€ 1,00 mensile di cultura cinematografica
Anche il cinema in offerta speciale sottocosto?
Dall’11 al 15 aprile l’XI edizione del festival di cinema del reale
Addio Folco Quilici, sguardi sul mondo
Omaggio al grande documentarista all’interno de Le Voci dell’Inchiesta
20 anni di FEFF, 20 anni di Asia in Europa
Dal 20 al 28 aprile, a Udine, il ventesimo Far East Film Festival
Conoscere l’autismo con gli occhi del cinema I migliori film presentati con la Fondazione Bambini Autismo
Bertolucci e l’invisibile rivoluzionario
Ad aprile in sala la versione restaurata dalla Cineteca di Bologna
2018 numero 4 anno XXXVIII
Realtà mai viste - This is real
18
Aprile
Vivace dibattito tra le associazioni di categoria sulle strategie di rilancio
Tonino Delli Colli, grande autore della fotografia La carriera del maestro ricordata al Centro Studi Pasolini
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Anche il cinema in offerta speciale sottocosto?
Andrea Crozzoli
Editoriale
Vivace dibattito all’interno delle associazioni cinematografiche di categoria
Anec, ovvero l’Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici, ossia i piccoli cinema cittadini, non aderisce al piano di iniziative promozionali per il cinema annunciato a marzo e promosso dal Mibact (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), in collaborazione con Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche e Affini). Cosa significa questo? Che gli esercenti cinematografici delle piccole sale cittadine (da uno a quattro schermi, come Cinemazero) all’unanimità si schierano contro l’impostazione dei CinemaDays, ovvero del cinema a due euro. Il Congresso nazionale Anec del 13 marzo ha deliberato che, «a sole tre settimane dal primo periodo utile identificato (9-12 aprile), le modalità e il dettaglio promozionale dell’iniziativa (messaggio, contenuto dello spot e pianificazione) non erano ancora stati resi noti, nonostante i ripetuti solleciti dell’Anec». Se pensiamo che tra i beni culturali, uno di quelli che ha avuto l’incremento di prezzo minore, è proprio il biglietto del cinema, portare la gente in sala a due euro è svendere sottocosto i film. Nel lontano 1989 l’ingresso al cinema aveva una media di soli Euro 4,08 ed ora ha una media di Euro 6,03 molto lontana dalla media europea che è di Euro 8,30. Si chiedono allora nell’Anec: «Perché il cinema sta diventando un bene svenduto?» - e continuano - «Quanto è avvenuto nelle ultime settimane non va nella direzione giusta, in assenza di significativi passi avanti nel rilancio di cinema competitivo e di qualità da giugno a metà agosto. In più, l’Anica si è assunta il ruolo, non necessario, di referente unico nei confronti del Mibact, dando per scontata un’adesione acritica a ogni proposta, senza garantire un dialogo proficuo e la condivisione di obiettivi e strumenti». Quali le proposte concrete, quindi, dell’Anec?: «Innanzitutto di realizzare una campagna promozionale incentrata sul valore dell’andare al cinema, più che sul prezzo scontato: una sorta di “filo conduttore” da realizzare nel lungo periodo, con alcune declinazioni incentrate “anche” sull’elemento del prezzo. Soltanto in presenza di un’offerta valida si sarebbe accettata di buon grado una promozione estiva, in un periodo che vede moltissimi cinema costretti a chiudere per mancanza di offerta e una quota di mercato di cinema nazionale in caduta libera, senza eguali in altri mercati europei». Bisogna anche ricordare che l’Anec, attraverso l’Agis, è socio fondatore dei Premi David di Donatello, che nella serata di premiazione di mercoledì 21 marzo avrebbero dovuto lanciare ufficialmente la promozione di metà aprile. L’Anec continua affermando che «non può che rammaricarsi delle modalità ad excludendum portate avanti dalle presidenze dei produttori e dei distributori Anica, come della tendenza a perorare atteggiamenti da captatio benevolentiae nei confronti di misure incentivanti ad esclusivo vantaggio dei propri associati e non dell’intero mercato, ivi incluso il miraggio di risolvere la stagionalità del cinema italiano senza alcun passo avanti concreto». Con tono pacato ha risposto Andrea Occhipinti, presidente dei distributori Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive), con una conciliante lettera: «... credo che, vista l’incertezza politica del periodo, aver assicurato questo pacchetto per la promozione cinematografica dell’intero 2018 sia stato un importante e non scontato successo, questo sì, noi l’avevamo ben chiaro. Certo non farlo sarebbe stato più semplice e meno rischioso. Mi auguro in ogni caso che gli esercenti tutti, continuino a lavorare con noi su tutti i temi che ci riguardano, soprattutto in un momento complicato come questo». Su quanto sia complicato il momento nessuno ha dubbi!
In copertina un’ immagine tratta da Another new story film d’apertura dell’XI edizione del Festival Le Voci dell’Inchiesta che si terrà a Cinemazero dall’11 al 15 aprile.
cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Aprile 2018, n. 4 anno XXXVII ISSN 2533-1655
Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Manuela Morana Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Elena d’Inca Direzione, redazione, amministrazione Via Mazzini, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 Cassa: 0434-520527 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Sincromia - Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica
Dall’11 al 15 aprile a Cinemazero l’XI edizione del festival del cinema del reale
Riccardo Costantini
Le Voci dell’Inchiesta anche quest'anno porta a Pordenone, dall'11 al 15 aprile, in anteprima assoluta il meglio del “Cinema del reale” da tutto il mondo. Una serie di titoli che Cinemazero ha selezionato partendo dai principali festival internazionali, per raccontare il mondo di oggi. “This is real” è il claim di questa edizione: in un'epoca di sovrabbondanza di contenuti audiovisivi, in cui spesso è difficile districarsi tra prodotti di scarso contenuto o qualità e opere di livello, il festival pordenonese propone documentari internazionali di eccezionale valore, per offrire al pubblico l'occasione di approfondire l'attualità col meglio della produzione documentaristica mondiale. Troveranno spazio riflessioni sulle “nuove destre” e sui problemi delle “vecchie sinistre” (focus sulla memoria del '68); sulla persistente minaccia atomica; ampia attenzione – nell’anno del #metoo e dello scandalo Weinstein – è riservata alle donne, con indimenticabili opere-ritratto come Naila and the Uprising di Julia Bacha, su una tenace attivista pacifista, o A woman captured (nella prima foto dall’alto) di Bernadett Tuza-Ritter, sulla schiavitù – oggi! - di una donna ungherese. Altre anteprime italiane confermate sono gli attesissimi premio della giuria dell'ultimo Sundance Film Festival (USA) Dina ( nella foto più in basso) di Antonio Santini, Dan Sickles; il pluripremiato The work di Jairus McLeary, Gethin Aldous, vincitore – fra gli altri – del premio del pubblico al Sheffield Doc Fest (UK); e Aleppo's Fall di Nizam Najar sulla devastante guerra siriana. Peculiarità di questa edizione è la ricerca dei Best Lost, dedicata ai film che dopo aver conquistato pubblico in tutto il mondo e giurie internazionali non sono riusciti a superare i confini nazionali o lo hanno fatto per singole proiezioni: un modo per testimoniare e supplire alle lacune distributive del nostro Paese, come nel caso di Command and Control, l'incredibile film di Robert Kenner del 2016 che ricostruisce magnificamente lo sventato e sconosciuto incidente atomico (nella seconda foto dall’alto l’immagine di un missile Titan - Photo Courtesy of American Experience Films_PBS) che nel 1980 minacciò di cancellare l'Arkansas dalla cartine geografiche del mondo. Ma il festival ha sempre avuto anche una vocazione retrospettiva, che quest’anno metterà al centro di preziosi omaggi maestri come Luigi Nono, di cui è poco noto l'impegno come autore di colonne sonore per documentari (Unitelefilm) dimenticati dal pubblico, che Roberto Calabretto ha selezionato e commenterà. L’importante donazione di pellicole che il Premio dei Colli (Este) ha fatto al festival (ora conservate alla Cineteca del Friuli), permetterà invece di vedere un perduto mediometraggio di Enzo Biagi (a cui Le Voci dell’Inchiesta dedicò un’edizione che vide il coinvolgimento delle figlie e di Loris Mazzetti); mentre la collaborazione con Reading Bloom porta in città l'opera di Bruce Conner, che col suo cinema sperimentale è recentemente stato al centro di un omaggio al MoMA di New York.
