Cinemazeronotizie ottobre 2013

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mensile di cultura cinematografica

Robert Capa: l’uomo con la macchina da presa Una mostra celebra il più grande fotografo di guerra del mondo

Gli “anni felici” di Daniele Luchetti

Un’intervista esclusiva per il suo ritorno al cinema

Le Giornate del Cinema Muto: 32ma edizione

In programma anche la première mondiale di Too Much Johnson

Collegium: i giovani e il cinema muto

Giovani da tutto il mondo con la passione del cinema muto

A colpi di note: piccoli musicisti crescono

Il 6 ottobre i ragazzi sul palco con un programma tutto “da ridere”

La vita di Abdellatif da Cannes a San Sebastian

13 Ottobre

In arrivo una grande serata in compagnia di Alfred Hitchcock

2013 numero 09 anno XXXIII

Cinemaduepuntozero in 3D per la quarta sala

La vie d’Adèle: champter 1&2 - Genesi di un capolavoro

Scrivere di cinema: le recensioni vincitrici

Doppio premio a pari merito nella sezioni Young Adult e Under25 spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi


In arrivo ad ottobre una grande serata in compagnia con Alfred Hitchcock

Andrea Crozzoli

Editoriale

Cinemaduepuntozero in 3D per la quarta sala Non stiamo dando i numeri come potrebbe sembrare a prima vista dal titolo. Semplicemente, con l’avvento del digitale, vorremmo festeggiare degnamente con il nostro affezionato pubblico questa rivoluzione con una serata speciale dove, per la prima volta, a Cinemazero ci sarà una proiezione in 3D. Per festeggiare da un lato il traguardo del digitale e dall’altro l’inizio del cammino per giungere al più presto al completamento dei lavori per la quarta sala nell’Aula Magna del Centro Studi Terzo Drusin. I tempi cambiano e le strutture devono adeguarsi ai mutamenti. Con questo ulteriore intervento l’Aula Magna sarebbe in grado di offrire alla città una maggiore proposta cinematografica; passare da tre a quattro schermi significa infatti aumentare l'offerta di cinema in città del 25%. Per la serata-evento verrà prevista una proiezione esclusiva in 3D di un capolavoro della storia del cinema, come nostro costume, ovvero Dial M for Murder-Il delitto perfetto di Alfred Hitchcock. Quando nel 1954 uscì in Italia Dial M for MurderIl delitto perfetto, pur girato con la tecnica stereoscopica, fu proiettato solo in due dimensioni e fu comunque un successo. Come riportato nel bellissimo libro Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut, Hitch dichiarò al collega francese «poiché l'impressione del rilievo si percepiva soprattutto nelle riprese dal basso verso l'alto, avevo fatto costruire una buca in modo che la macchina da presa fosse spesso al livello del pavimento». Era chiaramente una scelta che offriva allo spettatore il punto di vista del posto di platea, mentre gli attori rimanevano racchiusi in una specie di universo teatrale. Restaurato e digitalizzato ora per iniziativa della Cineteca di Bologna il 3D gli restituisce la sua grandezza e Dial M for Murder-Il delitto perfetto resta, ancor oggi l'unico, grande film tra quelli in 3D girati in quegli anni. Per questo è il riferimento di tutti gli autori, da Martin Scorsese a Baz Luhrmann, che vogliono confrontarsi con la tecnica stereoscopica. Grande sperimentatore delle nuove tecnologie, Hitchcock non nutriva però troppe speranze sul 3D. Lo usò evitando effetti sensazionali o gratuiti, rendendo gli oggetti protagonisti per l'azione, come nella scena in cui Grace Kelly, con la schiena bloccata sulla scrivania e in camicia da notte, annaspa in cerca di scampo dalle mani che le stringono il collo. In primo piano un paio di forbici che sembrano uscire dallo schermo, prima di venir utilizzate nella schiena dell'aggressore. Hitchcock è sempre un maestro del brivido, anche in 3D, e rivedere sul grande schermo Dial M for MurderIl delitto perfetto in tutte le dimensioni in cui lo aveva concepito, con le forbici che bucano lo schermo per arrivare dritte verso lo spettatore è sicuramente un’emozione unica. A poche settimane dall’uscita del prossimo film di Nicole Kidman, dove interpreta Grace, sarà anche l’occasione per il pubblico e i cinefili di rivedere la vera Grace Kelly sul grande schermo. Un’opportunità soprattutto per i giovani che non hanno mai visto questi film al cinema.

