Santa Gianna Beretta Molla
Una mamma per la vita
a cura del Centro Missionario Francescano delle Marche laperlapreziosa@libero.it
Introduzione «Gianna era una donna splendida, ma assolutamente normale. Era bella, intelligente, buona. Le piaceva sorridere. Era anche una donna moderna, elegante. Guidava la macchina, amava la montagna e sciava molto bene. Le piacevano i fiori, la musica, i viaggi». Gianna è donna normale che fa cose normali. C’è però uno “spirito” particolare che riempie d’intensità le sue azioni e dona valore di perfezione a tutto quello che lei compie. Ce lo svela ancora il marito Pietro: «Non ha fatto cose eccezionali, non penitenze eccezionali. Sentiva e attuava i suoi doveri di sposa, di madre e di medico con piena disponibilità ai disegni ed alla volontà del Signore, con spirito e desiderio di santità, per te e per gli altri». Ecco il segreto: il desiderio di santità, cioè il cercare di amare sempre meglio, con una carità simile a quella di Gesù, a immagine del Cristo che dona la vita per la salvezza dei suoi amici, nel caso di Gianna per il frutto del suo amore sponsale, la piccola Emanuela. La santità laicale è intessuta di cose semplici e quotidiane, ma se vissuta fino in fondo, nella continua unione con Cristo, arriva ad esprimersi con una forza eroica e con abbagliante purezza. «Ecco la madre cattolica», disse profeticamente di lei il medico ebreo che l’aveva operata rispettando il suo desiderio di offrirsi in cambio della vita della figlia. Ecco per noi tutti un esempio che illuminerà la Chiesa per sempre.
Una cartolina profetica La vita di Gianna Beretta Molla affonda le sue radice umane e spirituali in una feconda famiglia cristiana. Il papà, Alberto, era impiegato a Milano nella ditta Cantoni. La mamma, Maria De Micheli, di origini milanesi, aveva sentito da giovane l’attrazione verso la vita claustrale, ma, attraverso la preghiera e i consigli del confessore, aveva scelto la via del matrimonio, stabilendo che il suo chiostro sarebbe stato una sua famiglia. Alberto e Maria si erano sposati a Milano, nella chiesa parrocchiale di San Bartolomeo, il 12 ottobre 1908. Fra numerose felicitazioni e graditi auguri, in quel giorno di nozze, pervenne alla ventunenne sposina una cartolina d’auguri che riportava una graziosa vignetta, che aveva tutta l’aria, un po’ seria e un po’ scanzonata, di una proposta: mostrava tredici bambini, sorridenti, dentro una grande pentola. In basso, la didascalia invitava: «a scelta». La sposina Beretta senza riflettere troppo, rispose: 2
«Tutti!». Concorde nella decisione lo sposo. Il loro «sì» all’amore era un «sì» pieno ai figli, che ne sono un frutto e il coronamento. E i figli vennero, uno dopo l’altro, quasi come acini di un grappolo d’uva, e tredici bambini nel giro di un ventennio cominciarono a chiamarla mamma. Cinque di loro salirono al Cielo in tenera età. Rimasero ad allietare la casa Amalia, che i familiari chiamavano Jucci; Francesco; Ferdinando; Enrico, che poi divenne sacerdote cappuccino, con il nome di padre Alberto; Zita; Giuseppe, pure lui sacerdote, nella diocesi di Bergamo; Gianna; Virginia, che si consacrò a Dio tra le madri Canossiane. Gianna - la decima - nacque a Magenta, città a venticinque chilometri da Milano, sulla riva sinistra del Ticino, il 4 ottobre 1922, giorno della festa di S. Francesco d’Assisi. Ricevette il battesimo l’11 ottobre dallo zio paterno don Giuseppe nella chiesa di S. Martino. Al fonte fu chiamata Giovanna Francesca, ma per tutta la vita il suo nome si semplificò familiarmente in Gianna. Passò l’infanzia nella metropoli lombarda, tornando ogni anno a Magenta con la famiglia per trascorrervi l’estate. I coniugi Beretta erano Terziari francescani, e frequentavano a Milano la chiesa del Sacro Cuore di Gesù, tenuta dai Frati Cappuccini. Ad essi affidavano mensilmente degli aiuti per i poveri che approdavano alla porta del convento. Padre Felice da Desenzano ricorda: «Ho sempre visto i genitori sereni e sorridenti; nei momenti più dolorosi della vita, come nelle malattie e morte dei figli, li ho visti martiri sereni della volontà di Dio, pur avendo in cuore l’agonia e la morte. La grande premura del papà Beretta fu sempre quella di tenere i figli attaccati alla famiglia e lontani dalle occasioni». La figlia 3
Virginia testimonia: «Mai una parola forte o poco controllata venne a turbare la serenità della famiglia, e mai un rimprovero materno non ebbe l’appoggio del padre, o viceversa. L’atmosfera di casa era permeata di serenità e di pace, senza che mancassero i giusti rimproveri e i necessari castighi dati a tempo e luogo». Poco prima di sposarsi, scrivendo al fidanzato, Gianna li ricorda così: «I miei santi genitori, tanto retti e sapienti, di quella sapienza che è riflesso del loro animo buono, giusto e timorato di Dio». I bambini impararono soprattutto da questi santi genitori una fede sconfinata in quel Dio che si fa nutrimento dell’anima nell’Eucaristia. Ricorda Enrico: ««La mamma, pioggia o non pioggia, ogni mattina presto, i suoi figli se li conduceva alla Santa Messa. Ci svegliava non con un ordine o una imposizione, ma con un dolce invito, passandoci la sua mano sul viso e lasciandoci la libertà poi di alzarci o di continuare nel sonno. Ci aiutava poi lei a dire le parole a Gesù prima della Comunione e dopo; ci raccoglieva tutti intorno a lei nel banco della chiesa, dopo averci lasciati un poco soli con il Signore, subito dopo la Comunione, perché parlassimo noi con Lui e, poi, cominciava lei, facendoci ripetere le sue parole: non erano preghiere lette, ma le improvvisava lei, semplici e bellissime». A motivo della salute cagionevole di Amalia la famiglia si trasferì a Bergamo Alta. Gianna frequentò la scuola materna dalle Canossiane e a soli 5 cinque anni e mezzo era pronta a ricevere la comunione per la prima volta. L’aveva preparata la sorella Amalia, ormai ventenne. Il 4 aprile 1928 la bambina, vestita di bianco, nella chiesa prepositurale di S. Grata inter vites, ricevette per 4
la prima volta il Pane del Cielo. Da quel giorno, tutti gli altri furono giorni di Comunione con il Signore. Ricorda il marito Pietro: «Dal giorno della Prima Comunione, accompagnava sua madre, ogni mattina, alla chiesa per ascoltare la Messa e ricevere la Comunione, non badando alle intemperie o all’assillo dello studio, perché la Comunione era divenuta il suo cibo indispensabile di ogni giorno». La piccola Gianna aveva come tutti i bambini anche i suoi difetti. Non sempre era pronta all’obbedienza. Bastava allora che la mamma scandisse a voce alta e sillabando il suo nome, “Giovan-na!”, per farla ridiventare docile e pronta. Durante le scuole elementari, frequentate alla Beltrami, più tardi dalle Suore de La Sagesse e gli ultimi due anni dalle Canossiane, ci fu una data molto attesa: quella della Cresima. La ricevette il 9 giugno 1930, nella cattedrale di Bergamo, dal vescovo Luigi Maria Marelli. 5
Una ragazza solare Dall’autunno 1933 fino all’estate 1937, Gianna frequentò il liceo-ginnasio Paolo Sarpi. A guardare pagelle e registri scolastici, nulla di particolarmente brillante: ogni anno, in quasi tutte le materie, la semplice sufficienza. Anche in condotta e in religione non riportò quasi mai il massimo dei voti. I libri non erano in quel periodo una grande passione per Gianna. Più che a consumarsi sui testi scolastici, si sentiva attratta dall’aria aperta, dal bisogno di muoversi, di fare, dalla gioia di vivere con gli amici e dagli impegni in parrocchia. Ma ben presto capirà che anche l’impegno scolastico è una vocazione per il cristiano. Gli amici di allora la ricordano così: «Sempre buona, sempre allegra... con quel suo viso così sereno e con quel suo carattere tanto dolce... per niente pettegola, sempre sorridente, studiosa... Quando qualcuna parlava male, ella le batteva la mano sulla spalla, sorridendo, come per dirle: “Finiscila, lascia perdere”». Carones Cicci aggiunge che Gianna «non era molto espansiva; erano, però, i suoi occhi che parlavano e che dicevano il suo pensiero, a volte scherzoso e vivace, a volte serio, a volte giudice sempre buono». Una sua insegnante del ginnasio, Giuseppina Tenoni, scrive: «Gianna era una cara figliuola che sapeva conquistarsi la simpatia e l’affetto di quanti l’avvicinavano, per la semplicità e la dolcezza del suo carattere, e per la squisita sensibilità del suo animo candido... Era attenta alle spiegazioni e studiava con molto zelo. Mai una volta colsi sulle sue labbra una parola di noia, di stanchezza, di ribellione. Era molto felice quando riusciva a superare qualche difficoltà con le sue stesse forze». 6
