Ascoltavo il mare piangere con me

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3 Quaderni del volontariato 2022 sociale Centro Servizi per il Volontariato PerugiaTerni CESVOL UMBRIA EDITORE
Ascoltavo il mare piangere con me di Rita Muscardin
Edizione 2022
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Quaderni del volontariato

Cesvol

Centro Servizi Volontariato Umbria

Sede legale: Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976

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Edizione maggio 2022

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ISBN 9788831491303

I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE

I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire

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la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione

Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati.

Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo.

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INTRODUZIONE

Una voce nuova nel panorama dei poeti, “Voce inquieta in aria di tempesta”, una voce universale si innalza a creare una dimensione univoca nella pianificazione di un’umanità dissacrata nel dramma eterno della vita, un’umanità che avverte il dolore e si confligge in esso, aperta alle ferite che bruciano.

E il grido della poetessa sale a denunciare la solitudine dell’uomo in questo mondo egocentrico, sospeso e trafitto: “ C’è qualcosa di tragico in questo tempo che respira silenzio per ingannare la feroce solitudine del cuore”

È la voce di Rita Muscardin, vincitrice al Premio Letterario nazionale GENS VIBIA 2022, premio ambito che connota un’identità culturale e storica dalle radici etrusche affioranti fino a noi con una voce significativa e univoca.

“Ascoltavo il mare piangere con me” è il titolo della pubblicazione, tratto dalla poesia, prima classificata al concorso, che riporta la seguente motivazione di una giuria qualificata:- In un percorso dirompente, dove il dramma è protagonista e forti emozioni tratteggiano il complesso cammino umano, viene descritto con toni delicati il pianto universale dove nel “ tempo sospeso la tua assenza è nebbia fitta che avvolge l’anima nuda”. Si snoda, con tinte eleganti, la storia che travolge il dolore nella speranza di un incontro che evoca nel respiro un panismo etereo pianto.”

Il mare è sempre presente nelle liriche di Rita Muscardin, come a dimostrare non solo una parte preziosa della sua terra natale, ma una forza vitale nel mondo, legata al respiro della terra e della sua umanità, partecipe dell’alternarsi delle vicende vissute…”È questo mare, che in un cerchio d’infinito accoglie il tramonto, il confine che separa il nostro tempo. Pochi grammi di felicità, di vita sospesa dietro angoli di silenzio.”

E questo mare, che sembra impallidire mentre assiste alla trasformazione di un’umanità in cui dilaga il dolore e dove la solitudine vince sulla solidarietà, questo mare partecipa al pathos dell’uomo alla deriva lontano da approdi certi: “Siamo diventati isole lontane senza approdi,/ pallido il mare e le sue bianche schiume/tristi corone di lacrime/al gelido abbraccio della morte.”

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Rita Muscardin, con tutta intera la sensibilità femminile che sa cogliere i colori del paesaggio e la musicalità del mare e del vento che trasporta il dolore umano nelle pieghe recondite del creato, grida tutta la potenza del dramma come in una tragedia antica che si rinnova: “Ora la tua voce un vento freddo /l’ha dispersa, un’eco che si spegne/in una valle desolata dove inquiete abitano le ombre.”

E il tempo sembra sospeso nella notte che amplifica i sentimenti nella solitudine: “Si è fermato il tempo sospeso in un silenzio di neve/e ora abito la notte/dove la tua assenza è nebbia fitta.”

Si tratta di una solitudine universale, capace di rubare la voce al mare, una solitudine che lascia morire: “Ma è la notte l’ora più ingrata/quando ogni parola è spenta/e il respiro fiato che si spezza/come un fragore di onde/a rubare voce al mare./Di notte si fa presto a morire!”

Eppure anche nella notte più buia si apre uno spiraglio di luce; è la forza dell’amore che trafigge l’oscurità e si veste di speranza “….forse un bagliore di luce a ingannare il buio e sei tu, ombra dolce che ancora mi respiri accanto, a rinnovare la speranza che vivo mi verrai di nuovo incontro.”

E come ad ogni tempesta segue il sereno, anche dopo la notte arriva l’alba che lascia l’umanità in attesa della spiritualità piena “Eppure oltre le case mute,/il cielo s’illumina di sereno/mentre la terra incerta attende/ che l’onda scura in esilio si ritiri.”

Ma la riflessione personale della poetessa scardina ogni certezza, si amplia in una musicalità di alto lirismo quando afferma: “Improvviso un varco di stelle nella notte/un guizzo di sereno oltre il buio/e lieve la tua impronta/nell’orma infinita del cielo./Da me non sei mai partito”

Sono parole, le sue, che non scivolano in superficie ma travalicano lo spessore della retorica per penetrare nel profondo in un spazio che diventa universale e si fa riflessione sul senso vero dell’esistenza. E in questa meditazione ama perdersi: “Eppure c’è bellezza nella tragica compostezza di questo silenzio…. E perdermi nel nulla,/fra un’ipotesi di stelle e la sua ombra,/ preludio di quel viaggio sospeso/sui confini dell’eterno..”

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ASCOLTAVO IL MARE PIANGERE CON ME

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ASCOLTAVO IL MARE PIANGERE CON ME

È questo mare, che in un cerchio d’infinito accoglie il tramonto, il confine che separa il nostro tempo. Pochi grammi di felicità, di vita sospesa dietro angoli di silenzio. Eri tu piccolo cuore di cielo a respirare nel mio grembo, stupore nei giorni dell’attesa mentre già ti immaginavo a correre per le stanze, pacifica invasione di allegria. Ora la tua voce un vento freddo l’ha dispersa, un’eco che si spegne in una valle desolata dove inquiete abitano le ombre.

Ostile mi è la terra che ha partorito radici di dolore mentre ascoltavo il mare piangere con me.

Si è fermato il tempo sospeso in un silenzio di neve e ora abito la notte dove la tua assenza è nebbia fitta che avvolge la mia anima nuda.

Ma nessuna quiete arriva né si dilegua lo strazio, solo la feroce tenerezza dei ricordi in una congiuntura di astri avversi. La solitudine delle ore tristi

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e un vento gelido a lasciare tutto il freddo, stanotte anche le onde hanno i brividi.

Improvviso un riflesso d’azzurro oltre la finestra, forse un bagliore di luce a ingannare il buio e sei tu, ombra dolce che ancora mi respiri accanto, a rinnovare la speranza che vivo mi verrai di nuovo incontro.

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CADE SUL CUORE COME PIETRA QUEL SILENZIO

Arreso alle ombre del tramonto già s’acquieta il mare, un silenzio e una preghiera in una perfetta geometria di stelle.

Fu la fine dell’inverno, annuncio di primavera, a illudere l’attesa di te.

Breve il giorno s’illuminava alla luce bianca dell’aurora e tiepido marzo accarezzava germogli.

Promesse di sorrisi e tenerezze di abbracci, sfumature di ore incerte nell’intensità dell’attimo.

Ma irraggiungibile a noi la felicità, costellazioni avverse hanno spento il sole e acceso il tuo silenzio. Era d’estate il tempo del dolore, un pianto di stelle assorte per un angelo addormentato in un grembo d’amore.

Io sapevo l’urlo del mare, il suo martirio in un morire triste di onde al vento dell’inverno.

Ma navigavo questa vita issando le vele impavide su rotte di naufragi a cercare invano i passi del ritorno dietro inquietudini di ombre.

Forse saremo solo un po’ lontani, distanti al tempo ora che le parole sono eco che si perde in un respiro d’universo.

A volte al mattino un canto di bimbo, voce cara, mi sorprende nel sonno

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a illudere d’azzurro il mio cielo.

Ma poi cade sul cuore come pietra quel silenzio mentre il giorno chiude il suo cerchio di dolore.

È questa eterna notte a gridarmi nel petto, triste urna di memorie.

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CHIEDIMI ANCORA DI LUI

Chiedimi ancora di lui…

Dei suoi sorrisi, splendori di stelle, dei suoi sguardi, limpida purezza preludio d’altri luoghi.

E chiedimi ancora di lui perché io possa pronunciare quel nome e trattenere ogni sillaba fra le mie mani vuote prima di arrendermi al suo silenzio, condanna del mio tempo.

Sai, basterebbe quel poco che accarezza il cuore, un brivido d’immenso, a cancellare anche una sola lacrima mentre le orme gelide della notte affondano radici di dolore nella terra ostile.

