mi permetteranno di navigare col vento in poppa, ma sicuramente saranno più le volte che navigherò col vento in prua. Il ricordo di Caprera resterà nel mio cuore legato da un nodo parlato.
PATRIZIA Ali di vela 1C 19 Caprera Quando mi è stata proposta questa vacanza “avventura” ho detto subito “no non posso”. Subito mi sono detta il vecchio ritornello che mi ha perseguitato fin da bambina: “salute cagionevole, non può fare alcuna attività fisica”. Ma questa volta ho voluto scrollarmi di dosso questa dimensione di malattia che mi perseguita da anni. Me33
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more di esperienze avute tanti anni fa quando con i bambini piccoli passavo le vacanze da divorziata nei villaggi vacanza, ricordavo con piacere l’ebrezza che si prova nell’imparare a gestire una barca a vela e in quelle poche e brevi lezioni avevo provato momenti di gioia. Così mi sono detta “no” questa volta la cosa la gestisco io e me ne frego dei miei dolori, della stanchezza, del muscolo pettorale che mi impedisce qualsiasi movimento e di altri disagi che non sto qui ad elencare. Voglio vivere, ho bisogno di vivere, ho bisogno di provare emozioni diverse da quelle della paura, della malattia e così ho deciso “si vado”. Il mio corpo ha subito reagito con dolori e stanchezza tanto che nei tre giorni prima della partenza tentava di convincermi a non andare. Ma l’entusiasmo ha preso il sopravvento e pur con tante titubanze ho preparato la valigia. Il giorno della partenza ero una bambina in gita scolastica: tutto in un trolley e in uno zaino, dovevo contare solo sulle mie forze, che bello! Facevo parte di un gruppo con cui condividevo disagi e difficoltà e ciò mi rendeva più forte. Non ho più pensato al tumore, a quel seno che non c’è più, ma che è ancora più presente con la sua assenza. Guardavo le altre e leggevo nei loro volti le mie paure e così ero sempre meno sola. Finalmente una vacanza in compagnia e che compagnia! Non c’era bisogno di raccontare le nostre storie ci capivamo al volo e finalmente non dovevo fare più i conti con la mia menomazione, potevo pure mostrarla, non ero più un mostro. Dormire insieme, lavarci insieme, vestirci insieme ci rendeva tutte uguali e solidali. Per me è stato subito duro, le fatiche fisiche e quella vita da caserma mi hanno provocato dolori fortissimi, ma l’entusiasmo di apprendere cose nuove, fare i nodi, armare una barca, imparare tutti quei termini che mi svelavano un nuovo mondo e lo stare insieme, fare le cose 34
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insieme mi rendeva tutto più sopportabile e come salivo in barca non sentivo più niente. Purtroppo la mia salute cagionevole ha colpito ancora, ho cominciato a stare male sempre più, ma ho retto fino alla fine del viaggio e appena arrivata a casa tutto è esploso violentemente, dieci giorni di letto e poltrona, ma questa volta ero stranamente serena non sono entrata in ansia, non mi sono depressa. Ho pensato molto a questo strano benessere che mi “colpiva” nello stare male e nell’affrontare tutte le beghe di casa e famiglia. Finchè ho colto il significato: le lezioni di vela, l’affrontare il mare e il vento, trovare tra te e loro il giusto equilibrio, quell’accordo che ti permette di rispettarli e di essere rispettata, i colori della natura i suoi profumi tutto contribuisce a darti quell’equilibrio interiore e quella pace che ti fanno affrontare con serenità la vita. In più l’operare insieme, raccordare le tue azioni a quelle di altri per raggiungere l’obiettivo, chiedere aiuto quando hai difficoltà ti fanno sentire meno sola e soprattutto ti fanno capire che non puoi isolarti ed affrontare da sola le tempeste della vita. Ho tanta paura che questo finisca e per continuare ad avere questo legame mi ritrovo spesso con la piccola cima donataci dagli istruttori a ripassare i nodi e subito riaggancio quel bel sentire che ho provato in quella “avventura” che è stata ALI DI VELA.
ELENA Il mio libro non è ancora concluso Parti con l’intenzione di vivere un esperienza che sia un cambiamento radicale rispetto alla realtà quotidiana. Arrivi a Caprera e sei pronta a sorprenderti per qualsiasi cosa nuova e invece quello che ti colpisce è l’intuizione di averla già conosciuta intimamente, in un tempo lontano o meglio senti di appartenerle, di essere legata a quell’isola da un vincolo ancestrale. L’autocontrollo esercitato in anni e anni di pratica, cede il posto ad un caleidoscopio di emozioni che vorresti af35
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ferrare, ricomporre, chiarire. Ma qui non c’è spazio per le analisi. Senti la tua razionalità che, mentre si attiva per comprendere, ridurre a schema, archiviare finisce con l’assopirsi dolcemente. Ora è il corpo che ha sofferto, che ti ha tradito e che hai pensato volesse abbandonarti, a prendersi la sua rivincita. Comincia a farti percepire che è in grado di rispondere, forse in modo più lento, goffo e faticoso, ma pur sempre in un modo che appartiene alla vita e al futuro. Poi c’è la vela che sposta la tua prospettiva dalla terra al mare e capisci che finalmente puoi guardarti in modo diverso,nella tua interezza. Sei il frutto della tua storia, ma il tuo libro non si è ancora concluso e puoi scegliere il futuro svolgimento della trama. C’è la vela che mette a dura prova le tue ultime risorse fisiche ed emotive,ma che ti insegna che si può essere un equipaggio e affrontare insieme le difficoltà. C’e la vela che ti parla con un’altra lingua, ma vuole farti comprendere che forse il tuo Atlantico lo hai già attraversato e sei sopravvissuta.