La sorella Virginia, ricorda così le giornate di Gianna: «La meditazione quotidiana del mattino era per lei fonte di gioia, amore e forza. Al pomeriggio, anche se assillata dallo studio, una visita a Gesù Eucaristico costituiva il suo svago e intervallo di distensione intellettuale e spirituale. Portava sempre in tasca o nella borsetta la corona del rosario che recitava ogni giorno: abitudine che risaliva alla prima infanzia quando tutta la famiglia, attorno ai genitori, lo recitava in ginocchio davanti al quadro o alla statuetta della Madonna, sempre presente nella sala». L’esempio di Gianna edificava e trascinava anche gli amici: «Gianna aveva una fede così comunicativa che tutti quelli che la frequentavano, dopo un po’, si sentivano attratti alla chiesa, alla cui vita desideravamo partecipare con più profonda religiosità... Sempre protesa verso tutti, perdonava, sopportava pazientemente pene, fatiche, persone con carattere e punti di vista diversi dai suoi. Preferiva sempre sacrificare se stessa, pur di veder felici gli altri». Una svolta decisiva Dopo la morte della sorella Amalia, donna anch’essa dalla fede eroica, i genitori decisero di trasferire la famiglia a Genova-Quinto al Mare, per dare maggiore possibilità ai figli di frequentare l’università e soprattutto per offrire a Gianna un clima più salubre. Subito la famiglia Beretta si inserì nella nuova comunità cristiana e i ragazzi divennero membri attivi di associazioni cattoliche della parrocchia. Quando si avvicinava ai sedici anni, Gianna partecipò ad un corso di esercizi spirituali in preparazione alla Santa Pasqua. Da quel momento la sua vita ebbe una svolta decisiva. 7
Abbiamo i suoi appunti, da lei intitolati: «Ricordi e preghiere». Una di esse comincia così: «Gesù, ti prometto di sottopormi a tutto ciò che permetterai mi accada. Fammi solo conoscere la tua volontà». Nel diario Gianna fissa dei propositi di vita, stilati dopo la predicazione del gesuita p. Michele Avedano. - Voglio fare tutto per Gesù. Ogni mia opera, ogni mio dispiacere, li offro tutti a Lui. - Non voglio vedere al cinema nessuno spettacolo che sia scandaloso o immorale. - Preferisco morire, piuttosto che commettere un peccato mortale. Voglio temere il peccato come se fosse un serpente. - Non voglio andare all’inferno, quindi eviterò tutto ciò che può far male alla mia anima. - Dirò una Ave Maria tutti i giorni, perché il Signore mi faccia fare una buona morte. - Prego il Signore perché mi faccia comprendere la sua grande misericordia. - Ubbidire e studiare, sebbene non ne abbia voglia, per amore di Gesù. - Voglio sempre recitare da oggi in poi le mie preghiere in ginocchio, tanto la mattina in chiesa come alla sera nella mia camera. - Voglio sopportare qualunque rimprovero. La via della umiliazione è la più breve per arrivare alla santità. - Pregherò il Signore di farmi andare in Paradiso. Con l’aiuto di Dio entrerò nel Regno dei cieli, con tutti i santi e le altre anime. Ha scritto il P. Sicari: «Non è difficile scoprire in questi propositi il tono delle prediche di una volta. Qualcuno dirà, forse, che c’era troppo moralismo; è certo che c’era anche molta serietà e molta voglia di amare Gesù con i fatti e non solo riempendo le agende di belle citazioni, come spesso accade». 8
In prima linea in Parrocchia Questi propositi generarono realmente in Gianna una vita cristiana piena, che le diede la forza e la capacità di assumersi delle responsabilità educative in Parrocchia, soprattutto nell’ambito dell’Azione Cattolica. Insegnerà alle sue ragazze che bisogna rendere la verità amabile, offrendo in se stessi un esempio attraente e se possibile eroico, perché l’uomo ha sempre bisogno di vedere, di palpare, di sentire: «Il dire soltanto non trascina, ma il far vedere sì. Dobbiamo essere testimoni viventi della grandezza e bellezza del cristianesimo. Soprattutto ora che tanti non hanno, intorno alla religione, se non idee false e pregiudizi; oggi, in cui c’è una lotta aperta contro la nostra religione, dobbiamo saper portare la verità e l’amore di Gesù Cristo». La fede non si deve fermare solo alla teoria, ma concretizzarsi in azioni coraggiose: «Bisogna fare, agire... Dobbiamo entrare in tutti i campi,
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sociale, familiare e politico. E lavorare, perché tutte le forze del male, oscure e minacciose, sono congregate. Bisogna che le forze del bene siano tutte unite e costituiscano una diga, una barriera, per dire: “Di qui non si passa”. Oggi, ciascuno iscritto all’azione cattolica è soldato nel campo ove Dio l’ha collocato. Niente paura quindi, perché Dio è con noi». Gianna è però pienamente cosciente che senza preghiera e senza l’aiuto di Dio le nostre azioni sarebbero vane: «La condizione più essenziale di ogni attività feconda è l’immobilità pregante. L’apostolato si fa prima di tutto in ginocchio... Non ci dovrebbe essere mai nessuna giornata nella vita di un apostolo che non comprenda un tempo determinato per un po’ di raccoglimento ai piedi di Dio... Prima di fare, eleviamo l’anima a Dio... Più si sente il desiderio di dare molto, e più sovente bisogna ricorrere alla sorgente che è Dio... Io vorrei che ogni giorno, a turno, ci sia almeno un’aspirante che si accosti a Gesù Eucarestia. Anzi stabiliremo senz’altro il turno. Lista..., due per giorno, d’accordo? Bene, brave! E cominciate fin da adesso a pregare tanto per le anime che non amano Gesù». Gianna è anche consapevole che l’unico vero maestro di tutti è solo Gesù. Per questo cerca di organizzare ritiri dove il Signore possa parlare al cuore delle sue giovani: «Gli Esercizi Spirituali sono una scuola in cui il maestro è Gesù e nella quale impara solo chi studia e presta attenzione. Sono una lotta con noi stessi per scacciare l’altro essere che è in noi che ci porta al male. Sono infine una clinica nella quale siamo venute per 10
rafforzarci se deboli, per fare un’energica cura se abbiamo sintomi di male, per fare tagli decisivi se c’è la lebbra del peccato». Mons. Mario Righetti ricorda: «Spesso mi parlava della “Provvidenza divina” che solo un essere come lei poteva sentire così vicina, così in atto nella vita di tutti i giorni. — “La Provvidenza divina è in tutte le cose, è sempre presente” — mi diceva, e questo concetto deve aver praticamente informato tutta la sua vita. Nelle feste natalizie confezionava pacchi per i poveri, visitava vecchi e malati. Non riduceva la carità al semplice fatto dell’elemosina. Il padre era solito, nelle grandi feste, donare alle figlie una somma in denaro, perché l’usassero a loro piacimento... Un anno, il giorno di Natale, nel pomeriggio, vidi arrivare all’istituto Gianna e Virginia... Avevano ricevuto una cospicua somma e venivano subito a offrirmela per le missioni. Non avevano tollerato che finissero le vacanze per consegnarmela nel loro ritorno a scuola, tanto era il loro fervore missionario». 11
Anni difficili Dopo la morte di Amalia un altro lutto colpì improvvisamente la famiglia Beretta: mamma Maria il 29 aprile 1942 lasciò sulla terra i suoi sette figli, tutti impegnati in studi universitari. La sua vita resterà per loro una luce. Nel testamento spirituale la donna lasciò scritto: «Se il Signore vi chiama al Suo servizio, andate a Lui, ma chi resta in casa sia la compagnia del papà. In qualunque stato di vita siete chiamati, siate sempre fedeli al Sacro Cuore di Gesù, devotissimi della Madonna, di S. Giuseppe e S. Francesco. Desidero che mi mettiate l’abito di terziaria, quantunque mi rincresca di non aver avuto il vero spirito di umiltà di S. Francesco... Perdonatemi se vi ho fatto del male e raccomandate l’anima mia al Signore. Con affetto vi bacio tutti». I sette fratelli Beretta dopo appena quattro mesi dovettero raccogliersi attorno ad un’altra bara: quella del papà Alberto. Dopo questo lutto scelsero di ritornare definitivamente nella casa paterna di Magenta, in via Roma 91. Alcuni già possedevano un titolo di studio: Ferdinando quello di medico, Francesco di ingegnere civile, Enrico pure di medico, Zita di farmacista. I tre più giovani erano ancora alle prese con le università: Giuseppe studiava ingegneria civile e si sentiva chiamato a farsi prete; Gianna e Virginia erano orientate allo studio della medicina. Difatti, nello stesso anno, Gianna si iscrisse alla facoltà di medicina nell’università di Milano, e dal 1942 al 1945 vi frequentò i primi tre anni, studiando con la serietà di chi conosce la responsabilità del proprio dovere, aliena dalle facili pigrizie. Furono anni difficili: la seconda guerra mondiale portò con se violenza, fame e instabilità politica. Proprio Milano assistette alla tragica fine di Benito Mussolini. 12
