CinemazeroNotizie Dicembre 2017

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€ 1,00 mensile di cultura cinematografica

Il buio oltre la sala

Cinemazero: un anno da protagonisti, tra non poche difficoltà

Tucker Film: piccola, indipendente, battagliera!

2017 numero 11 anno XXXVII

Mercoledì 6 dicembre Davide Ferrario ospite a Cinemazero

Dicembre

Cento anni: la storia italiana e le sue Caporetto

17

Oltre un milione di euro al box office per la casa di distribuzione friulana

PFA: dieci anni insieme al meglio dell’animazione

Tra gli ospiti anche il regista candidato all’Oscar Michael Dudok De Wik

Tu chiamali se vuoi festival

Rapporto confidenziale dell’ultima Festa del Cinema di Roma

Irving Penn 100

In mostra al Grand Palais di Parigi

La scuola al cinema: i migliori film sotto l’albero Tanti i titoli per studenti e insegnanti da scoprire in sala

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Tra non poche difficoltà anche il 2017 ha visto Cinemazero protagonista

Andrea Crozzoli

Editoriale

Il buio oltre la sala: luci ed ombre di un anno di cinema Si archivia anche il 2017, un anno, come sempre accade, di avvenimenti sia positivi che negativi. Fra quelli positivi possiamo orgogliosamente registrare il quarto schermo a Cinemazero che ha fatto aumentare la proposta di cinema in città del 25% e la riformulazione della SalaGrande che, grazie alla gradonata, permette ora una perfetta visione dell’intero schermo. L’aumento della potenza di fuoco ha poi avuto un positivo effetto sulla fidelizzazione del pubblico di Cinemazero attraverso la sottoscrizione della CinemazeroCard. Una Card che non solo permette di entrare a far parte della numerosa comunità culturalcinematografica pordenonese (una delle più ambite delle tre venezie), ma altresì permette di poter seguire, per 365 giorni dalla data di sottoscrizione, la programmazione cinematografica con una spesa contenuta e una serie di vantaggi unici nel suo genere. Provare per credere! Altra buona notizia di questo 2017 è il cantiere aperto su oltre 300mila enti non profit con la riforma del terzo settore che raduna le disposizioni fiscali per gli enti non lucrativi e riscrive le regole per le Onlus, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale. Un necessario aggiornamento di tutta la materia. Intanto ci sono già sul piatto 190 milioni per finanziare le agevolazioni fiscali, le attività di interesse generale degli enti, il nuovo Registro unico del terzo settore, e 200 milioni destinati ai crediti agevolati per le imprese sociali. Nel frattempo (ovvero entro febbraio 2019) si dovrà adeguare gli statuti alle prescrizioni della legge per avere le carte in regola per l’iscrizione nel Registro unico; iscrizione che non è un obbligatoria, ma permette l’accesso ad un’ampio ventaglio di bonus. Bisognerà attendere ancora una serie di passaggi come l’autorizzazione della Ue e l’operatività del Registro unico. Su questo fronte anche il vice governatore del FVG Sergio Bolzonello, ha dichiarato in televisione, che nel 2018 provvederanno a legiferare in merito per declinare la riforma del terzo settore sulle peculiarità della nostra regione. Sul fronte negativo gioca sempre la crisi del cinema italiano che, come ultimo atto, partorisce un calo nell’affluenza di spettatori in sala. Assioma ormai consolidato: se non ci sono film buoni, appetibili, il pubblico diserta la sala. Ha centrato bene il problema, al convegno di Mantova sul cinema d’essai, il regista Giorgio Diritti affermando che “la sala non è condannata a estinguersi ma dobbiamo tutti lavorare di più sulla qualità di ogni progetto... serve anche un grande lavoro sulle giovani generazioni, a partire dalla scuola”. I dati sul cinema italiano non lasciano scampo: su 188 titoli italiani usciti dal 1° gennaio 2017 ad oggi ben 103 sono usciti con sole dieci copie, risultato che garantisce l’invisibilità del film; 31 titoli sono usciti con un numero di copie fra 10 e 29; 11 tra 30 e 49 e così via, per arrivare a solo 10 titoli con oltre 300 copie. Ma anche questi dieci titoli hanno sofferto della generale sfiducia del nostro pubblico nei confronti del cinema italiano. Una delle pochissime eccezioni di questo avaro 2017 è stato Easy - Un viaggio facile facile di Andrea Magnani, divertente commedia distribuita dalla nostra TuckerFilm, che ha raccolto l’80% degli incassi nel circuito d’essai, oltre ad un prestigioso premio al Festival del Cinema di Annecy. Questa è la conferma di quanto affermato da Diritti sulla necessità di lavorare in maniera seria ed approfondita sulla qualità del prodotto, seguirlo poi, passo dopo passo, nella sua (ahimè breve) vita nelle sale in giro per l’Italia, negli incontri con il pubblico, etc. È questo l’unico modo per invertire la rotta che vede sui nostri schermi il 68% di titoli americani contro il 17% di titoli italiani!

In copertina Davide Ferrario, regista di Cento anni che sarà ospite a Cinemazero, mercoledì 6 dicembre per incontrare il pubblico.

cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Dicembre 2017, n. 11 anno XXXVII

Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Manuela Morana Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Elena d’Inca Direzione, redazione, amministrazione Via Mazzini, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 Cassa: 0434-520527 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Sincromia - Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica


Il regista sarà ospite mercoledì 6 dicembre a Cinemazero per incontrare il pubblico

