San Francesco d’Assisi
Piccola Storia di un Grande Cristiano Milioni di persone entrano ogni anno nella Basilica di San Francesco di Assisi e rimangono estasiate dai colori e dalle forme con cui il grande Giotto ha dipinto gli affreschi della chiesa superiore. Sono 28 immagini nelle quali il pittore fiorentino, come un primitivo fotografo, ha fermato nel tempo gli episodi più importanti della vita del santo. Esse narrano l’esistenza di questo uomo straordinario, di questo “Oriente” e “Sole” spirituale, come lo ha definito Dante Alighieri. E chi non ha bisogno di luci e di guide che possano illuminare il cammino della vita? Aiutati da queste immagini, a loro volta rischiarate dai racconti dei primi biografi di Francesco, andiamo alla scoperta di questo santo, di quest’uomo convertitosi dalla vanità del mondo alla vita nuova in Cristo, di questo cristiano autentico, perché in fondo san Francesco è solo questo: un cristiano vero. Se questo piccolo libro farà nascere in chi lo legge la voglia di approfondire, attraverso le Fonti Francescane, la vita del Santo di Assisi, avrà raggiunto il suo scopo...
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Un giovane vanitoso
Viveva ad Assisi, nella valle spoletana, un uomo di nome Francesco. Nacque durante un’assenza del padre, e la madre gli mise nome Giovanni; ma, tornato il padre dal suo viaggio in Francia, cominciò a chiamare suo figlio Francesco. Dai genitori ricevette una cattiva educazione, ispirata alle vanità del mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso divenne ancor più leggero e vanitoso. Sciupò miseramente il tempo, dall’infanzia fin quasi al 2
suo venticinquesimo anno. Anzi, precedendo in queste vanità tutti i suoi coetanei, si era fatto promotore di mali e di stoltezze. Oggetto di meraviglia per tutti, cercava di eccellere sugli altri ovunque e con smisurata ambizione: nei giochi, nelle raffinatezze, nei bei motti, nei canti, nelle vesti sfarzose e morbide. Allegro e spensierato, gli piaceva godersela e cantare, andando a zonzo per Assisi giorno e notte con una brigata di amici, spendendo in festini e divertimenti tutto il denaro che guadagnava o di cui poteva impossessarsi. I genitori lo rimproveravano per il suo esagerato scialare, quasi fosse rampollo di un gran principe anziché figlio di commercianti di stoffe. Ma siccome erano ricchi e lo amavano teneramente, lasciavano correre, non volendolo contristare per quelle ragazzate. Non era spendaccione soltanto in pranzi e divertimenti, ma passava ogni limite anche nel vestirsi. Si faceva confezionare abiti sontuosi e, nella ricerca dell’originalità, arrivava a cucire insieme nello stesso indumento stoffe preziose e panni grossolani. Era molto ricco ma non avaro, anzi generoso; non avido di denaro, ma dissipatore; era molto cortese, accondiscendente e affabile, sebbene a suo svantaggio, perché molti si approfittavano della sua generosità. Circondato da ribelli, avanzava a testa alta nelle piazze della città, fino a quando Dio, nella sua bontà, posò il suo sguardo su di lui e lo trasformò, perché, per suo mezzo, i peccatori ritrovassero la speranza di rivivere alla grazia, e restasse per tutti un esempio di conversione a Dio. (FF 1395ss; 320ss)
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La sposa più bella
Si combatteva tra Perugia ed Assisi e in uno scontro sanguinoso a Collestrada Francesco fu fatto prigioniero. Assieme a molti altri fu incatenato e gettato con loro in uno squallido carcere. Vi era tra i compagni di prigionia un cavaliere superbo, con un carattere insopportabile. Tutti cercavano di emarginarlo, ma Francesco a furia di sopportare quell’intrattabile, riuscì a ristabilire la pace fra tutti. Fu liberato dalla prigione poco tempo dopo e divenne più compassionevole con i bisognosi. Si legò al Signore con la solenne promessa di non dire mai di no, se ne aveva la possibilità, a quanti 4
gli chiedevano qualcosa per amore del Signore. Un giorno incontrò un cavaliere povero e quasi nudo: mosso a compassione, gli cedette generosamente, per amor di Cristo, le vesti che indossava, ripetendo così il nobile gesto di san Martino. Nel frattempo la compagnia dei giovani di Assisi, che un tempo lo avevano avuto guida della loro spensieratezza, cominciò di nuovo a invitarlo ai banchetti, nei quali si indulge sempre alla licenza ed alla scurrilità. Lo elessero re della festa, perché sapevano che, nella sua generosità, avrebbe saldato le spese per tutti. Francesco non rifiutò l’onore offertogli, per non essere bollato come avaro. Preparò un sontuoso banchetto con abbondanza di cibi squisiti: quando furono pieni sino al vomito, si riversarono nelle piazze della città insudiciandole con le loro canzoni da ubriachi. Francesco li seguiva, tenendo in mano come signore lo scettro. Ma poiché da tempo con tutto l’animo si era reso completamente sordo a quelle voci e cantava in cuor suo al Signore, se ne distaccò a poco a poco anche col corpo. Allora, come riferì egli stesso, fu inondato di tanta dolcezza divina, da non potersi assolutamente muovere né parlare. Lo pervase un tale sentimento interiore che trascinava il suo spirito alle cose invisibili, facendogli giudicare di nessuna importanza e assolutamente frivola ogni cosa terrena. Gli amici pensavano che avesse deciso di maritarsi e gli domandavano: «Vuoi forse prendere moglie, Francesco?». Egli rispose loro: «Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista, superiore a tutte le altre in bellezza e sapienza». E veramente sposa è la vera religione che egli abbracciò e il Regno dei Cieli è il tesoro nascosto che egli cercava così ardentemente. (FF 584ss) 5
Il Cavaliere di Dio
Ma il cambiamento di Francesco non è ancora perfetto, perché i lacci della vanità cercano nuovamente di farlo prigioniero. Un nobile assisano, desideroso di soldi e di gloria, organizzò una spedizione per andare a combattere in Puglia. Venuto a sapere la cosa, Francesco fu preso dalla sete di avventura e dal desiderio di diventare cavaliere e si impegnò per realizzare il suo progetto. Ma una notte gli apparve uno che, chiamatolo per nome, lo condusse in un grande palazzo, in cui spiccavano, appese alle pareti, armature da cavaliere, splendenti scudi e simili oggetti di guerra. Francesco, incantato, pieno di 6