Un triangolo di vita Oltre che all’Università di Milano, Gianna vive la sua giovinezza a Magenta: le sue giornate si muovono entro un triangolo i cui vertici sono la sua casa, la Chiesa con l’oratorio parrocchiale e l’Università. In famiglia, a turno con i fratelli, deve cucinare, preparare la tavola, riassettare i letti, fare il bucato, stirare, tenere la casa in pulizia e ordine. A pochi passi da casa, Gianna ha la sua chiesa parrocchiale, la basilica di S. Martino, dove partecipa alla Messa nei giorni di festa. Durante la settimana frequenta la piccola chiesa dell’Assunta. Qui ogni mattina alle 7.30, segue con attenzione nel suo messalino il Vangelo del giorno e vive la Santa Messa in profondo raccoglimento. Fuori di chiesa, racconta la sua amica Enrica Parmigiani, «erano momenti di reciproche confidenze, e si faceva a gara per poterla avvicinare. Le sue parole, i suoi discorsi... erano sempre improntati sulla bontà del Signore, la Sua Provvidenza, la ricerca continua della Sua volontà, la fiducia nel Signore, la generosità nell’offrire». Così Gianna riversava apostolicamente agli altri quanto aveva ricevuto attraverso l’ascolto della Parola e nutrendosi dell’Eucarestia. L’altro lato del triangolo di vita è l’oratorio delle Madri Canossiane, la sua seconda casa. Sempre serena, attiva, accogliente, aveva guadagnato le simpatie delle ragazze più vivaci e mattacchione del mondo, divenendone subito l’animatrice in tutto quello che di buono era possibile e doveroso fare. Suor Emma Ricetti la ricorda così: «Era un’anima equilibrata, viveva il cristianesimo integrale,... amava Dio e desiderava e voleva che molti Lo amassero». Un’anima accesa, dunque, decisa ad accendere col fuoco di Dio anche gli altri. Quante volte la si 13
vide organizzare ritiri, corsi di esercizi spirituali, passeggiate, recite teatrali, sempre animate dal doppio fine: educare la gioventù all’amore di Dio e del prossimo, distogliendola dall’egocentrismo e dalle attrattive mondane. Le ragazze, trascinate da Gianna, ne assecondavano con entusiasmo tutte le iniziative: giornate di ritiro, ore di studio, scampagnate, scorpacciate di frutta in casa Beretta, feste d’oratorio con avventurose “cacce al tesoro” e accademie più o meno artistiche. Aiutata dalla sorella Ginia, che si dilettava di fisarmonica, coglieva tutte le occasioni, o le creava, per rendere gradito alle ragazze il soggiorno in oratorio, affollatissimo a quei tempi. Non c’erano solo gite, giochi e feste: l’oratorio doveva preparare cristiani per il mondo, testimoni pronti e coraggiosi della fede in Cristo. Questo aspetto fondamentale era portato avanti da un circolo giovanile dell’azione cattolica, di cui Gianna era una delle animatrici più intraprendenti. A servizio di Cristo povero Gianna sa vedere nei malati e negli ultimi la presenza di Cristo. Per questo fonderà in parrocchia un gruppo della San Vincenzo e vorrà che anche le sue giovani si formino alla scuola vincenziana, fatta di amore e di servizio: «Più di una volta si è recata con piccoli gruppi di ragazze presso infermi, poveri e disadatti, per portare non solo aiuti materiali, ma più che altro aiuti morali, provvedendo talvolta anche alle pulizie della casa ed all’igiene personale». Parecchie povere vecchiette, per assicurarsi un po’ di soldi, infilavano spille di sicurezza fornite da una ditta di Magenta. Avveniva spesso che queste anziane, si trovavano circondate da un’allegra brigata che, 14
sedute attorno al loro tavolo, in pochi minuti smaltivano il lavoro, che loro avrebbero dovuto fare in lunghe ore e giornate. Generosità e fantasia facevano escogitare a Gianna e alle sue ragazze mille iniziative: raccogliere ghiande nei campi per allevare un maiale destinato ai poveri; a carnevale allestire giochi per un ricavato da destinare ai bisognosi; chiedere aiuti a banche e negozi per poter arricchire di premi la pesca di San Biagio, il cui incasso sarebbe stato per le necessità degli ultimi. E tutto questo bene fatto con volto sorridente, più con il cuore che con le mani, in letizia. Nei casi in cui erano necessarie cure mediche, iniezioni od altro, Gianna amava recarsi da sola a confortare, e curare le “sue amiche” come le soleva chiamare. Emilia Garavaglia racconta di aver visto «spesse volte Gianna recarsi in via Pasubio per assistere una vecchietta. Gianna faceva la pulizia delle camere, mentre la sorella Virginia suonava la fisarmonica per fare allegria all’anziana». Insegnava alle sue ragazze: «Il dovere del cristiano è di concorrere a mitigare il dolore e insieme di adoperarsi perché venga santificato, e questo lo possiamo fare mediante la carità, che è ciò che di più bello e di più santo c’è sulla terra... Il cristiano deve sentire nel povero un fratello, anzi qualcosa di più, perché sa che nel povero deve vedere l’immagine di Gesù Cristo stesso, e non dovrà attendere che il povero cerchi lui, ma egli deve andargli incontro e, se occorre, ricercarlo... Se vogliamo costruire un mondo nuovo, dobbiamo distruggere la città dell’odio e ricostruire la città di Dio, cioè l’Amore». E Gianna la sua parte di questo “amorevole restauro del mondo” la compiva con tutta la passione del cuore. 15
Animatrice sapiente Per comprendere l’alto tenore della fede di Gianna, riportiamo qualche brano delle sue catechesi alle giovani dell’Azione cattolica: Quando l’anima è in grazia di Dio, ella diviene una sola cosa con Dio - tempio di Dio. «Chi mi ama, in lui verremo, abiteremo in lui, faremo la nostra dimora in lui». Non abitazione di passaggio, ma una dimora stabile e Cristo rimane finché non lo cacceremo col peccato. Quando facciamo la Santa Comunione, finché durano le specie del Pane e del Vino, noi siamo così fisicamente congiunti con Gesù Cristo che possiamo dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me». Gesù, cessate le specie, scompare fisicamente, ma rimane in noi misticamente per tutta la giornata. Il nostro cuore è quindi il cenacolo vivente, è l’ostensorio traverso il cui cristallo il mondo dovrebbe vedere Cristo. Ragazze, se noi fossimo veramente persuase di ciò, come ci comporteremmo meglio durante la giornata! Il pensiero che ci deve accompagnare in questa settimana è: Per essere apostola, per appartenere cioè all’Azione Cattolica l’anima mia deve essere sempre in grazia, deve essere cioè il tempio, il tabernacolo vivente, devo avere in me la vita divina per poterla comunicare alle anime che mi circondano. Pensiamo spesso che con la Grazia, con Gesù nel cuore, noi siamo «Alter Cristus» Eviteremo certamente di commettere peccati non solo, ma porteremo ovunque la gioia e il profumo di Cristo. Il Signore desidera vederci accanto a Lui per comunicarci, nel segreto della preghiera, il segreto della conversione delle anime che avviciniamo ... 16
Non ci dovrebbe essere nessuna giornata nella vita di un apostolo che non comprenda un tempo determinato per un po’ di raccoglimento ai piedi di Dio. ... Sì, lavorare, sacrificarsi, non per trarne reputazione ma solo per la gloria di Dio. Seminare, gettare il nostro piccolo seme senza mai stancarci. Non fermiamoci troppo a considerare quello che ci sarà. E se dopo aver lavorato nel miglior modo possibile, ne deriva un insuccesso, accettiamolo generosamente; un insuccesso accettato bene da un apostolo, che aveva spiegato tutti i mezzi per riuscire, è più benefico di salvezza che un trionfo. Le vie del Signore sono tutte belle, purché il fine sia sempre quello: salvare la nostra anima e portare tante altre anime sante in paradiso, per dare gloria a Dio. Dobbiamo sorridere a Dio, da cui ci viene ogni dono. Sorridere ai genitori, fratelli, sorelle, perché dobbiamo essere fiaccole di gioia, anche 17
quando ci impongono doveri che vanno contro la nostra superbia. Sorridere sempre, perdonando le offese. Sorridere in società, bandendo ogni critica e mormorazione. Sorridere a tutti quelli che il Signore ci manda durante la giornata. Il mondo cerca la gioia ma non la trova, perché lontano da Dio. Noi, che abbiamo compreso che la gioia viene da Gesù, con Gesù nel cuore portiamo la gioia. Egli sarà la forza che ci aiuta. La salita degli studi Nell’autunno 1945, Gianna si trasferì all’università di Pavia, per iniziare il quarto anno di medicina. Questa facoltà godeva all’estero di maggior prestigio scientifico. Inoltre, avendo un numero ridotto di studenti, questi potevano avere un più frequente contatto con i professori; in più Pavia, rispetto a Milano, era una città tranquilla.
