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Le raccolte Culture diverse. Temi comuni
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Illustrazioni ed impaginazione di Chiara Virgili Materiali: Carta 120g - Copertina 150g Accademia di Belle Arti di Roma Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate Scuola di Progettazione Artistica per l’Impresa Corso di Diploma Accademico di II° livello in Graphic Design Corso di Progettazione Grafica Cattedra del professore Enrico Pusceddu Stampato presso La Legatoria Via degli Aurunci, 37 Settembre 2020
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Le raccolte Culture diverse. Temi comuni
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UMA edizioni per questo decimo numero ha voluto concentrarsi su quelle cose che possediamo, ma non ce ne rendiamo conto del loro enorme valore. Oggetti comuni, che però contengono storie, racconti, emozioni. Quasi degli amuleti che proteggono i nostri piÚ intimi e preziosi ricordi.
fianca alla poesia tradotta, quando necessario, la poesia originale, lasciando la libertĂ di poter decidere come leggere ed analizzare la poesia. Al testo sono affiancate delle illustrazioni che descrivono gli oggetti degli autori presenti nelle poesie. Immergiti nella loro poetica e dicci cosa ne pensi.
Dalla letteratura spagnola, italiana e inglese, a quella francese e tedesca, si af-
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indice 8-Baudelaire 12-Jorge Luis Borges 16-Bertolt Brecht 22-Federico Garcia Lorca 26-StĂŠphane MallarmĂŠ 30-Eugenio Montale 34-Aldo Palazzeschi 38-Giovanni Pascoli 44-Umberto Saba 48-Leonardo Sinisgalli
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charles
Baudela (Parigi, 9 aprile 1821 – Parigi, 31 agosto 1867) è stato un poeta, scrittore, critico letterario, critico d’arte, giornalista, filosofo, aforista, saggista e traduttore francese. È considerato uno dei più importanti poeti del XIX secolo, esponente chiave del simbolismo, affiliato del parnassianesimo e grande innovatore del genere lirico, nonché anticipatore del
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aire. decadentismo. I fiori del male, la sua opera maggiore, è considerata uno dei classici della letteratura francese e mondiale. Il pensiero, la produzione e la vita di Baudelaire hanno influenzato molti autori successivi (primi fra tutti i “poeti maledetti” come Verlaine, Mallarmé e Rimbaud, ma anche gli scapigliati italiani come Emilio Praga, o Marcel Proust, Edmund Wilson, Dino Campana, nonché, in particolar modo, Paul Valéry), appartenenti
anche a correnti letterarie e vissuti in periodi storici differenti, ed è considerato ancor oggi non solo come uno dei precursori della letteratura decadente, ma anche di quella poetica e di quella filosofia nei confronti della società, dell’arte, dell’essenza dei rapporti tra esseri umani, dell’emotività, dell’amore e della vita che lui stesso aveva definito come “modernismo”. Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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La Pipa Sono la pipa di uno scrittore: a guardare la mia faccia di Abissina o di Cafra, si vede che il mio padrone è un gran fumatore. Quando è colmo di dolore, fumo come la capanna dove si cucina il pasto per il ritorno dell’aratore. Abbraccio e cullo la sua anima nella rete mobile ed azzurra che sale dalla mia bocca di fuoco, E spando un potente dittamo che incanta il suo cuore e guarisce lo spirito dagli affanni.
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La Pipe Je suis la pipe d’un auteur; On voit, à contempler ma mine D’Abyssinienne ou de Cafrine, Que mon maître est un grand fumeur. Quand il est comblé de douleur, Je fume comme la chaumine Où se prépare la cuisine Pour le retour du laboureur. J’enlace et je berce son âme Dans le réseau mobile et bleu Qui monte de ma bouche en feu, Et je roule un puissant dictame Qui charme son coeur et guérit De ses fatigues son esprit.
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jorge luis
Borges.
