Guardando le mani

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Guardando le mani di Marco Naticchi

Guardando le mani

Quaderni del Volontariato 2015

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sociale Centro Servizi per il Volontariato Perugia Terni

CESVOL EDITORE

Quaderni del volontariato 2015

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Guardando le mani di Marco Naticchi

Quaderni del volontariato 2015

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Quaderni del volontariato 5

Edizione 2015


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net pubblicazioni@pgcesvol.net

Edizione Novembre 2015 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Stampa Digital Editor - Umbertide

tutti i diritti sono riservati ogni produzione, anche parziale, è vietata

ISBN 9788896649411


Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Se poi i contenuti parlano di impegno, di cittadinanza attiva, di solidarietà, allora il piatto si fa più ricco. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. Quelle visioni che i nostri cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio



Guardando le mani

di Marco Naticchi



Guardando le mani

DIVERSO VEDERE Imparai a guardar con le man, quando ero innocente, piccino, i miei occhi se li prese il destino che, da me li ha portati lontan. E così, con le man e la bocca, ogni cosa che tocco, conosco, un soldo, un monil, una brocca e ritrovo ciò che stava nascosto. Ascoltando poi, voci e parole, ho imparato ad aprire la mente, a capir ciò che è bello o non serve, ad amar la vita ed il sole. Tanto leggo le mie mani usando e milioni di cose ho scoperto: come gli altri anch’io mi diverto e cammino anch’io, sorridendo. Certamente è diverso il mio “guardo” nel “vedere” le cose che penso, se qualcosa per me non ha senso, a “guardarla” neppure mi azzardo.

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ANCORA UNA PREGHIERA Dio mio, te lo giuro che non me l’aspettavo un fato così duro, mentre che io t’amavo. Sono tanto deluso, la fede non ho più, prova a riaprirlo tu, il cuore mio che è chiuso. Si apre solamente per chi mi chiede aiuto. Per te non ho più niente, di creder mi rifiuto. Lo so ch’ora ti offendo, mi adiro facilmente, ma ti può dir la gente che il mio viver è orrendo. Se hai buoni sentimenti, se è ver che sei Amor, dà pace a’ miei tormenti, rasserenami il cuor. Mi son allontanato, ma so anche ritornar, tu sai che ti ho amato, 8


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ti posso ancora amar. Breve è l’odio mio, rancore io non serbo, se mi vuoi esser Dio, sarò il tuo prode servo.

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IL PIÙ LONGEVO Che fosse il più malconcio, era ver, eppure era di fisico sì forte, che si rivelò il più longevo; nonostante enormi sacrifici, fatti e fatti avea per infiniti guai, ma con sostegn di legion d’amici. Quai pur lottar caparbiamente per conquinder diritti e dignità; ebbe, perciò gran stima della gente, sapea piange e cancellar ogni onta, con arma del perdon sempre pronta, che era la forza del sapere amare. Quindi era quieto, sereno sorridente, ironizzava sopra i suoi difetti. Un’arte per esistere lungamente.

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COSA SERVE? A cosa serve pensare e ripensare, magari anche pianger e gridar contro la vita se ti ha trattato mal? A che ci serve rimembrar quei giorni, quand’era si fragrante la speranza, come pan che esce caldo da forni. Ma niente il rimpianto servirà; se poi cambiare non si può il destino se malandrino non ascolterà; la volontà che nel cor segreta, se seguirà imperterrita via dalla malinconia dell’infelicità. Ciò che serve è la convinzione che tutto al mondo si può trasformare con la capacità della ragione.

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RIFLESSI Al lustro pavimento spande i riflessi il sol, foglie mosse dal vento, danzan su quel chiaror. Le luci dei lampion, dalla finestra van il muro a disegnar con pallidi color. Il raggio della luna sullo specchio si posa, nel mezzo c’è un qualcosa, che forma un’ombra bruna. Riflessi vaghi o chiari, Qui nella stanza mia, mi fanno compagnia, più nei momenti amari. Se non li so vedere, a immaginarli, provo. nell’illusione godo, con tal poter.

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INFERMITÀ DI MAMMA Vivesti al sol d’estate e al gel d’inverno, le membra tue, han lavorato tanto; mentre serena attraversavi il tempo. Parlavi alla gente e agli animali, affrontavi, con mai troppo lamento, le tante avversità, le mille angosce e il mal. Poi, lentamente il moto pur s’è spento, la forza nel corpo tuo è finita, l’infermità ha preso il sopravvento; quantunque la memoria riman despa, adesso, la favella pur s’è spenta. Tale destino ti toccò alfine, e tu lo accetti dignitosamente ed io? So solo dedicarti le mie rime.

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PER L’AMICO GIANCARLO Quelli che vò scrivendo, son versi di memoria, che non avran mai gloria, ma non andran al vento. Giancarlo, amico mio, che or non ci sei più, raccontala al buon Dio la nostra gioventù. Le cose fatte insieme con vera volontà, di cui tu eri il seme, il frutto, la bontà. Le belle scorribande con Sandro e Baldino, le iniziative, tante, con altri amici in giro. A lui ricorderai le nostre “conferenze” che non finivan mai, lungi da maldicenze. Lontan te n’eri andato, però, nei nostri cuor, con noi tu sei restato. Raccontalo al Signor. 14


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Quanti ricordi, quanti! Pure della tua storia ne resterĂ memoria sicuramente a tanti.