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Come ogni studente, i libri da studiare si presentano come montagne da scalare: «I miei studi vanno abbastanza bene. Certo che è un esame interminabile. Non ho ancora finito il primo volume e sono cinque! Non so come farò a prepararlo; il pensiero di dover mettere in testa tanta roba mi toglie il respiro; chissà quando arriverò al quinto volume. Naturalmente avrò dimenticato gli altri quattro! Ma pazienza, speriamo. Ora io faccio il mio dovere, poi il Signore e tutti i santi del paradiso mi aiuteranno». Al ciel che aiuta, Gianna aggiungeva la sua volontà. La dimostra nel programma-orario stabilito per le sue giornate di vacanza a Viggiona, riempite di riposo, di preghiera, di studio. Racconta a madre Meregalli: «Ed ora le dico chiaramente e sinceramente ciò che faccio e la prego di credermi. Ore 6.30 sveglia; studio un po’ e poi circa le ore 7.30 Santa Messa. Ore 9 riprendo lo studio fino a mezzogiorno. Poi vado a dormire. Alle 15 incomincio di nuovo fino alle 19. Ore 19.30 cena. Ore 21 Santo Rosario. Ore 22 a letto. Quando invece sono stanca, vado in chiesa a fare un po’ di adorazione. Studio sempre all’aria aperta, in un bel prato lontano un poco dal paese, dove non c’è nessuno che disturba. Anche se volessi, in casa non potrei stare perché ci sono sempre tanti bambini che giocano, cantano e gridano. E perciò, con Ginia, me ne vado sempre in luoghi tranquilli». Il suo impegno fu premiato dal successo. Infatti, il 30 novembre 1949, conseguì la laurea in medicina e in chirurgia, con voti 104 su 110. La ventisettenne Gianna era dottore medico, nell’attesa di porsi a servizio degli altri, specialmente dei sofferenti. Parallelo allo sforzo per lo studio c’era in Gianna, studente universitaria, lo sforzo per il controllo 19
e il superamento di se stessa. Documentano questo sforzo ascetico, che partiva dall’umile riconoscimento dei propri difetti, alcune righe di una sua lettera scritta a madre Meregalli: «Verissimi tutti e due i miei difetti. Ostinata, è vero e di fatti faccio sempre ciò che voglio, mentre invece dovrei piegare il “crapòn”. Grazie, madre, mi sforzerò. Per quello che riguarda “alla carità” nel giudicare il mio prossimo, è da un po’ di tempo che cerco di vincermi... E gli altri difetti perché non me li ha detti? Ne ho ancora, e tanti, purtroppo». Il 16 giugno 1946, suo fratello Giuseppe, ventiseienne, studente in ingegneria, fu consacrato sacerdote. Alla consacrazione, compiuta nella cattedrale di Bergamo, Gianna partecipò con delle amiche di Magenta. Una di queste ricorda: «Il viaggio è stato una continua esplosione di gioia. Gianna diceva: - Cantiamo ed esultiamo, compagne. Oggi il Signore ha un Suo ministro in più, uno strumento nelle Sue mani per la santificazione delle anime e la gloria di Dio. - I suoi occhi irradiavano gioia e felicità». Due anni dopo, un altro novello sacerdote in casa Beretta: il fratello Enrico, trentadue anni, laureato in medicina, partì come missionario-medico per il Brasile (con il nome di padre Alberto da Milano diverrà cappuccino nel 1960). Giorno di festa per Gianna anche l’11 gennaio 1950: nozze del fratello medico Ferdinando, che si sistemò in una parte della casa Beretta, aprendovi un ambulatorio medico. Nel 1950 anche la sorella Virginia conseguì la laurea in medicina: si sarebbe poi consacrata a Dio tra le madri Canossiane e nel 1960 sarebbe partita missionaria in l’India. 20
In camice bianco Ogni giorno per dodici anni, dal 1950 al 1962, Gianna indosserà il suo camice bianco per svolgere con passione il suo servizio di medico. Sarà volontaria alla scuola materna delle Canossiane e nel consultorio dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia di Magenta. Pedalando sulla bicicletta o guidando l’automobile, Gianna percorrerà 5 km. di strada, a volte immersa nella nebbia, per giungere nel suo ambulatorio a Mesero, in una stanza a pianoterra di un piccolo edificio. Dopo essersi specializzata in pediatria Gianna, si porrà accanto alle mamme in attesa, per incoraggiarle al compimento del piano creatore di Dio, aiutandole a superare incertezze, angosce, travagli, difficoltà. Non le lasciava sole. Vicino ad esse, sembrava una sentinella a difesa della vita. Le aiutava ad accoglierla sin dall’inizio, comunque fosse sbocciata, come uno splendido dono di Dio e dell’amore coniugale.
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Diventava l’energica difenditrice della vita quando la si voleva spegnere, qualunque ne fosse il motivo. Assumeva allora l’atteggiamento di Giovanni Battista, fra i corrotti, per dire «Non ti è lecito!» alle decisioni sbagliate di volontaria interruzione della gravidanza. Erano precisi ed energici i suoi «no» alla strage degli innocenti, alla soppressione del nascituro indifeso. Al suo ambulatorio di Mesero, un giorno, si presentò un uomo a chiederle una medicina per la sposa decisa ad abortire. Gianna, con immensa tristezza rispose: «Proprio a me la viene a chiedere? E’ peccato uccidere nel seno!» Le testimonianze del suo lavoro amoroso tra i malati sono numerosissime: «Sanava ed alleviava i suoi fratelli. I poveri e gli umili erano i malati preferiti dalla dottoressa Gianna, ai quali dava senza nulla chiedere: queste testimonianze le raccolgo dalla bocca delle mamme, che ancor oggi mi parlano di lei con devota riverenza». «Se il cliente era povero, Gianna, oltre la visita gratuita, gli dava le medicine o i soldi. Si allontanava dall’ambulatorio soltanto dopo aver conclusa l’ultima visita. Erano a volte le nove e mezzo di sera». «Non l’abbiamo mai vista spazientirsi, neanche quando veniva chiamata per futili motivi, fuori orario, di sera e magari rincasata da poco. Si sacrificava lei per venire a visitare mia madre, ma con delicatezza, senza farlo intendere alle persone. Ascoltava ognuno con amabilità e tanta pazienza». Quale fosse nei suoi intenti lo spirito del suo lavoro di medico ce lo racconta Gianna stessa: «Il nostro oggetto di scienza e lavoro è l’uomo che dinanzi a noi ci dice di se stesso e ci dice: «Aiutami» e aspetta da noi la pienezza della sua esistenza. Gesù ci direbbe: chi è l’uomo...? Non è solo corpo. In quel 22
corpo c’è un pensiero, una volontà, che è capace di andare incontro alla sofferenza, in altri no. C’è nel corpo uno spirito e come tale è immortale. C’è un abisso tra corpo e anima, sono due entità così diverse ma che si trovano unite. Cosa vi direbbe Gesù? Dovete mettere ogni cura su questo corpo. Dio ha così innestato il divino nell’umano che tutto ciò che facciamo assume maggior valore. Oggi c’è purtroppo superficialità anche nel nostro lavoro. Occorre fare bene la nostra parte. Studiare bene la nostra scienza. C’è oggi una corsa al denaro. Dobbiamo essere onesti. Essere medici di fede. Dobbiamo avere una cura affettuosa verso il malato, pensando che sono nostri fratelli, e avere delicatezza. Non dobbiamo dimenticare l’anima dell’ammalato. E allora noi che abbiamo diritto a certe confidenze, stiamo attenti a non profanarne l’anima. Sarebbe un tradimento. Attenti alle parole buttate con certa superficialità e istintivamente: la castità è invece forza e fermezza. Noi abbiamo delle occasioni che il sacerdote non ha. La nostra missione non è finita quando le medicine più non servono; c’è l’anima da portare a Dio e la nostra parola ha autorità. Ogni medico deve consegnarlo al sacerdote. Questi medici cattolici, quanto sono necessari! Gesù ci dice: chi visita il malato aiuta me. E’ una missione sacerdotale: noi tocchiamo Gesù nel corpo dei nostri ammalati. Che Gesù si faccia vedere in mezzo a noi, che trovi tanti medici che offrono se stessi per lui. Quando avremo finito la nostra professione andremo a godere la vita di Dio, perché «ero ammalato e mi avete guarito». Questi appunti per Gianna divennero vita reale: li applicò con semplicità perfino nell’ultimo giorno, quando appesantita dalla gravidanza, fece le sue ultime visite. 23
Il dono del fidanzato Per alcuni anni Gianna rifletté intensamente sulla sua vocazione. Doveva forse seguire il suo fratello Alberto partito missionario per il Brasile? Vista la sua salute cagionevole, aiutata dal padre spirituale, comprese che la sua strada doveva essere quella della famiglia. Avrebbe desiderato di avere al suo fianco un uomo buone e cristiano e per questo chiese consiglio alla Madre di Dio. Raccontò a una amica: «Sono stata a Lourdes per chiedere alla Madonna cosa devo fare... Sono arrivata a casa, ed è arrivato il signor Pietro». Si erano già visti in varie occasioni a Magenta, ma la scintilla scoccò proprio l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, durante una festa. “Ci comprendiamo sempre meglio”, annotava allora Pietro. Ambedue si accorgevano d’avere gli stessi desideri e aspirazioni, speranze e certezze. Pietro annotava: «Più conosco Gianna e più mi persuado che migliore incontro Iddio non poteva donarmi». Gianna gli scriveva: «Pietro, potessi dirti tutto quello che provo per te! Ma non ne sono capace. Supplisci tu. Il Signore proprio mi ha voluto bene. Tu sei l’uomo che desideravo incontrare, ma io non ti nego che a volte mi chiedo: ‘Sarò io degna di lui?’. Sì, di te, Pietro, perché mi sento così un nulla, così capace di niente, che, pur desiderando grandemente di farti felice, temo 24