Le Voci dell’Inchiesta
Realtà, mai viste
Addio Folco Quilici sguardi sul mondo
Fabio Francione
In memoria di Folco Quilici
Omggio al grande documentarista all’interno del festival Le Voci dell’Inchiesta
È morto a 88 anni in una clinica di Orvieto, Folco Quilici. Nonostante acciacchi e problemi di salute, per anni continuò̀ a far la spola tra la sua factory romana e la casa che aveva in Umbria. Iconico quanto mai altri, negli anni sessanta Folco Quilici era entrato in punta di piedi, attraverso la tv, nelle case degli italiani e ci restò̀ a più riprese per quarant’anni con i suoi programmi, spesso realizzati in anticipo sui tempi in coproduzione con la Rai e la complicità di aziende e industrie. In tal senso e tra i lampi della sua sterminata produzione, spiccano i 14 episodi de L’Italia vista dal Cielo, realizzati nell’arco di poco più di un decennio, tra la metà degli anni sessanta e la seconda parte del decennio successivo. Sembrano leggere a tappe e con i commenti dei migliori scrittori dell’epoca (Silone, Piovene, Dessì, Calvino), la celebre fisionomia dello Stivale come una serie di stratificazioni storiche e urbane di rara bellezza. Una condizione che se da un lato poteva attirare frotte di turisti dall’altro ha consentito, quasi controcorrente, di correggere proprio molti luoghi comuni che, ancor oggi sono duri a morire e stringono a tenaglia il Belpaese. Inopinatamente dell’Italia vista dal cielo non esiste nessuna edizione in dvd, ma con pazienza, e ne vale la pena, la ricerca su YouTube dà̀ disponibile l’intera trasmissione. Dunque: Quilici fu riconosciuto immediatamente dal pubblico televisivo come l’uomo delle imprese impossibili. Nessun continente sembrava avere più segreti, i mari e i deserti di mezzo mondo in un’epoca non ancora globalizzata come la nostra con le sue parole sembravano dietro l’angolo e non lontani ed irraggiungibili come in realtà erano. Ragazzi e adulti impazzivano per le sue avventure; ma a dispetto delle imprese sottomarine o le lunghe attraversate nei quattro angoli del pianeta, per portamento e tono della voce, con la sua pronuncia chiara e arrotata, la sua era una televisione confidenziale, divulgativa, né urlata né scandalistica ed esempi di tal genere arrivavano dal cinema e dai successi di Jacopetti; e come ricorda Franco Prosperi, Quilici, tra i primi e con pochi altri alla fine degli anni 50 a girare documentari naturalistici, fu sferzante non tanto sui Mondo Movie, ma forse sul solo Jacopetti: «Certamente offrivano degli spunti. Peroò noi volevamo fare qualche cosa che fosse contrario ai clicheè con i quali venivano mostrati i diversi paesi. Lo sguardo cadeva sempre sul loro lato migliore, mentre la parte nascosta non si vedeva mai». Insomma con il trascorrere degli anni tali giudizi si mitigarono; d’altronde Quilici negli anni ’60 subì brevemente la fascinazione «mondo» con il rifiutato Le schiave esistono ancora, e ancora all’inizio degli anni ’70 con Il dio sotto la pelle, uno dei rari film di finzione con il dea-
IN MEMORIA DI FOLCO QUILICI
micisiano Dagli Appennini alle Ande, girato però nel FRATELLO MARE di Folco Quilici (Italia, 1975, 85’) 1959. Ma per il regista– Un classico del cinema documentario italiano, forse il più bel esploratore ferrarese il sorfilm di Folco Quilici. Una storia eterna e poetica, la lotta fra prendente e meraviglioso natura e uomo, la sfida fra conoscenza e realtà fenomenica, non andranno mai a braccetto con i protagonismi narrate con classe e garbo senza tempo. Mentre imperversa lo scempio che il turismo consumistico fa suscitati dal successo e popolarità. della Polinesia, ex "ultimo paradiso", il vecchio Atai esprime la dalla Possedeva un’innata sua indignata protesta alimentata dalla nostalgia per quello coscienza ecologica e nel che è ormai solo un ricordo. E rievoca la propria nascita e suo sguardo convivevano infanzia ("succhiavo latte e spruzzi di mare: fu così che il mare lumi leopardiani e francedivenne mio fratello"), e l'adolescenza fino al giorno in cui il scani che ne lenivano disapadre perse la vita nella pesca delle madreperle. Sfilano così gi: rispetto e timore per sullo schermo, visti e narrati da Atai, l'ambiente, i costumi, le Madre Natura e amore per leggende, la mitologia, il quotidiano consorzio col mare tutte le creature viventi. Il amico-nemico. Il vecchio pescatore e lo zio lo iniziano all'arte suo modo di filmare sia del navigare e del pescare, alla prudenza e al coraggio di fron- negli abissi marini sia negli te allo squalo e alle murene. Sottratto bruscamente ai giuochi spazi vuoti e infiniti degli della fanciullezza, Atai esce in mare accompagnando il padre, altipiani africani era conlo osserva e lo aiuta nel suo durissimo lavoro. E intanto arri- dotto sempre alla ricerca vano i bianchi a vendere cose inutili per comprare coralli e del vivente, della presenza madreperle, e a trasformare l'isola in un perpetuo luna park dell’organico. Gli oggetti rudimentali, primitivi o ultra-tecnologici erano ——— solo mezzi quotidiani d’uso Intervengono sui quali costruire le sue Fabio Francione (scrittore, critico, curatore, Direttore Lodi narrazioni. Ciò apriva Città Film Festival) squarci inediti non solo nei Daniela Della Toffola (ARPA FVG – LaREA) racconti autobiografici, ma Francesco Cumani (ARPA FVG) anche nei romanzi, molti autentici best-sellers, contati nei generi avventurosi, storici e per ragazzi (da verificare è questa produzione ancora presente negli ultimi anni (dalla letture per le scuole medie Africa Nera ai racconti di Amico Oceano, Nonno Leone). C’è un lato oscuro nella biografia di Quilici e riguardava la famiglia e la tragedia che giovinetto l’aveva colpito e segnato. Nato a Ferrara il 9 aprile del 1930, sin dalla giovinezza in casa respira aria di cultura, la madre Emma Buzzacchi è̀ pittrice d’ispirazione novecentista, mentre il padre Nello è scrittore e giornalista, già combattente sul Carso, aderisce in prima ora al fascismo: è amico e ghost-writer di Italo Balbo. E del gerarca fascista condividerà il tragico destino; infatti era a bordo dell’aereo abbattuto da fuoco amico al largo di Tobruk. Folco tornerà in più occasioni sulla vicenda del padre, tentando di dare una spiegazione all’accaduto, uno dei tanti misteri d’Italia, scrivendo in tarda età un libro e realizzando un documentario segnati dal luogo e dalla data della tragedia: Tobruk 1940. I conti con il fascismo Quilici li aprì nel 2000 dirigendo per la serie Storia d’Italia un film di montaggio sul periodo della Repubblica Sociale Italiana ed usando per prima volta il termine coniato da Claudio Pavone di «guerra civile» per gli scontri tra i repubblichini e i partigiani. Per chiudere e dare l’esatta misura dei riconoscimenti ricevuti dai film di Quilici, ecco uno spiccio elenco: Sesto Continente (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954), Ultimo Paradiso (Orso d’Argento alla Berlinale del 1956), Tikoyo e il suo pescecane (Premio Unesco per la Cultura del 1961), Oceano (Premio Speciale Festival di Taormina del 1971 e Premio David di Donatello 1972), Fratello Mare (Primo Premio al Festival Internazionale del Cinema Marino, Cartagena, 1974) e Cacciatori di Navi, 1991 (Premio Umbria Fiction, 1992).
