Cinemazeronotizie Marzo 2018

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€ 1,00 mensile di cultura cinematografica

Cinemazero: i nostri primi quarant’anni

I documentari di Mondovisioni con uno sguardo critico su Berlino

2018 numero 3 anno XXXVIII

Cinema del reale: orizzonti di qualità?

18

Marzo

Appuntamento domenica 25 marzo per festeggiare tutti insieme!

Nome di donna: intervista a Marco Tullio Giordana

Un’avvincente battaglia sul diritto ad essere donna

Una storia di acqua e di terra

Il potentissimo thriller dell’anima di KIM Ki-duk, in sala con TuckerFilm

Il cinema di Atiq Rahimi

Doppio appuntamento con Dedica per scoprire l’opera dell’autore

Il cinema a Rotterdam si tinge di rosa

47ma edizione del primo grande festival cinematografico europeo

Rivive la Germania di Weimar

Capolavori sconosciuti in una vasta retrospettiva della Berlinale 2018 spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi


Cinemazero: i nostri prossimi quarant’anni!

Andrea Crozzoli

Editoriale

Appuntamento in sala domenica 25 marzo per festeggiare il compleanno tutti insieme

Si è ancora giovani a 40 anni. Soprattutto in Italia che "è penultima in Europa per equità intergenerazionale facendo meglio solo della Grecia". Una approfondita ricerca ha evidenziato, infatti, che nel nostro geriatrico paese un giovane di 20 anni impiega circa 18/19 anni per costruirsi una vita autonoma. Cinemazero il 24 marzo compie 40 anni e può dirsi, quindi, a tutti gli effetti “giovane”! E come tutti i giovani - anziché autocelebrarsi con un elenco lunghissimo di cose fatte, di successi ottenuti, di battaglie vinte (ma qualche volta anche perse), di riconoscimenti - Cinemazero guarda avanti. Guarda ai prossimi 40 anni e anche oltre, riflettendo però sui grandi cambiamenti di cui è stato testimone in questi primi 40 anni appena trascorsi. Trasformazioni epocali che hanno coinvolto tutti i settori, con nascita di nuove professionalità e nuove tecnologie che hanno reso possibile ciò che fino a pochi anni or sono sembrava fantascienza. Basti pensare al primo film che Cinemazero proiettò all’ex-Cral di Torre, quel Gangster Story di Arthur Penn del 1967 che 11 anni dopo, ossia nel 1978 ancora era disponibile in pellicola presso i distributori regionali. Ora un film dopo due mesi sparisce per finire su dvd. All’epoca i critici americani, dopo inenarrabili vicissitudini produttive, ne parlarono malissimo, scrivendo che il film mescolava momenti comici a momenti sessualmente forti o momenti estremamente violenti. In Europa, invece, ebbe un notevole successo ed oggi è considerato un capolavoro assoluto che ha anticipato ed influenzato il cinema. Ancora nel 2017 Luis Menand del prestigioso New Yorker scriveva: «Gangster Story è uno di quei film che si possono guardare oggi senza avere la sensazione di stare davanti a un vecchio film». Sarà quindi proprio da dove siamo partiti, ovvero Gangster Story di Arthur Penn con i magnifici Faye Dunaway e Warren Beatty in una copia restaurata, che domenica 25 marzo inizieremo i festeggiamenti di questo quarantesimo compleanno. Sarà una domenica di festa in tutte le quattro sale che riproporranno sia dei momenti sinificativi di queste quattro decadi sia delle nuove anteprime. L’occhio di Cinemazero è sempre stato rivolto al domani, ad intercettare le novità che vengono proposte a ritmo sempre più serrato e a selezionarle per dare alla numerosa utenza il meglio. Cinemazero ha sempre avuto grande e profondo rispetto del pubblico, ha sempre operato le sue scelte non nella direzione mercantile ma in quella squisitamente culturale ed è stato ripagato da una costante fidelizzazione e frequentazione. Molti ospiti venuti a Cinemazero hanno sottolineato questo aspetto, quello di un pubblico non solo educato ed appassionato ma anche preparato e sensibile alle nuove proposte. L’abbandono della sala durante le proiezioni è praticamente un fenomeno inesistente a Cinemazero. Chi frequenta le sale si documenta e sa esattamente cosa viene a vedere, cosa lo aspetta. Un legame di reciproca fiducia, stabilito nel corso di questi primi 40 anni, che rappresenta anche uno degli aspetti di cui gli operatori di Cinemazero vanno più orgogliosi. Sarà questo il faro anche per i prossimi 40 anni.

In copertina il poster di Il prigioniero coreano di Kim Ki-duk prossimamente al cinema grazie alla Tucker Film.

cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Marzo 2018, n. 3 anno XXXVII ISSN 2533-1655

Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Manuela Morana Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Elena d’Inca Direzione, redazione, amministrazione Via Mazzini, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 Cassa: 0434-520527 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Sincromia - Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica


Cinema del reale orizzonti di qualità?