Marco Fortunato

Cento anni fa, Caporetto. Nasce il paradigma tutto italiano della catastrofe che porta al riscatto. Con queste parole si aprono le note di regia dell’ultimo lavoro di Davide Ferrario regista indipendente, che spaziando dalla fiction al documentario ha saputo ritagliarsi grande spazio e considerazione all’interno della scena italiana ed internazionale. E per questo non stupisce che, fin da subito, l’approccio storico, seppur presente, non sia la chiave più importante per leggere un lavoro complesso ed affascinante. Abbiamo chiesto a Ferrario di raccontarci qualcosa di più sul suo ultimo lavoro, in attesa di averlo ospite a Cinemazero. Quante ne abbiamo viste, di Caporetto, in tutti i campi: militare, economico, politico.. Anche sportivo! (ride). Come popolo abbiamo bisogno della sconfitta. Ma spesso dalle sconfitte si impara più che dalle vittorie. E nel momento più difficile, spesso, che si creano le basi per la rinascita. “La tragedia necessaria” titola Mario Isnenghi un suo libro di studi storici, ed è questa, a mio avviso, in maniera perfetta di quello che vuole essere il senso del mio lavoro: una riflessione civile su una caratteristica che ci appartiene come popolo. Si riferisce alla nostra capacità di reagire, di rialzarci anche quando sembra impossibile? In qualche modo sì, volevo analizzare il percorso che porta dalla sconfitta alla vittoria, diciamo da Caporetto a Vittorio Veneto per rimanere nell’ambito storico. Volevo capire in che misura i due termini dell’equazione sono collegati e in qualche modo necessari uno all’altro. In questo senso quindi l’anniversario di Caporetto è stata una buona occasione In generale le ricorrenze sono spesso una buona occasione per pensare, ma nel mio caso si tratta di una riflessione che ho iniziato molti anni fa, nel 2011, quando ho dato il via – con Piazza Garibaldi e poi con La zuppa del demonio – ad una sorta di trilogia sulla storia italiana, che voleva analizzare quella che sembra essere una tendenza nazionale a produrre catastrofi. E poi la prospettiva è cambiata? In parte. Ci siamo – parlo al plurale perché è stato un lavoro condotto a quattro mani con Giorgio Mastrorocco che ha curato anche la sceneggiatura anche dei primi due capitoli della trilogia – che l’aspetto più profondo e affascinante della materia stava nello spirito di resistenza e di elaborazione della sconfitta che il nostro popolo è capace di avere. Quindi il suo giudizio finale è positivo? Diciamo che io sono ottimista, ma di certo sarebbe meglio se arrivassimo ad esprimere questa capacità senza necessariamente passare per una “sconfitta”, anche perché quest’ultima, non è mai senza conseguenze. E non c’è vittoria che possa cancellarle. Perché ha scelto di strutturare il racconto in capitoli? Mi sembrava la formula più efficace, sia dal punto di vista narrativo che stilistico, anche perché mi ha permesso una grande liberta. Ho lavorato su quattro episodi. Primo capitolo: dopo cento anni, la disfatta del 1917. I vissuti, raccontati attraverso le voci recitate di profughi, orfani e prigionieri. Secondo capitolo: la Resistenza. La storia famigliare del chitarrista Massimo Zamboni, un nonno fascista ucciso da due partigiani, l'uno poi ucciso dall'altro. Le speranze e i conflitti tra chi è rimasto. Terzo capitolo: la strage di Piazza della Loggia a Brescia: "I morti servono a capire le ragioni per cui sono morti", dice Manlio Milani, presidente dell’Associazione Familiari Vittime della Strage. Quarto capitolo: la Caporetto demografica di oggi, lo spopolamento del Sud. Ad ogni capitolo corrisponde uno stile narrativo? Il documentario serve anche a questo. Per me interrogarsi sulla storia significa anche interrogarsi sul modo in cui la si mette in scena. Ecco perché fin dall’inizio pensavo a quattro episodi profondamente distinti per stile e look Di fatto nel primo e nel secondo episodio, nel quale i protagonisti sono ormai morti, mi sono appoggiato alla parola e all’immagine. Il terzo episodio è, curiosamente, l’opposto della mia idea di documentario: l’intervista. L’ultimo episodio, infine, è il più libero, simile per spirito e apertura all’imprevisto a film di viaggio. Sembra un film perfetto per i giovani, come pensa reagiranno vedendolo? ln realtà ho già una risposta perchè ho fatto alcune visioni di prova proprio con dei ragazzi ed il risultato è stato sorprendente. Anche se molti di loro non conoscevano i fatti narrati hanno subito percepito la “carne” di cui è fatto il racconto e hanno saputo ascoltare “la voce della Storia”.

Intervista a Davide Ferrario

Cento anni, la storia italiana e le sue Caporetto


Tucker Film: piccola, indipendente, battagliera

Gianmatteo Pellizzari

Per un cinema nascosto e potente

Oltre un milione di euro al box office, nel 2017, per la casa di distribuzione friulana

Nonostante la forte crisi di pubblico, e nonostante una filosofia cinematografica tutt’altro che “comoda”, anche quest’anno la piccola e battagliera Tucker Film si è difesa alla grande, incassando oltre un milione di euro e sorpassando, al box office, vari competitor che hanno distribuito cinque o dieci film. Tre i titoli portati in sala dalla factory indipendente friulana, tre le scommesse vinte: Libere, disobbedienti e innamorate di Maysaloun Hamoud (coproduzione franco-israeliana firmata da Shlomi Elkabetz, il regista di Viviane), Ritratto di famiglia con tempesta di Kore-eda Hirokazu (dal Giappone con furore!) e Easy – Un viaggio facile facile di Andrea Magnani (prima coproduzione italo-ucraina). Se la bellissima commedia umana di Kore-eda ha intercettato una fascia di spettatori necessariamente più selezionata (Ritratto di famiglia con tempesta mette in relazione la contemporaneità con gli elementi fondamentali del cinema gentile di Ozu Ozu Yasujiro: grazia, intensità, ironia), il debutto di Maysaloun Hamoud e il debutto di Andrea Magnani hanno invece rappresentato due autentici boom, due autentici “casi”, tanto per la stampa quanto per il pubblico. E non si potrebbero davvero pensare due film più diversi! Libere, disobbedienti e innamorate è una piccola grande storia di amicizia (cosa fanno tre ragazze arabe a Tel Aviv?). Una riflessione a cuore aperto sull’indipendenza femminile che la regista Maysaloun Hamoud, brillante promessa del cinema mediorientale, sa gestire con asciuttezza, umorismo e istinto rock. Mentre Hollywood plasma il terzo capitolo cinematografico di Sex and the City, dunque, anche Libere, disobbedienti e innamorate ci racconta brillantemente una città e ci parla schiettamente di sesso: una Tel Aviv metropolitana che ribolle di cultura underground, tre amiche divise dalle pulsioni e rese gemelle dalla necessità di essere forti. Più forti di chi le tradisce, di chi le giudica, di chi le umilia. Girato ammiccando affettuosamente al cinemascope dei grandi western, e percorso da un umorismo rarefatto che piacerebbe molto a Kaurismaki, Easy – Un viaggio facile facile di Andrea Magnani (quattro sold out consecutivi a Locarno!) è un bizzarro, divertente, poetico road movie che, trasformando i chilometri in cammino esistenziale, schiera Nicola Nocella (Nastro d’argento per il Figlio più piccolo di Pupi Avati), Libero De Rienzo (Santa Maradona, Smetto quando voglio) e Barbara Bouchet (amatissima da tutti gli italiani e, non dimentichiamolo, da un certo signor Quentin Tarantino, che la annovera tra le proprie muse). La Tucker Film, ricordiamo, nasce nel 2008 per unire due sponde: quella pordenonese e quella udinese, portando Cinemazero e il CEC a congiungere le forze per avviare una nuova attività distributiva e produttiva. Una società che, in antitesi alle politiche distributive attuali, vuole reagire alle trasformazioni del settore e raggiungere la profondità, quei posti e quei paesi che stanno vedendo scomparire lentamente il cinema. Raggiungere, insomma, i “fratelli d’essai” da pari, da esercenti, portando avanti concretamente l’idea che non esista solo il cinema distribuito dai canali ufficiali, ma anche (sempre di più) un cinema nascosto e potente! La prima importante tappa distributiva è stata segnata dalle uscite di Rumore bianco di Alberto Fasulo, il documentario poetico uscito nelle sale italiane il 28 novembre 2008, e del capolavoro giapponese Departures, vincitore dell’Oscar 2009 come migliore film straniero. In dieci anni di attività, tutti i bilanci della Tucker Film sono sempre stati in attivo e i guadagni, mai suddivisi tra i soci, sono sempre stati utilizzati con lo scopo di far crescere il progetto. Un progetto che, nel 2018, proseguirà sotto il segno leggendario di Kim Ki-duk e del suo attesissimo Il prigioniero coreano! .