Giovedì 12 | Ore 10.30
Folco Quilici, nel 1994, fu anche Presidente di giuria del Festival Ambiente-Incontri organizzato da Cinemazero e Pro Sacile. In quell’occasione gli fu dedicata un’ampia retrospettiva.
20 anni di FEFF, 20 anni di Asia in Europa
Gianmatteo Pellizzari
Far East Film Festival
Dal 20 al 28 aprile, a Udine, il ventesimo Far East Film Festival
Dieci più dieci. Una somma. Una somma di capitoli, di esperienze, di viaggi, ma anche una somma di lontananze, geografiche e culturali, che la matematica si è divertita a fondere assieme. Oriente e Occidente. Europa e Asia. Udine e il mondo. Asimmetrie più armoniche di quanto sembri. Gemelli non certo identici ma gemelli. Ed eccoli, dunque, i gemelli, i due simboli di somiglianza/differenza che il grafico Roberto Rosolin ha tradotto nell’immagine ufficiale del Far East Film Festival 20. Due corpi quasi nudi che si stagliano contro uno sfondo bianco, per raccontare senza orpelli una lunga storia di persone e di passione. Uno spazio d’incontro. Una somma, appunto. Toccherà alla super diva Brigitte Lin Ching Hsia il compito di tagliare il nastro dell’attesissima ventesima edizione, venerdì 20 aprile al Teatro Nuovo (sabato 21 riceverà anche il Gelso d’Oro alla Carriera), e la nostra piccola Udine, per 9 giorni, si trasformerà ancora una volta nell’epicentro europeo del cinema asiatico. 9 giorni di proiezioni e di eventi, fino a sabato 28 aprile, per continuare a scoprire le somiglianze nelle differenze e le differenze nelle somiglianze. Per continuare a sommare persone e passione. Grande. Grandissima. Inafferrabile e indimenticabile come tutte le vere icone, capaci di cristallizzare il tempo e l’arte con un solo gesto o un solo sguardo. C’è forse bisogno di aggiungere altro per parlare di lei, l’attrice che trafisse un’intera generazione di cinefili occidentali interpretando Hong Kong Express di Wong Kar-wai? Considerata la dea del cinema di Taiwan – sua casa madre – e di Hong Kong, dai primi anni Settanta fino a metà degli anni Novanta (Wong Kar-wai ne fece il cuore pulsante di Hong Kong Express e Ashes of Time), Brigitte Lin Ching Hsia può vantare una filmografia davvero imponente: oltre 100 titoli, tra melodrammi sentimentali e wuxia (impossibile non citare Swordman II di Tsui Hark), passando per thriller e sperimentazioni anticonformiste, che il Far East Film Festival “distillerà” in una piccola e preziosa retrospettiva. Omaggio nell’omaggio, la prima europea di Cloud of Romance (1977), appena restaurato dal Taiwan Film Institute. Sua Altezza Brigitte Lin Ching Hsia, ricordiamo, sarà accompagnata a Udine dalla leggendaria produttrice hongkonghese Nansun Shi, nuovamente sul palco del FEFF dopo aver ricevuto il Gelso d’Oro alla Carriera durante la diciassettesima edizione (venne a presentare il film-bomba di chiusura, The Taking of Tiger Mountain di Tsui Hark). Ma facciamo, brevemente, un passo indietro. Primavera 1998. Quando il CEC – Centro Espressioni Cinematografiche abbandonò le monografie italiane per scommettere su una monografia orientale, Hong Kong Film, nessuno capì tutta l’impavida lungimiranza di quel salto. L’amore, a volte, rende spericolati, e il poderoso colpo di fulmine per Hong Kong Express di Wong Kar-wai rese il CEC molto spericolato. Così spericolato che Hong Kong Film, nell’arco di soli dodici mesi, moltiplicò le proprie coordinate geografiche e saltò ancora più in alto, diventando il Far East Film Festival. Primavera 2018. Non solo il Far East Film Festival, anno dopo anno, ha trasformato Udine – aliena dai grandi circuiti – nel maggior avamposto del cinema asiatico in Europa, ma è stato pure inserito da Variety tra i «50 appuntamenti imperdibili nel mondo». Una straordinaria festa del cinema che non ha mai smesso di traghettare in terra friulana autentiche leggende (come Jackie Chan e Joe Hisaishi), registi cult (come Takashi Miike), dive e divi, professionisti dell’industria cinematografica, senza ovviamente dimenticare la devotissima “FEFF tribe”: l’incredibile comunità di spettatori che ha progressivamente diffuso il nome del Far East Film Festival nel mondo. Ben prima che il mondo si trovasse a portata di social network..
