No! Io... resto qua

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sociale Centro Servizi per il Volontariato Perugia Terni


Quaderni del volontariato 10

Edizione 2018


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net pubblicazioni@pgcesvol.net

Edizione settembre 2018 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Disegno in copertina a cura diGiuliano Bicchieraro

Stampa Digital Editor - Umbertide

tutti i diritti sono riservati ogni produzione, anche parziale, è vietata ISBN 9788896649794


Le parole che trasformano Con la collana “I Quaderni del Volontariato”, giunta alla sua undicesima edizione, il Cesvol con ben 116 titoli, concretizza una delle proprie finalità istituzionali, che rimane quella di promuovere la cultura del volontariato, della solidarietà e della cittadinanza attiva. Si tratta di testimonianze e di esperienze di vita che possono contribuire a tessere un filo di coesione e di dialogo positivo, contaminando il nostro immaginario collettivo con messaggi valoriali ed equilibrati, in perfetta controtendenza rispetto al flusso, ormai pervasivo, di contenuti volgari ed, in molti casi, violenti ed aggressivi di cui è piena la contemporaneità con le sue “vie brevi” di comunicazione (come i social). Se consideriamo la nostra mente come un bicchiere, sarebbe da chiedersi di quale liquido si riempie quotidianamente. Se la nostra rappresentazione della realtà viene costruita dai programmi televisivi, se il nostro punto di vista su un tema specifico viene condizionato dai commenti della maggioranza dei nostri amici di facebook, se abbiamo appreso tutti la facilità con la quale è possibile trattar male una persona, mascherati e non identificabili, senza che questo produca qualche tipo di turbamento alla nostra condizione psicologica, se nel postare i nostri punti di vista ci consideriamo degli innovatori solo perché siamo ignoranti e tutto quello che sappiamo lo abbiamo ricavato da ricerche lampo su Google… ebbene, se riflettiamo su tutto questo, forse non va ricercata molto lontano la risposta alla domanda ormai cronica del perché di una polverizzazione delle relazioni, di un isolazionismo nelle nostre “case elettroniche”, dell’adesione acritica ai vari estremismi di turno che, quelli sì, sono perfettamente consapevoli del potere trasformativo della parola e della sua comprensione sia razionale che emozionale. Eppure, le parole (e quindi i pensieri e le emozioni che vi sottendono) creano la realtà. Non occorre scomodare tanta letteratura per


comprendere quanto i pensieri siano potenti nel determinare la nostra realtà, nel convincerci che una cosa è in questo modo piuttosto che in quell’altro. Lo abbiamo sperimentato più o meno tutti nella nostra esperienza di ogni giorno, ma poi perdiamo la consapevolezza della nostra stessa origine: all’inizio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio. Il verbo era Dio. Più laicamente, questa “sequenza” è stata ripresa in tutte le millenarie tradizioni sia orientali che più vicine a noi. Ma ancora una volta, oggi se ne è persa la consapevolezza. La parola è un “fattore” unico nel suo genere, una vera e propria bacchetta magica. Ascoltare, leggere, udire solo parole negative produce nel destinatario un vero e proprio campo energetico negativo. L’energia altro non è se non un trasferimento di informazioni. Un trasferimento che avviene attraverso il filo sottile della comunicazione. Oggi, forse inconsapevolmente, l’umanità sta letteralmente usando il potere della parola senza rendersi conto di quanto questa stia trasformandola, conducendola agli estremi di qualsiasi punto di vista. E, quindi, l’un contro l’altro armati. Dice il noto psichiatra Vittorino Andreoli, “Ci troviamo ad un livello di civiltà disastroso, regrediti alla cultura del nemico”, ma a noi, come osservatorio della sottile realtà dell’associazionismo e del volontariato, piace conservare e consolidare la speranza che, ad un certo punto, rispuntino da qualche parte parole come amicizia, solidarietà, condivisione e, perché no, amore. Le parole, non urlate, che appartengono e che ispirano il comportamento di quella parte di cittadinanza che ha preso in carico la sua quota di responsabilità nella società che abita. E che non resta alla finestra, o peggio, dietro al rassicurante schermo di un computer. Sono queste le parole che popolano il piccolo mondo della Collana del Volontariato, che con queste testimonianze prova a riempire con il liquido magico della parola trasformante quel bicchiere ancora mezzo vuoto. Salvatore Fabrizio Cesvol Perugia I Quaderni del Volontariato


No! Io... resto qua! a cura di Giancarla Maio e Cetty Mannino

Associazione I Ragazzi di Ferro



Dedicato alle mie quattro figlie, che amo immensamente , motivo per cui sono riuscita a resistere!



No! Io... resto qua!

Sono Cetty Mannino e sono giornalista e blogger del sito www.intreccio.eu, dove mi occupo dello studio dei new media e dei social risk, con particolare attenzione per il fenomeno del cyberbullismo. In questi anni ho incontrato tantissimi studenti, conosciuto molti ragazzi e ragazze e ascoltato tante esperienze. Per me ogni racconto rappresenta una confidenza, un viaggio interiore, spesso non semplice, che il protagonista mi concede di percorrere insieme. Intreccio.eu rappresenta, dunque, una “piazza virtuale” dove ognuno può raccontare la propria storia e dove ogni punto di vista è importante per cercare di comprendere un fenomeno che sconvolge soprattutto gli adolescenti e i preadolescenti. Questa che sto per raccontarvi è la storia di una mamma che cerca di proteggere a tutti i costi la propria figlia. Che contro tutti e tutto sfida il tempo e le persone, fino a stravolgere anche la propria famiglia. Questa è una storia vera. Ho conosciuto Carla un giorno per caso, grazie ad un messaggio trovato su Facebook. L’ho aperto e ho scoperto un mondo: il dolore di una mamma. Una prospettiva che fino a quel momento mi era sfuggita, non avevo mai considerato. Quando l’ho sentita, la prima volta al telefono, lei era molto nervosa. Non capivo bene perché, ricordo che il suo tono di voce 9


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era a tratti stridulo per diventare, d’improvviso, pacato. La cosa strana per me era sentire una tale furia di parole srotolarsi una dietro l’altra, ad una velocità superiore rispetto a quella del pensiero, quasi difficile da ascoltare e da seguire. Mentre parlava la immaginavo gesticolare e agitarsi. Era davvero arrabbiata. Lei era in macchina da sola, io nello studio di casa mia e il silenzio della stanza a prospetto della sua collera sembrava gelare il tempo, fermare tutto nelle sue parole. Ricordo che abbiamo parlato per quasi un’ora, ma solo quando abbiamo attaccato, ho capito che Carla non mi stava soltanto raccontando la sua storia, lei stava parlando a se stessa, ecco perchè il tempo si era fermato e la mia attenzione era stata interamente catturata dalle sue parole. Io Carla non l’ho mai vista, ho solo sentito la sua voce al telefono e chattato con lei tantissime volte. L’ho sempre immaginata come una donna forte, determinata, non mi sono mai fermata a pensare al suo aspetto, non ho mai visto i suoi occhi, il colore dei suoi capelli, la sua bocca, ma è come se la conoscessi da tempo. Di Carla emerge subito il carattere e la voglia di ribaltare il sistema. Lei ce l’ha con il mondo intero, a partire dalle istituzioni a tutti i livelli; con la scuola, con tutti quei genitori che non educano i propri figli e di conseguenza con i ragazzini che non si rendono conto di quello che fanno e non si rendono conto che ogni azione ha una conseguenza La sua è la storia di un genitore, di una qualsiasi mamma 10


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o di un papà, che scopre improvvisamente, senza che lo avesse mai sospettato prima, la sofferenza del proprio bambino o bambina. Agli occhi di un genitore i figli restano sempre piccoli, a qualsiasi età sono sempre da accudire e nessuno, sia esso uno sconosciuto, un amico, un parente, un insegnante o un vicino, deve toccarli neanche con lo sguardo e nemmeno con le parole. E quando questa promessa, fatta in silenzio nel profondo del proprio cuore viene meno, un genitore si sente fallire. I figli sono il bene più grande, sono il passato, il presente e il futuro, sono un tempo astratto, da proteggere sempre. Succede però, un giorno, all’improvviso, che un fatto stravolge l’ordinaria quotidianità. E tutto cambia, in famiglia e non solo. Tutto cola a picco e anche le certezze più assolute, in un solo secondo, s’infrangono e le abitudini e le conoscenze si rimettono in gioco, fino ad arrivare a sospettare perfino di se stessi. E quando un cambiamento, negativo, stravolge la propria anima la prima domanda che ognuno di noi si fa è: perché? Per poi trasferire la rabbia e lo sdegno su se stessi e chiedersi: Cosa ho sbagliato? Come ho fatto a non accorgermi di nulla? Una mamma inoltre si tormenta: dove non ho vigilato? E tutte queste domande finchè non trovano delle risposte non possono in alcun modo essere eluse. Un giorno per caso Carla scopre delle mine di una matita conficcate sotto la pelle di sua figlia. 11


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Poi arrivano anche i lividi e dei bernoccoli in testa. E lei comincia a chiedere, senza avere risposte. E chiede ancora e più va a fondo sulla questione, più scopre che oltre ai segni visibili sul corpo della figlia ci sono i segni di un malessere interiore, di una sofferenza senza fine. È possibile tanto dolore in una bambina di appena 7 anni? Carla avverte un formicolio lungo tutto il corpo e la sensazione di essere risucchiata, come sottovuoto, e sente il cervello precipitare in un vortice profondo, calamitato verso il basso come da un senso di pesantezza. Da quell’istante tutto cambia. Questa scoperta, si accorgerà ben presto Carla, è solo la punta di un iceberg. La sua bambina era vittima di bullismo! Percorreremo insieme questa storia incredibile e ne usciremo con qualcosa in più… con la certezza che ai nostri figli, ai figli di questa società, vanno dati gli strumenti per combattere e l’empatia per prevenire. Ma a tutte le vittime soprattutto va dato il diritto all’ascolto e aiutate. Questa è la storia dei “I Ragazzi di ferro”, quelli che vogliono togliere la corazza ai propri compagni per distribuirla a chi è più fragile e ne ha bisogno. La corazza del bullismo che nasconde cattiveria, ma anche tanto dolore.