Il Paradiso nascosto in un angolo di sereno azzurro, parentesi di cielo in lacrimarum valle.

Ma la morte s’è accorta di noi, della nostra perfetta felicità nella religione paziente delle piccole cose.

Ora solo l’eco di una voce, pietre di solitudine

e carestia di abbracci in questa agonia di inafferrabili assenze, mesto corteo dei giorni di passo dentro un orizzonte vuoto, il sole è spento, l’anima nuda.

O cielo, fiato di stelle nell’arida notte, imploro tenerezze di sguardi

e stupore di voci a sconfiggere il silenzio.

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Forse scoprire un varco di luce, un passaggio, misterioso transito se pietà conforta nell’ombra affranta della sera.

E ritrovarsi ancora, in una stanza raccolta a sognare in un sonno felice e smemorare il dolore dell’assenza. Oltre le nebbie e il buio

l’immenso fra una stella e il cielo.

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DA ME NON SEI MAI PARTITO

Potesse il mio amore farti tornare, mille passi indietro o uno solo, quel che basta a respirarti ancora.

D’altra luce rivestirti e attraversare ponti d’azzurro o forse un istante, aprire una porta e rivederti dove eravamo, anime felici in stupore di sguardi e tenerezze di abbracci all’ombra discreta della sera.

Ci sorridevano le attese, preludio di incontri a confortare presagi di assenze.

Un transito di remote stelle in una quiete di vento e viaggiare lungo le rotte infinite di un sogno.

Era casa ogni volta che mi attendevi, rifugio dai miei giorni tristi e beatitudine del cuore la carezza del tuo sorriso.

Ora è solo dolore e memoria che strazia, lentissima la terra non dona più promesse e si consuma il nostro tempo nella pace solenne delle onde.

Il tuo silenzio rende forma al buio, trema l’acqua in allegoria di pioggia e benedice la terra, non me

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che ancora imploro il tuo respiro.

Improvviso un varco di stelle nella notte, un guizzo di sereno oltre il buio

e lieve la tua impronta nell’orma infinita del cielo.

Da me non sei mai partito…

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DIETRO UNA LACRIMA D’AZZURRO

Triste questo mio andare ora che il silenzio è pena, solitudine di giorni a disegnare stagioni consacrate a un perpetuo inverno. I tuoi piccoli passi di neve mai hanno lasciato traccia sulla terra ostile dove affondano radici di dolore. E lo sguardo si perde oltre il buio a indovinare il tuo sorriso dietro una lacrima d’azzurro. Solitudine di onde in un abbraccio di mare e un’impronta d’acqua su rive d’infinito. Sono giorni di pioggia sospesi sul cuore, un’ipotesi di tempo che più non è mentre stringo la notte fra le mani vuote di te, di noi.

Lievi i tuoi passi s’allontanano nell’ombra di una candela accesa su altari di dolore e solo rimane al risveglio la crudele verità di un’assenza.

È sceso il silenzio delle stelle fra noi, stanco il mio vivere a cercare memorie in un sogno fragile come un fiore di cristallo posato sul cuore.

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Forse un giorno riposerò le mie ali di vento, gabbiano su lidi di sabbia a cercare l’ultimo raggio di sole in una deriva d’azzurro prima del tramonto.

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DI NOTTE SI FA PRESTO A MORIRE

È questo vento a depormi esausta in grembo all’onda.

L’acqua si spande da nuvole di pioggia in un affanno di cielo. La mia anima si fa di pietra, sono ombra che non trova più luce e non sa dove potrebbe portarla il tuo silenzio. Forse non sono quello che ero, un’aria diversa mi respira addosso e questo sole sbiadito non scalda più il freddo dei miei giorni, assenza di te ora che t’ha cercato il cielo.

C’è qualcosa che mi trema nella voce quando racconto di noi declinando verbi ad un tempo passato e resta solo nell’aria quel nulla che mi rende oscura la terra e irraggiungibili le stelle.

Allora mi cresce in gola un pianto mentre ascolto voci che sembrano chiamarmi, invano cerco una mano da stringere e un sorriso che non sia la breve luce di un sogno.

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Ma è la notte l’ora più ingrata quando ogni parola è spenta e il respiro fiato che si spezza come un fragore di onde a rubare voce al mare.

Di notte si fa presto a morire!

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IL MARE SCRIVERÀ DI NOI

E viaggeremo verso il blu del mare, la vela docile al vento della sera e quella stella nell’orizzonte del cielo a tracciare la rotta oltre il rosso del tramonto.

Chiuderemo gli occhi un istante e respireremo un battito d’universo oltre la vertigine, un brivido d’infinito nello stesso volo.

Uno schianto d’acqua a muovere le maree e le nostre parole d’amore, un fiato di neve sospeso fra l’inverno e il cuore.

Le notti avranno graffi su muri di silenzio, la rugiada si farà brina e un velo di nostalgia scenderà a nascondere trame di ricordi. Ma noi saremo sempre l’emozione che toglie il respiro, incanto e stupore nella dolcezza inquieta della notte.

Andremo via a passo lento, le mani strette per non perdersi nell’oblio di giorni stanchi

quando saremo solo foglie

d’autunno che più non tornano al ramo.

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E il mare con le sue onde scriverà di noi parole d’amore.

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IL SENSO DELL’ANDARE

È l’ultima stagione sai, quando l’inverno scende sul cuore e fugge allora il sogno appeso al filo d’argento degli astri. Un tempo il passo era lieve, non tradiva il senso dell’andare e una tiepida brezza di primavera ci sorprendeva a sfiorare il mare fra i capelli.

Delicata armonia di sguardi nell’immensità di attimi a corteggiare la notte perché non svegliasse il giorno. Eravamo musica di un amore, parole sussurrate in un bacio controvento e ogni tramonto annunciava altre stagioni all’orizzonte. Ora il mormorio dell’onda è quasi pianto, quasi nulla a salutare ciò che resta sotto questo cielo grigio e spento.

C’è la nebbia e tanto freddo, il buio dentro al cuore e quel silenzio di rugiada che scivola piano sui pensieri.

Graffia la notte abbandonata alla nostalgia degli assenti, ogni cosa pare stanca e desolata e resta solo l’eco lontana di una voce, un’ombra dietro il tuo viso di pioggia.

La casa dei ritorni ora è un miraggio

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e rimane solo un’ipotesi di preghiera a trasfigurare il dolore perché l’amore è luce più forte, mai arresa al buio.

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IL TANTO RIMASTO DI TE, DI NOI

E questo dolore che non ha più voce per gridare al Cielo…

Sopravvivo ai giorni dell’assenza quando la feroce tenerezza dei ricordi è nella terribile quiete della nostra casa, porto sepolto nelle ombre della sera. Avessi saputo ingannare il tempo, rallentare l’incedere veloce delle stagioni e nasconderti in quel silenzio dove nessuno ha mai abitato.

E parlarti ancora per vederti con gli occhi del cuore, per trovarti dove ci eravamo lasciati nelle lacrime di un giorno di neve. Sei la vita che mi respira dentro, il senso del viaggio nel declinare di anni incerti fra una partenza e un ritorno. Non cerco altro, basta quello che avevo, il tanto rimasto di te, di noi, in una carezza di luce oltre il buio freddo della notte.

È dono di pochi la purezza del cuore, delle creature miti che attraversano la terra con passo lieve in un preludio di Cielo.

E tu, anima di stelle, avevi sguardo d’immenso

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mentre l’ultimo raggio di sole disegnava nell’azzurro l’orlo del tramonto. Eri isola dove trovare l’approdo nella deriva triste dei miei giorni, eri casa, accogliente tepore che mi avvolgeva ad ogni ritorno. Ora è solo pioggia a scivolare sul viso, sul nostro cielo è caduta la neve e tutto il freddo del mare affonda in un gemito di onde.

Il cuore è trafitto, la pelle lacera, l’anima nuda senza di te, ma riuscirò a sentirti ancora oltre il silenzio che si fa mistero…

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IN QUELL’OMBRA DI LUCE CHE MI SIEDE ACCANTO (a Trilli)

E racconto di te, di noi, del nostro amore sospeso in una lacrima d’azzurro ai confini del cielo..

Mi respiravi accanto, creatura fedele al silenzio delle mie sere di pioggia, lo sguardo puro e sul cuore il vento dolce del tramonto.

