Quaderni del volontariato 10
Edizione 2019
Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede legale: Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 www.cesvolumbria.org editoriasocialepg@cesvolumbria.org
Edizione dicembre 2019 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Stampa Digital Editor - Umbertide Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. E’ vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.
I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di 3
tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria
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LUIGI BOLDRINI
Minatore, “paleontologo” della Valle del Nestore
a cura di Pierpaolo
Mariani
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LUIGI BOLDRINI - La sua vita, nel racconto della figlia Maria Pia Boldrini - Memoria di Luigi Boldrini - Pagine dalla Tesi di laurea della nipote Gilda Zucchetta - Testimonianza di Adria Faraone, laureata in scienze naturali, specializzata in paleontologia dei vertebrati. - Fotografie degli scavi e disegni a cura di Bruna Cipriani, insegnante. - Una riflessione - di Maria Lucia Perego Roma - Ricerche bibliografiche - Archivio fotografico “Garage Museo� di Pierpaolo Mariani pmariani741@gmail.com
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Prefazione Ci siamo incontrati con Maria Pia e altri familiari in occasione di conferenze e manifestazioni in Valle del Nestore, non ultima, la Conferenza promossa dall’Accademia Masoliniana sulla figura di Leonida Pedetti, personaggio di spicco della vallata, già Sindaco del Comune di Piegaro e primo Presidente della Vetreria Cooperativa Piegarese, fondata nel 1960. Eravamo nel Museo del vetro, sede della ex Vetreria dove a 14 anni entrai con la qualifica di “portantino”, e parlammo di Gigino. Ad ogni occasione era impossibile eludere l’argomento “Fossili e Museo Paleontologico”. L’ affrore molto forte, speciale, della lignite, mi era familiare; assorbito a Colle Calzolaro, dove sono nato. Grandi folate salivano dalla Miniera, a seconda del volgere del vento. Ne erano imbevuti gli intonaci di casa poiché spesso la lignite veniva bruciata come combustibile, per un improbabile uso domestico. A mio padre Colombo, che sperimentò il duro lavoro in Miniera, rimaneva l’odore nel pastrano e nei panni che indossava, specie d’inverno. Della lignite riportava qualche trancio, pedalando fino alla Colonnetta da Pietrafitta e poi facendo la salita a piedi, una fatica immane, spingendo la bicicletta con la balla precariamente collocata tra la canna e il manubrio. Non si resisteva attorno al focolare. Poco il calore e tanto fumo. 7
Negli anni, l’impegno sindacale mi ha consentito di condividere alcuni avvenimenti della Valle del Nestore. Ricordo l’occupazione della Vetreria di Pietrafitta da parte degli operai licenziati, i comizi e le manifestazioni per l’Autostrada del sole, la ferrovia Tavernelle-Perugia; le assemblee affollate presiedute da alcuni personaggi famosi, quali, don Palazzetti, Alfio Caponi, Libero Cecchetti; le rivestitrici di fiaschi, le tabacchine. Nel 1959 visitai la Mostra della Lignite allestita alla Sala dei Notari a Perugia. Con la mia elezione in Consiglio comunale a Piegaro, ebbi modo di approfondire le tematiche museali, sia del vetro che il paleontologico di Pietrafitta, con l’amico Senofonte Pistelli, dando alle stampe “Piegaro, cent’anni di vita tra cronaca e storia”. Del Museo del Vetro conservo una particolare e indelebile emozione. In esso collocai la mia collezione di oggetti raccolti in tanti anni di fruttuosa ricerca, arricchendo le bacheche con la consulenza della Soprintendenza. Protagonisti principali le rivestitrici di fiaschi e gli anziani vetrai, con i quali demmo vita ad una appassionata rievocazione storica nel 2001 con il I° Palio del Fiasco impagliato. Verso Pietrafitta (Boldrini era già deceduto) ebbi l’occasione di partecipare ad assemblee e visite al garagemuseo, mirabilmente gestito da Gilda. Maria Pia e Gilda si propongono con queste pagine di riportare alla memoria nostra e dei posteri l’operato di Luigi, la sua umanità, il suo attaccamento al lavoro, la passione per la ricerca dei fossili che ha caratterizzato 8
tutta la sua vita di paleontologo dilettante. Le cose scritte da Luigi Boldrini non necessitano di particolari commenti. Ora è più che mai chiaro: senza la Sua accurata ricerca, buona parte del materiale sarebbe stato spazzato via, tritato dalla macchina escavatrice. Leggere le memorie della famiglia Boldrini stimola fortemente l’immaginazione. Con la visita del museo, si ha la percezione precisa del volgere dei millenni, del lungo percorso della natura sino ai giorni nostri. Il racconto di un’era così lontana senza reperti non darebbe la stessa emozione. Possano queste pagine essere di stimolo alle Autorità, agli Enti e ai cittadini della Valle del Nestore, per finalmente trovare la soluzione giusta per il patrimonio inestimabile contenuto in questa culla. Grazie alla famiglia Boldrini, a coloro che hanno arricchito il testo con importanti testimonianze e a coloro che ne hanno consentita la pubblicazione.
Pierpaolo Mariani
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SCRIVE MARIA PIA
“Avevo 2 anni quando è morto mio padre nella Prima guerra mondiale, sei quando morì mio nonno Costanzo, infortunatosi nella Miniera di Pietrafitta dove lavorava”. Inizia così il racconto di mio padre, con i brevi scritti che ci ha lasciato. Una vita di duro lavoro in quella miniera che, nel bene e nel male, è stata il fulcro di tutta la sua vita. Luigi nasce a Pietrafitta dall’unione di Barbieri Enrica e Aurelio Boldrini. Aveva due fratelli più grandi di lui, Roberto nato nel 1911, e Adelmo nel 1913. Il primo ricordo, per quello che riguarda la miniera, è la morte del nonno, che aveva sostituito il padre. La sua vita continuò insieme alla madre, i fratelli, la nonna Caterina e zia Adele che seppure non vedente, influirà molto sul piccolo Luigi. Furono anni molto duri: la miseria e la mancanza del genitore, rendevano Luigi affranto, ma nello stesso tempo il suo carattere si formava, forte e determinato. Siamo intorno agli anni ’20. Mia nonna rimasta vedova 10
con tre figli da sfamare, non ebbe vita facile. Una persona al di fuori della famiglia ricoprì per mio padre un ruolo importante. In paese, tra le persone più influenti c’erano il prete e il medico. E proprio di quest’ ultimo ne parlava sempre con affetto e riconoscenza. Il dottore si chiamava Fantocchiotti, un nome non comune, e forse per questo impresso nei miei ricordi. Si rivolgeva al ragazzo con un nomignolo non ben accettato, ma che lo sopportava, perché comprendeva il senso di affetto col quale gli era indirizzato. Con un calesse trainato da un cavallo, così era solito recarsi a visitare i pazienti, o a Perugia a fare acquisti; quando andava in città, il dottore gridava: - “Orfanello” ! stringendosi al suo grande mantello nero, e Luigi di corsa gli sedeva, con un balzo, accanto. Durante questi viaggi cominciò ad imparare tante cose. Il medico gli parlava di tutto; storie vere e non, di musica e di tanto altro, trascorrendo giornate piacevoli e spensierate, potendo anche mangiare. Alla fine gli lasciava qualche soldino aiutandolo ad affrontare meglio la vita per lui così difficile. Gigino era sveglio e fece suoi tutti quegli insegnamenti. Frequentò la scuola fino alla quarta elementare, anche se non tutti i giorni, e raccontava che riusciva meglio degli altri. All’età di 14 anni cominciò a lavorare in miniera; era l’anno 1930, un lavoro durissimo, usando il piccone e la pala, con ai piedi stivali di gomma, tanto d’inverno che d’estate. Nel 1938 con il fratello Adelmo saranno chiamati a lavorare nella Miniera. Purtroppo Adelmo muore sul lavoro, a causa di una forte scarica di corrente elettrica che lo colpisce. 11
E’ in quel periodo che Luigi si fidanza con Guendalina Gildezza, sua coetanea di Cibottola. La madre della ragazza non accettava quella unione perché sapeva benissimo in che vita misera sarebbe andata incontro. Mia madre rifiutò di tornare a Foggia dove aveva trovato lavoro in un negozio della Perugina, così decisero di sposarsi, a 29 anni. Era il 5 novembre 1945, giorno del compleanno di mio padre. Affittarono due stanze in una specie di casa al centro di Pietrafitta. Ci raccontavano che dal pavimento potevano vedere gli animali sotto dove c’era una stalla, e l’odore rendeva la vita insopportabile. Mio padre lavorava molte ore al giorno, sette giorni alla settimana, non si risparmiava; voleva realizzare il loro sogno di costruirsi una casa. Mia madre riuscirà a fare delle economie, crescendo contemporaneamente tre figlie: Wilma nata nel ’46, Lidia nel ’49, Armanda nel ’53, così la casa fu terminata nel 1956, in Via Costa a Pietrafitta. Il 9 maggio 1957 nasce Maria Pia, una bella bambina che sarà amata e coccolata dai genitori e dalle sorelle. Questa figlia che si è occupata di valorizzare l’impegno del padre, che in quegli anni sarà incaricato di sondare la zona mineraria di Pietrafitta alla ricerca di lignite. Si trattava del giacimento fra i più grandi d’Italia. Nel 1963 la Centrale e la Miniera verranno incorporate dall’ENEL. Questo cambierà la vita dei tanti operai che vi lavoravano, di Pietrafitta e di tutti i paesi vicini. Con ENEL vi sarà un miglioramento nel modo di lavorare e gli stipendi aumenteranno di molto. Finalmente la vita di tutta la famiglia diventerà più che dignitosa; costruirono un secondo piano della casa e nel 1965 comprarono la prima automobile. 12