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Come hai scoperto che tua figlia era vittima? Quando usciva da scuola non era serena, non era tranquilla. La fine della giornata era per lei una corsa liberatoria, giù per le scale della scuola. Ricordo che si tuffava tra le mie braccia e a volte piangeva tantissimo. Io avvertivo che in lei c’era qualcosa di troppo doloroso, ma non riuscivo a capire cosa. Avevamo scoperto da poco che mia figlia è dislessica, quindi andavamo in un centro di logopedia per certificare e darle gli strumenti. Era un andirivieni dallo studio e di nuovo una situazione da gestire, per niente semplice. Quando la sera tornavamo a casa era subito un gran da farsi. Compiti, cena, doccia e letto. Una sera per caso mentre cambiavo la mia bambina ho notato che aveva nella pelle dei fori, dei piccoli buchi e intorno dei lividi. Li aveva sulle gambe, sulle schiena e sulle braccia, appena sopra il gomito. I segni davvero erano tanti. Allora ho cominciato a chiedere a mia figlia. E la bambina ha risposto che a fare quelle cose era stata una sua compagna. Io ho cominciato a curare queste ferite però la bambina andava a scuola rassegnata. Un giorno, in macchina, al ritorno dalla scuola a metà strada la bambina ha cominciato a urlare, a piangere e contorcersi. Mi sono subito fermata e ho cercato di abbracciarla mentre lei mi respingeva. Sono stati momenti terribili. “Quelle streghe mi fanno male - gridava- le maestre e quelle stronze”. 13


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Un termine che mia figlia non usava. Subito ho fatto inversione di marcia e sono tornata a scuola. Ho bussato ma nessuno mi ha ricevuto e ascoltato. Questo è stato l’inizio di tutto e così mi sono accorta che mia figlia era vittima di bullismo. Si nascondeva sotto la cattedra e la compagna la punzecchiava con le matite appuntite, ma a quanto pare nessuno se ne accorgeva. Quando l’ho detto alle insegnanti la risposta è stata che erano cose tra bambine e che i compagni in questione avevano problemi, grossi problemi in famiglia. Quando giocavano in giardino doveva giocare da sola, a lei non era concesso avvicinarsi ai compagni. Giocava e parlava con le pietre e i bastoncini. Aveva dato dei nomi alle pietre, metteva i capelli e le immaginava animarsi con lei. Poi però arrivavano i compagnetti e quelle stesse pietre gliele tiravano, fino a farla scappare. Qualche volta tornava a casa con i bernoccoli in testa . Ma le maestre non se ne accorgevano. Anzi spesso le dicevano: “devi imparare a difenderti…. tiragliele pure tu”. Ecco cosa le insegnavano. Vedevo mia figlia spegnere la fanciullezza l’infanzia, stare in disparte condividere solo poche cose. Non raccontava per cercare di non pensare alla giornata! Aveva gli occhi tristi e, un’immagine mi torna sempre in mente, la mattina, quando saliva sul pulmino, metteva la manina sul vetro e io dalla finestra di casa facevo la stessa cosa, come a rassicurarla. Ma dietro quella manina… 14


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c’erano due occhi che urlano… : “Mammaaaaaaaaaa!” Cosa facevi per proteggerla al di fuori della scuola? Lunedì, mercoledì e venerdì erano i giorni in cui la sofferenza era peggiore perché mentre gli altri bambini pranzavano e avrebbero poi giocato in giardino, dove nonostante tutto lei voleva andare, perché immaginava di partecipare ai loro giochi, lei li sapeva fare, sapeva dove avrebbe corso per giocare a “strega chiama color..” o come sarebbe stata veloce se le avessero detto “tocca a te” a ruba bandiera. Invece no… noi correvamo in città dove si studiava un’ora e mezza per imparare il percorso personale per l’uso degli strumenti compensativi. A volte, preparavo un po’ di pasta o il secondo… adorava le fettine panate. Altre volte la facevo contenta e compravo il fagottino.. panino farcito di frittata e prosciutto cotto… con maionese!!! Su tre tovaglioli del bar…. Tre messaggi che mi avrebbero segnato…. con una calligrafia dolorosa incerta ma con la volontà di essere chiara e di dire cosa aveva dentro in quel momento con lettere stampato maiuscolo un messaggio straziante: LA MIA MAMMA,TU SEI IL MIO SALVATORE,IO STO MALE E TU ANCHE SE NON LO VEDI, SAI DOVE HO DOLORE TU MI SALVI TANTO IO MI SENTO MEIO. Un cuore in cui entravano le paroline più belle “ ti voglio bene”. 15


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E un disegno di una mamma con i capelli lunghi e ricci con occhi grandi e un sorriso e una bimba informe… con il viso girato verso la mamma. Consegnata alla logopedista, la dottoressa Silvia, una fatina, una dolcissima persona che con fattezze eteree le infondeva coraggio, le dava amore, la allenava, la psicomotricista Cristina, gli esperti mirati che seguivano in ogni aspetto la costruzione di una struttura idonea ad affrontare la vita con la zavorra ben bilanciata, affinché essere DSA non fosse mai più motivo di isolamento e derisione. In macchina con la sorellina che a volte avevo allattato, a volte aveva già mangiato e faceva il riposino, avevo sempre tempo di pensare: che devo fare! A volte potevo pregare! Quando l’incontro finiva dovevamo correre ma a volte un: “Dai.. sbrigati, facciamo in tempo dopo ti prendo la crèpe!” era il momento complice. Come se quel dolcetto caldo potesse riempire il vuoto e allontanare la paura di tornare in una classe che intanto aveva mangiato e giocato.. e che sbuffava per il mal sopportato rientro in classe, più dalla maestra.. che aveva da ridire per il ritardo… (si ritornava alle 14.15) perché il rientro a lezione ripresa, disturbava la concentrazione di quei pargoli così a modo e con tanti problemi, se poi la bimba piangeva pure… che stress! Il silenzio in quel viaggio di ritorno a volte era causato dal sonno di fuga, lo chiamavo così, perché 45 minuti servivano ad andar via… a fare un viaggio in un mondo bello a volte aveva il tempo di sognare… sempre che la sorellina non urlava disperata nel seggiolino sul sedile di fianco al posto di guida… aveva fame? Soffriva l’auto? Non era importante… dovevamo correre o la maestra si 16


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sarebbe arrabbiata. ... E si tornava a scuola… ma lì il dolore esplodeva, la bambina non voleva rientrare in classe. Una disperazione che non poteva essere etichettata come capriccio. Si sentiva dalla strada la tal maestra urlare. Era in un’altra classe, ma la si sentiva dal parcheggio. .allora mi guardava con un viso indescrivibile…: “ no mamma per favore… non mi lasciare qui!” Tutti mi dicevano che non dovevo cedere. Per il suo bene dovevo riportarla a scuola, dovevo fidarmi, dovevo far capire che non succedeva niente, se la rassicuravo la aiutavo a crescere forte. E io lo facevo… : “Facciamo così: una volta entri e altre volte dico che eri troppo stanca e ti porto a casa!” Ogni volta che la prendevo mi diceva: “mamma oggi rientro?” Alcune volte la graziavo, tornavamo a casa e sapevamo che il giorno dopo saremmo state sgridate, ma una tregua era necessaria. I giorni in cui avevo la forza di obbedire a tutte le voci che mi dicevano di riportarla in classe, per rassicurarla promettevo che avrebbe potuto vedermi fino all’ora di uscita. Il parcheggio era davanti alla finestra della sua classe. Ore passate a ragionare. A cercare di trovare il modo di far accettare una bimba che non aveva altro che un diverso modo di apprendere. La sensazione: Impotenza, dolore, amaro in bocca, sconsolata. 17


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E la solitudine, l’infinita solitudine interiore. Sentire che nessuno capiva, nemmeno in famiglia. Anzi… soprattutto in famiglia. Una famiglia a modo, di brave persone, ogni domenica ci si vedeva a pranzo… tutto… per non vivere tra noi, così che non si parlasse del problema. Nessuno si schierava con la bambina. Ore ed ore a dire: “succedono queste cose, fanno questo… la bambina sta male!” Risposte da struzzi: “ma possibile. Ma sei sicura? Ma non sarà vero! I bambini tendono ad esagerare, magari se non la ascolti, non darle importanza!.... Queste cose sono sempre successe, si cresce, si dimentica!” Altre volte mi veniva consigliato un lavoretto, “magari se lavori ti distogli dal pensare sempre a questo,così, tanto per guadagnare qualcosa, fosse solo per i detersivi” Insomma forse, forse … forse è colpa tua! Già, e se fosse colpa mia? Il dubbio: e se vedo qualcosa che non c’è? E se dicono la verità? Se questi centri privati cercano e soggiogano madri come me e sfruttano la situazione per arricchirsi? Potrei provare, potrei dimenticare, dovrei non ascoltare, non vedere, potrebbe finire, magari finirà! Andiamo a casa,anche questa domenica….! Domani è lunedì, mercoledì, venerdì... e saremo ancora qui! A dire che non succede niente! 18


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Nella macchina la stessa musica, un silenzio esplosivo. Ogni lunedì, mercoledì, venerdì la riaccompagnavo. A volte aspettavo in macchina cosi che mi sentisse vicina. Glielo promettevo: “ Non ti lascio, promesso, sono qui fuori, guardami dalla finestra!” Se non poteva vedermi, alcuni bambini le dicevano che c’ero, se lo scopriva la maestra, chiudeva la tenda o comunque le impediva di guardarmi, ed era di una crudeltà mai vista. Proprio perché faceva arrabbiare la maestra alcuni facevano in modo da far notare la mia presenza, mi salutavano con la manina, non era un saluto… era il modo di attirare la maestra alla finestra. Non guardavo allora, così che mi giustificavo: “ andare via e tornare tra un’ora e mezza è costoso e stancante, aspetto qui!” Avevo tempo di ripensare alle cose che mi raccontava la bambina, sentire gli urli delle maestre delle altre classi, ripensare alle cose dette la domenica e chiedermi: “ma dove siete ora!! Dove state in questo momento? Questo è insegnare? Questo è terrorizzare!” ma non ero nessuno, solo una madre troppo presente, anzi per qualcuno anche molesta. Stiamo in terza elementare, che fare? Dove vanno i miei principi? Io so che non si fugge, se c’è un problema lo si affronta, a qualunque età ogni persona deve imparare ad affrontare i problemi. Ricordo che alle altre due figlie ho impartito un’educazione severissima e intransigente. Hai un problema? 19


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Trova la soluzione. Niente lagne. Poche storie. La vita non ti fa sconti. Testa alta Schiena dritta. La gente vive per schiacciarci. Quindi: lotta dura! “ La scuola è vita e la vita è scuola!” “Lavoro fatto male, lavoro fatto due volte…” “Parola data va mantenuta!” “Chi non rispetta gli impegni è un buffone.” In macchina, pensieri, ragionamenti, esperienze passate, sale sulle ferite... ferite riaperte! Confusione… sono io o è la mia bambina? O la mia bambina… sono io? Questo vedeva il mondo, chi incontrava la mia aggressività e ne faceva giudizio e alibi. Cosa succedeva in me? Un dolore sordo esplodente un senso di sfacelo… di soffocamento. Il niente interiore, niente da fare, niente da dare, niente per cui lottare. Eppure dover lottare... dover dare… dover fare. Costretta ed incoraggiare senza avere coraggio. Svuotata ma obbligata a trovare dentro di me l’essenza vitale per trasmettere un sorriso, la speranza anzi la certezza che quello era un percorso, uno fra tanti l’essenza di madre, ma non c’era, non la trovavo. Avevo voglia di prendere quella creaturina e andare via. Sottrarla a quegli adulti crudeli e lontani. Esseri a cui dovevo consegnare mia figlia ogni giorno. 20


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Lontani… era la sensazione che avevo ogni giorno: Dio quanto sono lontani dalla mia bambina, quanto nonamore hanno, stanno solo fermi sulle loro posizioni: “Sto qui da 18 anni… e qui resto, non creda di riuscire a cambiare le cose, se è venuto a finire il rapporto di fiducia… porti via la sua bambina! È la sua parola contro la nostra… e le garantisco che valiamo di più noi!” Andavo via scendendo quelle scale ingoiando lacrime! Ma perché? Che vi ha fatto questa creatura? Alzavo la testa, da un lato la chiesa, dall’altro un campo. Ai piedi della scala il parcheggio. Mi passava per la testa ogni pensiero consolatorio: “Signore proteggi questa figlia. Dammi la forza di non ascoltare i pensieri dolorosi, fammi avere il coraggio di accompagnarla, ascolta i suoi pensieri tienila per mano!” Non so quante preghiere, quanti inviti, quante offerte. Aggrappata ad un Dio ritrovato. Mi tenevo a galla. “Chi sta con me… se non tu! Allora non stare con me… sta con lei!” Vedevo i passaggi, imparare a leggere riconoscere i numeri, capire come si usano! Fare fatiche impressionanti per un’età così tenera. Tornavo ancora più indietro in un tempo uguale ma di un’altra figlia: “Signora, sua figlia non si applica, non fa!! Non finisce in tempo! Non mangia, si addormenta in classe… signora… 21