Anime affini abitavamo nel breve respiro dei giorni, ma allora il tempo era parola sussurrata, eco lontana che non violava la quieta malinconia delle stelle. Il nostro incontro, storia scritta sulle pagine del cielo, soffio d’immenso a plasmare scintille d’amore.

E noi a cercarci nella tenerezza di un abbraccio, sfiorare l’azzurro in quell’istante perfetto ed essere danza di onde per regalare carezze al mare.

Abitavi la solitudine delle mie sere accoccolato a un passo dal cuore e nell’immensità dei tuoi occhi trovavo l’approdo sicuro al viaggio. C’eri sempre nelle mie ore tristi per allontanare il freddo dell’inverno e illuminare il buio con quel raggio di sole che ti risplendeva dentro.

Sei rimasto oltre il tempo del dolore legato a un filo d’erba,

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fragile come la speranza l’ipotesi di noi mentre già respiravi l’immenso sospeso fra l’orlo del mare e l’incerto confine nascosto nel rosso del tramonto.

Ora che sei nuvola di cristallo, essenza di cielo in marea di stelle, ascolto nelle stanze vuote il suono lieve dei tuoi passi, ma non mi rassegno a pensarti arreso al silenzio nella quiete d’infinite notti.

Tu sei in quell’ombra di luce che mi siede accanto, disteso in grembo a un sogno a custodire memoria di noi, un’impronta d’amore sigillo sul cuore dei giorni. Resta ancora con me a ingannare l’inverno che si nasconde in una lacrima di pioggia.

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INVERNO DELL’ANIMA

(nei giorni della pandemia) Sai, forse è questo l’inverno, non i capricci del vento o il silenzio antico della neve, ma quell’ombra fredda posata sul cuore, inverno dell’anima.

E ci scopriamo fragili e affranti, a cercare lontano un luogo ignoto dove il dolore svanisca e il cielo non pianga più le sue stelle.

Siamo nella stessa onda a implorare la pietà del mare e ci sgomenta il nulla oltre l’orizzonte, i nostri passi che non lasciano più impronta.

Litanie di giorni immobili nel tempo infinito del dolore. E pesa la solitudine del viaggio, l’affanno di mani a cercare altre mani e occhi a implorare la carezza di uno sguardo.

Inquieta il tocco invisibile della morte, un inganno di stelle al tramonto e l’oblio della notte sulla terra desolata.

Un pianto di foglie arrese all’autunno

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e raccontarsi gli abbracci che non puoi mentre il cuore affonda in un mare di silenzio. Forse anche le pietre gridano il dolore

all’ombra della croce e, nelle strade deserte di passi, il vento solleva pensieri nascosti dietro angoli di solitudine.

Siamo diventati isole lontane senza approdi, pallido il mare e le sue bianche schiume

tristi corone di lacrime al gelido abbraccio della morte.

Eppure oltre le case mute, il cielo s’illumina di sereno mentre la terra incerta attende

che l’onda scura in esilio si ritiri.

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LA MISURA DEL DOLORE

Parole di pietra

rimbalzano come sassi

a disegnare cerchi nell’acqua immobile.

È il tuo nome, sillabe di dolore

pronunciate dietro un angolo triste di cielo ora che la morte ci ha sorpresi nascosti in un canto di pioggia.

Abbracci di onde

e tenerezze di tramonti

nei mari che navigammo

mille e mille volte ancora,

ignari dell’arida geometria delle stelle.

Sotto la cenere del tempo non resta traccia,

si consuma nel respiro dei giorni

l’inquietudine del viaggio, lume che sfuma verso il confine.

È la misura del dolore, voce a ricordi dolci

ormai echi di un addio

deposto nel grembo freddo di un silenzio.

Immenso l’attimo che ferma il tuo sorriso,

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un arco di luce in costellazioni di passaggio e forse quel tempo mai vissuto ai margini del cuore ci interroga ora che volge a sera il giorno.

Nelle mie mani di vento, come onda stanca, in un requiem s’è assopita la notte.

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LA RISPOSTA CHE NON SO DARE

C’è qualcosa di tragico in questo tempo che respira silenzio per ingannare la feroce solitudine del cuore. Voce inquieta in aria di tempesta, un grido di vento a scuotere il torpore di onde stanche. E perdermi nel nulla, fra un’ipotesi di stelle e la sua ombra, preludio di quel viaggio sospeso sui confini dell’eterno.

Triste la mia stagione a vagare con passo incerto nella nebbia di un’assenza, le mani pallide a sfiorare il silenzio

nella quiete assurda di questa vertigine di dolore.

L’urlo del mare in un brivido di onde, un’eco di vento e la notte che si siede su un gradino di cielo a interrogare le stelle.

Forse sono sospesi lassù, in una virgola d’infinito, il mistero e la risposta che non so dare mentre l’aria gelida taglia il respiro e lo scirocco gonfia nuvole di pioggia. Un tempo navigammo dentro un sogno, le vele in fuga verso orizzonti di sereno e la sera tenerezze di onde verso il tramonto.

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Ora l’azzurro scolora ai margini del giorno, silenziosa luna, remote stelle, vicino è il tonfo della prora che segna l’approdo.

Nulla più sarà come allora…

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LA SERA AVRÀ VOCE DI VENTO

E ancora un’altra sera a nascondere dietro un velo di nebbia

l’inganno dei tuoi giorni, agonia di ore e parole di pietra a lapidare il cuore. Il tuo focolare, freddo luogo di dolore, ostili le mura domestiche, antro oscuro e triste prigione di lacrime.

E lui ha fatto scempio dei tuoi sorrisi, il grembo violato e le sue mani strette a pugno, ombre livide sugli occhi spenti.

Un vento cattivo a piegarti, fragile creatura di neve e quella pena segreta impressa nell’anima.

Sei in bilico su una stella, il cuore sospeso sull’abisso povero angelo senza ali. Fra le pieghe del tuo abito sgualcito nascondi pensieri e sogni, avevi pagine bianche dove scrivere parole d’amore e memorie dolci e un sorriso leggero alla luce bianca della luna. Ora la tua notte è senza fine, solo una preghiera reciti rannicchiata nel silenzio, invochi un requiem mentre affondano le ultime stelle in un angolo stanco di cielo.

E quando la morte accarezzerà il tuo viso,

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sarai ombra lieve senza più dolore. La sera avrà voce di vento, un canto di pioggia in musica d’acqua a lavare fango e polvere dal tuo corpo di cristallo, pura e disperata bellezza. E ti abbandonerai a un pensiero di mare, onda franta sulla riva del tramonto e benedirai il viaggio, volo di gabbiano a disegnare l’orlo azzurro del cielo.

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LA TRAGICA COMPOSTEZZA DEL SILENZIO

E la tua assenza è un grido di cielo che sgomenta le stelle in questa notte dove il dolore è solo un battito stonato del cuore.

La nostra storia è scritta su pagine di vento disperse in un tempo declinato all’infinito. Forse il sole che ora t’illumina risplende in altri luoghi, ma è scesa una triste sera sulla nostra casa dove s’allungano le ombre mentre onde di marea s’infrangono su scogliere di nebbia.

Eppure c’è bellezza nella tragica compostezza di questo silenzio, adesso che la morte non è più un’ipotesi per noi e il tuo respiro ormai un’eco nel vento che si perde in un oblio di nuvole.

Sono giorni di neve che scorrono lenti nella stagione del dolore e lo sguardo invano a cercare presenze in una deriva d’azzurro oltre l’orizzonte.

C’è un nulla di pioggia in questo vuoto d’amore sospeso sull’infinito, la morte mi ha danzato sul cuore

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e sulle ossa è sceso tutto il freddo dell’inverno. Solo una fiamma antica resta a sciogliere il gelo del silenzio, un’ombra dolce a rimanermi accanto e quel filo invisibile mai spezzato a legare giorni di passo alle eterne stagioni del cielo.

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LA TRISTEZZA DEL MARE

A volte nelle sere d’inverno la tristezza del mare è il mio vestito quando implora tregua all’assedio delle onde.

C’è solitudine in giro, nebbia sottile a cancellare fievoli luci disperse dietro un gioco di ombre.

Il canto dell’abbandono trasfigura la tragica compostezza della notte e si spegne il pianto, pietra che sigilla il sepolcro del mio petto.