Il ricordo dell’arrivo della 500 è nitido nella mia memoria. Mio padre si recò con un amico a Tavernelle all’officina Bardi, mentre noi donne della famiglia aspettavamo fuori sulla strada. Quando arrivò esplodemmo di gioia. Scese vicino al nostro garage e fece vedere la 500. Gli occhi gli brillavano e noi si faceva a gara per sedersi dentro. Mise in moto la macchina e ci faceva vedere come rimetterla in garage. La metteva dentro e poi la riportava fuori e andò avanti per parecchie volte, dentro e fuori, finché alla fine riuscì anche a graffiarla, rimanendo molto male, mentre noi figlie e la mamma ci facemmo una bella risata. Quando nel 1966 la Centrale Termoelettrica si fermò per riparazioni, il personale venne trasferito in varie centrali ENEL, e mio padre fu incaricato come tecnico in Calabria, nella miniera di lignite del Mercure. È proprio lì che trovò, dei resti fossili. La prima volta che ci fece vedere un fossile è un ricordo che difficilmente dimenticherò. Era la testa di femore di un elefante, che spuntava dalla sua valigetta avvolta in un asciugamano. -“Guardate cosa ho trovato! Un fossile che ha la stessa età della lignite”-. Noi tutte guardavamo stupite e confuse. - “Cosa ci fai con quell‘osso”? Gli domandò mia madre. “Non senti che puzza? Lui era affascinato da quel ritrovamento ma noi non gli demmo molta importanza, e lo ripose. Certo non potevamo immaginare che a causa di quell’osso, la vita della famiglia Boldrini non sarebbe stata più la stessa. 13
Tornando a lavorare alla Miniera di Pietrafitta volle continuare la sua ricerca. Alla fine del 1966 trovò una tibia di leptobos, un animale oggi estinto. Fu felice e meravigliato allo stesso tempo e corse dal direttore della Miniera e della Centrale ENEL, l’ingegner Curli, e chiese se poteva – nel tempo libero – cercare e recuperare eventuali reperti. L’ing. Curli lo autorizzò con il consenso della Soprintendenza delle Belle Arti e dell’Università delle Scienze Naturali di Perugia. Ogni volta che si recava alla Miniera per cercare i fossili non rimaneva deluso perché riusciva sempre a trovare qualche resto. Ricercatore per caso, divenne uno dei più noti paleontofili ad avere recuperato tante specie di fossili di animali nello stesso sito. Per la ricerca e il recupero doveva seguire la macchina escavatrice e essere presente quando questa incontrava un fossile nei banchi di lignite, seguire le tracce alla ricerca del resto dell’animale e questo tanto sotto il sole d’estate che il gelo d’inverno. Luigi ha lavorato durante il suo tempo libero per oltre 35 anni. A volte, dopo essersi impegnato per riportare alla luce un frammento, tornando il giorno dopo, deluso, scopriva che non era rimasto nulla, perché la macchina escavatrice aveva divorato tutto. Lui non si è perso mai d’animo, ha continuato a coltivare questa sua passione, riuscendo a recuperare migliaia di resti. La miniera di Pietrafitta infatti era un vero cimitero di animali, soprattutto elefanti. Nel 1969 venne alla luce un Elefante meridionalis (detto Mammut) intero, cosa veramente straordinaria e sorprendente per tutti. Con l’aiuto della Soprintendenza e l’Università di scienze riuscì a recuperarlo anche se, molti pezzi si ruppero 14
perché l’Università mandò studenti che non erano certamente degli esperti. Finito il recupero dell’elefante, da quel giorno non vide più nessuno, per mancanza come disse il professore Ambrosetti, responsabile dell’Università, di personale disponibile e che anche se dispiaciuto, non poteva mandare nessuno ad aiutarlo. Tutti sapevano che alla miniera vi erano ancora tantissimi fossili e mio padre continuò da solo il recupero. Così venne costruita la prima baracca. Durante questi anni mio padre lavorava 8 ore al giorno in miniera. Veniva a casa per mangiare e vi ritornava subito per continuare le ricerche. Altre 4-5 ore secondo ciò che trovava. Poi riportava a casa il fossile e iniziava a restaurarlo lavorando ancora, sempre disponibile a ricevere coloro che facevano visita a casa nostra per ammirare i fossili. È venuta gente da tutte le parti d’Italia e dall’estero. Sono venuti pullman con scolaresche, sono venuti studiosi, paleontologi, gente esperta e non; lui si è reso sempre disponibile con tutti. Lo ammiravano per il suo lavoro e gli arrivavano cartoline da tutto il mondo per ringraziarlo della sua disponibilità e per il suo ingegno. Queste, credo, siano state le uniche vere soddisfazioni per Boldrini: avere recuperato innumerevoli resti di elefanti, rinoceronti, bovidi, cervi, orsi, scimmie, pesci e anfibi, castori, tartarughe, uccelli, cigni, topi, foglie e semi, conchiglie, bivalve, gasteropidi, pannonictis e una specie di cervo chiamato Megaloceros boldrinii, in onore dello scopritore. Quando penso alla Sua storia e ai fossili, l’immagine che più amo ricordare è quella nel locale di casa dove 15
accuratamente conservava i reperti, mentre spiegava a qualche visitatore tutti i particolari e la storia di ogni singolo pezzo. Lo faceva con entusiasmo, con quel suo gesticolare con le mani, come se le parole non fossero sufficientemente esaurienti. Intanto, agli inizi degli anni settanta la collezione era già molto ampia. Il prof. Ambrosetti, responsabile della facoltà di scienze dell’Università di Perugia, veniva a casa nostra insieme ai suoi studenti a catalogare ogni singolo pezzo, anche il più piccolo frammento. Nel 1984 ci fu un episodio che ha portato scompiglio e dispiaceri nella nostra famiglia. Arrivarono una mattina carabinieri in divisa con un mandato di perquisizione nella nostra casa. La Questura di Perugia, dietro una segnalazione anonima, accusava Luigi Boldrini di nascondere reperti fossili e di truffa ai danni dello Stato. Egli cercò di dare spiegazioni e invitava i carabinieri nei locali dove erano custoditi i reperti, che non erano nascosti. Tutta la collezione era a disposizione di chiunque e aveva avuto l’autorizzazione sia della Sovrintendenza delle Belle Arti che dall’Università di Scienze di Perugia, anche se solo verbalmente. Spiegò loro che i fossili erano stati studiati e catalogati dal prof. Ambrosetti responsabile dell’Università e tutti ne erano al corrente. La perquisizione durò poco tempo perché nel frattempo i dirigenti dell’ENEL venuti a conoscenza dell’accaduto, confermarono tutto quello che aveva detto Boldrini. Restò l’amaro in bocca poiché il danno morale era già stato compiuto. Inoltre, la mattina seguente uscì un articolo sulla stampa che riportava l’accaduto, descrivendo 16
Boldrini come un tombarolo. Il dolore leggendo quella mattina il giornale fu enorme. La persona che tutti stimavano, apprezzavano per la sua grande passione e i sacrifici sopportati per riportare alla luce migliaia di fossili, era stata trattata come un delinquente. Dopo circa un anno dall’accaduto il direttore della Miniera ENEL, il prof. Ambrosetti e un incaricato della Sovrintendenza lo pregarono di riprendere le ricerche. Lui non ne voleva sapere, a causa di quanto subìto; le ferite erano ancora aperte, ma dopo tante insistenze si persuase e ricominciò di nuovo a scavare. Oggi lo si può spiegare conoscendo quanta passione aveva per i suoi ritrovamenti. Continuò ancora fino all’inizio degli anni ’90 trovando ancora tantissimi fossili. Si prestava con altri colleghi pensionati dell’ENEL ad accompagnare gruppi di visitatori alla Centrale, la miniera e i fossili. L’onestà, il suo grande spirito di sacrificio e la grande voglia di imparare hanno caratterizzato la sua vita. Date le precarie condizioni di salute di mia madre Gigino iniziò a rallentare le sue ricerche e smise definitivamente nel ’90. Nonostante una vita di sofferenze arrivò a 80 anni in buona salute. Aveva una memoria lucida e sempre pieno di vita. Nel 1998 inizia a sentirsi male e appena due mesi dopo muore in un letto di ospedale; era il 23 luglio. Nel comodino trovammo le foto dei fossili che portava sempre con sé.