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la bambina è troppo viziata… la lasci andare!” Credevo fosse così. Perché dovevano mentire! Erano insegnanti, erano le maestre! Ancora prima l’altra figlia: “Signora… felice di conoscerla, felice che la sua bambina torni con lei… mi raccomando è molto intelligente… ma sta con la testa tra le nuvole! Per richiamarla le dico: “ … Su che nuvola sei? Hai sentito quello che ho spiegato?” Chissà dov’era, un’altra creatura che non sapeva metter insieme quei segni. Ma anche in quel caso era negligenza, cattiva volontà. Mi dicevo: “rifarà tutto l’anno in una estate! Le farò fare tutte le materie! Saprà leggere e scrivere e far di conto! Lo prometto!” “Lo faccia – mi disse una faccia che non avrei più rivistoavete lasciato sola questa bambina per un tempo infinito… per lei due anni sono stati un’odissea! Ora la recuperi!” Fu così: un’estate intera ad abbaiare come un cane da guardia. Ma poi a scuola? Ancora problemi., un incubo! “Fai quello che ti chiedono le professoresse! Quando saprai una parola più di loro, potrai giudicare!” Tre figlie: La prima leggeva malissimo, scriveva peggio, non capiva la logica matematica! La seconda non riusciva nemmeno a stare sveglia in classe. Troppo piccola, indifesa, troppo sofferente. La terza legge male,scrive al contrario,non ha idea di cosa 22


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sia la matematica! Non ha il senso dell’umorismo! Non capisce le battute! Non socializza! Si sente triste sempre. Io quelle sensazioni le conosco, le riconosco. Leggere… ma come si fa? Una parola dietro l’altra va bene lo faccio, ma poi? Il nulla, il vuoto. Le parole producono un suono, ma non portano da nessuna parte. Quindi che cosa dice il problema? Cosa significano quei simboli? La danza macabra dei numeri che si compongono e scompongono… e dovrebbero costruire qualcosa, dare un senso rispondere ad un dubbio! Dare una certezza! Tutto questo ha un nome: DISLESSIA, DISGRAFIA, DISORTOGRAFIA, DISCALCULIA Ed è una peculiarità che ci rende la vita infernale. Ecco perché lo so! Ecco perché quando dicevano: “pigra.. torsona … scansafatiche… senzacervello” Tutto diventa un film visto, rivisto, un baratro in cui si precipita!” Qual è il mio dovere? Qual è il mio compito? Chi devo seguire? Chi mi aiuta a tenere aggrappata questa figlia? Erano le domande continue che mi tormentavano. 23


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I pensieri andavano agli occhi pieni di terrore. Vi leggevo l’accusa di non aver abbastanza cura di lei: “ Mi lasci? Anche oggi? Ho paura, non ci voglio andare!” Gli esperti che cercavano di zittirmi e molto spesso li lasciavo vincere per paura. Lo spauracchio della sottrazione da parte di sedicenti sostituti per l’educazione era sempre nelle mie orecchie. Quindi, che senso di sconfitta, che male all’anima! Non era sufficiente il frequentare sei ore a settimana un centro così specializzato, aveva incontri con il sostegno psicologico, e l’estate i campus mirati, sempre del centro logopedico, in maniera intensa e programmata si studiava ci si allenava, si faceva pratica e teoria, pomeriggio si poteva essere ragazzini come quelli che non avendo bisogno di niente, potevano riposare! Qual è stata la prima cosa che hai pensato? Le prime cose che mi vengono in mente, sono le sensazioni che provavo all’età delle mie figlie. Un modo di sentire stranissimo: ricordo la maestra Rita, era bella, graziosa nei modi. Aveva i capelli castani, ricci e lunghi. Un giorno portò a scuola un ragazzo, disse con un sorriso splendido: “Lui è il mio fidanzato, tra poco ci sposiamo!” Che nitido questo ricordo. Come quando ci raccontava che la “M” sta sempre prima della “B” e della “P”. Io questo lo avevo capito, se dico: BOMBA…... Ma che lettere devo mettere?? 24


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Perché ride sempre la maestra? “No Carla, Bomba è con la B tu hai scritto: POMPA, con la P”. Ora avrebbero dato un nome a questa stranezza. Anche i numeri… ora lo so che il 9 ha la testa e il 6 ha la pancia. Lo ha spiegato tanta gente a mia figlia che ora lo so anche io. E ho imparato le divisioni, certo non quelle a due cifre, per quelle ora ho il computer e la calcolatrice. Pensavo…. La prima cosa che pensavo in quei momenti, gli eterni momenti di attesa nella macchina o nella sala di attesa del centro F.A.R.E. il pensiero era sempre lo stesso: “che altro posso fare… da chi mi posso far ascoltare?” Qual è stata la prima cosa che hai fatto? Quando vedevo tutto questo, segnalavo, parlavo, cercavo di collaborare. Scrivevo messaggi all’insegnante, sul quaderno, ma vedevo intorno solo persone infastidite. Gente che diceva: “mia cara signora, io qui ci sto da 18 anni e resterò senz’altro dopo di voi. Se non ha più fiducia vada via e porti via sua figlia!” Ogni passo per cercare di sciogliere i loro cuori era invece un aggravante. Non è stato possibile interagire. Alla fine ci consigliarono di cambiare scuola. Da una scuola a tempo pieno, uno stile che ho sempre voluto per permettere di interagire di socializzare e per accompagnare verso l’altro le mie figlie, sempre in ambienti protetti ed accoglienti, ecco che dovetti arrendermi: iscriverla in una scuola a tempo normale. 25


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Lasciare la sua adorata amica la fece soffrire terribilmente, ogni giorno era uno in meno che mancava al ricongiungimento della conclusione della scuola elemetare, alle medie si sarebbero ritrovate, lo avevo promesso! Altro immenso dolore: allontanarsi dall’adorato maestro di religione. Piena di speranza e di voglia di voltare pagina fiduciosa ancora nella figura delle maestre, accoglienti guide che passano il sapere, portai mia figlia in un’altra scuola. Andava quasi bene. Ma la nomea di madre “impicciona” arrivava prima di me. Mi affidai totalmente al centro che la seguiva: controllava ogni compito, ogni diritto, esigeva i piani didattici personalizzati. Io cercavo si seguire mia figlia insieme agli esperti, ma per molti ero eccessiva. Eppure il diritto di mia figlia di essere felice e di non essere lasciata indietro come tentavano di fare, mi imponeva la massima vigilanza. La quarta e la quinta scivolarono in un tira e molla di collaborazione, attacchi, mediazioni. Fu la giornata peggiore quella in cui dovetti andare a parlare con la maestra, sarebbe stato l’ultimo incontro: Mi sputò addosso tutto il veleno degli anni passati, capii l’omertà intoccabile, come si proteggevano tra loro. Erano furenti, grazie al centro F.A.R.E., non poterono attuare la tattica dell’emarginazione e dell’abbandono in un angolo. Tesi la mano per salutarla ma la maestra si ritrasse. Aveva perso e non poteva fare altro che ritirarsi senza 26


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accettarlo! Qual è stata la reazione da parte della scuola? La scuola che putroppo ho incontrato nel nostro difficile percorso ha sempre tentato disperatamente di negare, di farmi passare per “invasata” per iperprotettiva. Un circuito di connivenza, di amiche, di conoscenti, di persone che non hanno saputo alzare la testa e dire: basta… fermiamoci! Non è di noi che dobbiamo preoccuparci, ma della bambina, di come lavoriamo con lei, di ciò che è il suo meglio!” Qualche insegnante illuminata che usava metodi didattici più mirati era poi guardata male, messa in disparte. Ma nella stragrande maggioranza c’era l’indifferenza. La scuola deve produrre teste che a 6 anni leggono in un certo modo, scrivono entro certi parametri, bimbi che stanno seduti ore ed ore in un’unica posizione, plotone di soldati della penna e del libro. Due possibilità: sufficiente o insufficiente! Azzeramento dell’individualizzazione di apprendimento. Metodi sperimentati altrove con ottimi risultati erano derisi nascosti, mistificazione da pseudo fallimento mentre era solo la cattiva volontà di applicare che rendeva inutile ogni tentativo. Così l’uso degli strumenti compensativi veniva considerato un’agevolazione, una scorrettezza, una cosa non necessaria. Inutili i tentativi di far capire che gli occhiali o gli apparecchi acustici o la sedia a rotelle sono anche loro strumenti compensativi: ciò che non si vede non è meno doloroso di ciò che è visibile. Non capivano quando ripetevo: “provate ad applicare i metodi all’avanguardia che i logopedisti suggeriscono e 27


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applicano con successo nelle ore in cui lavorano con la bambina. Noi costruiamo sentieri e voi li distruggete. Come vive una famiglia una situazione del genere? Una famiglia ci scivola dentro piano piano, lentamente, tutti credono quasi che sia normale, pensano che succeda a tutti, che quel buio sia la sola luce in cui si può camminare! Allora ognuno si china sempre di più, alla ricerca del fondo, si va con la mano tentoni, avanti, di lato, si afferra un appiglio, si spera ci sia un modo di sopportare, un modo per farcela. Ognuno dice all’altro: “non dare peso, non ingigantire, non far vedere che c’è di che preoccuparsi! Stiamo calmi!” Una famiglia reagisce ad un certo punto, o a volte mai, altre volte semplicemente si accorge che non c’è più niente da fare! Io non mi ricordo di aver mai visto le braccia tagliate di mia figlia, perchè era diventata grande e le docce non gliele facevo più! Non mi sembra di essermi mai accorta dell’effettivo dolore! Non ci si rende conto che si sta aggrappati a uno sperone fragile mentre sotto di noi c’è un baratro, nelle orecchie solo la derisione lo scherno, l’indifferenza! Come vive una famiglia? Dal punto di vista emotivo, si rischia la follia! Dal punto di vista economico, lo schianto! Noi avremo il secondo mutuo sulle spalle molto oltre la laurea di nostra figlia, intanto molto spesso abbiamo scelto se fare la spesa o pagare i sostegni! 28


No! Io... resto qua!

Non abbiamo mai chiesto aiuto, a chi avremmo dovuto chiederlo? A chi ti manda a casa con una frase bestiale, quando andai a chiedere a cosa avevamo diritto una solerte assistente sociale, molto famosa per la sua acidità, rispose: “non è che con 200 euro al mese li guarite sti figli! Lasciate fare alla scuola, ognuno è come è…!” A voce alta, in barba alla privacy, alla delicatezza dell’argomento. E poi uscire passando tra la gente in fila, sentire gli occhi addosso…. Non sono più più tornata. Ho tentato di portarla in strutture pubbliche, ma oltre a giudicare non c’era altro: Venti minuti ogni tre settimane e su un foglietto una scritta “contare fino a venti, avanti e indietro, contare su una mano sola, non aiutare, lasciare fare da sola!” E a voce “bisogna avere pazienza, da questi bambini più di tanto non si ricava!” Cos’è la cosa che ti fa più rabbia? Sentire ancora oggi le falsità, le scuse, le giustificazioni, parlare con la gente e sentirsi dire: “ ma dai??? Ma davvero? Ma sapessi cosa succedeva a mia figlia… guarda non vedevo l’ora di farla uscire dalle elementari. .. me l’hanno rovinata…!” Ma come? Solo io facevo azioni, segnalavo. Solo io vedevo cose, non mi fidavo, non davo pace, solo io importunavo gli insegnanti, invece eravate tutte coinvolte? Ma in quanti avevate difficoltà? Perché non lo avete detto? A tale bambina era stata diagnosticata la dislessia e non venivano applicati i diritti, a talaltra con certificazione veniva detto di non fare tante storie: imparano prima o poi. 29


No! Io... resto qua!