PFA dieci anni insieme al meglio dell’animazione

Clara Gaingaspero

Un decimo compleanno che è una vera festa, quello del Piccolo Festival dell'Animazione, che si tiene in Friuli Venezia Giulia (ma si "allunga" anche fino a Lubiana e Venezia) dall'11 al 29 dicembre 2017, con numerose anteprime già a partire dal mese di novembre. Supportato dalla Regione Friuli Venezia Giulia e in partnership con Animateka Film Festival di Lubiana, il Piccolo Festival dell'Animazione organizzato dal 2008 dall'Associazione Viva Comix di Pordenone per la direzione artistica di Paola Bristot - di "piccolo" ha però soltanto il minutaggio delle opere presentate: cortometraggi d'animazione, rigorosamente d'autore, scelti in un vastissimo panorama internazionale e proposti al Festival nella maggior parte dei casi in prima visione italiana. Non mancano, nelle giornate del Piccolo Festival dell'Animazione, anche gli approfondimenti, i workshop, le mostre e gli incontri con artisti, critici e autorità del settore. Su tutte, per l'edizione 2017, è attesissima la presenza di Michaël Dudok De Wit: regista, sceneggiatore, illustratore olandese che con il suo recente La tartaruga rossa è stato selezionato per il Premio Oscar come miglior film d'animazione 2017, oltre ad aver ricevuto premi prestigiosi come quello della giuria della sezione "Un certain regard" di Cannes, il "Cèsar Award" e l'"European Film Award" 2016. Non un cortometraggio, ma un lungometraggio (il suo primo) di 80 minuti, La tartaruga rossa è un film poetico, metaforico, visionario le cui suggestioni richiamano la potenza della natura e il suo rapporto con l'essere umano. Non a caso è stato prodotto dallo Studio Ghibli, lo stesso che ha in carico i lavori di Miyazaki. A Cinemazero di Pordenone il giovane ma già prluripremiato artista Mauro Carraro tiene un workshop per i ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado (giovedì 14 dicembre, alle 9.30), a seguire per i ragazzi anche la proiezione di alcune opere prime. La seconda parte del festival (27, 28 e 29 dicembre), che si estende tra Trieste, Pordenone e Udine, consiste, invece, in un vero e proprio concorso: nelle tre serate vengono proiettati (rispettivamente al Cinema Teatro Miela, a Cinemazero e al Visionario) i corti scelti per la competizione: il 28 dicembre a Pordenone si assiste alla seconda tornata di film in competizione. La serata è anticipata - alle 19.00 da "Panorama", una visione internazionale di corti animati d'autore di tutta Europa - mentre la sera, alle 22.45 viene proiettato Onión di Juan Pablo Zaramella, già vincitore di diversi premi in Sudamerica ed Europa. Il 29 dicembre alle 20.30 il Festival si congederà assegnando il Premio del pubblico e - per la prima volta quest'anno - il Premio della Giuria, composta da uno staff tecnico di personalità di spicco del teatro, della musica e del cinema. Il Piccolo Festival dell’Animazione è reso possibile dalla collaborazione con Mediateca “Mario Quargnolo” del Visionario, Centro Espressioni GLI EVENTI DEL PFA A PORDENONE Cinematografiche (Udine), Cinemazero, GIOVEDÌ 14 DICEMBRE Biblioteca Civica (Pordenone), Trieste CINEMAZERO Contemporanea, Casa del Cinema, Cappella Ore 9.30 Masterclass per le scuole secondarie Underground, Mediateca (Trieste), DobiaLab di secondo grado con Mauro Carraro (Dobbia), Kinemax, Studio Faganel (Gorizia), Ore 11.00 proiezione Opere prime per le Teatro Pasolini (Cervignano). Contribuiscono scuole secondarie di secondo grado con la collaborazione anche il Comune di

Piccolo Festival dell’Animazione

Fra gli ospiti Michaël Dudok de Wit, regista de La tartaruga rossa

Udine, l'Istituto Italiano di Cultura di Lubiana, il Centro Nazionale del Cortometraggio, Centro Sperimentale di Cinematografia (Torino), La Fabbrica del Vedere (Venezia), Asifa Italia, OTTOmani Laboratori (Bologna) il Festival Kraken di Lubiana e l'Accademia di Belle Arti di Venezia e Bologna, PromoTurismo FVG.

GIOVEDÌ 28 DICEMBRE MEDIATECA Ore 19.00 Panorama CINEMAZERO Ore 21.00 film in competizione ORE 22.45 Onión di Juan Pablo Zaramella