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Conoscere l’autismo con gli occhi del cinema
Davide Del Duca
Autismo, cinema e molto altro
In occasione del ventennale dalla Fondazione a Cinemazero una rassegna di film sull’autismo
Il cinema rappresenta sempre uno specchio deformato della realtà che ci fa vivere, quando un film è fatto bene, straordinarie emozioni. In passato, prima dell’avvento della rete, attraverso il cinema le persone viaggiavano grazie alle pellicole e ai loro protagonisti e vedevano mondi che magari per tutta la vita gli sarebbero stati preclusi. Altro aspetto interessante del cinema è sempre stato la sua capacità preditiva rispetto alle cose del mondo. In molti film infatti abbiamo visto accadimenti o processi storici che poi si sono avverati. Queste considerazioni generali per arrivare a dire che oggi, molto più che in passato ad es., il cinema si è occupato e si occupa anche di autismo. Come mai? Partiamo da un dato statistico: l’1% della popolazione mondiale soffre della sindrome, con grandi differenze tra le persone tanto che più correttamente bisognerebbe parlare di “autismi” e non di autismo. In Italia secondo questo dato le persone con il disturbo dovrebbero essere circa 600.00 e dietro ad ogni persona ci sta una famiglia, dunque una popolazione veramente significativa. Quando uscì Rain Man (1988) con uno straordinario Dustin Hoffman nelle vesti di Raymond in molti in Italia e nel mondo scoprirono l’autismo, quello geniale (minoritario), ma pur sempre autismo. D’altra parte il cinema ha sempre avuto bisogno di raccontare storie “spettacolari” e l’incredibile storia costruita attorno ad una persona reale, scomparsa solo qualche anno fa, aveva tutte le possibilità per essere portata con successo sullo schermo. Venendo a noi vent’anni fa nacque Fondazione Bambini e Autismo ONLUS e da subito ci ponemmo il tema della cura – la Fondazione è una Organizzazione Sanitaria Accreditata – ma anche il tema dell’integrazione delle persone attraverso la costruzione di una cultura inclusiva. Una cultura inclusiva che, secondo noi, doveva spaziare nei vari campi della società e non limitarsi al ristretto ambito di cura. Così fra le tante attività che abbiamo portato avanti particolare attenzione è stata prestata al cinema e siamo riusciti a presentare, grazie anche alla preziosa collaborazione con Cinemazero, almeno un film all’anno tra quelli più interessanti prodotti nel mondo sull’argomento. Oggi in occasione del ventennale abbiamo deciso di dare vita ad una piccola rassegna che inizierà il prossimo 15 Aprile all’interno del Festival Le voci dell’Inchiesta. Il film d’esordio è Tommy e gli altri di e con Gianluca Nicoletti giornalista e papà di Tommy. Potremmo definire questo docufilm un “road movie sull’autismo”, un viaggio tra la quotidianità delle famiglie che hanno al loro interno una persona “speciale” e che il più delle volte nel nostro Paese non trovano aiuto nella gestione del loro congiunto. Seguirà, il 19 Aprile, Mary and Max un cartone animato sull’autismo di assoluta concretezza e veridicità, un film coraggioso per la sua originalità nel trattare temi apparentemente non adatti all’animazione e che tratteggia in maniera chiara ed intensa quali possono essere le caratteristiche di una persona con autismo in carne ed ossa. Il 26 Aprile sarà la volta di The Special Need (che già proiettammo con grande successo al suo esordio) una piccola produzione made in Friuli che però ha fatto un grande viaggio in molti festival in giro per il mondo e che volentieri ripresentiamo. Concluderà poi il 3 Maggio il nuovo film di Francesco Falaschi Quanto Basta, appena uscito nelle sale, che racconta la storia di un cuoco e di un ragazzo con la sindrome di Asperger con la fissa per la cucina. Con questi film abbiamo cercato di presentare attraverso il cinema l’autismo sotto angolazioni diverse con l’obbiettivo di dare uno strumento di comprensione a chi non lo conosce. Speriamo di essere riusciti.
Bertolucci e l’invisibile rivoluzionario
Salvatore Frisina
Lo sceneggiatore Aaron Sorkin ha dichiarato di sentirsi preoccupato per l’incombenza del culto dell’amatoriale portato da youtubers e influencers. Sostiene che valorizzarli significhi minacciare l’importanza delle responsabilità sociale di uno storyteller di mestiere. Ma nel frattempo, Bertolucci ha dichiarato che sogna di fare un film con il cellulare, perché ammette di aver sempre ambito a quella libertà che lui chiama cinema stylo. E mentre Tarantino riscopre il 70mm, Sean Baker seduce il Sundance con Tangerine, girato in iPhone. La lotta fra il vecchio e il nuovo, insomma, è un agone culturale sempre in voga e ad aprile torna Novecento, restaurato, un film che affronta questa eterna lotta da un ambizioso punto di vista storico e politico: la lotta di classe. Scrive Kundera: “Raccontare è un modo di dimenticare”. Se Bertolucci racconta quarantacinque anni di storia in un film che non bada a spese e dalla durata di cinque ore, sembra quasi che voglia sfuggire alla difficile scelta di tagliare qualcosa. Eppure, guardando il film, così non è. Tanto che non pochi addirittura hanno criticato il film per essere fin troppo di parte, per aver mostrato una realtà bucolica fiabesca, per aver dato per scontate le ragioni dei contadini. Se raccontare significa anche scegliere un modo di dimenticare, è utile allora cercare di capire cosa il regista abbia deciso di nascondere. Nel film c’è la povertà, ma nessuno muore di fame. C’è la lotta di classe, ma manca una retorica di partito. Ci sono i fascisti, ma non ci sono leggi fascistissime. C’è una sessualità libera e manifesta, ma è assente l’estetizzazione e la glorificazione della bellezza carnale tipiche di oggi. C’è la vergogna di essere nudi, ma non c’è il giudizio degli altri. C’è l’amore tra Olmo e Anita, ma non vediamo né la morte di lei. La morte di Anita è probabilmente uno snodo interpretativo fra i più illuminati per scardinare gli elementi del film e ripassarli al vaglio dei tempi. L’amore è spesso uno stratagemma utile a uno sceneggiatore che