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LA MINIERA DI LIGNITE DI PIETRAFITTA E I FOSSILI di Luigi Boldrini
Sono nato a Pietrafitta di Piegaro il 5 novembre 1916. Avevo due anni quando è morto mio padre nella Prima Guerra Mondiale. Avevo sei anni nel 1922 e ricordo che un giorno un grosso carro trainato da un grosso cavallo portava a casa dalla Miniera di lignite mio nonno infortunato; pochi giorni dopo morì. Forse sono stati questi fatti che mi hanno costretto a 14 anni ad andare a lavorare; era il 1930. Il mio primo giorno di lavoro è stato nelle officine della miniera alle dipendenze della S.O.L. (Società Oreste Loni). Si trattava di recuperare i mezzi meccanici (escavatori, locomotive, carrelli e binari) che erano serviti per l’estrazione e trasporto della lignite per alimentare e far funzionare la prima Centrale termoelettrica S.I.E.M. (Società Imprese Elettriche e Minerarie Pietrafitta). Nel 1934 ho partecipato con la ditta Sonnino a smontare i tralicci, i gassogeni, la torre di piombo e altre della vecchia Centrale termoelettrica SIEM. Nel 1936 nasce la Società Mineraria del Trasimeno di cui 18
è Amministratore delegato Lapo Farinata degli Uberti. In un primo tempo si è prosciugata la Miniera poi si è iniziata manualmente l’estrazione della lignite dai vecchi banchi scoperti precedentemente dalla Amministrazione S.O.L. Il trasporto della lignite venne iniziato in un piazzale e nei grandi capannoni del cantiere attraverso vagoncini montati su binari trainati da cavalli. Dal ‘38 al ‘42 con mio fratello Adelmo siamo chiamati dalla S.M.T. ed esonerati dal servizio militare. Purtroppo Adelmo muore a causa di una forte scarica di corrente elettrica a 28 anni. In seguito sono incaricato come capo squadra, alla escavazione della lignite, poi alla stipatura e vagliatura della stessa, sotto la gestione passata a Angelo Moratti. Il cambio di gestione ebbe come effetto uno sviluppo della produzione con l’impiego di circa 1000 dipendenti. Nel 1944 l’esercito tedesco in ritirata fa saltare la vecchia centrale SIEM. Mentre nel 1948 sorgono nelle vicinanze della Miniera una fornace di laterizi e una vetreria alimentate a lignite. Insieme ad altri operai viene costituita una Cooperativa per macinare e vagliare la lignite che serviva come combustibile da bruciare nella fornace e la vetreria. Durante questi anni è stata fatta una ferrovia “Miniera – Ellera di Perugia”; la lignite estratta veniva venduta e spedita per mezzo di treni e camion. Nel 1955 viene commissionata la costruzione di una Centrale termoelettrica integrata denominata “Città di Roma” che sarà inaugurata nel 1959. Sono incaricato come capo squadra ai operare sondaggi in tutta la zona mineraria alla ricerca della lignite. Successivamente la Centrale termoelettrica e la Società mineraria vengono incorporate dall’E.N.E.L..
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Quando nel 1966 la Centrale è ferma per riparazione il personale di miniera viene trasferito in altre centrali ENEL. Come tecnico vengo trasferito in Calabria nella Miniera del Mercure. Il mio compito consiste di assistere l’estrazione e trasporto della lignite dalla miniera alla centrale. Al Mercure sono rimasto per un anno. In quel periodo ho trovato in mezzo alla lignite interessanti resti fossili, di un milione di anni fa. Compresi che erano ritrovamenti interessanti e così cominciai ad appassionarmi alla ricerca e recupero dei fossili. Quando riaprì la miniera di Pietrafitta, ritornai al mio lavoro con la qualifica di assistente, Cat. B5 capo turno di Miniera. Lo feci con un altro spirito, con l’occhio sempre fisso sui banchi di lignite dove operava la macchina escavatrice, per poter individuare qualche resto importante. Al termine dei miei oltre 40 anni di lavoro nella Miniera di Pietrafitta, nel 1975 arriva il giorno del pensionamento festeggiato con un rinfresco che ho offerto ai colleghi di miniera. Da parte loro sono stato ricambiato con un bel quadro e un orologio che ho tanto gradito. Dopo il pensionamento mi sono dedicato alla ricerca dei fossili ancora per 14 anni, portando la presenza in miniera a 55 anni, e recuperando importantissimi reperti. IL RITROVAMENTO E RECUPERO DEI REPERTI FOSSILI NELLA MINIERA DI LIGNITE DI PIETRAFITTA Il primo resto fossile che ho trovato nel 1966 era una tibia di Leptobos, un animale oggi estinto. Fu per me una grande meraviglia e gli detti l’importanza che meritava recandomi dal direttore dell’impianto l’Ing. Curli, 20
chiedendogli se potevo a tempo libero dedicarmi alla ricerca. Venni autorizzato con il consenso della Soprintendenza e dell’Università di Perugia, attestato dall’elefante ritrovato in quell’anno. Da quel giorno però non si è visto più nessuno; dissero che non c’era personale pur sapendo che nella miniera vi erano fossili. Il recupero dei fossili comportava un duro lavoro e sacrifici ed io vedendo la completa rinuncia da parte di tutti, mi sono dispiaciuto, ma ho seguitato perché pur non essendo a quell’epoca un esperto vedevo in questi ritrovamenti tanto valore scientifico e culturale. Per ricerca e recupero dei fossili s’intende seguire la macchina escavatrice ed essere presente quando questa incontra un fossile dentro un banco di lignite; seguirne le tracce alla ricerca dei resti completi dell’animale, e questo tanto sotto il sole d’estate, che sotto la pioggia d’autunno e il freddo d’inverno. Per il ritrovamento dei fossili ci vuole molta esperienza, volontà, capacità e pazienza; si tratta di smuovere blocchi di lignite con accetta e scalpelli. Nella seconda fase vengono isolati i fossili dalle scorie. Individuato il fossile dovevo calcolare quanto tempo avevo a disposizione per non intralciare la produzione della lignite; molte volte ho lavorato per giorni rompendo blocchi di lignite per portare alla luce i reperti, ma tornando il giorno dopo in miniera scoprivo che del mio impegno non era rimasto nulla. La macchina escavatrice aveva divorato tutto. Non è facile trovare i fossili e lo dimostra il fatto che sono più di cento anni che si scava la lignite, ma nessuno delle 21
migliaia di dipendenti che vi ha lavorato ne abbia trovato uno. Io ho trovato, recuperato conservato migliaia di reperti fossili, tra cui la specie di cervo “Megaloceros boldrinii”. Questi reperti sono stati osservati da tanti professori provenienti da tutta Italia e dall’estero e tutti sono d’accordo nel dire che questi ritrovamenti hanno un grande valore scientifico e culturale. Il ritrovamento di tante specie di animali, mi porta ad essere uno dei pochi in Italia e in Europa ad aver recuperato un così ricco patrimonio nello stesso sito. Quando ho iniziato la ricerca nel 1966, nei vecchi uffici di miniera non c’erano locali disponibili per poter collocare i fossili, così mi procurai una baracca di legno, poi una seconda, una terza, finché per mancanza di spazio e perché venivano sfasciate le baracche per rubare i miei ritrovamenti, decidemmo insieme all’Ing. Curli di portarli in un mio locale. E’ per questo che i miei ritrovamenti si trovano separati. Tengo a precisare che proprio perché rinvenuti sotto le tazze della macchina escavatrice se non fossi stato presente sarebbero stati bruciati insieme alla lignite. Ho riportato alla luce questi animali, li ho riportati a rivedere il cielo e la pianura di Pietrafitta dove un milione di anni fa transitavano e pascolavano. Oggi tutti noi possiamo ammirarli; ad essere sincero sono orgoglioso di quello che ho fatto, posso dire con tranquillità: questi sono i fossili di un milione di anni fa a disposizione di studiosi e pubblico di tutto il mondo. Tutti quanti i reperti sono stati catalogati, anche il più piccolo frammento. 22
INGIUSTIZIE, AMAREZZE E DISPIACERI Nel 1983 ho allestito una mostra di fossili a Pietrafitta con grande partecipazone di visitatori e studiosi. Purtroppo nell’anno successivo subii una sgradevole perquisizione da parte della Questura in quanto si metteva in dubbio che i miei ritrovamenti fossero legali. Questa vicenda è terminata a mio favore perché di tutto ne era a conoscenza la Soprintendenza di Perugia. Dopo questa e altre ingiustizie ricevute, ho preferito sospendere le mie ricerche, e nel frattempo non si è trovato più alcun reperto. Trascorso circa un anno sono venuti a casa mia il direttore dell’impianto Miniera Centrale ENEL e l’incaricato della Soprintendenza e dell’Università di Perugia pregandomi di riprendere le ricerche dei fossili; io non volevo ma dopo tante insistenze sono tornato ancora una volta in miniera per qualche anno trovandone ancora molti. Oltre a dedicare molte ore al giorno alla ricerca e al recupero dei fossili mi prestavo con altri colleghi pensionati dell’ENEL ad accompagnare persone che richiedevano di visitare la Centrale, la Miniera e i Fossili. Non posso dimenticare di essere lo scopritore dei fossili, dedicando 25 anni del mio tempo libero a questa attività. Ho trascorso 55 anni nella miniera di Pietrafitta, dopo che due miei parenti vi sono morti, a volte deriso dai miei compagni di lavoro, dopo aver subìto più volte furti di reperti, con qualche dispiacere e amarezza, tanto da costringermi a non andare più in miniera.