di non riuscirci. E allora prego così il Signore: ‘Signore, tu che vedi i miei sentimenti e la mia buona volontà, rimediaci tu e aiutami a divenire una sposa e una madre come tu vuoi e penso che anche Pietro lo desideri’. Va bene così, Pietro?». Dopo il fidanzamento nel febbraio del 1955 Gianna scrive: «Mio carissimo Pietro, come ringraziarti del magnifico anello? Pietro caro, per ricompensarti io ti dono il mio cuore e ti amerò sempre come ti amo ora. Penso che alla vigilia del nostro fidanzamento ti faccia piacere sapere che tu sei per me la persona più cara a cui sono costantemente rivolti i miei pensieri, affetti, desideri, e non aspetto che il momento in cui poter esser tua per sempre… Mi piace spesso meditare quel brano: ‘la donna forte chi la troverà?… Il cuore di suo marito può confidare in lei…ecc.’. Pietro, potessi essere per te la donna forte del Vangelo! Invece mi pare e mi sento debole. Vuol dire che mi appoggerò al tuo braccio forte. Mi sento così sicura vicino a te!». In un’altra lettera lei scrive: «Ti amo tanto tanto, Pietro, e mi sei sempre presente, cominciando dal mattino quando, durante la Santa Messa, all’offertorio, offro, con il mio, il tuo lavoro, le tue gioie, le tue sofferenze, e poi durante tutta la giornata, fino a sera». E, quando ormai prossimo il matrimonio, gli confida: 25
«Sei il mio Pietro, e mi sento ormai un’anima e un cuore solo con te… le tue gioie sono anche le mie e così pure tutto ciò che ti preoccupa e addolora, preoccupa e addolora anche me. Quando penso al nostro grande amore reciproco, non faccio che ringraziare il Signore». Tutte le lettere sono piene di vera umanissima tenerezza e di sincera fede in un Dio amorevole che tesserà il futuro insieme a loro: «Pietro mio carissimo, non ho parole per ringraziarti delle tue magnifiche e affezionatissime lettere, che a catena mi sono giunte in questi giorni. Ogni lettera, ogni tua espressione era per me una fonte di gioia immensa. Sei un tesoro, Pietro, e più ti leggo, più mi convinco che sei buono, tanto buono e racchiudi in te tante virtù che la tua umiltà tiene nascoste, ma che la tua Gianna vede ed apprezza. Grazie di tutto, Pietro; vorrei poterti dire tutto ciò che sento e ho nel cuore, ma non sono capace, e tu che ormai 26
bene conosci i miei sentimenti, sappimi leggere ugualmente. Pietro carissimo sono certa che mi renderai sempre felice come lo sono ora e che il Signore esaudirà le tue preghiere, perché chieste da un cuore che lo ha sempre amato e servito santamente. Pietro, quanto ho da imparare da te! Mi sei proprio di esempio e ti ringrazio. Così con l’aiuto e la benedizione di Dio faremo di tutto perché la nostra nuova famiglia abbia ad essere un piccolo cenacolo ove Gesù regni sopra tutti i nostri affetti, desideri ed azioni. Pietro mio, mancano pochi giorni e mi sento tanto commossa ad accostarmi a ricevere il Sacramento dell’Amore. Diventiamo collaboratori di Dio nella creazione, possiamo così dare a Lui dei figli che lo amino e lo servano. Pietro, sarò capace di essere la sposa e la mamma che tu hai sempre desiderato? Lo voglio proprio perché tu lo meriti e perché ti voglio tanto bene. Ti bacio e ti abbraccio con tutto l’affetto, tua Gianna». Quando è in vacanza in montagna, scrive a Pietro rimasto legato al suo lavoro in fabbrica: «Non ho mai gustato tanto la Messa e la Comunione come in questi giorni. La chiesetta tanto bella e raccolta è deserta. Il celebrante non ha nemmeno il chierichetto, quindi il Signore è tutto per me e per te, Pietro, perché ormai dove ci sono io ci sei anche tu». Il marito rievocherà poi così quel tempo: «Tu eri per me, ogni giorno di più, la creatura meravigliosa che mi trasmettevi la tua gioia di vivere… la gioia della nostra nuova famiglia, ormai prossima, la gioia della grazia di Dio». Quando mancano pochi giorni al matrimonio, Gianna scrive così: «Carissimo Pietro, vorrei tu mi sentissi tanto vicina in questi giorni, perché non puoi immaginare quello che provo nel saperti in viaggio e così lontano. Dirai 27
che esagero, ma è proprio così. Sei il mio Pietro, mi sento ormai un’anima e un cuore solo con te. Sei buono, caro, mi vuoi tanto bene e anch’io te ne voglio tanto tanto, le tue gioie sono anche le mie e così pure tutto ciò che ti preoccupa e addolora, preoccupa e addolora anche me. Quando penso al nostro grande amore reciproco, non faccio che ringraziare il Signore. È proprio vero che l’Amore è il sentimento più bello che il Signore ha posto nell’animo degli uomini. E noi ci vorremo sempre bene, come ora, Pietro. Mancano solo venti giorni e poi sono... Gianna Molla! Che diresti se, per prepararci spiritualmente a ricevere questo sacramento, facessimo un triduo? Nei giorni 21, 22 e 23 S. Messa e S. Comunione, tu a Ponte Nuovo, io nel santuario dell’ Assunta. La Madonna unirà le nostre preghiere, desideri e, poiché l’unione fa la forza , Gesù non può non ascoltarci e aiutarci. Sono certa che dirai di sì e ti ringrazio».
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Adorna per il suo sposo Il giorno del matrimonio Gianna pretese un abito da sposa bellissimo, di una stoffa di raso particolarmente preziosa. Alla sorella spiegò: «Sai, la voglio scegliere molto bella perché poi voglio farne una pianeta per la prima messa di qualche mio figlio prete». Commenta Padre Sicari: «Davanti a questo continuo intreccio di amore umano e di amore sacro, pensieri spirituali e profani - per così dire - non è difficile sentirsi un po’ sconcertati. Ci resta però da riflettere su un punto essenziale: che il cristianesimo è questo intreccio, così come in Gesù si uniscono indissolubilmente la divinità e l’umanità. Chi raggiunge questo punto di sintesi cristiana, vede costantemente i due aspetti nella loro completa armonia. I passaggi tra l’uno e l’altro gli sembrano così naturalmente soprannaturali e così soprannaturalmente naturali!». Del tempo felice del matrimonio e della vita familiare allietata da tre bambini, citiamo solo la rievocazione che ne ha fatto il marito: «Tu continuavi a possedere la gioia della vita, a godere l’incanto del creato, i concerti, il teatro, come nella tua giovinezza e nel periodo del nostro fidanzamento. In casa eri sempre operosa: non ti ricordo una sola volta in ozio… Nonostante gli impegni della nostra famiglia, hai voluto continuare la tua missione di medico a Mesero, soprattutto per l’affetto e la carità che ti legavano alle giovani mamme, ai tuoi vecchi, ai tuoi ammalati cronici… In ogni circostanza ti richiamavi sempre e ti affidavi alla volontà del Signore. Ogni giorno, lo ricordo, avevi sempre la tua preghiera, la tua meditazione, il tuo colloquio con Dio, il tuo ringraziamento per il dono dei nostri meravigliosi figlioli. Ed eri tanto felice». 29
Vocazione di mamma Gianna tra i suoi appunti aveva scritto: «Ogni vocazione è vocazione alla maternità – materiale – spirituale – morale – perché Dio ha posto in noi l’istinto della vita. Il sacerdote è padre, le Suore sono madri delle anime. Guai a chi non accetta la propria vocazione di maternità. Dobbiamo prepararci alla nostra vocazione, prepararci per essere donatori di vita». Gianna e Pietro, di fronte all’attività creatrice di Dio, non si posero nell’atteggiamento egoistico di centellinarla. In casa Molla, porte aperte alla vita! Dopo un anno accolgono il primo bambino. Gianna informa del lieto evento il fratello missionario: «Eccoci ora in tre: Pierluigi è arrivato un po’ in ritardo, quindici giorni dopo il previsto. Sta bene e spero di poter continuare con allattamento misto ancora per un po’. Latte non ne ho molto e devo ogni volta fare un’aggiunta. Però cresce, ed oggi, nona giornata di vita, comincia a fare sorrisini... Ha già ricevuto il santo battesimo... È stato consacrato alla Madonna, ed ora lo raccomando tanto alle tue preghiere perché cresca buono e bravo ». Nel 1957 l’annuncio di un nuovo dono: «Il Signore ha nuovamente benedetto il nostro amore, donandoci un altro bimbo: io sono felice e, con l’aiuto della Mamma celeste e con te vicino non mi spaventano le sofferenze della nuova maternità. Grazie, Pietro carissimo, delle tue preghiere. La Madonna ti ascolterà senz’altro ed avremo cosi un altro bel bambino come il nostro caro Pierluigi». Con umile schiettezza svelò al marito di avere dei periodi di prostrazione, provocati dalla nuova maternità e particolarmente dalla solitudine, avendo il suo Pietro lontano, 30
in viaggi e in responsabilità di lavoro. Così si confessa: «Pietro, ti chiedo un gran favore. Sappi perdonarmi se alle volte mi troverai di malumore, malinconica. Cerco di reagire, ma spesso non riesco; spero sia un’indisposizione di questi primi mesi. Il tuo grande amore m’aiuterà ad essere forte e a vincermi. Ti attendo, Pietro, con tutto l’affetto». In ogni lettera, che Gianna scrive al marito, sono presenti i loro due tesori: «I nostri cari popi dormono già da tre ore, come due angioletti, stanchi per il correre e fare capriole in vigneto. Vedessi che vivacità e che capriole fa Pierluigi... e Mariolina lo segue e cerca di fare tutto quello che fa lui». Nel luglio del 1959 ecco arrivare la terzogenita: «Mercoledì mattina, alle otto e un quarto è nata Lauretta. Non puoi immaginare la nostra gioia, prima di tutto perché, grazie a Dio, è andato tutto bene; poi perché è bella, buona, sana e infine 31