Riccardo Costantini

Cinemazero, nell'ambito di Aspettando Le voci dell'inchiesta, stringe una importante partnership con Mondovisioni, i film che in primis Internazionale porta a Ferrara nell'ambito della kermesse omonima. La partnership nasce dal riconoscimento reciproco di quanto fatto negli anni, lavoro comune ben sintetizzato da chi cura Mondovisioni, Sergio Fant: “mappiamo casi e questioni d’attualità attraverso il miglior cinema documentario, più che mai aprendosi a scenari ai margini delle narrazioni mediatiche, per offrire squarci inediti sulla complessità del mondo che ci circonda, attraverso storie senza filtri, emozionanti, profonde, esemplari”. La collaborazione nasce quanto mai “sul pezzo”, già che da quanto visto anche all'ultima Berlinale, ci troviamo in un momento particolarmente complesso per la produzione di documentario: c'è assoluta necessità di proposte di qualità. Nelle selezioni berlinesi di Forum e di Panorama, si sono infatti visti vari film di sicuro valore estetico e formale, ma sostanzialmente simili fra loro, indipendentemente dal contenuto e dall'oggetto di analisi. Spesso prodotti pensati per il più largo pubblico possibile, per accontentare i gusti di molti, a discapito della profondità di osservazione, dello sforzo verso la ricerca di valide e innovative forme espressive. ASPETTANDO LE VOCI DELL’INCHIESTA Il fenomeno è dovuto probabilmente a due fattori. Giovedì 1 marzo | Ore 20.45 Il primo: la produzione di documentario in Europa si fa con strutture collaudate, modelli chiari e ripe- Brexitannia di Timothy George Kelly. tibili, identici nel tempo, meccanici. Se vuoi che il Regno Unito, Russia (2017), durata 80’ tuo doc veda la luce, l'idea dev'essere “pop e ——— Giovedì 8 marzo | Ore 20.45 smart” (aiuto!), deve partecipare a più pitching GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA (audit di selezione e affinamento contenuti con addetti ai lavori) produttivi, in cui l'idea prende Jaha’s Promise di Patrick Farrelly e Kate USA (2017), durata 81’ forma già con l'ottica di un pubblico predetermi- O’Callaghan. ——— nato, ponderato sulle possibilità di vendita e distri- Giovedì 15 marzo | Ore 20.45 buzione del film finito. Questi format spopolano e Boiling Point di Elina Hirvonen. Finlandia sono per lo più impostati su stili produttivi nord (2017), durata 91’ europei. Se il buono è una maggiore standardiz- ——— zazione professionale della filiera, l'essere mecca- Giovedì 22 marzo | Ore 20.45 nico e ripetitivo del processo fa soffrire la creati- Strangers in Paradise di Guido Hendrikx. vità e la possibilità di offerta di contenuto. A noi il Paesi Bassi (2016), durata 72’ cinema del reale piace combattivo, fuori dal coro, ——— solido, documentato, irriverente. Il secondo fatto- Giovedì 29 marzo, ore 20.45 re: l'ingresso in campo di due macro attori come FreeLunch Society di Christian Tod. Austria, Amazon e Netflix. Stessa logica, ma più brutale, Germania (2017), durata 95’ perchè scavalcante tutta la filiera produttiva tradi- ——— Giovedì 5 aprile, ore 20.45 zionale, compresa a volte anche la valorizzazione La forza delle donne di Laura Aprati e culturale che viene effettuata da sempre con micro distribuzioni o ai festival (difficilissimo portare a Marco Bova. Italia (2017), durata 52’ È GIÀ POSSIBILE ACCREDITARSI AL una kermesse minore uno dei prodotti di queste due case). Scarse possibilità di approfondimento, FESTIVAL ED ENTRARE A PREZZO RIDOTTO ALLE PROIEZIONI DI ASPETTANDO LE VOCI di conseguenza. I progetti delle due case web appaiono modernissimi per forma, furbi, ammic- SCOPRI COME IN MEDIATECA E A CINEMAZERO canti... ma con gli stessi difetti suddetti: si assomigliano molto. Paradossalmente il documentario è il genere più vivo della produzione audiovisiva, oggetto di attenzione del pubblico, ma contemporaneamente oggi rischia di essere un prodotto “medio”. Una storia, ripensando alla televisione italiana, già vista... Ma che non pensavamo potesse concretizzarsi così rapidamente su scala Europea. Anche nelle sessioni di mercato o di confronto con i produttori, gli incontri si assomigliano tutti: lì chi lavora “pre riprese” costruisce il percorso di sviluppo e scrittura in maniera seriale, spesso riempiendo con concetti volutamente complessi e con molte parole spazi altrimenti realisticamente vuoti. Da parte nostra, con Le voci dell'inchiesta e con la selezione di “Aspettando” cerchiamo di restare fuori da queste logiche, non inseguendo a tutti i costi anteprime, non mostrando al pubblico solo quello che si aspetta, ma lottando per proporre quanto è effettivamente di valore, di maggior originalità produttiva, narrativa, estetica. Senza dimenticare la qualità di analisi del contenuto: il cinema del reale di oggi non può essere superficiale. Siamo sicuri che seguendo i documentari de Le voci dell'inchiesta, di Mondovisioni e “Aspettando Le voci” non si avrà questa sensazione.

Aspettando Le Voci dell’Inchiesta

A marzo i documentari di Mondivisioni, con uno sguardo critico a Berlino


Nome di donna: l’avvincente battaglia sul diritto di essere donna

Marco Fortunato

Intervista a Marco Tullio Giordana

Cristina Capotondi è Nina, donna coraggiosa che scegliere di rompere il silenzio

Una giovane donna si trasferisce con la figlia in un paesino della bassa Lombardia. Ha trovato impiego in una prestigiosa clinica privata dove lavorano molte altre ragazze, italiane e straniere. Una piccola comunità femminile eterogenea e tuttavia molto unita. Anche da un segreto. Parte da qui Nome di donna, l’ultima fatica di Marco Tullio Giordana (Maledetti vi amerò (1980), Pasolini, un delitto italiano (1995), I cento passi (2000), La meglio gioventù (2003), Quando sei nato non puoi più nasconderti (2005), Romanzo di una strage (2012)) che ancora una volta sceglie una storia intima e personale per restituire un’immagine universale della nostra società e, in questo caso, di un tema delicato come quello delle molestie sul lavoro. In attesa di averlo ospite a Cinemazero gli abbiamo chiesto di raccontarci in anteprima qualcosa di più sul film, partendo proprio dal tema, purtroppo sempre attuale. MTG: Sembrerà un paradosso ma l’improvvisa pubblicità di questo tema provocata dal caso Weinstein un po’ mi disturba. Ovviamente l’idea del film è nata molto tempo fa e l’esigenza di raccontare una brutta falla della nostra società viene da lontano. Ha origini antiche, culturali, che riguardano tutti, e molto al di là della sola sfera “sessuale”. È sì un problema sessista, che ha origine nello sbilanciamento del rapporto uomo/donna, ma è soprattutto l’espressione di un conflitto “di classe”, una degenerazione del potere, un abuso da parte di chi pensa di poter disporre impunemente di un'altra persona. Siamo lontani da un film di denuncia? MTG: Personalmente non ho mai cercato di fare film del genere, la “denuncia”, per quanto nobile, coincide troppo spesso con la semplificazione, tende a generare automatismi moralistici, insomma non mi piace, anche se capisco le buone intenzioni. Penso che un film debba essere l’occasione per scandagliare un problema in profondità, tentare di restituire tutta la complessa tavolozza di comportamenti e di reazioni che suscita. Chiedi quindi al pubblico di prendere posizione? MTG: Racconto una storia, tento di esporre la situazione. Vorrei fornire allo spettatore gli elementi per valutare, aiutarlo a chiarire i contorni di vicende complesse. Scavare (e in qualche caso demolire) l’opinione comune, le leggende, le verità di comodo – come ho fatto ad esempio con Sanguepazzo o Romanzo di una strage – nella speranza di consegnargli strumenti per formarsi un’opinione. Nel cast Cristiana Capotondi, Valerio Binasco, Adriana Asti. Come li hai scelti? MTG: Dedico molto tempo alla scelta degli attori, faccio centinaia di incontri e provini. Direi che il requisito fondamentale per me sia una sorta di aderenza antropologica ai personaggi che devono interpretare. Un punto di partenza decisivo, dato che poi mi piace assecondarli nel loro percorso di immedesimazione. Un percorso nel quale cerco di accompagnarli e al tempo stesso di proteggerli. Naturalmente non è che mi accontento, cerco sempre di alzare il limite dell’asticella, di farli saltare sempre più in alto. Lavoro molto sui dettagli (in questo senso mi aiutano molto le esperienze fatte in teatro) e cerco di fare in modo che i miei attori si sentano a proprio agio – e qualche volta anche a disagio – nell’”essere” nella parte. Il film è girato interamente in Lombardia ed è ricco di scene in esterni, in particolare in campagna. Ha un significato preciso nell’ambito della narrazione? MTG: Cristiana Mainardi, la sceneggiatrice, ha ambientato la vicenda in quei luoghi, l’intuizione è sua. Cristiana è cremonese, io cremasco, quei paesaggi, quelle rogge ricche d’acqua, quei filari di pioppi, sono gli stessi. E’ un paesaggio lombardo ideale, con una forte radice agricola oggi meno evidente ma ancora sontuosa e affascinante. Il film non ha una collocazione precisa, abbiamo girato nel cremonese, nel bresciano, nel milanese, nel pavese e nel cremasco, che sono i luoghi della mia infanzia e anche dei miei primi film. È stato bello tornarci. C’è anche la metropoli, la Milano delle recentissime architetture ultramoderne che ne hanno completamente cambiato lo skyline, ma è la natura ad avere un grande rilievo, quasi fosse uno spettatore muto ed eterno delle miserie umane narrate del film e del coraggio di chi le contrasta. Può la consapevolezza della miseria essere la base per una presa di coscienza e una reazione? MTG: Certamente, ma serve appunto coraggio, serve una forte iniziativa individuale Quella che non manca a Nina, la protagonista, che va sfida il giudizio degli altri e va fino in fondo. Spesso però non è sufficiente. In che senso? MTG: Non basta rivelare la polvere sotto il tappeto, bisogna toglierla. Il guaio delle molestie è ci si arriva quando il peggio è già successo. Non deve succedere, punto e basta. Dev’essere un tabù, qualcosa che contravviene una “cultura” generale complessiva ed è quindi sanzionato dalla persona prima ancora che dalla legge. È qualcosa che investe la dignità delle persone, il loro rapporto nella gerarchia sociale. Qualcosa che rimanda alla divisione di classe, allo sfruttamento, e scusate se queste parole sembrano ingiallite e inattuali. Non lo sono per niente. Sono la chiave per capire quello che succede, interpretare e soprattutto reagire, come mi sembra stia finalmente succedendo.