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Luigi con le figlie e i nipoti
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PIETRAFITTA E I FOSSILI di Gilda Zucchetta
Non si può comprendere il presente se non si dà almeno un’occhiata al passato. Se la storia degli uomini è anche storia dei luoghi dove questi hanno vissuto e se una ricerca sociale della civiltà umana, a qualsiasi epoca si faccia risalire, non può prescindere dal contemplare anche l’aspetto morfologico e geologico del territorio insediato; vale la pena tentare in questa sede il viaggio a ritroso, nella protostoria del nostro Pianeta, per ritrovare ragioni e matrici atte a dar senso al successivo intervento umano. Ricordando che l’orogenesi appenninica, cioè la nascita delle nostre montagne umbre è iniziata pochi milioni di anni fa, portiamoci a due milioni di anni da oggi e vediamo quale era la situazione palegeografica dell’area dove oggi si trova Pietrafitta. Alla fine del Pliocene, ultimo periodo dell’era terziaria, nelle grandi valli risultanti fra dorsale e dorsale del Paleoappennino, si accumularono rapidamente grandi masse di acque continentali che determinarono la presenza di ampi bacini stagnali o lacustri, presenti in gran parte dell’Italia centrale, ma particolarmente 25
sviluppati nell’area umbra, dove un vastissimo specchio d’acqua si estendeva da Città di Castello fino all’attuale conca ternana. Questo grande bacino, al quale i geologi del passato hanno dato il nome di “Lago Tiberino”, aveva una lunghezza di circa 120 km e una larghezza di circa 30; il Lago era costituito da più rami che si estendevano fino a Spoleto e Terni. Uno di questi rami occupava l’attuale Valle del Nestore ed era chiamato “Lago di Pietrafitta”. Col passare del tempo, le plaghe collinari che delimitavano il vasto specchio d’acqua, cominciarono a poco a poco ad ammantarsi di verde. Tale vegetazione comprendente fiori, erbe ed alberi di ogni specie, divenne folta e lussureggiante, finendo per propagarsi in numerose foreste, che ben presto echeggiarono delle strida di animali selvatici e di ruggiti di bestie feroci, mentre le rive del lago costituirono per molti secoli un habitat ideale per miriadi di specie favoriti dal clima caldo-umido; gli alberi di questi boschi, le cui radici si sprofondavano nelle acque calde del lago o di qualche pantana, crebbero giganteschi ed intricati (vedi le piante fossili di Dunarobba dello stesso periodo). Nella lotta per contendersi l’aria e il sole, si aggredivano, si sopraffacevano e si uccidevano, cadendo nel terreno acquitrinoso dove rimasero sommersi. Sulla loro putredine crebbero altri alberi, caddero altri rami, altre foglie, altri detriti. Queste sostanze organiche, essenzialmente vegetali, andarono incontro ad un processo di carbonificazione, che dovette consistere in una macerazione e fermentazione prolungata, per cui si impoverirono di ossigeno, idrogeno e altri elementi, mentre si arricchirono sempre più di carbonio. Si trasformarono 26
così da vegetali in minerali, dando origine a numerosi banchi di lignite. Intanto il lago cominciava a svuotarsi, in conseguenza di terremoti, maremoti e altre catastrofi naturali, e del vasto bacino lacustre rimanevano qua e là soltanto piccoli specchi d’acqua, paludi e fiumi (vedi Tevere). In queste grandi paludi gli animali in cerca di refrigerio, rimanevano intrappolati e, a causa della loro gran mole, molti non riuscivano a salvarsi. Questi esemplari di animali insieme ai resti vegetaliminerali, restarono così per migliaia e migliaia di anni compressi da strati e strati di lignite, subendo anche loro lo stesso processo di carbonificazione, mentre i fenomeni naturali di spostamento continuavano a mutare il paesaggio circostante. Veniva così a costituirsi a Pietrafitta una dei più grandi giacimenti di lignite di tutta Italia. L’uso che la popolazione del luogo ne ha fatto, dall’inizio del 1600 e per tutto il 1800, è stato essenzialmente di tipo domestico. Agli inizi del ‘900, si iniziò a studiare l’utilizzo della lignite come materia prima per la produzione di energia per le centrali termoelettriche. La miniera di Pietrafitta e le vicende relative al suo sfruttamento, costituirono un caso emblematico dei passaggi e delle difficoltà affrontate dal settore lignitifero umbro tra le due guerre. Si è certi che la realizzazione di un Museo paleontologico è di fondamentale importanza, anche per lo sviluppo turistico ed economico del nostro territorio. Il signor Boldrini, “Gigino” per la più parte degli abitanti della Valle del Nestore, ha avuto negli anni qualche riconoscimento e citazioni giornalistiche e finalmente, nel 2011, l’inaugurazione, l’intestazione del Museo paleontologico tanto agognato. 27
Mio nonno ne sarebbe orgoglioso, ma purtroppo non è arrivato a quel giorno. Mio nonno, il signor Luigi Boldrini, soffrirebbe, come noi soffriamo per le alterne vicende di questa nostra vallata. ATTI DEL CONVEGNO MOSTRA NAZIONALE DELLE LIGNITI Perugia 1959 – Sala dei Notari Stralci dalla relazione dell’Ing. Franz Rettig, consulente tecnico della Miniera di Pietrafitta. “Il settore degno di coltivazione si estende a sud del tronco ferroviario Tavernelle-Perugia. Il maggior ostacolo per lo sfruttamento è dato dalla presenza del fiume Nestore e dai suoi affluenti, che attraversano la zona nella parte più settentrionale da Ovest a Est. Alcune case coloniche distribuite nella zona, una vetreria e una fornace sono state o debbono essere demolite per lo sviluppo della coltivazione. Per lo sviluppo futuro della Miniera sarà probabile una deviazione parziale o totale del Nestore, e di conseguenza esisterà anche la necessità di deviare affluenti del Nestore stesso. Malgrado questi affluenti in genere portino poca acqua, e durante molti mesi siano asciutti, possono aumentare, in caso di molta pioggia, la portata in modo tale da creare un pericolo notevole, per una miniera a cielo aperto. Nel passato la vecchia miniera fu due volte inondata. La ricchezza dei fossili, che possono essere ritrovati, è tale per cui un preciso studio paleontologico potrà portare in seguito anche a stabilire un’esatta età di sedimentazione lacustre nell’antico Lago Tiberino”. 28