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(Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986) è stato uno scrittore, poeta, saggista, traduttore, filosofo e accademico argentino. Le opere di Borges hanno contribuito alla letteratura filosofica e al genere fantastico. Il critico Ángel Flores, primo ad utilizzare l’espressione “realismo magico” per definire quel genere che intende rispondere al realismo e al
naturalismo dominante del XIX secolo, considera come inizio di tale movimento la pubblicazione del libro “Storia universale dell’infamia”(Historia universal de la infamia). È ritenuto uno dei più importanti e scrittori del XX secolo, ispirato tra gli altri da Macedonio Fernández, dalla letteratura inglese (Chesterton, Stevenson, Wells, De Quincey, Shaw), da quella tedesca (Schopenhauer, Kafka) e dal taoismo. Narratore, poeta e saggista, è famoso
sia per i suoi racconti fantastici, in cui ha saputo coniugare idee filosofiche e metafisiche con i classici temi del fantastico (quali: il doppio, le realtà parallele del sogno, i libri misteriosi, gli slittamenti temporali), sia per la sua più ampia produzione poetica, dove, come afferma Claudio Magris, si manifesta “l’incanto di un attimo in cui le cose sembra stiano per dirci il loro segreto”. Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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Le cose Le monete, il bastone, il portachiavi, la pronta serratura, i tardi appunti che non potranno leggere i miei scarsi giorni, le carte da gioco e la scacchiera, un libro e tra le pagine appassita la viola, monumento d’una sera di certo inobliabile e obliata, il rosso specchio a occidente in cui arde illusoria un’aurora. Quante cose, atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi, ci servono come taciti schiavi, senza sguardo, stranamente segrete! Dureranno piú in là del nostro oblio; non sapran mai che ce ne siamo andati.
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Las cosas El bastón, las monedas, el llavero, la dócil cerradura, las tardías notas que no leerán los pocos días que me quedan, los naipes y el tablero, un libro y en sus páginas la ajada violeta, monumento de una tarde sin duda inolvidable y ya olvidada, el rojo espejo occidental en que arde una ilusoria aurora. ¡Cuántas cosas, limas, umbrales, atlas, copas, clavos, nos sirven como tácitos esclavos, ciegas y extrañamente sigilosas! Durarán más allá de nuestro olvido; no sabrán nunca que nos hemos ido.
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bertolt
Brecht. (Augusta, 10 febbraio 1898 – Berlino Est, 14 agosto 1956) è stato un drammaturgo, poeta, regista teatrale e saggista tedesco. Nato nel 1898 ad Augsburg (Augusta-Baviera) scoprì presto il suo amore per il teatro. Il suo esordio in teatro era fortemente influenzato dall’Espressionismo, ma presto aderì allo schieramento marxista
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e sviluppò la teoria del “teatro epico” secondo cui lo spettatore non doveva immedesimarsi, ma era invitato a tenere una distanza critica per riflettere su quello che si vedeva in scena. Canzoni, elementi parodistici e una sceneggiatura molto ben studiata dovevano creare un effetto di straniamento. Lo spettatore doveva imparare qualcosa. Il teatro di Brecht offre una grande varietà di storie e casi umani, oppure rivisitazioni di drammi storici che ancora oggi sanno incantare il pubblico per la
loro modernità e impostazione scenica. Nel 1948, fondò a Berlino Est un proprio teatro, il “Berliner Ensemble”, dove cercò di realizzare le sue idee, facendo diventare uno dei teatri più affermati in Germania. Nonostante le sue convinzioni marxiste era spesso in contrasto con le autorità della Germania dell’est. Morì nel 1956 a Berlino. Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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Fra tutti gli oggetti Fra tutti gli oggetti i più cari Sono per me quelli usati. Storti agli orli e ammaccati, i recipienti di rame, I coltelli e forchette che hanno di legno i manici, Lucidi per tante mani: simili forme Mi paiono tutte le più nobili. Come le lastre di pietra Intorno a case antiche, da tanti passi lise, levigate, E fra cui crescono erbe, codesti Sono oggetti felici. Penetrati nell’uso di molti, Spesso mutati, migliorano forma, si fanno Preziosi perché tante volte apprezzati. Persino i frammenti delle sculture, Con quelle loro mani mozze, li amo. Anche quelle, Vissero per me. Lasciate cadere, ma pure portate; Travolte sì, ma perché non troppo in alto stavano. Le costruzioni quasi in rovina Hanno l’aspetto di progetti Incompiuti, grandiosi; le loro belle misure Si possono già indovinare; non hanno bisogno Ancora della nostra comprensione. E poi Han già servito, sono persino superate. Tutto Questo mi fa felice.