felicità e di stupore, domandò a chi appartenessero quelle armi e quel palazzo meraviglioso. Gli fu risposto che tutto quel che vedeva, insieme al palazzo, era proprietà sua e dei suoi cavalieri. Svegliatosi, s’alzò quel mattino pieno di entusiasmo. Interpretando il sogno secondo criteri mondani, fantasticava che sarebbe diventato un gran principe. Messosi dunque in cammino, giunse fino a Spoleto e qui cominciò a non sentirsi bene. Mentre riposava, nel dormiveglia intese una voce interrogarlo dove fosse diretto. Francesco gli espose il suo ambizioso progetto. E quello: «Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?». Rispose: «Il padrone». Quello riprese: «Perché dunque abbandoni il padrone per seguire il servo, e il principe per il suddito?». Allora Francesco interrogò: «Signore, che vuoi che io faccia?». Concluse la voce: «Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa devi fare; poiché la visione che ti è apparsa devi interpretarla in tutt’altro senso». Risvegliatosi, egli si mise a riflettere attentamente su questa rivelazione. Mentre il sogno precedente, tutto proteso com’egli era verso il successo, lo aveva mandato quasi fuori di sé per la felicità, questa nuova visione lo obbligò a raccogliersi dentro di sé. Pensava e ripensava così intensamente al messaggio ricevuto, che quella notte non riuscì più a chiuder occhio. Spuntato il mattino, in gran fretta dirottò il cavallo verso Assisi, lieto ed esultante. E aspettava che Dio, del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua volontà, mostrandogli la via della salvezza. Ormai il suo cuore era cambiato. Non gl’importava più della spedizione in Puglia: desiderava solo di conformarsi alla volontà di Dio. (FF 1399ss) 7
Francesco, ripara la mia Chiesa
Era già del tutto mutato nel cuore quando, un giorno, passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti. Condotto dallo Spirito, entrò a pregare, si prostrò devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrovò totalmente cambiato. Mentre egli era così profondamente commosso, improvvisamente l’immagine di Cristo crocifisso dal dipinto gli parlò, muovendo le labbra: «Francesco, - gli disse chiamandolo per nome - va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina». Francesco pieno di stupore, quasi perdette i sensi a queste parole, ma subito si dispose ad obbedire e si concentrò tutto su questo invito. Si prese cura di quella sacra immagine e offrì denaro al sacerdote che viveva in quella chiesetta, perché non rimanesse priva, neppure per un istante, dell’onore doveroso di un lume. Poi si dedicò con impegno al resto, lavorando con intenso zelo a riparare la chiesa. 8
Perché, benché il comando del Signore si riferisse al restauro della Chiesa acquistata da Cristo col proprio sangue, egli naturalmente non capì subito la cosa, ma concretamente si impegnò come manovale a restaurare quella piccola chiesetta in cui il Signore gli aveva parlato. Da quel giorno in poi si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può devotamente ritenere, le venerabili stimmate della Passione gli si impressero profondamente nel cuore. Da allora, non riuscì più a trattenere le lacrime ogni volta che il suo pensiero andava a contemplare la passione di Cristo. Una volta camminava solitario nei pressi della chiesa di Santa Maria della Porziuncola, piangendo e lamentandosi a voce alta. Un uomo, udendolo, suppose ch’egli soffrisse di qualche malattia o dispiacere e, mosso da compassione, gli chiese perché piangeva così. Disse Francesco: «Piango la passione del mio Signore. Piango perché l’amore non è amato. E per amore di lui non voglio vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo». Allora anche quell’uomo si unì al lamento di Francesco. (FF 593; 1413)
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Dirò solo Padre Nostro
Dopo aver ascoltato le parole del Crocifisso, Francesco, salito a cavallo, si recò verso la città di Foligno portando un carico di stoffe di diversi colori. Qui vendette cavallo e merce e tornò subito a San Damiano, dove trasferì la sua dimora. Suo padre, preoccupato, andava cercando dove mai fosse finito il figlio. Venne a sapere che, completamente trasformato, abitava presso quella chiesa. L’uomo chiamò amici e vicini e in tutta furia si precipitò a San Damiano. Francesco, per schivare la violenta ira paterna, andò a rifugiarsi in una caverna segreta, e vi restò nascosto un mese intero. Qui pregava con abbondanti lacrime che il Signore lo liberasse da quella persecuzione e amorevolmente lo aiutasse a realizzare le sue aspirazioni. Un giorno, ritrovato il coraggio, armato di fiducia in Cristo, decise di tornare in paese. Subito al 10
vederlo, quelli che lo conoscevano com’era prima, presero a insultarlo, gridando ch’era un pazzo e un insensato, gettandogli fango e sassi. Ma il cavaliere di Cristo passava in mezzo a quella tempesta senza farci caso, non lasciandosi colpire e agitare dalle ingiurie, rendendo invece grazie a Dio. Si diffuse per le piazze e le vie della città la notizia di quanto succedeva, finché venne agli orecchi del padre. Pietro andò di corsa al palazzo del comune a protestare contro il figlio davanti ai consoli, chiedendo il loro intervento per obbligare Francesco a restituire il denaro preso in casa. Di fronte al Vescovo e ai consoli e a tutta la città accorsa per vedere questo avvenimento, Francesco esclamò: «Non soltanto restituirò a mio padre il denaro ricavato vendendo la sua roba, ma gli restituirò di tutto cuore anche i vestiti». Entrò in una camera, si spogliò completamente, depose sui vestiti il gruzzolo, e uscendo nudo alla presenza di tutti, disse: «Ascoltate tutti e cercate di capirmi. Finora ho chiamato Pietro di Bernardone padre mio. Ma dal momento che ho deciso di servire Dio, gli rendo il denaro che tanto lo tormenta e tutti gl’indumenti avuti da lui. D’ora in poi voglio dire: “Padre nostro, che sei nei cieli”, non più “padre mio Pietro di Bernardone”». Addolorato e infuriato, Pietro si alzò, prese denari e vestiti, e se li portò a casa. Quelli che assistevano alla scena, rimasero indignati contro di lui, che non lasciava al figlio nemmeno di che vestirsi. Il vescovo, considerando attentamente l’uomo santo e ammirando il suo coraggio, aprì le braccia e lo coprì con il mantello. Aveva capito chiaramente ch’egli agiva per ispirazione divina. Da quel giorno diventò suo protettore. Lo esortava e incitava, lo dirigeva e amava con grande affetto. (FF 1415ss) 11
