CHRISTIAN ZUCCONI nella fragilità del marmo a cura di Luca Beatrice
museo dell’opera del duomo
- prato
CHRISTIAN ZUCCONI nella fragilitĂ del marmo
CHRISTIAN ZUCCONI nella fragilità del marmo Museo dell’Opera del Duomo, Prato 18 febbraio 2012 - 30 aprile 2012 Mostra promossa da
Diocesi di Prato In collaborazione con
Con il patrocinio di
Comune di Prato Con il sostegno tecnico di LABORATORIO CORSANINI Studio d’arte - Carrara OFFICINA MARTELLO Utensili per scultura - Broni GSF SCHIAVI Carpenteria metallica - Piacenza IRAN MARBLE Marmi e Travertini - Carrara
© 2012 Museo dell’Opera del Duomo, Prato Testi: © Luca Beatrice; © Giuseppe Billi Opere e fotografie dell’allestimento: © Christian Zucconi Fotografie dell’artista: © Mustafa Sabbagh Tutti i diritti riservati
Direzione della mostra Luca Beatrice
Catalogo Luca Beatrice
Progetto Meri Marini Giuseppe Billi
Fotografie Christian Zucconi Mustafa Sabbagh
Coordinamento Claudio Cerretelli
Progetto grafico Kyklos, Milano
Organizzazione Piergiorgio Fornello
Realizzazione e stampa Chiaroscuro, Mantova
Allestimento Luca Pinotti
Sommario Nella fragilità del marmo di Luca Beatrice
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Opere in mostra Fotografie di Christian Zucconi
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Apparati Il senso “dramatis” del sacro di Giuseppe Billi
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Biografia
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Mostre
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Bibliografia
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nella fragilità del marmo di Luca Beatrice
Il corpo di Gregor Samsa è quello di uno scarafaggio. La sua metamorfosi è solo visiva: un involucro, nulla più, imprigiona i desideri e le emozioni che restano pur sempre quelli di un uomo. Per quanto egli si dimeni e tenti di spiegare, i familiari che provano a guardarlo con compassione non vedono altro che un disgustoso insetto. L’incomunicabilità di quella prigione di forme ribalta i valori psicologici del dramma. Chi è il vero mostro? L’umanità è difficile da trovare dove non c’è più e laddove dovrebbe esserci non si manifesta. Più quello scarafaggio soffre, e si svela in tutta la sua bestialità, più il nobile sentimento di chi è umano si tramuta in derisione, repulsione, incomprensione del diverso. Facile è la morale. Fedele a questa lettura del corpo come contenitore Christian Zucconi lo smembra, fino a scavarne le viscere. Da qualche anno lo scultore emiliano ha abbandonato la terracotta per esplorare le proprietà del travertino persiano, che sparge le sue vene di rosso sul candido marmoreo. Non contento dei risultati ottenuti da una rappresentazione che unisce la monumentalità del maestro Michelangelo con la modernità di Rodin, Zucconi mette in atto una metamorfosi tecnica che rinnova la scultura dalla sua gravità classica. Nel 2005 una diversa Metamorfosis inscenava la nudità dei sentimenti umani per esplorare con la schizofrenia di un monologo l’angoscia di un uomo di fronte a se stesso, ovvero tra il sé corporeo e la propria anima. Con il modus operandi che ha reso la compagnia teatrale catalana La Fura dels Baus una delle realtà più interessanti del teatro contemporaneo, il corpo è usato in tutte le sue possibilità performative. Messo a nudo, l’uomo svela la sua grandezza, o miseria, animale. Il protagonista nella Metamorfosis della Fura, rinchiuso entro 7
quattro pareti di vetro, stava lì, privato degli strumenti suoi primari di accettazione sociale. Involucro di un’emotività pronta a esplodere. L’uso e l’abuso del nudo spezza la convenzione teatrale della quarta parete tra spettatore e attore, rompendo un equilibrio e rendendo omaggio alla tragedia greca in una nuova forma di mimesi. Paragonato al ridisegno del rapporto sul quale gioca la Fura, nello scandalo dell’esperienza collettiva che ne condivide una altrimenti intima, la novità del linguaggio di Zucconi è capace di rivitalizzare il tema classico della figurazione con un intervento d’ordine performativo. Stravolge il senso