Docile creatura di feroce universo, resto immobile a scontare la colpa dei giorni felici.

Non c’è incanto ormai né meraviglia a benedire il viaggio, solo mi è presente la finitudine di questo tempo e la fragilità di ogni respiro a scoprire un’altra alba. Ma forse troveremo ancora, in un angolo smarrito del cuore, lo stupore di un brivido di stelle che ci salverà.

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LA VALIGIA

Posata lassù, sospesa a un angolo di tempo fra pareti d’azzurro.

Forse attende ancora, dietro a una sillaba di silenzio, il suono di una voce, il tocco lieve di una mano che l’afferri per portarla via… Un bagaglio di sogni stropicciati, alla rinfusa fra abiti sgualciti e scarpe ansiose di passi. La camicia profumata di lillà, un cappello di vento per allontanare i tristi pensieri e un diario nascosto a raccogliere memorie di parole non dette.

Il rumore di un treno in partenza su binari di nebbia, una nave, lo schianto dell’onda sulla prora e un porto dove approdare, un gabbiano con ali d’acciaio sospeso fra nuvole tinte d’innocenza.

Sono luoghi, ipotesi di partenza e attese d’arrivo, passeggeri di un sogno lungo una vita.

E nella valigia il bagaglio degli anni a raccontare un preludio d’inverno come un’agonia di neve in un giorno d’estate.

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Ora riposa, dimenticata su uno scaffale di legno a ingannare il tempo che ci separa dal viaggio, la meta ormai vicina…

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LA VOCE DELLA TERRA

(in memoria delle vittime del terremoto del 24 agosto 2016)

E d’improvviso arriva la morte

nel silenzio assorto di una notte d’estate sospesa fra un sussurro di vento e bagliori di remote stelle. Con ali scure ha disegnato l’orlo di un cielo capovolto e ha interrotto la stagione dei giochi

lasciando lacrime e sangue nel grembo vuoto delle madri.

Un sussulto nel cuore della terra, con voce di tuono s’è squarciato il velo della sera e una voragine oscura ha catturato i giorni e i ricordi.

L’ombra della morte si è distesa sulle case di sabbia, ha sfiorato con il suo gelido abbraccio i campanili di pietra rimasti immobili a rintoccare per l’eternità il tempo del dolore.

Le vesti lacere, poveri corpi offesi con il capo reclinato in un abbandono più grave del sonno, i sogni derubati prima del risveglio e stretto fra le mani vuote di preghiere solo un rosario di spine.

È magia di pochi istanti la felicità, dispersa come cenere in un soffio di vento dalla vita, l’inganno più crudele.

Forse le loro ombre dolci abitano quelle macerie e nel non tempo degli assenti attendono impossibili ritorni.

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Adesso i loro passi non lasciano più tracce nel lento declinare dei giorni, ma a volte un sussurro di brezza

nella quieta malinconia delle sere d’inverno, sembrerà una voce che chiama a un passo dal silenzio, a un passo dal cuore…

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L’AMORE DIVERSO

Vorrei tu ascoltassi per capire…

Io lo so che l’amore è solo un abito da indossare, diverso nel colore, nella fantasia, nella misura, ma il corpo che riveste è sostanza dello stesso cielo, anima di stelle in derive di sconfinati universi. Io lo so che adesso vorresti cancellare i giorni consumati nell’agonia di ore tristi, lacrime di neve dentro al silenzio di una stanza buia a nascondere quel che ancora non capivi, il riflesso di uno sguardo e un’onda solitaria a increspare il tuo mare di sereno azzurro.

E ti sentivi un errore, un azzardo di amore in un mistero troppo grande mentre un pensiero strano diventava un sogno nascosto dietro l’ombra della notte. La paura di essere sbagliato, perdersi per non tornare, non voltarsi indietro e fingere amori a senso inverso.

E non c’è perdono nell’ipocrisia della gente perbene, pietre di silenzio a segnare confini e distanze che non si possono colmare.

Rimani rannicchiato dentro un sogno, dentro un desiderio ai margini del cuore e in ogni respiro quel sottile dolore

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e una notte sbiadita senza lucciole né stelle mentre aspetti che arrivi l’onda, mare dove naufragare.

Ali di pietra, anima di farfalla e quell’amore diverso disteso accanto, una dolce malinconia dietro ombre in dissolvenza e il crepuscolo nel cuore.

Ora sai che il tuo corpo è terra di confine, ignota frontiera senza luoghi di ritorni dove la parola s’attarda, si perde nel nulla quando bevi il tuo calice di lacrime in una solitudine che sa d’inverno e invochi la morte per fare pace con la vita.

Ma forse questa rugiada di stelle che annuncia l’alba ti sorprende a coniugare respiri in un tempo declinato all’infinito.

Nel silenzio nasce una parola, un sussurro in un grembo di tenerezza, quasi una preghiera per raccontare a Dio la pioggia, il mare, il quieto azzurro di un tramonto, la storia del tuo amore diverso.

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L’AMORE NEGATO

E ripetere parole per colmare il vuoto dei silenzi, ascoltare quella voce che non sente

mentre lentamente scivolano i giorni dietro la pioggia dell’autunno.

Non servono le lacrime a sciogliere il gelo sul cuore, il buio dentro annienta e vi sono nebbie dove perdersi senza certezza di ritorni.

È l’amore negato, dolore oscuro, la non corrispondenza di intensità a implorare sguardi e mani da stringere con altre mani. Forse si nasce con una ferita

o forse nel tempo le mancanze e le omissioni, un grembo freddo senza una voce che rassicuri, creano quel vuoto indefinito dove muoiono le parole e resta solo un pianto soffocato nel silenzio.

Invano si attende l’incontro, un luogo di tenerezza dove disegnare insieme

il cielo e il suo azzurro, la notte e le sue stelle.

Rimangono, negli inverni dell’anima, le favole mai lette, i ricordi di primavere private del tepore di un abbraccio, i sogni infranti e quella pena di gabbiano che più non sa volare.

Scende tristezza dietro una veletta di nebbia, gli occhi persi nel nulla a mendicare un’illusione d’amore,

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il cuore randagio che zampetta come un povero cane ansioso di essere solo ombra di terra per confondersi nella sera.

Sono anime nude le onde spogliate dai moti del mare…

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L’ANIMA DEL CIELO

Sai, forse vivere

è solo attendere

l’onda che ci riprenderà per restituirci all’eternità del mare.

Saremo piccoli e arresi, creature d’acqua e di vento nella sera che si distende ai confini del mistero.

Raccoglieremo pensieri

oltre il silenzio di un tempo assorto mentre cederà al sonno la luce nel riflesso azzurro di un tramonto.

Non più udremo gemiti di ombre, né l’arida notte assedierà la tenerezza del giorno se l’ultimo affanno svanirà dietro un volo quieto di nuvole a cercare l’anima del cielo.

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LE COSE MUTE

Temo le ombre, veli di nebbia su volti di assenti.

Inquieta il loro fragile silenzio, le palpebre stanche al peso delle lacrime e un sospiro di vento a confondere come una voce che ritorna, bisbiglio dall’altrove.

L’amore non detto, le solitudini che non seppero incontrarsi, è forse questo il rimpianto dei morti.

Cammini mai percorsi e sere trascorse a inventare il mare dietro un ritratto di pioggia.

E tutto si consuma così, una benedizione di mani a disegnare una croce, amen all’ultimo respiro.

Prepararsi all’addio cedere la parola a le cose mute.

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LE TUE MANI SI FANNO INAFFERRABILI

E ti penso sai, ora che sei tornato al tuo mare, una rotta segreta in un carteggio di stelle e le vele spiegate al vento lieve della sera. Si snoda lentamente il filo sottile dei ricordi, quel presagio d’inverno nei tuoi occhi e nostalgia di carezze, ma le tue mani si fanno inafferrabili, ombre dolci nell’infinito silenzio della notte. Era lontana la tua terra e quelle pietre scolpite dal tempo, le case sulle rive aperte a un vento di mare e il profumo di salvia e di lavanda lungo i fianchi morbidi delle colline. L’aria fredda feriva il viso come quella parola, “esuli”, sigillo di dolore, onda amara su rive abbandonate.