Mi sentivo dire: “Non tutti sono uguali, mica nascono tutti scienziati! I maschi poi... che ci si pensa a fare. Loro sono così, sono maschi….” Voi genitori non avete fatto niente? Non vi siete ribellati? Non avete aiutato i vostri figli?” Alcuni addirittura non volevano si dicesse che c’erano delle diagnosi: “sai per quel problemino di mia figlia!” Chiedevo: ma come problemino “ no..no…meglio spegnere i riflettori.. non stare a segnalare.. sai com’è poi da grande magari se lo ritrova scritto e si rovina la vita!” Ignoranti, indifferenti! Qual è il problemino? Il fatto che non riesce a leggere, a contare, a scrivere? Una logopedista vale l’altra … i centri privati costano... e quindi ci si gioca la vacanza, il parrucchiere, i vestiti, le cene con gli amici? Costa questo investire in una ottima armatura? E lo strazio di questi figli che arrancano? Si battono stanchi con questi giganteschi mulini a vento. Perdono ogni giorno le loro battaglie che si trasformano in mostri arrabbiati e si caricano di rabbia. A chi lo dicono che sono frustrati, che sono persi nel labirinto di suoni che non capiscono di segni che non decodificano? Gli unici che dovrebbero essere in prima linea con loro stanno litigando tra loro per il valore del proprio spazio, del bisogno di essere visti e ammirati, mentre si scagliano in battaglie puerili e indicibili. . Il pressappochismo con cui si sono cresciute queste povere creature, cosa può generare? E la storia continua... 30


No! Io... resto qua!

Mia figlia e la sua amica sarebbero potute andare insieme dal nido alle medie, sarebbe potuta essere una bellissima avventura, ma invece, piano piano, i dispiaceri di ognuna vennero vissuti in modi opposti: mentre una soffriva e dimostrava il suo dolore con scritte disegni, pianti, richieste di motivazioni, l’altra divenne crudele, feroce e si scagliò contro la causa del suo dolore, anche sapendo dell’impotenza, anche se testimone delle crudeltà che subiva, la considerò colpevole di un abbandono volontario! A settembre mia figlia non entrò in quel lager, la poverina non vedendola dovette interiorizzare la scelta, ma non essendo supportata, dovette trovare un colpevole, e mia figlia era stata la causa: non era rimasta con lei e lei non la perdonò! Appena la trovò nel suo raggio di azione cominciò a chiedere conto. Volle dimostrare quanto lei era forte, quanto era diventata potente: quindi chi meglio di un ragazzo da stolkerare per dimostrare di essere invincibile?! Ma doverlo dimostrare a se stessa era ancora più importante: Era forte, niente le faceva più male. Lei poteva fare tutto: bere, fumare, fare altro... e le gite scolastiche divennero il modo per far riecheggiare il delirio di libertà e di esperienza. Molti favoleggiano, alcuni dicono mezze verità, ma dov’è il confine tra ciò che avvenne e ciò che si racconta? Mia figlia intuì che in una certa gita sarebbe successo molto di più che semplice goliardia adolescenziale e rifiutò di andare, per fortuna! A scuola… cosa poteva succede a scuola? Uno si aspetta di mandare la propria figlia in un luogo protetto, un posto dove sarà arricchita, sarà preparata ad affrontare la vita…. 31


No! Io... resto qua!

Invece: Insegnanti che chiedono di andare a prendere un tè, poi un dolcetto! Frasi come: “Tu vai pure…tanto tu questa materia non la capirai mai!” L’insegnate ora se mi incontra finge di non riconoscermi, glielo lascio credere, la sua povertà interiore non potrà soffocarla neanche mangiando e bevendo tutto il bar e tutti i distributori interni alla scuola! Forse non potrà sapere la sua materia, ma ha imparato in maniera eccellente: latino, inglese, italiano, storia dell’arte, pedagogia, psicologia sta salendo la scala della vita, anche se i gradini li hanno ingigantiti con crudele ignoranza. Poveri figli... guardano, imparano, esigono e a chi devono far pagare il loro fallimento quotidiano? La solitudine che le rende aride? Devono trovare il modo di esistere, devono dire che ci sono, voglio essere viste! C’è una vittima che lì, a portata di mano sta crescendo. Il clima per la vendetta lo prepara la scuola con l’indifferenza, l’incuria, l’abbandono del vero ruolo istituzionale. Troppo facile vincere se si è indifferenti in due. Famiglia e scuola unite nella complicità dello scaricabarile. Va bene.. ma una sola che male può fare.. uno vale uno… No….. È dimostrato che il bullismo lievita come una muffa in un ambiente confacente. Allora lo sfottò, la lite, il dispetto, l’emarginazione cominciano a diventare sempre più gravi. Lo sfottò è 32


No! Io... resto qua!

derisione, la lite è linciaggio, il dispetto diventa persecuzione, l’emarginazione diventa guerra ad oltranza. Ogni giorno entrare nella fossa dei leoni a mani nude... questo è il coraggio. A scuola si guardavano film programmati al posto delle lezioni: e senza mediazione si imparava la guerra, il sangue l’orrore. A 12 anni vedere Troy lasciò in mia figlia segni indelebili. Oppure Giovanna D’Arco... si rinchiudevano in aula magna bambini, o poco più che tali, e si lasciava che si caricassero di ogni stimolo. Ovviamente all’uscita si avevano tutte le reazioni ormonali e/o mentali; quindi è successo che chi si era eccitato poteva sfogarsi masturbandosi in classe pulendosi le mani su compagne indifese che poi vomitavano per giorni. Mia figlia, dopo questo episodio non poteva mangiare, provava ribrezzo per creme o odori forti. Al nostro andare a reclamare ci si trovava davanti una insegnante quintessenza della frivolezza che con uno svolazzar di manina in aria cercava di farci passare per esagerati. “Macché…Macché. . Non succede niente di tutto questo… quando mai… che dite.. si sono esuberanti… ma buoni… sa quelli che indicate hanno seri problemi in famiglia…” “Quindi?” chiedevamo. “Quindi che cosa volete che facciamo? Noi li mandiamo avanti, non li bocciamo per toglierceli di torno presto. D’altra parte tre anni li ignoriamo e vanno fuori, ecco consigliatelo anche a vostra figlia: ignorarli.” Ignorare... 33


No! Io... resto qua!

Così venne il tempo della vendetta: Nell’incontro individuale si premurò di consigliare a tutti i genitori di non far stare i loro pargoli con mia figlia che era strana. Forse perché non correva nei bagni a fumare o a fare esperienze instillate dagli ormoni, dai regalini, dai film innocui, somministrati al posto delle lezioni su libri. I piani didattici erano faticosi, un buon film era educativo. Mia figlia era strana, non giocava a carte nel momento della ricreazione, non correva nei corridoi (dove non poteva andare o sarebbe stata bersagliata da ogni genere di nefandezze, sputi in testa, spintoni e quant’altro) e poi.. strana in maniera esagerata: portava i libri a scuola, uno in particolare: la Divina Commedia, una versione adattata alla sua età che veniva buttato dai suoi compagni nel cestino dell’immondizia. Scrivemmo mille volte al provveditore, ricevemmo risposte: “Siamo spiacenti che avvengano queste cose ci dica la scuola e le insegnanti, provvederemo!” Che dire dell’insegnante di arte? Che la massacrava con le umiliazioni: non tutti nascono pittori, e non sanno tutti copiare un dipinto, nemmeno se stanno lì pomeriggi interi, insieme ad amiche che incoraggiano, sperimentano, a terra in sala a dipingere un “Viandante” che proprio non riesce. E tale fu lo stress di doverlo presentare che si sentì male la “ragazzina incapace”, lasciò il disegno maligno alla sua compagna fidata: “prof., non si è sentita bene, ecco lo ha lasciato a me!” 34


No! Io... resto qua!

Ma la Prof, probabilmente incapace di ogni genere di comprensione o di amore per il suo lavoro, una volta ricevuto il tanto atteso disegno: lo voltò, lo sbeffeggiò firmandolo con il nome del padre perchè sapeva che è un bravo disegnatore. Poi resasi conto della stupidaggine, peggiorò ulteriormente la situazione: lo strappò. Una fatica fatta lavorando tantissimo venne semplicemente strappata. Stappata è un termine che si addice anche alla vita di mia figlia, perchè le urla di dolore lancinante che emetteva, quando si sentiva sola, umiliata dalle bulle, delle vere e proprie lacerazioni interiori. Ma a volte non bastava. Non bastava solo urlare, piangere, lottare. A volte doveva far uscire quel dolore, doveva aprire delle vie affinché potesse uscire a alleviare la sofferenza, allora si incideva la pelle delle braccia, il cuore smetteva di esplodere, ci si concentrava su un dolore più forte, più fresco, sperando che il dolore interno, costante, infinito, quello estenuante, un poco allentasse la presa! Per un po’ stare meglio, poi il prossimo lancinante dolore nella mente e un altro taglio, altro sangue che sgorga e l’anima pare riposi un pò! 15 anni…. “E già nove a implorare pietà a dire voglio giocare” ma non c’era stato tempo, non c’era stata tregua! Cosa mi fa rabbia? La connivenza, l’omertà, il vile mettere tutto sotto il tappeto e chiudere le porte. Il giorno che picchiarono un ragazzino disabile perché in classe aveva toccato la colla del fratello di un bullo, anch’egli bullo naturalmente, i genitori 35


No! Io... resto qua!

dei ragazzini erano lì, circa 200 persone e il massimo dell’intervento fu: “ iiiii elvè ma so matti... ma Je menano iiiii poro cocco.. ma guarda là!” La traduzione forse non serve, nessun padre tolse le mani dalle tasche, nessuna madre disse: “fermi.. vergognatevi!” ero lì. Dissi: “ma che fate.. lasciatelo, andate via, e tu ragazzina va a chiamare la bidella”. Mentre mi avvicino al ragazzino vedo: libri strappati, zaino distrutto, occhiali a pezzi. Torna la ragazzina e vedo la bidella, aveva visto e aveva chiuso il portone. Qualcuno aveva avvisato la madre che arrivò di corsa, soccorse il figlio e lo portò via. Non li ho più visti. Come tutti, stessa specie: spallucce, “che ci vuoi fare... succede... so ragazzi.” Come reagisce una famiglia? Bella domanda! Raccontare come la nostra famiglia sia stata violentata dal bullismo, è strano, non mi sembra di poterci riuscire! Di come ognuno di noi ha guadato quella melma appiccicosa, che cerca di immobilizzare ogni arto, ogni pensiero, ogni respiro... mi sembra di non saper trovare le parole giuste. Allora sono qui, anche oggi , con un caldo soffocante, mentre cerco di tornare nel buio senza farmi troppo male, mentre ricordo e il cuore ha un sussulto, mentre alle mie spalle sdraiata su un divano sta un’altra parte di questa famiglia che sta pagando il suo tributo, mi fa un po’ innervosire, un po’ mi fa fermare e chiedere: ma questo libro a chi andrà? A chi lo sto dicendo? Per chi sto attraversando il buio e la 36


No! Io... resto qua!

melma? Devo fare mente locale…. Dove ero arrivata con il racconto dei fatti? Dunque: faccio il riassunto e cerco una sorta di filo conduttore. Questa matassa così contorta deve essere qualcos’altro oltre alle matite sotto pelle, oltre agli sfottò, oltre a quel male che impedisce di proseguire. Lo devo trovare il motivo, altrimenti tutto potrebbe sembrare solo una sterile denuncia di fatti vissuti, ma è molto di più di un episodio, sono vissuti troppo uguali ad altri, il bullismo funziona nello stesso modo ovunque: carnefice, gregari, silenti, indifferenti, omertosi per arrivare al punto: LA VITTIMA. Quando devo ricordare la voce di una bambina che mi racconta urlando la sua paura, il senso di colpa mi stritola: ma dove sono stata per tutti quegli anni? Anni, mica minuti, mica giorni, mica momenti, ANNI! Vedo immagini: era piccola, ingenua, ma doveva affrontare ogni genere di dolore, ogni cosa doveva comunque viverla lei. Pensando a pagine indietro torno alla domanda: cosa facevi per proteggerla al d fuori della scuola? Ci ho pensato molto tempo, quello che rispondo immediatamente è solo la cronologia del fare, quasi a dire che non potevo proteggerla se non lottando per crearle un’armatura, una struttura esteriore che la proteggesse, ma era troppo piccola per stare barricata, quindi il dolore arrivava, e lì fallivo, lì non ero all’altezza dello strazio! 37


No! Io... resto qua!