SANDRA Un pianeta in mezzo al mare Caprera come ogni storia ha un suo inizio. In un ambulatorio dove un medico che vedo per la seconda volta, uscito dalla sala operatoria con un buffo copricapo colorato, mi fa sedere, prende un foglio in mano e con una faccia serissima mi informa che da qualche parte nascosta del mio seno c’è un tumore. Lui è imbarazzato ed io incredula. Gli dico che ha sbagliato, ha scambiato il pezzo in sala operatoria con un altro paziente. Lui, forte della sua autorità, mi dice che è impossibile, mi deve rioperare e togliere tutto, usa un termine tecnico che io conosco bene, sono un medico come lui, ma sto dall’altra parte, dalla parte dell’ammalato. Spero che stia mentendo per mettermi alla prova, ma so che lui ha maledettamente ragione. 36
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Prendo tre giorni di tempo per pensarci, ho bisogno di stare sola con me stessa. Non lo dico a nessuno, mi lancio su internet a documentarmi, lui ha ragione un tumore è una cosa seria. Posso operarmi a Milano, ma quel lettino freddo e metallico e quelle mani ricoperte di guanti e quel bisturi taglierà comunque un pezzo di me che sarà colorato, sezionato, letto al microscopio ancora una volta. Ho letto troppe cose su internet, mi viene la nausea. Dopo tre giorni lo chiamo, poche parole, adesso ho fretta, voglio che questa storia finisca al più presto. Per lui sono un caso clinico da operare e in seconda giornata dimessa se tutto va bene come da protocollo. Arrivo alle sette del mattino col trolley e la tuta, sembra che vado in vacanza, invece entrerò in sala operatoria a togliere un seno e uscirò con un espansore. Sembra che sostituiranno un pezzo rotto come ad una macchina. Due anni dopo Caprera. Aderisco all’iniziativa dell’AUCC di unirmi ad un gruppo di persone che hanno una storia simile alla mia per fare un esperienza schok, come se non ne avessimo già fatta una. Sarà un corso su un cabinato a vela, con altre persone sconosciute, ma legate a me da un filo che ci lega insieme il cuore. Ci avviciniamo l’uno all’altro in punta di piedi. Come siamo diverse, come le stelle nel cielo, sembrano tutte uguali, ma ognuna ha un nome, una collocazione, un volto,un sorriso. La vela ci unisce col vento, l’acqua, il silenzio della navigazione. Lo spazio è poco, ci sfioriamo, ci impicciamo coi nomi, con le scotte, con i gavitelli. È bello stare insieme nel tucul, a pranzo, a lezione, questo filo che ci lega è sempre più forte, più tenace. Andiamo avanti nelle lezioni, nella navigazione, acquistiamo conoscenza, sicurezza, simpatia ed empatia. Alla fine della giornata sono sfinita, ma felice. Caprera mi accoglie al tramonto con dei colori da sogno, il vento cala, la luna cresce e si rispecchia sul mare spudoratamente. 37
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È li, mi rapisce, mi affascina, mi equilibra la forza psichica istintuale e creatrice che è in me. Il profumo del sale, della terra, del mare si miscelano nelle narici e vanno a stimolare delle zone del cervello nuove che, insieme alle emozioni della giornata, rivelano una realtà nuova e selvaggia dove mi trovo sempre più a mio agio. Mi sembra una vita primordiale a me congeniale, come quella dei primitivi,una vela, un pesce, un fuoco, una canzone, il sonno profondo della stanchezza fisica, a me quasi sconosciuto. Poi l’ultimo giorno, stiamo in silenzio, da sole, a ritrovare il senso di questa settimana. Disegniamo alla lavagna dei segni che poi uno di noi circonda con un cerchio, con quel filo invisibile che ci ha legato fin dal primo giorno. Ora mi sembra sia cambiato il senso dello stare insieme. Gli sguardi assorbono gli ultimi fotogrammi di questa isola magica e ventosa, che non ti lascia indifferente, ma ti strizza il cuore, che ti fa scendere una lacrima che è anche salata come le cime che abbiamo addolcito. Il sole “addolcisce” questo addio, ognuno si porta via un pezzo di isola nel profondo del cuore. Non siamo come una settimana fa, adesso abbiamo condiviso oltre il dolore del cancro che ha segnato il nostro corpo e la nostra anima,il gioco e la magia di questa imprevedibile esperienza che la nostra skipper, con leggerezza e passione, ha colorato coi colori dell’arcobaleno. Ci ha portato letteralmente sull’altra sponda a esplorare terre nuove con metodologie a noi sconosciute fino ad oggi. È bene che Caprera sia lontana, rende questa terra inaccessibile e a chi mi chiede dove sei stata rispondo “sono stata su un pianeta in mezzo al mare”.