Rapporto confidenziale dell’ultima Festa del Cinema di Roma

Elisabetta Pieretto

Festa del cinema di Roma

Tu chiamali se vuoi... festival L'undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è abbastanza lontana ormai da poterne tirare le somme con la giusta distanza. Fin dal primo anno della kermesse si discusse, non appena chiusa, su cosa fosse e su cosa, più ancora, potesse essere: il termine festa doveva lasciar spazio a qualcosa di popolare e insieme glamour, capace di avvicinare al cinema il pubblico normale, a differenza degli altri festival che invece hanno da sempre il compito di intercettare la sperimentazione (questo dovrebbe valere per la Mostra del Cinema di Venezia) e i nuovi talenti (come accade per il Torino Film Festival, il primo a far conoscere in Italia, ad esempio, l'allora esordiente Kechiche) e che finiscono, dunque, per l'essere destinati ai critici, agli addetti ai lavori, agli studenti di cinema e derivati. La scelta, per la Festa di Roma, di iniziare con quattro diversi direttori non ha pagato (le sezioni di ciascuno avevano lo stesso peso nel programma e, più o meno, lo stesso taglio editoriale) e ben presto si è scelto di procedere con un direttore artistico per il concorso principale e di mantenere alcune sezioni indipendenti. Tra queste si sono distinte negli anni “Alice nella città”, la selezione dei film su e per i giovani in grado di coinvolgere durante il festival migliaia di studenti (dalle elementari alle superiori), e la sezione “Extra”, che radunava il meglio del cinema documentario di tutto il mondo. Ricordo un documentario folgorante presentato cinque anni fa, How To Die In Oregon: il tema del diritto-a -morire non era ancora così dibattuto e Bellocchio non aveva ancora diretto Bella addormentata. Ricordo come fossimo tutti coinvolti e sconvolti dalla forza narrativa di quel documentario e da come fossimo certi di aver visto qualcosa di così emotivamente impattante che ci era chiara la funzione del cinema (in qualunque forma questo si presenti). Perché, parliamoci chiaro, l’obiettivo primario di un festival di cinema è di farti amare il cinema in quanto tale. La sezione “Extra” ora non esiste più. Continua invece a esistere e a crescere “Alice nella città”: nel corso degli anni è riuscita a inserire in programma importanti anteprima nazionali che ha permesso a una sezione destinata ai ragazzi di venire presa sul serio dai critici cinematografici e non è poco. Mentre “Alice nella città” cresce come sezione autonoma e indipendente è sempre meno chiaro cosa sia la Festa, a chi sia destinata, quale sia la sua peculiarità tanto da poterla rendere, motivatamente, uno dei maggiori festival cinematografici in Italia. Resta il taglio popolare, ma il sospetto che molto spesso i film presenti ci siano perché rifiutati da altri festival o perché di prossima uscita nelle sale è concreto. Il che non è necessariamente un male, sia perché non sempre i selezionatori degli altri festival ci azzeccano, sia perché poter vedere un film in anteprima in versione originale con presenti in sala regista e cast internazionale resta comunque un'esperienza. È così che anche quest'anno, seppure più faticosamente, è accaduto di vedere alcuni film davvero interessanti. Detroit di K.Bigelow: macchina a spalla, registro documentarista con una fotografia cinematografica e una drammaturgia ad alta temperatura emotiva per raccontare un fatto realmente accaduto, la rivolta della comunità nera che nel 1967 mise a ferro e fuoco la città; uscito in sala, se lo avete perso recuperatelo. Logan Lucky di S.Soderbergh: siamo dalle parti di Ocean’s Eleven, con una banda di fratelli che deve riuscire in una rapina tutt’altro che semplice, ovvero rubare i miliardi di banconote sparate nei condotti sotterranei della Nascar durante la corsa automobilistica Coca Cola 600. Cast strepitoso (Channing Tatum, Adam Driver, Daniel Craig), regia che sa mescolare sapientemente ritmo, eleganza, divertissement e che riesce a raccontare in un film di genere l’America di oggi, tra povertà e perdita di identità; uscirà in sala nel 2018. My Friend Dahmer (a lato una scena del film) di M.Meyers: tratto dalla graphic novel di John Derf Backderf, racconta l’adolescenza del serial killer Jeffrey Dahmer, da quando era un timido e rispettabile dodicenne fino al giorno in cui uccise la sua prima vittima, due settimane dopo la fine delle superiori; al momento non ci sono notizie che qualche distributore lo abbia acquistato per il mercato italiano ma confidiamo in I Wonder, specializzata in biopic. Se così non fosse, per fortuna esistono i festival.



Mostra al Grand Palais di Parigi

Lorenzo Codelli

Un maestro fuori dagli schemi

Irving Penn 100 “La fotografia non è altro che lo stato attuale della storia visiva dell’uomo”, affermava Irving Penn (1917 2009). Questo maestro americano era noto a noi cinefili soprattutto come fratello maggiore del grande regista Arthur Penn (1922 - 2010). In occasione del centenario della nascita, due mega-musei internazionali quali il Metropolitan di New York e il Grand Palais di Parigi si sono associati per produrre una mostra di vaste dimensioni, dotata di un catalogo e di un’applicazione altrettanto spettacolari (http://tinyurl.com/appirvingpenn). Suddiviso in undici saloni, il percorso cronologico si concentra sulle tappe fondamentali di una carriera fuori dagli schemi. Penn si fa le ossa alla fine degli anni 30 lavorando per Harper’s Bazaar con la sua prima Rolleiflex. Foto realistiche di strada testimoniano della grande depressione. Passa a Vogue e viene stimolato a riprendere nature morte, un cerino consunto, un bicchierino macchiato di rossetto. Volontario per l’American Field Service, sbarca a Roma nel 1944; incontra per caso a Piazza di Spagna Giorgio De Chirico diventandone amico. Alexander Lieberman, art director di Vogue, dal 1947 in poi gli commissiona ritratti di personaggi famosi. In varie foto Penn schiaccia letteralmente in un angolo tra due pareti i vip. Spencer Tracy reagisce con la sua spavalda ironia. Truman Capote si finge moribondo. Hitchcock, seduto su uno scomodo supporto, sembra interdetto. Le Corbusier forse pensa “Ma che cavolo mi tocca fare?”. Peter Ustinov, ridotto a una larva, si isola nei suoi sogni. All’austerità formale così palese contribuisce il fondale grigiastro, sempre identico. Infatti Penn, di studio in studio, si porterà con sè per mezzo secolo quel tendone screpolato che gli permetteva di valorizzare i silenzi loquaci delle sue “vittime”. Alle pose spesso interminabili contribuisce il gusto da ballerina di Lisa Fonssagrives che sposerà Penn. La rivista newyorchese nel 1948 spedisce Penn a Cuzco, in Perù, per dei servizi di moda a colori che riempiono diverse pagine fondendo etnografia e haute couture. Penn dedica lo stesso scavo psicanalitico nel fotografare Picasso in un interno ombroso così come gli anonimi operai e artigiani in esterni privi di artifici luminosi. Inventa in seguito il ritratto ad occhi chiusi. Celebri quello di Ingmar Bergman che si trattiene le palpebre, o quello del collega Richard Avedon col dito sull’occhio. Semplicissimi, si fà per dire, il sorrisino birbante di Audrey Hepburn, la smorfia da Cristo in croce di Balthus, lo sguardo inquietante in macchina di Richard Burton. Stupendo e pieno di significati il ritratto del fratello Arthur Penn, semicelato dietro la fumante star Warren Beatty, al momento del loro trionfo grazie a Gangster Story (1967, il primo film proiettato a Cinemazero il 24/3/78). Esibiti anche alcuni degli apparecchi Hasselblad utilizzati da Penn. I nudi 1949-50 di Irving Penn lasciano poche tracce all’epoca e vengono Arthur Penn e Warren Beatty riscoperti solo nel 2002. La guida museale che accomNew York, 1967; foto di Irving Penn pagnava un gruppo di visitatori estatici in giro per la mostra, giunta alla sala 9 non sapeva più come giustificare le gigantografie ivi appese. Si tratta di putridi, schifosissimi mozziconi di sigarette, enormi, agli antipodi beninteso rispetto alle allettanti raffigurazioni pubblicitarie. Nel 1970 Penn aveva prefigurato le future campagne antifumo. Verso il tramonto delle sue fecondissime attività, Penn si ridedica alle nature morte, ora inquadrando in chiave pittorica bottiglie, vasi, fiori e frutta dalle tinte sgargianti. Nella sala conclusiva i curatori Jeff L. Rosenheim, Maria Morris Hambourg e Jérôme Neutres propongono un florilegio di opere anni Sessanta. L’epoca beata in cui la caméra leggiadra di Penn aveva svolto un ruolo chiave nel creare i miti della swinging London, del dandyIrving Penn al lavoro in Nuova Zelanda 1970; foto di Lisa Fonssagrives-Penn smo alla Tom Wolfe. La vita come moda.


