Giovanni Paolo II - Il gigante della fede

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Beato Giovanni Paolo II Il Gigante della Fede

Centro Missionario Francescano - Ass. Donare Pace e Bene Convento S. Giuseppe da Copertino - Osimo laperlapreziosa@libero.it

Introduzione… breve Come riuscire a far entrare la colossale figura di Giovanni Paolo II - una vita lunga nel tempo e ricca di idee, di centomila fatti e incontri - nelle poche pagine di questo libro? Saremo forzatamente costretti a semplificare, tagliare, restringere, nella speranza però di non banalizzare. Vorremmo solo che queste poche righe siano come una scintilla che possa far accendere il motore della curiosità in voi che leggete, per poter approfondire come merita la straordinaria vita di Karol Wojtyla. Siamo di fronte ad un uomo che ha cambiato realmente il corso della storia, contribuendo in pochi anni al crollo dell’impero sovietico e di molte altre dittature nel mondo, senza rivoluzioni o guerre e senza spargimento di sangue. E se del sangue è stato versato, è stato il suo. La sua veste bianca si tinse di rosso, dopo i colpi di pistola sparati da un attentatore, ma deviati dalla materna mano di Maria. Il bianco e il rosso sono colori forti, con un loro significato spirituale, come spiegò l’Immacolata al piccolo San Massimiliano Kolbe. Il bianco è il colore della purezza e del candore immacolato, il rosso è il colore del sangue del martirio. Il bianco e il rosso sono anche i colori della bandiera polacca, un popolo martire delle dittature di questo secolo, ma sempre fedele a Cristo e alla Chiesa. Per questo ha potuto generare giganti della fede...


Una famiglia cristiana Giovanni Paolo II, al secolo Karol Josef Wojtyla, nasce martedì 18 maggio 1920 a Wadowice, 50 Km da Cracovia, nella regione meridionale della Galizia, in Polonia. Sua madre partorisce in un umile appartamento in affitto, nei pressi della chiesa di Nostra Signora. La madre ha 36 anni, a quell’epoca un’età piuttosto rischiosa per partorire. Infatti, soffre, sembra allo stremo delle forze. Infine sopraggiunge Karol, un bel neonato lungo e pesante, caratteristiche che lasciano presagire un’infanzia robusta. Il 20 giugno dello stesso anno, il piccolo riceve il battesimo dall’abate Franciszek Zak, un cappellano militare amico del padre. Viene chiamato Karol, in onore di San Carlo Borromeo, oltre ad essere il nome del padre. Il nome Josef, che si riferisce evidentemente allo 4


sposo della Vergine Maria, è lo stesso del padrino presente al battesimo, ma è soprattutto quello del maresciallo Pilsudski, l’eroe dell’indipendenza polacca tanto ammirato dal padre del futuro papa. L’indipendenza polacca è stata proclamata soltanto un anno e mezzo prima, l’11 novembre 1918. Per più di un secolo il Paese è stato diviso tra i suoi tre potenti vicini: Russia, Prussia e Austria, ma ora, finalmente, i polacchi sono liberi di ricostruire la loro patria distrutta dalla guerra. L’indipendenza, purtroppo, porta con sé molti problemi. La Polonia appena risorta entra subito in guerra con l’Unione Sovietica e, tre mesi dopo la nascita di Wojtyla, l’Armata Rossa è alle porte di Varsavia, da dove è respinta all’ultimo momento in una storica battaglia detta “il miracolo della Vistola” che si conclude con la vittoria il giorno della festa dell’Assunzione di Maria. Gravi difficoltà economiche ostacolano, poi, lo sviluppo del paese, prevalentemente agricolo. Un altro fattore complica ulteriormente la situazione: il cattolicesimo, sebbene abbia plasmato la nazione, non è l’unica religione del paese: ad Est ci sono molti cristiani ortodossi, ad Ovest alcune comunità luterane, mentre il dieci per cento della popolazione è di religione ebraica. Il padre Karol ha prestato servizio nell’esercito imperiale austroungarico e al tempo della nascita del futuro papa è ufficiale amministrativo dell’esercito polacco; la madre Emilia, d’origine lituana, è di modestissime origini e di salute cagionevole. La coppia, unita dal vincolo del matrimonio nel 1904, ha già un figlio, Edmund, che nel 1920 ha 15 anni. Quando, il piccolo Karol ha circa 9 anni, la madre muore, a 45 anni, dando alla luce una bambina nata morta, alla quale si è dato il nome di Olga. Tre anni dopo 5


la morte della madre, Edmund, che si è laureato in medicina e svolge il tirocinio in un ospedale a Bielsko, prende la scarlattina da una ragazza di nome Anna, che ha vegliato una notte intera incurante del rischio di contagio, e muore. Karol entra al ginnasio maschile Marcìn Wadowìte di Wadowice nel 1931: il giovane Wojtyla riesce bene soprattutto nelle lingue antiche e moderne e in filosofia; meno bravo in storia, chimica e fisica. Nell’autunno 1938 Karol comincia a studiare lingua e letteratura polacca, poesia e drammaturgia presso l’Università Jagellonica di Cracovia, fondata nel 1364 da Casimiro il Grande, una delle più antiche università del mondo, ed è tra i fondatori del gruppo teatrale studentesco “Studio 39” che rimane attivo fino a quando, nel 1941, si trasforma nel Teatro Rapsodico. E’ appassionato di sport, si dimostra un portiere robusto e tenace, e ama nuotare nella corrente del fiume Skawa, ma soprattutto gli piace sciare. Durante l’occupazione tedesca della Polonia, iniziata il 1° settembre 1939, il futuro successore di Pietro lavora in una cava di pietra di Zakrzowek che dipende dall’industria chimica Solvay. Poiché la fabbrica è considerata d’importanza militare, i lavoratori beneficiano di un timbro speciale stampato sulla carta d’identità, una possibilità in più per non morire di fame ed evitare la deportazione in Germania. Giovanni Paolo II è il primo papa ad essere stato lui stesso operaio: «Io ho condiviso le sofferenze degli operai, le loro giuste richieste e le loro legittime lamentele. So bene quanto sia necessario per ogni essere umano avere un lavoro che non sia causa di alienazione e di frustrazione, di avere un lavoro che riconosca la sua piena dignità» (Messico, 1979). 6


La Vocazione al Sacerdozio Nel 1942 gli studi di Wojtyla prendono una direzione completamente diversa: egli diventa studente di teologia nel seminario clandestino diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha, pur continuando il lavoro alla fabbrica Solvay. È una scelta consapevole, definitiva, che gli porta la pace. Una scelta tanto più responsabile perché Karol ha ventidue anni. E’ quella che si chiama “vocazione tardiva”. Non è un ragazzino che entra in seminario spinto da esaltazione adolescenziale, per tradizione di famiglia o per mancanza d’immaginazione. Karol, però, non ha mai completamente spiegato che cosa lo abbia spinto a farsi prete. La morte del padre, avvenuta per infarto il 18 febbraio 1941, lo ha colpito a fondo, tanto che egli passa dodici ore in preghiera accanto al feretro. Anche il suo

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mistico amico, il sarto Tyranowski, influisce sulla sua decisione. Da lui, organizzatore in parrocchia del Rosario vivente e proprietario di una bella biblioteca di libri religiosi, apprende a conoscere la vita e la spiritualità dei santi carmelitani. Con duemila sacerdoti polacchi morti o dispersi può darsi che il giovane Karol pensi che sia suo dovere prenderne il posto. Influisce sulla sua scelta anche la convinzione che le armi spirituali siano l’unica concreta opposizione possibile alla potenza militare nazista. Racconterà: «Di fronte al dilagare del male ed alle atrocità della guerra mi diventava sempre più chiaro il senso del sacerdozio e della sua missione nel mondo». Wojtyla è consacrato sacerdote il 1° novembre 1946, dall’Arcivescovo Sapieha. Karol diviene, dunque prete il giorno della festa di Tutti i Santi, implorati affinché assistano, siano benevoli e proteggano l’ordinando. La mattina dopo, giorno dei Morti, il sacerdote novello celebra tre Eucaristie. Le prime due si svolgono nella cappella della cripta romana di San Leonardo della cattedrale di Wawel, 8


laddove sono sepolti i re e le regine di Polonia, i grandi prelati che l’hanno onorata, i poeti che l’hanno cantata. Scegliere questo luogo significa ricollegarsi a tutta la storia della terra natia, seguire la radice dell’albero millenario. Dedica quella prima messa ai genitori, al fratello defunto, alla sorella che nemmeno conobbe. La terza ha luogo nella sua parrocchia, nella chiesa di Debnicki. Il 26 novembre 1946, Karol s’iscrive al Pontificio Istituto Angelicum, il seminario domenicano di Roma. Nel giugno 1948 consegue brillantemente un dottorato in Teologia Spirituale, con una tesi sul tema della fede nelle opere del mistico spagnolo San Giovanni della Croce e, tornato in patria, assume per la prima volta un incarico pastorale come vicario di Niegowic, una minuscola parrocchia di campagna. Passa un anno e l’arcivescovo decide di trasferirlo nella vecchia e storica parrocchia di San Floriano, in Cracovia, dove don Wojtyla resta per due anni come vice-parroco (1949-1951). A quel punto torna

