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Legislazione commentata - Nuove regole per l’etichettatura: il Regolamen to 775/2018. Parte I: Riflessioni introduttive (A. Ambanelli

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A cura di Afro Ambanelli Avvocato in Parma

Nuove regole per l’etichettatura: il Regolamento 775/2018 Parte I: Riflessioni introduttive

La primavera del 2020 è alle porte e, tra gli adempimenti degli operatori del settore alimentare, si prospetta la necessità di un’attenta verifica delle etichette per adeguarle alle nuove regole, solo apparentemente semplici, del Regolamento 775/2018.

La valutazione, in realtà, dovrebbe essere effettuata con largo anticipo, considerando le disposizioni transitorie del Regolamento entrato in vigore dal terzo giorno dalla pubblicazione e applicabile a partire dal 1° aprile 2020. I prodotti immessi in commercio, o comunque etichettati prima di tale data, potranno essere commercializzati fino a esaurimento delle scorte; tuttavia, eventuali giacenze di etichette

non conformi non potranno essere più utilizzate a partire dalla data indicata.

Questo Regolamento dà attuazione al paragrafo 3 dell’articolo 26 del Regolamento 1169/2011, la cui applicazione era rimasta in sospeso in attesa di una norma successiva che ne definisse le modalità e i contenuti.

Come è noto, l’articolo 26 disciplina l’indicazione obbligatoria dell’origine o provenienza e il paragrafo 2 di tale articolo si occupa dei casi nei quali è obbligatoria l’indicazione dell’origine del prodotto, mentre il paragrafo 3 riguarda i casi nei quali è obbligatoria una informazione circa l’origine o provenienza dell’ingrediente primario.

Il testo recita: 3. Quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario:

a) è indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure

b) il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento.

La definizione di ingrediente primario è fornita dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera q) del Regolamento 1169/2011 dove si legge:

«ingrediente primario»: l’ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più del 50% di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione di tale alimento dal consumatore e per i quali, nella maggior parte dei casi, è richiesta un’indicazione quantitativa.

Due sono quindi i requisiti che innescano l’applicazione della norma:

a) un’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del prodotto (che può essere apposta sia volontariamente che in adempimento a un obbligo);

b) che tale paese di origine o luogo di provenienza non coincida con quello dell’ingrediente primario.

Per esempio, se si indica l’origine italiana di una focaccia, mentre la farina di frumento (che ne costituisce l’ingrediente primario) è di origine tedesca, l’etichetta dovrà recare le informazioni aggiuntive previste nel Regolamento 775/18; al contrario, se la farina fosse di origine italiana non sarebbe necessaria alcuna modifica.

Purtroppo, come vedremo, la semplicità di applicazione è solo apparente, visto che questo principio di base deve confrontarsi con il panorama assai variegato dei prodotti sul mercato.

Va ricordato che, specialmente nei primi tempi di applicazione di una nuova norma, le interpretazioni possono subire dei cambiamenti o delle letture diverse da parte dei singoli Paesi. Solo il tempo (e magari qualche intervento della Corte di

Giustizia) porterà a una interpretazione consolidata. Per questo motivo il lettore è invitato a prendere queste prime riflessioni con la dovuta cautela.

È opportuno innanzi tutto delimitare l’ambito di applicazione della norma.

L’articolo 1, paragrafo 1 del Regolamento 775/2018 esclude i termini geografici che figurano in denominazioni usuali e generiche, “quando tali termini indicano letteralmente l’origine, ma la cui interpretazione comune non è una indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza.”

La definizione di «denominazione usuale» è fornita dal Regolamento 1169/2011 all’articolo 2, paragrafo 2, lettera o): una denominazione che è accettata quale nome dell’alimento dai consumatori dello Stato membro nel quale tale alimento è venduto, senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni. Il Regolamento 1151/2012 definisce invece i “termini generici”, come i nomi di prodotti che, pur riferendosi al luogo, alla regione o al paese in cui il prodotto

era originariamente ottenuto o commercializzato, sono diventati il nome comune di un prodotto nell’Unione.

Come esempio si possono citare l’insalata russa, la crema catalana, la zuppa inglese, il ragù alla bolognese.

In questi casi il riferimento geografico si rivela solo apparente, in quanto non ha lo scopo d’informare il consumatore circa l’origine o la provenienza, ma si riferisce a una ricetta o a un particolare metodo di ottenimento del prodotto, oppure a un tipo di vegetale (es. cavoletti di Bruxelles).

Va sottolineato che non esiste, quanto meno attualmente, un’elencazione precisa e tassativa delle denominazioni usuali e generiche, il che ovviamente non facilita il compito dell’interprete. Questa lacuna si rende ancora più evidente qualora si tratti di un prodotto commercializzato in un Paese diverso da quello di produzione.

Per esempio, in Italia è noto che il “Salame Milano” non costituisca una dichiarazione di italianità, ma un nome generico del prodotto. Tuttavia, è possibile che tale indicazione potrebbe non essere riconosciuta come tale in un diverso Paese in cui il prodotto è commercializzato. Ovviamente in questo caso dovrebbe aggiungersi una

denominazione descrittiva che consenta al consumatore di comprendere adeguatamente la natura del prodotto, ma bisogna anche valutare un possibile fraintendimento del messaggio da parte del consumatore del paese di commercializzazione.

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