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Von allen Werken Von allen Werken die liebsten Sind mir die gebrauchten. Die Kupfergefäße mit den Beulen und den abgeplatteten Rändern Die Messer und Gabeln, deren Holzgriffe Abgegriffen sind von vielen Händen: solche Formen Schienen mir die edelsten. So auch die Steinfliesen um alte Häuser Welche niedergetreten sind von vielen Füssen, abgeschliffen Und zwischen denen Grasbüschel wachsen, das Sind glückliche Werke. Eingegangen in den Gebrauch der vielen Oftmals verändert, verbessern sie ihre Gestalt und werden köstlich Weil oftmals gekostet. Selbst die Bruchstücke von Plastiken Mit ihren abgehauenen Händen liebe ich. Auch sie Lebten mir. Wenn auch fallen gelassen, wurden doch getragen. Wenn auch überrannt, standen sie doch nicht zu hoch.
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Die halbzerfallenen Bauwerke Haben wieder das Aussehen von noch nicht vollendeten Gross geplanten: ihre schönen Masse Sind schon zu ahnen; sie bedürfen aber Noch unseres Verständnisses. Andererseits Haben sie schon gedient, ja sind schon überwunden. Dies alles Beglückt mich.
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federico garcia
Lorca.
(Fuente Vaqueros, 5 giugno 1898 – Víznar, 19 agosto 1936) è stato un poeta, drammaturgo e regista teatrale spagnolo, figura di spicco della cosiddetta generazione del ‘27, un gruppo di scrittori che affrontò le avanguardie artistiche europee con risultati eccellenti. Riesce ad entrare nella Residencia de Estudiantes a Madrid, conosciuta in
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a Spagna come il luogo della nuova cultura e dello sperimentalismo: qui rimane fino al 1928, e stringe amicizie importanti, tra cui quella con il pittore Salvador Dalì, da cui si sviluppa una collaborazione artistica. Gli anni Venti segnano un periodo molto fecondo nella produzione letteraria: risalgono a questi anni le raccolte poetiche Poema del canto profondo, il Libro dei poemi e Canzoni, e l’opera teatrale Mariana Pineda. Contemporane
scrive anche opere in prosa d’impronta surrealista ed articoli che vendono pubblicati su diverse riviste. Sostenitore dichiarato delle forze repubblicane durante la guerra civile spagnola, fu catturato a Granada e fucilato da uno squadrone della milizia franchista. Il suo corpo fu poi gettato “in un burrone ad alcuni chilometri alla destra di Fuentegrande”. Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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Le sei corde La chitarra fa piangere i sogni. Il singhiozzo delle anime perdute sfugge dalla sua bocca rotonda. E come la tarantola, tesse una grande stella per sorprendere i sospiri che tremano nella sua nera cisterna di legno.
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Las seis cuerdas La guitarra, hace llorar a los sueĂąos. El sollozo de las almas perdidas, se escapa por su boca redonda. Y como la tarĂĄntula teje una gran estrella para cazar suspiros, que flotan en su negro aljibe de madera.
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stéphane
Mallarm (Parigi, 18 marzo 1842 – Valvins, 9 settembre 1898) è uno dei massimi esponenti del simbolismo francese. Considerato il padre della poesia moderna per il modo in cui il proprio linguaggio poetico ha saputo influenzare il panorama artistico e lirico delle epoche successive, Mallarmé credeva fortemente nel potere evocativo della poesia. Questa non doveva essere spiegata,
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mé. ma immaginata, assaporata, compresa con gli occhi del cuore e della mente, tramite allusioni, scenari suggeriti, mai imposti: una poesia fatta di immagini e non di parole, una poesia dove il lettore è costretto ad una pura contemplazione.
tanti, finché non intraprese la carriera di insegnante. Ogni professione gli andava stretta, toglieva tempo al suo bisogno di scrivere, di essere libero nella scrittura. Inizia quindi a scrivere di notte, le uniche ore che davvero gli appartengono.