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ad immergersi negli studi: nel 1953 ottiene un dottorato in filosofia presso l’Università Cattolica di Lublino discutendo una tesi sul filosofo Max Scheler. Divenuto docente di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Lublino, il 4 luglio 1958 è nominato vescovo titolare di Ombi e ausiliare di Cracovia da Pio XII. Riceve la notizia di recarsi per un’udienza dal Primate mentre è in campeggio in canoa con i ragazzi dell’oratorio. Trovato un passaggio su un camion carico di farina si reca a Varsavia. Racconterà lo stesso papa: «Entrato nello studio del Cardinale Wyszynski, seppi da lui che il Santo Padre mi aveva nominato vescovo ausiliare dell’arcivescovo di Cracovia. Udendo le parole del Primate, esclamai: “Eminenza, io sono troppo giovane, ho appena 38 anni”. Ma lui replicò: “E’ una debolezza di cui si libererà presto. La prego di non opporsi alla volontà del Santo Padre”. Dissi allora soltanto una parola: “Accetto”. Viene consacrato nella Cattedrale del Wawel il 28 settembre dall’arcivescovo Eugeniusz Baziak. All’età di 38 anni è il più giovane vescovo della Polonia. Nonostante l’incarico non smetterà di insegnare e di essere vicino ai giovani, animando gruppi di preghiera e di formazione cristiana. Loro, i giovani discepoli, lo chiamano simpaticamente Lolek: “Lo Zio”. Nominato arcivescovo e Metropolita di Cracovia il 13 gennaio 1964 e cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967 da Papa Paolo VI, Wojtyla a 47 anni è il cardinale più giovane della Chiesa e partecipa al concilio Vaticano II (1962-1965) con un contributo importante e apprezzato nell’elaborazione della costituzione “Gaudium et spes”. 10


Da un Paese lontano Il cardinale Wojtyla è eletto Vescovo di Roma e Sommo Pontefice lunedì 16 ottobre 1978 dopo il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I. Sono le 17.20. Monsignor Villot si avvicina a Wojtyla. “Acceptasne electionem?”, gli dice solennemente. Wojtyla ha il volto bagnato di lacrime, risponde con voce ferma in latino: «Fedele alla mia fede in Nostro Signore Gesù Cristo, facendo dono di me stesso a Maria, madre di Gesù, e alla Chiesa, consapevole delle difficoltà, accetto!». Karol Wojtyla dichiara di volersi chiamare Giovanni Paolo II, come segno di continuità con i suoi predecessori. Poi si dirige verso la loggia per presentarsi al mondo. Tutti sono in attesa delle sue prime parole: «Sia lodato Gesù Cristo! Carissimi fratelli e sorelle... Siamo ancora addolorati per la morte del nostro amato papa Giovanni Paolo I... Ed ecco che i venerabili cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma... Lo hanno chiamato da un Paese lontano... lontano, ma sempre 11


vicino per la comunione nella fede e la tradizione cristiana.... Avevo paura di accettare la nomina , ma l’ho fatto per obbedire a Gesù Cristo e spinto dall’assoluta fiducia in sua Madre, la santissima Madonna... Mi capite bene? Non so se riuscirò a esprimermi nella vostra lingua... nella nostra lingua... Se sbaglio, mi corrigerete!». La folla è conquistata: applaude, piange d’emozione e di gioia. Poi il papa dà la sua prima benedizione urbi et orbi. La sua voce è forte, il tono sicuro. Il pontificato di Giovanni Paolo II è stato per lunghezza il secondo nella storia della Chiesa dell’ultimo millennio con 26 anni, 5 mesi e 17 giorni, secondo solo a quello di Pio IX. Non fosse altro che per la durata del suo regno, Giovanni Paolo II è stato un papa eccezionale. Un solo confronto: durante il suo pontificato si sono succeduti cinque presidenti degli Stati Uniti e sei capi della Russia (Per gli Stati Uniti: Jimmy Carter, Ronald Reagan, George Bush, Bill Clinton, George Bush Jr. Per la Russia: Leonid Breznev, Yuri Andropov, Constantin Cernenko, Mikhail Gorbacev, Boris Eltsin, Vladimir Putin). Ciò significa che, dopo la sua elezione al trono di Pietro, nel mondo si sono verificati grandi cambiamenti: la fine del comunismo, l’allargamento dell’Europa, la crescita dell’Islam, lo sviluppo del terrorismo, la mondializzazione, tutti fenomeni sconosciuti, se non addirittura inimmaginabili, nel 1978. Ciò significa, inoltre, che il papa è stato testimone ed artefice di un’evoluzione profonda della Chiesa cattolica, passata da 757 milioni ad oltre un miliardo di fedeli, che ha affrontato la rapida decristianizzazione dell’Europa, la crescente concorrenza delle sette, l’importante spostamento del cattolicesimo verso il Sud del pianeta, il rifiuto d’ogni magistero, specie se morale, nelle società ricche. 12


“Aprite le porte a Cristo” E’ il motto che il nuovo papa pronuncia durante la celebrazione d’apertura del suo ministero come Pastore Universale della Chiesa, il 22 ottobre 1978. Alla messa inaugurale, celebrata all’aperto, assistono più di trecentomila persone, di cui 2000 fanno parte della delegazione polacca capeggiata dal presidente della Repubblica, Henryk Jablonski. Il pontefice pronuncia in italiano l’omelia della messa. Celebre rimane questo passaggio: «Aprite, spalancate le porte a Cristo. Al suo potere di salvazione, aprite i confini degli Stati, i sistemi economici e politici, i vasti campi della cultura, della civiltà e del progresso. Non temete. Cristo sa che cosa c’è nell’uomo. Egli solo lo sa... Vi prego con umiltà e fiducia, lasciate che Cristo parli all’uomo. Egli solo ha parole di vita, sì, di vita eterna». Questo motto caratterizza la fase nascente del Pontificato, la sua felice proiezione missionaria in 13


ogni continente, l’uso creativo dei media, il primo scontro con le “potenze mondane”, fino al dramma dell’attentato e alla lunga sfida con il sistema comunista e l’impero sovietico. Già l’elezione del cardinale Wojtyla aveva incoraggiato i polacchi e allarmato il Cremlino. Quell’incoraggiamento diviene pieno con la prima visita in Polonia (2-10 giugno 1979): per nove giorni la fede cristiana torna sulla scena pubblica e la domina, mostrando che è in grado di convocare folle più grandi di quante la propaganda atea non ne abbia mai adunate. Quelle folle non si scioglieranno più: da assemblee di Chiesa, diverranno adunate sindacali ed, infine, manifestazioni politiche. L’attitudine dell’uomo Wojtyla all’uso dei media fu stimolata dall’eco straordinaria suscitata dalla sua elezione e ancor più dall’attenzione da essi prestata al viaggio in Messico (gennaio 1979) e soprattutto a quello in Polonia. Così dirà ai giornalisti che seguono il suo viaggio a Cracovia: «Vi ringrazio per aver portato tutto il mondo in Polonia, tenendolo al mio fianco e facendolo partecipare a queste preziose giornate di preghiera e di mio ritorno a casa». Già nel primo anno di pontificato, papa Giovanni Paolo II dà corpo alla proiezione universale della sua missione alle genti: verso il Sud del mondo con il viaggio in Messico, verso Est con il trionfale “ritorno in Patria”, verso il Nord e l’Ovest con la missione congiunta in Irlanda e negli Usa. Poco dopo il compimento del primo anno di pontificato, la visita in Turchia e a Costantinopoli del novembre del 1979, dove ha incontrato il patriarca ortodosso Demetrio I, completa lo scenario della missione pontificale con i primi approcci al mondo dell’Ortodossia e a quello dell’Islam, che tanto l’occuperanno nello sviluppo del pontificato. 14