del manifesto “non finito” michelangiolesco adoperandolo nel ventre della scultura sia da un punto di vista tecnico che concettuale. La trasfigurazione del corpo, interno al soggetto, fa sì che lo scoglio della classicità venga aggirato, meglio ancora, dominato. Si placa il facile rischio, così temuto dai giovani scultori, di cadere nell’autocritica che fu di Arturo Martini, “scultura lingua morta”. Ora, è partendo dall’iconografia biblica – la Deposizione, la Vergine, il sacrificio di Erode – che Zucconi decide di muoversi per scoprire possibilità mai esplorate del materiale. Trattato alla stregua di un massello di legno, il travertino persiano viene aggredito in superficie e scavato da dentro. Forte della padronanza tecnica derivatagli dall’uso della terra, applica lo stesso procedimento alla pietra. Scelta insolita, sicuramente riuscita quando, trovandosi di fronte alle sue sculture, sembrerà di toccare la venatura viva del legno o la porosità della ceramica piuttosto che la fredda consistenza del marmo. Al gesto, quasi pittorico, di un Medardo Rosso, si aggiunge la semplificazione lineare di Marino. Una sofferenza di matrice cristiana converge nella lettura dissacrante dell’uomo moderno. In Depositio Christi, della Deposizione del Mantegna conservata a Brera resta solo il rimando a un’icona ormai prosciugata, filtrata attraverso l’immagine fotografica del corpo morto di Che 8
Guevara steso su una branda. L’umanità del Cristo (o del mito guerriero) supera quella classica perché ricolloca la dimensione mortale del corpo in decomposizione. Efebica ballerina in tutù è invece la versione contemporanea della Virgo Lactans: una giovane madre, un cigno bianco, come nella recente interpretazione della grazia e della bellezza nel talento cinematografico di Aronofsky (The Black Swan, 2010), rivela tutta la fragilità di una donna imprigionata nel corpo di una bambina. Impotente più che prosperosa. L’agnello sacrificale poi, simbolo dei figli di Dio uccisi per volere di Erode, rafforza nella Veneratio Herodis la versione laica della formula nietzschiana «Dio è morto». Questo piccolo uomo è anch’esso fantasma del desiderio atavico di libertà e verità volatilizzato in quel grembo vuoto. Lo spettacolo di corpi, spogliato di riferimenti ideali con il bello classico teorizzato dal Vasari, si nutre di un canone similmente sperimentato dai videoartisti e dai perfomer, da Bill Viola a Marina Abramovic. Verrebbe da pensare anche alla furia dell’austriaco Hermann Nitsch che, generando prima un senso di disgusto orgiastico e dissacrante, spinge poi a una volontaria catarsi e purificazione nello spettatore che assiste alle sue azioni. Con Zucconi, l’impianto, che potremmo definire drammaturgico più che liturgico, si compie nella contrapposizione di opposti così dissonanti da generare uno choc emotivo nel pubblico. E di spettacolo si può parlare, sia per chi ha avuto il piacere di vedere Zucconi al lavoro – a scavare, a spaccare, a lacerare il marmo per poi ricomporlo in frammenti persistenti di materia – sia guardando la violenza espressiva di questi corpi nudi ben oltre l’evidenza. All’interno del Museo dell’Opera del Duomo di Prato, il teatro “urbano” di Zucconi stabilisce atmosfere quasi gotiche, dark. Le sue sculture si collocano nello spazio come elementi di un Medioevo post-atomico. L’espressione corporale delle forme diventa più simbolica del soggetto stesso rappresentato. Vediamo l’anima che è più viva della materia morta usata per raffigurare il corpo. La dimensione è più intima e psicologica. 11
Nella sua condivisione pubblica all’interno della Basilica, l’operazione assume le sembianze di una performance visiva studiata per quadri iconici dove crediamo di guardare a un incubo, in una società che sembra abitata da fantasmi assediati dal senso di colpa, dalla frustrazione, dalla vergogna. Ma non siamo ancora all’ultimo atto. La tragedia umana è terreno irrisolto e la pratica di Christian Zucconi ci permetterà ancora di stupirci, convinti che un nuovo tassello si potrà aggiungere al suo spettacolo del reale.