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PER INCORAGGIARMI “Fatti coraggio Marco” mi dico e mi ripeto, il tuo destin è un baro però tu resta allegro. Fai finta di niente, accenditi il sorriso e ogni dì la gente ti porta il paradiso. In fondo che cosa importa? Basta che tu ci credi. Se poi ogni cosa è storta, tanto tu non la vedi! Lo so che però, senti La mente e il cuore sanno scrutar bontà o inganno, hai sani sentimenti. Però tu dammi retta: non cedere al dolor, che il giorno che t’aspetta, vedrai: sarà miglior.

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SULL’ALTRO LATO Mi vedi sorridente, pronto alla battuta; par non m’importi niente se la mia sorte è cruda. Sul volto mio, è dipinta una gran serenità, che non sei mai discinta la generosità. Perciò ti parlo allegro, colmo di buon umor, perché sia pur segreto, so viver, dando amor. Ma, se girassi il cuor, mostrando l’altro lato, vedresti il gran dolor che tiene disperato. Ma tienimi presente così, come mi vedi, che anche se cado sempre, ritorno ancora in piedi. Che la malinconia sia un mal e non dà aiuto, lo so e la rifiuto: almeno in compagnia.

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PERSONE VERE Ci son persone al mondo che non voglion comparir, operan dal profondo, san ben contribuir per migliorar la sorte di questa società che, tante, troppe volte, ignora la bontà. Talor è sconosciuto persino il nome loro, ma sono un gran tesoro per come danno aiuto. Costoro son persone che han puri sentimenti, mettono quei talenti a lor disposizione, di tutti a beneficio, conoscono il valor di chi fa il sacrificio di chi lavora e tace, di chi tanto s’adopra per quella vera pace; valor che è al di sopra di tutto ciò che piace. 18


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LUNGO LA VITA Quel che sicur ci aspetta, nel corso della vita, sono lacrime e fatica. Ma, chi non va di fretta, chi ad ascoltar s’appresta, potrà anche fare festa; che a volte può bastar, per rinfrancarci il cuor, un briciolo d’amor: una parola, un gesto, un bacio, una carezza, un po’ di tenerezza, che ognun, lungo la vita, di certo troverà chi, regalar, gli sa. Un po’ di fior, ovunque, lungo la strada, trovi, oltre alle stoppie e ai rovi.

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INNO ALLE DONNE Delle donne il cuor, l’orizzonte sorpassa nel cielo dell’amore. Corre molto al di là di puri sentimenti. Nei loro gesti attenti, coglier ben ti potrà portar il vero, grande senso del lor valor immenso. Pur sol di lor presenza, che quando non ci sono, mi vede nullo, l’uomo, simile a oggetto, perfino in mezzo all’universo.

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LA MIA INDIFFERENZA Nessuna nostalgia, nessun rimpianto; di questa vita che pur ho amato tanto. Una landa di così gelata; senza fine, ci sboccian poche rose, crescono tante spine. È un’impari lotta, perciò poco m’inporta, se si vive o si muor. Ma ci credo abbastanza; l’amore mi ha deluso. In me c’era speranza, ma son rimasto escluso. Nel passato, niente è mai cambiato, il futuro ch’è iniziato. mi lascia indifferente.

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CARATTER E CARATTER Al mondo siam milioni e ognun ha il suo carattere, ci siam cattivi e buoni, chi fa fatti, chi fa chiacchiere. C’è chi è coscienzioso è chi è imprudente, chi mite e rispettoso chi rude e irriverente c’è chi è un po più sveglio, chi mezzo addormentato; chi pensa al portafoglio chi ama aver dato. Poi c’è chi è mansueto invece c’è chi è violento chi mantiene il segreto chi spara frasi al vento, insomma siamo in tanti, ciascuno è quello che è diavoletti, santi e quelli come me.

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INVERNO Grida la tramontana e si fa cupo il ciel, di nubi un grigio vel pian piano s’avvicina. Fioca, la neve scende, coprendo tutto quanto, il piano, il colle il monte in un candido manto. Nell’aria ovattata brilla al volteggiar dei fiocchi. Corrono i passerotti rifugio a ricercar. Lo scricchiolio invece cui il gel non fa paura. Svolazza sulla siepe, che bella è la natura, la quiete dell’inverno, che porta sol dal vento, è un magico mezzo dentro l’eternità, accanto al focolar, un dì si raccoglieva la famigliola intera, felice a chiacchierar. Le donne all’arcolaio o a tessere la tela, con bracere o candelar, o il cibo a preparar. Ma nell’età moderna in rumor perenne, la vita non si ferma l’inverno non s’arrende. 23


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QUALCHE SEGRETO Qualcosa da nascondere io penso n’abbiam tutti; pensieri belli o brutti, idee da non dffondere. Anzi di vendetta. Desìo di un grande amor che ci riscaldi il cuor o da scordarci in fretta. Sogni che si mantengono celati nel profondo non li diciamo al mondo che tanto non avvengono ma sarebber buona cura per cambiarci la vita? Chissà però è fatica. Dirli ci fa paura perciò comunque sia ce li teniamo dentro perché non ci sia verso che qualcuno ce li porti via.

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LINGUA DELLA NATURA Parla svariate lingue nostra madre natura ognun la sua distingue. Son tante quelle uman; le più diverse e strane però chi vuole le impara. Di più fra gli animali il linguaggio è assortito. Chi fischia e chi cinguetta, chi gracida, chi grugnisce; chi ulula e chi nitrisce. Ma specie fra gli uccelli l’interpetri ci son. Gazze di pappagalli fra costor. Ci son sì, questo mondo un’infinità di voci. Dal ciel al mar più fondo. Poi c’è chi grida forte, chi invece fa pian piano, chi ti vuole vicino, chi chiama da lontano, dal bosco o dal giardin. In casa o per la via, in mille situazioni son voci versi e suon. 25


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UN ANGEL MOLDAVO Dolce e gentil di modi e di parole, qual raggio di sole di un giorno d’april. Anche te, hai voluto donarmi un’illusion, o angel sconosciuto, tu, fatua vision. Come molle violetta che s’apre all’improvviso, però va via in fretta, per me, si, il tuo sorriso. Cantava, calmo il mar nel caldo sì di agosto; sognavo, di nascosto, di poterti baciar. Però, il tempo che vola, da te mi portò via, di te, la nostalgia sarà che mi consola. Ti sentirò vicin nel silenzio, solingo; non ci sei ma ti stringo come se fossi qui.