La scuola al cinema, i migliori film sotto l’albero!

Manuela Morana

Non solo cinema a scuola. Anche la scuola va al cinema e continua ad affollare le sale di Cinemazero dove la platea di studenti e insegnanti dimostra un'attenzione, una concentrazione e una capacità di valutazione della qualità delle opere cinematografiche di assoluta eccezione. Al ritmo di una matinée a settimana, infatti, durante tutto l'anno scolastico da settembre a giugno, Cinemazero conferma di poter marchiare con un segno positivo la lunga stagione di proiezioni per le scuole di ogni ordine e grado. A riprova, ancora e sempre di più, che il cinema è un alleato formidabile per la didattica curricolare e per tutti i percorsi di educazione e formazione che puntano al benessere e alla crescita della persona. Mese dopo mese appare ricchissima la proposta di proiezioni programmabili, in armonia con le uscite cinematografiche nazionali, con titoli nostrani e internazionali che garantiscono a studenti e insegnanti di poter sviluppare una riflessione su temi che meritano approfondimento e che predispongono il terreno per l'analisi dentro e fuori l'aula scolastica. Come Il toro Ferdinando, la storia animata di un toro mite e pacifista che vuole contravvenire al destino assegnatoli nel mondo delle corride e si dedica alle delizie della natura. Specialmente indicata per il pubblico dei più piccoli, questa opera firmata dall'autore de L'era glaciale e ispirata da La storia del Toro Ferdinando, un classico della letteratura per l’infanzia pubblicato nel 1936, mette in scena il paradosso che vede l'umanità della bestia contrapporsi alla bestialità umana. É in arrivo sul grande schermo anche un titolo ad altissimo tasso natalizio: Dickens - L'uomo che inventò il natale, il film biografico sulla vita e l'opera artistica di Charles Dickens diretto da Bharat Nalluri. Questo biopic rispolvera la figura del maggiore romanziere inglese dell'Ottocento che seppe interpretare il clima e i pensieri della società vittoriana e che non ebbe vita facile. Il suo successo infatti è il risultato di uno sforzo straordinario per uscire da una crisi di fronte alla quale stava soccombendo. La mente creativa e il potere dell'arte sono salvifici, sembra voler suggerire questa squisita opera che si rivolge agli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Di segno disciplinare diverso, perché attinente più alle pagine della storia piuttosto che a quelle della letteratura, è il documentario Cento anni di Davide Ferrario, opera dal cast corale (con Mario Brunello e Marco Paolini a fare da capofila) che percorre 100 anni in 4 episodi per svelare vittorie e disfatte di un popolo. Non è un caso che il film esca nel 2017, anno in cui si celebra il centenario della disfatta di Caporetto. Evento storico ma anche simbolico, sinonimo di sconfitta e insieme prospettiva di riflessione rispetto al cambiamento. Le proposte decembrine di matinée si completano con i film targati Gli occhi dell'Africa, la rassegna che propone di esplorare l'oggi dell'universo africano: Africa Paradis di Sylvestre Amoussou, divertente, ironico ma profondo ritratto paradossale di un'epoca futura, in cui l'Africa è l'eden e il resto del mondo un inferno; Aya, la vita a Yop City di Marguerite Abouet e Clément Oubrerie, un eccezionale film di animazione. Poi, i film di Andrea Segre: A sud di Lampedusa, Come un uomo sulla terra , Mare Chiuso, Il peso dell’acqua, L’ordine delle cose. Il Piccolo Festival dell'Animazione promosso da Viva Comix con la masterclass di Mauro Carraro del 14 dicembre. E ancora, Manifesto di Julian Rosefeldt con Cate Blanchett interprete di 12 personaggi diversi quanti sono i manifesti dell'arte e non solo. Una questione privata di Paolo e Vittorio Taviani, adattamento di uno dei "testi sacri" della letteratura italiana; Bosch - Il giardino dei sogni di José Luis López-Linares, dedicato a uno dei dipinti più iconici al mondo. Si aggiungono Emoji - Accendi le emozioni di Tony Leondis, film di animazione accompagnato dall'intervento degli esperti di Associazione MEC - Media Educazione Comunità MEC e Cinemazero, e Richard missione Africa di Toby Genkel, Reza Memari.

La scuola al cinema

Tanti i titoli per studenti e insegnanti da scoprire in sala


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CORTOMONTAGNA 2017

A Tolmezzo è tempo di Cortomontagna, sezione video del premio letterario Leggimontagna (organizzato dall'ASCA) ideata e coordinata da Adriana Stroili e Dante Spinotti (che ha appena terminato negli Stati Uniti le riprese di Ant-Man and the Wasp della Marvel), realizzata in collaborazione con la Cineteca del Friuli. Rispetto alla due giorni del 2016, l'edizione 2017 raddoppia, da giovedì 14 a domenica 17 dicembre, e si arricchisce di appuntamenti che si snodano fra il Nuovo Cinema David e il Teatro Candoni. Apre il film sul bullismo, da poco presentato alla Festa del Cinema di Roma, Freak Show di Trudie Styler con la fotografia di Dante Spinotti (entrambi presenti alla serata), mentre Mira di Lloyd Belcher, proiettato a Trento la scorsa primavera, è il titolo scelto per suggellare, venerdì, la partnership fra Trento Film Festival, National Geographic e Cortomontagna. Sempre venerdì, la tavola rotonda "Il crimine fra realtà e finzione" coinvolgerà, oltre a Spinotti, il giornalista Alberto Nerazzini, il regista Claudio Cupellini e lo sceneggiatore Marco Pettenello. La presenza di Paolo Cognetti (premio Strega 2017) è l'occasione, sabato, per un dialogo con Spinotti sul tema "Dall'immagine alla scrittura e viceversa". Seguirà la consegna allo scrittore del 1° premio Narrativa 2017 del concorso Leggimontagna con letture dell'attrice Bianca Nappi da Le otto montagne. Gran finale domenica con la proiezione e la premiazione dei video in concorso sul tema "La montagna dal vivo", e la proiezione serale del documentario National Geographic Jane di Brett Morgen, su Jane Goodall e la sua vita con e per gli scimpanzé della Tanzania. Info: www.leggimontagna.it. Info: www.leggimontagna.it

PALINSESTI 26a rassegna d’arte contemporanea San Vito al Tagliamento, fino al 7 gennaio 2018