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OPERE IN MOSTRA Fotografie di Christian Zucconi Pagine 13, 16-17, 24-25 Christian Zucconi, Adorazione d’Erode (Veneratio Herodis, 2010). Travertino persiano, ferro e piombo, cm 70 x 70 x 90. Pagine 6, 10, 21, 28 Christian Zucconi, Deposizione di Cristo (Depositio Christi, 2009). Travertino persiano, ferro e piombo, cm 86 x 226 x 96. Pagine 14-15 Christian Zucconi, Crocifissione (Crucifixio, 2009). Travertino persiano e ferro, cm 85 x 69 x 225. Pagine 9, 18-20 Christian Zucconi, Madonna del Latte (Virgo Lactans, 2011). Travertino persiano, ferro e stoffa, cm 100 x 100 x 181. Pagine 22-23 Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, Putti danzanti, particolare del Pulpito esterno del Duomo (1428-1438). Marmo e tessere musive, cm 74 x 79. Prato, Museo dell’Opera del Duomo.
RITRATTI DELL’ARTISTA Fotografie di Mustafa Sabbagh Pagina 30 La serva del Signore (Ancilla Domini, 2011). Pagine 34, 39 Chri-dimezzato (2011).
Apparati
IL SENSO “DRAMATIS” DEL SACRO Il senso del sacro in Christian Zucconi è evidente e intuibile nei suoi aspetti. Ma non facile, né scontato. Sicuramente “dramatis”. Non solo per i soggetti che ricordano, subito, le ossa di Ezechiele, in quella valle arida e disseccata, eppure in attesa di un soffio ri-creatore dello Spirito: « ... Vieni, Spirito, soffia dai quattro venti ... ed esse rivivranno» (Ez. 37,9). Anzi, qui viene il punto di domanda, inevitabile e decisivo, per una ambiguità che non ci lascia e ci inquieta: « ... ma portranno queste ossa rivivere?» (Ez. 37,3). Prevale (purtroppo) in alcuni giudizi critici, su Zucconi, ma anche su tanta altra arte umanista di segno solennemente “caduco”, una deriva nihilista, quasi necrofila (con accenti, talvolta, addirittura morbosi). Niente di strano, niente di scandaloso, se si pensa al grido d’allarme, recente, di Jean Clair con il suo libro L’inverno dell’arte: siamo all’ultima stazione; l’arte si è sperimentata in tutte le latitudini esistenziali (perfino “stercorarie”) e si è svuotata di “scopo” e di “senso”. È avviata ad un “giocoso” quanto autolesionistico fatalismo finale. Ma il lavoro, di più: la cura erosivamente delibata di Zucconi, mi sembra, sottilmente, far levitare, dei due poli dell’ambiguità, quello ri-sorgente, anche se rimandato, affidato ad un immaginabile destino. E pure in questo caso si può richiamare un’altra voce profetica (del resto Zucconi non è estraneo; scolpisce all’“ombra” d’un classico, quanto prezioso, umanesimo di radice biblica). È Isaia: «Sentinella, quanto resta della notte?» (Is. 21,11). E, traducendo sul linguaggio “combusto” di Zucconi: quanto resta di questa carne-porosità di corpi, che pare svuotata e inabitata, ma, insieme, fibrillante per l’evento ri-creatore? Certamente, davanti ad opere così “infirmate” – pur nella loro sacra nobiltà – o così e-stinte, è legittima l’impressione, in tempi come i nostri “cosmicamente” ripuliti dell’Oltre e dell’Altro, che tutto ormai scivoli nella “notte”, in quel nuovo Stige ideale cui presiedono, modernamente, un Heidegger, per esempio, o un Sartre, o un Camus, o un Marcuse: per lui l’uomo “ha una sola dimensione”. Dopo questa, niente. Proseguendo, però, la lettura di Isaia: «La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi anche la notte ... convertitevi, venite!”» (Is. 21,12). Ecco, io penso, proprio per la natura positivamente ambigua delle espressioni dell’arte, particolarmente quando sono tornite e traforate, quasi ad amabil vezzo – come le opere di Christian Zucconi – che siano felicemente zufolate di vita. Pensando, anche, alle
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specchiature delle ombre, che non sono soltanto effetti reiteranti, ma effetti volutamente comprensivi. Quanto resta della notte? Chi risponde? La graziosa figura, pur nello sfioramento del macabro, o, invece, la sua ombra di velluto? In questo dialogo, che si può pure lasciare “alla pari”; in questo dolce contrappunto visivo, si può avvertire, se si fa silenzio (e le installazioni di Zucconi sono previste in spazi ormai abilitati al “silenzio orante”, come musei o pinacoteche d’arte sacra) il sospiro del mattino – dentro quella indistinta ma aerea fascia aurorale in cui naviga l’“angelo viola” di Proust o, se si vuole, l’Angelus novus di Benjamin. Facilita, anche, in questa “vaga” comprensione, pure il contrappunto sinestesico: la parola e il segno, il suono e l’ombra. Vedi i titoli, frutto di un altrettanto esercizio ritmicamente mistico: Crucifixio, Ancilla Domini, Clavus Alexandri, Salomè, Selemnos, Depositio Christi, Virgo Lactans, Veneratio Herodis...