Ferito dal Drago Rosso, salvato da Maria L’azione di questo papa così libero fa paura, soprattutto all’impero sovietico e a tutti i paesi satelliti del blocco comunista. Sono molto probabilmente loro ad organizzare l’attentato alla sua vita perpetrato con due colpi di pistola esplosi dal ventitreenne estremista turco, militante dei “Lupi Grigi”, Mehemet Alì Agca il 13 maggio 1981 alle ore 17.17, mentre il Santo Padre in automobile percorre Piazza San Pietro tra gli applausi della folla. Il rapido ricovero al policlinico Gemelli lo salva, lasciando, però, serie conseguenze sulla sua salute. Il Papa andò a trovare il terrorista nel carcere di Rebibbia il 27 dicembre 1983. Racconterà qualcosa di questo incontro al giornalista Indro Montanelli, che gli chiederà: «Santo Padre, cosa riuscì a capire dei moventi e dei fini di quello sciagurato?». «Parlai con quell’uomo troppo poco per capire qualcosa di moventi e di fini che fanno certamente parte di un garbuglio molto grosso. Ma di una cosa mi resi conto con chiarezza: che Alì Agcà era rimasto 15


traumatizzato non dal fatto di avermi sparato, ma dal fatto di non essere riuscito, lui che come killer si considerava infallibile, a uccidermi. Era questo che lo sconvolgeva: il dover ammettere che c’era stato Qualcuno o Qualcosa che gli aveva mandato all’aria il colpo... Essendo musulmano, ignorava che proprio quel giorno era la ricorrenza della Madonna di Fatima». Proprio all’intercessione della Madonna il Santo Padre attribuirà il merito dello scampato pericolo. Visiterà spesso Fatima e la veggente Suor Lucia e farà conoscere il terzo segreto di questa apparizione che parla della visione di un ‘vescovo vestito di bianco’ che sale in mezzo ai cadaveri verso una croce, dove viene ucciso da alcuni soldati. Consacrerà nel 1984 il mondo al Cuore Immacolato di Maria. Forte è il legame del Santo Padre con la Madre di Dio. Il motto apostolico che sceglie per il suo pontificato è “Totus tuus”. E’ una frase presa da uno dei suoi testi preferiti il “Trattato della vera devozione alla Santa Vergine” di San Luigi Maria Grignion de Montfort: «Sono tutto tuo, e tutto 16


ciò che possiedo appartiene a te». Giovanni Paolo II ha sempre considerato i grandi Santuari mariani come il cuore dell’identità cristiana e della storia di fede dei popoli che li custodiscono, e di essi farà uno dei cardini del programma della nuova evangelizzazione sviluppata attraverso quella “geografia della fede e della pietà mariana” alla quale darà grande risalto nel corso dell’Anno Mariano del 1987. I Santuari mariani sono molto più che luoghi di incontro e di preghiera: segnano la storia e la fede di un popolo e del suo particolare rapporto con Dio: «Questa eredità di fede mariana di tante generazioni deve convertirsi non solo nel ricordo di un passato, ma in un punto di partenza verso Dio. La preghiera e i sacrifici offerti, la palpitante vitalità di un popolo che esprime davanti a Maria le sue secolari gioie, tristezze e speranze, sono pietre nuove che innalzano la dimensione sacra di una fede mariana. Perché in questa continuità religiosa la virtù genera nuova virtù. La grazia attrae grazia. E la presenza di Santa Maria va radicandosi attraverso i secoli, ispirando e incoraggiando le generazioni successive. Così si consolida la difficile ascesa di un popolo verso l’alto». 17


“Andare al largo” A metà degli anni ‘80, con una serie d’iniziative ispirate ad un unico disegno, Giovanni Paolo II allarga gli orizzonti del Pontificato nel segno della missione alle genti. Questo rilancio missionario è riassunto in un secondo motto del Pontificato formulato nell’enciclica Dominum et vivificantem (1986): «Nella prospettiva del terzo millennio, dobbiamo anche guardare più ampiamente ed andare al largo, sapendo che il vento soffia dove vuole». Tappe d’apertura di questa stagione sono il viaggio in Africa dell’agosto 1985 e quello in India del gennaio - febbraio 1986. Tappe mature sono la visita alla sinagoga di Roma nell’aprile 1986 e la giornata di preghiera per la pace di Assisi. Di questa fase centrale del pontificato fanno parte l’azione di pace contro ogni guerra e l’appello ai giovani. Nessun Papa ha mai predicato la pace con la forza di Papa Wojtyla e nessuno, quanto lui, ha confessato il peccato della guerra commesso dai cristiani: «Non sempre siamo stati dei costruttori 18


di pace», ha detto ad Assisi nel 1986. Le novità della sua predicazione di pace - sviluppate soprattutto in occasione delle guerre del Golfo e del Kosovo, nel 1991 e 1999 - sono quattro: il rafforzamento della condanna della guerra “totale” contenuta nella Gaudium et spes e la sua estensione alla guerra convenzionale; il messaggio portato in situazione, come attestano le visite a popoli in guerra (ad esempio, i due viaggi del 1982 in Gran Bretagna e in Argentina, durante la guerra delle Falkland), o a zone di guerriglia e terrorismo; il monito contro una guerra particolare ripetuto ed accompagnato da iniziative collaterali, prime fra tutte il coinvolgimento - nell’azione di pace - degli episcopati e delle religioni dell’area; lo sviluppo della dottrina dell’ingerenza umanitaria, cioè del dovere della comunità internazionale di fermare le guerre in atto disarmando l’aggressore. Anche il mondo delle donne costituisce per Giovanni Paolo II una nuova frontiera: «Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!»: quest’esclamazione, degna di un innamorato, si trova nella Lettera alle donne (1995). Uguale trasporto è nella lettera apostolica Mulieris dignitatem (1988): «Nell’Anno Mariano la Chiesa desidera ringraziare la Santissima Trinità per il «mistero della donna», e, per ogni donna - per ciò che costituisce l’eterna misura della sua dignità femminile, per le «grandi opere di Dio» che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei e per mezzo di lei. In definitiva, non si è operato in lei e per mezzo di lei ciò che c’è di più grande nella storia dell’uomo sulla terra: l’evento che Dio stesso si è fatto uomo?... La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del «genio» femminile apparse 19


nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e Nazioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del Popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speranza e carità: ringrazia per tutti i frutti di santità femminile». L’”andare al largo” comprende anche un nuovo slancio ecumenico: nel giugno 1988 Giovanni Paolo II invia dieci cardinali alla celebrazione del millennio del cristianesimo russo; quello stesso anno davanti al Parlamento europeo di Strasburgo afferma l’incompatibilità della “tentazione integralista” con la genuina ispirazione evangelica; nel 1989 compie una coraggiosa uscita verso le chiese luterane della Scandinavia. Ma quello slancio ecumenico non trova rispondenza nei fatti, né ad Oriente né ad Occidente. La caduta del comunismo lo induce ad immaginare più facile l’incontro con le Chiese dell’Ortodossia, che invece si fa più difficile per la ripresa dei nazionalismi. Difficoltà nuove (come l’ordinazione delle donne nelle chiese anglicane) sorgono anche in Occidente.