La Chiesa sulle spalle
Restaurata San Damiano, Francesco si trasferì nella località chiamata Porziuncola, dove c’era un’antica chiesa in onore della Beata Vergine Madre di Dio, ormai abbandonata. Vedendola in quel misero stato, mosso a compassione, anche perché aveva grande devozione per la Madre di ogni bontà, il Santo vi stabilì la sua dimora e terminò di ripararla nel terzo anno della sua conversione. L’abito che egli allora portava era simile a quello degli eremiti, con una cintura di cuoio, un bastone in mano e sandali ai piedi. Un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo alla missione affidata da Gesù agli Apostoli di predicare il Regno di Dio, il Santo, che ne aveva 12
intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza, subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!». S’affrettò tutto pieno di gioia a realizzare i consigli evangelici e a mettere in pratica fedelmente quanto ascoltato: scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, sostituisce la sua cintura con una corda. Da quell’istante confeziona per sé una veste ruvida che riproduce l’immagine della croce, talmente povera e grossolana da rendere impossibile al mondo invidiargliela! Vedendo Francesco che il Signore aveva iniziato a dargli dei compagni che dietro il suo esempio volevano seguire il Signore - erano ormai in dodici perfettamente concordi nello stesso ideale - si rivolse a loro dicendo: «Fratelli, vedo che il Signore misericordioso vuole aumentare la nostra comunità. Andiamo dunque dalla nostra madre, la santa Chiesa romana, e comunichiamo al Papa ciò che il Signore ha cominciato a fare per mezzo di noi, al fine di continuare la nostra missione secondo il suo volere e le sue disposizioni». Camminavano tutti giulivi, parlando delle cose di Dio e abbandonandosi a Lui nella preghiera. Si affrettavano per presentarsi al più presto al cospetto del Sommo Pontefice, papa Innocenzo III. Ma li prevenne, nella sua clemenza, Cristo potenza e sapienza di Dio, che, per mezzo di una 13
visione, ammonì il suo Vicario a prestare ascolto e ad acconsentire con benevolenza alle suppliche di quel poverello. Difatti il Pontefice romano vide in sogno la Basilica Lateranense che stava ormai per crollare e un uomo povero, piccolo e spregevole, che la sorreggeva, mettendovi sotto le proprie spalle, perché non cadesse. Il saggio Pontefice, contemplando in quel servo di Dio la povertà e lo zelo per la salvezza delle anime, esclamò: «Veramente questi è colui che con l’opera e la dottrina sorreggerà la Chiesa di Cristo». Perciò, acconsentendo in tutto alle sue richieste, approvò la Regola, ed esortò i frati dicendo: «Andate con il Signore, fratelli, e predicate a tutti la penitenza, come vi ispirerà il Signore». (FF 354ss; 1455ss; 1064)
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La grandezza dell’umiltà
Ottenuta l’investitura da parte del Papa, andando per città e castelli, Francesco cominciò a predicare dappertutto, annunziando con fiducia il regno di Dio. Anche uomini di lettere e di cultura si stupivano della efficacia del suo parlare e di quella chiarezza di verità che il Santo non aveva appreso da maestri umani. Numerosi erano quelli che si assiepavano per vederlo e ascoltarlo, come uomo venuto da un altro mondo. Molti nobili e popolani, ecclesiastici e laici, spinti da ispirazione divina, presero a seguire le orme di Francesco e, abbandonate le preoccupazioni e vanità del mondo, si misero a vivere sotto la sua Regola. Una volta, com’era suo costume, egli era intento a vegliare in preghiera, fisicamente lontano dai suoi fratelli. Verso mezzanotte, mentre i suoi compagni dormivano, un carro di mirabile splendore, sopra 15
il quale era posto Francesco circondato da un globo di fuoco luminosissimo, entrò dalla porticina della dimora dei frati. A quella vista meravigliosa, si svegliarono stupefatti e avvertirono con pari intensità la chiarezza del cuore e quella del corpo, poiché, per virtù di quella luce mirabile, la coscienza di ciascuno fu nuda davanti alla coscienza di tutti gli altri. Compresero tutti che il Signore aveva fatto vedere loro Francesco trasfigurato a immagine del santo profeta Elia. Frate Pacifico ebbe un’altra visione: gli apparvero molti troni vuoti nel cielo, e uno di essi più maestoso degli altri. Una voce poi gli rivelò che quei seggi appartenevano una volta agli angeli caduti dal cielo a causa della loro superbia. Ora erano destinati all’umile Francesco e ai suoi compagni. (FF 1463; 1344; 1570)
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Messaggero di Pace
Ovunque andava Francesco annunziava il Vangelo della Pace. Arrivò un giorno ad Arezzo, mentre tutta la città era scossa da una guerra civile. Il servo di Dio venne ospitato nel borgo fuori città, e vide sopra di essa demoni esultanti, che incitavano i cittadini a distruggersi fra di loro. Chiamò frate Silvestro, uomo di Dio di grande semplicità, e gli comandò: «Va’ alla porta del paese, e da parte di Dio Onnipotente comanda ai demoni che quanto prima escano dalla città». Il frate si affrettò ad obbedire, e dopo essersi rivolto a Dio con inno di lode, gridò davanti alla porta a gran voce: «Da parte di Dio e per ordine del nostro padre Francesco, andate lontano di qui, voi tutti diavoli!». La città 17