Mallarmé ebbe un’infanzia difficile, travagliata, segnata da due grandi lutti, la morte della madre e della sorella. Non particolarmente interessato agli studi, fu costretto a impieghi umili, poco allet-
Si spegnerà prematuramente il 9 settembre del 1898 a causa di uno spasmo faringeo. Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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Brezza marina La carne è triste, ahimè! e ho letto tutti i libri. Fuggire! là fuggire! Sento ebbri Fra schiuma ignota e cieli esser gli alati! Non vecchi parchi negli occhi specchiati, Niente il cuore terrà che il mare irrora Oh notti! né di lume ermo chiarore Sul foglio vuoto che il bianco ripara Né la donna col bimbo da allattare. Partirò! Dondolante alberatura Steamer, salpa a un’esotica natura! Ancora un Tedio, da acri speranze afflitto Crede al supremo addio dei fazzoletti! E forse gli alberi, invito a saette, Son quelli che ai naufragi un vento flette Persi, né alberi o verdi isole ormai... Ma odi, o cuore, cantare i marinai!
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Brise marine La chair est triste, hélas! et j’ai lu tous les livres. Fuir! là-bas fuir! Je sens que des oiseaux sont ivres D’être parmi l’écume inconnue et les cieux! Rien, ni les vieux jardins reflétés par les yeux Ne retiendra ce coeur qui dans la mer se trempe O nuits! ni la clarté déserte de ma lampe Sur le vide papier que la blancheur défend Et ni la jeune femme allaitant son enfant. Je partirai! Steamer balançant ta mâture, Lève l’ancre pour une exotique nature!
Un Ennui, désolé par les cruels espoirs, Croit encore à l’adieu suprême des mouchoirs! Et, peut- être, les mâts, invitant les orages Sont-ils de ceux qu’un vent penche sur les naufrages Perdus, sans mâts, sans mâts, ni fertiles îlots… Mais, ô mon coeur, entends le chant des matelots!
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eugenio
Montale (Genova 1896 - Milano 1981). Tra i massimi poeti italiani del Novecento, già dalla prima raccolta (Ossi di seppia, 1925; fissò i termini di una poetica del negativo in cui il “male di vivere” si esprime attraverso la corrosione dell’Io lirico tradizionale e del suo linguaggio. Questa poetica viene approfondita nelle Occasioni (1939), dove alla riflessione sul male di vivere subentra
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e. una ‘poetica dell’oggetto’: il poeta concentra la sua attenzione su oggetti e immagini nitide e ben definite che spesso provengono dal ricordo, tanto da presentarsi come rivelazioni momentanee destinate a svanire. Montale ricercò una densità e un’evidenza simbolica del linguaggio, portando a perfezione lo stile alto novecentesco, dove i termini rari o preziosi si adeguano a esprimere l’irripetibile singolarità dell’esperienza. Prendeva forma così quella
peculiare interpretazione montaliana della lezione simbolista, che è altresì all’origine dello stile illustre novecentesco. Una sorta di classicismo virtuale, in cui il poeta riesce a fornire un equivalente delle forme chiuse e della precisa definizione dell’enunciato, proprie della tradizione, e a far convivere l’aulico e il prosaico in un processo di scambio delle rispettive funzioni. Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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L’abbiamo rimpianto a lungo l’infilascarpe L’abbiamo rimpianto a lungo l’infilascarpe, il cornetto di latta arrugginito ch’era sempre con noi. Pareva un’indecenza portare tra i similori e gli stucchi un tale orrore. Dev’essere al Danieli che ho scordato di riporlo in valigia o nel sacchetto. Hedia la cameriera lo buttò certo nel Canalazzo. E come avrei potuto scrivere che cercassero quel pezzaccio di latta? C’era un prestigio (il nostro) da salvare e Hedia, la fedele, l’aveva fatto.