In copertina: Il poster della 32ma edizione del Le Giornate del Cinema Muto in programma dal 5 al 12 ottobre a Pordenone.

cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Ottobre 2013, n. 09 anno XXXIII Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Marianita Santarossa Direzione, redazione, amministrazione P.zza della Motta, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Grafiche Risma Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla Unione Italiana Stampa Periodica


A Villa Manin una mostra sul più grande fotografo di guerra del mondo

Piero Colussi

In occasione dei cento anni della nascita, avvenuta a Budapest il 22 ottobre 1913, Villa Manin di Passariano grazie alla collaborazione con Magnum Photos di Parigi ospita una grande mostra dedicata a Robert Capa “il più grande fotografo di guerra del mondo”. I suoi scatti – realizzati fra il 1932 e il 1954 anno della sua tragica morte – sono oramai entrati di diritto nell’immaginario collettivo e in particolare le sue celeberrime foto scattate in Spagna, in Cina, in Africa, in Europa ed in Indocina che documentano gli orrori della guerra. Non molti, invece, conoscono la sua passione per il cinema e le sue frequentazioni con quel mondo: la sua storia d’amore con Ingrid Bergman, ad esempio, a lungo è rimasta un tesoro da custodire gelosamente. Il primo contatto di Robert Capa con il cinema avviene in Spagna durante la guerra civile allorché girò assieme al cameraman russo Roman Karmen alcune sequenze girate a Madrid del film Espagne 36 (1937) diretto da Jean Paul Le Chanois (nome di battaglia di Jean Paul Dreyfus) e prodotto da Luis Bunuel per “Cine-liberté”. Successivamente tra fine maggio e i primi di giugno del 1937 assieme alla fotografa e compagna di vita Gerda Taro è sul Passo di Navacerrada, lei con la macchina fotografica e lui con una cinepresa Eyemo affidatagli dalla redazione parigina di Time per girare delle riprese da utilizzare per il cinegiornale March of Time. L’obiettivo è quello di documentare il fallito attacco lealista che Ernest Hemingway descriverà successivamente nel suo celebre romanzo Per chi suona la campana. Nel 1938 segue come assistente fotografo il regista Joris Ivens impegnato in Cina a realizzare il documentario I 400 milioni (1938) sulla guerra cino-giapponese. L’esperienza si rivelerà però per Capa molto deludente. Il 6 giugno 1945 incontra a Parigi all’Hotel Ritz Ingrid Bergman impegnata in Europa per intrattenere le truppe alleate. Fra loro nasce una storia d’amore che durerà un paio d’anni. Nei primi mesi del 1946 Ingrid Bergman è a Hollywood sul set di Notorious con Alfred Hitchcock; per poterle stare vicino Capa si accredita come inviato di Life (in realtà si era appena licenziato dalla rivista) per un servizio. Scatta molte foto sul set del film che però Life nonostante le avesse acquistate non pubblicherà. Successivamente Alfred Hitchcock prenderà spunto proprio dalla love story Capa-Bergman per i personaggi de La finestra sul cortile (1954) James Stewart (il fotoreporter freelance) e Grace Kelly (donna dell’alta società).Nel 1946 prende parte come comparsa – fa il domestico egiziano, ma è praticamente irriconoscibile – al film Temptation di Irving Pichel. Sempre in quell’anno segue Ingrid Bergman anche sul set di Arco di Trionfo (1948) di Lewis Milestones come fotografo di scena. Il film uscirà solo due anni dopo e fu un vero fiasco. In quell’anno finisce la sua relazione con Ingrid Bergman. Per cercare di dimenticare parte per due mesi in Turchia dove realizza un documentario per la serie March of Time insieme al cameraman francese Paul Martellière. Il film però sembra essere andato perduto. Sempre nel 1947 fonda assieme a Henri Cartier-Bresson e George Rodger l’Agenzia fotografica Magnum. Stringe una forte amicizia con John Huston e Howard Hawks, quest’ultimo in seguito rivelerà l’intenzione di realizzare un film proprio su Capa. Di ritorno in Europa nel 1948 è in Italia sul set del film di Giuseppe De Santis Riso amaro (1949) dove ha una storia d’amore con una delle attrici che affiancano Silvana Mangano: Doris Dowling. In quell’anno a Parigi – convinto che il futuro oramai è il cinema - fonda la società World Video – cui partecipa anche John Steinbeck - e realizza una serie di 29 film di quindici minuti, dedicati a ritratti di grandi sarti parigini. La serie è lanciata con il titolo Paris, cavalcade of Fashion e verranno presentati negli Stati Uniti fra giugno 1948 e gennaio 1949. L’impresa si rivelerà un fiasco. Anche di questi film non c’è più traccia. Nel 1950 fra ottobre e novembre è in Israele dove realizza per conto dell’United Jewish Appeal (UJA) il documentario di 26’ The Journey dedicato ai sopravvissuti della Shoah che, emigrati nel porto di Haifa, divengono cittadini israeliani. Il film è fortunatamente conservato in Israele presso lo Steven Spielberg Jewish Film Archive. Nella primavera del 1952 è a Cinecittà per realizzare un servizio fotografico sul set dove Jean Renoir sta girando con Anna Magnani La carrozza d’oro. Con John Huston, cui è accomunato dalla stessa passione per il gioco e le corse dei cavalli è prima in Inghilterra sul set del film Moulin Rouge (1952) sulla vita del pittore Henri de Toulose-Lautrec e successivamente in Italia a Ravello per Il tesoro dell’Africa (1953) pellicola interpretata da Humphrey Bogart e Gina Lollobrigida, con Truman Capote collaboratore alla stesura dei dialoghi del film. Nel 1953 grazie all’amicizia con Bogart è sul set de La contessa scalza (1954) dove scatta numerose foto in bianco e nero e a colori ad una bellissima Ava Gardner. Il 25 maggio 1954 muore su una mina in Indocina mentre segue le truppe francesi.