ritrovò subito la pace e la concordia tra le famiglie. Sul finire della sua vita, mentre giaceva malato, accadde che il vescovo di Assisi scomunicò il podestà della città e costui, per rappresaglia, vietò a tutta la popolazione di fare contratti con lui. A tal punto erano arrivati a odiarsi reciprocamente. Francesco, fu preso da pietà per loro, soprattutto perché nessuno si interessava di ristabilire tra i due la pace. E disse ai suoi compagni: «Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il vescovo e il podestà si odino talmente l’un l’altro, e nessuno si prenda pena di rimetterli in pace e concordia». Compose allora questa strofa, da aggiungere alle Laudi: «Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore e sostengono infermità e tribolazione. Beati quelli che le sosteranno in pace: da te, Altissimo, saranno coronati». Poi fece chiamare i due contendenti e davanti a loro i frati intonarono il Cantico di Frate Sole. Il podestà si levò subito in piedi, e, pieno di viva devozione, tutto in lacrime, stette ad ascoltare attentamente. Egli aveva infatti molta venerazione per Francesco. Finito il Cantico, il podestà disse davanti a tutti i convenuti: «Vi dico in verità, che non solo a messer vescovo, che devo considerare mio signore, ma sarei disposto a perdonare anche a chi mi avesse assassinato il fratello o il figlio». Poi si gettò ai piedi del vescovo, dicendogli: «Per amore del Signore nostro Gesù Cristo e del suo servo Francesco, eccomi pronto a soddisfarvi in tutto, come a voi piacerà». Il vescovo lo prese fra le braccia, si alzò e gli rispose: «Per la carica che ricopro dovrei essere umile. Purtroppo ho un temperamento portato all’ira. Ti prego di perdonarmi». E così i due si abbracciarono e baciarono con affetto. (FF 695; 1593) 18
Davanti al Sultano
Nel tredicesimo anno dalla sua conversione, partì per la Siria, e mentre infuriavano aspre battaglie tra cristiani e mussulmani, preso con se un compagno, non esitò a presentarsi al cospetto del Sultano. Prima di giungere dinanzi a lui, furono catturati dai suoi soldati che li trattarono malamente, ma essi non temettero nulla: né minacce, né torture, né morte. Alla fine furono portati alla presenza del Sultano, che li accolse con grande onore. Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli stava davanti e gli parlava, e la decisione e l’eloquenza con cui rispondeva a quelli che ingiuriavano la legge cristiana? Il Sultano offrendogli molti doni, tentava di convertirlo alle ricchezze del mondo; ma vedendolo disprezzare tutto risolutamente come spazzatura, ne rimase profondamente stupito, e lo guardò come un uomo diverso da tutti gli altri. Era molto commosso dalle sue parole e lo ascoltò volentieri. (FF 422) 19
Un uomo fatto preghiera
I frati che vissero con lui, sanno molto bene come ogni giorno, anzi ogni momento affiorasse sulle labbra di Francesco il ricordo di Cristo; con quanta soavità e dolcezza gli parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù in tutte le altre membra. Molte volte mentre era per strada si fermava a invitare tutte le creature a lodare il Signore. Spesso ripeteva ai suoi intimi: «Quando il frate 20
nella preghiera è visitato dal Signore con qualche consolazione, deve, prima di terminare, alzare gli occhi al cielo e dirgli a mani giunte: “Tu, o Signore, hai mandato dal cielo questa dolce consolazione a me indegno peccatore: io te la restituisco, affinché tu me la metta in serbo, perché io sono un ladro del tuo tesoro!”». Quando alcuni frati gli chiesero che insegnasse loro a pregare, disse: «Quando pregate, dite: “Padre nostro”, e: “Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo, e ti benediciamo, perché, per mezzo della tua santa croce, hai redento il mondo”». Inoltre insegnò loro a lodare Dio in tutte le creature e ad onorare con particolare venerazione i sacerdoti, come pure a credere fermamente e a confessare schiettamente la verità della fede, così come la insegna la santa Chiesa romana. Francesco, uomo di Dio, sentendosi pellegrino nel corpo lontano dal Signore, cercava di raggiungere con lo spirito il cielo e, fatto ormai concittadino degli Angeli, ne era separato unicamente dalla parete della carne. A lui, che si cibava della dolcezza celeste, riusciva insipido il mondo, e le delizie divine lo avevano reso di gusto difficile per i cibi grossolani degli uomini. Per potersi raccogliere nel silenzio della preghiera, si recava in luoghi isolati o nelle chiese abbandonate, per pregarvi di notte. Una volta fu visto mentre pregava, con le mani e le braccia stese in forma di croce, sollevato da terra con tutto il corpo e circondato da una nuvola splendente: così la meravigliosa luminosità e il sollevarsi del corpo diventavano testimonianza della illuminazione e della elevazione avvenuta nel suo spirito. (FF 522; 681ss) 21
Il Santo Presepe di Gesù
Al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambino Gesù, e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano. A questo proposito è degno di perenne memoria quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. Chiese a Giovanni, un suo amico abitante nel luogo: «Prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico 22
andò subito a preparare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo. E giunse il giorno del Santo Natale: Francesco si rivestì dei paramenti diaconali perché era diacono, e cantò con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapì tutti presenti. Poi parlò al popolo e con parole dolcissime rievocò il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole. Uno dei presenti, uomo virtuoso, ebbe una mirabile visione. Gli sembrò che il Bambinello giacesse privo di vita nella mangiatoia, e Francesco avvicinandosi a Lui, lo destasse da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti che l’avevano dimenticato. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia. Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell’anima e santificazione del corpo, la carne dell’Agnello immacolato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. (FF 787; 468ss) 23