Vedevo intorno lo scetticismo, forse era il modo personale di fuggire e reagire, sfiorare continuamente le denunce e poi non denunciare mai, per paura che arrivassero le famigerate figure preposte e ti zittissero mettendo in pratica le orribili minacce, tra l’altro neanche troppo velate. Essere sempre la mamma strana, quella con cui meglio non avere a che fare, “se stesse zitta, sarebbe un sollievo per tutti”. La lotta in solitaria è stata stremante. Come è stato possibile permettere al dolore di lacerarmi cosi profondamente,? Trasformare la guerriera che ero in una molliccia lagnosa che non trova più la via maestra, quella su cui si cammina a testa alta e schiena dritta, come dicevo da sempre alle altre due figlie? Ora loro sono donne, ma hanno subito il supplizio della vita scolastica farcita di ignoranza: adulti di riferimento esterni alle famiglie, quando la dislessia era considerata davvero un ritardo mentale, una sorta di imbecillità latente, alcune cose le sanno fare…altre non le faranno mai. Come ho perso il piglio di testarda indomita? Semplice penso ora: Perché quella sostanza melmosa in cui si sprofonda, non permette di vedere oltre il proprio cieco buio. Vedere tutto dall’alto, da sopra come se si potesse volare sui giorni, sugli episodi, come frutti aspri, coglierne alcuni: “ti ricordi? Qui eravamo davanti alla maestra, e tu ti nascondevi dietro di me!” E poi i commenti inimmaginabili: “ma dai, non sarà mica vero... hai provato a far finta di niente? Di solito la smettono, imparano a difendersi! Via su passami la crostata, avete visto Antonellina come la sa cucinare? Spettacolare, ho rifatto la ricetta, mi è venuta uguale!” Già! Ingozziamoci fino a scoppiare. Bambine immobili 38


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come in classe, in un ambiente claustrofobico, altri inespressivi analfabeti emotivamente ineducati alla condivisione. Mostravano lo sfottò costante senza che nessuno ponesse rimedio. Si sentiva nell’aria il disagio della prigionia domenicale, supplizio per chi andava e per chi preparava, ma la facciata… doveva essere quella! Anche li dolore di non essere supportati, io la famiglia la conoscevo come un tutt’uno, non come puzzle da ricompattare per poi sfasciarsi dopo il rito domenicale e ci si rivedrà alla prossima in un’ipocrita ingozzata. Altro frutto che non può essere assaporato senza che sanguini il cuore: “Se… se… denunciamo….mo denunciamo… ma sai quanto dobbiamo ripagare se perdiamo le cause?” Non l’ho mai saputo… so quanto ci sta costando non averlo fatto! Tanti flash, tanto nero, tanto sprofondo, in cui all’improvviso, questi bagliori accecanti donano solo la consolazione di dire: “è successo, è tutto vero, c’è tanto da sputare sulla terra. Ma c’è il bello che ti permetterà di uscire, continua a camminare, tentoni, sbatterai ancora, ma portala fuori!”. E Dio? Che mi ha fatto questo Dio a cui chiedevo pietà, che mi ha dato se ha permesso tutto questo? A Dio devo tutto, a lui devo la forza, devo la gratitudine di avermi sorretto, protetto, fatto in modo che il nero melmoso non mi risucchiasse, ma come tutte le figlie sono ribelle, non considero la magnificenza, ma solo il punto dolente! 39


No! Io... resto qua!

Io non lo so se il buon Dio ha progettato per me questo percorso solo perchè sapeva che mi aveva resa forte abbastanza per continuare a resistere. Non so analizzare il progetto, so che non dubito, era fatto per me perchè Lui non mi avrebbe mai lasciato sola nella disperazione. Così, facciamo un ultimo respiro, coraggio manca poco, la terza media, la fine…. Sarai libera, andrai a studiare là dove ti porta la tua passione. Coraggio… non sappiamo come ma ci stiamo riuscendo. Ci aiuterà una persona speciale, a cui prima o poi faremo un monumento: Eleonora, tutor a casa. è stata meravigliosa, più di ogni qualificata docente con specializzazione, che al contrario rifiutavano l’utilizzo del registratore per non violare la privacy di una ciurma di ineducati o forse per non dover risentire le lezioni. E dopo tanti anni di Eleonora, arriva Sara, altro angelo benedetto, altro miracolo nella nostra vita, tutto ciò che per gli altri era impossibile, per lei diventava una bazzecola, e mia figlia era pronta, preparata. La dimostrazione che il cuore apre ogni porta, scavalca ogni barriera. Vai, sta finendo la terza media, lo so che stanno succedendo cose brutte, che ti fanno del male, ma forza. Ogni giorno ti aspetto qui, papà ti prende, arrivate e si mangia, poi i compiti, la tesina, vista rivista corretta, modificata, io non lo conosco il personaggio e la musica che spiegherai con cui hai fatto tutti i collegamenti….. forza, forza… ne siamo uscite! Ma….. 40


No! Io... resto qua!

Ma quel giorno sei scesa dalla macchina, non lo ricordo nemmeno più bene, era troppo, era pazzesco, non poteva essere vero… che dicevi? Che ti avevano fatto? La vidi e in un attimo mi fu in braccio: urlava, piangeva, era folle. “Mi hanno dato fuoco, mammaaaaa …. Mi hanno incastrata in un angolo, mi tenevano e una mi ha chiesto un fazzoletto, io gliel’ho dato e lei me lo ha messo sulla faccia, ha dato fuoco con l’accendino! Non so come mi sono liberata, avevo paura…. Mammaaaa mi sono chiusa in bagno ho pianto due ore, nessuno mi ha cercato, hanno fatto sparire tutto….paura... paura...paura…. Mammaaa paura!” Ma chi è stato? E perchè? Una serie di parole che rivivo, ma non so riportare, correva, si allontanava tornava. Una gazzella, mi ricordava un animaletto selvaggio fuggito da una trappola. Lei? Ancora? Ma perchè? Chiamo un amico, mi consiglierà lo farà meglio di me. Io sono per prendere un’arma e ucciderli tutti… non ne posso più: -“ Pronto, ciao, hanno dato fuoco a mia figlia a scuola, che devo fare? Non è giusto, non vuole farsi le canne, non vuole avere incontri con personaggi pericolosi in case diroccate dove è notorio ci siano i famosi riti di iniziazione. Cosa devo fare? Davvero? Sei sicuro? Non conviene mettersi contro le istituzioni, una guerra che rischiamo di perdere. Non ho la stessa potenza delle istituzioni? Se lo dici tu… va bene… non faccio niente, curo mia figlia, vedo se i danni sono permanenti, no certo, non sul fisico, ci ha rimesso solo i capelli davanti al lato della tempia! Certo! Certo! Mi concentro su quelli psicologici, va bene mio caro, ti saluto, sei molto più saggio di me in questo momento.” Ma un messaggio lo scrivo: 41


No! Io... resto qua!

“Ma hai visto cosa ha fatto tua figlia? Ma ti ha detto che cosa ha fatto? Ti prego falla curare, quando erano più piccole l’ha bloccata e ha tentato di tagliarle i polsi, ti ricordi come erano profondi i tagli? Eri disperata, dicevi che la picchiavi per come si comportava mentre io ti dicevo di curarla!!!!” Chissà se lo ha ancora il messaggio…. Quella povera madre, ha pagato caro pure lei, pure lei pensava che passasse… invece no… anche peggio. E la domanda era la stessa: perchè? Perchè non fumava, perchè non accettava il rito di iniziazione, perchè era cresciuta credendo in valori diversi dal gruppetto. Mi aveva sempre seguita in chiesa, aspettava con ansia di poter entrare nella sua comunità, intanto incoraggiava le amiche, quelle che non avevano nessun contatto con la chiesa, quelle che i sabato sera facevano cose che mia figlia rifiutava, insomma le avvicinò al Signore, fu lei che le introdusse alla fede. Finì che ne uscì lei, non c’era posto per la vittima e il carnefice nello stesso luogo. Era il suo posto, stava per entrare, dopo la cresima avrebbe fatto il suo percorso in parrocchia. Saputolo, le bulle si schierarono, le gregarie, magari anche senza sapere di esserlo, si organizzarono: se voleva andare lì le avrebbero chiuso anche quella porta. E gliela sbatterono in faccia! Mia figlia rimase a lungo dietro la porta chiusa, ma vederle spavalde e false, ingannare tutti con gli occhietti bassi e le 42


No! Io... resto qua!

manine giunte…. Il veleno dell’ipocresia. Era troppo per lei, si voltò e andò via! Lasciò quella che era la sua famiglia nel Signore, si inaridì! Aveva insegnato loro, i canti, la liturgia, cosa fare e come parlare…e poi…. dovette andare! “Dio non è così buono se non mi fa andare niente bene!” Così diceva, ma pensavo fosse un pensiero legato alla sua età. E poi si cresce pensando che non c’è nessuno, solo riti per stare insieme! Quello che era permesso alle bulle, erano le “esperienze” che alcune madri illuminate, auguravano e incoraggiavano per le loro figlie ma non erano altro che alibi al bisogno di vivere una vita oramai superata, riprovare emozioni giovanili e la spensieratezza oramai da annoverare tra i ricordi, ma non più vivibili. Vivere attraverso le proprie figlie è un aspetto distorto a mio parere, ma che non mi avrebbe toccato minimamente se non fosse stato il danno arrecato a tutti noi. Da quello che poi avrei imparato a conoscere come “l’abdigazione genitoriale”, alcune madri mi dicevano: “Io non vado mai contro le insegnanti, le lascio fare, non dico cosa dovrebbero fare, non è a scuola che ci si forma, questo è solo un obbligo!” E come ci potevo parlare con queste persone, come potevo dir loro che le loro figlie si stavano perdendo dietro esperienze deleterie. Le lasciai al loro destino! Più avanti qualcuno mi chiese: “ma hai mai più parlato con la 43


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madre?” No grazie, non potrei proprio guardarla, sua figlia è la mandante dello scempio di mia figlia, lo sanno tutti e nessuno le ha mai detto: “ma almeno scusati, prova a parlarci, non sei madre solo tu, sai quanto stanno soffrendo?” No non può farlo. Dovrebbe ammettere che è colpevole del fallimento evidente di un’educazione inesistente. Una delle ultime volte che scrisse qualcosa fu: “mia figlia è seguitissima, sappiamo sempre dov’è e cosa sta facendo!” Altri parenti si schierarono con la mandante e pubblicamente iniziarono a tempestare mia figlia di messaggi pro bulla. Capimmo che non si poteva far ragionare, non capivano, non credevano... o forse era troppo per loro. Avrebbero dovuto accettare la droga, il comportamento almeno discutibile e promiscuo, e fin lì fatti loro. Avrebbero dovuto ammettere che le sbronze di una ragazzina non erano solo cose di campagna nei fine settimana ma anche cose molto più serie e pericolose, ma del tutto scelte personali. Finché non si entra nel circuito del bullismo, del cyberbullismo in cui si comincia a stolkerare un ragazzino per anni in maniera patologica, finché quando questo modo di agire diventa la regola applicata a tutte le relazioni, allora o si fa come viene richiesto o si rischia ogni atrocità. E se ne pagano le conseguenze che servono per intimidire tutti: insegnanti, studenti, persone del paesino. O si fa così o rischi un fazzoletto sulla faccia, o altro! Come il numero di telefono scritto nei luoghi publici, nei bagni della scuola! Così è successo. Perchè alla vittima è permesso di veder e rivedere quelle oscenità? Perché non si cancellano ogni giorno? Perché esiste la tabella su cui si segnavano punteggi per 44