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La Preghiera per la Pace ad Assisi Tra le più belle iniziative di Giovanni Paolo II c’è senz’altro da ricordare l’incontro di preghiera per la pace svoltosi ad Assisi il 27 ottobre 1986, insieme ai capi di tutte le religioni mondiali. Questo era lo spirito dell’iniziativa, come scrisse più tardi lo stesso papa: «Nel 1986 il mondo era ancora diviso in due blocchi ed oppresso dalla paura della guerra nucleare. Vedendo quanto impellente era il bisogno dei popoli di riprendere a sognare un futuro di pace e di prosperità per tutti, invitai i credenti delle diverse religioni del mondo a raccogliersi in preghiera per la pace. Avevo davanti ai miei occhi la grande visione del profeta Isaia: tutti i popoli del mondo in cammino dai diversi punti della terra per raccogliersi attorno a Dio come un’unica, grande e multiforme famiglia. Era questa la visione che aveva nel cuore il beato Giovanni XXIII e che lo spinse a scrivere l’enciclica Pacem in Terris». Il Card. Etchegaray ricorda con commozione quel giorno: «È bastato un breve incontro su una collina, qualche parola, qualche gesto, perché l’umanità straziata riscoprisse nella gioia l’unità delle sue origini. Quando, alla fine di una grigia mattinata, l’arcobaleno è apparso nel cielo di Assisi, i capi religiosi riuniti dall’audacia profetica di uno di essi, Giovanni Paolo II, vi hanno scorto un richiamo pressante alla vita fraterna: nessuno poteva più dubitare che la preghiera avesse provocato quel segno manifesto dell’intesa tra Dio e i discendenti di Noè. Nella cattedrale di San Rufino, quando i responsabili delle Chiese cristiane si sono scambiati la pace, ho visto le lacrime su certi volti e non dei meno importanti. 21


Davanti alla basilica di San Francesco, dove, intirizzito dal freddo, ognuno alla fine sembrava serrarsi strettamente all’altro, quando giovani ebrei si sono precipitati sulla tribuna per offrire rami di ulivo, in primo luogo ai musulmani, mi sono sorpreso ad asciugare le lacrime sul mio viso. L’angoscia della pace tra gli uomini e tra i popoli ci spingeva «ad essere insieme per pregare ma non a pregare insieme» secondo l’espressione del Papa, la cui iniziativa, malgrado la sua preoccupazione di evitare ogni parvenza di sincretismo, non fu allora compresa da taluni che temevano di vedere diluirsi la loro specificità cristiana. Assisi ha fatto fare alla Chiesa uno straordinario balzo in avanti verso le religioni non cristiane che ci apparivano vivere fino a quel momento in un altro pianeta nonostante l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Assisi è stato il simbolo, la realizzazione di ciò che deve essere il compito della Chiesa, per vocazione propria in un mondo in stato flagrante di pluralismo religioso: professare l’unità del mistero della salvezza in Gesù Cristo».

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La Caduta delle Dittature Nel 1989 accadde un miracolo che nemmeno il più grande utopista si sarebbe mai sognato: la rapida fine dell’Impero Sovietico e la caduta di tutte le dittature comuniste nell’Europa dell’Est. L’Autunno delle Nazioni iniziò in Polonia e contagiò, in maniera pacifica, Germania Est, Cecoslovacchia, Ungheria e Bulgaria. La Romania fu l’unica nazione che rovesciò il regime in maniera violenta, giustiziando il dittatore Ceausescu. Questi eventi portarono al collasso dell’Unione Sovietica e alla fine della Guerra Fredda. Le manifestazioni operaie in Polonia negli anni ottanta avevano portato alla formazione di un sindacato indipendente, Solidarnosc, guidato da Lech Walesa, che in poco tempo divenne una forza politica. Il 13 dicembre 1981, il leader comunista Jaruzelski, temendo un intervento sovietico, decise di abbattere Solidarnosc, dichiarando la 23


legge marziale in Polonia e imprigionando la maggior parte dei suoi capi. Verso la metà degli anni ‘80 Solidarnosc, supportata dalla Chiesa cattolica e da molte nazioni occidentali, attraverso il lungo sciopero nazionale del 1988, obbligò il governo ad aprire un dialogo con il sindacato. Nell’aprile 1989 Solidarnosc venne nuovamente legalizzata, ed autorizzata a partecipare alle elezioni parlamentari del 4 giugno dello stesso anno (il giorno seguente alla repressione delle proteste studentesche in piazza Tienanmen a Pechino). Solidarnosc conquistò 99 seggi su 100 al Senato. Un nuovo governo, non comunista, il primo nell’Europa orientale, si insediò nel settembre 1989. Questa transizione indolore non si sarebbe verificata senza le trattative che il Santo Padre portò avanti con il Generale Jaruzelski e con il leader russo Michail Gorbaciov, che permisero alle nazioni del blocco orientale di tornare alla democrazia. Il papa aveva iniziato il pontificato affermando che non si può cercare il bene con la violenza. Parlando del conflitto in Irlanda dichiara che il 24


cristianesimo non permette di «cercare le soluzioni nell’odio e nei metodi terroristici». Tra le critiche di molti si reca in Cile ad incontrare il dittatore Pinochet. Nel discorso all’aereoporto invoca «la vittoria del perdono, della misericordia e della riconciliazione». Invita il popolo oppresso a non seguire le sirene di una ideologia che proclama la violenza e l’odio come rimedi per conseguire la giustizia. Alla fine la paziente opera di mediazione del Santo Padre porterà alla pacificazione non violenta in Cile, in Paraguay, nelle Filippine e in molte altre nazioni del mondo. Geremek, storico di Solidarnosc, afferma: «La rivoluzione pacifica del 1989 è stata contro la rivoluzione francese, prima di tutto contro i suoi metodi, il terrore e il bagno di sangue, ma anche contro la centralizzazione del potere e l’onnipotenza dello Stato»

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Missionario per il Mondo A pochi giorni dall’elezione il successore di Pietro dice: «Voglio andare da tutti, da tutti coloro che pregano, dove essi pregano, dal beduino nella steppa, dalla carmelitana o dal monaco cistercense nei loro conventi, dal malato al suo letto di sofferenza, dall’uomo attivo nel pieno della sua vita, dagli oppressi, dagli umiliati… dappertutto… vorrei oltrepassare la soglia di tutte le case». E’ l’ansia di portare ovunque il suo grido di salvezza. Da Roma punta in tutte le direzioni della Terra: dalle basiliche romane agli stadi di tutto il mondo. Come scriverà Del Rio: «Papa Wojtyla brandisce la gran croce alta che era appartenuta a Paolo VI, con un Cristo crocefisso tormentato, e comincia a portarsela in giro per il mondo, appoggiandosi ad essa come al bordone di un pellegrino, con quel suo camminare pesante di montanaro polacco. Non ha bisogno di segni pontificali in testa. Ha l’audacia di proporsi lui stesso come segno, con l’esibizione della consapevolezza della propria autorità. E’ un papa indefesso, instancabile. Deve andare in giro per il mondo perché deve salvare il mondo. Lo fa in nome di Dio. Tutta la sua opera tende a rifare missionaria ed espansiva la Chiesa cattolica, com’era una volta. Per questo il papa 26


viaggia “fino ai confini della Terra” e cerca le masse - che stanno allontanandosi dalla religione poco curandosi delle élite. Vuole riportare a Cristo un mondo gonfio di presunzione e d’orgoglio, il quale adora solo i propri idoli: il potere e il denaro». A Montreal, in Canada, offre la spiegazione del suo pontificato itinerante: un capo, come Mosè, che deve condurre questa terra a Dio, far ritornare questa umanità sulle strade del cielo, questa terra che è “possesso di Dio” e quindi dev’essere “terra santa”. Ed è per questo che egli, il sommo pontefice, il rappresentante di Dio, la percorre in lungo ed in largo per richiamarla alla salvezza. Egli stesso ha parlato di Mosè, quasi come in un’identificazione: «Dio si rivela a Mosè per affidargli una missione. Deve far uscire Israele dalla schiavitù dei faraoni d’Egitto». Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha compiuto 146 visite pastorali in Italia, ha visitato 301 delle attuali 333 parrocchie romane (da vero vescovo di Roma si è fatto romano tra i romani), più di 900 città e 129 nazioni di tutti i continenti percorrendo oltre un milione di Km, pari a 29 volte il giro del mondo e circa 3 volte la distanza tra la Terra e la Luna. Per due volte è stato invitato a parlare all’ONU: il 2 ottobre 1979 e il 5 ottobre 1995; ha parlato nelle sedi delle maggiori istituzioni del mondo: all’UNESCO, alla FAO, 27