voglia dare manforte ai suoi personaggi, eppure, Anita sparisce senza lasciare tracce. Sottrarre alla storia il cosiddetto “oggetto d’amore”, senza curarsi di chiuderne le fila narrative, è una scelta che uno sceneggiatore considererebbe un errore. Ma, per quanto insensibile questa scelta possa sembrare, è probabile che sia fondamentale: che l’amore finisca non è qualcosa che il film vuole prendere in considerazione, in senso lato e totalizzante. Lo suggerisce il regista stesso quando dichiara “volevo dimostrare a Pasolini che l’utopia è possibile”. Bertolucci ha scelto di escludere dal suo colossal le grandi battaglie, i massacri e i teatrali accordi politici fra capi di Stato. Come questi, la morte di Anita è in realtà uno dei tanti altri modi in cui il film si rifiuta di attenersi alle regole di messa in scena più diffuse. Ciò che manca del tutto in Novecento è, in fondo, l’ipertrofia dell’eroismo Marvel, ovvero, la narrazione dei vincitori: non ci sono eroi, solo contadini. Il regista, senza darlo a vedere, compie lo sforzo autoriale di mettere da parte il perfezionismo formale per affidarsi al registro ideologico delle voci che vuole far parlare. Non ha caso la macro struttura del film è ispirata al ciclo delle stagioni che scandisce la vita dei contadini. Quella del film è un’eleganza spregiudicata, con la quale l’autore ribadisce il suo talento estetico senza palesare il fatto che lo sta di fatto tradendo. Siamo di fronte a un estremismo formale che dimostra come, dall’alto di una competenza tecnica eccelsa e da una disponibilità di fondi e mezzi, non si è scevri dalla responsabilità di intervenire consapevolmente sul dibattito culturale, anche e possibilmente, scardinandone le regole
Novecento
Ad aprile in sala anche a Cinemazero grazie al restauro della Cineteca di Bologna
Ricordato al Centro Studi Pasolini di Casarsa
Lorenzo Codelli
Tonino Delli Colli
Tonino Delli Colli Grande autore della fotografia Scrive Stefano Delli Colli : «Negli esterni di C’era una volta il West si ripresenta, anche se in forme diverse dal bianco e nero del trascorso pasoliniano, l’utilizzo privilegiato del controluce, che si rivela strumento importantissimo della stessa narrazione e del coinvolgimento dello spettatore [...] “Sergio Leone - diceva mio padre - voleva le ombre lunghe, che più lunghe non si poteva. Ma la luce scendeva tardi e così noi aspettavamo fino a quasi sera quella giusta, con un caldo terribile. Però il risultato finale era sempre efficace”. Ho splendidi ricordi del viaggio prima in Spagna (Almeria, Guadix) e poi negli Usa (Kayenta, nella Monument Valley, dove si trova l’ultima riserva degli indiani Navajo), che facemmo nell’estate del 1968. Avevo sedici anni e la proposta di papà mi aveva entusiasmato». Splendidi, davvero, i ricordi del figlio del grande Tonino Delli Colli, raccontati in un imperdibile volume edito da Art Digiland, Tonino Delli Colli, mio padre, prefazione di Vittorio Storaro. Lo scorso mese Stefano Delli Colli l’ha presentato nell’affollata sala del Centro Culturale Pier Paolo Pasolini di Casarsa, su invito di Piero Colussi che coordina le attività dell’ex dimora pasoliniana. Interrogato da Gloria De Antoni e Riccardo Costantini, lo scrittore romano - giornalista finanziario di professione - ha evocato alcuni momenti della lunga, prolificissima carriera paterna. 135 i titoli elencati nella filmografia, da Finalmente sì, regia Ladislao Kish, 1943, a La vita è bella, regia Roberto Benigni, 1997. L’incontro s’è aperto con la proiezione d’un reportage sull’assegnazione a Hollywood, il 13 febbraio 2005, del premio alla carriera ASC-American Society of Cinematographers a Tonino Delli Colli. Il nostro Dante Spinotti, membro ASC, e suo figlio Riccardo hanno filmato alcuni clou dell’emozionante premiazione del maestro delle luci. Introdotta da Alan Alda, la cerimonia parte con una sfilza di clip memorabili dai classici illuminati da Delli Colli, Ginger e Fred di Federico Fellini, C’era una volta in America di Leone, Uccellacci e uccellini di Pasolini, Lacombe Lucien di Louis Malle, ecc. Film e cineasti diversissimi, ere diversissime. Nel 1937, l’anno di Scipione l’Africano, kolossal mussoliniano, Tonino quattordicenne trova un impiego a Cinecittà. Alla domanda del funzionario su cosa preferisse fare, il fonico o l’operatore di macchina, sceglie il secondo. «Dell’uno e dell’altro mestiere non sapeva assolutamente nulla», precisa Massimo Delli Colli. Impara l’arte da veterani quali Anchise Brizzi e Ubaldo Arata, e debutta a vent’anni come autore della fotografia. Nel dopoguerra è tra i primi a collaborare alle produzioni hollywoodiane sbarcate sul Tevere, gira farse di Totò, peplum, melodrammi di Raffaello Matarazzo, la trilogia dei Poveri ma belli di Dino Risi. Nel 1961 uno dei suoi film preferiti, Accattone, l’esordio alla regia dell’affermato romanziere e sceneggiatore Pasolini. Tonino insegna al novellino le differenze tra gli obiettivi da mettere sulla macchina da presa, le basi essenziali della tecnica, i trucchi e gli effetti. Ricorda Tonino: «Per quel film Pasolini mi aveva fatto vedere Luci della ribalta di Charlot e La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, immagini parecchio segnate e quasi un po’ sporche. A quelle voleva ispirarsi e così facemmo, anche ricorrendo a filtri arancioni che avevano l’effetto di rendere ancora più vivo e crudo l’effetto visivo». Pasolini non si separerà più, se non in rare eccezioni, dal richiestissimo Tonino. Nel libro lo rievocano con affetto Roberto Benigni, Dante Ferretti, Stefania Sandrelli, Lina Wertmüller e altri amici e colleghi. Oltre a Laura Delli Colli, nota scrittrice e figlia di Franco Delli Colli, cugino e stretto collaboratore di Tonino. A lei si deve questa preziosa collana Art Digiland, unica nel suo genere, con sede a Dublino e opere pubblicate in tre lingue. La quale ci ha già regalato “lezioni di cinema” impartite da Luca Bigazzi, Giuseppe Lanci, Luciano Tovoli. Tre habitués, guarda caso, delle Giornate della Luce in programma a Spilimbergo a ogni solstizio estivo.