Una storia di acqua e di terra

Gianmatteo Pellizzari

Lontano dalle tinte forti (fortissime) dell’Isola o di Moebius, Il prigioniero coreano vede Kim Kiduk raccontare – senza filtri – il presente. Un presente che non riesce a liberarsi del passato: quello della Corea del Nord e della Corea del Sud. Un potentissimo thriller dell’anima che la Tucker Film porterà nei cinema italiani il 12 aprile e che trova nell’interpretazione di Ryoo Seung-bum (The Berlin File) tutta la potenza espressiva di cui ha bisogno. «Fai attenzione: oggi la corrente va verso Sud», lo avvisa una sentinella, ma a fare attenzione, a farne sempre molta, il pescatore Nam Chul-woo ci è abituato. Del resto, non puoi permetterti distrazioni quando abiti in un villaggio della Corea del Nord e ti muovi ogni giorno sulla linea di confine. Confine d’acqua, nel caso di Nam, ed è proprio l’acqua a tradirlo: una delle reti, infatti, si aggroviglia attorno all’elica della sua piccola barca, il motore si blocca e la corrente che «va verso Sud» trascina lentamente (inesorabilmente) il povero Nam in zona nemica… Si apre così Il prigioniero coreano, attesissimo ritorno di Kim Ki-duk alla narrazione politica. Un dramma che sviluppa e moltiplica il tema del doppio, così com’è doppia la Corea, raccontando intensamente una grande storia collettiva attraverso la storia (l’innocenza) di un singolo individuo. Riuscirà Nam, dopo pressanti interrogatori, a convincere le forze di sicurezza sudcoreane di non essere una spia? Ma soprattutto: riuscirà Nam, dopo il proprio faticoso rilascio, a convincere il potere nordcoreano della propria integrità? È rimasto ancora quello che era, cioè un bravo cittadino devoto, o l’infezione del capitalismo («Più forte è la luce, più grande è l'ombra») lo ha contaminato per sempre? «Con Il prigioniero coreano – spiega Kim Ki-duk – ho voluto mostrare un paradosso: guardate come sono simili Nord e Sud. “Là” c’è la dittatura, “qui” la violenza ideologica. E non si tollera che un povero pescatore del Nord, finito per caso fuor d’acqua, voglia semplicemente ritornarsene a casa. Non si può demonizzare un intero popolo. Il Nord non è solo la Dinastia dei Kim: la gente viene prima!». Tacciato in patria di essere un visionario e osannato, invece, nel vecchio continente, Kim Ki-duk sembra appunto aver trovato in Europa quell’America che ancora tarda ad accoglierlo. Distribuite in Italia solo di recente, per l’esattezza dal 2003, le opere del regista coreano si distinguono per la ricorrenza di tematiche ed elementi duri, mostrati allo spettatore in maniera fredda e quasi naturale. Parliamo di una violenza che, a differenza di tanto cinema contemporaneo, non appare mai fine a se stessa ma, piuttosto, inglobata all’interno di un quadro più grande ed elevato: quello dell’analisi dell’animo umano. Come “prefazione” all’uscita del Prigioniero coreano, la Tucker Film e il Far East Film Festival, che della Tucker è – da sempre – l’interlocutore asiatico, hanno scelto di aprire un affascinante spiraglio sull’impenetrabile Corea del Nord. O, meglio, su un popolo, quello nordcoreano, di cui sappiamo ancora troppo poco. Fino all’8 aprile, l’Anteo Palazzo del Cinema di Milano ospiterà infatti la mostra fotografica 3DPRK – Ritratti nordcoreani dello sloveno Matjaz Tancic. 19 immagini in 3D che provano a raccontare, con asciuttezza, l’invisibile: la vita quotidiana in Corea del Nord. «I media – spiega Tancic – si concentrano solo sulle atrocità commesse dalla dittatura e la nostra percezione si spezza, generalmente, a metà: demonizzazioni del potere da un lato, idealizzazioni del popolo dall’altro. Ed entrambi i punti di vista oscurano l’identità nordcoreana. Ecco perché ho voluto costruire un progetto focalizzato sulla gente comune: persone di età, condizioni sociali e mestieri differenti, in cui ognuno di noi, ovunque, si può identificare».