al Parlamento Europeo. Il 14 novembre 2002 il Papa ha tenuto un discorso davanti al Parlamento Italiano: era la prima volta che un Pontefice vi entrava dall’avvento dell’Unità d’Italia ed era anche la prima volta che un Papa teneva un discorso davanti a deputati e senatori. Ha dato impulso al dialogo ecumenico e si è battuto per l’unità di tutti i cristiani. E’ il primo papa, dopo Pietro, ad entrare in una sinagoga; dopo millenni di separazione compie un clamoroso gesto di riconciliazione: si reca in visita alla sinagoga di Roma dove prega con i “fratelli maggiori” ebrei ed abbraccia il Rabbino capo (13 aprile 1986), esprimendo il rigetto dell’antisemitismo, anche quando esso era stato effettuato nella Chiesa. E’ stato il primo papa a parlare in una chiesa protestante l’11 dicembre 1983; in quell’occasione il Santo Padre s’incontra con la comunità evangelico-luterana di Roma. Ancora è stato il primo papa ad andare in un paese ortodosso (Romania, 7 maggio 1999) e ad entrare nel luogo di culto dei musulmani: è il 6 maggio 2001 quando Wojtyla sosta nella moschea degli Ommayadi, a Damasco. 28


Giovane tra i giovani Fin dall’inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II vuole incontrare i giovani nelle parrocchie di Roma e ovunque lo portano i viaggi. Sarà sulla base di quell’esperienza che - in occasione del Giubileo straordinario della Redenzione (1983) e dell’Anno della gioventù indetto dall’ONU (1985) - inviterà i giovani a venire a Roma e nasceranno così le Giornate Mondiali della Gioventù. In ogni nazione, Wojtyla incontra i giovani, vuole incontrarli in massa, negli stadi, nei palazzi dello sport, nelle grandi piazze. Anche le celebrazioni liturgiche si trasformano spesso in una gran festa giovanile, in uno spettacolo di suoni e colori. A Caracas, un giovane sale di corsa sul palco dove il papa ha appena finito di parlare. Gli afferra la mano, l’alza in alto e lo proclama “Campeon del mundo” in un uragano d’urla. A Parigi, al Parco dei Principi, nel vecchio velodromo che ha visto i trionfi dei vincitori dei Giri di Francia, un altro giovane lo proclama “Atleta di Dio”.

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Giovanni Paolo II ha “inaugurato” nel 1987 le Giornate Mondiali della Gioventù con dei raduni internazionali: nel 1987 a Buenos Aires (“Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi”); nel 1989 a Santiago de Compostela (“Io sono la via, la verità, la vita”); nel 1991 a Czestochowa (“Avete ricevuto uno spirito da figli”); nel 1993 a Denver (“Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”); nel 1995 a Manila (“Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”); nel 1997 a Parigi (“Maestro, dove abiti? Venite e vedrete”); nel 2000 a Roma (“Il Verbo si fece carne e abitò tra noi”); nel 2002 a Toronto (“Voi siete il sale della Terra… Voi siete la luce del mondo”). Sono centinaia le bellissime pagine indirizzate dal papa ai giovani. Una tra le tante la vogliamo leggere insieme, quella composta da Giovanni Paolo II per il viaggio nel Kazakhstan: «Preparando questo mio viaggio, mi sono domandato che cosa i giovani vorrebbero sentire dal Papa, che cosa vorrebbero chiedergli. Conosco i giovani e so che essi vanno alle questioni di fondo. Probabilmente la prima domanda che voi desiderereste pormi è questa: “Chi sono io secondo te, Papa Giovanni Paolo II, secondo il Vangelo che tu annunci? Qual è il senso della mia vita? Qual è il mio destino?”. La mia risposta, cari giovani, è semplice, ma di enorme portata: Ecco, tu sei un pensiero di Dio, tu sei un palpito del cuore di Dio. Affermare questo è come dire che tu hai un valore in certo senso infinito, che tu conti per Dio nella tua irripetibile individualità. Voi capite allora, cari giovani, perché io mi accosto a voi, questa sera, con rispetto e trepidazione e vi guardo con grande affetto e fiducia. Siate consapevoli del valore unico 30


che ciascuno di voi possiede e sappiate accettarvi nelle rispettive convinzioni, pur cercando assieme la verità piena. Il vostro Paese ha sperimentato la violenza mortificante dell’ideologia. Che non succeda a voi di essere ora preda della violenza non meno distruttrice del “nulla”. Quale vuoto asfissiante, se nella vita non v’è nulla che conti, se non si crede a nulla! Il nulla è la negazione dell’infinito, che la vostra steppa sconfinata evoca con forza, di quell’Infinito a cui aspira in modo irresistibile il cuore dell’uomo. Mi hanno detto che nella vostra bellissima lingua, il kazako, “ti amo” si dice: “mien siené jaksè korejmen”, espressione che si può tradurre: “io ti guardo bene, ho su di te uno sguardo buono”. L’amore dell’uomo, ma ancora prima l’amore stesso di Dio verso l’uomo e verso il creato nasce da uno sguardo buono, uno sguardo che fa vedere il bene e induce a fare il bene: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”, è detto nella Bibbia (Gn 1, 31). Un tale sguardo permette di cogliere tutto il positivo che c’è nella realtà e conduce a considerare, al di là di un approccio superficiale, la bellezza e la ricchezza di ogni essere umano che ci si fa incontro». 31


Un Santo amico dei Santi Il Santo Padre ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione nelle quali ha proclamato 1338 beati e 51 canonizzazioni per un totale di 482 santi, quasi per avvicinare la Terra al Cielo e il Cielo alla Terra. Fra i primi ad essere canonizzati San Massimiliano Kolbe (1982), francescano conventuale che ad Auschwitz offrì la vita al posto di un padre di famiglia e San Leopoldo Mandic, cappuccino apostolo del confessionale a Padova (1983). Ricordiamo poi il medico napoletano Giuseppe Moscati, la giovane religiosa Clelia Barbieri, la carmelitana Edith Stein, Giovanni Calabria, Giuseppina Bakhita, Padre Pio da Pietrelcina (incontrato in vita dallo stesso papa), il missionario Daniele Comboni, Josemaria Escriva de Balanguer, Luigi Orione, Gianna Beretta Molla. In particolare va ricordata la religiosa Faustina Kowalska, apostola della Divina Misericordia, alla cui spiritualità il papa era molto legato. Questa figura ispirerà la sua seconda enciclica Dives in misericordia (1980) e l’istituzione della Festa della Divina Misericordia, la prima domenica dopo Pasqua. Nel piano della Provvidenza sarà poi il giorno della sua scomparsa e della sua Beatificazione (1 maggio 2011).

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Un uomo di preghiera Wojtyla fa suoi i gesti e gli abbandoni dei mistici. Su ogni foglio che scrive, anche sugli appunti che manda alla Segreteria di Stato, pone in un angolo un’invocazione alla Madonna, tratta dalle Litanie. Dicono che spesso stenda i suoi discorsi stando in ginocchio in cappella, come Santa Teresa che scriveva inginocchiata su una stuoia di sughero, appoggiando i fogli ad un ripiano che sporgeva dalla finestra. È la Santa Messa di mattino il punto della sua massima concentrazione spirituale. A chi vi assiste, Wojtyla appare come estasiato, ma nello stesso tempo come rapito dentro una sofferenza. Lì, nella messa, trae la forza fisica per resistere a tutte le sue fatiche apostoliche. Lì, nella Messa, s’immerge nel mistero del dolore di Cristo. Egli stesso dirà della preghiera: «L’uomo raggiunge la pienezza della preghiera non quando vi esprime maggiormente se stesso, ma quando lascia che in essa si faccia più pienamente presente Dio». Il suo segretario racconta: «Una volta il papa mi disse: “Io pregherò per tutto il mondo”. E poi a cena cominciò a menzionare le nazioni, le repubbliche dell’Africa e dell’Asia. Pensai che davvero pregasse per tutto il mondo. Che abbracciasse tutto il mondo con il pensiero e con la preghiera». 33