Robert Capa e il cinema

Robert Capa: l’uomo con la macchina da presa


Una storia di famiglia dai toni autobiografici applaudita al Festival di Toronto

Marco Fortunato

Intervista a Daniele Luchetti

Gli anni felici di Daniele Luchetti Nella Roma del 1974 Rossi Stuart è Guido, un artista che vorrebbe essere d'avanguardia, ma si sente intrappolato in una famiglia troppo borghese e invadente. Ramazzotti è Serena, sua moglie, che non ama l'arte ma ama molto l'artista e infatti lo "invade". I loro figli, Dario (Samuel Garofalo) e Paolo (Niccolò Calvagna), 10 e 5 anni, sono i testimoni involontari della loro irresistibile attrazione erotica, dei loro disastri, dei tradimenti, delle loro eterne trattative amorose. Tra happening artistici, colpi di testa, film in super 8, pigre vacanze, design e confessioni, si raccontano gli anni felici – ma che sembravano infelici - di una famiglia che, provando a essere più libera, si ritrova in una prigione senza vie di fuga. Questo, in sintesi, il nuovo film di Daniele Luchetti, romano, classe 1960. Si avvicina al cinema come assistente di Nanni Moretti e sarà proprio la Sacher Film, nel 1988, a produrre il suo primo film Domani accadrà con il quale vince subito il David di Donatello. Tre anni dopo s’impone alla scena internazionale con Il Portaborse – presentato in concorso al Festival di Cannes – con protagonista lo stesso Moretti. Il film diventa un caso cinematografico e sociale anticipando, di fatto, lo scandalo di Mani Pulite e varrà al regista altri 4 David e 3 Ciak D’oro. Nel 2007 gira Mio fratello è figlio unico con Elio Germano e Riccardo Scamarcio e quindi La nostra vita (2010), unico film italiano in concorso sulla Croisette, dove Elio Germano vince il premio come migliore attore protagonista. Abbiamo raggiunto Daniele per chiedergli di darci, in esclusiva, qualche anticipazione di quello che vedremo presto sugli schermi di Cinemazero. D: Daniele, con queste premesse c’è grande attesa per il tuo ritorno in sala con Anni felici, che racconta la “storia mitologica della tua famiglia” come hai dichiarato nel corso della lavorazione del film ... R: In principio l’idea (e il titolo) era quella poi, come spesso accade, il film ha cambiato natura nel corso della sua realizzazione. Si è in parte ridotto l’elemento giocoso – che volevo evocare con il termine “mitologica” – per lasciare spazio a quello narrativo. Ho voluto raccontare un conflitto famigliare nel contesto degli anni Settanta dove lui è un artista e lei un donna che non lavora. Nel titolo ho lasciato però una connotazione ironica. Gli anni che i due protagonisti vivono sono infatti, in prevalenza, ricchi di contrasti e di accesi scontri perciò, dal loro punto di vista, non sono esattamente “felici”. Ma nella realtà questi sono gli anni centrali della loro vita e rappresentano il momento in cui vivono le loro passioni e questo, dal mio punto di vista, è un momento felice perché è autentico. D: Nella tua filmografia hai affrontato spesso il tema della famiglia ma questa volta l’approccio sembra diverso. Quanto c’è di autobiografico in questo lavoro? R: L’impostazione dei personaggi è simile a quella della mia famiglia mentre lo svolgimento dei fatti è molto narrativo perché la vita, quella vera, non ha colpi di scena o meglio, se anche se ci sono, ad essi manca il “tempo narrativo” che è ciò che ho dovuto ricreare. Quindi qualcosa è stato, per così dire, aggiunto, per cercare di dare senso a quello che altrimenti non né avrebbe. Ma anche se i fatti sono, in buona parte, inventati, i sentimenti che essi rappresentano sono assolutamente veri. In particolare il sentimento di frustrazione. Quello dei bambini, che devono assistere alle continue liti dei genitori, quello dell’artista che non si sente realizzato e quello della donna che è al centro di un processo storico di radicale cambiamento di prospettiva della sua figura.