DEFIGURAZIONE. I TUOI OCCHI PER VEDERMI. Jacques Derrida, Peter Handke, Jacques Le Goff, Federico Tavan, Claudio Magris, Carlo Ginzburg, Pierluigi Cappello e poi anarchici, partigiani, donne e uomini, bambini e vecchi, personaggi sconosciuti ai più, che ogni giorno, in ogni parte del mondo, resistono affermando la loro dignità, in situazioni difficili ed estreme… Sono alcuni dei protagonisti delle immagini scattate negli anni da Danilo De Marco e che sono esposte nella retrospettiva Defigurazione alla galleria Bertoia di Pordenone. La mostra è accompagnata dal volume I tuoi occhi per vedermi (Forum editore) dove i volti che De Marco ha ritratto sembrano dialogare tra loro, in un gioco di rimandi delle espressioni e dei gesti. Info: www.mostradanilodemarcopordenone.it
STEVE GADD BAND - BLUES IN VILLA 2018
Pordenone, Teatro Comunale G. Verdi - lunedi 9 aprile 2018
Blues in Villa, uno dei festival internazionali più apprezzati a livello musicale, celebra con orgoglio il suo primo ventennio di illustre attività e di grandissimi live organizzati con artisti di calibro mondiale, inaugurando la programmazione 2018 con un evento davvero eccezionale realizzato in collaborazione con il Comune di Pordenone. Sarà infatti la "Leggenda" della batteria Steve Gadd con Way Back Home Tour ad aprire la 20ma edizione di Blues in Villa. Steve Gadd, torna in Italia, accompagnato da una Band "stellare", con il nuovo progetto discografico "Way Back Home: Live from Rochester, NY" nominato Miglior album strumentale ai Grammy Awards 2017. Info: www.bluesinvilla.com
VOCALIA
Maniago, Teatro Verdi - varie date Aprile 2018
Dopo sette anni di assenza ritorna il festival Vocalia. Ripartendo dal brivido che solo la voce umana sa provocare, vedrà racchiusi nel tema “Perle” quattro concerti (tutti alle 21) con altrettante straordinarie artiste: venerdì 13 aprile Antonella Ruggiero, per ripercorre i brani più conosciuti della sua carriera, sabato 14 Cristina Donà, con il suo “Canzoni in controluce”, riassunto dei suoi vent’anni di musica reinterpretati con il musicista e compositore Saverio Lanza; venerdì 20 aprile la siciliana Olivia Sellerio di cui colpisce subito il timbro: un attimo, immediato, quel gesto che cattura con prepotenza anche se si camuffa nei titoli di coda del Montalbano televisivo. Sabato 21, infine, l’effetto ammaliante della voce di Teresa Salgueiro, che da Lisbon Story di Wim Wenders in poi ha fatto il giro del mondo prima con i Madredeus e poi da sola. Un cartellone al femminile preceduto sabato 7 aprile da Gigi Maieron e Mauro Corona nel ruolo di cavalieri, per raccontare cosa c’è dentro la musica, il quasi niente, le parole, le donne (ore 21, ingresso libero) e dalla finestra che Vocalia apre sul mondo del doppiaggio grazie alla collaborazione con Cinemazero, in programma mercoledì 18 aprile alle 18: in Mediateca arriverà Franco Zucca, doppiatore e direttore del doppiaggio, che ha prestato la sua voce a Ben Kinsley in Schindler’s list, ma anche a Manty in A bug’s life. (ingresso libero). Per i soci di Cinemazero biglietti dei concerti a prezzo ridotto. Info: www.vocalia.it
TRENTO FILM FESTIVAL
Trento - dal 26 aprile al 6 maggio 2018
Fondato nel 1952, Il Trento Film Festival è il primo e più antico festival internazionale di cinema dedicato ai temi della montagna, dell’avventura e dell’esplorazione. Per questi argomenti il Trento Film Festival è da oltre sessant’anni l’evento di riferimento, divenuto negli anni un vero laboratorio di visioni e riflessioni sulle terre alte del pianeta, abbracciando un orizzonte più ampio, tra questioni ambientali, culturali e di attualità, che hanno reso più stimolante e variegato l’ambito della manifestazione e la sua programmazione. Ogni anno il Trento Film Festival presenta i migliori documentari, film di fiction e cortometraggi che hanno per scenario montagne e regioni estreme del mondo e raccontano il rapporto affascinante e complesso tra uomo e natura, promuovendo la conoscenza e la difesa dei territori, approfondendo i legami con popoli e culture, celebrando le grandi e piccole imprese alpinistiche e degli sport di montagna. Info: www.trentofestival.it
Domani accadrà ovvero se non si va non si vede
Pordenone, Galleria Harry Bertoia - fino al 27 maggio 2018
i film del mese
(Tit. Or.: Le jeune Karl Marx) Un film di Raoul Peck. Un film con August Diehl, Stefan Konarske, Vicky Krieps. Or.: Francia, 2017. Durata: 112’
(Tit. Or.: Lean on Pete) Un film di di Andrew Haigh. Un film con Charlie Plummer, Steve Buscemi, Chloë Sevigny. Or.: Gran Bretagna, 2017. Durata: 121’
IL GIOVANE KARL MARX
UN MARX INEDITO, SCAPESTRATO E ROMANTICO
DI RAOUL PECK Alla metà del Diciannovesimo secolo l'Europa è in fermento. In Inghilterra, Francia e Germania i lavoratori scendono in piazza per protestare contro le durissime condizioni nelle fabbriche, e gli intellettuali partecipano come possono all'opposizione. Uno di loro, il tedesco Karl Marx, a soli 26 anni è costretto a rifugiarsi a Parigi insieme alla moglie Jenny. Qui Karl conosce un suo coetaneo, Friedrich Engels, che, nonostante provenga da una ricca famiglia di industriali, simpatizza con le sue idee rivoluzionarie. Superate le prime resistenze, fra i due ragazzi nasce una solida amicizia che li porterà a conquistarsi la stima dei capi dei movimenti dei lavoratori. Fino a diventarne leader a loro volta. Diciamolo subito, che non sarà certo la confezione del film a portarci al cinema sulle tracce del giovane Marx. Che già dal titolo predispone a una visione pedagogica, da prima serata in tv: il filone è quello delle grandi biografie storiche, delle agiografie laiche con interpreti di tendenza, non fosse che il personaggio al centro della "lezioncina" è un uomo che il cinema non era mai riuscito a raccontare. Almeno finora. Apparso di sbieco solo in un paio di sceneggiati tv, Karl Marx entra qui in scena, per la prima volta da protagonista, nel film di Raoul Peck, con il volto e il corpo di August Diehl. Un interprete in parte ma sopra le righe, a volte troppo compiaciuto, che tuttavia serve a perfezione l'obiettivo: rappresentare Marx come uomo prima che come filosofo, come artista prima che come teorico, raccontarlo arrabbiato, innamorato, umiliato, ubriaco, come fosse una persona normale. Se la regia classica è classica e le ricostruzioni soffrono un budget non adeguato, è potente invece la lettura storica che il regista compie attraverso i personaggi, con Karl Marx e Friedrich Engels (Stefan Konarske, volto azzeccato) trasfigurati nel Giano Bifronte della sinistra: da una parte la faccia creativa, passionale, bohémienne in bilico con l'autodistruzione, dall'altra quella solidamente borghese, oggi diremmo radical chic, che foraggia e sostiene la prima. Ed è chiaro che la simpatia dell'autore è tutta per lo "scapestrato Marx", le cui radici - le sue e quelle del comunismo - per Peck affondano e si nutrono degli ideali di un preciso movimento artistico e culturale: il Romanticismo. Quella raccontata ne Il Giovane Karl