INSEGUIRE UN SOGNO di Adria Faraone Questo mio scritto è un tributo e un riconoscimento ad una persona che mi ha dato tantissimo dal punto di vista conoscitivo e umano. Sono passati tantissimi anni da quando ancora studentessa seguivo il mio professore di Paleontologia all’università degli studi di Perugia : il Prof. Ambrosetti. Lui si occupava di fossili di vertebrati. Il mio sogno di ragazzina. Ho iniziato a scavare il primo elefante frequentando l’ultimo anno di università in località Casalina vicino Deruta. Poi dopo la laurea sono andata a Pietrafitta per poter continuare a studiare i vertebrati. In questa zona si alternavano fiumi , stagni e paludi con una vegetazione ricca ed un clima temperato caldo: ambiente favorevole alla presenza di animali soprattutto erbivori. La lignite è costituita per la maggior parte di materiale erbaceo ma anche da piante ad alto fusto. A questi si alternavano strati più o meno sottili di argilla che fungeva da isolante, in questo modo la conservazione dei reperti fossili era praticamente perfetta. Ed è a Pietrafitta che ho incontrato per la prima volta Luigi Boldrini, detto Gigino. Avevo avuto un incarico di ricerca dall’università per portare avanti un progetto di pubblicazione dei vari reperti e di catalogazione ed ero elettrizzata all’idea di poter scavare. Mi sono recata a casa di Boldrini, nel suo garage, e ho visto cose meravigliose, anche se a volte non ricostruite in modo corretto. Lì è iniziata la mia avventura con Gigino. Non è stato facile guadagnare la sua fiducia perché per colpa dei suoi amatissimi fossili ne aveva passate tante di peripezie!!! Poi ci siamo compresi, si è aperto e e andavamo insieme 29
in miniera a scavare. Per me è stato un grandissimo maestro, non parlava molto ma i suoi consigli erano preziosi ,era curiosissimo e mi riempiva di domande . È iniziata così una stupenda collaborazione. Gigino mi ha insegnato la pazienza , la costanza e la caparbietà nell’inseguire i propri sogni. Il suo sogno era di lasciare alle generazioni future un patrimonio culturale inestimabile da tutti i punti di vista. Con la costruzione del Museo a Lui dedicato si è avverato in parte; speriamo di poterlo esaudire totalmente nel vedere questo Museo aperto definitivamente. Questo patrimonio deve essere fruibile a tutti , lo dobbiamo al nostro Gigino. La parte più consistente dei reperti animali è costituita da mammiferi, ma non mancano tutte le altre come uccelli, rettili, anfibi e pesci. Inoltre nell’argilla sono stati ritrovati invertebrati e conchiglie. La particolare associazione di questa fauna è legata alle favorevoli condizioni ambientali che caratterizzavano l’area umbra. Un ecosistema unico nel suo genere per la convivenza di tutte queste specie : unico al mondo!!! Massiccia è la presenza dell’elefante Mammuthus meridionalis, più grande di quelli attuali. Seguono rinoceronti, cervi , bovidi, cavalli fra gli erbivori. Non potevano mancare a questo punto i carnivori rappresentati da un grosso felino simile ad una pantera , dal macaco e dalla lontra , e infine l’orso. C’era anche il castoro e poi piccoli roditori come topolini e scoiattoli . Notevole la presenza di uccelli soprattutto acquatici come quelli attuali. Tra i rettili sono state trovate tante tartarughe acquatiche e tre specie di serpenti. Tra gli anfibi una rana di grosse dimensioni e altre più piccole. Dei pesci sono state trovate vertebre e ossa 30
faringee e denti isolati. Nell’argilla sono stati trovati molti insetti , come resti di ali e uova. Le piante presenti erano felci grandi i cui semi avevano la forma di un fagiolo. C’erano conifere, betulle , aceri come il Liquidambar in grande abbondanza . È poi tantissime Graminacee e abbondanti piante acquatiche alcune ancora viventi ed altre estinte. Dallo studio dei pollini si è stato possibile classificare la flora presente. IL RECUPERO DEI FOSSILI Il recupero dei reperti fossili non è stato facile, in quanto si trovavano disposti in connessione o in disordine. Perciò è stato ideato un metodo di “recupero veloce” sia per salvaguardare i fossili, sia per non rallentare l’attività di scavo della lignite. Le diverse fasi di questa tecnica di recupero sono state eseguite dal personale tecnico del Dipartimento di Scienze della Terra e del Centro di Ateneo dell’Università degli Studi di Perugia e dal personale della Miniera (Luigi Boldrini, Alberto Bocciarelli, Marco Rotoni). Evidenziati i fossili, veniva delimitata la zona in modo da ripulirli dalla lignite e consolidarlo con prodotti idonei, ricoprendo con teli per mantenerli umidi e integri effettuando il rilevamento topografico e fotografico. I resti venivano ricoperti con carta stagnola per avere una maggiore aderenza e conservazione. Poi veniva scavata una trincea intorno al fossile, considerando lo spessore che poteva avere tutto il pezzo da asportare. A questo punto si attuava il calco con gesso e una parte di cemento o poliuterano espanso su tutta la superficie. 31
Le superfici piĂš grosse venivano protette da una gabbia di ferro e una colata di cemento. Di seguito una apposita lamina di ferro veniva inserita sotto il blocco, con un mezzo meccanico e saldata alla gabbia sovrastante. Tale blocco veniva trasportato in un locale adeguato. La parte piĂš difficile era il capovolgimento della “cullaâ€? di lignite che poteva pesare anche oltre cento quintali. Tolta la lamina iniziava la fase vera e propria del restauro, togliendo la lignite e consolidando i vari pezzi. Il sito di Pietrafitta con il suo Museo rappresenta un patrimonio paleontologico, geologico e naturalistico unico al mondo , da tutelare , gestire e far conoscere alle generazioni future. Immaginiamo un grande lago circondato da una rigogliosa vegetazione con branchi di animali che si abbeverano e pascolano tranquilli , con dighe costruite da castori e acque correnti popolate da lontre.
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BOLDRINI E LA SCUOLA di Bruna Cipriani Boldrini è stato un grandissimo amico e mi ha insegnato molto sui fossili di Pietrafitta, facendomi scoprire anche i fossili marini di Monteleone d’Orvieto. Sono appassionata di fossili e per molti anni ho insegnato matematica e scienze nella Scuola Media di Tavernelle e poi nell’Istituto Comprensivo di Scuola Materna, Elementare e Media di Panicale-Tavernelle, coordinando i progetti di Educazione Ambientale. Quando Boldrini trovava qualche reperto importante, contattava direttamente la nostra Scuola così potevamo recarci con gli studenti in miniera e vedere in anteprima i resti fossili e fare anche delle foto per documentare l’evento. I miei ragazzi si sono appassionati e così in collaborazione con le altre colleghe, Franca Sisani, docente di Educazione Artistica e Fausta Lascala, docente di lettere, hanno inventato dei racconti, fatto dei disegni e realizzato delle bellissime cartoline tradotte in francese e in inglese, per pubblicizzare l’evento e far conoscere e tutelare i fossili di Pietrafitta.