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dire quanto era brava mia figlia a fare certe cose? Finché non minacciai di denunciare tutti quelle persone del paesello, che trovando il numero nel bagno telefonavano in piena notte, chiedendo ad una bambina di 13 anni cose che da personcine morigerate, non si sognano di chiedere alle loro povere consorti….. e quando mia figlia piangeva e mi passava il telefono….non credevano fossi la madre…. Ma nei loro istinti perversi mi dicevano: “aaaa siete due…meglio ci divertiamo di più!” Le ho nelle orecchie quelle voci e quelle oscene parole in un dialetto che disprezzo e odio! “La mi cocca”….una bestemmia ignobile…: “el vole el mi biscotto? La mi cocca” 13 anni…. Doveva sentirsi dire questo! Dove sono quei vecchi osceni? Seduti a guardare le nuove 13enni, che passano spensierate e spavalde nei loro extra mini pantaloncini, cui nessuno di quei malnati dovrebbe porre attenzione fosse solo perchè a volte non riconoscono nemmeno le proprie nipoti stesse! Mentre il sistema persecutorio andava avanti, insieme al centro. F.A.R.E. cercavamo di permettere la fine delle medie e, di conseguenza la liberazione da quel lager. Mia figlia per salvare l’anno scolastico, venne ricevuta da una nuova scuola e da un vicepreside magnifico, scandalizzato e pieno di premure per questa figlia, concesse ogni cosa affinché potesse superare lo shock e potesse rientrare in una scuola! La aspettava al portone, con le braccia spalancate: “Vieni, 45


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diceva, fammi fare il vicepreside, non farmi fare il nonno….! Vieni non ti succederà più niente, studierai nel mio studio, chiamo la professoressa, andrai in classe piano piano!” E riuscì a farla tornare in classe, alcune amiche di quel breve periodo sono rimaste e vivono questo tratto di storia ancora insieme a noi! Come Dio volle, si riuscirono ad affrontare gli esami, li superò felice di catapultarsi nel suo mondo , quello che da sempre le aveva permesso di sopravvivere, di respirare, di volare: la musica. Si perchè quando in terza elementare decidemmo che il supplizio era esagerato e che era arrivato il momento di cambiare scuola, che non voleva dire assolutamente che era una resa, ma una opportunità, andare via doveva voler dire dimenticare le matite sotto la pelle, le atrocità in giardino, la solitudine e le crudeltà di chi ne doveva aver cura. Lasciò lì i bulletti, le bullette, (che avrebbe ritrovato alle medie) pensando che la crescita sarebbe servita a cambiare. Non avevo nessuna idea del bullismo, cyberbullismo, e delle dinamiche del bullismo degli adulti in delirio di onnipotenza. Proseguo…. Abbandono questo ricordo furente! Andammo in un altra scuola, tutto andò mediamente, in fondo gli insegnanti si conoscevano, quindi chi vuoi che dice quello che fa l’altro? Per fortuna incontrammo una giovanissima insegnante di musica che non capiva che i dislessici hanno grande difficoltà anche dal punto di vista della musica: le note e i simboli sono difficilissimi. 46


No! Io... resto qua!

Dico per fortuna che questa insegnante fece tutta una serie di errori con mia figlia, perchè io per farle recuperare il rapporto con la musica e con l’arte la portai in una scuola di musica dove il magnifico Maestro Cristiano la accompagnò per sette anni in una magia. Mia figlia ha scoperto l’emozione delle note, ha seguito un percorso in cui tutto era leggiadro, consolatorio, terapeutico, ma sopratutto la faceva felice! Per tutte queste emozioni positive, andammo ad iscriverla nell’unica scuola in cui si insegnavano percussioni. Le difficoltà del viaggiare erano assolutamente affrontabili, i disagi, le paure di essere così lontane, seguire la scuola i rientri la logopedia, la terapia psicologica, per sopravvivere e imparare a vivere dopo l’episodio della scuola media erano tutti sacrifici fattibili in nome dell’amore per la sua passione. Noi qui in casa comprammo il necessario, una casa acquistata miratamente perchè negli appartamenti non era possibile suonare liberamente la sua musica. Così con la scusa della cresima e con la grande complicità dello straordinario Maestro Cristiano, le feci trovare una batteria tutta sua. Indimenticabile la sorpresa, la sua faccia appena la vide, in un angolo di garage. Fu così bello che non riuscimmo a scattare foto, quindi il ricordo è nei nostri occhi! Che momento…. Ripagava ogni dolore, la sua estasi davanti alla sua batteria. Cominciò ad allenarsi per andare a scuola da sola, a 60 km da casa! 47


No! Io... resto qua!

Ho sempre avuto un aiuto dal Signore! Dove andò a studiare, abitava una mia “sorella dell’anima” madre di due figli con cui avevo vissuto in passato un momento difficile, questo ci ha unito per sempre. Mi ha aiutato ad educare mia figlia ai viaggi, ad orientarsi, a diventare autonoma! Dal mio paese alla città in cui avrebbe studiato, la differenza negli spostamenti era come essere in una media città italiana e trovarsi catapultati in una metropoli. Si cominciò a giugno prima com me, in treno: “qui si fanno i biglietti, chiedi sempre andata e ritorno… conservali con cura, non aver paura, dalli solo al controllore in divisa, guarda come faccio io, chiedi a lui notizie, aiuto, stai sempre vicino al personale di servizio sui mezzi, chiedi le fermate, sapranno che sei piccola e ti aiuteranno!” In effetti devo dire che alcuni erano meglio di altri, il personale più giovane o le donne erano più pronti e accoglienti, forse gli altri erano un po’ stanchi e appiattiti da anni di duro lavoro e molta maleducazione a bordo da parte di utenti potrei dire pericolosi brutali, che non permettevano più di distinguere una ragazzina per bene da un branco distruttore. Mi ricordo una volta che salii a bordo tornando da non so quale ennesimo incontro (purtroppo la scuola che incontrammo non fu la scuola che avevamo sognato)….. e una madre mi disse a proposito del costo del biglietto: “io a mio figlio non faccio comprare il biglietto, e nemmeno faccio 48


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abbonamento, se lo trovano pago 30 euro…. E i controlli quasi non ci sono…. Quindi figurati, capace che in un anno lo multano due volte… pago in tutto forse 60 oppure 90 euro… tu quanto paghi l’abbonamento?” E io che avrei voluto darle un pugno: “ quasi 500 euro da settembre ad agosto”… risposta: “ambhé…. Ma sei ricca? E che je devo pagà sti cessi!” Nascosi tra le mani il mio biglietto, magari mi avrebbe insultato sapendo che oltre all’abbonamento per mia figlia io pagavo pure i miei viaggi… 4,60 euro andare e 4,60 euro tornare…. Ecco questo è l’esempio di ineducazione genitoriale di cui parlerò più avanti. Continuammo “l’addestramento” qualche volta con me, qualche volta da sola, alla fermata la aspettava il figlio della mia amica Libera, la portava sull’autobus urbano e le fece capire il numero da prendere per arrivare tranquillamente davanti alla scuola. Arrivò il giorno: il primo giorno di scuola. L’appello: il suo nome…. si comincia. Vai creatura….vai nella tua magia, ascoltala.. assorbila, fai i voli magnifici a cui il tuo Maestro ti ha preparato. Sveglia alle 5, treno alle 6.16, ore 7.15 arrivo in stazione. Poi preferire il piccolo viaggio a piedi, per svegliarsi dal torpore del viaggio… e magari l’autobus sovraffollato di studenti… o in ritardo era motivo di ansia! A volte pioveva, altre volte il vento gelido, l’inverno… Ma niente faceva demotivare! La dislessia…. A già…quella c’era, ma mia figlia giocò di contropiede. Si consigliò con le insegnanti tutte eccellenti, (tranne uno, anzi due il prof bullo e il suo gregario) dopo qualche periodo di riflessione, mia figlia decise: 49


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chiese permesso e al posto della lezione di italiano ci fu la lezione sulla dislessia! La classe fu splendida: “davvero? È per questo che usi il tablet? Che figata…. Sei come noi… solo che studi in modo diverso…. Anzi…sono dislessica anche io…!” Mia figlia mi raccontò che era stato bellissimo dirlo, i compagni non avevano nemmeno pensato vagamente a tormentarla! Ma le materie erano difficili, doveva sforzarsi tantissimo, il quadretto idilliaco cominciò a presentare delle crepe! Lei pensava a vivere come l’età voleva, era inserita accettata, era NORMALE. Ma non tutti rimasero accoglienti come nel primo momento! Alcune amicizie cominciarono a incrinarsi, cominciò la solita storia del: “non vale… lei usa gli strumenti….!” L’ignoranza e l’indifferenza di alcuni insegnanti accentuarono questi risentimenti. Nacquero incomprensioni adolescenziali, ma non gestite divennero tormenti, poi persecuzioni, poi vendette. Era solo il primo anno, a metà era già difficilissimo, ma non voleva mollare, allontanarsi da alcuni insegnanti: la prof di percussioni, quella di canto. Il gruppo classe, quello che ha continuato a restare e cammina ancora oggi con noi,era doloroso, ad un certo punto era in mezzo al guado. Ci furono vari episodi che misero a rischio la vita sociale di mia figlia: Uno importante e decisivo, fu la sua scesa in campo a difesa di una compagna mirata dal bullo, dopo molti episodi difficili la ragazzina si confidò, lei riconobbe la tattica bulla, convinta di saperlo fronteggiare lo sfidò apertamente. 50


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Ma c’è una regola che non aveva considerato: “mai scendere in campo contro un idiota: ti porta al suo livello e ti batte con l’esperienza”. E infatti la sua bullaggine ebbe presto la meglio! Altro esempio per dire quanto marciume c’è nell’anima degli esseri viventi: Venne il giorno del saggio: mia figlia era abbastanza brava aveva fatto progressi, nonostante il bullo la tormentasse nelle lezioni, distraendola affinché la sua delicata capacità di attenzione fosse azzerata, solo per vendetta contro la sua presa di posizione a favore della vera bullizzata, o per invidia o per aver più volte affermato che una femmina non suona le percussioni, cosi come il gregario avvalorava. Ci sedevamo nella sala preposta al concerto, davanti a me, un uomo aveva dei tratti estetici speciali da essere indimenticabile, ma sarebbe rimasto solo un tizio particolare se non fosse stato il modo di esprimersi: “ma ndo va quella….!” Sogghignava, deridendo una creatura che non era in competizione con suo figlio, dotato di suo talento, a cui mia figlia non sottraeva niente, al suo momento tutti avrebbero ammirato la sua bravura, che motivo c’era di deridere facendosi vedere, esibendo il suo sprezzo! Tesi orecchio e ascoltai meglio. Non so scrivere le parole, ma l’atteggiamento di sfottò in pubblico giustificava l’ineducazione e la crudeltà del figlio! Mi sporsi…. Bussai con la mano sulla sua spalla e dissi:” E’ brava, non trova?…sa quanto è difficile per quella ragazzina 51


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stare lì? Sa quanto ama quello strumento? Sa a che ora si alza e quanti sacrifici fa per migliorare? Che fastidio le dà?” Nonostante non si potesse vedere bene il suo imbarazzo sono certa che era viola per la vergogna! Farfugliò: “beh si si veramente da ammirare… tanto coraggiosa… molto brava!” Abbasso la testa, scivolò sulla sedia… e la sua degna metà gli sibilò: “ma non puoi stare zitto…. Te l’avevo detto!” E se questo succedeva in pubblico, che cosa insegnavano a questi figli? Ed ecco: L’ineducazione genitoriale ecco cosa produce: esseri senza sentimenti, involucri da coprire di ogni superfluo affinché non si veda il putrido, il nulla! Capimmo che gli atti dei persecutori spalleggiati o almeno non ostacolati da alcuni insegnanti stavano rovinando un sogno, un volo libero. Si avvicinava il precipizio, dovevamo dare le ali o sarebbe precipitata! E arrivò il delirio….. La vendetta per certi atteggiamenti non graditi, mentre altre lasciavano che succedesse. “In fondo una maglietta un po’ più scollata mi fa avere la sufficienza, se basta questo… ma che importa?” No, lei non lo volle accettare e pagò. Rimandata a un’unica materia con 5,65 e tutti a dire: “fai ricorso…il consiglio non era d’accordo…ma lui è un insegnante potente…fa il bello e il cattivo tempo….domina su tutti, ma fate ricorso!” 52