L’acqua dalla roccia
Il beato Francesco, desiderando andare in un eremo per attendere più liberamente alla contemplazione, poiché era molto debole, ottenne da un povero uomo un asino da cavalcare. Costui mentre saliva nella calura estiva per i viottoli montagnosi, seguendo l’uomo di Dio, fu preso dalla fatica del lungo cammino, e, prima di arrivare alla mèta, venne meno dalla sete. Si mise dunque a supplicare con insistenza il Santo, dicendo che sarebbe morto se non avesse bevuto qualche sorso d’acqua. Francesco subito discese dall’asino e, piegate a terra le ginocchia, alzò le mani verso il cielo, non cessando di pregare, finché si sentì esaudito. «Affrettati, disse al contadino, e troverai acqua viva, che in questo istante Cristo misericordioso ha fatto sgorgare dalla pietra». Beve il contadino l’acqua sgorgata dalla roccia per virtù della preghiera del Santo: una sorgente d’acqua in quel luogo non c’era mai stata, né in seguito si è mai potuta ritrovare. (FF 837) 24
Tutto parla di Dio
Considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, Francesco chiamava le creature, per quanto piccole, col nome di fratello o sorella: sapeva bene che tutte provenivano, come lui, da un unico Principio. Abbracciava con maggior effusione e dolcezza quelle che portano in sé una somiglianza naturale con la mansuetudine di Cristo: spesso riscattò gli agnelli che venivano condotti al macello, in memoria di quell’Agnello mitissimo, che volle essere condotto alla morte per redimere i peccatori. Le stesse creature si sentivano spinte a corrispondere con gratitudine a questo amore che il Santo donava loro. Una volta, viaggiando attraverso la valle Spoletana, nelle vicinanze di Bevagna, arrivò ad un luogo ove si era radunata una grandissima quantità di uccelli di varie specie. Avendoli visti, il santo si accostò a loro, salutandoli col modo consueto, come se fossero dotati di ragione. Poiché gli uccelli non volavano via, egli si avvicinò e andando e venendo in mezzo a loro, 25
toccava col lembo della sua tonaca il loro capo e il loro corpo. Pieno di gioia e di ammirazione, li invitò ad ascoltare volentieri la parola di Dio, e così disse: «Fratelli miei uccelli! Dovete lodare molto il vostro Creatore e sempre amarlo perché vi ha rivestito di piume e vi ha donato le penne per volare. Infatti tra tutte le creature vi ha fatti liberi, donandovi la trasparenza dell’aria. Voi non seminate né mietete, eppure Egli vi mantiene senza alcuno vostro sforzo!». A tali parole, gli uccelli, facendo festa, cominciarono ad allungare il collo, spalancare le ali, aprire il becco, fissandolo attentamente. Né si allontanarono da là, finché, fatto un segno di croce, non diede loro il permesso e la benedizione. Tornato dai frati, cominciò ad accusarsi di negligenza, perché fino ad allora non aveva mai predicato agli animali e da quel giorno esortò ogni creatura alla lode e all’amore verso il Creatore. Un’altra volta, a Greccio, offrirono all’uomo di Dio un leprotto vivo. Fu lasciato libero, in terra, perché scappasse dove voleva. Ma quello, sentendosi chiamare dal padre buono, gli corse vicino e gli saltò in grembo. Il Santo, colmandolo di carezze, gli mostrava il suo affetto e la sua pietà. Finalmente lo ammonì con dolcezza a non lasciarsi prendere un’altra volta. Ma, benché lo avesse messo più volte in terra, perché partisse, il leprotto ritornava sempre in grembo a Francesco, come se con un senso nascosto percepisse la pietà del suo cuore. (FF 1145; 843ss)
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Il Cavaliere di Celano
Una volta, recatosi il beato Francesco a Celano per predicare, fu da un cavaliere invitato a pranzare con lui. Egli si lasciò convincere, costretto dall’insistenza. Giunse il momento del pranzo e venne imbandita una splendida mensa. Francesco, levando gli occhi al cielo, chiamò a sé l’ospite: «Ecco - gli disse - vinto dalle tue preghiere sono entrato per mangiare in casa tua. Adesso obbedisci subito al mio avvertimento, poiché tu non mangerai qui, ma in altro luogo. Ammetti con contrizione le tue colpe, e non resti peccato in te che non confessi. Oggi il Signore ti ricompenserà perché hai così devotamente accolto i suoi poverelli». Si convinse subito quell’uomo alle parole sante e, chiamato un sacerdote, gli svelò con sincera confessione tutti i suoi peccati. Diede disposizione per la sua casa e se ne stava aspettando che si compisse la parola del Santo. Infine tutti si sedettero a mensa e cominciarono a mangiare ma egli, dopo essersi fatto il segno della croce, chinò il capo ed esalò lo spirito. Quanto bisogna amare la confessione dei peccati, che ci permette di accogliere senza paura sorella morte! (FF 864) 27
Araldo del Vangelo
Una volta che doveva predicare davanti al Papa e ai cardinali, per suggerimento del cardinale di Ostia aveva imparato a memoria un discorso stilato con ogni cura. Se non che, quando si trovò là in mezzo, al momento di pronunciare quelle parole edificanti, dimenticò tutto e non riuscì a spiccicare nemmeno una frase. Allora, dopo aver esposto con umiltà e sincerità il suo imbarazzo, si mise a invocare la grazia dello Spirito Santo. Immediatamente le parole incominciarono ad affluire così abbondanti, così efficaci nel commuovere il cuore di quegli illustri personaggi, da far vedere chiaramente che non era lui a parlare, ma lo Spirito del Signore. Con pari fermezza di spirito parlava ai piccoli e ai grandi, e provava uguale gioia nel parlare a pochi e a molti. Gente di ogni età e d’ogni sesso correva a vedere e ad ascoltare quell’uomo nuovo, donato dal cielo al mondo. Nel nome del Signore, Francesco scacciava i demoni, risanava gli infermi, e, prodigio ancor più grande, con l’efficacia della sua parola inteneriva e muoveva a penitenza i cuori più ostinati. (FF 1211ss) 28
Presente ai lontani