Verso il Grande Giubileo del 2000 Il programma di avvicinamento al Grande Giubileo del 2000 viene dettato nella lettera Tertio millennio adveniente (1994), che ha - per la fase matura del Pontificato - l’importanza che ebbe la Redemptor hominis per la fase iniziale. In essa, come nella prima enciclica, Giovanni Paolo II annuncia con forza la necessità di Cristo, salvatore di ogni uomo: «Cristo è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio deformata dal peccato. Nella sua natura umana, immune da ogni peccato ed assunta nella Persona divina del Verbo, la natura comune ad ogni essere umano viene elevata ad altissima dignità: con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo». Forse un giorno si dirà che il più grande dono di Giovanni Paolo II alla sua Chiesa è stato l’esame di fine millennio. Il riesame del caso Galileo (1991), lo studio - in appositi simposi internazionali - dell’antigiudaismo (1997) e delle inquisizioni (1998), la pubblicazione, da parte della Commissione teologica internazionale, del documento “La Chiesa e le colpe del passato” (2000) rappresentano il coinvolgimento della Chiesa nel mea culpa papale, che culmina con le sette richieste di perdono (“Mai più, mai più”) formulate dal Papa in San Pietro il 12 marzo del 2000: per i peccati in generale, per quelli commessi nella persecuzione degli eretici, contro l’unità delle Chiese, nei rapporti con gli ebrei, contro la pace e i diritti dei popoli, contro la donna e l’unità del genere umano, contro i diritti fondamentali della persona. A partire dalla metà degli anni ‘90, i giorni e le opere di Giovanni Paolo II sono guidati da un unico sogno: celebrare il Grande Giubileo ed 34


introdurre la Chiesa nel terzo millennio. Oltre che dalla purificazione della memoria, l’anno giubilare sarà caratterizzato dalla celebrazione dei “nuovi martiri” (7 maggio 2000) e dal pellegrinaggio dei giovani a Roma (15-22 agosto), dai viaggi sul Sinai, in Terra Santa (febbraio e marzo 2000), in Grecia, Siria e Malta (maggio 2001). Alla stagione del Giubileo appartengono i lasciti più audaci del Pontificato: l’abbraccio con l’ebraismo e la solidarietà con l’”Islam autentico” (nel 2001 visita per la prima volta una moschea a Damasco); la chiamata di tutte le Chiese a cercare, assieme a quella Cattolica, forme nuove per l’esercizio del “ministero petrino”, in modo che esso possa essere riconosciuto da tutti (Ut unum sint, 1995). 35


A servizio dei Poveri La storia personale di Karol Wojtyla non è priva di importanza per spiegare come e perché Giovanni Paolo II fu profeta della Dottrina Sociale della Chiesa. Lo stesso Giovanni Paolo II ha più volte ricordato la sua esperienza di lavoratore ed ha sempre dato importanza alla sua appartenenza al popolo e alla Chiesa di Polonia. Sul piano personale Karol Wojtyla ha sempre sperimentato la significatività di Cristo per la sua vita concreta e come le sue aspirazioni di giovane, di operaio, di studente, di uomo, trovassero in Cristo una luce che le valorizzava anche nella loro umanità. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II la voce del Papa è stata percepita dall’opinione pubblica mondiale come la più alta difesa dei diritti della persona umana. Nei suoi innumerevoli viaggi, Giovanni Paolo II ha difeso gli indifesi e si è fatto voce degli oppressi. Il papa non ha avuto nessun timore reverenziale nel denunciare le ingiustizie. In Africa, ad esempio, ha condannato la schiavitù, ma anche gli odi tribali che seminano guerra.

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In Australia ha difeso i diritti degli aborigeni e in America latina quelli degli abitanti delle degradate periferie urbane. Ha difeso il diritto dei popoli allo sviluppo ed anche quello della coppia ad una libera responsabile procreazione, criticando le dottrine ecologiste che temono la sovrappopolazione come il cancro del pianeta. Karol Wojtyla conosce bene i limiti del sistema marxista, per questo guarda criticamente alla Teologia della Liberazione sorta negli anni 70 in America Latina. Insieme al suo stretto collaboratore, amico e successore, il card. Joseph Ratzinger, denuncia: «Si sacralizza la rivoluzione - mescolando Dio, Cristo, le ideologia - si crea un fanatismo entusiastico che può portare alle ingiustizie e alle oppressioni peggiori... Colpisce poi dolorosamente questa illusione così poco cristiana di poter creare un uomo e un mondo nuovi, non col chiamare ciascuno alla conversione, ma agendo solo sulle strutture sociali ed economiche». Dopo la caduta del comunismo, nell’enciclica Centesimus Annus (1991), il papa avrà parole dure anche per il «capitalismo selvaggio», invitando alla creazione di rapporti di giustizia tra il Nord e il Sud del mondo. Egli stesso è testimone diretto di questa fratellanza universale, che lo rende sensibile al dolore e alla fragilità degli altri. L’arcivescovo di Torino Ballestrero, ha raccontato commosso la sua visita al Cottolengo tra i ricoverati, molti dei quali gravemente malati: il papa li abbracciava e piangeva tra loro. Forte poi è stato il legame del Santo padre con l’eroica suora albanese, missionaria in India, Madre Teresa di Calcutta. Visitò la sua missione, aiutò la sua opera, e come segno tangibile di vicinanza, fece aprire una casa delle Missionarie della Carità in Vaticano. 37


Paladino della Vita Il rimprovero che Wojtyla muove alla società moderna è che essa, mentre riesce a provare orrore per i crimini nazisti, si rifiuta di comprendere che anch’essa è già sulla china della completa insensibilità morale. Il nuovo Olocausto, per Giovanni Paolo II, è quello che su scala mondiale avviene contro la vita nascente; i nuovi lager sono i reparti di maternità, dove si accumulano gli aborti; le nuove manipolazioni della razza avvengono nei laboratori delle tecniche genetiche; le nuove camere a gas sono i letti degli ospedali dove si pratica l’eutanasia. È qui che nasce la sua passione apostolica, e anche le sue durezze e i suoi rimproveri, contro questo dramma. La manifesta soprattutto nell’Enciclica Evangelium Vitae del 1995, dove afferma: «Oggi l’annuncio si fa particolarmente urgente per l’impressionante moltiplicarsi ed acutizzarsi delle minacce alla vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando essa è debole e indifesa... con le nuove prospettive aperte dal progresso scientifico e tecnologico nascono nuove forme di attentati alla dignità dell’essere umano, mentre si delinea e consolida una nuova situazione culturale che dà ai delitti contro la vita un aspetto inedito e — se possibile — ancora più iniquo: larghi strati dell’opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l’impunità, ma persino l’autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l’intervento gratuito delle strutture sanitarie». Tutto questo, continua il papa «è sintomo preoccupante e causa non marginale di un grave crollo morale: scelte un tempo unanimemente considerate come 38


delittuose e rifiutate dal comune senso morale, diventano a poco a poco socialmente rispettabili. La stessa medicina, che per sua vocazione è ordinata alla difesa e alla cura della vita umana, in alcuni suoi settori si presta sempre più largamente a realizzare questi atti contro la persona e in tal modo deforma il suo volto, contraddice sé stessa e avvilisce la dignità di quanti la esercitano. Viene meno così ogni riferimento a valori comuni e a una verità assoluta per tutti: la vita sociale si avventura nelle sabbie mobili di un relativismo totale... Allora tutto è negoziabile: anche il primo dei diritti fondamentali, quello alla vita... Il ventesimo secolo verrà considerato un’epoca di attacchi massicci contro la vita, un’interminabile serie di guerre e un massacro permanente di vite umane innocenti. I falsi profeti e i falsi maestri hanno conosciuto il maggior successo possibile... Smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire anche il senso dell’uomo, della sua dignità e della sua vita... Noi siamo il popolo della Vita perché Dio nel suo amore gratuito, ci ha donato il Vangelo della Vita».