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O angelo moldavo, dolcissima mia fata: forse, eri innamorata ed io, m’innamoravo. O amor di poche ore, platonico, irreal! So che mi farò mal, ma meco, ti avrò in cuor.

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MALANNI Il tempo passa, arrivano i malanni; il corpo a man mano si sconcuassa e nella mente crescono gli affanni. Un piè che duole, la schien che fa male, il collo, il braccio, i denti e più poco puoi mangiar; e allor di cor a porsi un po’ ai rimendi: medici, specialisti, stregoni, terapisti e ne metta chi ne ha. E quando poi s’ammalano la mente ed anche il cuor, svanisce anche l’amore è inutil il campar. Tai sono i malanni di questa nostra vita, che pria d’esser finita tanti ce ne addurrà.

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LETTERA SEGRETA Le quattro del mattino, il sole è ancora lontano, solo la luna guarda alla finestra. Io ero là, dolcissime parole s’accavallano dentro la mia testa. Dolce fanciulla che già non eri desta e non scrutavi certo il mio segreto. E poi non c’era il sole a riscaldare tutti i miei pensieri e ieri restò ieri. Fu lettera avara, tu ardito amore non già mia cara.

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ERRORI Lo so che a questo mondo tutti facciamo errori e per banal che siano dan tutti istanti amari; ma i miei lo posso dire, sono davvero enormi e sia anco il più semplice, ora mi fa paura. Ne ho commessi a stormi, di diversa natura e il viver non è facile quando si dè soffrire. Naufragando vo in mezzo a questo mare; non so più dir di no, continuando a sbagliare. Finirà di sicuro che questa vita mia nel tempio dell’oblio conoscerà l’allegria.

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IERI, OGGI E DOMANI Non vi fu mai, per me lieto passato ed il futuro fu l’ombra di quell’ieri che visse solo in fragili illusioni che, preso il volo ormai non furo che sogni forestieri. L’oggi è inerte, riflesso nel passato onde si specchia l’inutile futuro; e la speranza ormai, più non sente i lai di questo core addolorato; ecco che, piano, ogni barlum si spegne e tutto tace in un buio oscuro.

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IL MONDO ED IO Povero mondo! Come mi somigli! Ridotto schiavo a padroni senza senno che non sanno ascoltare la tua voce, che sanno far di te soltanto scempio. Ma con quel po’ di vita che ti resta, ancor lavori, ancor di più ti dai; perché chi sa donarsi non s’arresta, la sua bontà non teme i propri guai. Eppure tu, eri una meraviglia, capolavoro d’arte e perfezione. Perché aborrir così senza ragione? Uomo perverso cui nessuna consiglia. Però, se il ciel vorrà cambiar fortuna, vorrà ridare voce alla poesia, allor rifiorirà il fior di luna, ritorneran la vita e l’allegria. Allor gli schiavi riavranno gloria, riavran voce per gridare forte che non è l’empio che sa dare morte quello che al fine canterà vittoria.

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PENSIERO DI LUGLIO Luglio è all’apice e poi andrà al declino ma l’aria sembra ancor primaverile; un venticello fresco, nella sera, mi reca, dolci, le note di un violino che, melodiose, cantano ricordi, amato suono che l’aere impregni, che ‘l cor mi riempi di chiara nostalgia e la mia mente già prepari ai sogni: come vorrei volare insieme a te nell’eter pigro, luminoso e immenso! Mentre t’ascolto, svaniscono nel ciel, mille ricordi ed un pensier mesto. Si può essere colti, saggi e valenti, fare cose oneste e grandi; ma le migliori resteranno quelle pensate e mai realizzate perché di esse nessuno può conoscere il limite e giudicarle.

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RICORRENZA ESTIVA Son quattro giorni che luglio è già cominciato, nel grigio mattino di pioggia diverso da allora, voglio un momento soltanto scrutare il passato, quei giorni pieni di sol che non tornano più. Sarà perché questa notte li ho ancora sognati, quei volti e, tra i tanti, il volto più caro; ma quel sole mi manca e la pioggia mi rende più amaro; e lo so che mi accade perché il vero amor eri tu: tu, dolce estate di sole, tu che mi davi calor, tu, giovanile speranza, acqua fresca, ristoro del cuor; io, se canto nel primo mattino come augello vò volare lontano, ritrovar, nel perduto destino, un sorriso, un abbraccio, l’amor.

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COSA MI MANCA Ho sonno, ma non posso dormire, qualcosa mi brucia nel petto; ho un tarlo che rode il mio cuore, un’angoscia feroce m’assale. Mi fa stare male, mi giro e rigiro nel letto e ascolto il tremendo prurito, l’acuto dolore che uccide anche il pensiero. Che cosa mi manca se ogni cosa fastidi m’adduce? Un russare, una luce e i grilli che non si dan pace? Poi, sconsolato mi spiego, anche se è folle capire che è duro tacere che mancami tutto: che ho voglia d’un tenero amore, d’un poco d’affetto, d’un bacio che tutto fa rosa quando alle labbra si posa.