Il prigioniero coreano

Kim Ki-duk firma un potentissimo thriller dell’anima distribuito dalla Tucker Film


Il cinema di Atiq Rahimi

Claudio Cattaruzza

Dedica 2018

Due appuntamenti all’interno del Festival Dedica per conoscere l’opera del regista

Si rinnova anche quest'anno la collaborazione del festival Dedica e dunque del’associazione Thesis con Cinemazero e prende forma, in particolare, in due appuntamenti della rassegna che ha scelto di indagare l'opera e il mondo di Atiq Rahimi, scrittore e regista afghano nel quale si incarnano lo spirito di libertà e la voglia di ricostruzione di un popolo che ha lungamente sofferto. «Se esiste una missione della scrittura, è quella di dare la parola a chi non l'ha. La letteratura deve saper mettere le parole dove la loro assenza è uno scandalo», dice Rahimi, che sarà protagonista della 24.edizione del festival, dal 10 al 17 marzo 2018, a Pordenone. Seguendo questa suggestione, saranno dieci le tappe – fra spettacoli, conversazioni, cinema, musica, arte, libri, percorsi per giovani e famiglie - che si susseguiranno, a Pordenone, in un’intensa settimana gli eventi. Scrittore e cineasta, Rahimi nasce Kabul nel 1962. Nel 1984, dopo l'invasione sovietica, fugge dall'Afghanistan e trova rifugio in Francia, dove ottiene asilo politico e successivamente la cittadinanza. A Parigi completa gli studi conseguendo un master in Cinema e comunicazione audiovisiva. In seguito realizza numerosi spot pubblicitari e diversi documentari tra cui ricordiamo Zaher Shah, le royaume de l'exil (2000), (A)fghanistan: Un Etat impossible? (2002) per la televisione francese. Nel 2000 pubblica Khâkestar o khâk (traduzione italiana Terra e cenere, Einaudi, 2002) che gli conferirà una notorietà internazionale. La trasposizione cinematografica da lui diretta vince il Prix du Regard vers l'Avenir al Festival di Cannes del 2004 ed ottiene altri numerosi riconoscimenti. E proprio (A)fghanistan: un Etat impossible? (52 min.sottotitoli in italiano), sarà proiettato mercoledì 7 marzo, alle 20.45, a Cinemazero (con ingresso libero) nell'ambito delle anteprime di Dedica. Afghanistan significa “terra degli afghani”. Senza la “a”, fghanistan significa “terra di lamenti e di grida”. Gli eventi che si sono succeduti nel corso della storia di questo Paese hanno dato sfortunatamente a questa seconda parola un’accuratezza profetica. Il documentario, costruito da Atiq Rahimi in modo brillante e efficace, alterna filmati d’archivio, interviste a politici influenti e commenti sul destino della propria famiglia, nell’intento di raccontare gli avvenimenti e di riannodare i legami con la propria identità. La serata sarà introdotta da Cristiano Riva, studioso di geopolitica, docente di latino e greco al Liceo “Leopardi-Majorana” di Pordenone. Fra i libri scritti da Rahimi c’è Syngué sabour. Pierre de patience (traduzione italiana: Pietra di pazienza, Einaudi, 2009) che nel 2008 diventa il “caso” letterario dell’anno e gli vale l’assegnazione del prestigioso Premio Goncourt. Un romanzo costruito attorno a uno dei temi di cui Rahimi è portatore, la libertà di espressione della donna, soppressa sia per cause indotte sia per ragioni di arretratezza culturale. Anche da questo libro viene tratto un film di cui Rahimi cura la regia e, insieme a Jean-Claude Carrière, la sceneggiatura. Mercoledì 14 marzo, alle 20.45, sempre con ingresso libero, preceduto da un’introduzione di Riccardo Costantini, avremo il piacere di rivederlo a Cinemazero. Come pietra paziente, con Golshifteh Farahani e Hamid Djavadan, Massi Mrowat, Hassina Burgan Francia, Germania, Afghanistan 2012, 102 min.) è un film bello e importante, con un'interprete straordinaria, Golshifteh Farahani, nel ruolo di una donna che riscopre la sua femminilità negata come simbolo delle privazioni di tutte le donne oppresse nella società maschilista in Afghanistan. Attorno a una Kabul lacerata dalla guerra, la giovane protagonista accudisce il marito – che non l'ha mai ascoltata e degnata di considerazione in vita - e gli confida tutte le sue sofferenze. E attraverso la parola libera il proprio cuore, si apre e riprende coscienza del suo corpo. Per conoscere il programma dettagliato del festival Dedica è possibile visitare il sito www.dedicafestival.it o chiamare il numero 0434-26236. .


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Il cinema a Rotterdam si tinge di rosa

Andrea Crozzoli

IFFR Rotterdam 2018

47ma edizione del primo grande festival cinematografico europeo

Meet the humans of Planet IFFR era questo il motto del 2018 del primo grande festival cinematografico dell'anno. Una grande energia si sprigionava dagli incontri con gli autori, di seminari, dai meeting sulle nuove tecnologie e dalle varie rassegne che componeva l’arti colato festival nei dodici giorni di manifestazione a Rotterdam. Una delle sezioni più frizzanti è stata Bright Future con le sue numerose anteprime mondiali. Una ricognizione sullo stato del nuovo cinema e dei nuovi autori che mai come quest'anno ha visto la presenza di donne regista così numerosa. Donne che marcano fortemente come il sesso debole sia sempre meno debole. Anzi a Rotterdam il cinema si è tinto di rosa! Dietro la macchina da presa le donne regista sono molto più decise ed incisive dei colleghi maschi. Ad esempio Susana Nobre, regista e produttrice portoghese di lunga esperienza, che nel film Ordinary Time (Tempo comun) affronta con delicatezza, ma nel contempo anche con profondità, il ventaglio di cambiamenti psicologici in una coppia all'arrivo di un bambino. Attraverso dialoghi mai banali fra due genitori o con amici, oppure attraverso la quotidianità fatta di situazioni ordinarie, osserviamo l'accurata descrizione della psicologia che cambia. Una regia minuziosa, che si rivela per blocchi narrativi, riesce a dare la giusta compattezza ad un film perfetto nei tempi e nella recitazione. C'è poi la giovane Penny Lane, che non è una via di Londra o la famosa canzone dei Beatles, ma una giovane talentuosa regista americana che ha portato alla sezione Bright Future il suo The Pain of Others, un documentario sulla sindrome di Morgellons, costruito raccogliendo da YouTube le dolorose testimonianze di persone afflitte da questa sindrome. Penny Lane costruisce un'operazione di empatia per una patologia clinicamente non riconosciuta ed accertata dalla medicina ufficiale. Pur non avendo rilevato, la comunità scientifica, alcuna fondatezza nelle teorie del Morgellons e considerando tali manifestazioni come una forma di parassitosi allucinatoria, la regista Penny Lane affronta con grande sensibilità il tema, raccogliendo le testimonianze di tre donne afflitte dal Morgellons e mostrando gli effetti devastanti sui loro corpi. Da un lato un esperimento cinematografico pieno di pathos documentaristico e dall'altro una dimostrazione della potenza di persuasione del cinema nel far apparire come una patologia una semplice, ma in fin dei conti non troppo, parassitosi allucinatoria. È una giovane filmmaker anche Cynthia Chouchair, regista del film libanese Counting Tiles, la quale è scappata, negli anni ottanta, con i genitori dal Libano in guerra verso la Grecia. Ora si ritrova a rivivere quell'esperienza attraversi i nuovi profughi che arrivano nell’isola greca di Lesbos, dove ad accoglierli ci sono anche i Clowns Without Borders che strappano, nel dramma, un sorriso a questa gente che scappa dalla guerra. Soprattutto ai bambini, la parte più debole di questa migrazione forzata. Del gruppo dei Clowns Without Borders fa parte anche la sorella di Cynthia Chouchair, la quale col suo lavoro cerca di creare un rapporto di conoscenza il meno formale possibile con i nuovi arrivati. Ma i protocolli di accoglienza lasciano poco spazio a questa attività. Un'opera classica nella struttura e nello svolgimento, si potrebbe anche dire un teorema ,sviluppato con germanica precisione, ma mai banale, è l'opera prima di Aline Chukwuedo Ella und Nell. Due vecchie amiche