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DANIELA L’isola del sogno, un’utopia possibile Capita raramente di sentirsi attraversare dal soffio lieve della felicità. A me è accaduto nel tempo trascorso a Caprera. Questa è proprio “l’isola che non c’è” anzi che non si immagina che ci sia ancora, è l’ isola tante volte desiderata, sognata, anelata. È tutto quello che nello scorrere dei giorni non si riesce più a trovare. Silenzi in cui le uniche voci sono del mare e del vento. Colori abbaglianti che si trasformano in mille sfumature dall’ alba al tramonto, una tavolozza difficile da imitare da un qualsiasi artista. Notti stellate dove è impossibile non rimanere storditi dal luccichio della volta celeste dove le stelle si vedono più numerose e e splendenti e avvolgono la terra come un velo trasparente di punti luminosi. Quante stelle ci sono lassù! Non sembra lo stesso cielo guardato tante volte altrove. I profumi poi ti accompagnano di notte e di giorno, discreti, in ogni spostamento. L’aria sospira, ti accarezza e porta con se essenze di mare e di terra, a volte ti spinge e prepotente ti arruffa i capelli e gonfia selvaggia le vele. L’odore di lavanda selvatica, di fiori ed erbe sconosciute si mescola al salmastro marino dando al tutto un aroma inebriante. Anche in piena navigazione, in mare quasi aperto, è possibile essere raggiunti dal profumo del gelsomino spinto dal vento chissà da quale terra o isola vicina. La notte e il giorno presentano alternativamente i loro scenari inimitabili sia quando il cielo è cristallino sia quando nuvole nebbiose si rincorrono veloci. Il sole scalda o brucia,la luna illumina fredda con la solennità di una vera dea notturna. Il volteggiare prepotente dei gabbiani riempie, a volte, il cielo e il mare e in navigazione ti seguono, si fermano a pelo d’acqua, ti salutano con gracidare stonato, tanto vicino al lamento umano. Poi famelici aspettano i tuoi avanzi del pranzo aumentando di numero e, litigiosi, si appropriano, in volo o galleggiando, dei resti gettati per loro e per i 39
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pesci. Un modo naturale di non sentire vergogna nel buttare avanzi di cibo. Anche i pesci, a volte, vogliono avere uno spazio per intensificare con un brivido la tua felicità. Avvistare un veloce movimento a pelo d’acqua e poi veder guizzare un lucido arco che in un attimo si rituffa dona una scarica di adrenalina e intensifica tutto un benessere che ti trafigge dalla testa ai piedi – delfini? chissà! Qualcuno lo nega, ma che importa se lo erano o qualche altra specie ci abbia seguito e offerto il gratuito spettacolo, la meraviglia vissuta non cambia. L’ondeggiare del mare che sposta la barca ti entra talmente dentro che il corpo continua a sentirne l’effetto duraturo per giorni a sentirti in balia di una dolce deriva, a volte è vertigine, a volte è dolce dondolare di culla. Il mare continua a cullarti anche quando è ormai lontano. Mai provata una tale sensazione! E la vela che dire di tante lezioni teoriche pratiche per imparare a dominare, a governare le forze della natura, sfruttarle al massimo per mantenere un andatura equilibrata? L’imparare veleggiare è stato per me un pretesto per riprendere il timone della mia vita, del mio corpo...del mio animo. Ci sono riuscita? Non so sono però consapevole di aver vissuto con impegno, tenacia e sforzo fisico un esperienza tecnica, ma soprattutto umana che ha rafforzato le mie potenzialità fisiche e mentali. E sebbene non tutto sia andato come avrei voluto mi sento appagata, fortificata, tonificata da una settimana vissuta in un contesto unico, speciale pronta a ripetere un “avventura” così intensa.
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L’utopia sta nell’orizzonte Faccio due passi ed essa si allontana di due passi Cammino per dieci passi e l’orizzonte corre dieci passi più in là Per quanto io proceda non la raggiungerò mai A che serva allora l’utopia? A questo serva: per camminare Edoardo Galeano
Camminando, camminando anch’io sono riuscita a vedere il mio orizzonte sempre più nitido e l’utopia è stata una meta possibile.
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ANNA MARIA Caprera terra dei sogni Caprera è unica. Un’esperienza straordinaria, importante, inconsueta. Ho sempre pensato che nella vita esiste il dolore perché è da quello che ne consegue la gioia. Ho anche sempre pensato che spesso viene strumentalizzato ed usato per attirare attenzione... . Sono partita per Caprera con il sospetto che questo “brutto difetto” potesse emergere nel gruppo, e conoscendomi temevo la mia intolleranza..., non conoscevo i partecipanti. Era una preoccupazione gestibile, ma riusciva comunque ad inquietarmi, sicuramente non a fermarmi. La cosa più straordinaria di questa isola è stata proprio questa, non è mai stato possibile giustificare una incapacità tecnica con la “scusa del cancro”... . Per quanto potrà risultare assurda la mia osservazione per me resta il vero elemento dal quale far partire tutte le relazioni ed emozioni, essere onesti e non celarsi rappresenta un “Vero Stile di Vita” Nella vita esistono tanti fatti che provocano il dolore...la perdita di persone care, la fine di un grande amore, le malattie; unica certezza che il dolore può anche passare... . Per cui dobbiamo avere rispetto e non dobbiamo strumentalizzarlo.. A Caprera tutto è risultato perfetto, chi ha provato ad usare il dolore è stato immediatamente reindirizzato e tutto il resto è stato un riappropriarsi della propria mente libertà fiducia voglia di giocare di amare di apprezzare di godere del silenzio dei colori della straordinaria natura che questo magnifico posto ti offre... . A questa magica terra si aggiunge un magico staff di istruttori che personalmente mi sento onorata di aver conosciuto, il loro grande amore per la vela ed il mare te lo trasmettono anche quando dormi... è una passione che li unisce e li rende unici, colti appropriati, tecnici, 42
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psichiatri, uomini e donne pieni di voglia di insegnare e di farci credere che anche noi ce la possiamo fare! Personalmente i primi giorni non capivo perché erano così straordinari e pazienti con allievi così goffi e spaventati... . Poi ho capito la loro grande capacità li rendeva sicuri che avremmo potuto navigare davvero tutti insieme. A Caprera si possono realizzare dei grandi sogni, è importante provare...e magari tornarci.