Prosegue anche per quest’anno l’attività di ricerca portata avanti dalla rassegna d’arte contemporanea Palinsesti che vanta, per questa sua dodicesima edizione, un ricco programma di mostre ed eventi. Al Castello è allestito Mirabilium Archiva: un progetto espositivo collettivo volto ad indagare il rapporto tra le istanze dell’arte contemporanea, la ricerca d’archivio ed il mondo naturale. All’ultimo piano di questa stessa sede avrà poi luogo, in alcune date del nostro calendario espositivo, una performance dell’artista Michele Tajariol: il primo atto di una trilogia dedicata al tema del doppio e del rapporto tra il disegno e il mondo reale. Alle Antiche Carceri si conferma ancora una volta l’appuntamento del Premio In Sesto che giunge così alla sua nona edizione. Anche quest’anno si conferma la rinnovata formula internazionale che coinvolge regioni europee gemellate con la cittadina di San Vito al Tagliamento. In aggiunta, alla Fondazione Furlan di Pordenone, è organizzata una personale di Ida Blažičko, artista vincitrice dell’edizione 2016 dello stesso premio. All’Essiccatoio Bozzoli, infine, la mostra personale di Elio Caredda, artista presente nella collezione Punto Fermo, conferma l’intento di Palinsesti di proseguire il suo annuale lavoro di approfondimento sulle ricerche dell’arte contemporanea in Regione. Info: www.palinsesti.org

MOSAICAMENTE 11: omaggio a Tamara De Lempicka

Pordenone, Palazzo Montereale Mantica - fino al 17 dicembre 2017

Prosegue a Pordenone la nuova mostra-omaggio del ciclo Mosaicamente, dedicata quest’anno a Tamara De Lempicka, con i mosaici realizzati nel Centro lavorativo regionale per persone adulte con autismo "Officina dell'arte" di Pordenone. Raccontare di lei attraverso i mosaici significa anche naturalmente parlare di Art Decò quell’arte che prende nome nel corso dell’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne di Parigi del 1925 dove trionfa la raffinatezza e la decorazione francese applicate a varie categorie di artigianato artistico: dall’ebanisteria, agli accessori di moda, al vetro colorato, alle decorazioni. Di quel modo di esprimersi la De Lempicka fu attrice convinta trasformando in “opera d’arte” la sua stessa vita tumultuosa, vagabonda e fuori dai canoni. Una vita, la sua, lunga e “sotto i riflettori” che la vide emergere soprattutto a Parigi ma che continuò con alterne vicende in molti altri luoghi: New York, Los Angeles, Huston, Londra, Cannes, Milano, Roma,Firenze, ecc. Gli artisti del Centro lavorativo regionale per persone adulte con autismo "Officina dell'arte" hanno reinterpretato con la loro particolare sensibilità ciò che le opere della De Lempicka hanno in loro evocato. Info: www.bambinieautismo.org

Domani accadrà ovvero se non si va non si vede

Tolmezzo (Ud), dal 14 al 17 dicembre 2017


i film del mese

Un film di George Clooney. Con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe. Or.: USA, 2017. Durata: 105 min.

Un film di Blandine Lenoir. Con Agnès Jaoui, Thibault de Montalembert, Pascale Arbillot. Or.: Francia, 2017. Durata: 89 min.

SUBURBICON

DIETRO UNA DARK COMEDY IN STILE COEN, CLOONEY RIFLETTE SULL’AMERICA DI OGGI DI GEORGE CLOONEY Gardner Lodge vive nella ridente Suburbicon con la moglie Rose, rimasta paralizzata in seguito ad un incidente, e il figlio Nicky. La sorella gemella di Rose, Margaret, è sempre con loro, per aiutare in casa. L'apparente tranquillità della cittadina entra in crisi quando una coppia di colore, i Meyers, con un bambino dell'età di Nicky, si trasferisce nella villetta accanto ai Gardner. L'intera comunità di Suburbicon s'infiamma e si adopra per ricacciare indietro "i negri" con ogni mezzo. Intanto, due delinquenti, irrompono nottetempo nell'abitazione dei Lodge e li stordiscono con il cloroformio, uccidendo Rose. Comincia con una scena madre, dunque, il film di Clooney che innesta uno script di parecchi anni fa dei fratelli Coen con la storia vera dell'ondata di violenza che scatenarono, in quegli anni, le prime installazioni di famiglie di colore nei centri residenziali della middle class bianca e xenofoba. Una scena che parrebbe uscire da "A sangue freddo", il romanzo-reportage di Capote sul quadruplice omicidio della famiglia Clutter nella provincia del Kansas, ma che diventa immediatamente altro quando l'obiettivo si ferma sullo sguardo terrorizzato di Nicky, mentre assiste impotente all'omicidio della madre. Quello sguardo di bambino, e tutti gli altri momenti di questo tipo che punteggiano il film da lì in poi (sguardi di Nicky dal ballatoio, da sotto il letto, da dentro l'armadio), ci dicono subito che anche, sotto la patina di una dark comedy in cui il primo termine pesa più del secondo, l'ultimo lavoro di Clooney è ancora una volta un moral play. Istericamente ossessionata dalla paura di un nemico esterno (possibilmente con la pelle di un altro colore) l'America non si avvede che la violenza più bieca, la minaccia più agghiacciante, è dentro le proprie case, nutrita dall'avidità e dall'invidia. Ma è una cecità tutt'altro che involontaria (vengono eretti dei pali per negare la visione dei Meyers che celano opportunamente anche la vista sull'altro lato del muro di legno), mentre coraggiosamente volontaria dev'essere invece quella dei due ragazzini ("Fai finta che non esistano"), per salvarsi la vita. Clooney impasta tutto questo con un umorismo e una sfrenatezza che sono quelli ormai classici del "made in Coen": ma il classico non stanca, è tale perché regge. L'everyman di Matt Damon, la gemella che visse due volte di Julianne Moore, la coppia grottescamente inetta di criminali, il casco della parrucchiera, il lavandino con la soda caustica, il piccolo guantone da baseball sono figure e oggetti di un mondo ben congegnato allo scopo: quello dell'intrattenimento inteso come veicolo di un affondo politico, la cui esposizione potrà apparire facile ma il cui tempismo è drammaticamente innegabile. [www.mymovies.it]