Ed ora le scelte di Zucconi. Non tanto per individuare figure, temi o storie arcaiche e culturalmente tipizzate, quanto per cogliere la sua intensa “concettualità”, che non si riferisce affatto a quello stile minimalista o vuoto di segni che, appunto, va sotto il nome di “arte concettuale”. Verrebbe la voglia, anzi, di restituire il termine – “concettuale” – a tutte le stagioni della storia dell’arte, se si interpreta rettamente: arte come espressione di idee e sentimenti, indicativi dell’animo trascendentale dell’uomo e, insieme, come “laboratorio” redentivo e, quando si sale più sopra, evento escatologico. In questo senso non si fa che proseguire il “fil-rouge” dell’arte occidentale, fin nei fondamenti etimologici, se “ar” nel più esteso bacino indo-europeo, significa, sì, “fare”, ma fare con atteggiamenti e intenti escatologici non immediatamente utili. Si fa ciò che non serve – direbbe il filosofo Cacciari – non per il “krónos” (tempo attuale, fattuale, conservativo), ma per il “kairós” (tempo che si vive e nello stesso tempo si trascende e ci trascende). Concetti, del resto, che si ritrovano spessissimo lungo il cammino della “filosofia” dell’arte, rettamente intesa. Filosofia, come pensiero, che va direttamente al “vero”, senza tornanti logici o razionalisti, unicamente con l’espansione visiva e magica del vero che si “accende” nell’espressione dei segni artistici, naturalmente “concepiti” dagli artisti contemporanei (sempre gli artisti sono “contemporanei”). Ogni epoca ha i suoi, ma tutti “senza scopo”, sono torniti dallo “stesso” senso (così diceva il grande sistemologo cristiano Romano Guardini). L’arte infatti non ha scopo, proprio perché non rimanda, non metaforizza (semmai è “simbolo”, ben altra cosa), ma è e significa, ha senso, nella fenomenologia dello spirito. Nelle scelte di Zucconi c’è un indicibile e ossimorico rapporto tra la parola e l’atto, l’opera. Vedi, per esempio, la Virgo Lactans o la Veneratio Herodis. Colpisce immediatamente l’antitesi, l’entropia, lo sfregio. Ma qui occorre riprendere quell’inestricabile ambiguità, di cui parlavo all’inizio, che, oltre essere insita in ogni dilemma antropologico, nel caso dell’arte può rappresentare, anzi rappresenta, una ricchezza semantica, storica e, soprattutto, religiosa. Il filone “dannativo” dell’uomo, nell’infermità della carne, proviene – come si sa – dal “cantiere” di Assisi, dove esplicitamente si pone il carattere dell’arte occidentale, “patiens”, dividendosi dalla tradizione comune con gli orientali, di un’umanità già trasfigurata nell’“eskaton”. La morte e tutti i travagli che la precedono, nell’arte bizantina, sono solo sigle o stimmate passate, sono archeologia del lunghissimo e doloroso cammino dell’uomo. Oggi, teologicamente, si parla di
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“esodo” e “avvento”. Per noi occidentali siamo in un laborioso esodo che va, però, incontro all’avvento. Per gli orientali, senza negare l’esodo, l’arte cristiana è tutto uno splendore d’avvento. Si tratta di una marcata differenziazione che, talvolta, si è inasprita di clamorosi conflitti, fino ad atteggiamenti fondamentalisti. Ora, dopo lo slavo Papa Woityla, si guarda più a sensibilità e prospettive diverse, che dovrebbero riconoscersi nella legittimità e