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ROSA Caprera una parte di me Ma che fantastica idea hanno avuto Simonetta e Beatrice, io ero un po’ perplessa, portarmi con me la malattia in viaggio...si parte da questo...siamo tutti segnati dal dolore di vedere la nostra vita sospesa ...invece mi sono trovata a condividere un viaggio con donne e uomini coraggiosi, spiritosi, mi sono proprio divertita. Non abbiamo parlato della malattia, abbiamo parlato di noi, del perché delle nostre scelte, dei nostri desideri nascosti, della nostra voglia di avventura ed è stato bello. Ci siamo confrontati nella teoria e nella pratica con un mondo a tutti nuovo, e ho scoperto qualità nelle persone e ho sentito ammirazione perché ho visto come la volontà di voler fare qualcosa è più forte di noi, dei nostri dolori, delle nostre limitazioni. L’odore di caffè nel Tucul appena sveglia, il saluto al sole, il resoconto tutte le mattine delle nostre capacità “ce la faccio pure oggi”, come è il tempo, c’è vento...e via con la giornata. Il mare ci ha accolto con dolcezza e ci ha regalato momenti intensi. Anche noi ci siamo dati al mare, abbiamo donato la nostra ignoranza e siamo tornati carichi di saperi e così le nostre vite, la mia vita ha avuto l’occasione di sperimentarsi e di crescere. Caprera magica parola, mi sembra di aver vissuto qualcosa di grande, qualcosa difficile da raccontare, difficile da condividere...mi viene solo da dire “ci devi andare”. Sono passati dei giorni da quando con lo sguardo umido ho lasciato il porticciolo del Centro Velico a Caprera e mi manca, mi mancano le giornate senza tempo, l’azzurro del mare che tingeva di colore anche la mia anima, la mia timida presenza in un luogo incontaminato...mi manca soprattutto la sensazione di benessere che mi produceva mettere piede nella “mia” barca che si chiama Scirocco. Il primo giorno, la piccola distanza che separa la barca legata con le barbette al molo, mi appariva un abisso, qualcosa di irraggiungibile, 44
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le mie gambe troppo corte, il gioco dell’acqua...ma poi saltare sulla barca è stato un gesto naturale, abbandonare la terra ferma era la promessa di un’avventura tutta per me. Sono salita in barca e si è aperto un mondo a me sconosciuto. La barca è qualcosa di animato, ho sentito una energia che cercava di entrare in sintonia con me, con me che da più di tre anni tento con ostinazione di guidare la mia anima verso l’alto, lontano dal profondo del male e della paura; ma, dove ero io? forse troppo impegnata nel controllo delle mie emozioni, non mi permetto di piangere, non mi permetto di lamentarmi, non mi permetto di fermarmi ai dolori...e così la barca ha capito...e nell’intesa mi ha chiesto di non provare a comandare il vento e le vele, il timone e le cime...e mi ha detto: osserva, stai tranquilla, la tempesta dentro la tua testa è troppo rumorosa, butta a mare tutte le tue sicurezze tanto qui non ti servono, e lasciate cullare da me...dove vorresti andare?...voglio andare...voglio vivere...voglio amare...voglio ridere...voglio...dove...non lo so, per adesso ho scoperto che la mia vita è in navigazione verso orizzonti sempre nuovi, anche si sono sempre gli stessi, come quando dal mare vedi e ti viene da gridare “tierra” con entusiasmo sapendo che è la stessa da dove sei partito; ritrovarmi come nuova, più leggera, questo ha fatto Caprera per me, e mi aspetta...mi aspetta la barca Scirocco, mi aspettano vecchie e nuove emozioni, ormai le mie lacrime salate si sono unite al mare e come i nodi marinai che tengono le forze delle onde ma che si sciolgono con facilità, così mi sento...unita fortemente al mare ma libera come Ali di Vela.
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VALTER Iddu Sono qui a rispolverare ferraglia da montagna, moschettoni, chiodi da roccia, una corda, un coltello da marinaio... . Un coltello da marinaio? Mi domando come è stato possibile. La montagna e il mare, due opposti che opposti non sono, ma solo facce della stessa medaglia, due mondi che si completano l’un l’altro, un cerchio che si chiude. Mi domando chi è l’artefice di tutto questo. Io lo conosco...è IDDU. IDDU è il nome che ho dato a quella parte d’ombra che ho dentro di me. Un bel giorno mi prende per mano e mi porta davanti al mare, regalandomene il colore e il profumo, mi fa salire su una barca e mi parla del vento e dei suoi segreti, di vele e di viaggi velici e ho la strana sensazione che su quella barca ci sia salito da tempo e solo adesso mi accorgo. Che strano! IDDU che regala emozioni, tante volte mi sono domandato della vita e dei suoi infiniti cammini, ma la vita non va domandata, ma semplicemente vissuta giorno dopo giorno, attimo per attimo perché è proprio in quell’infinito intervallo vuoto tra un attimo e l’altro che si cela il senso della vita... . Ed ora basta, è ora di andare a vivere e concludo citando una frase di un simpatico signore dall’incrollabile sorriso “Nessuno è nato sotto una cattiva stella, ci sono semmai uomini che guardano male il cielo”. BUONA VITA
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PAOLO Caprera: un sogno nel cassetto È iniziato tutto alle 19 circa di quel giovedì 29 marzo, quasi al termine della riunione mensile del gruppo A.U.C.C. dei volontari ospedalieri, quando la nostra psiconcologa d.ssa Simonetta ci ha fatto partecipi del progetto “Alidivela” che si sarebbe concretizzato all’inizio di maggio e ha chiesto se c’era qualcuno di noi che sarebbe potuto andare a ‘dare una mano’. Io ho ascoltato attentamente, l’idea era sicuramente valida e anche allettante ma l’ho messa subito in un angolo, non potevo permettermi di pensarci. Qualche tempo dopo ho richiamato per sapere se qualcuno di noi si era fatto avanti, ho approfondito il progetto con la dottoressa, ho cercato di coinvolgere una collega ‘dubbiosa’ e dopo qualche giorno, ci siamo ritrovati tutti a fare una fugace conoscenza in occasione della presentazione del progetto e poi nell’atrio della stazione di Fontivegge per la partenza. È iniziata così la nostra avventura. Io sapevo di essere insieme a persone eccezionalmente motivate ma anche loro, come me e la dottoressa, piene di dubbi su quello che sarebbe stato. Ed è stato tutto eccezionalmente bello, impegnativo, coinvolgente, nel segno di “tutti per uno e uno per tutti”. Questa era l’aspettativa che io speravo di veder realizzata, e così è stato. Quando all’inizio del corso gli Istruttori ci hanno chiesto la motivazione del perché di quella scelta particolare io ho detto che per me si trattava del realizzarsi del mio ‘sogno nel cassetto’. Già, perché io non ero mai stato veramente sopra una barca, ma soprattutto quello che mi affascinava era che non ero mai stato sopra una barca per tanti giorni sul mare. Per me, di estrazione contadina ed abituato a stare con i piedi sulla terra, magari a camminare verso una cima, era veramente un sogno pensare di stare in mezzo al mare, su una barca che scivolava leggera su quella distesa azzurra. L’apoteosi di questo sogno si è realizzata quel giovedì meraviglioso: mare calmo, vento ottimale, sole in quantità, natura stupenda, i volti rilassati di Luisa, Patrizia, Sandra, col nostro capitano 47
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Maurizio spaparanzato beato a poppa, ‘Pluto’ ed i delfini per compagnia, il tutto condito finalmente dalla possibilità di fare qualche foto fatta come piace a me. Ecco, questo è il breve, e per certi versi poco esplicativo, resoconto della mia esperienza di Caprera. Quelle che sono veramente significative del senso del nostro percorso sono le testimonianze dei miei meravigliosi compagni di corso, o meglio di questa favolosa avventura. Tra qualche giorno saprò se anch’io farò parte del loro gruppo. Se così sarà certamente continueremo a lottare sempre, ma soprattutto uniti e con l’appoggio dei volontari e del gruppo medico e paramedico dell’Associazione, alla quale va il nostro ringraziamento.