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Nemmeno questa volta ci si ribellò. Si accettò il verdetto e si cercò la migliore insegnante e si studiò tutta l’estate. Una tesina esemplare, lo studio della materia su molti libri, imparò cose sull’argomento che a lezione a scuola non erano mai state trattate. E il Prof ? Si venne a sapere cose che era un supplente senza l’abilitazione all’insegnamento. Chissà come mai stava lì! E come due terribili avvoltoi, quella mattina aspettarono la loro preda! Certo avessero incontrato la ragazza di oggi li avrebbe uccisi a colpi di sapienza, sicurezza, conoscenza dei suoi diritti, li avrebbe guardati in faccia e obbligato ad alzare lo sguardo. Non c’era scollatura a meritare la promozione, il rischio bocciatura non bastava a svendersi! Ma era ancora troppo impaurita dalla vita precedente, ci fidammo, rassicurati dal fatto che fuori dal portone, sulle scale fece lezione e insegnò al suo compagno rimandato alcuni capitoli in riassunto così che lui fosse solo meno impreparato di come si era presentato. Allora entrò dovevano essere gli esami scritti, lo furono ma non venne assistita, non venne messa in pratica nessuna delle procedure prevista per un DSA, fu uno sfottò. la deridevano, la umiliarono, la spezzarono! Poi vennero gli orali… e qui, per essere certi di avere la vittima capitolata, i due gaglioffi insegnanti annunciarono: “beh gli scritti sono stati scarsi, vediamo cosa saprai fare con gli orali!” Mia figlia ricorda ancora lo sguardo viscido del capo branco. “Dimmi… quante uscite ha un mixer?” Un mixer???? 53


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Si era preparata su tutto il possibile della tecnologia sapeva dire come era fatto tecnicamente un microfono, aveva studiato ogni cosa, tutto il programma previsto dal foglio consegnato a giugno. Un mixer… quante uscite ha un mixer? Il panico… quante ne ha un mixer! E poi vede che si danno di gomito, la deridono... Si sente morire e dice qualcosa: “dipende da quanto è grande il mixer!” Le ridono in faccia e lei esce correndo. Arriva da noi che la stiamo aspettando fuori: “racconta tutto!” Parto io come un’animale infilzato, li vado a cercare e anche se si fanno aspettare per ore io non mi muovo: devono dirmi cosa è successo, cosa hanno contro mia figlia. Non basta, pensano che se aspetto mi placo, invece mi infurio di più, so chi sono, so cosa hanno fatto, so cosa non ha ottenuto il capo… e so che non lo lascerò andare. Alla fine vengono in coppia, “il gatto e la volpe”. Uno guarda a terra e farfuglia che non è andata male, che sono state usate le misure compensative, che le è stato dato il tempo previsto. L’altro, con aria spavalda a voce alta… assicura che tutto è a posto, ci tende la mano: “senza rancore… non facciamoci problemi, non ci contrapponiamo…collaboriamo…- e aggiunge una frase balorda- per il bene della ragazza!” Chiediamo di parlare davanti a mia figlia che si aggiunge al gruppo e da bravi imbonitori la placano e lei si calma, crediamo tutti che andrà bene! Solo un malinteso, ci vogliamo talmente credere che ci crediamo. 54


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Feci uno sforzo pazzesco, il mio intuito mi diceva di stare in guardia. Ma non volevo che mia figlia rinunciasse al suo volo. Arrivammo al giorno di inizio del nuovo anno, 11 settembre, mia figlia aveva perso la passione, era terrorizzata ora che sapevamo per certo che i due stipendiati e alcuni bulli in classe si erano palesati. Lei era così spaventata, diceva di non voler tornare in quella scuola, ma stavolta, pensai che se avessi insistito e l’avessi incoraggiata, l’avrei anche resa più forte insegnandole che per ciò che si ama, si lotta.. si resiste! “Non devi interagire con loro, lui ti dirà di studiare da pagina a pagina… lo farai, abbiamo le insegnanti che paghiamo noi per aiutarti, non farti vincere stai in classe e studia, ignora tutti! Hai il tuo gruppo di amici fidati, sta con loro!” Uno due tre quattro giorni….. Il maledetto 15 settembre 2015 arrivò….. “Prendi il treno, vai a scuola, non ti lamentare, devi fare questo anno, sarà il biennio, se non resisti, cambierai, ma questo anno lo devi fare! Anche la psicologa dice che sei preparata, che puoi resistere, solo i primi giorni, poi ti riallinei e tutto sarà sopportabile, vedi gli insegnanti che ti vogliono bene, ti sostengono…. Resisti!” Ore 17,30 la prendo alla stazione, quel giorno era stata dalla psicologa all’uscita da scuola! 55


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Di solito le facevo compagnia chiacchierava al telefono con me, riempivamo il tempo tra la città e l’arrivo alla stazione. Quel giorno era sofferente, neanche essere stata dalla psicologa aveva giovato! “Non sto bene, mi sento strana oggi a scuola quello scemo - (così lo chiamerò da adesso in poi) - ha fatto una cosa che mi fa stare male, spero che passa” “Che cosa ha fatto stavolta?” “E niente, il prof ci stava facendo sentire un brano musicale, io stavo al mio posto davanti alla LIM ma la musica non si sentiva bene, era o troppo alta o troppo bassa, ci siamo accorti che lo scemo stava facendo qualcosa, perchè ridacchiava del prof che non capiva il problema! Ha scaricato sul telefono il telecomando della LIM, quando il prof alzava lui abbassava, oppure il contrario!” “E nessuno gli ha detto basta?” “Seee…mamma, meglio lasciarlo perdere, fa peggio se si incazza! Però… ad un certo punto c’è stato un suono un rumore che mi è entrato nell’orecchio! Il prof ha pensato che le casse avessero qualche problema, le ha scollegate, ma io continuavo a sentirlo un rumore forte e poi un ronzio….non usciva più dalla testa! Poi ho iniziato a prendermi a schiaffi il viso…. Me lo ha fatto notare la mia amica!” “Ma perchè ti sei data gli schiaffi sul viso?” “Non lo sento! Non sento questa parte del viso! Dopo il rumore delle casse” vero che parlava male, ma credevo fosse la linea del telefono o il fatto che era stanca della giornata! Arrivo alla stazione: Che strana… sembrava imbambolata, parlava male, era 56


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come disorientata, guardava avanti e parlava pronunciando male le parole, una voce indimenticabile…. Quanti pensieri in 5 minuti di macchina…. “che le è successo? Perchè parla così, che le avranno fatto? Dopo sento la sua dottoressa forse lo ha detto a lei?” Arriviamo a casa: “Vado a letto!” Ho mal di testa ho la nausea”. A già finora non avevo mai nominato la nostra struggente emicrania! Ne soffrivamo con una intensità che a volte spaventava anche i medici del pronto soccorso dove mi recavo ogni tanto per farmi aiutare con gli antidolorifici mirati. Questa volta non era solo emicrania ma non potevo fare niente, aveva un viso incredibile…. Era frastornata, io so come diventiamo con l’emicrania, quello non era niente che conoscevo! Ho accettato che andasse a letto solo per non provocare altro stress! Alle 5 della mattina, come ogni mattina entrai in cameretta. Piano, come facevo sempre la chiamai: “svegliati, ti richiamo tra 5 minuti” Intanto preparavo il caffè e i biscotti, uno o due solo per prendere il caffè e svegliarsi! Di nuovo: “sveglia… è ora!” E da quel momento la nostra terra si è aperta sotto i piedi…. un feroce improvviso vortice di dolore che non posso farvi vedere, qualcosa che si prova solo con la morte tragica e inaspettata può avvicinarsi a tanto, ci afferrò straziando e facendo esplodere ogni equilibrio! 57


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Un urlo agghiacciante: “Spegni la luce! Non ci vedo, hai una luce fortissima intorno, mamma spegni le luci!” “Ma che dici? non ci sono luci accese, entro come sempre con la luce del corridoio, non è accesa la luce della camera! Che luce vedi? Hai l’emicrania? Ti do la tachipirina, riposa un altro po’. Se non ce la fai ti porta papà!” Inizia una attesa eterna… alle 7,30 decidiamo di partire con la macchina, quindi preparo l’altra figlia che accompagnamo a scuola e partiamo. Entrerà alla seconda ora, ma non basta, sta troppo male, si vede… imbambolata, non apre bocca e non si muove! Tre quarti d’ora, spero stia riposando, arriviamo all’ingresso della città, lì c’è il bivio: prima uscita scuola… seconda ospedale! Chiedo: “stai male? Vuoi andare in ospedale? Dimmi tu: scuola o ospedale?” Una voce indimenticabile si sentì per un secondo…il tempo di pronunciare la parola: “ OSPEDALE!” Arrivammo al pronto soccorso: “Ieri in classe è successo questo, dice di non vedere di non sentire, un dolore tremendo alla testa” In un lampo la portano via, e in mia presenza la visitano. La visitano in processione, non vede con l’occhio sinistro…. Molti pensieri orribili affollano la mia mente… se ti potessi avere tra le mani…. Vieni a vedere brutto idiota, guarda uno stupido scherzo… come ti senti… essere maligno? 58


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Intanto altri medici passano: non piace nemmeno come sente e si decide per una visita dall’otorino: “Non sente, non dovrebbe essere permanente, vediamo in quarantotto ore come va, intanto le daremo dosi massicce di cortisone, per farla guarire!” Dice un otorino scandalizzato dal racconto dei fatti che mia figlia fa! Tra alcuni compagni intanto si sparge la voce che non è vero che si trova in ospedale, che si sta inventando tutto, allora comincio a scattare foto! Ancora in pronto soccorso, arriva un neurologo: “mi dispiace, io non posso farla uscire, la parte sinistra del corpo non risponde come la destra, non posso dichiarare ora se c’è o no un danno neurologico! Ma qualcosa è successo!” Già ….. qualcosa è successo! Uno scherzo? Una ragazzata? Non si è reso conto? Inizia un ricovero di una settimana, un supplizio, analisi, visite, risonanze, ma dovevano sedarla perchè non riusciva a stare sdraiata! Comincia una serie di malesseri, se si sdraiava, aveva la vertigine, quindi dormiva semiseduta, su poltrone, farmaci che la sedavano…. Non si stabilizzava! I medici venivano di continuo, molti erano increduli, inferociti per quel dolore indotto e scatenato da una bravata. E lo “scemo”? Un pomeriggio mi chiama: “pronto, signora, sono io quello che ha fatto lo scherzo, si ho fatto proprio così…. - e 59


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mi racconta esattamente quello che mi aveva raccontato mia figlia- ma non pensavo di fare danni!” Non ho ragionato più, ho iniziato ad urlare: “Bestia immonda… deficiente lo sai come ti chiamano… lo scemo… e tu sei scemo… vieni qui a vedere cosa hai fatto, disgraziato se mi capiti a tiro ti prendo a sberle da rifarti la faccia….!” “Lei è una maleducata!” Mi dice “…Pure… a sono una maleducata? Se ti prendo divento una pregiudicata…!” Ricordo come ora la bile in bocca, una furia di rabbia e dolore… aveva chiamato me per dire che lo aveva fatto… che non aveva pensato che potesse succedere un problema che il prof se ne era pure accorto che lui stava usando il telefono, gli aveva detto: “mettilo via!”… e che lui aveva fatto finta, la classe rideva… già… ma non tutta la classe: una di loro stava pagando lo scherzo! La cosa più assurda di tutta questa faccenda è che i due professori (il gatto e la volpe) hanno promosso l’altro ragazzo. Solo che non hanno mai saputo che tutto lo studio era frutto di tanto impegno e lavoro da parte di mia figlia! Lo sapranno ora! A novembre arriva una lettera del comune. Io e mia figlia eravamo in macchina, non so da dove stavamo tornando. Dissi : “aprila, sarà una solita comunicazione della mensa o delle tasse da pagare!” E lei legge: “ci chiamano gli assistenti sociali, vogliono vedervi, a te e a papà! Mamma che vogliono?perchè gli assistenti sociali?” “Qualche pratica burocratica, non è niente, stiamo in regola, forse abbiamo sbagliato qualche cosa in qualche 60