Ai capitoli provinciali dei frati, ormai sparsi per il mondo, san Francesco non poteva essere presente di persona; ma si preoccupava di rendersi presente con sollecite direttive, con la preghiera insistente e con la sua efficace benedizione. Qualche volta, però, in forza di quella virtù divina che opera meraviglie, vi compariva anche in forma visibile. Durante il Capitolo di Arles, sant’Antonio da Padova, insigne predicatore e glorioso confessore di Cristo, stava predicando ai frati. Ebbene un frate di virtù sperimentata, di nome Monaldo, si mise, per ispirazione divina, a guardare verso la porta della sala capitolare e vide con i suoi propri occhi il beato Francesco che, stando librato nell’aria con le mani stese in forma di croce, benediceva i frati. Tutti i frati, a loro volta, si sentirono ripieni di una consolazione spirituale così grande e così insolita che la ritennero una testimonianza con la quale lo Spirito li assicurava che il Santo era veramente in mezzo a loro. (FF 1081)
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Ferito d’amore
Mentre dimorava nel romitorio di La Verna, due anni prima della sua morte, Francesco ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell’apparizione il beato servo dell’Altissimo si sentì invaso da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell’acerbo dolore della passione. Mentre era in questo stato di smarrimento, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso. Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia. (FF 484ss) 30
Sorella Morte
Erano ormai trascorsi vent’anni dalla sua conversione e, come gli era stato comunicato per divina rivelazione, la sua ultima ora stava per scadere. Sentendo che la morte era ormai imminente, chiamò a sé due suoi frati, perché a piena voce cantassero le Lodi al Signore con animo gioioso per l’approssimarsi della morte, anzi della vera vita. Egli poi, come poté, intonò il salmo: «Con la mia voce al Signore grido aiuto, con la mia voce supplico il Signore». Uno dei frati che lo assistevano, molto caro al Santo, vedendo questo e conoscendo che la fine era vicina, gli disse: «Padre amato, già i tuoi figli stanno per rimanere orfani e privi della luce dei loro occhi! Ricordati dei figli che lasci orfani, perdona tutte le loro colpe e dona ai presenti e agli assenti il conforto della tua benedizione». E
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Francesco: «Ecco, Dio mi chiama, figlio. Ai miei frati presenti e assenti, perdono tutte le offese e i peccati e tutti li assolvo, per quanto posso, e tu, annunciando questo, benedicili da parte mia». Poi si fece portare il libro dei Vangeli, pregando che gli fosse letto il brano del Vangelo secondo Giovanni, che inizia con le parole: «Sei giorni prima della Pasqua, sapendo Gesù ch’era giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre». Questo stesso passo si era proposto di leggergli il ministro, e lo stesso si presentò alla prima apertura del libro. E dato che presto sarebbe diventato terra e cenere, volle che gli si mettesse indosso il cilicio e venisse cosparso di cenere. E mentre molti frati, di cui era padre e guida, erano lì raccolti con riverenza e attendevano il beato transito, quell’anima santissima si sciolse dalla carne, per salire nell’eterna luce, e il corpo s’addormentò nel Signore. (FF 508ss)
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Una stella nel cielo
Uno dei suoi frati vide l’anima del santissimo padre salire dritta al cielo; ed era come una stella, grande come la luna, splendente come il sole e trasportata da una candida nuvoletta. Anche l’allora ministro dei frati della provincia di Campania, che si chiamava Agostino, uomo caro a Dio, si trovava in punto di morte. Pur avendo perso ormai da tempo la parola, improvvisamente esclamò: «Aspettami, Padre, aspetta! Ecco: sto già venendo con te!». Siccome i frati chiedevano, stupiti, a chi stava parlando in quella maniera, egli affermò di vedere il beato Francesco che stava andando in cielo; e subito, detto questo, anche lui felicemente spirò. Nella medesima circostanza, il vescovo d’Assisi si trovava al santuario di San Michele sul monte Gargano: Francesco gli apparve, tutto lieto, nel momento del suo transito e gli disse che stava lasciando il mondo per passare gioiosamente in cielo. (FF 508ss; 1389ss) 33
L’ultimo saluto
Appena si diffuse la notizia del transito del beato Francesco, una marea di popolo accorse sul luogo: volevano vedere con i propri occhi il corpo del Santo. I cittadini assisani, nel più gran numero possibile, furono ammessi a contemplare e a baciare quelle stimmate sacre. Uno di loro, un cavaliere dotto e prudente, di nome Girolamo, molto noto fra il popolo, siccome aveva dubitato di questi sacri segni ed era incredulo come San Tommaso, con maggior impegno e audacia muoveva i chiodi e le mani del Santo: tastava con le proprie mani i piedi e il fianco, per recidere dal proprio cuore e dal cuore di tutti la piaga del dubbio, palpando e toccando quei segni delle piaghe di Cristo. Perciò anche costui, come altri, divenne in seguito fedele testimone di questa verità e la confermò giurando sul santo Vangelo. I frati e figli, che erano accorsi al transito del Padre, insieme con tutta la popolazione, dedicarono quella notte alle divine lodi: quelle non sembravano esequie di defunti, ma veglie d’angeli. Venuto il mattino, le 34
folle, con rami d’albero e gran numero di fiaccole, tra inni e cantici scortarono il sacro corpo nella città di Assisi. Passarono anche dalla chiesa di San Damiano, ove allora dimorava con le sue vergini quella nobile Chiara, che ora è gloriosa nei cieli. Là sostarono un poco con il sacro corpo e lo porsero a quelle sacre vergini, perché lo potessero vedere insignito delle perle celesti e baciarlo. Giunsero finalmente, con grande giubilo, nella città e seppellirono con ogni riverenza quel prezioso tesoro, nella chiesa di San Giorgio, perché là, da fanciullino, egli aveva appreso le lettere e là, in seguito, aveva predicato per la prima volta. Là, dunque, giustamente trovò, alla fine, il primo luogo del suo riposo. Il venerabile Francesco passò da questo mondo al Padre nell’anno 1226 dell’incarnazione del Signore, il 4 ottobre, la sera di un sabato, e fu sepolto la domenica successiva. (FF 1249)