E così diventaste polvere sparsa agli angoli del mondo, un grido annodato in gola mentre una nave vi consegnava alla salvezza su moli sconosciuti e gelidi. Gemevano i ricordi dalla terra lontana, un canto triste s’alzava a sera e solo nell’amore di una parola viveva ancora quel mondo.

A un altro focolare pensavi padre e negli occhi annegava il mare, ma per un antico pudore rimanevi in silenzi assorto e non volgevi lo sguardo verso il celeste del tramonto

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dove, oltre un’ombra di luce, apparivano le case bianche sui moli addolorati. Ora un’altra terra ti accoglie, un approdo di stelle in quiete di onde assonnate e sei per me soffio e pura luce nell’aria immobile di un nuovo giorno.

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L’IDEA DI NOI

Dagli occhi scendeva il mare, un naufragare di lacrime e nel cielo un gioco di stelle a nascondersi dietro la quiete velata delle nuvole.

Lento ma inesorabile quel dirsi addio, una parentesi chiusa, un sigillo sul cuore per poi perdersi in un riflesso d’acqua dove improvviso un lampo d’azzurro disegnava i confini della notte.

Crescevano le onde e portavano il vento sulla soglia del silenzio mentre la forma della tua assenza assumeva inquieta consistenza.

Solitudine, un inganno di pioggia sull’orlo del tramonto

e l’idea di noi che si faceva nostalgia dentro la triste indifferenza dei giorni di passo.

Ci siamo persi, ma non ricordo dove, forse nell’idea di quello che eravamo, ombre in dissolvenza verso un presagio di nulla in fondo al cuore.

Eppure ancora ti cerco,

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oltre ogni ragionevole certezza, nell’angolo nascosto di un pensiero senza chiedermi perché né trovare risposta nel silenzio di queste stanze vuote. Non conosco più attese per ingannare le ore e i giorni che verranno senza di te, ma rivivo ancora lo stupore di aver scoperto insieme il brivido del vento sulla pelle, la quieta armonia delle stelle in un azzardo di luna.

E ti penso, ti vedo negli inganni di ombre inquiete sulla soglia della sera, ma non ti cerco, sei un’illusione che più non mi concedo. Solo ancora scrivo il tuo nome su una pagina di vento…

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L’ULTIMO CIELO (dedicata)

E il tuo nome sospeso come un ponte sul nulla… Sono giorni di neve quelli che scorrono lenti e attraversano la notte per scomparire oltre l’ultimo cielo.

L’ombra dolce al lato del cuore e quel dolore nuovo, un presagio nella lunga tristezza della sera.

È teso il filo del tuo tempo sopra questa terra di mezzo e si vive come astri in equilibrio sull’infinito.

Rimangono parole cucite nelle tasche della vita da raccontare negli anni che verranno per riempire il vuoto, lo strazio dell’assenza ora che si è spento il tuo sorriso e tu navighi con una vela di stelle dove il mare è solo azzurro.

E mi sorprendo a pensare se stanotte fossi ancora qui nel silenzio dove dorme il vento…

Piove grandine sul cuore, siamo solo parentesi fra le ombre

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in attesa di trovare un miraggio di luce in mezzo al buio.

Mi piace credere che tu sia andato via camminando in fondo al mare a raccogliere stelle per far sorridere anche il Cielo!

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L’ULTIMO VOLO DELL’IBIS

(a Hevrin Khalaf)

E la morte, nell’ora che non sapevi, è arrivata in un’ombra triste di sole. Fragile fiore di pura bellezza, fiero il coraggio di un’idea a svelare l’inganno nascosto dietro muri di silenzio dove lenta si consuma l’agonia delle anime di stelle abortite dal grembo freddo della terra.

Sola sull’altare di vento e sabbia a immolare i tuoi giorni d’azzurro mentre avanza il buio e sprofonda nel silenzio dei vinti.

L’infinito s’è posato sul tuo cuore stanco, sul ciglio della strada giace il corpo dilaniato e offeso, avvolto in un sudario di lacrime.

E forse ancora uno sguardo, oltre le palpebre socchiuse dalla fredda carezza della morte, a osservare in un angolo triste di cielo, l’ultimo volo dell’ibis.

Il tuo sorriso spento dietro una maschera di polvere e sangue e quella mano immobile a trattenere fra le dita scarne un battito smarrito del cuore, un’ipotesi di vita sacrificata al tempo infinito dell’orrore.

Palpitano le ombre sulla soglia della sera,

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uno strano silenzio abita il mistero dell’invisibile.

E dopo l’assenza e il nulla dell’oblio, il dolore si spegne in una lacrima

e nasce una preghiera, eco solenne dell’immenso.

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MI CAMMINERAI ACCANTO

E i tuoi occhi ancora a cercare una traccia di luce nel buio

per tornare indietro, per essere ancora scintilla d’amore a scaldare la tristezza del cuore. Le orecchie tese ad ascoltare un fremito di vita prima del silenzio, prima di arrenderti al sonno in uno sciabordio di stelle cadenti.

Ti vedo ancora

accoccolato al tepore della fiamma, abbandonarti docile al respiro del mare in un grembo di onde lievi.

Il suono dei tuoi passi abita queste stanze vuote, triste allegria a confortare il brivido dell’inverno posato sul cuore. La tua innocente euforia, le corse a perdifiato su sentieri di vento e la pacifica invasione dei miei ostinati silenzi.

Sulle palpebre stanche pesano i giorni del dolore scanditi ad ogni lacrima in un freddo canto di pioggia mentre invoco la clemenza di un cielo immobile.

Sul volto l’ombra fredda della morte,

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ma lo sguardo ancora acceso

a illuminare desolate oscurità. Tanta notte è scesa fra noi, ma mi camminerai accanto, lo so, patto segreto siglato sul cuore, a consolarmi nella stagione delle assenze. E quando sarai anima di vento e di stelle, scrivi ti prego i nostri nomi nell’azzurra immensità perché un giorno io possa attraversare il buio e raggiungerti dove il tempo declina all’infinito in una quiete di neve sospesa sull’ultimo respiro della notte, per ritrovare il sogno di noi due, per sempre!

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MIO SOLE

Averti avuto con noi, anche solo il tempo breve dei giorni di passo, è stato dono, sigillo d’amore a parole scritte su frammenti d’immenso.

Ma ora feroce la stagione dell’assenza ha chiuso il cielo sopra di noi e sei diventato nuvola dispersa nel vento, oblio di stelle in deriva d’universo.

Affranti i nostri occhi che mai s’accenderanno del tuo sorriso né godranno la bellezza dei tuoi tratti delicati.

E la tua voce non riempirà il silenzio della casa, triste dimora di giorni che non saranno.

Il dolore si è fatto mare scuro che ci trascina lontano. Non conosce pietà il cielo a dividerti da noi, crudele pegno per un’illusione di felicità.

Un fiore già dischiuso, un inganno di sole nel freddo cuore dell’inverno e un oscuro presagio di neve.

Germoglio di una primavera mai sbocciata, giovane albero esile come un giunco le tue radici di cielo affondano nell’anima.

Ti abbiamo salutato senza dirti addio mentre un vento strano sfiorava la croce

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illuminata da un raggio di sole nella dimora delle ombre. Strazio è la notte e i sogni in cui ti cerco e non conforta la memoria

per una storia mai scritta sulle pagine della vita.

Il mare nelle mie sere sparge voci fra le onde ad accarezzare il mistero ora che rallenta il passo.

La gioia era una stanza chiusa, nella casa abitava il dolore.

Mio sole, prego Dio perché tu possa essere ancora nostro…

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NEGLI OCCHI TI SORRIDEVA IL CIELO

E ora questo silenzio, cenere di giorni lontani, a scendere grave oltre l’ultima neve di primavera.

Negli occhi ti sorrideva il cielo, il sereno azzurro e tracce d’infinito in un batticuore di stelle nascoste oltre il rosso del tramonto.

L’ innocente allegria e lo stupore in ogni respiro sottratto alla tua stagione troppo breve.

Eppure arrivavi da costellazioni di dolore, notti di brividi in solitudine di vento e il tuo cuore di pioggia crocifisso in un angolo remoto di cielo.

Sai, a volte le stelle ingannano e non concedono al sonno la quiete promessa, un passaggio oltre questa tristezza di polvere e di ombre.

Sussurravi un rosario di lacrime a implorare una mano che si facesse carezza lieve a cancellare lividi e assenze e in un angolo del cuore, sospesa su un battito stanco, l’ultima preghiera di un angelo senza ali.