50 PRImAVERE

UNA DELICATA COMMEDIA AL FEMMINILE SULLO SCORRERE DEL TEMPO DI BLANDINE LENOIR Aurore è una donna sulla cinquantina che fa la cameriera ed è separata dal marito da cui ha avuto due figlie di cui una è incinta. Nel momento in cui perde il lavoro apprende anche di stare per diventare nonna. Questi due eventi la mandano in crisi: vede troppi anni dietro di sé. Casualmente però incontra un amore di gioventù e pensa di poter ricominciare. Non è però così semplice. La società la sta infatti, gentilmente, mettendo ai margini. ma Aurora decide di resistere, rifiutare ciò che il destino le sta offrendo e provare a iniziare una nuova vita. Si possono scrivere (e di fatto si sono scritti) dei saggi su quel delicato momento in cui una donna avverte il senso dello scorrere del tempo e teme di stare diventando 'vecchia'. Si può però anche fare un film e riuscire a dire, anche divertendo, molte cose in materia trasmettendo sensazioni che la parola scritta forse non riuscirebbe a rendere appieno. La commedia francese come genere rappresenta il terreno ideale su cui compiere un simile esercizio. Ci vuole però una regista (non 'un' regista) che non è ancora arrivata alle cinque decadi di vita ma che conosce bene le donne e un'attrice che dia corpo a tutti quei rivolgimenti che la medicina riassume nel periodo della menopausa (con le sue vampate di calore). Blandine Lenoir l'ha trovata in Agnès Jaoui che sa leggere nei più piccoli dettagli le sfumature di un personaggio che passa dalla accensione vitale al pianto e che si ritrova a confrontarsi con quello che avrebbe potuto essere e non è stato. A partire da Café Society e passando per La La Land il tema sembra essere diventato uno dei favoriti dal cinema. Il riascoltare una canzone di "Hair" pensando a quando le proprie figlie erano piccole e spensierate mentre ora sono giovani donne con problemi più o meno grandi può provocare nostalgia. Ma Jaoui non è attrice che accetti personaggi rassegnati a qualcosa (nello specifico allo scorrere del tempo). Lo spettatore ne segue le incertezze, i mutamenti d'umore ma in cuor suo sa che Aurore cercherà una via d'uscita. Una soluzione però che non si limiti alla sottile rappresaglia che la sua amica del cuore compie nei confronti di uomini che stanno con donne molto più giovani di loro in una delle scene più esilaranti del film. [www.movieplayer.it]


WONDER

UNA COMMOVENTE STORIA SULL’ACCETTAZIONE DELLA PROPRIA DIVERSITÀ DI STEPHEN CHBOSKY L'omonimo libro di R.J. Palacio in poco tempo è diventato un caso letterario in tutto il mondo, un esempio concreto e cartaceo dell'assunto "mai giudicare un libro dalla copertina", né un bambino dal suo aspetto. L'adattamento cinematografico di Wonder vede il giovane Jacob Trembley (Room) nel ruolo del protagonista August "Auggie" Pullman, bambino affetto dalla Sindrome di Treacher Collins in procinto di frequentare la quinta elementare in una scuola pubblica locale. Costretto precedentemente a studiare a casa a causa dei numerosi interventi chirurgici al viso, è la prima volta che August si unisce a una classe di coetanei, mangia alla mensa della scuola o parte in campeggio coi compagni. Nonostante le preoccupazioni di mamma Isabel (Julia Roberts) e papà Nate (Owen Wilson) sostiene gli sguardi curiosi e diffidenti degli studenti con fierezza e dignità, facendo il suo ingresso nella scuola pubblica come un supereroe, o piuttosto come un astronauta deciso a piantare la sua bandiera in un mondo distante e inesplorato. Mentre la famiglia, i nuovi compagni di classe e tutti quelli intorno a lui si sforzano per accettarlo, lo straordinario viaggio di Auggie li unirà tutti dimostrando che non puoi omologarti quando sei nato per distinguerti. Wonder, che in italiano significa "meraviglia", è l'adattamento dell'omonimo romanzo per ragazzi pubblicato nel 2012 e scritto da Raquel Jaramillo con lo pseudonimo di R.J. Palacio. Vincitore di diversi premi, ha venduto finora oltre due milioni di copie, è stato inserito nella lista dei best-seller del New York Times e ha dato luogo a uno spin-off e a una sorta di "libro compagno" contenente tre storie che raccontano "Auggie" e la sua famiglia da tre diversi punti di vista. A ispirare all'autrice la vicenda di un ragazzino con la sindrome di Treacher Collins che comincia a frequentare la scuola dopo quattro anni di istruzione a casa è stato un fatto realmente accaduto. Un giorno, mentre era in una gelateria, la Jaramillo ha notato una bambina con una deformità facciale, che ha spaventato senza volerlo suo figlio di tre anni costringendola a fuggire a gambe levate per la vergogna. Quella stessa sera, pentendosi di non aver conversato con la bimba, la scrittrice si è messa all'opera, inventando in quattro e quattr’otto il personaggio di August Pullman, che ha conquistato a tal punto lettori di ogni età da spingerli a scrivere canzoni e poesie per lui e perfino a celebrare il suo compleanno. Di lì a poco la Lionsgate ha deciso di portare il romanzo al cinema, affidando la regia prima a John Krokidas e poi a Stephen Chbosky, autore di quel “Noi siamo infinito” che nel 2012 è diventato l'omonimo film da lui stesso sceneggiato e diretto. Il primo interprete scelto per Wonder è stato Jacob Tremblay, che qualcuno ricorderà come il figlio di Brie Larson in Room. Anche se giovanissimo, l'attore ha fatto la sua buona "ricerca sul campo", andando a trovare e stringendo amicizia con alcuni bambini con la Sindrome di Treacher Collins. Per lui la sfida più difficile è stata però sottoporsi a interminabili sedute di trucco, mentre sembra che non abbia avuto la minima difficoltà a rendere credibile la passione di "Auggie" per Star Wars, saga che lui stesso venera da tempo. Dopo Tremblay sono arrivati Julia Roberts e Owen Wilson, che non avevano mai recitato insieme. Profondamente toccata dal film, la prima è scoppiata in lacrime durante una scena ad alto tasso emotivo e, puntualmente, è stata immortalata dai fotografi. Gli scatti che hanno fatto il giro del mondo. Della Roberts e di Tremblay, Chbosky ha detto: "Julia e Jacob non sono solamente attori fantastici, sono persone fantastiche, normalissime eppure davvero speciali. Una delle cose più belle di Wonder è che abbiamo scelto gli attori sia in base al loro talento che per la loro umanità". [www.comingsoon.it]

i film del mese

Un film di Stephen Chbosky. Con Julia Roberts, Jacob Tremblay, Owen Wilson. Or.: USA, 2017. Durata: 113 min.

Un film di Woody Allen. Un Con Kate Winslet, Juno Temple, Justin Timberlake. Or.: USA, 2017. Durata: 101 min.