perché è una bambina, e io desideravo proprio una sorellina per Mariolina. So per esperienza quanto sono preziose le sorelle, e così il Signore ha esaudito le mie preghiere». Tutte le lettere di questo periodo fanno trasparire una coppia felice: Gianna continua a lavorare con competenza nell’ambulatorio; Pietro, spesso in viaggio, dirige la sua fabbrica di cinquemila operai. In famiglia domina un totale accordo, e il clima è allietato dalla gioia di vedere crescere i tre bambini ancora piccoli, tra i cinque ed i due anni. La coppia sogna un altro frutto di questo amore. Infatti il 3 maggio 1961 Gianna scrive alla sorella: “Cara Ginia, sono sempre felice di Pietro, dei nostri tre magnifici bambini e ne ringrazio tanto tanto il Signore. Desidererei tanto un altro popo, ma proprio non ne arrivano più, mettendoci tutta la nostra buona volontà. Come lo spieghi tu? Prega per me perché il Signore mi esaudisca!» Madre sulla Croce Nell’agosto si annunciò la nuova desiderata maternità, ma la gioia si mescolò presto alle più gravi preoccupazioni: a fianco dell’utero cresceva un grosso fibroma e si rendeva necessario e urgente l’intervento chirurgico. Gianna comprese subito a cosa andava incontro. La scienza di allora offriva due soluzioni considerate sicure per la vita della madre: una laparotomia totale con asportazione sia del fibroma che dell’utero; o l’asportazione del fibroma con interruzione della gravidanza. Una terza soluzione, che consisteva nell’asportare soltanto il fibroma senza toccare il bambino, metteva in grave pericolo la vita della madre; in ogni caso il rischio si sarebbe poi ripresentato gravissimo al momento del parto. E tutto questo 32
era ben noto alla dottoressa Gianna. Il suo padre spirituale la esortò a confidare in Dio: «Sì, don Luigi - gli rispose la donna - ho tanto pregato in questi giorni. Con fede e speranza mi sono affidata al Signore, anche contro la terribile parola della scienza medica che mi diceva: ‘o la vita della madre o la vita della sua creatura’. Confido in Dio, sì, ma ora spetta a me compiere il mio dovere di mamma. Rinnovo al Signore l’offerta della mia vita. Sono pronta a tutto, pur di salvare la mia creatura». Al chirurgo raccomandò: «Prima salviamo il bambino!» Il collega rispettò la volontà della paziente, e dopo l’operazione le sussurrò: “Abbiamo salvato il bambino”. Lui, come un sacerdote laico, aveva tutelato la salute del piccolo; lei come altare e vittima, si era offerta in sacrificio. Quando se la rivedrà al momento del parto, quel dottore, di religione ebraica, esclamerà come un profeta antico: “Ecco la madre cattolica!”. Il primo intervento riuscì: Gianna riprese il suo lavoro nell’ambulatorio e si curò da sola i fastidi di quella pericolosa gravidanza, tacendo con tutti, per non turbare la serenità della famiglia, cercando di vivere normalmente, continuando a trasmettere gioia e speranza. Quando Pietro si recò a Parigi per lavoro, Gianna gli chiese di portarle alcune riviste di moda. “Se Dio mi tiene qui - disse - mi voglio fare dei bei vestiti”. Come ha scritto P. Sicari nel suo ritratto di Gianna Beretta Molla «le riviste ci sono ancora con i segni da lei tracciati accanto ai modelli che le piacevano. Anche queste riviste sono reliquie. Non è una banalità, è l’invito ad abituarci a un modo nuovo di giudicare». Ma lentamente iniziò a confidare al suo sposo: «Pietro, ho bisogno che tu, che sei sempre stato tanto amorevole con me, lo sia ancor di più 33
in questo periodo, perché sono mesi un po’ tremendi per me». Il marito continuava a vederla tranquilla: «Si occupava con il solito affetto dei nostri bambini e dei suoi malati. Poi un giorno mi sono accorto che metteva a posto la casa con una attenzione particolare. Che riordinava i cassetti, gli armadi…come se avesse dovuto partire per un lungo viaggio… Alcuni giorni prima del parto è successa una cosa che mi ha sconvolto. Dovevo uscire per andare in fabbrica e avevo già infilato il cappotto. Gianna - mi pare ancora di vederla - era appoggiata al mobile dell’anticamera della nostra casa. Mi è venuta vicino così come succede quando si debbono dire cose difficili, che pesano, ma alle quali si è tanto meditato. ‘Pietro - mi ha detto -, ti prego…. Se si dovrà decidere tra me e il bambino, decidete per il bambino, non per me. Te lo chiedo’. Così. Nient’altro. Sono stato incapace di dire qualunque cosa. Conoscevo benissimo mia moglie, la sua generosità, il suo spirito di sacrificio. Sono uscito di casa sconvolto, senza dire una parola». Così dirà anche a una amica: «Vado all’ospedale, ma non sono sicura di tornare. La mia maternità è difficile; dovranno salvare o l’uno o l’altro; io voglio che viva il mio bambino». - «Ma hai tre bambini, preoccupati di vivere tu, piuttosto!». - «No, no… Voglio che viva il bambino». Anche di fronte all’incomprensione di alcuni Gianna si preparava a offrire tutto per amore. Così confidava ad una amica: «Durante questa difficile gravidanza ho tanto studiato e pregato per la mia nuova creatura… Prega affinché sia pronta a fare la volontà di Dio!».
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Una morte per la vita Dio volle che la sua passione cominciasse proprio il Venerdì Santo del 1962. Raccontò una suora dell’ospedale: «La incontrai mentre saliva i gradini per essere accolta in reparto. Mi disse: ‘Sorella, eccomi, sono qui per morire’, ma aveva uno sguardo buono e sereno. E aggiunse: ‘Basta che vada bene il bambino, per me non fa niente!’». Il terribile travaglio durò tutta la notte; alle undici del Sabato Santo nacque, con parto cesareo, una bella e sana bambina, proprio nel momento in cui si scioglievano le campane e si cominciava a festeggiare la Resurrezione, come ad annunciare che l’amore è più forte della morte. Quando si svegliò dall’anestesia le portarono la piccola. Racconta il marito: «L’ha guardata con uno sguardo lunghissimo in silenzio. Se l’è tenuta accanto con una tenerezza indicibile. L’ha accarezzata leggermente senza dire una parola». L’attendeva un’altra lunga settimana di passione, aggredita da una inarrestabile peritonite. Passò gli ultimi giorni continuando ad offrirsi umilmente, come su un altare, senza accettare stupefacenti perché voleva restare cosciente, mentre invocava Gesù Crocifisso e la sua stessa mamma, che la portassero in paradiso. Il mercoledì dopo Pasqua si risvegliò dal coma e disse al marito, con una serenità che già pareva provenire dal Cielo: «Pietro, ora sono guarita. Ero già di là e sapessi cosa ho visto! Un giorno te lo dirò. Ma siccome ero troppo felice, stavo troppo bene, con i nostri meravigliosi bambini, pieni di salute e di grazia, con tutte le benedizioni del cielo, mi hanno rimandato quaggiù per soffrire ancora, perché non è giusto presentarsi al Signore senza tanta sofferenza». 35
Le ragioni del sacrificio Gianna sapeva benissimo a quali sofferenza andava incontro con la sua scelta. Oltre ai dolori fisici doveva affrontare, come confidò alla sorella, quelli altrettanto grandi del cuore: «Sapessi quanto si soffre quando si lasciano i bambini tutti piccoli!». Che cosa dunque la spinse a questo sacrificio? Sarà il marito Pietro, cristiano eroico come Gianna, a spiegarlo: «Quello che ha fatto non lo ha fatto ‘per andare in Paradiso’. L’ha fatto perché si sentiva una mamma… Per comprendere la decisione non si può dimenticare, per prima cosa, la sua profonda persuasione, come mamma e come medico, che la creatura che portava in sé era una creatura completa, con gli stessi diritti degli altri figli, anche se era stata concepita da appena due mesi. Un dono di Dio, al quale era dovuto un rispetto sacro. Non si può nemmeno dimenticare il grande amore che aveva per i bambini: li amava più di quanto amasse se stessa. E non si può dimenticare la sua fiducia nella Provvidenza. Era persuasa, infatti, come moglie, come madre di essere utilissima a me e ai nostri figli, ma di essere soprattutto in quel preciso momento, indispensabile per la piccola creatura che stava nascendo in lei…». Se per gli altri tre figli ella era necessaria, per la creatura che portava in grembo lei era “indispensabile”. Dio poteva “provvedere” senza di lei alla vita degli altri bambini, ma neppure Dio avrebbe potuto “provvedere” a quello che aveva in grembo, se lei lo rifiutava. E Dio ha realmente provveduto alla crescita anche affettiva di tutti i suoi figli. Lauretta Molla, la terzogenita, a sedici anni ricorderà così la madre in un tema scolastico: «Avevo solo tre anni e forse 36
non capivo il significato di tutte quelle candele accese e di tutti quei pianti... Quello che mi è rimasto più impresso è la sua immagine di vera madre, consapevole dei doveri verso la famiglia… Svolgeva il suo lavoro di dottoressa con tanta cura e felicità, e le piaceva soprattutto curare i bambini, specialmente quelli più bisognosi. Fra tutte le sensazioni provate, quella che ha ancor maggior rilievo nella mia vita è la profonda ammirazione che suscita in me il pensiero di una madre che per la sua creatura ha dato la propria vita… Posso dire di essere veramente fiera di aver avuto una madre di così grande coraggio, che ha saputo veramente vivere come Dio desiderava… Sento che mi è sempre vicina, e mi aiuta come se fosse ancora in vita».