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pratica!” Nella testa era sceso un turbinio di concetti, idee, pensieri e soluzioni, tutte contemporaneamente! “niente piccolina…ci pensa la mamma…siamo guerriere, ricordi? A noi non ci fanno niente abbiamo la corazza!” Torno a casa con una serenità glaciale. Divento una furia appena posso, appena i figli si allontanano: “trova il motivo per cui ci vogliono vedere! Se pensano di avvicinarsi alle nostre figlie... tempo che vedo a che ora ci sono gli aerei e sparisco!” Lo dissi al padre, all’avvocato, a chi in quel momento mi seguiva. Non c’è stata una sola telefonata o visita, per sapere cosa fosse successo a mia figlia, visto che ne parlava tutta la scuola. I silenti, i latitanti, i vili, avevano segnalato il ritiro della ragazza, immaginando fosse contro la sua volontà. Gli assistenti sociali del Comune dovevano accertare che mia figlia fosse consenziente a lasciare quella scuola, ma in quanto in obbligo scolastico dovevo comunicare in che scuola la stavo trasferendo! Mi placarono, mi dissero che non era niente di difficile! La nostra legale disse di andare tranquilli, andammo con la cartella clinica. Non ne sentimmo più parlare! Il prof bullo, sospese la lezione e ne fece una su come mia figlia: “aveva problemi di suo, che un rumore anche se improvviso possa arrecare danni neurologici, ma nemmanco se… allora i cacciatori? O quelli che lavorano? Sicuro che ha problemi ma non è stato lo scherzo a provocarli.” 61


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Diffamava una alunna non presente, cercava di imboccare gli alunni. Alcuni per comodo o per inesperienza avvaloravano: “beh strana è strana!” Lui ( lo scemo) si sentiva in una botte di ferro. Pure il mega prof lo proteggeva, chi lo toccava? E infatti ricominciò a terrorizzare la classe: una ragazzina prese una pallonata e finì svenuta, altri continuarono a offrire qualche spicciolo per le sue merende, e tutto continuò... Molti alunni della scuola (non della classe) si rivoltarono contro questo ragazzo viziato. Cominciarono ad apparire scritte sui muri esterni, qualcuno finalmente si dissociava dal teppista! La madre del bullo la ricordo: la vidi una sola volta alla prima riunione del primo anno quella in cui i professori ci spiegano come si procederà, ci si guarda un pò tutti, si cercano visi empatici. La mamma era una biondina piccola, non l’avrei notata, se non avesse detto una frase: “sono la madre di…. Beate voi, a me ha dato sempre problemi a scuola!”... Avessimo capito di che genere di problemi parlava, avremmo chiesto subito di vigilare! Comunque dovevamo affrontare la guarigione. Dovevamo curarci tutti. Eravamo sfiniti e sapevamo di essere solo al primo gradino di una scala lunghissima e impervia! Mentre il sostegno psicologico continuava, cominciammo a parlare di ritorno a scuola, ma appena lo dicevamo, i progressi regredivano! Si decise di provare altrove, ma in questa regione i licei, le 62


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scuole sono due, e solo una ha la sezione percussioni! “La musica è così bella che non la voglio sporcare con la scuola, la conoscerò da sola! Frequenterò altre scuole!” Cominciammo a cercare: Liceo scientifico? No troppa matematica e formule, con la discalculia diventa un supplizio, se poi non piace la materia! Liceo classico? No , sono troppe le cose da sapere, greco, latino, letteratura e tante cose…non ce la fa! Cominciò a farsi avanti il concetto di umanità, di psicologia, non so come forse dietro consiglio di chi ci seguiva, cominciò a delinearsi Scienze Umane! Bene: Scienze Umane sia! Era novembre circa, mesi a cercare telefonare, sentire…. Tra le tante telefonate una mi lasciò quasi morta: “pronto dovrei iscrivere mia figlia, è successo questo, dobbiamo cambiare scuola!” Racconto per filo e per segno, in modo da non dover poi trovarmi di fronte a persone impreparate. Una risposta indecente: “si signora, intanto denunci la scuola e tutto quello che è successo! Ma poi un consiglio: non iscriva sua figlia in una scuola di questo livello, sa i DSA…poverini, non ce la fanno…. Si gli strumenti compensativi, i piani didattici…ma guardi per me, se lei la segna ad un bel corso come aiuto cuoca, o pasticceria o estetista…magari sa quelle che vanno tanto adesso…quelle che mettono gli smalti! E’ un consiglio, mica possiamo essere tutti intelligenti allo stesso modo!” “lei dice vicepreside? Si forse ha ragione… non possiamo proprio essere intelligenti allo stesso modo, lei non ha mai visto mia figlia e ha capito che non può stare con voi! 63


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Grazie, lo penso anche io!” Io non so più piangere, mi urla la furia dentro! Altro numero di telefono: “Un posto qui vicino….no qui vicino no…potrebbero trovarla le bulle, i bulli…potrebbe non sfuggire al suo passato!” Non ho scelta: “pronto…sono la mamma di una ragazzina quasi ammazzata dal bullismo… ha tempo di ascoltarmi?” Una voce che è diventata la melodia della mia vita: “sono il preside mi dica, la ascolto”. Raccontai tutto…. Non tralasciai niente. “Lei la vuole mia figlia? Non la deve sopportare, solo se la vuole”. “Sua figlia è già una mia allieva, sono onorato di averla in questo istituto! Aspetto tutta la documentazione, dia tutto in segreteria, ci pensiamo noi”. Abbiamo vissuto una vita senza aggettivi, non esiste un modo per descrivere tutto quello che ci è successo, non ho raccontato tutto….questo è un volo sul tetro, sul nero viscido, sul dolore indescrivibile! Ma siamo arrivati, qui troviamo riposo, cura, comprensione, qui c’è giustizia, qui c’è la possibilità di respirare! Una mano ferma sicura, sta allontanando questo vischioso dolore! Prende decisioni e se ne assume la responsabilità, si frappone tra noi e il dolore! Un guerriero potente positivo! Comincia l’avvicinamento! 64


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Si prova il reinserimento! Facciamo così: Per non perdere l’anno, siccome si cambia completamente scuola, dobbiamo fare degli esami: deve superare il primo anno, ma anche il secondo… rientrerà nell’anno in corso…. Ma le crisi di rifiuto al solo varcare la soglia erano durissime, non si poteva! Il danno psicologico era spaventoso! Anche in questa scuola qualche bulletta c’era….ma qui il polso fermo e risolutivo, impediva che si superasse la soglia! Mia figlia non ci riuscì! Non rientrò! Cominciammo un percorso estenuante: homeschooling! Quando era il momento, il Signore mandava la cavalleria. Ed ecco mando l’angelo più grande scelse ciò che serviva: la fermezza! La dolcezza, la via perfetta: Doris! A casa Sara, al centro: Doris, Cristina… la psicologa impagabile Silvia Ci lasciammo circondare! Ci guidarono, spronarono, incoraggiarono, consolarono! Due anni in uno! Ad agosto del 2016 si presentarono due magnifiche guerriere. Entrarono per tre giorni, dieci esami. Dieci battaglie contro il terrore! Tutte vinte! La classe venne a sostenere una compagna “fantasma”…. Vennero a prenderla per mano! Furono un spettacolo magnifico! 65


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E le amiche che a casa l’avevano sostenuta… erano lì! E il primo professore che le insegnò i rudimenti di latino... era lì E tutti quelli che avevano ricostruito l’armatura intorno ad un essere sbriciolato... erano lì Avremmo potuto denunciare, portare in tribunale tutti… Ma che avremmo ottenuto: un risarcimento? Una ricompensa, un bullo punito? Una bulla additata? Il bullo la bulla sono in sintomo, noi dobbiamo fare il nostro meglio! Non serve essere vittime silenti, la vita che abbiamo vissuto ci ha dato una forza diversa! “Mamma noi bullizzati siamo di ferro… abbiamo una corazza, ci ammaccano, ma non ci abbattono, noi siamo ragazzi di ferro!”

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è vero…lo siamo…forza alziamoci serve una associazione! Facciamola! Faremo incontri, parleremo, li faremo parlare, ci staranno a sentire. Lo dobbiamo dire che di bullismo si muore…lo devono sapere che il dolore rende inermi. Ciò che ti ha fatto ridere per pochi minuti…. Ha distrutto le vite di tanti! Troppi sono a non aver la forza di dire “sto male”

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Dal 4 maggio 2017 esiste la nostra associazione “I ragazzi di ferro” Tutto quello che facciamo lo potete vedere nel nostro sito, nelle nostre iniziative, nei nostri incontri! Non ci fermeremo finchè una insegnante strattonerà una bambina, la umilierà, finchè chi deve educare non tornerà a farlo, finchè chi deve vigilare non si assumerà la responsabilità del ruolo che liberamente ha scelto di ricoprire!

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Dedicato a tutti quelli che ci hanno permesso di resistere: Alla nostra legale Maria Grazia Luchetti, senza di lei, non avremmo avuto la forza di trovare le vie di uscita per poter camminare spedite. Al centro F.A.R.E. e a Marina Locatelli che ha permesso le terapie alle nostre figlie da madre, da amica, oltre che da dirigente del centro. Un abbraccio immenso per la pazienza va a Caterina del centro F.A.R.E. Quanti anni al telefono ad ascoltare! Alla dottoressa Silvia Alessandri, se mia figlia è magnifica è perchè i primi passi li ha fatti con lei. Cristina della scuola media: Al vicepreside Boco, ancora saldamente al suo posto. Le insegnanti che sfiorarono e accudirono mia figlia in quello scorcio di terza media! La dottoressa Silvia Leonardelli, che sta assistendo in modo mirabile la ricostruzione di una ragazza di ferro Un grazie speciale a chi ha permesso a mia figlia di rialzarsi, rimettersi al suo posto, proseguire il percorso per prepararsi al meglio. La vita che verrà, avrà sempre il segno della salvezza in un nome: Sergio Guarente A tutti quelli che in questo mio scritto non ho citato, chiedo scusa, vi prego fatevi vivi, ditemi: “io c’ero!”

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A Giuliano, che non ho mai nominato, non l’ho fatto perchè ho volato dentro di me, ho aperto tutte le mie ferite e ho guardato, ho sofferto, sono stata sul punto di non continuare! Lascio a te la prossima edizione, lì parlerai tu…. Perchè il bullismo ci ha uccisi, ma non divisi! Grazie a tutto lo staff CESVOL, in particolare alla grande Arianna, sempre disponibile preziosa professionista indispensabile, nessuno è obbligato a fare oltre il suo dovere, se lo si fa, è perchè si è speciali, e tu lo sei! A parte, in un modo speciale, con una amicizia unica e indissolubile, che andrà oltre la lontananza e la conoscenza fisica, il mio riconoscimento a Cetty Mannino, che mi ha guidato, insegnato, spronato, lasciandomi poi libera di entrare nel mio dolore e raccontare, restando vigile in silenzio, rispondendo sempre a ogni mia richiesta. Il Signore sa di che angeli ho bisogno, e da buon Padre, quelli proprio mi manda…. Grazie amica cara!

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La Legge n. 170 dell’8 ottobre 2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia quali disturbi specifici dell’apprendimento “Che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana”. (Art. 1) La legge 170 tutela il diritto allo studio dei ragazzi dislessici e dà alla scuola un’opportunità per riflettere sulle metodologie da mettere in atto per favorire tutti gli studenti, dando spazio al loro vero potenziale in base alle loro peculiarità.

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