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UNA RIFLESSIONE di Maria Lucia Perego Roma Presidente Accademia Masoliniana Tutto è cominciato … due milioni di anni fa. Quando in una certa zona ricca di acque e di piante di ogni genere si radunavano per cercare rifugio e sopravvivenza tante specie di animali tra cui anche dei grossi “bestioni”. Ma le acque cominciarono a ritirarsi; poi venne il freddo e poi il fango ad aggredire quell’angolo di paradiso, sotterrando animali e piante. La terra cambiava aspetto e da oasi ideale per la vita di quegli animali ne divenne cimitero. Ma nell’infinita grandezza del tempo, migliaia di anni che passano sono un battito di ciglia, e l’Uomo che intanto aveva preso il dominio di quelle terre si trovò a scavare proprio là, dove avevano trovato pace e rifugio animali grandi e piccoli. Da questo è nato un ponte importante perché tangibile, tra le varie fasi geologiche della zona. E la fatica e il sacrificio per la ricerca di conferme in tal senso hanno preteso che uomini di buona volontà dedicassero amore e energie in questo impegno. Per fortuna nostra e dei nostri discendenti, questi uomini ci sono stati, e ci hanno regalato un’eredità di prove geologiche di inestimabile valore. Non credo di esagerare citando tra queste, l’esistenza del Museo paleontologico di Pietrafitta, con il suo contenuto di tantissimi fossili repertati da un appassionato ricercatore quale è stato Luigi Boldrini. Il desiderio più grande è che questo Museo possa avere la notorietà e il riconoscimento della sua importanza in tutta Italia, e che la sua fama possa richiamare studiosi e curiosi da tutto il mondo. 37
I MINATORI DI PIETRAFITTA Tratto da: “Alfio”, biografia a cura di Leonardo Caponi. Il sindacalista Alfio Caponi, della Segreteria CGIL di Perugia, era reduce da una riunione in Prefettura, una riunione vana. Egli si era battuto con ardore e irruenza. Ma non c’era stato niente da fare. Nonostante le insistenze discrete del Prefetto, il commendatore Angelo Moratti, nuovo concessionario delle miniere di Pietrafitta, era stato irremovibile: le leggi di mercato erano sovrane e l’impianto andava chiuso. Caponi doveva tornare a dirlo ai 600 minatori che, ormai da una decina di giorni, occupavano la miniera per difendere il lavoro, il futuro e la vita, loro e delle loro famiglie. Il suo animo era oppresso. Arrendersi o continuare? Alla chiusura della centrale non ci sarebbero state, almeno nell’immediato, valide alternative. Moratti si era impegnato a pagare i salari arretrati e aveva parlato della riapertura di due impianti nella stessa area della miniera, un tempo chiusi, la mattoniera e la vetreria. Il sindacalista aveva proposto che la lotta non fosse interrotta definitivamente, ma che continuasse in forme diverse. La lignite era comunque una ricchezza. Lo sfruttamento della miniera avrebbe potuto riprendere con l’installazione di una centrale elettrica della quale era prevedibile che l’Italia industriale avrebbe avuto, di lì a poco, grande bisogno. Era una proposta che si rivelò lungimirante, della quale si era parlato al sindacato. Ad essa sul momento i lavoratori, immersi nel più nero sconforto, non prestarono attenzione; invece era destinata a rivelarsi vincente. Nel 38
1958,
con
l’inaugurazione
della
Centrale
termoelettrica, fu riaperto lo scavo della lignite. Caponi visitò la Centrale in compagnia di Don Guglielmo Palazzetti, parroco di Collebaldo, che era stato animatore intraprendente ed entusiasta del movimento per la riapertura della miniera. I MINATORI DI SPOLETO L’agonia delle miniere dello spoletino era cominciata nel 1955. La situazione precipitò tre anni più tardi, nel 1958, con l’annuncio ufficiale della decisione di chiuderle e il licenziamento immediate di 430 minatori. Anche la lignite, sebbene meno ricca del carbone, era una risorsa da difendere e utilizzare. Così non fu; governo e imprenditori rimasero prigionieri di una logica di mercato manovrata dalle lobby del carbone e del petrolio. La Provincia di Perugia e il Comune di Spoleto, anche su pressione del sindacato, incaricarono un noto studioso dell’epoca, tecnico minerario, l’ing. Monti, di studiare il problema. Lo studio fu alla base di un documento dal titolo: “Le proposte degli Enti locali dell’Umbria per l’utilizzazione economica e razionale del combustibile povero nazionale”. Ci furono, in quegli anni tra il ‘55 e il ’58 delle sofferte manifestazioni da parte dei minatori; con tafferugli e incidenti, una particolarmente drammatica, al centro di Perugia. La lotta dei minatori che era anche propositiva, ebbe comunque degli effetti alternativi alla smobilitazione, ottenendo il trasferimento a Terni di 650 minatori e rilanciare nuove aziende.
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INSERTO DEL GIORNALE DELL’UMBRIA – “IL SABATO” Intervista di Giovanna Belardi all’ex vetraio Averardo Rossi - 10 luglio 1999. A Piegaro praticamente metà della popolazione ha avuto a che fare con la vetreria, una tradizione che in questo comune lacustre si perde nel passato e che tuttora costituisce un’importante fonte di occupazione per l’intera Valnestore. Se gli uomini “creavano” il vetro, dall’altra parte le donne davano un contributo all’economia domestica ricoprendo i fiaschi che venivano prodotti in zona. “Sono entrato a 11 anni nella Vetreria di Piegaro e i primi tempi facevo le cose più semplici, per esempio chiudevo lo stampo del vetro e prendevo circa 5 lire al giorno. All’epoca i vetrai specializzati erano iscritti alla Federazione, una sorta di ufficio collocamento che assicurava l’impiego per tutto l’anno”. Averardo Rossi ha lavorato anche fuori: a Monopoli, Empoli, Pontassieve. “Ho girato un po’ tutta Italia. La regione dove mi sono trovato meglio è stata la Toscana dove venivano rispettati alla lettera i contratti di lavoro e gli operai erano tutelati come turni e come orari. Ma anche se in condizioni non proprio buone, lavorare in vetreria per i piegaresi era una grande risorsa, un’opportunità importante. I sacrifici si affrontavano, e a parte il calore dei forni noi si maneggiava gli acidi e dalle composizioni venivano i rifiuti tossici. Quando la produzione non presentava difetti era una grande soddisfazione. Se al contrario, l’infornata andava male e veniva fuori il 40
“vetro cattivo” allora voleva dire che avevi lavorato per niente. Fino al 1958 ho lavorato a Pietrafitta. Avevamo il forno che portava oltre 1500 calorie, più la “tempera” che mandavamo a lignite. Questa conteneva lo zolfo e così ogni volta che si infornava non si riusciva più a respirare. Nel forno si mettevano i rottami di vetro, le composizioni di soda e poi la rena del lago. E da quel grande calore chimicamente si formava il vetro. Andavo a Pietrafitta con la bicicletta d’estate e d’inverno e mi toccava partire con largo anticipo. Poi mi sono fatto la vespa e allora è andato tutto meglio. Nella vecchia vetreria di Pietrafitta si producevano articoli di utilità, nel senso che non c’era una produzione di oggetti artistici, ma di fiaschi, damigiane e, naturalmente di bottiglie, visto che all’epoca la plastica non aveva sostituito il vetro”. Il potenziale creativo dei maestri vetrai piegaresi è stato snobbato per anni anche per esigenze produttive dell’epoca. L’immagine del piccolo elefante realizzato da Fernando Patassini rende testimonianza ai potenziali artisti futuri. Ci piace includerlo in questa pubblicazione, a simbolo delle scorribande, specie degli elefanti, che avvenivano millenni oro sono, nella nostra vallata.
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ARTICOLO DE “LA NAZIONE ITALIANA” del 2 GENNAIO 1951 In grandi assemblee popolari a Tavernelle, a Oro, a Castiglion Fosco, a Pietrafitta, Acqiuaiola si è riunita la popolazione per discutere i problemi della ricostruzione della Centrale termoelettrica, del proseguimento della ferrovia Tavernelle-Chiusi e della sistemazione e incatramazione della strada Perugia-Città della Pieve. In ogni assemblea sono stati nominati dei Comitati che dirigeranno la grande azione di protesta. I sindacati, gli operai,i proprietari, i disoccupati daranno tutto illoro appoggio alla grande manifestazione che sarà tenuta nella prima decade di gennaio”. La Società Mineraria del Trasimeno, che aveva avuto, sotto la gestione Moratti, una grande espansione sia in campo produttivo che occupazionale, nel 1950 entrò in grave crisi, anche a causa dell’arrivo sul mercato di metano e petrolio, il cui costo era minore e il rendimento maggiore. Tuttavia la crisi per Pietrafitta non divenne irrimediabile perché si dette corso ad una nuova fase di sviluppo partendo da due fattori: la miniera a cielo aperto – con un’ampia meccanizzazione sia nell’estrazione che nel trasporto, poteva ancora rendere conveniente l’escavazione del minerale; questo minerale – poteva essere utilizzato – con ulteriore vantaggio economico – a bocca di miniera. Nel territorio, inoltre, seppure con alti e bassi, vi era una buona occupazione femminile. I lavori erano faticosi ma garantivano una integrazione al salario degli uomini, e talvolta lo sostituivano, quando questi restavano senza lavoro. Negli Anni Cinquanta - sessanta molte donne svolgevano attività nel proprio domicilio con 42