nella cura di aspetti entrambi primari. Christian Zucconi evidenzia “d’emblée” la figura del dramma, di più: della corruzione o corrosione della carne, guasta “in origine”. E non è soltanto una radicalizzazione del male o dell’“exitus”, ma, rimanendo sull’aspetto positivo dell’ambiguità, può essere una resa alla “nudità” creaturale e, poi, esistenziale dell’uomo. Le stesse crettature della superficie insistono sull’inanità, sul vuoto, seppur striato di “splendori”, del corpo umano. La suggestione (se non il possibile richiamo) del testo biblico sembra efficacemente e concettualmente tornare. «Adamo, chi ti ha fatto conoscere che sei nudo?» (Gen. 3,2). Non vale il penoso scarico di responsabilità: Eva e il serpente. «Polvere tu sei e in polvere ritornerai» (Gen. 3,19). L’abisso che l’uomo si porta dentro e addosso appare come il suo primo ordine naturale di esistenza (da notare che anche il termine “ordine” proviene da “ar”). L’“ordo infirmorum” può essere, perfino, il tema che, di epoca in epoca, snoda il “film” della storia dell’arte: dal primitivo e dal grottesco dei primi secoli cristiani, fino ai mosaici – per fare solo alcuni esempi – del Battistero di Firenze, alle storie dei giotteschi, a Bosch, al terribile Grünewald, al secco e “perso” Holbein il Giovane, a Caravaggio e alla sua scuola, al Barocco, al Romanticismo, al Realismo e, oggi, a Bacon, a Freud e a Kiefer. A proposito, si è poco, criticamente parlando, tenuto presente una “questio” artistica di “tragicità sublime” che può ritenersi una via parallela, cristiana, all’epocale disperazione “atea” dell’Esistenzialismo. È una presenza continua nell’arte, a volte rilevata e influente, spesso, soprattutto nel periodo posbellico della “morte di Dio”, avversata, emarginata o semplicemente ignorata. Credo che, per un ripensamento sostanziale, dobbiamo riprendere Giovanni Testori e tutto il mondo (nuovo, vario, instabile) che girava intorno a lui. Non si può affatto ignorare testi che fecero “colpi” e “ferite” nella cultura, soprattutto artistica, degli anni ’60 e ’70 del Novecento: Dies Illa, Erodiade, La crocifissione, Passio laetitiae et felicitatis e, in questo nostro contesto di riflessioni per Christian Zucconi, le due Suite per Francis Bacon.
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Per non prolungare il discorso, mi piace riferire una sola poesia, in modo epigrammatico e fulminante: Hai mangiato la carne; hai sepolto i vagiti nelle mani.1 Tutto questo per dire, in conclusione, che l’“ironia macabra” di Zucconi, in tutta la sua straordinaria originalità, fibra per fibra, grano per grano, io la ritrovo in questa anima “terribilis”. Mi ripeto sull’ambiguità: può essere fine a se stessa, involversi in un auto-antropofagismo. Oppure, come penso e verosimilmente credo, è una corporea e sfibrata “kenosis” del Cristo: uomo-Dio, in cui soltanto (e rimango nel linguaggio perentorio di San Paolo) si “granisce” la redenzione. Tra tutti i testi che ci risuonano in mente della splendida liturgia pasquale, scelgo l’inno Sequentia della messa Risurrectionis: «Mors et vita duello conflixere mirando: dux vitae mortuus, regnat vivus». Cioè: «Mirabile il duello tra la vita e la morte. L’Autore della vita, con tutti i segni addosso della morte, regna vivo». Giuseppe Billi