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Il tesoro dei suoi scritti Giovanni Paolo II è stato anche autore fecondo. Nessuno dei suoi predecessori ha scritto tanto: ha pubblicato raccolte di poesie, l’opera teatrale La bottega dell’orefice (1960, sotto lo pseudonimo di Andrzej Jawien), numerosi scritti etici e teologici tra cui Amore e responsabilità (1969), e Segno di contraddizione (1977). Sono 80.000 le pagine di discorsi tenuti dal Santo Padre, 44 le lettere apostoliche, 15 le esortazioni apostoliche, 11 le costituzioni apostoliche e 14 le encicliche pubblicate: la prima, Redemptor hominis (“Redentore dell’uomo”) del 1979, indaga le connessioni tra la redenzione di Cristo e la dignità umana. Le encicliche successive concernono il potere della misericordia divina nella vita dell’uomo (Dives in misericordia, “Ricchi di misericordia”, 1980), l’importanza del lavoro quale “via di santificazione” (Laborem exercens, “Mediante il lavoro”, 1981), la posizione della Chiesa in Europa orientale e l’eredità degli “Apostoli degli Slavi”, Cirillo e Metodio, in occasione dell’XI centenario della morte di san Metodio (Slavorum apostoli, 1985), le posizioni cattoliche in materia di marxismo, materialismo ed ateismo (Dominum et vivificantem, “E’ Signore e dà la vita”, 1986), il ruolo della Vergine Maria, fonte d’unità cristiana (Redemptoris mater, “Madre del Redentore”, 1987), la questione sociale e lo sviluppo (Sollicitudo rei socialis, “Sollecitudine sociale”, 1988), la nuova evangelizzazione (Redemptoris missio, “La missione del Redentore”, 1991), la necessità di conciliare il capitalismo con la giustizia sociale nel “centesimo anno” dalla Rerum Novarum di Leone XIII (Centesimus annus, 1991), una dissertazione contro il relativismo morale (Veritatis 40


splendor, “Lo splendore della verità”, 1993), il rispetto della vita contro la cultura della morte e la condanna all’eutanasia, all’aborto e ai genocidi (Evangelium vitae, “Il Vangelo della vita”, 1995), l’unità dei cristiani in risposta alla preghiera di Cristo “perché siano una cosa sola” (Ut unum sint, 1995), il rapporto tra fede e ragione nel pensiero moderno (Fides et ratio, “Fede e ragione”, 1998), l’importanza della fede nell’Eucaristia (Ecclesia de Eucharestia, “La Chiesa vive dell’Eucaristia”, 2003). Al Papa si ascrivono anche 5 libri: Varcare la soglia della speranza (1994); Dono e mistero: nel 50° anniversario del mio sacerdozio (1996); Trittico romano, meditazioni in forma di poesia (2003); Alzatevi, andiamo! (2004) e Memoria e Identità (2005). Il 22 novembre 2001 Giovanni Paolo II da un computer della Sala Clementina in Vaticano invia per email il testo dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Oceania ai vescovi di tutte le Diocesi di quel continente: il fatto che un pontefice sia ricorso ad Internet per diffondere un documento pontificio ufficiale è stato l’ennesimo evento senza precedenti.

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L’ora della Croce L’ultima stagione del Pontificato, quella che va dal Grande Giubileo alla sua morte, può essere sintetizzata dal motto: “Servire la Chiesa quanto a lungo Cristo vorrà” ad attestare l’impegno a spendersi totalmente, fino alla fine, per Cristo e per la Chiesa. La salute del Papa, negli ultimi anni, è stata una lunga lista di doglianze. «Vi saluta il Papa deficiente, ma non decaduto», scherzava Giovanni Paolo II nel novembre 1993, di ritorno dal Gemelli dove era stato ricoverato dopo una lussazione alla spalla. Oltre all’età che avanzava, l’origine di tanti problemi successivi fu l’attentato che il 13 maggio di 24 anni fa lo ferì gravemente all’addome, oltre che ad una mano, lasciandolo quasi dissanguato. Sono stati ben 164, mediamente sei per ciascun anno di pontificato, i giorni complessivi trascorsi da Giovanni Paolo II nel policlinico romano Agostino Gemelli, a partire da quel drammatico 13 maggio. Si è trattato di una sequenza di ben otto periodi prolungati di degenza, che hanno persino spinto il 42


pontefice ad una riflessione umoristica, pronunciata il 13 ottobre 1996: «Saluto cordialmente tutti i presenti raccolti in questo, direi, Vaticano numero 3. Perché il Vaticano numero 1 è piazza San Pietro, il numero 2 è Castelgandolfo, il numero 3 è diventato il policlinico Gemelli». Nell’estate 1992, infatti, è sotto i ferri di nuovo, questa volta per un tumore al colon, poi rivelatosi benigno. Ma i guai non finiscono lì. L’uomo, più debole, scivola il 28 ottobre 1994 e il giorno dopo viene operato per una frattura al femore. È in quello stesso anno che appare un tremore alla sua mano sinistra, ma solo a settembre del 1997, durante un viaggio in Ungheria, il portavoce nominerà la patologia: “malattia neurologica, di tipo parkinsoniano”. Un morbo che avanza vistosamente negli anni successivi. Talvolta si è sentito dire che l’immagine di un pontefice “vecchio e tremante” non nobilita la chiesa che pretende di rappresentare. Si è fatto a gara per mostrare insopportabili dettagli che i media, spesso cinici, ritrasmettevano volentieri; le telecamere inquadravano in primo piano le mani che tremavano durante l’elevazione, un filo di bava che colava dalle labbra, il volto contratto dal morbo di Parkinson. Immagini diffuse nel mondo intero, che tuttavia hanno giocato contro quelli che le trasmettevano, poiché spesso la compassione e la simpatia sono prevalse in coloro che le guardavano. Giovanni Paolo II ha voluto terminare la sua sofferenza, compierla, laddove la sua vocazione lo aveva insediato, al soglio di Pietro. Papa eccezionale ha voluto applicare alla lettera il disegno di Dio, aggrappandosi giorno dopo giorno al pastorale d’argento che ha sempre tenuto in mano come un pellegrino tiene il suo bastone. Più passava il tempo e sprofondava nella malattia, più si dava a Dio in 43


maniera mistica, al modo di alcuni dei molti santi che ha canonizzato. La grandezza del cristianesimo sta appunto nel mostrare il riverito Dio morto sulla croce, annientato dal dolore, che offre al mondo le proprie piaghe e la propria morte. Cosa bisogna aspettarsi da chi serve questa religione al più alto livello, se non quest’offerta di sé? L’impudenza di chi richiedeva le sue dimissioni, la sua dipartita dal “teatro del mondo”, con il pretesto che non sarebbe stato più sufficientemente televisivo o mediatico, ha colpito per la sua crudeltà. A tutti costoro i quali perfidamente gli consigliavano di ritirarsi, argomentando che la Chiesa doveva essere dotata di un capo in buona salute, Giovanni Paolo II ha risposto senza esitare: “Gesù è forse sceso dalla croce?”. Così Giovanni Paolo ha continuato a rimanere tra noi, tra quel popolo di Dio, che lo ha amato “sullo stretto marciapiede della terra”, così come lui stesso ha definito il corso limitato della vita, e vi è rimasto fino alla fine sopraggiunta sabato 2 aprile 2005 alle 21.37. Il cardinale Camillo Ruini aveva parlato della fede del Papa agonizzante: “Una fede così forte, un’esperienza di Dio così intensamente 44


vissuta, che egli, in queste ore di sofferenza, come prima in tutto il suo instancabile ministero, già vede e già tocca il Signore, già è unito al nostro unico Salvatore”. I grandi del mondo si sono inchinati per dare l’addio a Karol Wojtyla. Ai suoi funerali, presieduti dal card. Ratzinger in Piazza San Pietro venerdì 8 aprile, sono convenuti 2 milioni di persone da ogni angolo della Terra, 200 delegazioni diplomatiche di tutte le lingue e di tutti i credo religiosi: tra loro 46 capi di Stato e otto vice-capi, 17 premier, 3 principi ereditari. Resta di quella messa solenne anche un flash straordinario: la piccola schiera di patriarchi orientali che sul finire del rito si sono accostati alla bara e hanno cantato gli inni struggenti della tradizione bizantina, e l’Evangeliario sopra la bara, che viene aperto da una folata di vento, come una rinnovata Pentecoste. E’ stata una messa come l’avrebbe voluta Wojtyla. È venuto il primate anglicano Williams, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e tanti capi di chiese cristiane e di altre religioni. Protesa tra Oriente ed Occidente. Giovanni Paolo II ha così chiuso in fratellanza la sua lunga corsa terrena, pronto a varcare la soglia dell’eternità.