Eri onda d’amore nel mare quieto delle sere, parentesi di luce nell’imperfetta felicità del nostro tempo assorto.

Ora sono lunghe e tristi le pagine del tuo silenzio,

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liturgia di pensieri nascosti dietro sguardi di azzurra malinconia. Ma se fosse ancora il tuo sorriso a illuminare il buio e l’ipotesi di un respiro in equilibrio fra una parola e la tua ombra dolce, in attesa di quel soffio d’infinito dove abiteremo ancora insieme…

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NEL GRANDE AZZURRO (a Trilli)

E quel mare stretto nei silenzi del cuore… Non so stare in questo angolo di terra senza sentire la carezza del tuo respiro.

Era un giorno d’estate, l’illusione che il tempo avesse ancora sguardi di tenerezza per te, per noi. Un lieve sussurro e poi nulla, quell’abbandonarsi ad una quiete più grave del sonno e i tuoi occhi ancora a cercare i miei oltre il buio, oltre la fine. Stringerti al cuore per abitare insieme

nell’altrove del mare, come onde a oscillare sulla risacca e scoprirti accanto in un’ombra d’azzurro. Navigano i miei pensieri sospinti da un vento di stelle sotto un cielo che è memoria d’altri giorni.

Non mi addormenta più il buio, cerco parole per sconfiggere la solitudine del silenzio cucito sull’orlo della notte.

So le nuvole e la pioggia di questa stagione incerta, i tramonti di ombre e nebbie senza promesse di sereno.

Sarà il mio parlare, scintilla di memoria, a salvare la storia di noi dall’oblio di un tempo avverso.

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E quando scenderà la mia sera, mi siederai accanto, luce più accesa, a indicare il cammino.

Allora non mi spaventerà il viaggio e nel grande azzurro troveremo nuovo inizio.

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NEL SILENZIO DELLA NEVE

E cadono ancora lacrime di neve fra le macerie e il silenzio solenne della montagna.

Il sussurro del bosco è una voce lieve come un pianto nell’ora infinita che ha distribuito dolore e morte. S’è fermato il tempo a Rigopiano, dove lo sguardo si posa fra l’orizzonte del mare e le rocce aspre del Gran Sasso. Il fuoco dolce acceso nel camino, ancora un sorso di vita in una tazza di caffè e poi l’ultimo bacio all’ombra della morte che ha disteso il suo velo oscuro sul bianco candore. Non c’è incanto nell’aria, solo il silenzio dei passi che non lasceranno più impronte, quelle mani ancora strette e l’ultimo respiro sospeso su un filo di neve.

Dormono sotto il manto di ghiaccio in un abbandono più grave del sonno mentre scende la nebbia e un pallore mortale trasfigura il cielo.

Non ci sono più promesse di ritorni, hanno tutto il freddo dell’inverno sulle ossa e il cuore trafitto impigliato

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nella memoria di giorni che più non saranno. Non rispondono, non possono, ma ogni fiocco di neve che cade pare il sospiro di un’anima triste in un silenzio stretto ai margini del cuore dove affondano i ricordi. Forse ritornerà la primavera a Rigopiano, ma rimarrà tutto il gelo dell’inverno nell’urna di ghiaccio dove dorme la vita nel silenzio della neve.

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NEL SILENZIO TI CERCO

E ti sogno sempre sai, nella stanza fredda del mio dolore

finestre affacciate su orizzonti di antiche solitudini e dietro la triste oscurità di notti infinite cerco qualcosa fra le stelle che ancora mi racconti di te. Ostile mi è la terra, un sepolcro dove invano mi nascondo dall’inganno di stagioni sempre uguali e sconosciuto il cielo che ti accoglie.

Cerco di immaginarti lieve nel tuo incedere in contorni di luce, simmetrie perfette di colori coniugati all’eterno fluire del tempo.

Ma sono fragile ombra distesa su muri di silenzio, gli occhi stanchi a cercare fra le nebbie dell’assenza il tuo viso trasfigurato dall’amore.

Su spiagge di vento l’impronta di giorni traditi da un inganno di marea, ti ho perso in un volo di gabbiani al tramonto.

Sorridevi ancora e mi guardavi con gli stessi occhi di mare mentre già respiravi l’infinito sospeso sull’incerto confine nascosto negli angoli della sera.

Affranta come me la terra ti custodisce nel suo grembo freddo e un pietoso autunno

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ti copre con il suo manto di foglie vermiglie. Gli ulivi piegati ad un vento di maestrale un pianto sommesso fra le fronde esauste, scivolano lacrime nelle fessure di pietre antiche e la voce degli assenti un’eco riflessa da orizzonti di astri cadenti.

Nel silenzio ti cerco, ma non so trattenere la notte a questo angolo di terra dove un abbraccio di mare trasporta ombre su distese infinite d’azzurro.

E allora azzardo l’ipotesi, viatico del cuore, che ai confini del cielo tu abbia trovato un varco, un’oasi di stelle dove un giorno ci ameremo per l’ultima volta o per sempre!

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NELLE SERE CHE SOGNANO DINNANZI AL MARE

E ancora quegli sguardi

nelle sere che sognano dinnanzi al mare…

Il vento degli anni disegnato sul viso mentre la notte sussurra parole al silenzio.

Navighiamo su rotte senza approdi sotto cieli oscuri di naufragi, davanti a noi s’apre l’infinito e chiama in voci d’ombre.

Si consuma questo tempo inquieto nella grande pace dei porti sepolti dove trema sull’acqua immobile il riflesso di sperdute stelle.

Un volo di gabbiani

a raccontare la solitudine del mare mentre vesto i miei giorni di ricordi sconfitta nel dolore di chi resta. La nostra casa ormai è un veliero solitario disperso in onde remote e un’aria gelida si posa sul triste davanzale di lacrime.

Se tu tornassi ancora una volta

quando la sera distende ombre di silenzi non sentirei sulle mie ossa

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tutto il freddo di quest’inverno e, nella promessa d’altri incontri, lascerei che il mare sprofondasse nel quieto azzurro del cielo.

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NON TI PENSERÒ PER CERCARTI ANCORA

E ancora ti penso mentre ascolto il silenzio seduta sull’uscio della nostra casa di vento.

Il mio respiro sospeso in un nulla di pioggia e i miei occhi stanchi ormai non cercano più cieli notturni. Firmamenti di stelle in transito, remoti bagliori di astri alla deriva nel buio che sgomenta e questo cuore muto che non ha più argini. Eri incanto di sorrisi nelle mie sere ferite di tristezza, carezza di rugiada nel bagliore limpido dell’aurora e voce potente che sapeva parlare ai miei silenzi.

Indossavamo il mare e in un fragore di onde improvviso un brivido a scorrere fra la pelle e il cuore.

Avevamo occhi lucidi alla fiamma dei giorni

e mani di vento a scrivere parole sull’acqua, là dove il grande azzurro si distendeva a disegnare i confini della notte.

Ma il nostro amore antico

è naufragato in un oblio di nuvole inquiete disperse dietro l’ombra della sera.

Vorrei essere pioggia per cancellare ogni traccia dei tuoi passi sui sentieri dell’anima.

Il mio dolore è scolpito nel marmo freddo del tuo silenzio

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e invano cerco parole di vento per disperdere i giorni crudeli dell’addio. Sono rimaste solo le mie lacrime sulla sabbia

e il buio dentro al cuore eppure non si arrende il pensiero a cercarti ancora in un porto di memoria, ma naufragato è il tempo e l’ipotesi di noi è uno sciabordio di stelle in una deriva di universo. Mi dimenticherò di pensarti e forse allora inizierò a cercarti!

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NOVEMBRE

E ancora mi accogli

vecchia casa di pietra, quasi un tremore segreto nelle tue stanze vuote

ormai asilo di silenzi e di lacrime. Il vento fra i rami di ulivi e oleandri pareva musica, una sinfonia d’azzurro nel mistero di notti stellate.

Rituali d’amore all’ombra di un sogno e sguardi trepidi di attese quando la vita regalava tenerezza di giorni sereni.

Ora nebbie di gelida stagione

s’ addensano e timore dell’ignoto, è novembre, agonia di foglie che più non tornano al ramo. Malinconico è l’andare e solo rincuora la memoria di un tempo d’amore.