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Nel libro dei Santi
L’uomo beato, appena fu assunto a godere la luce del volto di Dio, incominciò a risplendere per grandi e numerosi miracoli. La fama di essi giunse ben presto all’orecchio del sommo pontefice, papa Gregorio IX. Il pastore della Chiesa, riconoscendo con piena fede e certezza la santità di Francesco, non solo dai miracoli uditi dopo la sua morte, ma anche dalle prove viste con i suoi propri occhi e toccate con le sue proprie mani durante la sua vita, non ebbe il minimo dubbio che egli era stato glorificato nei cieli dal Signore. Quindi decise di proclamarlo, sulla terra, degno della gloria dei santi e di ogni venerazione. Affidò il compito di esaminare i miracoli conosciuti e debitamente testimoniati a quelli tra i cardinali che sembravano meno favorevoli. E solo quando i miracoli furono discussi accuratamente e approvati all’unanimità, decretò che si doveva procedere alla canonizzazione. Andò personalmente nella città di Assisi e il 16 luglio dell’anno 1228 iscrisse il beato padre nel catalogo dei Santi. (FF 1251ss) 36
Papa Gregorio IX
A comprovare l’autenticità del prodigio delle stimmate ci sono non soltanto le testimonianze di coloro che videro e toccarono, ma anche le ammirabili apparizioni che rifulsero dopo la morte del Santo. Papa Gregorio IX, al quale Francesco aveva profetizzato l’elezione alla cattedra di Pietro nutriva in cuore, prima di canonizzarlo, dei dubbi sulla ferita del costato. Ebbene, una notte, come lo stesso pontefice raccontava tra le lacrime, gli apparve in sogno il beato Francesco che, con volto severo, lo rimproverò per quelle esitazioni e, alzando bene il braccio destro, scoprì la ferita e gli chiese una fiala, per raccogliere il sangue zampillante che fluiva dal costato. Il sommo Pontefice, in visione, porse la fiala richiesta e la vide riempirsi fino all’orlo di sangue vivo. Da allora egli si infiammò di grandissima devozione e ferventissimo zelo per quel sacro miracolo. Questo Papa, che aveva sommamente amato Francesco, fece erigere a gloria di lui una chiesa, arricchendola poi con preziosissimi doni. A due anni dalla canonizzazione, il corpo del Santo fu solennemente trasferito nella nuova Basilica. (FF 1257 ss) 37
I prodigi dal Cielo
Quelle mani che l’uomo santo e umile in vita si sforzava con ogni diligenza di nascondere per non mostrare il segreto dei sacri sigilli, operarono dopo la morte di lui evidenti meraviglie, affinché egli risplendesse come astro lucente fra le dense tenebre del secolo oscuro. Esse restituivano la salute agli infermi, sensibilità e vita alle membra ormai paralizzate e inaridite e, cosa maggiore di tutte, la vita e l’integrità agli uomini mortalmente feriti. Ricorderò solo alcuni dei molti prodigi. Ad Ilerda, un uomo di nome Giovanni, devoto di san Francesco, una sera fu massacrato con ferite così orrende da far credere che a stento sarebbe sopravvissuto fino all’indomani. Ma gli apparve, in modo meraviglioso, il padre santissimo; toccò quelle ferite con le sacre mani e sull’istante lo rese perfettamente sano ed integro. Nel paese di Monte Marano, presso Benevento, una donna, di nobile casato, ancor più nobile per virtù, si era affezionata con speciale devozione a san Francesco, e lo serviva con profonda dedizione. 38
Oppressa da malattia ed ormai giunta all’estremo, seguì la sorte di ogni mortale. Poiché essa morì verso il tramonto, venne differita la sepoltura al giorno dopo, per permettere alla numerosa folla dei suoi cari di partecipare al sacro rito. Di notte arrivarono i chierici con i salteri per cantare le esequie e le veglie notturne, mentre tutt’attorno stava la folla. Ed ecco all’improvviso, alla vista di tutti, si levò la donna sul letto e chiamò tra i presenti un sacerdote, suo padrino, dicendogli: «Voglio confessarmi, padre, ascolta il mio peccato! Io, infatti sono morta ed ero destinata a una dura prigione, poiché non avevo confessato ancora un peccato che ora ti rivelerò. Ma avendo san Francesco, a cui fui sempre molto devota pregato per me - essa soggiunse - mi è stato permesso dl ritornare in vita in maniera che, confessato quel peccato, possa meritare il perdono. Ed ecco, davanti a voi tutti, confessato il peccato, mi affretterò al promesso riposo». Confessatasi al tremante sacerdote, e ricevuta l’assoluzione, essa si coricò quietamente sul letto e si addormentò felice nel Signore. (FF 1381; 863)
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Al tempo di papa Gregorio IX, un certo Pietro di Alife, accusato di eresia, fu incatenato e rinchiuso in un’oscura prigione. Ma quell’uomo, avendo saputo che si approssimava la vigilia della festa di san Francesco, incominciò a invocarlo con molte preghiere e lacrime, perché avesse pietà di lui. E siccome era tornato alla fede sincera, meritò di essere esaudito dal Signore. La sera della sua festa, sull’imbrunire, il beato Francesco pietosamente scese nel carcere e, chiamando Pietro per nome, gli comandò di alzarsi in fretta. Intanto vedeva che, per la presenza miracolosa del Santo, i ceppi erano caduti infranti ai suoi piedi, le porte del carcere si aprivano, mentre i chiodi saltavano via da soli, e gli si spalancava davanti la strada per andarsene. Pietro vedeva tutto questo, vedeva che era libero: eppure, paralizzato dallo stupore, non riusciva a fuggire; soltanto si mise vicino alla porta e incominciò a gridare, facendo spaventare tutte le guardie. Venuto a sapere da loro che il prigioniero era stato liberato dai ceppi e il modo in cui si erano svolte le cose, il pio vescovo del luogo si recò nel carcere e là, riconoscendo ben visibile la potenza di Dio, si inginocchiò ad adorare il Signore. (FF 1291) 40
Preghiere di San Francesco Lodi di Dio Altissimo