Curatore Arte Sacra Contemporanea CEI - Roma
1. Testori, Giovanni. Opere 1965-1977. Bompiani, 1997, p. 349, “Study for head” - 1952.
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BIOGRAFIA Christian Zucconi nasce il 12 gennaio del 1978 a Piacenza. Di indole introversa e dotato di una fervida quanto oscura fantasia, fin da bambino impara a modellare omini di cera che, ben presto, diventano gli unici veri e graditi compagni di giuoco. Salvato quindi in tenera età da simulacri tridimensionali da riempire di vuoto, senso, terrori e speranze, prestissimo comprende di essere uno scultore. Con la feroce caparbietà che da sempre lo contraddistingue, inizia a frequentare Carrara e il Laboratorio Corsanini già all’età di dodici anni immergendosi “anima e corpo” (e mai come in questo caso il binomio viene usato all’uopo) nel lavoro. Nel 1998 Piero Molinari organizza la sua prima personale all’Università Cattolica di Piacenza e nel 2002 Stefano Fugazza cura la sua prima monografia. Nel lustro a seguire, oltre ad un’oculata attività espositiva, si impegna soprattutto nella realizzazione di grandi monumenti pubblici – come la scultura ambientale Testimoni della Memoria e il gigantesco Guardiano dei Libri, entrambi a Piacenza, e la Stele del Sangue a Viù (Torino). Nel 2007, in occasione della personale curata da Flavio Arensi nella Pinacoteca del Castello Visconteo di Legnano, Stefano Fugazza e Alfonso Panzetta firmano un catalogo che raccoglie tutte le sculture dei suoi primi quindici anni di lavoro, ma sente che qualcosa in lui si è frantumato. Alla fine di quell’intensissimo anno, cercando di ricostruire la sua interiorità «svuotata e fatta a pezzi», inventa la tecnica kenoclastica,1 che verrà presentata da Rudy Chiappini nel 2010 in una straordinaria personale al Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano. Nel 2011 è chiamato da Vittorio Sgarbi a esporre la sua Cena in Emmaus nel Padiglione Italia Emilia Romagna della 54° Biennale di Venezia e, a sette anni dall’ultima personale nella sua città, torna ad esporre a Piacenza in una articolata mostra a cura di Elena Percivaldi nei Musei Civici di Palazzo Farnese. Il 2012 lo vede protagonista in due musei toscani, dapprima al Cassero per la Scultura di Montevarchi in una personale a cura di Alfonso Panzetta e, subito dopo, al Museo dell’Opera del Duomo di Prato, dove, per la cura di Luca Beatrice, torna a riflettere sul senso del sacro – ovvero di quei “simulacri da riempire” che da sempre lo accompagnano. 1. Tecnica scultorea inventata da Christian Zucconi nel dicembre del 2007 consistente nella distruzione di un’opera finita, nel suo svuotamento e nella successiva ricomposizione. Attraverso il drastico abbattimento di peso e all’uso di strutture interne invisibili, amplia le possibilità tecniche e iconografiche della scultura in pietra.
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MOSTRE COLLETTIVE 1996 1997 1998 2004 2005 2006 2006 2007 2009 2009 2011 2011
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Under 30 Palazzo Farnese, Piacenza. A cura di Stefano Fugazza. La Pietra e il Cielo Palazzo del Podestà, Castellarquato, Piacenza. A cura di Stefano Fugazza e Piero Molinari. Mito e natura Ente Fieristico, Piacenza. A cura di Stefano Fugazza. Scultura Compagnia del Disegno, Milano. A cura di Alain Toubas. Il mito della forma Art Village, Fidenza, Parma. A cura di Cristina Trivellin. Nudi Compagnia del Disegno, Milano. A cura di Alain Toubas. 3° Premio Razzano Museo del Sannio, Benevento. A cura di Antonio Petrilli. 1° Biennale d’Arte di Lodi Chiesa di San Cristoforo, Lodi. A cura di Gianmaria Bellocchio. Arte nel parco. Museum in Motion, Castello di San Pietro in Cerro, Piacenza. A cura di Alessandro Azzoni. 2° Biennale d’Arte di Lodi Chiesa di San Cristoforo, Lodi. A cura di Gianmaria Bellocchio. Bestiario Antologia di artisti. Compagnia del Disegno, Milano. A cura di Alain Toubas. 54° Biennale di Venezia - Padiglione Italia Emilia Romagna. Chiostri di San Pietro, Reggio nell’Emilia. A cura di Vittorio Sgarbi.