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aldo
Palazzes Pseudonimo dello scrittore Aldo Giurlani (Firenze 1885 - Roma 1974). P. ha manifestato il suo estro funambolesco fin dall’esordio come poeta crepuscolare e nell’effimera adesione al futurismo. Ha attraversato l’esperienza dell’avanguardia di inizio secolo, quella del «ritorno all’ordine» degli anni Venti e in seguito la ripresa sperimentale delle
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schi. avanguardie degli anni Sessanta con una sua inconfondibile giocondità, enigmatica e inafferabile, attraverso la quale ha tratto alla luce sproporzioni e incongruità, in un’irridente distruzione dei rapporti normali tra le cose. Visse a Firenze fino al 1950, anno in cui si trasferì a Roma. Nel 1957 gli fu consegnato dall’Accademia dei Lincei il premio internazionale Feltrinelli per la letteraturra; nel 1960 gli venne conferita dall’università di
Padova la laurea in lettere honoris causa. Esordì come poeta crepuscolare, di una malinconia venata non tanto di ironia quanto di un estro funambolesco. Effimera fu la sua adesione al futurismo. Ma poiché l’intimo ritmo dei suoi versi era narrativo, Palazzeschi ben presto trovò più adeguata espressione nella prosa di racconti e romanzi. Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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La porta Davanti alla mia porta si fermano i passanti per guardare, taluno a mormorare: << là, dentro quella casa, la gente è tutta morta, non s’apre mai quella porta, mai mai mai >>. Povera porta mia! Grande portone oscuro trapunto da tanti grossissimi chiodi, il frusciare più non odi di sete a te davanti. Dagli enormi battenti di ferro battuto che nessuno batte più, nessuno ha più battuto da tanto tempo. Rosicchiata dai tarli, ricoperta dalle tele dei ragni, nessun ti aprì da anni e anni, nessun ti spolverò, nessun ti fece un po’ di toeletta. La gente passa e guarda, si ferma a mormorare: << là, dentro quella casa, la gente è tutta morta, non s’apre mai quella porta, mai mai mai >>. 36
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giovanni
Pascoli. (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 â&#x20AC;&#x201C; Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta, accademico e critico letterario italiano, figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento, considerato insieme a Gabriele Dâ&#x20AC;&#x2122;Annunzio, il maggior poeta decadente italiano, nonostante la sua formazione principalmente positivistica. Dal Fanciullino, emerge
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una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano. D’altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del “fanciullino” presente in ognuno: quest’idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di “poeta vate”, e di ribadire allo stesso tempo l’utilità morale e civile della poesia. Egli, pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario
dell’epoca, né mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea, manifesta nella propria produzione tendenze prevalentemente spiritualistiche e idealistiche. Complessivamente la sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione classicista ereditata dal maestro Giosuè Carducci, e le nuove tematiche decadenti. Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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L’ aquilone C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole. Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie che al ceppo delle quercie agita il vento. Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visita le chiese di campagna, ch’erbose hanno le soglie: un’aria d’altro luogo e d’altro mese e d’altra vita: un’aria celestina che regga molte bianche ali sospese... sì, gli aquiloni! È questa una mattina che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera tra le siepi di rovo e d’albaspina. Le siepi erano brulle, irte; ma c’era d’autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e la lucertola il capino mostrava tra le foglie aspre del fosso. Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza la sua cometa per il ciel turchino.
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Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza. S’inalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano. S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo petto del bimbo e l’avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo. Più su, più su: già come un punto brilla lassù lassù... Ma ecco una ventata di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla? Sono le voci della camerata mia: le conosco tutte all’improvviso, una dolce, una acuta, una velata... A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni! e te, sì, che abbandoni su l’omero il pallor muto del viso. Sì: dissi sopra te l’orazïoni, e piansi: eppur, felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni! Tu eri tutto bianco, io mi rammento. solo avevi del rosso nei ginocchi, per quel nostro pregar sul pavimento. Oh! te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore
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Il più caro dei tuoi cari balocchi! Oh! dolcemente, so ben io, si muore la sua stringendo fanciullezza al petto, come i candidi suoi pètali un fiore ancora in boccia! O morto giovinetto, anch’io presto verrò sotto le zolle là dove dormi placido e soletto... Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle! Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale, ti pettinò co’ bei capelli a onda tua madre... adagio, per non farti male.