Tu sei santo, Signore solo Dio, che operi cose meravigliose. Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo, Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra. Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dei. Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero. Tu sei amore e caritĂ , Tu sei sapienza, Tu sei umiltĂ , Tu sei pazienza, Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine, Tu sei sicurezza, Tu sei quiete. Tu sei gaudio e letizia, Tu sei nostra speranza Tu sei giustizia. Tu sei temperanza. Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza. Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine. Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore. Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio. Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede. Tu se la nostra caritĂ . Tu sei tutta la nostra dolcezza, Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
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Il Cantico delle Creature
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual’è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male. Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate. 42
Preghiera davanti al Crocifisso Alto e glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio. Dammi fede dritta, speranza certa, carità perfetta, umiltà profonda, senno e discernimento: che io serva ai tuoi comandamenti. Amen.
Absorbeat
Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amor mio.
Saluto alla Vergine
Ave, Signora, santa regina, santa Madre di Dio, Maria, che sei vergine fatta Chiesa ed eletta dal santissimo Padre celeste, che ti ha consacrata insieme col santissimo suo Figlio diletto e con lo Spirito Santo Paraclito. Tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia e ogni bene. Ave, suo palazzo. Ave, suo tabernacolo. Ave, sua casa. Ave, suo vestimento. Ave, sua ancella. Ave, sua Madre. E saluto voi tutte, sante virtù, che per grazia e lume dello Spirito Santo siete infuse nei cuori dei fedeli, affinché le rendiate, da infedeli, fedeli a Dio.
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Dal Testamento di San Francesco Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo. E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: «Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo». Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri. E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso. E dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che amministrano le santissime parole divine, così come coloro che ci amministrano 44
lo spirito e la vita. E dopo che il Signore mi diede dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò. E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevano avere di più. Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti. Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta. Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!». Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini. ....E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell’altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi. Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. Amen. 45
Della vera e perfetta letizia
Un giorno il beato Francesco chiamò frate Leone e gli disse: «Frate Leone, scrivi quale è la perfetta letizia». «Viene un messaggero e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell’Ordine, scrivi: non è perfetta letizia. Così pure che sono entrati nel nostro Ordine tutti i prelati, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d’Inghilterra; scrivi: non è perfetta letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da guarire gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la perfetta letizia». «Ma quale è la perfetta letizia?». «Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno così rigido che, all’estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da queste ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo bussato e chiamato, viene un frate e chiede: “Chi è?”. Io rispondo: “Frate Francesco”. E quegli dice: “Vattene, non è ora decente questa, di andare in giro, non entrerai”. E poiché io insisto ancora, l’altro risponde: “Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te”. E io sempre resto davanti alla porta e dico: “Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte”. E egli risponde: “Non lo farò. Vattene dai Crociferi e chiedi là”. Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò turbato, io ti dico che qui è la perfetta letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell’anima». 46
Manda operai nella tua messe!
Signore, tu hai sentito compassione quando hai visto la gente stanca e smarrita, senza strada, senza verità , senza vita. Allora ci hai detto: La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!. Noi ti preghiamo perchÊ abbiamo veramente bisogno di nuovi apostoli che rispondano alla tua chiamata e che portino la salvezza che viene da te. Abbiamo bisogno di uomini come Francesco che annuncino la pace; come Antonio, che parlino della tua sapienza. Di donne come Chiara che insegnino la preghiera, o come Elisabetta, che ti onorino nei poveri. Abbiamo bisogno di parroci generosi, di suore intrepide, di sposi fedeli, di giovani coraggiosi, di servi di tutti. Signore, abbiamo bisogno di santi che ci mostrino il tuo volto. Amen
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Benedizione della Famiglia La grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. E con il tuo spirito. Preghiamo: O Dio, Trinità d’amore, aiuta ogni famiglia cristiana a riscoprire la bellezza di essere una piccola chiesa domestica, chiamata ad essere santa come lo sei tu. Aiutaci a crescere ogni giorno nella fede, nella speranza e nell’amore. Insegnaci a dividere il pane con chi ha fame, a donare affetto a chi è piccolo, malato e solo. Ti chiediamo ora Signore la grazia di ravvivare, nel segno di quest’acqua benedetta, il ricordo del nostro Battesimo e l’adesione a Cristo Signore, crocifisso e risorto per la nostra salvezza. Amen Dio vi riempia di ogni gioia e speranza nella fede. La pace di Cristo regni nei vostri cuori. Lo Spirito Santo vi dia l’abbondanza dei suoi doni. E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.