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ROSA MORTA La rosa ha perduto il colore, i petali sono appassiti e ad uno ad uno caduti. E’ morta l’effimera rosa che dinanzi era meravigliosa così, come era il mio cuore. Quel che resta è uno stelo imbruttito, rigido,irto di spine e povere foglie; un’anima piena di voglie, d’amor sublime che è solo un ricordo svanito. L’amore deluso è come una rosa appassita: non ha né colore, né profumo.

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ULTIMO RIMEDIO Ho sentito gridare: “vendetta”. Mi son messo in disparte, ho agito con arte, evitando l’assurda prodezza. Cose insane, fan male a sto cuore, lo uccidono a mò di veleno; ma ne viene usurpato l’amore e non è più sereno. Ecco allora arrivare al cervello un’infausta, vile saetta, sto anch’io per cader nel tranello, per gridare “vendetta”. Ma non voglio e si ferma la mano, mi si gonfiano gli occhi, con il pianto, senza quindi ch’io tocchi, ho ferito. Or, di nuovo, io amo.

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DISPREZZO Avrei voglia di distruggere tutto, ciò che è lungi e vicino; questo maledetto destino che mi cinge, attanaglia. Che canaglia! Che mi serve esser nato Se la vita è soltanto dolore? Come un fiore di vetro scolpito: inodore e incolore? Vorrei tanto morire, ma morire non so; resto quindi ad impazzire… Grido a Dio, Lui è sordo, forse ha torto e non gli va di capire. Io invece ho capito: devo viver così; devo solo dir “Si”. Sono proprio un fallito.

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DICEMBRE 1980 Era sereno, freddo fino a ieri ma questa notte il tempo ha mutato i suoi pensieri: spira scirocco, freddo non è più, ma le nubi han coperto tutto il blu. In cielo non brilla più una stella, tutto intorno è scuro ed è arrivata già la pioggerella. Or, lenta, scende giù dal tetto al muro, si posa sulla strada lieve lieve, temo che sia un odor di neve. Di sopra al telo giace verde uliva, in mezzo al campo di fresco seminato che nel suo sonno la speranza ha viva di rigogliare un giorno in primaver, al tepor del sole; ma dell’inervo, or teme il rigore; allora dorme come fosse notte, io che guardo, non vivo d’allegria, sospiro e al vento dò malinconia. 39


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TRISTE NOTTURNO Questa notte, non ci sarà nessuno sulla strada dei miei passi; solo silenzio, sassi e foglie morte. E Lui? Chissà se dorme oppur mi ascolta di mezzo a sti sentieri bui? Ma cosa importa. Io gli parlo come se fosse vero, è il mio pensier che conta. Ciascuna croce è affidata a un Cristo cosicché ogni Cristo ha la sua croce. Come una foglia morta va dove la sospinge il vento, così l’inferno del povero seguirà sempre il variare delle necessità.

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DOPO IL FUTURO Ecco, la vita fugge; scivola lenta, l’ombra dell’oblio, per un momento ancor qualcuno strugge; poi resterà la brama del buon Dio a farci compagnia nei giorni eterni. Là resteremo fermi E niun sarà più io. Si canterà alla vita senza fine; quanto sarà sublime poter godere di gioia infinita.

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VITTORIE PERDUTE In un pensiero, voglio unirvi tutte; o gioie che mi amaste, ad una ad una; ora si dice che voi foste tante ed io, imparziale, non vi amai nessuna. Ma, non amai, non è la verità. Se avessi aperto il cuore e il sentimento… non solo voi, avrei amato il mondo; ma non poteva essere realtà. Tutte io v’adorai, ma nel pensiero racchiuso in fondo al cor e non agli occhi potevo consegnar ciò che ra vero; i sentimenti non sono mai balocchi. Non ho rimpianti, pur se non vi ho scordate; fate ancor parte di questa vita mia senza felicità, senza allegria… vi lascio al mondo vittorie mie, perdute.

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ALBA SETTEMBRINA Aleggia appena, alle cinque del mattino, quando settembre sta per tramontare, qui si sta bene, sotto le lenzuola, ad ascoltare il vento che va in fretta. Voglio schiacciare un altro pisolino, però sento la schiena che fa male, per un istante ancor non le dò retta; ma dopo un po’ mi devo proprio alzare. Mi lavo e mi accomodo i capelli, poi sfido il vento, mettendomi in finestra, guardo i monti che non son più quelli, privi di fiori e irta è la ginestra. Carca di nubi brune, oggi è l’aurora, neppur un raggio d’or fa capolino; l’autunno incalza, settembre, poverino, si perderà in un destin che ignora. La speranza è come la sigaretta: accattivante se solo la si desidera, si lascia respirare inebriando, poi, consumandosi va in fumo e quando è finita, spegnendosi, lascia il gusto amaro e insano della inutile illusione. 43


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SILENZIO AMICO La luna è una lanterna in fondo al cielo che va, pian piano, spegnendosi nel buio; poi, quando ha perduto tutto il suon chiarore resta una solitudine infinita. C’è solo il vento che col suo gorgoglio sollecita la voglia di cantare; e nel silenzio, finalmente vero riesco a respirare un po’ di vita. Ecco perché il silenzio è tanto amico, mi sta vicino senza disturbare; forse capisce ogni mio dolore e, accarezzandolo, io lo benedico.

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COSA VORREI Vorrei essere quello che non sono. Vorrei vedere il mondo, in ogni dove. Vorrei esser forte e dar perdono a chi del duolo mi mette alle prove. Vorrei esser poeta veramente e dir le cose che nessuno ha detto, vorrei portar la pace che non mente, quella di cui ciascun ne ha desio. Forse, vorrei persino esser donna, perché di donna ho pensieri e sogni: non mai di guerre e regni ma sol d’amore, di carità, d’oblio. O, vorrei solo essere me stesso, trovar la forza d’amarmi un po’ di più, non già sentirmi inutile e oppresso, ma libero e vero come vuoi esser tu.