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La passione di Gianna Gli ultimi istanti della vita di Gianna ci sono raccontati dal marito Pietro in una lettera scritta al fratello di lei, Padre Alberto. Sono righe piene di fede, dolore e tenerezza, che ci mostrano, oltre all’eroismo di Gianna, anche l’anima grande di un uomo degno di così santa moglie. Scusami il grande ritardo con il quale adempio al dovere di una risposta e di un ringraziamento. Tu puoi immaginare lo strazio, le lacrime, lo struggimento, soprattutto quando sono solo, perché in pubblico, con i miei bimbi debbo e so compiere lo sforzo quasi sovrumano, di contenere il mio dolore, per non averLa più presente visibilmente con la sua soavissima presenza, con la sua parola consolatrice e di guida, con il conforto del suo luminoso sorriso, nonostante la certezza assoluta che Gianna è Santa fra i Santi e gli Angeli. Puoi immaginare lo sforzo sovrumano, quasi, a trattenere lo scoppio nel pianto più amaro, quando, in mezzo ai miei bimbi non so annullare col suo neanche il pensiero che i miei bimbi non hanno più la immensa consolazione di avere sempre accanto a loro la guida ineffabile, il sorriso soavissimo, l’amorevolezza senza limiti della loro Mamma. Quante altre volte mi sono seduto per iniziare a scriverti e poi non ho avuto il coraggio di cominciare per la commozione che mi prende. Anche Gesù, che era Dio, ha pianto nella sua umanità per l’amico defunto. In questo pomeriggio di domenica, ho preso il coraggio di scriverti alcuni miei ricordi, di comunicarti i miei sentimenti, di parlarti della Santa mia Sposa, della Santa tua Sorella. Non ho mai dimenticato in questi anni la lettera e le esortazioni che ci facesti per le 38
nostre Nozze: scopo della vostra vita e soprattutto della vostra nuova vita matrimoniale è di farvi santi. Gianna si è fatta Santa. La sera stessa, dopo la sua sepoltura, Padre Marella di Bologna, un santo sacerdote che, quasi novello Cottolengo, mantiene con la Provvidenza, giorno per giorno, oltre 400 orfani, che conosceva Gianna e le sue virtù, che l’assistette in tutta la sua agonia, che ne benedisse la Salma e assistette ai suoi funerali, disse al Parroco di Ponte Nuovo: «In tempi in cui la Chiesa era meno burocratizzata, le lacrime, le preghiere, le invocazioni, il trionfo di fede dei suoi funerali, il Martirio della Sua Maternità, avrebbe significato di per sé la Canonizzazione». Sì, sono certo che Gianna è Santa. Ha desiderato ardentemente di dare un fratellino a Pierluigi e lo ha voluto, nonostante il rischio di una nuova Maternità. Nel settembre scorso, prima della operazione per il fibroma, ha chiesto esplicitamente di salvarle la maternità. Qualche giorno prima del parto così si è espressa con me: se dovete decidere fra me e il bimbo, scegliete - e lo esigo - il bimbo. Salvate Lui”. Il mezzogiorno del Venerdì santo è cominciato il suo calvario e il suo Martirio. Il sabato santo ha avuto, e noi tutti con lei, la gioia ineffabile di una nuova Creatura. Dopo qualche ora, le sofferenze inaudite che le facevano invocare ad ogni istante la Sua Mamma in Paradiso, pregandola di chiamarLa con Lei in Paradiso perché le sofferenze erano superiori alle Sue forze. Il giorno di Pasqua ancora sofferenze inaudite e così il lunedì e il martedì dopo Pasqua. La notte del martedì, la sua prima agonia, miracolosamente superata, grazie alle pronte, amorevolissime cure di Nando e di Suor Virginia. Ha desiderato ricevere Gesù Eucaristia, almeno 39
sulle labbra, anche il giovedì e il venerdì, quando più non poteva deglutire la Santa Particola. Ha ripetuto parecchie volte con il rantolo della agonia: “Gesù ti amo! Gesù ti amo!” Ha cominciato la sua ultima agonia la notte del venerdì, il giorno della agonia di Gesù. E’ volata in Cielo con i Santi, il Sabato mattina, il giorno sacro alla Regina degli Angeli e dei Santi. Oltrepassando, miracolosamente, il parere dei Medici, che davano per sicuro il suo ultimo respiro appena l’avessimo caricata sulla autolettiga a Monza, resistette nella sua agonia nel lungo tormentoso viaggio da Monza a Ponte Nuovo: durò la sua agonia a Ponte Nuovo, nel suo letto, accanto alla camera dove dormivano sereni i suoi tre meravigliosi bambini dalle 4 del mattino, alle 5 alle 6 alle 7, alle 7.30 attendendo che i bimbi, come tutte le mattine, chiamassero la loro Mamma: i bimbi chiamarono la loro Mamma. Nella stanza della loro Santa Mamma in agonia arrivò la voce affettuosa dei Bimbi e la parola Mamma! Rimase ancora in agonia; attese che i bimbi si vestissero, scendessero e partissero in auto per l’abitazione della Zita e dopo qualche istante la Mamma Santa spirò: lentissimamente, spegnendosi il respiro come la fiamma di una candela all’altare che lentamente si spegne dopo aver emesso tutta la sua luce, sino all’ultimo bagliore, rendendo onore al Signore. Il sabato, la domenica, il lunedì, fu tutto un interminabile pellegrinaggio di popolo, uomini e donne, vecchi e giovani e bambini, oranti, piangenti e invocanti. I suoi funerali, le Sante Messe per Lei: un trionfo di fede, di preghiera e di commozione e di esempio. Il Parroco di Mesero Don Gesuino, in attesa che 40
sia costruita la nostra Cappella, volle che Gianna, per la sacra testimonianza resa alla sua fede ed alla volontà del Signore, accettando il martirio e donando la sua vita per la sua maternità, venisse sepolta sotto l’altare della Deposizione del Signore, nella Cappella centrale dei Parroci del Cimitero di Mesero. Ora Gianna riposa sotto l’altare, accanto a un Santo: il mio Parroco morto lo scorso anno e che bene conosceva le virtù e l’esempio che Gianna dava a tutta Mesero. Sepolta accanto a un Santo, mentre un altro Santo, Padre Marella, le dava l’ultima benedizione. Ho chiesto al Signore la grazia immensa che per tutti i giorni che mi conserverà in vita mi dia la grazia, la salute e la possibilità, ovunque mi trovi, di riceverlo nella Santa Comunione per meritare, come Gianna, la grazia di accoglierlo almeno sulle mie labbra il giorno della mia agonia. Ogni giorno, da quando Gianna è salita in Cielo, elevo
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questa preghiera al Signore e a Gianna: Gesù, tu che hai chiamato fra i tuoi Angeli e i tuoi Santi, la mia Sposa e la Mamma dei miei bambini, fa che anche oggi i miei bimbi crescano in sapienza e in grazia presso di Te, presso la Madonna, presso la loro Santa Mamma, presso i loro cari e presso gli uomini, così come Tu crescesti nella Tua Santa Famiglia di Nazareth, e come la loro Santa Mamma li sapeva allevare, giorno per giorno. Conservali nella salute della mente e del corpo, così come la loro Santa Mamma, con la tua grazia e la tua benedizione, li sapeva conservare con le sue sapienti, amorevolissime cure. Fa che i miei bambini siano sempre degni , in ogni giorno della loro vita, della Santità e del Martirio della loro Santa Mamma. Fa che io sia meno indegno possibile della Santità della mia Sposa e che possa surrogarla, con la tua grazia, nella amorevolezza e nella guida dei nostri figlioli. Conserva anche a me ed ai miei figlioli la grazia, la certezza e il conforto ineffabile che faceva scrivere a Sant’Agostino della sua Madre Santa in Cielo: “Quando eri in vita, io ti vedevo dove tu eri. Ora che sei in Cielo, io ti sento presente ovunque io mi trovi.” E tu, Gianna, aiutami giorno per giorno, a portare la mia Croce, a compiere, in modo eroico, la volontà del Signore. Ottieni anche per i nostri bimbi e per me la grazia divina di farci santi. Fa che ogni giorno ci avvicini a te, ed ogni giorno abbiamo a salire un gradino della mistica scala di Giacobbe, in cima alla quale tu ci attendi. E fa che quando il Signore ci chiamerà a sé, ci trovi degni di venire accanto, accanto, accanto a te per sempre. E così sia. E tu, Padre Alberto, prega tanto, tanto per me e per i miei bambini. Un forte abbraccio da me e bacioni affettuosi dai miei bimbi. 42