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MANUELA Festeggiare un compleanno Festeggiare un compleanno in un modo speciale da ricordare, perchè il compleanno di chi amo, ma mi trovo a dire che voleva essere semplicemente questo Caprera. Dico semplicemente perchè è diventato invece molto di più. Perchè ho scelto il Centro Velico Caprera? in realtà, non essendo una velista ne sono venuta a conoscenza in un ambiente completamente diverso...ad un corso di fotografia. Lì conosco due ragazze i cui fidanzati non si conoscono, ma sono entrambi innamorati di Caprera e del Centro Velico. Allora io penso sempre che se qualcuno, nella vita, si innamora perdutamente di qualcosa, debba esserci un motivo, che a me potrà piacere o meno, ma la curiosità mi porta ad andare a vivere quell’esperienza. Così nasce l’idea di Caprera...pensando che dovesse esserci qualcosa di proprio bello e questo, sommato all’amore che chi amo ha per il mare, ha fatto nascere l’idea di questo regalo. Organizzo la partenza un paio di mesi prima, ma la confesso solo qualche giorno prima (anche perchè ero stata quasi scoperta) e...si parte. Nel traghetto Civitavecchia - Olbia noi ancora non lo sappiamo, ma il nostro equipaggio si sta già formando...ignari noi e ali di vela di essere a cena vicini, io e Fabio finiamo su una loro foto che vedremo solo una volta tornati. Strana la vita, a volte ti da dei segnali che tu non vedi o che comunque non puoi capire che dopo riguardando indietro. Dopo un giretto alla Maddalena, arriviamo a Caprera e varchiamo il cancello del Centro Velico, è ancora molto presto, ci fermiamo su un pontile ad osservare dei ragazzi che, con i loro cabinati, provano a virare sotto gli ordini ed i rimproveri dei loro istruttori che fanno eco, tanto è il silenzio che c’è nell’aria. Sorridiamo pensando che tra poco quello toccherà a noi...e invece a noi toccherà molto di più! Si perchè noi non avremo solo cabinati ed istruttori che ci sgrideranno, ma avremo con noi un gruppo speciale di persone che sono lì anche con altri obiettivi, aspet49
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tative e speranze e tutte le loro emozioni si andranno a mescolare con le nostre, ci faranno venire gli occhi lucidi alla presentazione del primo sabato fino ad arrivare alle lacrime (confesso ad un certo punto eran singhiozzi per me) del sabato successivo. Si, perchè ci avete portato con voi con le vostre emozioni, con le vostre difficoltà ed i vostri sorrisi travolgendoci molto più del vento con cui siamo usciti il primo giorno. Ma per spiegare i miei singiozzi devo andare a finire a qualche anno fa quando di anni ne avevo trenta...sei anni dopo la vita mi fa incontrare a maggio, a Caprera, persone che vivono vicino a me, ma che, pur non avendo mai incontrato, hanno qualcosa in comune con me fin da subito, so che, se potessi parlare con ciascuno di loro, capirebbero una paura che anche io ho avuto e che quando la vivi non te la dimentichi più ci impari a convivere, ma non puoi dimenticarla. Il regalo doveva essere per chi amo, ma lo è diventato anche per me.. quel pianto liberatorio del sabato è il regalo che voi e Caprera avete fatto a me! Una settimana dove il tempo non aveva il valore di sempre, ma quello di Caprera, dove i ritmi non sono velocemente quotidiani, ma velocemente caprerini, dove non sai quanti anni abbia, che lavoro faccia chi hai davanti perchè li tutto rimane fuori. Le parole che ci dice Bea il primo giorno, che all’inizio non capisco bene, non tardano a chiarificarsi, non mi viene in mente altro viaggio fatto nella mia vita dove abbia staccato la spina in questo modo...si, perchè amo la mia vita, la persona che ho al mio fianco, la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro...quindi non parto in genere per voler staccare la spina, ma per vedere qualcosa di nuovo...e invece Caprera ha preso quella spina e l’ha staccata. Non c’è tempo per rispondere al telefono, alla mail...ma la cosa piùbella è che non lo si vuole neanche trovare. Si custodisce gelosamente quello che si ha in quel momento... . Così mi sono spiegata quel pianto, che forse da anni, dovevo fare...i nostri istruttori ci hanno insegnato i nodi dalla “gassa” al “parlato” passando per il “Savoia”...ma ci hanno insegnato anche e soprattutto come scioglierli. 50
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È quindi merito di Caprera. È Caprera, con la persona che amo che sto festeggiando i cui occhi mi fanno capire quanto questo regalo gli sia piaciuto. È Caprera, con degli istruttori che sembrano amici da sempre tanto sono affiatati. È Caprera, con toni che, da buon napoletano simpatico, ci accoglie nel Tucul con un sorriso e con il quale condividiamo i pochi momenti pesanti e i molti di risate. È Caprera, con ali di vela senza i quali questo viaggio non sarebbe potuto essere cosí...sarebbe stato bello, ma non cosí. Grazie Caprera
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FILASTROCCA DELLA VELA A Caprera siam venuti A goderci un esperienza E con tanti amici nuovi Raggruppare la prudenza Con i “Dotti” istruttori Quante cose presto imparate Ci hanno messo dentro i cuori Leggerezza alle regate Stramba,cazza,poggia e lasca Quanti gesti tutti nuovi! Ci siam fatti marinai Quasi come prodi eroi Con la Bea ammiraglia abbiam vinto una battaglia quella dura della vita presto o tardi ormai sopita Andrea, Paolo, Maurizio Con pazienza e decisione Ci hanno spento ogni vizio Di chiamar “corde” le cime E le “tende” a poco a poco Sono state rande e Fiocco Che linguaggio originale questo tipo barcarolo ! Finalmente non sarà male Quando per dire basta parlare Potrò usare senza timore “Cazza tutte ste parole” 53
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CAPITOLO III ANCORA EMOZIONI