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OMBRE DI GIUGNO Ombre di giugno distese sulla via donde io vò spendendo ancora passi, senza più fretta, senza vigoria; quelle che un dì lasciavo a questi sassi, or non c’è più, a voi, ombre immutate, ho confessato i sentimenti miei, voi conoscete tutti i volti amati, le illusioni della mia gioventù. Voi siete intense e fresche come allora ma io non son più quello, mi vedete? Chissà se ancora bene mi vorrete o se il mio stanco andare un po’ v’accora. Ombre di giugno, non me ne vogliate se dopo le speranze, a voi affido quest’inquietudine che il cor m’opprime ed a voi sole, pazienti, io la grido. Ho voglia di morir tra fresche braccia che spengano la fiamma del mio cuore; voi, che conoscete la mia faccia, consolate quest’ultime mie ore.

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DI CORSA La pancia gonfia del rinoceronte, ma come avessi della lepre il panico, con gambe tozze come un elefante corro così come gazzella e guanaco. Non ho l’agilità io, dell’atleta ma questa vita che non mi dà pace, con la frusta d’un boia mi conduce con ansia atroce che mai più non si quieta. Questo andar vertiginoso e stanco, il cor mi spezza ed il cervello opprime e non son rime che possan dire tanto. Io son già morto prima d’aver fine.

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IRA Ecco, qualcosa sale sino al cuore, esplode dentro al petto, ma non è amore; è un qualcosa che non dà diletto. Assale con violenza il sentimento, riempie d’odio l’anima e il pensiero è l’ira, l’uragano di un momento che tutto tinge in un color nero. Comanda lei e non c’è ragione che sappia alleviar l’aspra pena, corpo e spirto, tutto avvelena e l’esser pii adesso non val più. E finalmente si dischiude il pianto, sgorga dagli occhi come un fiume ardente; il buio s’allontana e lentamente l’ira si perde in un cielo blu.

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CHE COSA VUOL DIRE Aggrapparsi ad un sogno, vuol dire sentirsi nessuno, vuol dire sperare in qualcosa che non sarà mai; vuol dire morire; ma morire…non è bello, lambiccarsi il cervello, non ha senso perché. Forse è meglio amare la vita così, come viene e non creder a favole strane di un mondo diverso. Sentimento perverso, non restarmi vicino. Voglio amare il destino pur se avaro lui è. Avere speranza vuol dire cercare la vita, vuol dir ritornar da un esilio di una cruda realtà; respirare profondo, rinfrascarsi il cuore, ritrovare l’amore e la felicità. 49


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MAGGIO E’ ritornato maggio alla collina, galleggiano i fiori di ginestra; soavi odori salgon per la china, dagli adorni balconi d’ogni finestra. Ondeggia il grano mentre di già sfiorisce ed il papavero rosso giganteggia frammezzo a quel gran mare che verdeggia, quale insegna di natura viva. Striscia una biscia e va pe’ l suo sentiero, cantano in coro mille augel nel cielo, tutto si fonde in un sole d’oro, fonte d’amore, di speranza e vita; poi, dona, maggio quei paramenti suoi alla stagione estiva che s’appressa, una canzone, se cantar la vuoi, ti lascia: ritornerò per riportar la festa.

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Guardando le mani

PIU’ NON POSSO Nessuno può capire il mio duolo; l’ansia, l’angoscia del cuore, piango, sospiro da solo, non c’è neanche il Signore. Anche Lui se n’è andato, è fuggito lasciandomi solo nel fango nel quale arranco, ma affondo, sono ormai stanco e smarrito. Quest’anima langue, dispera, ridotta com’è, senza fede; perché è troppo delusa e non crede che può rifiorir primavera. L’amore non c’è, la pace è finita, è solo un inferno la vita, spero sia solo per me. La poesia è la consolazione dei fessi, che accettano tutto e tutto danno senza pretendere niente.

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Guardando le mani

PER VOI FIGLI Come vorrei avere ancor ventanni da questi affanni miei lontani assai. Una speranza in cuore, in giro per il mondo per raccontare a tutti una canzone piena d’amore, un po’ anche per voi; che tanto amara questa vita aveste, s’io non v’ho dato mai felicità, è sol perché la mia fortuna, triste, non mi reco mai gioia sul sorriso. Vi dia chi ha forza il vero, la mia è stata solo falsità.

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Guardando le mani

CANTARE ANCORA Voglio cantare ancor per rabbia e per dispetto, come quei dì, sia per un’ora. M’illudo d’esser lieto, di vivere felice, cantando mi potrò sentir più quieto. Ho tra le braccia un pizzico d’amore, ho sulle labbra un bacio da donare e nella mente, ancora e sempre te; ho dentro agli occhi il tuo sorriso amaro, ho nelle orecchie la tua vocina triste e sulle mani le tue piene d’amore; ti canto, sottovoce, una canzone, la canto anche se più non ci sei, ti canto per sentirti qui con me. Il poeta è colui che accetta perché non sa volere; se imparasse a pretendere sarebbe un deluso.

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INVOCAZIONE AL SOLE Torna o sole, perché stai ancor celato mentre la terra brama il tuo calore? Ormai ti sei senz’altro riposato, torna chiaro e ridente, dona alle messi ristoro. Non pensi al mondo che supin t’attende? Non s’ode voce nel mattino estivo, senza di te, il giorno non s’accende, sciogli le nubi che ti fan cortina, che al grano biondo fan la testa china, torna, ti prego: non esser cattivo. Di te, anch’io ho bisogno che ho il cor pien di tristezza e non mi basta il sogno; voglio la tua allegrezza, voglio i tuoi raggi d’oro, torna o sole, tesoro.