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Dal Testamento

scritto a più riprese nel corso degli anni, durante i suoi esercizi spirituali «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (cfr Mt 24, 42) — queste parole mi ricordano l’ultima chiamata, che avverrà nel momento in cui il Signore vorrà. Desidero seguirLo e desidero che tutto ciò che fa parte della mia vita terrena mi prepari a questo momento. Non so quando esso verrà, ma come tutto, anche questo momento depongo nelle mani della Madre del mio Maestro: Totus Tuus. Nelle stesse mani materne lascio tutto e Tutti coloro con i quali mi ha collegato la mia vita e la mia vocazione. In queste Mani lascio soprattutto la Chiesa, e anche la mia Nazione e tutta l’umanità. Ringrazio tutti. A tutti chiedo perdono. Chiedo anche la preghiera, affinché la Misericordia di Dio si mostri più grande della mia debolezza e indegnità. (6 marzo 1979) I tempi, nei quali viviamo, sono indicibilmente difficili e inquieti. Difficile e tesa è diventata anche la via della Chiesa, prova caratteristica di questi tempi — tanto per i Fedeli, quanto per i Pastori. 46


In alcuni Paesi , la Chiesa si trova in un periodo di persecuzione tale, da non essere inferiore a quelle dei primi secoli, anzi li supera per il grado della spietatezza e dell’odio. Sanguis martyrum — semen christianorum. E oltre a questo — tante persone scompaiono innocentemente, anche in questo Paese in cui viviamo... Desidero ancora una volta totalmente affidarmi alla grazia del Signore. Egli stesso deciderà quando e come devo finire la mia vita terrena e il ministero pastorale. Nella vita e nella morte Totus Tuus mediante l’Immacolata. Accettando già ora questa morte, spero che il Cristo mi dia la grazia per l’ultimo passaggio, cioè la [mia] Pasqua. Spero anche che la renda utile per questa più importante causa alla quale cerco di servire: la salvezza degli uomini, la salvaguardia della famiglia umana, e in essa di tutte le nazioni e dei popoli (tra essi il cuore si rivolge in modo particolare alla mia Patria terrena), utile per le persone che in modo particolare mi ha affidato, per la questione della Chiesa, per la gloria dello stesso Dio. (5 marzo 1982) Quando nel giorno 16 ottobre 1978 il conclave dei cardinali scelse Giovanni Paolo II, il Primate della Polonia Card. Stefan Wyszynski mi disse: «Il compito del nuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio». Non so se ripeto esattamente la frase, ma almeno tale era il senso di ciò che allora sentii. Lo disse l’Uomo che è passato alla storia come Primate del Millennio. Un grande Primate. Sono stato testimone della sua missione, del Suo totale affidamento. Delle Sue lotte: della Sua vittoria. «La vittoria, quando avverrà, sarà una vittoria mediante Maria» — queste parole del suo Predecessore, il Card. August Hlond, soleva ripetere il Primate del Millennio. In questo modo sono stato in qualche maniera preparato al compito che il giorno 16 ottobre 1978 si è presentato davanti a me. Nel momento in cui scrivo queste parole, l’Anno giubilare del 2000 è già una realtà in atto. La notte del 24 dicembre 1999 è stata aperta la simbolica Porta del Grande Giubileo nella Basilica di San Pietro, in seguito quella di San Giovanni in Laterano, poi di Santa Maria Maggiore 47


— a capodanno, e il giorno 19 gennaio la Porta della Basilica di San Paolo «fuori le mura». Quest’ultimo avvenimento, a motivo del suo carattere ecumenico, è restato impresso nella memoria in modo particolare. Man mano che l’Anno Giubilare 2000 va avanti, di giorno in giorno si chiude dietro di noi il secolo ventesimo e si apre il secolo ventunesimo. Secondo i disegni della Provvidenza mi è stato dato di vivere nel difficile secolo che se ne sta andando nel passato, e ora nell’anno in cui l’età della mia vita giunge agli anni ottanta, bisogna domandarsi se non sia il tempo di ripetere con il biblico Simeone «Nunc dimittis». Nel giorno del 13 maggio 1981, il giorno dell’attentato al Papa durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, la Divina Provvidenza mi ha salvato in modo miracoloso dalla morte. Colui che è unico Signore della vita e della morte Lui stesso mi ha prolungato questa vita, in un certo modo me l’ha donata di nuovo. Da questo momento essa ancora di più appartiene a Lui. Spero che Egli mi aiuterà a riconoscere fino a quando devo continuare questo servizio, al quale mi ha chiamato nel giorno 16 ottobre 1978. Gli chiedo di volermi richiamare quando Egli stesso vorrà. «Nella vita e nella morte apparteniamo al Signore... siamo del Signore» (cfr Rm 14, 8). Spero anche che fino a quando mi sarà donato di compiere il servizio Petrino nella Chiesa, la Misericordia di Dio voglia prestarmi le forze necessarie per questo servizio. A misura che si avvicina il limite della mia vita terrena ritorno con la memoria all’inizio, ai miei Genitori, al Fratello e alla Sorella (che non ho conosciuto, perché morì prima della mia nascita), alla parrocchia di Wadowice, dove sono stato battezzato, a quella città della mia giovinezza, ai coetanei, compagne e compagni della scuola elementare, del ginnasio, dell’università, fino ai tempi dell’occupazione, quando lavorai come operaio, e in seguito alla parrocchia di Niegowic’, a quella cracoviana di S. Floriano, alla pastorale universitaria, all’ambiente... a tutti gli ambienti... a Cracovia e a Roma... alle persone che in modo speciale mi sono state affidate dal Signore. A tutti voglio dire una sola cosa: «Dio vi ricompensi»! (17 marzo 2000) 48


Bibliografia

La fonte principale di questo libro è la tesi del prof. Sandro Pozza, che ringraziamo per la gentile collaborazione. Tra i tanti testi utili per approfondire la figura di Giovanni Paolo II segnaliamo: A. Riccardi, Giovanni Paolo II G. Waigel, Testimone della Speranza D. Del Rio, Karol il Grande G.F. Svidercoschi, Una vita con Karol G. Galeazzi, Wojtyla segreto A. Vircondelet, Giovanni Paolo II

Preghiera per le Vocazioni

Padre santo e provvidente, tu sei il Padrone della vigna e della messe e dai a ciascuno con il lavoro la giusta ricompensa. Nel tuo disegno di amore chiami gli uomini a collaborare con Te per la salvezza del mondo. Ti ringraziamo per Gesù Cristo, tua Parola vivente, che ci ha redenti dai nostri peccati ed è fra noi per soccorrerci nella nostra povertà. Manda nuovi operai nella tua messe ed infondi nei cuori dei Pastori fedeltà al tuo progetto di salvezza, perseveranza e santità di vita. Cristo Gesù, che sulle rive del mare di Galilea hai chiamato gli Apostoli e li hai costituiti fondamento della Chiesa e portatori del tuo Vangelo, sostieni nell’oggi della storia il tuo Popolo in cammino. Infondi coraggio a coloro che chiami a seguirti nella via del sacerdozio e della vita consacrata, perché possano fecondare il campo di Dio con la sapienza della tua Parola. Giovanni Paolo II 49


Benedizione della Famiglia La grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. E con il tuo spirito. Preghiamo:

O Dio, Trinità d’amore, aiuta ogni famiglia cristiana a riscoprire la bellezza di essere una piccola chiesa domestica, chiamata ad essere santa come lo sei tu. Aiutaci a crescere ogni giorno nella fede, nella speranza e nell’amore. Insegnaci a dividere il pane con chi ha fame, a donare affetto a chi è piccolo, malato e solo. Ti chiediamo ora Signore la grazia di ravvivare, nel segno di quest’acqua benedetta, il ricordo del nostro Battesimo e l’adesione a Cristo Signore, crocifisso e risorto per la nostra salvezza. Amen Dio vi riempia di ogni gioia e speranza nella fede. La pace di Cristo regni nei vostri cuori. Lo Spirito Santo vi dia l’abbondanza dei suoi doni. E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.


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