Ai miei Ragazzi senza età Tanto, tanto tempo fa si dice esistesse un ragazzo senza età che viveva su un’isola che in realtà probabilmente per gli altri non c’era, ma per lui e per quelli come lui esisteva eccome...anche oggi esiste un luogo magico come quello, abitato da altri ragazzi, senza età, senza differenze di ruoli, di cultura, razza, religione... . Ecco, io vorrei scrivere qualcosa agli stravaganti abitanti di questa nostra Isolachenoncè che in realtà è li, che galleggia sul mare cristallino di un angolo del mediterraneo. Siamo partiti insieme per questa avventura...e per tutti pareva la prima volta. Eravate incerti sulle gambe, con le vostre grandi sacche sulle spalle, succubi di una fatica fisica la cui utilità forse non riuscivate ancora a collocare... Portavate nei vostri zaini tanto peso, quello che la vita, gli eventi passati vi avevano appioppato senza chiedervi nulla, senza avervi chiesto il permesso. Porta questo fardello, portalo, e non farti domande, non hai scelta. Ma per noi, che vedevamo da fuori, c’erano lampantemente custodite in quel carico tante altre cose che magari voi non sapevate di avere già come compagni di viaggio: c’era il coraggio, la forza di mettersi in gioco, la scommessa, la smania di rinascere, la voglia di scoprirsi diversi, di lasciare come in una muta che si rinnova, la vecchia pelle e mostrare alla luce un abito nuovo, di cellule nuove, luminoso e giovane, senza scalfitture e cicatrici che rivestisse il vostro neonato modo d’essere. Ma non lo sapevate, voi... . 55
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L’isola ancora non vi apparteneva e come si fa ad essere consapevoli di un mondo ancora sconosciuto? E noi aspettavamo ansiosi, impazienti di riconoscere in voi, nei vostri sguardi attoniti, nei vostri occhi che si sarebbero colmati di luccichii improvvisi, la nascita di un’emozione inattesa, aspettavamo di essere testimoni della vostra trasformazione, del vostro divenire crisalide e poi farfalla. Sapevamo, ne eravamo certi che ciò sarebbe avvenuto. Accade sempre così quando si mette piede sull’isolachenoncè. E stavolta sarebbe stato tutto ancora più intenso e prodigioso..perchè voi avreste messo non i piedi, ma...le ali su quella terra. Le ali da sempre sono il mezzo per staccarsi da suoli conosciuti per guadagnare alte quote dalle quali le prospettive sono del tutto diverse e a volte sorprendenti. E così abbiamo atteso pazienti: che ora dopo ora, giorno dopo giorno voi iniziaste a respirare aria nuova, di mirti e cisti fioriti, vi inebriaste di colori acquarellati da luce vivida e lunare o prorompenti e carichi di sole; vi nutriste di voci risate sguardi sfioramenti che fanno sentire tutti partecipi di un’unica straordinaria realtà; ed ogni volta che – voi non ve ne accorgevate forse – attendevamo silenziosi il vostro armare le barche, il vostro incaponirsi sui nodi, il vostro scrutare il cielo per capire la direzione del vento come vecchi esperti marinai, vedevamo, percepivamo distintamente che da quello zaino che ognuno di voi portava docilmente sulla schiena stavano uscendo ombre, attonimenti, paure non sopite per far posto a nuove sfide, nuovi brividi, nuove tachicardie, quelle che finalmente sanno ancora e solo di vita. Avete gioito nel conoscere la vera condivisione e non solo di un piatto di pasta o di una branda angusta. La condivisione dello stesso brivido, dello stesso dubbio, dello stesso cimentarsi con forze più grandi di voi che subito avete imparato a rispettare; avete imparato ad essere attenti osservatori di ciò che l’uomo non potrà mai dominare, il vento, il mare, le nubi, ma anche la stanchezza, il freddo, il caldo, la paura e l’euforia...e davanti a tutta questa prorompenza di 56
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vita vi siete docilmente, sinergicamente, sinuosamente “addolciti” comprendendo, come mai prima forse, che sta qui la vera forza: nel giunco che si flette, non contrastando la bufera che si abbatte su di lui, ma prendendo da essa l’energia per trasformare la sua forza in una magnifica danza. E alla fine di questi giorni, che sarebbero potuti essere settimane mesi secoli....ma comunque fatti tutti di un insieme perfetto ed emozionante di attimi....tante volte ci avete detto “grazie”. Non abbiamo meriti. Nessuno ha meriti se non voi stessi. Noi, come il Ragazzo senza età della favola, vi abbiamo solamente indicato la rotta....seconda stella a destra...questo è il cammino...e voi avete trovato la vostra isola, la vostra Itaca e con lei, voi con lei, vi siete riscoperti, riamati, riappropriati delle emozioni più pure e primordiali, quelle che non risentono di null’altro che non sia indispensabile e intimamente vivibile. Ed ora sapete. Sapete il vostro valore, la vostra forza, la vostra capacità di emozionarvi. E sapete che quando, per tante ragioni che il quotidiano ci impone, vi sentirete scarichi di questa linfa vitale, esiste un posto, un posto magico e reale, in cui un pezzetto del vostro cuore, ben ancorato sul fondo di una baia tranquilla e silente, aspetta di ricongiungersi a voi per darvi nuova energia, per farvi di nuovo...spiccare il volo con le vostre bellissime e fortissime “alidivela”... La vostra capobarca
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Ali di...vela e di rinascita Le vele, le nostre vele di Caprera, da sempre ci hanno permesso nuove rotte e nuove emozioni e rinnovati modi di essere... Le ali, questo lo si sa, permettono di volare, di lasciare cioè la terra su cui si cammina per raggiungere alte quote, dove l’aria è rarefatta, fresca e tersa, aprono nuovi punti di vista dai quali si può vedere la realtà sotto una nuova ottica che rende tutto stupendamente diverso. Ed allora questo progetto, questo sogno appena imbastito della Nostra Scuola,in sinergia con la Associazione Umbra contro il Cancro, non puo che chiamarsi...Alidivela. Saranno 11 i prodi futuri velisti che sono pronti a mettersi in gioco, a misurare le loro forze psichiche e fisiche, a ricercare nuovi coraggiosi limiti, a provare a...decollare.. Finalmente arriva il giorno tanto atteso: il 5 Maggio...reminiscenze storiche e letterarie lo indicano come una data che non puo essere dimenticata e così sarà per tutti noi, ignari protagonisti di una settimana fuori dalle più rosee aspettative. L’Isola ci accoglie coi suoi profumi inebrianti e colline più consone ai paesaggi scozzesi che sardi. Alla presentazione, i visi in cocomeraia sono, al solito, curiosi e un poco smarriti, ma stavolta so che è diverso: noi 4 capobarca non abbiamo dinnanzi persone che vogliono “solo” imparare ad andare a vela e per mare; Stavolta nei loro sguardi, nel loro silenzio...c’e’ molto di più: “c’è la scommessa”. La scommessa di riuscire ,per un pugno di giorni ,a rinchiudere tra parentesi la paura, lo smarrimento, l’angoscia e riuscire a reimpugnare il timone della propria esistenza, imparare a non farsi sopraffare dai venti avversi ma riuscire se non a controllarli, a sopportarne nel più docile ed armonico dei modi l’impetuosità, per non essere dilaniati e abbattuti. C’è il desiderio di tutto un nuovo modo d’essere dentro questa scommessa e la voglia di farlo facendosi guidare solo dagli eventi naturali, senza forzature, senza elucubrazioni mentali, senza 59