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ODOR DI PIANTO Odor caldo di pianto è quel che ho dentro al naso adesso io; voglio raccomandarlo a Dio, ma tanto… tanto non serve; in altre cose assorto, non può badar a chi da sempre perde. Lo soffio via, l’asciugo ma resta fuoco agli occhi; struggermi è quasi un gioco. Vorrei capire almeno per qual destino tal sorte mi tocchi: ma della verità ho perso il treno. Forse non sente Dio questo odor di pianto; lo avverto solo io.

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IL MIO COMPLEANNO Non è mai stato allegro, non l’ho mai festeggiato, è stato un giorno proprio come un altro eppur, non mi dispiace d’esser nato. Volevo esser diverso, questo è vero, non mi nascondo che un poco son deluso ma so d’esser diverso col pensiero e posso avere quello che mi va. Ma il compleanno, scusatemi l’ardire, è un giorno solo che in un momento fugge, non fa baldoria un cor che invece strugge che non conosce la felicità. Non lo festeggi però chi è felice perché è un anno che non ritorna più, è un anno che è vissuto, così si dice ma sei più vecchio e questo non vuoi tu. Il compleanno, io non l’ho conosciuto: né bimbo, né fanciullo o adolescente, né giovane, né adulto, anche se è stato, senza l’amor non mi ha mai dato niente.

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SERENO Dopo giorni di pioggia e di silenzio, ecco che torna il sol, il ciel sereno; il mondo appar vestito di brillante, è tutto un luccichìo che non ha fine. Le stoppie, le foglie, l’erba e il campo intero, è tutto un abbagliar di gocce d’oro, del tetto, della siepe e della macchia mi rende vita un baldanzoso coro. Hanno taciuto il merlo e la cornacchia, l’allodola, il passero, il fagiano, e chiuse, prigioniere nel pollaio stavano in silenzio le galline; ma nella sera dall’arcobaleno, il cielo, l’aia e il bosco son pieni di quel canto che conosco, e ascolto allor che in ciel splende il sereno.

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NOIA D’AGOSTO Qui, nel pigro silenzio d’estate, nella stanza dal sole affogata, da una cicca appena fumata, sale un tanfo che odora di morte; triste sorte: nell’immensa calura assopito, pigro, ascolto gli insetti volare ed ho voglia anch’io di volare in un cielo più dolce, tra le nubi che fanno la ronda, nella brezza che vola lontano, il pensiero si perde. Sono stanco e mi perdo: un dolore mi attanaglia il corpo e le mente, di sognare le voglie son spente, nella noia d’agosto m’immergo.

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CIO’ CHE HO PERDUTO Ho perso i miei vent’anni, la voglia di cantare, ho perso l’allegria, l’entusiasmo d’amare; perso settanta chili, adesso ne ho un po’ troppi, ho perso i desideri e forse non eran sciocchi. Ho perso quasi tutto, non so cosa mi resta: un po’ di questa testa ma dentro s’è distrutto; rimane qualche giorno da vivere d’angoscia la voglia di gridare nel pianto sol che scroscia.

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POESIA SVANITA Ieri, mentre la vita usciva dal silenzio, io, nel silenzio mi sono ritrovato, in una solitudine infinita. A farmi compagnia, ancora il pianto, tanta tristezza di sentimenti amari e di speranza, avari. Poiché niente, mi consolava il cuore, si ridestava, zelante, la poesia; ad ogni lacrima, un verso risuonava. Se mi segnavo con la Croce Santa, sentivo quelle che portavo in spalle, e mi vedevo per un ingrato calle dove l’ascesa era lunga e ardita; e Dio mi aspettava in sulla meta, ma un demone deviava i passi miei; avanti e indietro, su e giù per il sentiero con ‘sto fardello che pesava un mondo: io, più speravo, più mi struggea nel pianto. Indi, uscendo, all’opra mi son dato e la fatica, lenendomi il dolore, dal cuore, la poesia ha cancellato. 60


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PERDIZIONE Il freddo raggela anche il cuore, oscura la mente; non esce pensier, se non triste; neppur lo spirto resiste sommerso da vili illusioni, è stanco e perverso. La vita reale punzecchia, fa male. il sogno è diverso: tra molli carezze mi porta, su morbidi baci mi posa, respiro un profumo d’amore; lo so, è un’estasi amara, ma mi piace sognare, in fondo, sto bene qui, perso.

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1 LUGLIO 1989 Luglio s’affaccia insolito, non col suo sole ardente, il volto sorridente di chi ama il tepor; neppur sembra reale questo grigiore in cielo, questo plumbeo velo che cela ogni color. Nell’aere inerte, la pioggia canta sola, l’alba non si rincuora dei mille canti in cor; il cuculo solerte, solo di quando in quando fa sentire il suo canto nel mattino incolor. Dalla finestra giunge soltanto odor di terra, non quella della ginestra, di timo e d’altri fior che in questo mese gaio, allor che il sol ravviva, bosco, vallata e riva, rinfrancheranno ancor.

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L’ALMA DI CHI RESPIRA Nell’aere olezzante la voglia inebriante della gioia d’amar: la vita, la natura, il vento, il cielo e il mare, la terra, l’acqua, il sole e Dio che tutto dà. L’insicurezza, la disponibilità, la scrupolosità, la ricerca, sono le virtù che, unite alla fede danno la forza per giungere al traguardo. Il poeta è il tempio dell’amore inutile: quello che vi entra, diventa sogno e come tale, svanisce e si perde. Quello che ne esce, sperando, disperato, muore in cuor di gelo dove inutilmente cerca la vita.