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PARENTESI DI DOLORE

È il mio cuore una nave alla deriva, strappati gli ormeggi e abbandonati gli approdi, nella notte percorro rotte di stelle desolate nell’oscura immensità del cielo.

Non so in quale fondale è naufragato il mio respiro, forse sotto un velo d’acqua nel riflesso di nuvole cariche di ombre.

Indosso un abito di vento, come una vela ammainata all’albero dei giorni mentre nel grembo dell’onda ascolto il mormorio della risacca.

E sono sola, parentesi di dolore mai chiusa, lacrima di ghiaccio in cristallo di neve dissolto in un lampo acceso di sole. Invano mi nascondo nel silenzio di un pensiero, un urlo di universo ha violato il mistero, come un pianto di anime sole.

Sono voci di assenti, ombre disegnate sui contorni di un’attesa che inganna con promesse di ritorni.

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Ma, come gabbiano in perpetuo volo, andrò a morire dove il mare, in onde lente, ritorna al cielo.

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PIANTO DI MADRE

Freddo giace un silenzio deposto nella quiete e vegliato da un pianto di madre, forse un pigolare di stelle in una marea di cielo.

Un grido immobile di vento

è voce al dolore eterno e immutabile, per la vita che muore ogni volta che si fa sera.

E si sta nascosti ai giorni, ombre tristi sotto costellazioni di astri avversi mentre gelido dilaga l’inverno scuotendo il mare flagellato da tempeste.

Il pensiero invano implora il senso dell’andare, litanie di anni e di preghiere a invocare tracce di un passaggio e la certezza dell’approdo in un porto di stelle.

È luce rubata al grande azzurro

il tuo sorriso immaginato.

Nuda la parola pronunciata in un inganno di vento, eco di un altrove essenza del mistero.

Ora volano i gabbiani verso l’orizzonte

e un mare quieto pare nascere sotto le ali immense del cielo.

Forse il tramonto porterà tenerezze di sguardi e io busserò alle porte della sera per implorare un silenzio

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e ascoltare il battito del tuo cuore addormentato in fondo al mare.

POESIE AL BAR

Forse insolito il luogo, un bar come tanti lungo una strada affollata di passi, per vivere emozioni in parole fra le righe sottili del tempo.

Profumo di caffè e strepitio di tazze e di bicchieri a nascondere musica di versi in allegoria di pensieri. Sorrisi di ragazzi a indovinare gli anni che verranno per un domani da svelare dietro una promessa d’azzurro.

Corone d’alloro s’intrecciano sul capo e fra un brindisi e una lacrima si sventolano pergamene al vento della vita.

Ma in un angolo di implorato silenzio due avventori in cerca di parole per accarezzare musica e mistero. Un maestro, nobile il cuore e fervido il pensiero, generoso a condividere lo stupore e la bellezza

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dell’immenso che vive in un sussurro di poesia. Un’allieva, anima delicata come un respiro in un bagliore di stelle, ad abitare la stessa onda in un mare inquieto di parole. Resta una voce in un guscio di conchiglia, eco di remoti passaggi e memoria d’acqua su impronta di fragile universo. Scende il tramonto sulla città superba, si spengono le luci dei caffè e una carezza di pioggia scivola sui tetti. Il cielo attende un’altra notte mentre una piccola poesia s’avventura, bianca e limpida, a confortare la solitudine del silenzio.

Al maestro Manrico Murzi per ricordare i nostri incontri letterari e per ringraziarlo di tutto quello che ha pazienza di insegnarmi.

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PONTE D’AZZURRO

Non fioriranno più stelle di mare nel fondo del buio, solo sale di lacrime e rosso di sangue su giacigli di sabbia dove anime sconfitte riposano in un inganno di marea, tradite dalla luce di astri avversi.

Avranno altri approdi, rotte sconosciute e per vele ali d’angelo a far volare il cuore sulle onde oltre la fredda oscurità che sgomenta. Li avvolge il mistero se il mare si distende e il suo gemito affonda in un silenzio, sapore di neve. Non si accendono luci fra la terra e l’orizzonte lontano, il cielo è povero di stelle e su acque d’argento solo corpi alla deriva come fiori recisi da una folle corsa del vento.

Volto esanime, negli occhi stupore di morte e il cuore di cristallo, fragile troppo per non perdersi in un tranello di ombre dietro la sera.

Riposano ora che il passo è lieve:

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sospeso fra terra e mistero, oltre il grido della notte, un ponte d’azzurro teso verso l’infinito e il silenzio che si fa preghiera.

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RITRATTO DI SIGNORA ALLA FINESTRA

(dedicata)

Per la via profumata di silenzi, quando s’attardano le ombre della notte e ancora indugiano i bagliori dell’aurora, una signora s’affaccia alla finestra del mattino. Scosta appena la tenda ricamata e guarda la strada che si anima di colori, di voci, di passi affrettati.

Rimane immobile nella sua quieta bellezza, il portamento elegante e una grazia aristocratica nei tratti delicati.

Morbidi capelli a incorniciare il volto, lo sguardo assorto in una triste malinconia e un filo di perle a illuminare il pallore del viso. Lente scorrono le ore in quella casa dove il tempo s’è fermato a una stagione felice interrotta in un giorno di marzo quando un’ombra fredda è scesa e in un pianto di neve la morte ha danzato sul cuore portando via i sogni, un’ipotesi di futuro, la felicità delle piccole cose, un amore dove riposare in grembo al silenzio. La poltrona vuota a trattenere ancora quella forma,

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gli abiti smessi nell’armadio mentre un altro giorno declinato al tempo delle assenze si arrende alla sera.

E lei è lì, sacra vestale a custodire altari di memorie fino a quando una voce dal passato la condurrà, attraverso ponti di luce, nel grande azzurro del cielo.

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SAREMO ONDA E MARE

Ti sei fatto stella e cielo e carezza di luce, ma arida e ostile è la mia notte. Ascolto un silenzio carico di parole, congedo da voci che ora abitano il mistero. Un sussurro di vento passa fra le croci dove l’oblio del tempo cancella nomi e sguardi.

Si nasconde il giorno dietro un velo di malinconia e senza promesse è l’attesa, solo rimane antica tenerezza a confortare la solitudine del cuore. Forse saremo onda e mare in un angolo infinito di cielo.

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SOFFERTO TRANSITO

Chissà se tremano le onde quando soffia gelido il vento e la notte piange le sue stelle.

È stato forse un cielo distratto o la nuda terra a partorire radici di dolore in grembo a un silenzio e ora rimane solo agonia di giorni a confondere i ricordi in un presagio d’assenza.

Scrivo parole oltre il margine

indefinito del foglio, un pentagramma di note stonate a ingannare tiepidi tramonti d’autunno.

Altro mare chiama, d’altre stelle innamorato e altra acqua scorre lungo il fiume esausto, di antiche memorie sofferto transito.

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STANZA NUMERO OTTO

(fra le pieghe del cuore)

C’è silenzio oggi nella stanza numero otto, “camera del sole” recita una scritta sulla porta azzurra come un limpido cielo di primavera. Ma oltre quella soglia il sole è già tramontato e la primavera trascolora in un’agonia d’autunno declinato al grigio freddo dell’inverno.

Fiori di carta colorata da raccogliere sotto un cielo pallido di luci artificiali e un cagnolino di pezza raggomitolato sul letto, compagno di giochi inventati per regalare un sorriso alle ore tristi.

Qui c’è memoria di giorni che sono stati battaglie, sulle pareti la luce tenue di un sorriso in uno scatto rubato alla vita e l’abbraccio freddo della notte ora che il respiro si fa aria, oblio di nuvole.

Sul comodino una favola di principesse e cavalieri, il quaderno della scuola e un diario con due iniziali dentro un cuore stropicciato,, l’ultimo ricordo di un’estate da bambina, l’ultimo giro di giostra su cavallini di luna e di stelle.

Ora c’è il silenzio di parole non dette, un letto bianco dove si allungano le ombre

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e un’onda di marea dove naufragare.

Il cielo è un inganno di pioggia nella stanza numero otto e la bimba con il pigiamino di fiordalisi e viole

ormai è nuvola di vento, sembianza d’angelo. Oltre la finestra un’alba di luce azzurra mentre scivolano dal cielo fiocchi di neve, le lacrime di Dio.