quarantenni si ritrovano dopo molto tempo, per una specie di tuffo nel passato. Decidono di fare una gita fuori Berlino, sui monti verso la Repubblica Ceca, come ai vecchi tempi. Ma il loro rapporto di amicizia, di complicità, non è più quello di un tempo. Con sguardo malinconico ma severo, la regista sembra prendere atto della nuova situazione e non cede a sentimentalismi nel raccontare la fine di quella che era una grande amicizia giovanile. Un film intenso, giocato sui sentimenti perduti e sullo struggente trascorrere inesorabile del tempo. Altro disagio esistenziale anche nell'anteprima mondiale svedese The Heart (Hjärtat) di Fanni Metellius la quale si riserva anche il ruolo di protagonista. È la storia di una giovane fotografa che vive un controverso rapporto amoroso con un altrettanto giovane e affascinante produttore musicale rasta. Le cose, che sembrano inizialmente facili, in realtà si complicano ben presto. Le incertezze esistenziali, l'incapacità di scegliere del giovane rasta si riverberano in un calo della libido. Calo che richiama subito altri fantasmi come la gelosia. Tra un lasciarsi e un ritornare assieme sempre più autodistruttivo, alla fine sarà lei a dire la parola definitiva. A chiudere il rapporto. La Metelius, al suo esordio dietro la macchina da presa nel lungometraggio, definisce subito la sua cifra stilistica incalzante, senza tempi morti, moderna nell'approccio e nello svolgimento. Di tutt'altra specie la prima prova registica della giovane cinese Zeng Zeng che in Impermeance (Yun shui) affronta temi fondamentali come la morte, l'abbandono, il furto. Immergendo il tutto nelle rarefatte atmosfere di un monastero buddista e dintorni. Un monaco si aggira con una borsa piena di soldi, un oste, fresco vedovo, e trafficante a vario titolo, più un padre che ha perduto il figlio. A questo ricco plot dal ritmo molto occidentale, Zeng Zeng contrappone affabulanti scenari cinesi di laghi, vallate e monasteri. Con mano ferma tiene assieme la materia facendo presagire nel futuro una radiosa carriera, non certo semplice però e neppure facile nel mascolino ambiente del cinema cinese. Dalla Danimarca un altro interessante debutto nel lungometraggio con l'anteprima mondiale di The Return di Malene Choi Jensen, una ricerca delle proprie radici che arriva fino al sud della Corea. La Jensen, attingendo alla propria esperienza, narra con originalità ed acutezza il girovagare senza sosta attraverso situazioni originali, divertenti, estranianti. Un ritmo moderno, aiutato da una fantastica colonna sonora. Altro film dal ritmo serrato è quello presentato, sempre in anteprima mondiale, dall'inglese Ewa Banaszkievicz: My Friend the Polish Girl. Il pretesto è la Brexit e la fuoriuscita di una polacca che la regista segue da vicino, con le sue disavventure di aspirante attrice, disposta a tutto pur di emergere nel difficile mondo dello spettacolo. Astutamente la regista sceglie il modulo del finto cinema documentaristico, del cinema di indagine, che ci rimanda con incredibile forza la storia, a volte anche crudele e cinica, di questa ragazza polacca. Il vendere il suo corpo senza pudore pur di avere una parte in un film trasmette, nonostante sia un docufiction, un tasso di verità che non sarebbe riuscito ad avere se la regista avesse scelto il registro della fiction pura e semplice. Il film, vestito da documentario, riesce ad avere un'aderenza alla realtà incredibile che fa spesso dimenticare che si tratta di fiction. Bravissima anche l'attrice Aneta Piotrowska nel costruire questo disarmante personaggio sull'orlo dell'espulsione. Sulle oltre venti anteprime mondiali della sezione Bright Future, quasi la metà vedevano una donna dietro la macchina da presa. Molte per la prima volta e tutte con una nuova ventata di creatività che tocca i più svariati temi. Quello di cui le donne regista sembrano non aver più bisogno è l’affermare con il proprio lavoro l’essere donna. Ciò significa una piena consapevolezza. Il futuro del cinema si tinge quindi di rosa!


Rivive la Germania di Weimar

Lorenzo Codelli

Berlinale 2018

Capolavori sconosciuti in una vasta retrospettiva

«Io sono contro le tasse!», tuona dal pulpito del parlamento il politico Traugott Bellmann, scagliandosi contro l’immoralità, dilagante in particolare nel night club ‘Der Himmel auf Herden’ (Paradiso in Terra). Quella stessa mattina, mentre sta correndo a sposarsi, al neo-eletto presidente della Lega per la Decenza piomba addosso in eredità mezzo milione di marchi, nonché la proprietà dell’aborrito night. A patto però che vada a gestirselo lui, dalle 22 alle 3 del mattino, ogni santa notte. Che satira indiavolata, Der Himmel auf Herden (1927), diretta da Alfred Schirokauer, e prodotta, co-diretta e interpretata da un Reinhold Schünzel in stato d’ebrezza. Non solo il protagonista muta casacca in un battibaleno. Lo vedremo trasformarsi in danseuse dalle trecce bionde grazie a qui pro quo esilaranti che prefigurano A qualcuno piace caldo e Victor Victoria (la cui prima versione venne diretta da Schünzel nel fatidico 1933) (1). Coreografie sexy, scenografie e costumi osés, doppi sensi, ritmi jazz age - agli sgoccioli del muto -, e una visione beatamente goduriosa, yiddish, del cosiddetto “decadimento dei costumi” aborrito dagli armigeri hitleriani. Questa perla costituiva uno dei 28 programmi proposti nella splendida retrospettiva della Berlinale, Weimarer Kino neu gesehen (2), sull’era 1918-1933. Scrive il curatore Rainer Rother: «In quel periodo d'oro del cinema tedesco si sviluppò una varietà di stili, tra essi l'espressionismo e la Nuova oggettività. La divisione del lavoro ispirata ai metodi americani contribuì ad aumentare la professionalità e la specializzazione. Si andava dal cinema d'autore, spesso con la stessa persona nel ruolo di regista e produttore, fino alle grandi opere girate nei teatri di posa dalla massima società cinematografica tedesca, l’Ufa, che puntava ai mercati internazionali. Forme sperimentali quali l'astrazione e il film assoluto facevano parte del cinema dell'era di Weimar alla pari dei drammi proletari e delle operette musicali. Rivedere quei film con occhi nuovi rappresenta un viaggio gratificante in un territorio poco frequentato». Saghe in costume, imprese alpinistiche, pamphlet di denuncia, farse, documentari esotici, tante le pagnotte gradite alle platee. Continua a stupirci la forza espressiva di pellicole anomale, a cavallo tra i generi. Ad esempio Die Carmen von St. Pauli (1928) di Erich Waschnek. Un mélo ambientato nel malfamato quartiere portuale a luci rosse di Amburgo - filmato come un reportage di cronaca - e imperniato su una banda di ladruncoli capeggiata dall’ammaliante Jenny. Jenny Jugo la incarna con movenze e smorfiette degne della Lulu di Louise Brooks. Le tiene fieramente testa Willy Fritsch, il divo teutonico più popolare del ‘900. Mirabili schiere di caratteristi li attorniano. Nel 1931 il critico Rudolf Arnheim in Das Lob der Charge (Encomio degli attori di spalla) osserva che «gli attori di spalla ritraggono le persone come sono in realtà, mentre il protagonista ritrae l’eroe come vorremmo che fosse». Arnheim si riferiva al film Ihre Majestät die Liebe (1931) di Joe May, un’arguta commedia interclassista che deride i nababbi e i loro lacché. Elogiamo Fritz Rasp, furfante brillantissimo in Die Carmen von St.Pauli, e magister vitae fetidissimo in Frühlings Erwachen. Eine Kindertragödie (1929) di Richard Oswald. L’adattamento estremamente contemporaneo del testo teatrale Risveglio di primavera di Frank Wedekind costituisce una condanna impietosa della Weltanschauung prussiana e un lirico inno alla gioventù perduta. Pièce de résistence del ciclo, il dittico da poco restaurato Christian Wahnschaffe, Teil 1: Weltbrand, e Christian Wahnschaffe, Teil 2: Die Flucht aus dem goldenen Kerker (1921). Dal romanzo omonimo di Jakob Wassermann il celebre regista danese Urban Gad trae un’epopea storica di vastissime ambizioni, abbracciando i prodromi insurrezionali repressi nella Russia zarista e le spinte socialiste nei miserabili bassifondi weimariani. Conrad Veidt s’immola, nudo e crudo. Una tra le sue ascesi divistiche più sublimi. (1) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/01/30/schunzel-regista-ebreonella-germania-nazista.html (2) Eccellente il catalogo curato da Karin Herbst-Meßlinger, Rainer Rother, Annika Schaefer, Bertz+Fischer Verlag, Berlino.