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LATITANTE Io, eterno latitante, con il corpo e con la mente, col pensiero e con il cuore, nel desìo dell’amore. Quando sento di soffrire, mi rifugio nel sognare, dalla realtà evasore, senza voglia di tradire. Pronto ad imbrogliar me stesso, quando sento d’esser fesso, dell’inutile, io amante come ogni latitante.

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IL CEPPO DEL NATALE Ed eccolo arrivar, lieto, il Natale, negli umil casolar, ermi ed antichi, sui muri, che il tempo e il fumo avea anneriti, nessun addobbo e forse neanche il sole. Dentro al caminetto sempre acceso, l’enorme ceppo era stabilito, attorno ad esso, ogni core, preso, già celebrava il solenne rito. E nella notte, più del nero, scura, sol dal chiaror di neve illuminata, passava Gesù bambino e con gran cura sul ciocco avea in poco sistemata qualche castagna con dei mandarini, ai più bravi una caramella, allora si era gioia pei bambini e quella notte era davvero bella. Al fin della seconda settimana, il grande ceppo era ormai un carbone, avea visto passare la befana ed or sul tetto, raccontava al vento: “fui di ristoro a Gesù neonato che di passaggio qui si riposava, sopra di me, dei ninnoli ha lasciato, ho visto ridere un bimbo contento”. 65


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NOTTE D’AUTUNNO E’ ancora notte qui, profonda assai, è ancora notte ma il sonno se n’è andato. Ascolto il vento che forse mi ha svegliato, con raffiche improvvise e tanti lai. Fa solo chiasso coi panni alle ringhiere scuote, violento, un tetto di lamiere, grida tra i cavi aerei poi tra i pini, in un fracasso esplode. Ho tra le dita una sigaretta, l’ho accesa si, ma non la so fumare; fiuto il fumo che puzzolento emana, mentre sto assorto in futili pensieri. La pioggerella che passa via di fretta, col vento che quasi non la fa atterrare, mi bacia il viso e i sensi miei richiamo e guardo l’alba che sta per colorire.

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IL PIANTO, LA NOTTE E DIO E’ persino dolce piangere nell’aspra solitudine, di notte, quando nessuno può udir la voce, i singulti e le furie tue dirotte; quando soltanto il vento è testimone muto dell’angoscia che esplode in un parlare arguto. C’è forse Dio, nascosto nel buio senza fine simile alla tua rabbia, che certo, commesso esprime qual Giudice supremo, il suo verdetto eterno, il suo giudizio estremo di paradiso o inferno. A quale inferno mai potrà dannarmi ancora se quel che vivo ora eguali non ne ha? A sto novel pensiero riapro la speranza: prego e sorrido: è vero di me avrà pietà.

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DESIDERIO PERVERSO Ah! Se ti conoscessi, amore vero! Tu che muovi di notte i miei pensieri, tu che di giorno fai agitare il cuore, quando uno sguardo dolce m’accarezza, mentre una voce regala tenerezza, ed ad un sorriso, il mio sorriso muore. Come vorrei conoscere i sospiri, sommessi e intensi di chi sa amar davvero! Il mio desio, forse qui è perverso, forse non sa capir la verità, è innamorato, ma nell’amar s’è perso ed or vive d’infelicità. Più non conosce l’amor che incatena, quello che fa soffrir, poi giova, adduce. Questo desio è solamente pena, è cieco e dell’amor vede luce. Ciò che piace, appare bello a colui che se ne innamora; ma di ciò che è bello tutti se ne innamorano.

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GIORNO D’OTTOBRE A ROMA Pigri e bianchi svettano qui, campanili e torri che il sol d’autunno indora. In questo dì di festa, ancor molti riposano pur se non è buon’ora. Ed io, tra sontuosi palazzi, vetrine scintillanti, non mi ritrovo più. Il cor si perde, qui tra il cemento e il verde, tra ombre e cielo blu. Chissà se tra i rumori, qualche silenzio antico sarà restato ancor padrone di quel tempo che tanto gli appartiene per opra del Creator. Tra il vento e le campane che suonan a distesa anche il pensier va 69


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segnato come il tempo nell’epoca infinita, in un arcano che nessuno sa.

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AMORE LONTANO Oh dolce bimba lontana, che forse, in un raggio di luna, ripensi ai bei giorni passati: vissuti e in un attimo andati. Le sere, i raggi argentati e l’ombra dei calli solinghi montani; lontani, lontani dal mondo, noi soli; sperduti nell’aer d’argento e turchese la man nella mano, andavamo; nel core un desìo d’amore, sillente, senza pretese. Ciascuno, in se stesso, una speme e una stella, poi nulla. Soltanto un ricordo cortese. Ma il tempo che fugge, non tace reprime però non cancella, disperde, assopisce i ricordi, ma non trovano pace.

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TEMPO NEMICO E’ il futuro l’acerrimo nemico poiché il passato non fa più paura ed il presente, sia o non sia amico, è un istante che non ha statura. Contro al passato non ti puoi schierare, quello che è stato è stato, non può cambiare; il presente, arriva ed è passato e d’esso non puoi prenderti premura; ma il domani, su cui si spande l’ombra dell’ignoto che non rischiara il sole, trama il periglio, incute anche terrore e fa di questa vita un’avventura. E in tutto, è il tempo, un nemico vero poiché si vive solo di futuro e niuno può guardar dietro al suo muro, viva è l’angoscia, arduo il camminare.