MOSTRE PERSONALI 1998 Marmo e figura Università Cattolica, Piacenza. A cura di Piero Molinari. 2002 Sculture e disegni Spazio Rosso Tiziano, Piacenza. A cura di Stefano Fugazza. 2004 L’ombra si figura Nuovo Spazio Arte Contemporanea, Piacenza. A cura di Aldo Benedetti. 2006 La parola del gesto Galleria Monteverdi, Parma. A cura di Alberto Mattia Martini. 2007 Legioneexmatteo Pinacoteca del Castello Visconteo e Piazza San Magno, Legnano. A cura di Flavio Arensi. 2007 Sculture 1991-2006 Compagnia del Disegno, Milano. A cura di Alain Toubas. 2010 Rivoluzione Kenoclastica Museo d’Arte Antica, Castello Sforzesco, Milano. A cura di Rudy Chiappini. 2010 Rivoluzione Kenoclastica Compagnia del Disegno, Milano. A cura di Alain Toubas. 2011 Stigmata Musei Civici di Palazzo Farnese, Piacenza. A cura di Elena Percivaldi. 2012 La pietra e la carne Cassero per la scultura, Montevarchi, Arezzo. A cura di Alfonso Panzetta. 2012 Nella fragilità del marmo Museo dell’Opera del Duomo, Prato. A cura di Luca Beatrice.
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BIBLIOGRAFIA Beatrice, Luca. Christian Zucconi. Nella fragilità del marmo. Mantova, Chiaroscuro Editore, 2012. Panzetta, Alfonso; Stagi, Giulia. Christian Zucconi. La pietra e la carne. Torelli Edizioni, Arezzo, 2012. Sgarbi, Vittorio. Lo Stato dell’Arte. Regioni. Milano, Skira, 2011. Percivaldi, Elena. Christian Zucconi. Stigmata. Mantova, Chiaroscuro Editore, 2011. Appel, Kurt; Chiapparoli, Paolo; Francou, Carlo; Garlaschelli, Enrico; Lupi, Francesca. Nudità. Il corpo nell’arte di Christian Zucconi. Piacenza, Editrice Berti, 2010. Chiappini, Rudy. Christian Zucconi. Rivoluzione Kenoclastica. Verona, Edizioni dell’Aurora, 2010. Fugazza, Stefano; Panzetta, Alfonso. Christian Zucconi. Sculture 19912006. Piacenza, Tip.Le.Co., 2007. AA.VV. Premio Mario Razzano. Benevento, Proposta, 2006. Panzetta, Alfonso. In sette nel parco, Collezione comunale di scultura contemporanea nel parco della Rotonda di Viù. Torino, AdArte, 2006. Martini, Alberto Mattia. Christian Zucconi. La parola del gesto. Parma, Monteverdi, 2006. Trivellin, Cristina. Il mito della forma. Milano, Signorini, 2005. Fugazza, Stefano, e altri. Scultori al Carmelo. Piacenza, Tip.Le.Co., 2005. Benedetti, Aldo. Christian Zucconi. L’ombra si figura. Piacenza, Tip. Le.Co., 2004. Fugazza, Stefano. Scultura del Novecento, in Storia di Piacenza, Il Novecento, II, pp. 1335-1336. Piacenza, Tip.Le.Co., 2003. Fappanni, Simone. Scultura ieri e oggi. Cremona, ImmaginAria, 2003. Agazzani, Alberto; Fugazza, Stefano. Christian Zucconi. Sculture 19972002. Piacenza, Tip.Le.Co., 2002. Molinari, Piero. Christian Zucconi. Marmo e figura. Piacenza, Università Cattolica del Sacro Cuore, 1998. Gianfardoni, Guido; Fugazza, Stefano. Mito e natura nella scultura piacentina di fine millennio. Piacenza, Cassa di Risparmio, 1998. Molinari, Piero; Fugazza, Stefano. La pietra e il cielo. Piacenza, 1997. Fugazza, Stefano, e altri. Under 30. Piacenza, Fondazione di Piacenza e Vigevano, 1997.
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Finito di stampare nel mese di marzo 2012 presso Chiaroscuro Mantova Printed in Italy
€ 15,00