D: È per questo che hai scelto di contestualizzare la storia negli anni Settanta? R: Gli anni Settanta sono stati molto importanti, pensiamo appunto al femminismo e al dibattito sul ruolo della donna. Oggi non ci si interroga quasi più, né su questi temi né sugli esiti che ha avuto quella rivoluzione. Che a mio avviso è fallita, o meglio parzialmente fallita, ma ha avuto il merito di sollevare il problema. Almeno se ne parlava, si discuteva della donna e del ruolo che essa aveva nella società ma anche nella famiglia. Il film vuole raccontare anche questo passaggio, spero con delicatezza e senza ideologia. D: Il vero centro della storia è la coppia. Come hai scelto gli attori protagonisti: Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti? R: La scelta è stata dettata, come faccio sempre, dalle assonanze profonde che li legano ai personaggi che volevo raccontare. Mi hanno colpito per la loro capacità di esprimere calore e verità. Sono due attori che si incastrano enormemente dal punto di vista fisico, sono l’emblema di una coppia destinata ad essere vittima dell’attrazione fisica, sessualmente sembrano nati per stare insieme. E poi sono due attori straordinari. Molto diversi tra loro, tanto Kim Rossi Stuart è razionale, tanto Micaela è istintiva. Mentre lui studia e si prepara per essere pronto a vivere le emozioni del set, lei fa un lavoro più “misterioso”, interiore, ma altrettanto efficace. D: Una domanda che si sono fatti in molti è come mai Anni felici, nonostante l’invito del direttore della Mostra, sia stato presentato al Festival di Toronto invece che a Venezia? R: Non ho assolutamente niente contro Venezia, semplicemente questo è un film molto personale, in cui parlo di me, mi presento “nudo”. E allora ho pensato che se dovevo andare in una spiaggia di nudisti andare in quella frequentata dai miei vicini di casa – come sarebbe stato nel caso di Venezia – mi avrebbe messo molto più in agitazione che andare in una spiaggia di stranieri. Visto che è un lavoro molto personale presentarlo in maniera defilata, tranquilla, senza troppe aspettative mi è sembrato molto più rassicurante proprio per il grande investimento emotivo che ho messo nel film. D: A questo punto non puoi non rivelarci la tua ricetta per vivere “anni felici”? R: (Ride) Bisognerebbe rispondere come ha detto il Papa è cioè che chi non dà ascolto alla propria coscienza, chi la tradisce, commette un peccato contro se stesso. Riconoscere amore e disamore è un dovere che abbiamo prima di tutto nei confronti di noi stessi. Non è facile, ma dobbiamo provarci.