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STRANIERI AL TEMPO

E dove affondano le onde nell’azzurra quiete del mare, laggiù all’ombra di desolate stelle, ti penserò ad abitare l’altrove del cielo.

È casa di silenzi ormai, ora che troppa neve si scioglie sul cuore e il giorno ripiega le sue ali dietro un pallido tramonto di nebbia.

Sono lunghe e tristi le pagine della tua assenza, nostalgia di pensieri a ingannare il freddo buio di infinite notti.

Cerco ancora, dietro un inganno di ombre, la meraviglia dei tuoi occhi

mentre un alito di brezza s’attarda fra le foglie e io m’illudo che tutto sia rimasto immobile come se tu non fossi mai partito.

Noi diventammo mare, onda e vento in un respiro d’immenso distesi nel grembo della notte che ci accolse stranieri al tempo. Ora abito una terra d’esilio arida e fredda,

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di desolata solitudine affranta. Lasciatemi qui senza più lacrime.

A cercarti in un miracolo di stelle sento il tramonto di questo cielo che mi trema nell’anima.

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STUPORE

E il cielo, velo d’azzurro disceso sul volto stanco della terra ora che i giorni sono litanie di preghiere sussurrate fino al confine della sera. Stupore nei riflessi di onde sul mare, odore di sale e lacrime di silenzio e memorie di stagioni lontane come volo di gabbiani verso l’ignoto. Un raggio di sole a illuminare il passaggio fra l’orizzonte e la notte e il canto muto delle stelle che rimbalza di sasso in sasso. Indossa perle di rugiada l’erba, un fruscio di foglie in un alito di vento e poi il pensiero sospeso sulla soglia della sera nell’attesa di un amore che sopravviva all’inverno, e al gelo nel cuore.

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TI CERCO ANCORA

E vorrei trovare le parole per raccontare di te, quelle speciali che nascono in un angolo del cuore e rimangono per sempre, oltre il buio, oltre il silenzio, oltre la fine.

Ora che i tuoi occhi sono fari spenti su isole senza più approdi e la tua ombra dolce non lascia impronta sul cuscino, si è chiuso il cielo sopra di me e invano ti cerco in questo tempo sospeso.

Era d’estate la stagione del commiato, quando la morte ha stretto il tuo cuore in un nulla di pioggia, in un inganno di onde a tradire il nostro orizzonte divenuto già confine. Forse è stata una congiuntura di stelle avverse, un dio geloso della nostra perfetta felicità e d’improvviso è sceso il silenzio sui tuoi passi. La tua dolce allegria è naufragata in un oblio di vento ed ora è respiro d’immenso.

Su altre spiagge corri a inseguire i gabbiani: hai memorie di giorni posate sul cuore e riflessi di luna negli occhi.

E io ti cerco ancora, ogni angolo triste di questa casa rimpiange l’ombra fedele che più non c’è.

Vorrei che la pioggia non cancellasse le tue impronte in giardino, immagino un luogo dove il sole si confonde

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in una distesa sconfinata di mare, un prato di fiordalisi azzurri, un candore di neve per seguire le tue impronte fino alle porte del cielo e ritrovarti in un respiro di eterno. Cerco una parola, un silenzio, una preghiera per allontanare il gelo dell’inverno dal cuore.

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TREMA IL SILENZIO

Sono dolore, pura essenza. La mia anima è come onda docile ad un soffio di brezza o impetuosa a ghermire nuda roccia di scogliere. Il mare mi accompagna, un respiro, un palpito dal profondo e s’inventa un canto, voci d’acqua azzurra a ingannare silenzi di ombre.

Ma questo mio tempo ha pagine scritte con sillabe di lacrime che nessuno sfoglia, fragili parole, preghiere mormorate ai piedi della croce.

Solitario e desolato cammino, asprezza di cuori scava abissi e sul mio cielo stanco s’addensa come nebbia un oscuro presagio d’assenza.

Pesa l’infinita stanchezza di stagioni arrese al gelo dell’inverno e arida mi appare la notte

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ora che ogni luce è spenta e trema il silenzio fra le mie mani vuote.

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TU VIVI ANCORA

E sei già d’altri silenzi, oltre l’azzurro dei sogni in memoria di onde al tramonto.

Hai lasciato sguardi d’immenso a illuminare il buio di queste stanze vuote dove ti cerco negli angoli di luce che hai acceso perché io ti trovassi ancora.

Perfetto il nostro tempo insieme, quando amore nutriva i giorni della sua fragile bellezza e un silenzio di stelle accarezzava il cuore del mare.

Nell’aria triste di nebbia d’improvviso si risvegliava tutta la primavera quando mi correvi incontro. Un orizzonte di luce ti brillava negli occhi, innocente stupore e la bellezza del tuo cielo dove, dietro all’ombra della sera, si svelava il mistero.

Amore, promessa e dono di noi, in un tempo senza età e stringerti a me, fragile respiro in un fiato di stelle.

Ora le barche gemono lente sull’onda, voce che arriva in echi di marea a raccontare la storia di noi.

Non altra luce attendo a illuminare il buio,

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dolore che strazia e non si quieta.

Ma tu vivi ancora in questo giorno che si distende nel grembo della sera e inventa un silenzio

mentre ti addormenti sul mio cuore.

Tutto si placa, il pianto si fa preghiera e una pioggia celeste rinnova nell’anima la speranza.

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UN CAPPELLO DI PIOGGIA

Ostile questa terra dove affondo con radici di pietra e solo un miraggio quel cielo lontano quando immemori stelle accendono angoli di buio.

Impazzita la bussola della mia nave, alla deriva in un silenzio che sgomenta navigo senza rotta mentre al tramonto il volo dei gabbiani racconta la solitudine del mare.

Sussurrano le voci degli assenti in un tempo coniugato all’infinito, sono naufragati in un porto di memorie e un’ombra fredda è discesa come un velo sul loro cuore muto.

Si è consumata la vita dietro orizzonti di tramontate stelle, gli occhi spenti nel freddo sonno della morte ancora cercano qualcosa in un riflesso di cielo.

Ci saranno altre notti e altri silenzi per nascondermi, quando il mare si racconta nel libro delle sue distese.

Ma questa tristezza a graffiare il cuore

è un cappello di pioggia indossato in una stagione che sa d’inverno.

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UNA VITA RANDAGIA

(a Nereo e Lilla)

E ora con una bicicletta di vento pedali fra le stelle in una deriva d’infinito, lassù dove il mattino non svanisce nel blu freddo della notte. Forse è stata l’alba, dietro un velo leggero di nebbia, a tradire il tuo passo sull’asfalto grigio di una città addormentata.

Un’ombra pallida, l’invisibile al risveglio di un giorno come tanti e la vita ai margini, solo una scommessa alle periferie del cuore.

Perfida la morte a nascondersi dietro al suono stonato di un motore, improvviso un bagliore di luci, lo schianto e l’odore del sangue a colorare il freddo del suolo, poi il nulla tetro dell’oblio.

E gli occhi immensi di Lilla, unico sguardo d’amore sotto un cielo capovolto, l’ultima carezza prima del silenzio.

L’hanno trovata così, accoccolata accanto

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in un dolore muto e assorto, cuore fedele ai tuoi giorni di pioggia. Lo stupore innocente dei buoni e il ricordo di stagioni che più non saranno… La vostra casa di vento, una bicicletta e quattro cartoni e nel poco fantasie di libri per leggere le pagine della vita. Ma non sapevi che un giorno qualcuno avrebbe scritto parole per te che alla gente di fretta regalavi sorrisi dal tuo invisibile angolo di mondo. E ora che uno strano silenzio s’è posato sul cuore, sei viandante lungo rive d’infinito a cercare un girasole di stelle dietro un’ombra triste di cielo.

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Rita Muscardin è nata a Genova e vive a Savona con suo marito e una meravigliosa compagnia di quattro zampe incontrati per caso... L'amore per la natura e per gli animali, la passione per il mare (ha conseguito la patente nautica per la navigazione a motore entro le dodici miglia) e per la scrittura sono parte fondamentale del suo percorso di un viaggio che la porta sempre dove batte forte il cuore. Per avere maggiori informazioni si può consultare il sito www.ritamuscardin.it

Gens Vibia

Premio Letterario Nazionale 2021

Associazione Culturale Pegaso

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