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l’aiuto della farmacologia o di chissa quale altra “arte terapeutica”, basandosi soltanto sulle forze di ognuno che qui saranno l’unica forza di tutti. Il corso, fin dalle prime ore, si snocciola fluido,vario e costruttivo, con un pizzico di consapevolezza in più nel vivere ogni momento della giornata, sia esso didattico che di rapporto umano... E cosi questo nuovo grande equipaggio di quasi una ventina di persone, fin da subito, si trova ad affrontare la pioggia, il freddo, la calma piatta, la buriana a trenta nodi, le brezze variabili, il sole a picco....ed ancora qualche malessere, qualche ombra passeggera, qualche lacrima liberatoria... . E giorno dopo giorno il problema di uno diviene il problema di tutti e la conquista personale è la vittoria del gruppo. Ed ogni volta che la coraggiosa flotta lascia la banchina, nel vederli armare con attenzione la loro barca, nell’accapponirsi sulle gasse e sui savoia, nello scrutare il cielo come provetti marinai...ho l’impressione che stiano spedando le àncore col mondo terreno, quello che ultimamente li ha fatti così soffrire, per salire su nuove ali, prima incerte e titubanti, poi sempre più solide ed affidabili, per navigare verso rotte nuove e nuovi orizzonti. L’isola ci si mette d’impegno a creare una cornice emozionante e perfetta: stormi di gabbiani, bianchi di tonni, delfini giocherelloni, cielo nitido e stellato, cisti fioriti. Pare voglia anche lei dare il suo contributo a questo importante sogno da realizzare. Ed arriva anche per noi l’ultimo giorno... . La festa è preparata con cura ed amore, il refettorio è una meraviglia di festoni colorati e sorrisi, sorrisi irriducibili ed occhi umidi. Si balla e si canta con una leggerezza e spensieratezza dal sapore nuovo, assaporando ciò che si è vissuto e conquistato in queste ore insieme. Al momento dei saluti esce fuori un messaggio da una bottiglia, sapientemente legato con tre savoia, e viene consegnato agli istruttori. I tre nodi rappresentano ciò che questi specialissimi allievi hanno giudicato doti indispensabili per andare in barca: obbedienza, 60
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umiltà e silenzio. Nel biglietto una miscellanea di frasi raccolta durante la settimana...fra le quali si legge “partiamo con nuove consapevolezze, capaci di godere di ogni momento e qualunque sia vento che ci investirà noi lo affronteremo con grinta perche oramai sappiamo che dopo ogni buriana torna l’azzurro e che comunque...il bello deve ancora venire...”. Ecco. È proprio così: le vele a Caprera sono diventate Ali verso consapevolezze nuove che parlano, ancora e sempre, di vita. Beatrice
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CAPITOLO IV CAPRERA...OLTRE LA VELA...LE ALI
Caprera come metafora della malattia Nell’Isola è successa una cosa molto particolare che però è stata per me evidente e chiara anche se stentavo a crederci, un’ altra magia che Caprera ci ha regalato. La settimana, da un punto di vista meteorologico e non solo, si è svolta in modo da ripercorrere simbolicamente l’iter della malattia. •1° giorno cielo grigio, plumbeo con grossi nuvoloni neri che non presagivano nulla di buono, un cielo cupo carico di pioggia e immediatamente mi è venuto alla mente il paragone con il momento dell’attesa della diagnosi in cui si sente incombere la paura come incombeva la pioggia. • 2° giorno un vento forte e impetuoso (30 nodi) che faceva vacillare le barche e noi. Ecco la diagnosi che ti catapulta in un mare burrascoso e si ha paura di non riuscire a governare la barca quindi la malattia. •3° giorno vento più calmo e la percezione di cominciare a capire come si manovra una barca mi ha fatto pensare a quando, dopo l’ impatto traumatico e violento della diagnosi,si comincia a imparare a muoversi nell’universo sconosciuto della malattia, si cominciano ad avere dei punti di riferimento. •4° giorno giornata di sole ma abbiamo cambiato barca ed equipaggio ed ho visto l’analogia con il momento delle terapie quando si deve mettere in atto un nuovo adattamento ad una situazione ancora non ben conosciuta con tutto il disagio e le difficoltà che questo comporta. 63
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•5° giorno bella giornata di sole e vento gradevole la barca, le manovre, il vento cominciavano ad essere familiari e ci sentivamo più padroni della situazione, lentamente imparavamo a muoverci in questo mondo nuovo e lo stesso avviene nel percorso della malattia. •6° giorno tempo bello e vento leggero abbiamo fatto una piccola regata e finalmente abbiamo scoperto il senso e la piacevolezza di tutte le fatiche fatte ad imparare tutte le manovre, i nodi, i venti. Anche nella malattia arriva un momento in cui si riesce a vedere l’aspetto positivo di questa esperienza che è, a mio avviso, l’imparare ad occuparsi di se stessi. La malattia infatti, spesso, diventa un occasione unica e irripetibile, per trovare il coraggio di vivere in modo più vero e autentico Il mar di terra, cioè quel senso di vertigine che ti assale quando sbarchi a terra, che ci ha accompagnato per tutta la settimana, dapprima in modo fastidioso e sgradevole poi sempre più leggero e dolce, mi ha fatto pensare a quel senso di estraneità che la malattia spesso induce per cui si sente di non appartenere più a quel mondo che fino a poco prima era il proprio. A Caprera anche questa sensazione, come il mal di terra è andata scemando per lasciar posto ad una dolce ebrezza.