l’impagliatura dei fiaschi, mentre altre trovavano impiego in agricoltura nelle piantagioni di tabacco. Le tabacchine partivano al mattino presto in bicicletta, radunandosi sulla strada, quasi in allegria, chiacchierando ad alta voce o cantando, come cicliste in allenamento, per tornare a sera, alla fine di una dura giornata di lavoro. LA NAZIONE, CRONACA DI PERUGIA, 11 SETTEMBRE 1953. “Si chiede la riapertura delle vetrerie Alto Trasimeno di Pietrafitta”. “Quando nell’autunno del 1947 fu decisa la chiusura delle Miniere di Pietrafitta, oltre 700 operai e impiegati si trovarono sul lastrico. Le attività artigiane, commerciali ed agricole e professionali dell’Alta Valle del Nestore subirono un colpo durissimo. Successivamente la messa in funzione delle Veterie Alto Trasimeno e la parziale ripresa delle miniere, ridiede un po’ di vita alla martoriata Valle. Non era tanto il numero degli occupati nella vetreria e nell’escavazione della lignite necessaria ad alimentare i forni che risolveva il problema dell’enorme disoccupazione creata dalla crisi del 1947, ma la rivestizione dei fiaschi effettuato dalle mogli, dalle madri e dalle sorelle dei disoccupati di Piegaro, Pietrafitta, Collebaldo, Castiglion Fosco, Macereto, Mongiovino, Missiano ecc. serviva in parte ad alleviare il bisogno delle famiglie dei lavoratori, quindi a ridare un po’ di vita ai commerci ed alle attività artigiane della Valle del Nestore. Dal 31 maggio le Vetrerie del Trasimeno sono state chiuse e di conseguenza anche l’attività estrattiva di lignite è venuta a cessare. 43
Al momento della chiusura la direzione dell’azienda rassicurò i dirigenti della Camera Confederale del Lavoro e il rappresentante della Prefettura, che la riapertura sarebbe avvenuta non oltre il corrente mese di settembre. Oggi la direzione delle Vetrerie Alto Trasimeno ha esplicitamente dichiarato che non sarà ripresa l’attività produttiva, come a suo tempo assicurato. La ragione della mancata riapertura sarebbe il persistere della crisi del vetro che non renderebbe conveniente l’attività della vetreria. Le osservazioni dell’azienda non sono convincenti, perché l’eventuale aggravio del trasporto dei fiaschi da vendere in Toscana rispetto alle vetrerie di Empoli, Pontassieve, Certaldo ecc. è largamente compensato dal risparmio dei salari che nella nostra provincia sono, in media, inferiori di oltre lire 200 al giorno, senza contare il conseguente risparmio sui contributi assicurativi. I lavoratori e le popolazioni della Valle del Nestore sono fermamente decisi a salvare quest’ultima fonte di lavoro e chiedono che la Direzione mantenga l’impegno preso. L’azione unitaria per la riapertura delle vetrerie, quindi con la conseguente riattivazione delle miniere, si lega alla soluzione di alcuni problemi che rappresentano la vita e l’avvenire del comprensorio. In particolar modo si pongono la ricostruzione della Centrale Termoelettrica, la creazione della zona industriale di Pietrafitta, l’incatramatura della strada Perugia-Tavernelle-Città della Pieve, rimasta sospesa a Capanne, nonché il prolungamento della Ferrovia Ellera-Tavernelle fino a Chiusi alfine di darle una funzione veramente utile e attiva. 44
Allo scopo di coordinare le iniziative da promuovere in tutta la zona, domenica 13 si terrà nei locali della Camera del Lavoro di Tavernelle una riunione di attivisti sindacali dei vetrai, rivestitrici di fiaschi e disoccupati”. LA SOCIETÀ MINERARIA DEL TRASIMENO Detta popolarmente “So-Min-Tra”, servì anche a dare sfogo alla passione per il pallone della famiglia Moratti, poi mecenate dell’Inter. Si diceva che venissero assunti con la qualifica di operai alcuni calciatori con il solo compito di formare una combattiva squadra. Famoso lo slogan coniato dai tifosi che riecheggiava nei campi di calcio: -“Olio, petrolio, benzina minerale, per battere la Somintra ci vuole la nazionale”. Pagine da: PIEGARO - CENT’ANNI DI VITA FRA CRONACA E STORIA Senofonte Pistelli – Pierpaolo Mariani All’inizio del XX secolo la maggioranza degli italiani attivi erano dediti alle attività agricole, anche se queste non erano sufficienti a soddisfare i bisogni di una popolazione in costante aumento. Vari i motivi, derivanti principalmente da metodi di coltivazione arretrati e la difforme ripartizione dei terreni che andavano da estensioni di migliaia di ettari, malcurati se non addirittura incolti, alla piccolo proprietà, il cui scarso rendimento non consentiva di tenere il passo con i progressi della scienza e della tecnica. 45
Mancava poi una legislazione capace di regolare i rapporti fra i datori di lavoro e lavoratori, per cui gli abusi erano frequenti e gravi. Questa diagnosi calza anche per l’Umbria, che negli ultimo decennio dell’800 era infatti regione a larga prevalenza agricola, con un insediamento sparso dovuto al persistere del contratto di mezzadria. La giornata lavorativa era di 12-14 ore e la remunerazione assai scarsa. La situazione cominciò a mutare nei primi anni del Novecento, quando il governo Giolitti varò alcune leggi per l’incremento e la difesa dell’agricoltura, che ricevette un notevole impulso sia dall’impiego di concimi chimici che dall’introduzione di macchine agricole, capaci di alleviare il lavoro dei contadini e degli operai, aumentando la resa dei terreni. Notevolmente aumentata fu la produzione di vino, olio e prodotti ortofrutticoli. Fra le piante industriali ebbe un grande impulso il Tabacco, pianta aromatica, originaria dell’America tropicale-temperata, coltivata per la sua foglia che, variamente trattata e ridotta, costruiva la materia base per sigari, sigarette, trinciati, polveri da fiuto, che in farmacia. Non meno critica era la situazione industriale. Mentre si riorganizzavano i primi nuclei artigiani, eredi delle antiche corporazioni che si tramandavano il patrimonio professionale, spesso si usavano ancora rudimentali macchine tornitrici, sistemi idraulici antiquati, in netto ritardo rispetto al resto d’Europa. 46
A seguito di agitazioni salariali e scioperi si fondarono le prime Società di Mutuo Soccorso; se ne menzionano: quella Artistico vetraria di Altare del 1859, in provincia di Savona, quella di Torino formata da compositori tipografi, anch’essa cooperativa di produzione. In Umbria nel 1861 se ne contavano cinque: fra le quali è da ricordare la Società di Mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia. In seguito si formarono le prime organizzazioni sindacali che ponevano le questioni della retribuzione, dell’orario di lavoro, della tutela del lavoro dei fanciulli e degli alloggi. Accanto all’ammodernamento delle attività produttive, al Nord sorgevano le prime grandi industrie. La raggiunta unità d’Italia, offrì nuove possibilità di slancio al movimento produttivo in seguito alla caduta delle barriere doganali. Così all’inizio del ‘900, si attuò in Italia il vero e proprio decollo industriale, al termine del quale, anche se il settore dell’agricoltura continuava ad assorbire la maggior parte della mano d’opera, la nostra economia non poteva più dirsi semplicemente agricola, ma quanto meno agricolo - industriale. La produzione di beni strumentali, non adibiti al consumo, ricevette un forte impulso, provocando un netto spostamento in favore dell’industria pesante. Con il passaggio a quella idroelettrica notevole fu l’aumento delle fonti di energia. Il prezzo del processo di industtrializzazione fu pagato dal Meridione o, più esattamente dalle plebi del Sud, costrette alla miseria ad incrementare l’emigrazione verso i paesi più sviluppati dell’occidente d’Europa e verso le Americhe. Le dimensioni del fenomeno si 47
possono riassumere nelle seguenti cifre: - Circa centomila persone nel 1880. Era quintuplicato nel 1901 e sfiorava le 900.000 persone nel 1913. - In tanti tentarono la fortuna, senza conoscenza della lingua straniera, adattandosi a lavori umili, spesso dovendo sopportare vessazioni per sopravvivere e finalmente integrarsi nei paesi di accoglienza. Non molto dissimile era la situazione economico sociale nella Valle del Nestore all’inzio del ventesimo secolo. L’attività Agricola costituiva ancora il settore primario. Ben poco era cambiato per operai e contadini dall’immissione sul mercato delle macchine agricole e dall’uso dei concimi, perché a trarne beneficio furono all’inzio soltanto le grandi aziende agricole dei marchesi Misciattelli e del comm. Militone Moretti, che furono in grado di sostenere le spese per l’acquisto delle moderne attrezzature. Le altre aziende più piccole esistenti nel territorio, generalmente costituite da tre-sei poderi, come quelli di Blasi a Macereto, di Rosei e Giorgi a Castiglion Fosco, di Peltristo a Pietrafitta, si aggiornarono solo dopo aver constatato i reali vantaggi derivanti dall’uso delle moderne tecnologie. Per tutti gli altri contadini la vita continuo ad essere dura, perché il lavoro era estenuante e il salario misero, le case erano per lo più in pessime condizioni e prive di servizi igienici, di illuminazione elettrica e di acqua corrente.. Una svolta si ebbe all’inizio del secolo con la riapertura dell’ “antico fornacino” di Via degli orti, dietro palazzo Cocchi. I maestri vetrai piegaresi erano nati e crescuti in loco, 48