Marx è un'epoca in cui fare politica non è una carriera, ma un percorso fatto di slancio e passione, ricerca di risposte a domande urgenti, elaborazione di ideali necessari. E chi ci si lancia anima e corpo, rischiando la vita e la galera, la povertà o la solitudine, sono ragazzi di poco più di vent'anni (quando La Lega dei Giusti diventa, grazie all'apporto di Marx ed Engels, la Lega dei Comunisti, Marx ha solo 29 anni). È una politica che è davvero discorso della polis, della comunità, e Peck ce lo dice mettendo in scena ogni volta che può filosofi e lavoratori schiacciati l'uno contro l'altro in sale piene di fumo e di sudore, tutti rigorosamente in piedi, a fare la conta delle mani per prendere le decisioni. Una politica in cui a contare sono sì le idee - solo le più forti si propagano per davvero - ma anche le persone che di quelle idee sanno farsi ambasciatrici, portandole fisicamente oltre le frontiere, tessendo reti, scambiando libri, stampando clandestinamente pubblicazioni proibite. Pedagogico il giusto, certo non rivoluzionario, Il Giovane Karl Marx evita la trappola del film-bignami raccontando, con relativa leggerezza, un'epoca in cui i lavoratori di tutto il mondo si univano senza per forza condividersi. E non erano i like ad accendere le rivoluzioni, ma uomini in carne e ossa. Con i loro appetiti e le loro passioni.[www.mymovies.it]
ChARLEy thOMPSON
INSOLITA AMICIZIA TRA UN RAGAZZO E UN CAVALLO, CHE GUARDA AL CINEMA ANNI ‘70 DI ANDREw hAIGh Charlie è un adolescente che non ha mai conosciuto sua madre e che vive con il padre. Poco distante dalla loro nuova abitazione scopre la presenza di un maneggio ed entra in contatto con Del Montgomery, un non più giovane proprietario e allenatore di cavalli che fa correre ovunque sia possibile guadagnare qualcosa. Charlie diventa il suo aiutante e si affezione a un cavallo, Lean On Pete, veloce nella corsa ma progressivamente affetto da disturbi che spingono Del a venderlo perché venga soppresso. Charlie non può accettare passivamente questa decisione.. Talvolta le sinossi, per evitare di fare troppo spoiler, non possono rendere la complessità di un plot. Perché questa non è l’ennesima ripetizione con varianti dell’amicizia tra un giovane (abbiamo avuto anche numerose ragazze nella filmografia del sottogenere) ed un equino. Non poteva essere altrimenti con un regista sensibile e attento alle storie da cui prende ispirazione. In questo caso si tratta del romanzo omonimo di Willy Vlautin che l’autore ha fatto precedere da questa epigrafe di John Steinbeck: “È vero che siamo deboli e malati e sgradevoli e rissosi ma se a questo si riducesse tutto ciò che siamo sempre stati saremmo già scomparsi da millenni dalla faccia della terra”. Come sappiamo Steinbeck è stato il cantore di coloro che, colpiti da catastrofi economiche e di altra natura, si rivelano capaci di rialzare la testa guardando avanti. È questo lo spirito che ha guidato Andrew Haigh nel realizzare un film
Un film di Daniele Luchetti. Un film con Marco Giallini, Elio Germano, Eleonora Danco. Or.: Italia, 2018. Durata: 97’
IL PRIGIONIERO COREANO
i film del mese
(Tit. Or.: Geumul) Un film di Kim Ki-Duk. Un film con Ryoo Seung-Bum, Lee WonGeun, Choi Gwi-Hwa. Or.: Giappone, 2016. Durata: 114’
che si rifà al cinema degli anni Settanta (pensiamo ad esempio a Un uomo da marciapiede) ma che si cala nella contemporaneità. Perché il percorso che Charlie compie, con e senza Lean On Pete, è quella di tanti americani dei nostri giorni alla ricerca di un lavoro e bisognosi di un punto di riferimento affettivo. Charlie però non smette di cercare soluzioni, rischia di toccare il fondo ma lo utilizza per darsi la spinta per risalire, anche se il rischio di lasciarsi andare alla deriva è sempre in agguato. Gli spazi che attraversa (Haigh è da sempre estremamente attento alle location e qui, in modo particolare, ai suoni e ai rumori ambientali) sono abitati da persone che non sempre sono ‘brave persone’. Spesso si tratta di vite decadute che hanno imparato ad arrangiarsi e poco importa se questo implica attività non legali. Charlie le osserva ed è capace di allontanarsene e di difendersi, se è il caso, ma Haigh non le giudica. Questo non significa approvazione ma presa d’atto di un mondo in cui talvolta anche le migliori intenzioni si possono trasformare in graffi sull’anima per lenire i quali non resta che aggrapparsi a una vecchia fotografia. Charlie ne è consapevole. [www.mymovies.it]
UN PESCATORE NORDCOREANO SI TROVA IMPRIGIONATO TRA DUE TERRE E DUE IDEOLOGIE
DI KIM KI-DUK Nam Chul-woo è un povero pescatore nordcoreano che nella sua barca ha l'unica proprietà e l'unico mezzo per dare da mangiare a sua moglie e alla loro bambina. Un giorno gli si blocca il motore mentre sta occupandosi delle reti in prossimità del confine tra le due Coree e la corrente del fiume lo trascina verso la Corea del Sud. Qui viene preso sotto controllo delle forze di sicurezza e trattato come una spia. C'è però chi non rinuncia all'idea di poterlo convertire al capitalismo lasciandogli l'opportunità di girare, controllato a distanza, per le strade di Seoul. Kim Ki-Duk torna al suo cinema delle origini, quello che lo fece conoscere al pubblico di tutto il mondo per l'attenzione che prestava agli emarginati dalla società e per la durezza di alcune situazioni portate sullo schermo. Lo fa con il suo film forse più esplicitamente politico, destinato a non piacere né al di qua né al di là del 38° parallelo. Si può essere certi che al Nord non lo vedranno mai ma di sicuro anche al Sud non avrà vita facile. Perché il regista ha la consapevolezza di proporre una lettura decisamente scomoda per entrambe le parti in causa. Il povero pescatore, colpevole solo di non aver voluto perdere, salvandosi a nuoto, la propria barca raggiunge quello che per la propaganda del duro regime di Kim Jong il è l'inferno capitalistico dinanzi al quale bisogna chiudere gli occhi per non correre il rischio di esserne tentati. Nam Chul-woo crede nel regime e i funzionari sudcoreani, seppur divisi sul da farsi, non fanno molto per confutare le sue credenze. C'è chi è dotato di un'arroganza di segno uguale e contrario a quella dei potenti del Nord e non mancano anche segni deteriori della società (ad esempio la prostituzione) che inducono quest'uomo semplice a chiedersi in cosa consista la democrazia. Gli verrà risposto con una frase emblematica: "Dove c'è una forte luce c'è sempre anche una grande ombra". Si avverte in Kim Ki-duk il dolore per una separazione che, proprio grazie alla contrapposizione dei due sistemi, consente da un lato di mantenere un regime di terrore e dall'altro di sentirsi giustificati nel costruire una società basata sul sospetto di infiltrazioni per cui ogni persona può essere considerata infida. Non si tratta qui di sole reti da pesca ma di due reti ideologiche contrapposte che di fatto si sostengono a vicenda per perpetuare il controllo del potere. [www.mymovies.it]
IO SONO tEMPEStA
CHI SONO I BUONI? SE CI SONO...