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Guardando le mani

CENTO E UNA POESIA Ho scritto più di cento e una poesia, tutte insieme però, non fan per una; somigliano a questa vita mia, bella, senz’altro però, senza fortuna. Descritto ho cose, che viste non ho mai e sensazioni che non ho mai provato, oppresso il cor sempre da pene e guai. Mi punsi e pensai tosto: che sian rose? Confusi il vero amor con la pietade; volea far bianco quel che già era fosco, inventai risposta per chi non mi rispose toccai un marmo e ne cercai il cor… ma chi si fida, poi, da solo riede.

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Guardando le mani

IMMAGINE TRISTE Eccolo lì che avanza, gli occhi pieni di pianto, al buio, in mezzo al vento, col canto sulle labbra. Dalla sua bocca non escono parole, ma rivoli d’angoscia, fiumi di dolore. Quel volto onesto perduto nella notte, sussurra una canzone per affidare al cielo la sua rabbia. Vinto nel cuore, è già ma vivo ancora e bisbigliando, dice una preghiera: mio Dio, Signore, fa… non so che dire, s’altro non puoi, aiutami a soffrire.

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PENITENZA Penitenza si fa se si vuol esser mondati dal peccato, e farla è un piacer se il cor ti dei sentire liberato. Ma ancor più dolce sarà la penitenza se a colui cui hai fatto del male potrai mostrarti utile e ridare ciò di cui l’hai privato in precedenza. E se però ti troverai a scontare peccati di cui non sei stato reo, sarà ben arduo, allora, sopportare e quanto pesa l’onta, lo sa Dio. Chi pecca in presunzion, punito è assai il vanto che credea d’aver conquiso, tosto si cangerà e al sorriso il duol della sconfitta piangerai.

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Guardando le mani

ALL’AMOR PERDUTO E’ lontan da chi si ama, l’amore una droga che esalta ed uccide i pensieri del cuore. Tale è stato per me il nostro amore nato forse per caso tra sommesse parole, ch’eran dolci, più dolci del miele, poi gemendo è svanito come un gioco di nebbia col sol o di vento che impetuoso arrivando, pria solleva poi trascina e disperde quell’amato tepore. Ma se poscia, ei gagliardo rinasce, nel profondo remoto si cela e niun fato il può più cancellar.

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VITA E BUFERA Ho visto dentro al cielo la mia vita, l’ho vista in un torbido imbrunire: era una macchia scura ed infinita; un attimo ha ondeggiato su di me, poi, è svanita nel buio della sera, indi, ecco a un tratto, inizia la bufera; fiocchi di neve gelidi, sul viso si mescolavano all’ansimo e al sudore andavo, andavo ma eran pesanti i piè. Il vento somigliava al fiato mio, la neve, alle speranze mie, perdute, cadute, le ha conosciute Iddio. Nel burbinare candido, celato, sembravo un lupo che vagando tace, però non trova pace in sé, sperduto. La neve, il vento ed io, impazzavamo, solinghi in quell’aer vespertino, buio supino su noi, il sol lontano. Tremavo di rabbia, di freddo e di paura, ma questa è la mia vita, il mio destino, capo reclino e andar, andare ancora. 77


Guardando le mani

UN TEMPORALE NOTTURNO La notte di maggio trapunta di stelle, poi, tutt’ad un tratto, di ner si vestì. Il coro dei grilli sonoro e giocondo tacque d’incanto e il vento salì. Sbadigli, sospiri, sussulti e poi fischi, tra siepi, per boschi, fra reti e sui fili. Da nubi d’inchiostro, cadean goccioloni, poi guizzi di lampi e rullato di tuoni. Tra quella tempesta cammino dritto, è avvezzo a ben altro il mio fisico afflitto; e il cor, sempre ansioso, coperto d’angosce nel crudo uragano, sorride, gioisce.

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Guardando le mani

SULL’ALTALENA Dondola, dondola su e giù, avanti e indietro, nel suo gioco di bambina, sembra felice, la voce lo dice col canto suo allegro. Apre le braccia, che afferrano il vento, stridulo alza il grido, ridendo. Visino d’angelo, dolce e beato, anch’io son felice per te; davanti alla vita che il ciel ti ha dato, canta ancora per me. Se nella vita semini speranza, nella morte raccoglierai gloria.

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Guardando le mani

SETTEMBRE Il mese dai miti colori rinnova il sorriso del sole, il sol, di un dolce tepore illude le zolle e le foglie. Nei campi di nera maggese, tra l’ultime stoppie annerite dall’acqua d’agosto e dal sole e dal torrido sol dell’estate tra i nuovi granoturchi ormai gonfi di gialle pannocchie tra i grappoli pingui e le zucche, sorride il buon mese. Estasiato l’ammiro, tra i rossi, prestivi tramonti che indorano i rivi ed i monti in un fresco respiro di brezza che mite ancor dà ristoro e con lei canta in coro l’autunno di piogge e di brine.

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Guardando le mani

UNA VITA SENZA L’AMORE “La vita ha senso senza l’amor”? Rifletto, ci penso… mi si stringe il cuor: è un piatto d’argento, ma è solo apparenza, le cose che ha dentro non han consistenza; mare profondo e inanimato, chi navigando rimane incagliato. Qui passano i giorni, la fuga sognando: andate e ritorni ma, fermo restando. Intorno e davanti, una sterile landa gelida e bianca, percossa dai venti. Si vorrebbe scappar ma non v’è direzion, la si prova a inventar, ma è soltanto illusion. 81


Guardando le mani

Proprio questa è la vita quando manca l’amor che, a spiegarsi è fatica e procura dolor.

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