A marzo la nuova rassegna dello Young Club sul falso documentario

Il nuovo progetto organizzato dal gruppo di ragazzi di Cinemazero sta finalmente prendendo forma. Lo Young Club, dopo “MUSYC”, torna a cimentarsi nel genere documentario, ma con un’ottica diversa. Al centro di Insoliti sospetti, in programma a marzo, l’antitesi per eccellenza del documentario: il mockumentary. Uno dei primi a sperimentare questo stile è stato uno dei pionieri della settima arte, Orson Welles, che il 30 ottobre 1938 in una trasmissione radiofonica della CBS mise in atto una terribile sceneggiata con al centro un’invasione aliena negli Stati Uniti, dal titolo La guerra dei mondi. Nonostante gli annunci iniziali che specificatamente affermavano che il programma era di pura finzione, molti radioascoltatori credettero veramente che quell’evento fuori dal comune si stava verificando in alcune città americane. Ma il primo grande esperimento cinematografico è senza dubbio l’opera di Peter Watkins The War Game, uscito nel 1965 e che raccontava degli effetti ipotetici di un attacco nucleare in Gran Bretagna. Il film fu presentato a Venezia ottenendo il premio speciale nel 1966 e la vittoria agli Academy Awards nella categoria miglior documentario nel 1967. Questa tecnica stilistica originale e alternativa non si discosta tuttavia dalle intenzioni tipiche del genere, con l’obiettivo di coinvolgere maggiormente lo spettatore verso una riflessione più profonda del tema proposto. La prima serata di Insoliti sospetti si aprirà lunedì 5 marzo alle ore 21, con la presentazione in Quarta Sala dell’opera prima di Alberto Caviglia Pecore in erba, in concorso Orizzonti alla 72° Mostra del Cinema di Venezia e grazie alla quale l’autore romano ha ottenuto la candidatura ai David di Donatello come miglior regista esordiente. Nel 2006 le televisioni nazionali non parlavano d’altro. Non solo c’era la nazionale italiana che conquista dopo 24 anni il mondiale di calcio in Germania contro la Francia, ma tra le notizie in prima pagina c’era l’improvvisa scomparsa di un ragazzo romano, Leonardo Zuliani, noto per le sue costanti battaglie in difesa dei diritti civili. Da mesi il giovane non si è più visto, un fatto che ad un certo punto inizia a preoccupare una buona fetta dell’opinione pubblica nazionale. Migliaia di persone di qualsiasi colore politico ed etnia si dirigono in piazza per esprimere la loro solidarietà, nonostante molti di questi non condividano appieno alcune sue posizioni ideologiche. La libertà di espressione non è mai stata così a rischio, viste le innumerevoli occasioni nelle quali la creatività di Leonardo è stata bloccata dalle continue prese di posizione di esponenti della cultura nazionale. In più alcuni medici psichiatrici sono alla ricerca di una risposta scientifica a questi continui shock che colpiscono il giovane sin da bambino, sotto forma di allergie, allucinazioni o di reazioni psicologiche a suoni e immagini. Il protagonista scopre di essere antisemita, ma non è una questione di cultura o di pensiero. È genetico, una condizione che provoca in Leonardo disturbi nel momento in cui si trova davanti a riferimenti della tradizione ebraica. Questa sua propensione, espressa dalle scritta sui muri, giochi da tavolo, versioni ridotte della Bibbia, viene infatti repressa durante tutta la sua fase di crescita, giudicandolo razzista e brutale rispetto agli ebrei. Ma, come afferma un noto studioso in una scena di Pecore in Erba, “un antisemita è una persona che ama odiare; impedirglielo è come impedirgli di amare”. Il regista Alberto Caviglia, che sarà presente a Cinemazero in occasione della proiezione, offre una riflessione efficace su un tema scivoloso come l’antisemitismo, usando la satira e il nonsense come lente per la comprensione della realtà e delle dinamiche sociali. Insoliti sospetti si trasferirà poi in Mediateca con altri tre mockumentary a partire da mercoledì 14 marzo alle ore 21, proseguendo il suo percorso con la terza serata in programma il 21 marzo, e concludendo il ciclo di proiezioni con l’ultimo lungometraggio il 28 marzo.