Nel ricco programma del festival anche la première mondiale di Too Much Johnson

Giuliana Puppin

Le Giornate del Cinema Muto

Le Giornate del Cinema Muto 32ma edizione dal 5 al 12 ottobre Annunciata il 7 agosto sul New York Times da un lungo articolo di Dave Kehr (pubblicato su Cinemazero Notizie di settembre nella traduzione di Lorenzo Codelli), ha fatto immediatamente il giro del mondo la notizia del ritrovamento a Pordenone di Too Much Johnson, titolo considerato perduto di Orson Welles, con Joseph Cotten, fortunosamente ritrovato da Cinemazero grazie ad una preziosa segnalazione di Mario Catto. Ora restaurato dalla George Eastman House di Rochester con la collaborazione della Cineteca del Friuli e il sostegno della National Film Preservation Foundation, Too Much Johnson sarà presentato in un’attesissima prima mondiale alla 32a edizione delle Giornate del Cinema Muto, che si svolgerà al Teatro Comunale Giuseppe Verdi dal 5 al 12 ottobre. Di eventi speciali è costellata tutta la settimana, a partire dall’inaugurazione, eccezionalmente con un’opera contemporanea, Blancanieves, libero adattamento della fiaba dei fratelli Grimm firmato dallo spagnolo Pablo Berger, trionfatore all’ultima edizione dei premi Goya (gli Oscar del cinema spagnolo). Con questa presentazione, che precede l’uscita del film nelle sale italiane, le Giornate festeggiano l’universale ondata di revival del cinema muto inaugurata dal premio Oscar The Artist. Atteso a Pordenone, Berger, classe 1963, racconta di aver accarezzato il sogno di fare un film muto fin da quando, venticinquenne, aveva assistito alla proiezione di Greed di Eric von Stroheim accompagnato dall’orchestra con la musica scritta e diretta da Carl Davis. Lo stesso maestro Davis che nella serata finale scenderà nella buca del Verdi per dirigere la FVG Mitteleuropa Orchestra nell’esecuzione della sua nuova partitura per The Freshman (Viva lo sport!), prodotto e interpretato da Harold Lloyd e considerato una delle cento migliori commedie americane di tutti i tempi. L’evento, una prima internazionale, sarà replicato il pomeriggio di domenica 13 ottobre. Un altro momento memorabile sarà la performance del benshi Kataoka Ichiro, carismatica star che prosegue con successo la grande tradizione nipponica dei commentatori e narratori dal vivo per il cinema muto. Mostrando l’ampia gamma espressiva di cui è maestro, Kataoka-san si esibirà non solo con due classici del cinema giapponese, ma anche con The Blacksmith di Buster Keaton.Sul fronte delle retrospettive, ancora una volta gli organizzatori capitanati dal direttore David Robinson sono riusciti a mettere insieme un programma di ampio respiro, realizzato come sempre grazie alla collaborazione degli archivi di tutto il mondo. Dal Messico arrivano i documentari originali della rivoluzione con i suoi eroi Francisco (Pancho) Villa ed Emiliano Zapata. Due rassegne sono dedicate al cinema svedese della seconda metà degli anni Venti e ai film (fra cui tre titoli di Dovzenko) prodotti in Ucraina dal VUFKU, Direttorato foto-cinematografico pan-ucraino che per un breve, magico periodo ha operato indipendentemente dal sistema centrale sovietico. La cineteca di Praga presenta i film cechi con Anny Ondra, destinata a diventare la prima star bionda hitchcockiana, e la Deutsche Kinemathek ci mostra le immagini della Berl ino più povera di inizio '900 nei film di un osservatore sensibile come Gerhard Lamprecht. Completano il cartellone quattro film "canonici" scelti da Paolo Cherchi Usai, fra cui Beggars of Life, con Louise Brooks; animazione targata URSS e USA (il clown Ko-ko e il gatto Felix); nuove affascinanti testimonianze di cinema delle origini e moltissime riscoperte e restauri, con un’intera sezione dedicata all’Italia. Non manca, nel teatro che porta il suo nome, un omaggio a Giuseppe Verdi nel bicentenario della nascita. In un momento di notevoli difficoltà finanziarie corre l’obbligo di ringraziare in modo particolare la banca FriulAdria Crédit Agricole, la Fondazione CRUP e la Camera di Commercio di Pordenone, che hanno confermato fiducia e sostegno alle Giornate; Christie/E-Home e Digitronic di Daniele Strada per la preziosa sponsorizzazione tecnica e l'IRCA di Vendemiano (Gruppo Zoppas Industries), che ha contribuito a finanziare il restauro, alla Filmoteca de la UNAM, dei film della rassegna dedicata al Messico. Info: www.giornatedelcinemamuto.it