Una Casetta d’Oro Durante la sua sofferenza, con la semplicità dei suoi bambini, Gianna stringeva tra le mani il Crocifisso, presentatole dalla sorella Virginia, lo baciava ripetutamente, con tenerezza. Confidò alla sorella: «Sapessi quale conforto ho ricevuto, baciando il Crocifisso! Oh, se non ci fosse Gesù che ci consola in certi momenti!» Quando sentiva sfuggirsi la vita Gianna ebbe il senso delle cose e del vivere. Lo espose alla sorella: «Sapessi come si giudicano diversamente le cose sul letto di morte... Quanto vane appaiono certe cose a cui si dà molta importanza nel mondo!» Mentre ancora la madre era sul suo letto di morte, la bambina venne portata in chiesa e battezzata col nome di Gianna Emanuela: il nome della madre unito al nome di quel Gesù che è “Dio con noi”. Poi il papà consacrò la bambina alla Madonna, come Gianna amava sempre fare. Non
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era pronta la tomba di famiglia, e allora il parroco commosso mise a disposizione la cappella centrale del cimitero di Mesero. Così la bara venne deposta nella tomba dei sacerdoti, forse un segno di delicatezza da parte di Dio, davanti al sacrificio di questa madre. Ma in quel momento il bambino più grande, Pierluigi, di cinque anni e mezzo, chiese al papà: «Perché la mamma è là chiusa? Dove va la mamma?…” E insisteva:” Mamma mi vede? Mi tocca? Mi pensa?”. Poi concluse: “Per la mamma ci vuole una casetta d’oro». Perciò quando la cappella di famiglia venne ultimata, il marito volle che la parete di fondo fosse ricoperta da un mosaico dorato. Vi è raffigurata Gianna che offre alla Madonna di Lourdes la sua Mariolina. E la scritta, in latino, è tratta dal libro dell’Apocalisse. Dice così: “Sii fedele fino alla morte!”. Don Mario Cazzaniga ha scritto: «Nel ministero pastorale che svolgo da quasi trent’anni in mezzo agli ammalati ho potuto avvicinare donne che hanno sfidato la maternità, l’hanno sfuggita egoisticamente; l’hanno calpestata criminalmente; l’hanno desiderata piangendo e pregando. Fra le migliaia di donne che ho seguito quella che mi ha lasciato il ricordo più bello ed incancellabile è la dottoressa Gianna Beretta. Appena arrivata in ospedale, subito e insistentemente ha manifestato la sua decisa volontà di offrire la sua vita per far nascere bene la sua creatura... Io sono stato testimone di una scelta reale ed eroica, fatta con spontaneità, con naturalezza, anzi con entusiasmo. Sono stato testimone, per più giorni, dell’atteggiamento della dottoressa che, come medico, era coscientissima del suo stato grave, eppure non le è mai venuta meno la serenità, la gioia per la decisione presa». 44
La Canonizzazione Dopo la solenne beatificazione avvenuta in Piazza San Pietro il 24 aprile 1994, il 16 maggio 2004, Sua Santità Giovanni Paolo II ha proclamato Gianna Beretta Molla “santa”. Nella sua omelia, il Santo Padre ha detto: «Sull’esempio di Cristo, che “avendo amato i suoi… li amò sino alla fine”, questa santa madre di famiglia si mantenne eroicamente fedele all’impegno assunto il giorno del matrimonio. Possa la nostra epoca riscoprire, attraverso l’esempio di Gianna Beretta Molla, la bellezza pura, casta e feconda dell’amore coniugale, vissuto come risposta alla chiamata divina!» Guarigioni e miracoli Protagonista del miracolo per la canonizzazione è una neonata, la brasiliana Gianna Maria Arcolino Comparini. Sua madre Elisabete, quasi 35 anni all’epoca dei fatti, nel novembre 1999, accortasi di essere ancora incinta, venne colta da una notevole perdita di sangue. L’ecografia evidenziò un grande scollamento della placenta, che faceva prevedere un imminente aborto spontaneo. L’11 febbraio 2000 Elisabete venne ricoverata d’urgenza per l’improvvisa rottura delle membrane e l’ecografia rivelò che il liquido amniotico era fuoriuscito completamente. Il feto appariva vivo, ma non sembrava esserci via di scampo. «La prassi raccomandata in tali casi è l’interruzione della gestazione, per il rischio di infezione materna», ha spiegato al processo diocesano la Dottoressa Bicego. Che le possibilità di sopravvivenza per la piccola fossero uguali a zero lo conferma la totale assenza nella letteratura clinica di esempi simili conclusisi in maniera positiva. Le parole di 45
Elisabete ripercorrono quei drammatici giorni: «Dopo 72 ore l’acqua non ritornò e la dottoressa mi diede la notizia che era necessario interrompere la gravidanza, per il fatto che io correvo il rischio di perdere la vita. Anche se tutti i medici davano lo stesso responso clinico, il mio cuore non accettava di porre termine alla gestazione. Molto afflitta, chiesi a mio marito Carlos Cesar che mi portasse un sacerdote». È a questo punto che entra in scena il vescovo diocesano, mons. Diogenes Silva Matthes, in visita pastorale nell’ospedale San Gioacchino, che si affaccia inaspettatamente nella camera dove la donna è ricoverata: «Egli pregò con me e mi disse: “Betinha, noi pregheremo, Dio ci aiuterà”». Poi il vescovo più tardi ritorna, portando alla gestante una biografia della Beretta Molla e dicendole: «Fa’ come la beata Gianna e, se necessario, dà la tua vita per la creatura. Ho terminato ora di pregare in casa mia e ho detto alla beata in orazione: “È arrivata l’occasione perché tu possa essere canonizzata. Intercedi presso il Signore la grazia del miracolo”». Elisabete e il marito accolgono con fede l’invito del vescovo e affidano il futuro 46
nelle mani di Dio. Così alla dottoressa Bicego fu espressa la volontà di andare avanti. Giunti alla 32ª settimana, quando il peso della bambina aveva raggiunto un chilo e ottocento grammi, si decise per il taglio cesareo, con la neonata che apparve da subito in buona forma. Elisabete, poté scrivere nel suo diario: «31 maggio 2000 - Nascita di Gianna Maria. Vittoria della vita». Preghiera scritta da Santa Gianna Gesù, eccomi qui. Gesù, entra, rimani sempre con me. Ho tanto bisogno che tu mi illumini, che mi faccia diventare migliore. Dammi la tua grazia, infiammami del tuo Amore. Fondazione S. Gianna Beretta Molla Sede dell’Archivio storico e della segreteria: via Monte Rosa, 2 - 20010 Mesero (MI). Tel. 02.97 87031 - e-mail: giannamolla@libero.it Associazione Amici di S. Gianna Beretta Molla via don Pompeo Beretta, 2 - 20013 Magenta (MI) 349.7795548 - info@amicidisantagianna.org Bibliografia Fernando da Riese Pio X, Un “sì” alla vita. Gianna Beretta Molla. Edizioni Paoline, Roma, 1980. Antonio Sicari. Il grande libro dei Ritratti di Santi, Jaca Book, Milano, 1997 Gianna Beretta - Pietro Molla, Lettere, a cura di Elio Guerriero, San Paolo 2012. Ennio Apeciti, Gianna Beretta Molla, Amare la vita, Centro Ambrosiano 2004. 47
BENEDIZIONE DELLA FAMIGLIA Pace a questa casa e ai suoi abitanti. R. Ora e sempre. Amen. Gesù disse a Zaccheo: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Preghiamo insieme Dio nostro Padre, perché ravvivi in questa famiglia la grazia della vocazione cristiana. R. Resta con noi, Signore. - Raccogli la nostra famiglia nel vincolo del tuo amore - Suscita in noi un amore forte e personale per Cristo - Donaci fame e sete della tua parola - Custodisci nei giovani il dono della fede Ora preghiamo come il Signore Gesù ci ha insegnato: Padre nostro... Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, manda dal cielo il tuo angelo che visiti, conforti, difenda, illumini e protegga questa casa e i suoi abitanti; dà salute, pace, prosperità e custodisci tutti nel tuo amore. A te onore e gloria nei secoli. Per Cristo nostro Signore. R. Amen. Ravviva in noi, Signore, nel segno di quest’acqua benedetta, il ricordo del Battesimo e l’adesione a Cristo Signore, crocifisso e risorto per la nostra salvezza. R. Amen. Dio vi riempia di ogni gioia e speranza nella fede. La pace di Cristo regni nei vostri cuori. Lo Spirito Santo vi dia l’abbondanza dei suoi doni. R. Amen.