dove avevano appreso il mestiere, prima come garzoni, poi come apprendisti, portantini, vetrai. Dopo la morte del marchese Geremia Misciattelli che l’aveva riportata ai fasti del XVI secolo, la direzione della vetreria passò a Cesare Pesciarelli, poi a Giacomo Cordoni, quindi a Pietro Cordoni ed infine all’ing. Giuseppe Zannini, il quale fu costretto a chiuderla per una grave crisi di superproduzione. Il marchese Mario Misciattelli, figlio di Geremia, non potendo gestire personalmente la vetreria l’affittò a Severino Rossi, che la tenne fino al 1932. Costui la diresse in modo famigliare, ottenendo un significativo risveglio produttivo avendo il merito di assicurare lavoro diretto e indiretto (con la rivestizione dei fiaschi) a oltre 250 persone. I fiaschi prodotti erano “toscanelle” da l. 1,750 e pulcianelle da 500 cc.. Le prime erano fasciate, le seconde rivestite a giro. Purtroppo questa fase durò poco, perché non si ebbe il coraggio di abbandonare vecchi e sorpassati sistemi di lavorazione, come invece avevano fatto altre vetrerie. Dal 1915, la Società Terni iniziò a sfruttare i giacimenti lignitiferi situati sul fondo dell’antico lago Tiberino nei pressi di Pietrafitta, ma con scarsi risultati malgrado la disponibilità di grandi mezzi finanziari. La situazione migliorò nel 1917, quando la Banca Conti di Firenze entrò nella Società. Aumentò allora notevolmente la produzione e di conseguenza l’occupazione, tanto da dover ricorrere all’impiego di donne e prigionieri di guerra. Il primo conflitto mondiale incise profondamente 49
sull’economia nazionale, rendendo assai duri gli anni del dopoguerra. Molte industrie, che si erano ingrandite lavorando per l’esercito dovettero ridimensionarsi; molti operai furono licenziati ed anche molte donne che avevano sostituito nelle fabbriche gli uomini chiamati alle armi. Di difficile soluzione fu, infine, la sistemazione di migliaia di reduci tornati a casa dopo gli anni di guerra. Alcune spettacolari realizzazioni, quali le bonifiche delle paludi Pontine, delle terre depresse e malsane del Veneto e della Maremma e la cosiddetta “battaglia del grano” non bastarono a far decollare l’agricoltura italiana, dove la maggioranza delle abitazioni erano ancora prive di acqua corrente ne di luce elettrica. Solo alcune industrie come la FIAT a livello nazionale e, a livello regionale, SAI di Passignano, Cementerie d Magione e Terni, poterono salvarsi, grazie al beneficio di aiuti governativi. Un discreto aiuto all’economia della Valle del Nestore fu data dalle due principali aziende agricole, Misciattelli e Moretti con la coltivazione del grano e del tabacco, anche attraverso la realizzazione di moderni essiccatoi. La Vetreria, nei diversi periodi di attività ampliò la tipologia dei contenitori destinati ai settori oleario e vinicolo, sia con fiaschette schiacciate che venivano rivestite di vinco, sia con bottiglioni e fiaschi soffiati a bocca rivestiti con la scarcia tagliata al Lago Trasimeno. Come combustibile veniva usata la lignite di Pietrafitta che si trasportava di notte con carri trainati da buoi. La miniera di Pietrafitta, che alla fine del primo conflitto mondiale aveva raggiunto la massima produttività, andò incontro, come altre consorelle umbre, ad irreversibile 50
crisi che portò al blocco della produzione nel 1930. Nel 1931 anche la vetreria entrò in crisi sempre più grave, per cui Severino Rossi che la gestiva insieme ai figli riconsegnò la fornace alla proprietaria, la marchesa Maria Carolina Misciattelli. Nel 1934 una società anonima, costituita da Domenico Lampani, Bruno Cagiotti, Augusto Peltristo, Guido Guidarelli e Silvio Fiorentini, riaprì la vetreria per un estremo tentativo di risollevare l’economia paesana. Si pensò anche di trasferirne l’attività in località Lucerno. Ma il proposito non sortì l’effetto sperato e fu nuovamente crisi e con essa disoccupazione e miseria per molti. Lo attestavano in quel periodo le molte persone iscritte nell’elenco dei poveri e le delibere comunali relative a concessioni di sussidi caritativi ai bisognosi. Il Comune rilasciava il libretto sul quale il medico condotto annotava le visite e prescriveva i medicinali forniti dalle farmacie. La Miniera di lignite che aveva cessato l’attività nel 1930 rientrò in funzione anche se lentamente, sotto la spinta dell’autarchia e della guerra d’Etiopia. Nell’anno 1941, per iniziativa della principessa Pallavicini, iniziarono i lavori per la costruzione della nuova vetreria, ubicata dietro il palazzo Misciattelli, al centro del paese, e per tale motivo già limitata nelle strutture, anche se i locali erano più ampi e funzionali della vecchia fornace. I lavori per la costruzione del forno e della ciminiera avvennero con la supervisione del maestro vetraio Realini, fatto venire da Savona. Nel riprendere la produzione di fiaschi e pulcianelle, venne introdotta anche la produzione di bottiglie bordolesi. La fornace 51
a pieno regime sfornava circa 20.000 fiaschi al giorno o 15.000 bottiglie. Salvo un breve periodo, in concomitanza con gli eventi bellici del 1944, la vetreria funzionò pressoché ininterrottamente fino al 1960. Durante il 1942 l’imprenditore Angelo Moratti rilevò la Società Mineraria del Trasimeno, riportandola nel giro di pochi mesi alla massima efficienza. Nel periodo della sua direzione vi fu infatti un notevole incremento della produzione e un consistente aumento degli addetti. Nella zona di Pietrafitta era funzionante anche una fornace tipo Hoffman che produceva laterizi: mattoni, forati, tavelloni e blocchi “impero”, che restò in funzione fino al 1958. In Umbria la guerra era passata distruggendo quasi totalmente le fonti produttive. Particolarmente colpita la provincia di Terni; la città aveva subito oltre cento bombardamenti aerei: officine, opifici, centrali elettriche, quasi tutte erano state messe fuori produzione; oltre il 25% dell’edilizia abitativa era crollata sotto lo scoppio delle bombe o resa inabitabile, l’erogazione della luce elettrica, del gas e dell’acqua sospesa. La provincia di Perugia aveva subito la stessa sorte anche se l’edilizia era stata risparmiata, ma distrutte erano le più importanti fonti di lavoro come la Perugina, la Lana d’Angora, la Valigeria Italiana a Perugia, lo stabilimento Macchi e lo Zuccherificio di Foligno, l’officina SAI di Passignano, la SAFIMA di Città di Castello ecc. Una vivace e capillare azione fu svolta nel dopoguerra, da un Comitato cittadino per la costituzione del comune di Tavernelle. La vertenza si protrasse per qualche anno 52
prima di esaurirsi completamente. Nel corso del 1947 una parte di vetrai che non erano stati riassunti nella vetreria di Piegaro, vennero chiamati a prestare la loro opera a Pietrafitta non lontano dalla zona mineraria dei Moratti. La vetreria era dotata di macchine semiautomatiche e di una automatica che però al momento non si riuscì a far decollare. Vi fu un lungo periodo di tensione che sfociò nell’occupazione della fabbrica da parte dei lavoratori che si trovavano con la minaccia della disoccupazione. La vetreria di Pietrafitta non venne smantellata e tutte le macchine e gli stampi rimasero sul posto circa 2 anni in attesa di poter rientrare in produzione, cosa che avvenne nel 1949 sotto la direzione di Mantelli. Così fu assicurato il lavoro per circa 5 anni producendo fiaschi e damigiane, fino alla chiusura definitiva nel 1955.
La solidarietà della popolazione con i vetrai di Pietrafitta in sciopero. 53
IL GARAGE-MUSEO
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TESTIMONIANZE
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BIBLIOGRAFIA
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LA VALLE DEL NESTORE
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Assemblea rivestitrici di Fiaschi Tavernelle - Cinema 66
2015 – Piegaro MUSEO DEL VETRO. CONFERENZA SU LEONIDA PEDETTI
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SCAVI E SALVAGUARDIA DEI RITROVAMENTI
Bacino della Miniera di Pietrafitta
Macchina escavatrice a ruota palettata 68
Escavatrice a ruota palettata per la rimozione dello strato superiore
Difese di Elephas etruscus 69
Fasi di recupero
Macchina escavatrice a ruota palettata
Momenti del recupero dei resti di un elefante 70
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Recupero di una vertebra 72
Costole di elefante
Particolare di una corteccia di albero fossile 73
Consolidamento nuovo alveo fiume Nestore
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IL COMPLESSO MUSEALE “Luigi Boldrini” IN ALCUNE IMMAGINI
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Questo libro raccoglie la storia di Luigi Boldrini e delle sue numerose scoperte. Un grande uomo: minatore e paleontoďŹ lo della Valle del Nestore