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Non solo vela Riflettendo su quella che poteva essere la valenza terapeutica del progetto Ali di vela al fine di presentare un progetto all’Associazione umbra contro il cancro, ho individuato alcuni obiettivi che secondo me potevano essere raggiunti e che valevano a connotare l’esperienza di un corso di vela come un’esperienza terapeutica. Obiettivi di partenza 1) Recupero di una dimensione di naturalità 2) Sviluppare la capacità di adattamento 3) Condivisione, ridurre il senso di isolamento e di diversità 4) Imparare a gestire la propria malattia e non farsi gestire dalla stessa, riprendere il timone della propria vita, passare da uno stato di passività ad uno di attività Posso dire che l’esperienza fatta non solo ha soddisfatto in pieno gli obiettivi che mi ero proposta, ma è andata decisamente oltre le aspettative in quanto sono emersi altri aspetti che non avevo valutato non conoscendo il mondo della vela, ma che sono apparsi ai miei occhi subito evidenti
Obiettivi raggiunti 1) CORPO il corpo ferito, violato non è stato più qualcosa da nascondere,ma è stato accolto così com’è da se stessi e dagli altri, il corpo ha risposto, seppure con fatica e dolore, alle richieste che gli venivano fatte e si è avuta la possibilità di sperimentare che la malattia non toglie tutte le potenzialità e le possibilità che comunque ha. 2) TEMPO si è avuta la possibilità di recuperare la dimensione del presente, dell’ essere qui ed ora, di concentrarsi e di vivere appieno 65
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quello che si sta facendo in quel momento. Troppo spesso si è proiettati nel passato come rimpianto di ciò che non si ha più, o nel futuro come possibilità di realizzare i nostri desideri. 3) PRECARIETÀ il recupero di un rapporto sano con il tempo,con il corpo, la scoperta di nuove possibilità finora inesplorate ha ridotto il senso di precarietà che spesso la malattia induce. La scoperta poi che la malattia può indurre quel coraggio di osare, che altrimenti manca, di sperimentare nuove vie, nuove rotte appunto, di cercare strategie diverse per affrontare la vita ha permesso di sentirsi più forti, più sicuri. 4) FLESSIBILITÀ le condizioni atmosferiche, il vento ci hanno costretto a modificare i progetti e gli obiettivi e cercarne altri senza per questo sentirci arrabbiati o frustrati, ma imparando a guardarci intorno si possono scoprire cose altrettanto belle e ciò ci ha insegnato ad essere aperti alle possibilità che eventi indipendenti da noi ci possono offrire senza pregiudizi. 5) ATTESA, SOSPENSIONE nella vela conta il navigare non il raggiungere la meta e ciò a permesso di imparare a “vivere l’attesa” nel pozzetto, mentre si aspetta che si alzi il vento, si parla, si sta insieme e si impara ad apprezzare quel momento che fa comunque parte del viaggio. 6) SPONTANEITÀ, LA LIBERTÀ DI ESSERE SE STESSI la naturalità del contesto ci ha consentito di liberarci dei ruoli, delle sovrastrutture che troppo spesso condizionano in modo negativo la relazione con l’altro, di essere liberi di essere noi stessi e di accettare l’altro per quello che è. Si è avuta la possibilità di vivere delle relazioni genuine, vere, profonde, sincere e ciò ha ridotto notevolmente il senso di isolamento. 7) TERAPEUTA per me è stata un esperienza altamente formativa in quanto mi ha permesso non di condividere empaticamente le emozioni dei pazienti, ma di viverle esattamente come loro,con loro. La mia paura, la mia gioia, le mie difficoltà e le mie vittorie erano quelle che vedevo nei loro occhi e ciò mi ha permesso di entrare ancora di più nel loro universo. 66
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Mi sono sentita una di loro e da loro ho tratto forza ed entusiasmo per affrontare le difficoltà e ciò ha arricchito notevolmente la mia professionalità oltre che il mio bagaglio personale da un punto di vista umano. Simonetta Regni1
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Regni Simonetta, nata a Perugia 1-06-1958 laureata in Medicina e Chirurgia (1986) e Specialista in Psichiatria, dal 1989 svolge attività di Psiconcologia per conto dell’Associazione Umbra Contro il Cancro (A.U.C.C) presso il servizio di riabilitazione oncologica dell’Azienda Ospedaliera di Perugia e, dal 2011, presso il nuovo ospedale della Media Valle del Tevere. È Presidente del Comitato A.U.C.C. di Todi e svolge attività di supervisione e coordinamento dei volontari A.U.C.C. 67
Foto Ricordo
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