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umberto
Saba. (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957), è stato un poeta, scrittore e aforista italiano. Per mettere in luce le caratteristiche principali possiamo ricorrere a un testo teorico scritto dallo stesso triestino nel 1912 e intitolato “quello che resta da fare ai poeti“. In queste pagine Saba dichiarava in modo lapidario che tipo di poesia dovesse essere scritta, cioè una poesia capace
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di esprimere con sincerità e senza esagerazioni la condizione esistenziale dell’uomo al fine di rappresentare la realtà quotidiana e non la realtà straordinaria. Il poeta deve tendere al rispetto della propria anima, la poesia di Saba si presenta come un continuo scandaglio interiore, come una costante indagine della coscienza. Da questo punto di vista appare importante ricordare il rapporto tra Saba e la psicoanalisi, così da rendere la poesia uno strumento di autochiarificazione, ossia
capace di comprendere i traumi interiori, i dissidi che lacerano la personalità umana, e le origini delle proprie nevrosi. Nelle sue poesie presenta Trieste con i suoi caffè e le sue strade, e descrive personaggi umili e animali domestici. La semplicità e i legami con la realtà non devono far pensare a una poesia oggettiva, in quanto Saba ne riversa le sue inquietudini interiori. Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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La fontanella Sotto gli alberi spogli del viale degli svaghi offri invano il suo zampillo. Ma è venuta l’estate, altro le accade. È cara a tutti, al vecchio curvo come al giovane che il suo corpo modella nel segno sotto cui nacque, severo. Il passante che segue di un pensiero arido i fili e la scopre, devia verso una gioia pronta e gratuita. Offre un sorso di vita ad ogni vita, che in sé grata l’accoglie, poi l’oblia, per proseguire ignara al suo destino.
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leonardo
Sinisgal (Montemurro, 9 marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981), è stato un poeta, saggista e critico d’arte italiano. È noto come Il poeta ingegnere o Il poeta delle due muse, per il fatto che in tutte le sue opere ha sempre fatto convivere cultura umanistica e cultura scientifica. Per la sua versatilità è stato definito “un Leonardo del
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lli. Novecento” in quanto è stato narratore, pubblicista, direttore artistico, direttore di riviste, documentarista, autore radiofonico, disegnatore. Sinisgalli apparteneva alla generazione inquieta dei Montale, dei Moravia, dei Pavese, dei Vittorini, dei Piovene, i quali, formatisi nei duri anni del fascismo, ebbero sempre un angoscioso travaglio intellettuale dettato dalle difficoltà di quegli anni di cambiamento. Amarezza soprattutto verso la sua condizione
di emigrante, costretto a lasciare la sua terra su consiglio del suo maestro, che dopo la licenza media convinse la madre a mandarlo in collegio per proseguire gli studi. Molto spesso nelle sue opere sono presenti aneddoti e luoghi della sua infanzia, del suo paese, talvolta elementi all’apparenza banali, ma che rispecchiavano la chiave della sua inquietudine e amarezza, Scopri di più sul nostro sito o sulla nostra pagina Instagram
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Uno spicchio di pera Raramente mia madre buttava via una pera fradicia. Riusciva sempre col suo coltelluccio che aveva la punta ricurva e serviva a scappucciare le orecchiette a salvarne almeno uno spicchio.
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Visita il sito www.umaedizioni.it isbn: 984-77-8483-223-5 La carta di questo libro è composta da fibre naturali, rinnovabili, riciclabili e fabbricate da legno proveniente da una silvicultura esclusivamente dedicata alla fabbricazione di pasta di carta.
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