DI DANIELE LUChEttI Numa Tempesta (Marco Giallini) è un finanziere che gestisce un fondo da un miliardo e mezzo di euro e abita da solo nel suo immenso hotel deserto, pieno di letti in cui lui non riesce a chiudere occhio. Tempesta ha soldi, carisma, fiuto per gli affari e pochi scrupoli. Un giorno la legge gli presenta il conto: a causa di una vecchia condanna per evasione fiscale dovrà scontare un anno di pena ai servizi sociali in un centro di accoglienza. E così, il potente Numa dovrà mettersi a disposizione di chi non ha nulla, degli ultimi. Tra questi c'è Bruno (Elio Germano), un giovane padre che frequenta il centro con il figlio, in seguito ad un tracollo economico. L'incontro sembrerebbe offrire ad entrambi l'occasione per una rinascita all'insegna dei buoni sentimenti e dell'amicizia. Ma c'è il denaro di mezzo e un gruppo di senzatetto che, tra morale e denaro, tenderà a preferire il denaro. Quella di Io sono Tempesta è la terza collaborazione tra Elio Germano e Daniele Luchetti, dopo Mio fratello è figlio unico (che ricevette il David di Donatello nel 2007 per Miglior sceneggiatura) e La nostra vita (con cui Luchetti vinse il David di Donatello nel 2010 per Miglior regia). Per entrambi i film, l'attore ottenne il David di Donatello come Miglior attore protagonista. Grazie a La nostra vita, inoltre, Elio Germano fu premiato al Festival di Cannes nel 2010 con il Prix d'interprétation masculine e con il Nastro d'Argento al Miglior attore protagonista. [www.bestmovies.it]
i film del mese
(Tit. Or.: Mark Felt, The Man Who Brought Down the White House) Un film di Peter Landesman. Un film con Diane Lane, Kate Walsh, Liam Neeson. Or.: USA, 2017. Durata: 103’
(Tit. Or.: La Villa) Un film di di Robert Guédiguian. Con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan. Or.: Francia , 2017. Durata: 107’
thE SILENt MAN
LA STORIA DELLA COPPIA DI GIORNALISTI CHE FECE ESPLODERE IL CASO WATERGATE DI PEtER LANDESMAN L'agente FBI Mark Felt fu la fonte anonima dei giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein nello scandalo Watergate, che sconvolse il mondo durante gli anni '70. Sotto lo pseudonimo di "Gola Profonda", Felt fu essenziale nel fare emergere i fatti che portarono alle dimissioni dell'allora Presidente degli Stati Uniti d'America Richard Nixon. Peter Landesman cura la regia di The Silent Man, film biografico sulle vicende di Mark Felt, ex agente dell'FBI che rivelò le informazioni fondamentali nell'inchiesta Watergate. Landesman non è nuovo al giornalismo d'inchiesta. Il regista, infatti, nel 2013 ha scritto e diretto la pellicola Parkland, che racconta tutte le vicende successive all'assassinio del Presidente John F. Kennedy. Nel 2014, inoltre, Landesman ha curato la sceneggiatura de La regola del gioco, film incentrato sull'inchiesta volta a dimostrare la corruzione della CIA nel traffico di droga in Nicaragua. Nel film Landesman segue le vicende relative allo scandalo Watergate dal punto di vista della fonte anonima dei due giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein. È proprio Mark Felt ad essere essenziale nell'inchiesta del 1973, rivelando informazioni fondamentali ai due uomini. Sotto lo pseudonimo di "Gola Profonda", Felt decide di fare luce su alcune ambiguità relative alla presidenza di Richard Nixon. "The Silent Man" è stato presentato all'International Film Festival di Toronto l'8 settembre 2017, riscontrato critiche positive. Le riprese si sono svolte ad Atlanta nel 2016. [www.ecodelcinema.it]
LA CASA SUL MARE
UN APPASSIONANTE RACCONTO DI CRISI SULLO SFONDO DEI TOTALITARISMI MODERNI DI RObERt GUéDIGUIAN A Méjan, una cala marina tra Marsiglia e Carry, tre fratelli si ritrovano per vegliare il padre. Angèle, attrice con un lutto nel cuore, Joseph, professore col vizio della rivoluzione, Armand, ristoratore di anime, misurano la loro esistenza davanti all'ictus che ha colpito il genitore. Intorno alla sua eredità, la casa, il ristorante, la coscienza politica e quella sociale, fanno i conti col proprio passato che per Angèle non sembra mai passare. L'irruzione improvvisa di tre bambini, naufraghi sulle sponde del Mediterraneo, sconvolge la loro riflessione e segna un nuovo inizio. Da L'ultima estate, atto di nascita di Robert Guédiguian e cronaca arrabbiata della morte di un quartiere di Marsiglia, i suoi film prendono la forma di un impegno rinnovato con gli attori. Solivo e assorto, La casa sul mare celebra di nuovo quell'unione così fertile offrendo un momento di raccoglimento che fa il punto del mondo. Un intermezzo assolato che misura precisamente lo stato della classe operaia, incarnata nel film dalle figure genitoriali, costrette all'immobilità o addirittura suicidate. Il suo sguardo e il suo cast di accoliti riparano a Méjan per vegliare una coscienza che si è spenta. Quella di un padre e di una nazione che ha perduto l'intenzione del volo e l'apertura al nuovo. La sua umanità, bastonata ma battagliera, ha smarrito con lo slancio e l'azione, la certezza di essere l'homme bien. Fedele ai suoi interrogativi e alla sua collera, Guédiguian ribadisce la morte delle utopie rivoluzionarie e di una fraternité che manca crudelmente al mondo ma poi l'inaspettato accade. Il film, con la sua aria mesta di addio e disillusione, prende improvvisamente (e letteralmente) un gusto di 'marmellata' che lo conduce dove nessuno lo aspettava. Se le opere del passato, da cui l'autore pesca uno struggente brano lirico, erano marcate da una bellezza che tende alla radicalità estetica, alla spontaneità delle emozioni, a quella grazia inaudita che nasce tra il vigore solare della giovinezza e la melanconia che già la avvince, i lavori recenti indicano una fase riflessiva che riafferma il suo décor, i suoi attori, i suoi ruoli. Ficcato in quell'universo identificabile, La casa sul mare si fa un appassionante racconto di crisi, in cui i riferimenti dei protagonisti vengono meno sotto i colpi dei totalitarismi moderni. In un tableau solare in cui stagna la fierezza proletaria e la sua coscienza politica, l'irruzione di tre fratellini, doppio speculare dei protagonisti, li rianima dall'interno, restituendoli alle proprie emozioni, le più essenziali. La paura improvvisa dell'altro, al centro di Le nevi del Kilimangiaro, si rovescia qui in accoglienza, riaffermando il coraggio e la necessità di accordare la propria vita col prossimo. Guédiguian descrive la forza pervasiva dell'incontro in comunione con la tradizione dell'umanesimo moderno. La pauvres gens di Victor Hugo è di nuovo al cuore dell'opera di un artista che non smette di richiamarci alla bontà. Un valore che la durezza dei tempi fatica a praticare e a sostenere (anche al cinema). Guédiguian, lucido e gioioso, ci crede ancora, accarezzandoci là dove aspettavamo uno schiaffo. La generosità dei suoi eroi, per quanto eccezionale, si iscrive nell'ordine del possibile. Esasperato dall'egoismo dell'epoca, il regista ritorna nei suoi luoghi e alle virtù della lotta collettiva, ricordando allo spettatore come gli stranieri abbiano contribuito a salvare la Francia, a salvarci tutti. La casa sul mare è il paese a cui probabilmente non arriveremo mai ma il film va più lontano, scordando la solitudine e ritrovando il proprio posto, qui, adesso, insieme. Come in un'estate di tanti anni fa. [www.mymovies.it]