Young Club

Insoliti sospetti


Donne, diritti e libertà: l’8 marzo con le scuole al cinema

Manuela Morana

Otto marzo

Due matinée a Sacile e Pordenone per riflettere sul passato, il presente e il futuro delle donne Yazidi

Neda Day, l'associazione pordenonese guidata da Taher Djafarizad e Cinemazero, in collaborazione col Comune di Pordenone - Assessorato all’istruzione e pari opportunità e associazione Odeia, propongono per la Festa della donna un doppio appuntamento mattutino al cinema per studenti e insegnanti. Mercoledì 7 marzo al Cinema Zancanaro di Sacile e giovedì 8 marzo a Cinemazero, in entrambe le sedi con inizio alle ore 10:00, il grande schermo accoglierà due importanti documenti visivi sulla realtà della popolazione degli Yazidi, vittime di un vero e proprio genocidio, che colpisce con crudeltà specialmente donne e bambine. Saranno presentati i film: La festa negata - La voce e il futuro degli Yazidi di Emanuela C. Del Re, unico ed esclusivo documentario in cui gli Yazidi condividono i loro pensieri e valori, offrendo così uno sguardo nel profondo di questa sconosciuta comunità, e The Last Plight di Sargon Saadi, corto documentario sulla crisi umanitaria in Iraq dopo l'orrorifico attacco dell'ISIS a Mosul e Nineveh Plains. 600,000 tra Cristiani, Yazidi e altre minoranze irachene sono state costrette a rifugiarsi nel nord dell'Iraq. Il film esplora cause e soluzioni di un esodo di massa. La matinée, quale preziosa occasione per riflettere sul genocidio e gli stupri ai danni di donne e bambine Yazide, potrà contare sulla partecipazione e sull'intervento di due esperti: Simone Zoppellaro, autore di "Il genocidio degli Yazidi" (Guerini e Associati, 2017) e della dottoressa Azar Mahloojian, scrittrice di origine iraniana e autrice di diversi libri sul tema. Zoppellaro, giornalista ed esperto di Medio Oriente, racconta nel suo libro la storia, la cultura e le tragiche vicende dell’antica minoranza religiosa sterminata dall’Isis. Più volte nel testo ricorre la parola genocidio così come è stato denunciato anche il 16 dicembre del 2015 al Consiglio di Sicurezza dell’Onu da Nadia Murad, scampata a mesi di torture ed abusi. Candidata al Nobel per la pace, descrive nel libro cosa significhi appartenere a una minoranza discriminata nel corso di tutta la sua storia e chiede alle Nazioni Unite una presa di posizione netta: «bisogna, infatti, riconoscere il nostro caso come genocidio, da un punto di vista legale, proteggendo questa comunità che oggi sta scomparendo. La nostra comunità è ora dispersa, distrutta, senza futuro. Ci stiamo estinguendo». La memoria corre al 3 agosto del 2014 quando i combattenti del gruppo terroristico autodefinitosi Stato islamico dell’Iraq piegarono con la violenza la regione del Sinjar, nel nord dell’Iraq, un territorio storicamente abitato dagli Yazidi. Solo in quel giorno 3.100 yazidi furono uccisi, mentre 6.800 vennero rapiti. Uomini costretti a scegliere tra la morte e la conversione, donne e bambini venduti come schiavi. I sopravvissuti vivono per il 90% nei campi profughi, migliaia di donne e bambini sono ancora ridotti in schiavitù. «La nostra unica speranza è la comunità internazionale. Senza il loro aiuto, per noi non c’è nessuna speranza». Azar Mahloojian è una scrittrice e attivista per i diritti umani. Già bibliotecaria all'Università di Teheran, iniziò a subire la persecuzione del regime iraniano nel 1982. Fuggì in Turchia attraverso le montagne e successivamente richiese l'asilo politico in Svezia, dove vive attualmente. Ha scritto 5 libri sul tema dell'esilio. Le matinée a Sacile e Pordenone saranno curate e condotte dai rappresentanti dell'associazione Neda Day. Per partecipare è necessario prenotare scrivendo una mail a didattica@cinemazero.it Giovedì 8 marzo, alle ore 20.45 a Cinemazero, nell’ambito degli appuntamenti del ciclo Aspettando Le Voci dell’Inchiesta serata speciale in occasione della Giornata Internazionale della Donna in collaborazione con Mondovisioni e Associazione Neda Day. La serata vedrà la presenza in sala di numerosi ospiti: Simone Zoppellaro, giornalista (autore de Il genocidio degli Yazidi), Azar Mahloojian (scrittrice e attivista iraniana), Valentina Jamah (testimone Yazida) e Taher Djafarizad (Presidente Associazione Neda Day) che introdurranno la proiezione di Jaha’s Promise di Patrick Farrelly e Kate O’Callaghan (USA/UK/Gambia, 2017, 81’) incentrato sulla storia di Jaha, sottoposta a mutilazione genitale femminile da bambina e portata a 15 anni a New York per sposare un uomo che non aveva mai visto prima che, un decennio più tardi torna in Gambia per guidare una campagna contro la pratica che le ha segnato la vita. Il film sarà preceduto dal corto The Last Plight di Sargon Saadi.


Lignano Sabbiadoro - fino al 25 marzo 2018

MigrArt: l’arte come incontro è un festival culturale che affronta il tema della migrazione e dell’accoglienza attraverso l’approccio diretto ed egalitario dell’arte. Tra le varie iniziative da segnalare il 7 marzo presso il Cinecity di Lignano Sabbiadoro la proiezione del film documentario The New Wild: Life in the Abandoned Lands del regista inglese ma adottato dalla resiliente comunità montana di Dordolla (UD) Christopher Thomson. Una visione poetica sull’inscindibile relazione tra uomo e natura, tra paesaggi in cui la natura domina e altri in cui l’uomo sopravvive. L’8 marzo sempre al Cinecity si svolgerà la serata Festa della donna in prima linea in cui varie donne impegnate socialmente su vari fronti, dal giornalismo di guerra alla fotografia, saranno ospiti all’interno di un ricreato talk show televisivo. Si dialogherà con Giorgia Linardi, Mission Manager dell’organizzazione di soccorso marino Sea Watch, Federica Mameli, fotografa freelance che collabora spesso con Internazionale, Barbara Schiavulli, giornalista di guerra, Micol Sperandio, attivista de La Carovana Artistica e l’attrice Aida Talliente. Info: www.mentilibere.org

LA SCENA DELLE DONNE

Luoghi vari in regione - fino al 24 marzo 2018

La scena delle donne è uno spazio di espressione e di visione riservato al mondo femminile il cui linguaggio, pensiero e creatività non sono ancora abbastanza conosciuti e valorizzati. Spettacoli, incontri e workshop che ruotano intorno al tema del desiderio femminile. Esplorare il desiderio delle donne è una proposta di strategia culturale per contrastare la violenza di genere sostenendo l’affermatività e la forza femminile. Rincorrere i propri sogni e ciò che soddisfa e gratifica non è infatti ancora una naturale propensione delle donne, abituate ad essere oggetto e non soggetto del desiderio ed a disconoscere la propria differenza, rischiando così di incollarsi addosso l’identità maschile intesa come neutra ed universale. Al via quindi uno sguardo sull'altra metà del cielo del desiderio nelle sue coniugazioni dal piacere all'ambizione, al successo e, nella sua negazione, nelle derive della violenza. Info: www.scenadelledonne.it.