LA RUOTA DELLE mERAVIGLIE

ALLEN E L’AMORE AI TEMPI DEGLI ANNI CINQUANTA

DI WOODY ALLEN Tra fragili speranze e nuovi sogni, le vite di quattro personaggi si intrecciano nel frenetico mondo del parco divertimenti: Ginny (Kate Winslet), ex attrice malinconica ed emotivamente instabile che lavora come cameriera; Humpty (Jim Belushi), il rozzo marito di Ginny, manovratore di giostre; Mickey (Justin Timberlake), un bagnino di bell’aspetto che sogna di diventare scrittore; Carolina (Juno Temple), la figlia che Humpty non ha visto per molto tempo e che ora è costretta a nascondersi nell’appartamento del padre per sfuggire ad alcuni gangster. Mentre nelle librerie esce "Woody Allen dall'inizio alla fine", un lungo reportage in cui il fedele Eric Lax descrive la genesi e la realizzazione di Irrational Man seguendolo giorno dopo giorno, Allan Stewart Königsberg ha già sfornato il suo film annuale. La terapia che si è autoimposta comporta l'uscita ogni 365 giorni di un film per evitare così di pensare ai problemi della vita e, in particolare, alla morte nei confronti della quale continua a dichiararsi fortemente contrario. Ecco allora un nuovo tuffo nel passato grazie alla inarrestabile macchina del tempo della sua scrittura.


i film del mese Un film di Ziad Doueiri. Con Adel Karam, Kamel El Basha, Camille Salameh. Or.: Libano, 2017. Durata: 110 min.

Questa volta si tratta del 1950 anche se la ruota panoramica a cui il titolo fa riferimento è una 'meraviglia' costruita negli Anni Venti a Coney Island. Come spesso accade di recente nei suoi casting (finita l'epoca delle Keaton, Farrow, Johansson che restavano a lungo) Woody si è andato a cercare qualcuno che non abbia ancora lavorato con lui. Lo ha trovato in Kate Winslet la quale era già entrata nel suo radar ai tempi di Match Point ma aveva declinato l'invito per restare con la sua famiglia. Ora invece si è messa a disposizione dichiarando che "è stata probabilmente il secondo ruolo più stressante che abbia mai recitato ma l'esperienza in se stessa è stata del tutto incredibile". La Winslet indossa i panni di Ginny, la moglie dell'addetto alla ruota panoramica, che si innamora di un lifeguard (traduzione: bagnino) e si ritrova con ulteriori problemi quando la figlia di primo letto del consorte finisce con il puntare lo stesso uomo. Ma la Winslet non è la sola novità perché a lei si affiancano Justin Timberlake nel ruolo del lifeguard, Juno Temple in quello della figlia e Jim Belushi in quello del marito. Chi ritorna è invece Vittorio Storaro che, dopo aver affiancato Allen in Café Society ora offre la sua esperienza di autore della fotografia agli spazi di Coney Island, Vinegar Hill, Brooklyn e Brighton Beach. Woody ha da tempo definito l'avvicendarsi dei direttori della fotografia come l'arrivo di una nuova amante che comprende l'eccitazione della reciproca scoperta. Evidentemente i due si devono essere piaciuti se il sodalizio continua. La presenza di un'attrice importante come la Winslet attorno a cui gira la storia fa pensare a un ritorno allo stile di Blue Jasmine che aveva al centro il personaggio interpretato da una straordinaria Cate Blanchett. Il film ha poi un'altra particolarità e rappresenta una decisiva svolta per Amazon Studios con cui il regista ha già realizzato Café Society e la miniserie Crisis in Six Scenes.Da questo momento infatti Amazon non si limiterà a produrre film ma si occuperà anche della distribuzione. Se finora erano Lionsgate ad occuparsene adesso è stata costituita una squadra che, a partire dagli Stati Uniti, ha il compito di entrare nel grande circuito della distribuzione confrontandosi con le grandi major hollywoodiane.

L’INSULTO

PREMIO VOLPI A VENEZIA PER IL MIGLIOR ATTORE A UN GRANDE FILM DI zIAD DOUEIRI Yasser è un profugo palestinese di mezza età: un uomo apparentemente tranquillo che si guadagna da vivere a Beirut lavorando come operaio. Toni, libanese d'origine e con una giovane moglie incinta, è strenuamente xenofobo, ha un'indole a dir poco irruenta e non perde occasione per ostentare il proprio disprezzo verso i palestinesi. Quando Yasser si ritrova a dover aggiustare dei tubi sul balcone dell'appartamento di Toni, l'ostilità di quest'ultimo non tarda a scatenare un reciproco scambio di insulti. Solo che l'insulto scagliato da Toni, "Sharon avrebbe dovuto sterminarvi tutti", annebbia per un attimo la lucidità di Yasser, provocano la reazione rabbiosa dell'uomo: un pugno che frattura due costole a Toni. Un gesto di violenza che porterà i due uomini a fronteggiarsi in tribunale, nel corso di un processo che, giorno dopo giorno, susciterà reazioni sempre più infuocate e sempre meno controllabili. In West Beirut, il film che ci ha fatto conoscere Ziad Doueiri, la guerra passava dall'apparire un'avventura personale al divenire una tragedia nazionale. Nella contemporaneità de L'Insulto la guerra civile libanese appartiene al passato, militarmente è finita nel 1990, ma basta una miccia piccola come una mezza grondaia che sgocciola per dare nuovamente fuoco alle polveri e trasformare un banale incidente in un processo mediaticamente incandescente, che spacca subito la nazione in due. Douieri e Joelle Touma, sua compagna e cosceneggiatrice, sono partiti da un'occasione reale, un'uscita verbale infelice del regista in un momento di nervosismo, per andare all'origine del sentimento che sta sotto certe frasi, che non vengono mai pronunciate per caso. Un'opera di immersione in profondità, dunque, tra lapsus e impulso, raccontata però in verticale, perché il conflitto, come la rabbia, come l'umiliazione, è qualcosa che monta. Raccontata in maniera diritta, appunto, attraverso tappe che si potrebbero dire prevedibili, eppure, non solo l'avverarsi del prevedibile è parte integrante del discorso, ma soprattutto è sfumato, colorato, drammatizzato da un ottimo copione, che si muove abilmente tra la sfera pubblica (e il film processuale) e il momento privato (dunque il dramma psicologico). Con il colpo di genio di fare dei due avvocati rivali un padre e una figlia, che non possono non portarsi in aula dell'altro: qualcosa che va al di là degli "atti", esattamente come il confronto tra Toni e Yasser va al di là dell'insulto pronunciato sul momento e affonda in una sofferenza, privata e collettiva, che ancora tormenta e fomenta. Se il film ha un limite, nel suo essere quasi didattico sull'argomento, in quel limite c'è anche la sua forza comunicativa e la sua principale ragione d'interesse, al di là della bella scrittura e delle prove attoriali di Adel Karam e Kamel El Basha. Perché parlare del peso simbolico delle parole e delle sue conseguenze reali, vuole anche dire parlare della responsabilità di chi si esprime attraverso un mezzo che è megafono e dunque del ruolo del regista. Doueiri porta davanti ad una corte di giustizia le due parti, perché giustizia dev'essere e non rimozione, ma non auspica né vittime né colpevoli, solo di affrontare fino in fondo le cose, per poter finalmente voltare pagina. [www.mymovies.it]


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