PREMIO PORDENONE MUSICA

Pordenone, Teatro Comunale G.Verdi - 30 e 31 marzo 2018

Dal 2015 il Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone ha istituito, in collaborazione con il Comune di Pordenone, il “Premio Pia Baschiera Tallon – Educare alla musica”: un riconoscimento a musicisti, didatti e musicologi che con la loro arte e la loro attività hanno contribuito ad accrescere la passione per la musica fra i giovani talenti e favorito il passaggio generazionale. Oggi, il riconoscimento diventa Premio Pordenone Musica, a sottolineare il valore universale dell’iniziativa che, divenuta con l’edizione 2018 di consolidato respiro internazionale, premia quest’anno una figura di assoluto rilievo e riferimento nel panorama musicale mondiale: Alfred Brendel uno dei più grandi pianisti di sempre, oltre che apprezzato poeta e fine didatta. Tra il 30 e 31 marzo 2018 il Premio Pordenone Musica omaggia il suo vincitore al Teatro Verdi con due prestigiosi eventi pubblici, a cominciare da una speciale lezione-magistrale di Alfred Brendel (venerdì 30 marzo), seguita dalla cerimonia di consegna del Premio che sarà suggellata nella serata di sabato 31 marzo dal concerto della Gustav Mahler Jugendorchester. Il Comune di Pordenone riserverà al Maestro la consegna del Sigillo della Città. Info:www.comunalegiuseppeverdi.it

Domani accadrà ovvero se non si va non si vede

MIGRART FESTIVAL 2018


i film del mese

(Tit. Or.: Finding Your Feet) Un film di Richard Loncraine. Con Imelda Staunton, Timothy Spall, Celia Imrie. Or.: Gran Bretagna, 2017. Durata: 111’

(Tit. Or.: Aus dem Nichts) Un film di Fatih Akin. Un film con Diane Kruger, Denis Moschitto, Johannes Krisch. Or.: Germania , 2017. Durata: 100’

RICOMINCIO DA NOI

LA TERZA ETÀ COME LUOGO DI UNA SECONDA POSSIBILITÀ DI RIChARD lONCRAINe Quando Sandra scopre che suo marito, campione di tennis e di rispettabilità, la tradisce da anni con una presunta amica, cerca rifugio a casa della sorella Elizabeth, detta Bif, che non frequenta da troppo tempo. Bif conduce una vita molto diversa da quella di "Lady" Sandra e cerca di godersi la vecchiaia con gli amici di un corso di ballo. Sandra, inizialmente diffidente e chiusa nel proprio dolore, scoprirà con loro la possibilità di riprendere il controllo della propria vita e dei propri desideri. Avrebbe potuto intitolarsi "Sandra e Charlie", perché in fondo è l'incontro sentimentale tardivo ma mai troppo tra i personaggi di Imelda Staunton e Timothy Spall a tendere il filo su cui cammina, invece il film di Loncraine s'intitola, nella versione originale, "Finding your feet", che significa "rimettersi in piedi" e dunque parla soprattutto della protagonista ma anche di quel coro di personaggi che fa belle le commedie inglesi e che, in questo caso, cerca insieme il proprio passo, fuori e dentro la classe di ballo. Ma i piedi del titolo originale hanno un'altra ragione d'essere, perché funzionano come immagine del cambiamento di Sandra: dapprima scomodamente impettita su scarpe alte, simboli di quel piedistallo sociale fasullo dal quale pensa di poter guardare il resto del mondo dall'alto in basso, man mano ritroverà se stessa in un processo di spoliazione anche letterale, che la vedrà disfarsi del tutto delle scarpe per correre a piedi nudi verso un nuovo inizio. Coming of age autunnale, anziché raccontare il passaggio all'età adulta, Ricomincio da noi racconta il passaggio ad un'età in cui la libertà di scegliere è un valore che non può più essere rimandato. Loncraine si muove bene sul terreno, inevitabile, dei discorsi legati alla malattia e alla morte, e il copione di Nick Moorcroft e Meg Leonard conta qualche battuta memorabile (L'avvenente Jackie parla della fine del suo quinto matrimonio attribuendola alle differenze religiose: "Lui credeva di essere Dio e io non ero d'accordo") [www.mymovies.it]

OlTRe lA NOTTe

AD AMBURGO SCOPPIA UNA BOMBA CHE COLPISCE LA COMUNITÀ TURCO-TEDESCA DI FATIh AkIN Germania. La vita di Katja cambia improvvisamente quando il marito Nuri e il figlio Rocco muoiono a causa di un attentato. La donna cerca di reagire all'evento e trova in Danilo Fava, avvocato amico del marito, il professionista che la sostiene nel corso del processo che vede imputati due giovani coniugi facenti parte di un movimento neonazista. I tempi legali non coincidono però con l'urgenza di fare giustizia che ormai domina Katja. Tra il 2000 e il 2007 in Germania sono stati commessi numerosi assassinii di persone di nazionalità non germanica da parte dell'NSU (Nationalsozialisticher Untergrund) una formazione neonazista che nel 2011 è stata finalmente incriminata con prove. Fino ad allora la tendenza era stata quella di attribuire le uccisioni a problematiche interne alle comunità etniche o alla delinquenza comune. Fatih Akin si ispira a quelle azioni per realizzare un film che intende indubbiamente provocare una discussione. In tempi di terrorismo di matrice islamico-integralista che colpisce in modo assolutamente criminale ci viene ricordato che la guardia va tenuta indubbiamente alta su questo versante ma contemporaneamente non va abbassata su altri fronti. Perché proprio la recrudescenza del terrorismo ha risvegliato gruppi xenofobi che non avevano mai smesso di esistere. Akin è molto attento nel definire il ritratto della sua vittima: ha dei precedenti penali per spaccio di droga ed è un curdo di nazionalità turca. Questo lo libera da un lato dall'apologia dell'innocente (anche se viene sottolineato come il suo recupero alla società fosse stato esemplare) e anche la possibile identificazione tout court con la numerosissima comunità turca in Germania. Di fatto poi la sua protagonista è totalmente teutonica (una Diane Kruger di grande intensità a cui viene finalmente concesso di recitare nella sua lingua madre) ed è su lei e sulla sua sofferenza che si concentra la narrazione. La lunga fase processuale, che occupa la parte centrale del film, la vede subire il pregiudizio di una difesa che ricorre a qualsiasi mezzo per invalidare la sua testimonianza. A chi ama il cinema vengono in mente i nomi di due autori che non è dato sapere se siano conosciuti dal regista amburghese di origini turche: Costa-Gavras e Monicelli. Del primo Akin rivitalizza l'impianto politico che trovava nelle fasi istruttorie e processuali, sia che fossero manipolate da un regime (La confessione) sia che venissero condotte al fine di far trionfare la giustizia (Z - L'orgia del potere), il suo punto di forza. Il Monicelli di Un borghese piccolo piccolo trova invece qui un suo pendant femminile nel bisogno lucido e devastante di avere giustizia. Come il suo Giovanni Vivaldi anche Katja sente covare, per poi svilupparsi dentro di sé, l'urgenza di ottenere quella riparazione al danno subito che sembra sempre più affievolirsi. La vuole con forza e a qualsiasi prezzo. [www.mymovies.it]


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