Al via la 14ma edizione del seminario rivolto ai giovani dai 19 ai 35 anni

Riccardo Costantini

Vengono da tutto il mondo, selezionati con attenzione nel corso dell’anno, gli studenti del Collegium: giunto alla quattordicesima edizione, il particolare seminario de Le Giornate del Cinema Muto vuole perseguire un obiettivo nobile e originale, quello di suscitare nelle nuove generazioni l’interesse nei confronti della storia e dell’eredità del cinema muto e di avvicinare le nuove leve alla comunità scientifica che si è sviluppata a Pordenone, in trent'anni, attorno al Festival. I 24 giovani (12 per l’anno in corso, 12 riconfermati dall’anno precedente), con un età che va dai 19 ai 35 anni - provenienti quest'anno anche dagli Stati Uniti, dall'India, dal Brasile, dal Messico, dalla Bulgaria, dalla Polonia... - rappresentano le nuove forze di un festival che è stato capace di rinnovarsi nel tempo. Fra loro non solo studenti e dottorandi di cinema, ma anche appassionati di altre arti: architettura, danza, letteratura. Questo perché chi vuole partecipare al Collegium deve prima di tutto motivare curiosità, spirito di ricerca e una passione profonda verso il cinema muto, che può provenire da qualsiasi ambito. Del resto, non si tratta di un tradizionale seminario: in un contesto informale ogni giorno (presso l'Auditorium della Regione da domenica 6 a sabato 12, fra le 13 e le 14.30), il gruppo dei partecipanti (ma gli incontri, sempre affollatissimi, sono aperti anche al pubblico) si ritrova a “dare del tu” agli specialisti, ai critici, a ricercatori di chiara fama, ai curatori di retrospettive e ai responsabili delle principali cineteche del mondo. Proprio per la loro natura dinamica e frizzante, gli incontri prendono il nome di “dialoghi”. Anche quest'anno, per la sesta edizione, verrà assegnato il Premio FriulAdria Collegium, che consiste in 500 euro che vanno per ogni edizione all'autore del miglior "Collegium paper", un saggio caratterizzato da un’impostazione non convenzionale, libero dai formalismi stringenti di molte ricerche di stampo universitario, che il collegiale scriverà a fine festival e frutto dell’esclusiva possibilità di vivere nella “comunità del cinema muto” per un’intensa settimana. I premiati delle prime cinque edizioni hanno poi sempre brillato nei contesti lavorativi e di ricerca in cui si IL PROGRAMMA DEI DIALOGHI 2013 sono trovati successivamente ad operare, Domenica 6 | Le Giornate 2013: segno della bontà della selezione fatta per il Il programma e la sua preparazione; “Premio FriulAdria Collegium”, che ha nella metodi e problemi della presentazione valorizzazione dell'eccellenza il suo tratto dei film muti distintivo. Il premio verrà consegnato lunedì 7 ottobre alle 20.30, in una cerimonia uffiLunedì 7 | Gerhardt Lamprecht: Il cinema ciale sul palco del Teatro Verdi, poco prima è la vita/La vita è il cinema di una serata fondamentale del festival, tutta dedicata alla diva Anny Ondra e, proMartedì 8 | L’animazione, il nucleo origiprio in relazione alla valorizzazione dei nale del cinema talenti giovanili, anticipando la proiezione del muto contemporaneo THE MUSIC Mercoledì 9 | La grande fuga Il grande LOVERS (2013) realizzato dal giovane filmesperimento: Il cinema ucraino alla fine maker italiano Matteo Bernardini. degli anni Venti All'insegna della multimedialità. Tutti i paper realizzati durante l'anno dai vari colleGiovedì 10 | Documentare la storia del giali vengono poi raccolti in una particolare cinema – Conversazione con i grandi pubblicazione on-line in lingua inglese, sfomaestri: Gideon Bachmann gliabile, scaricabile e leggibile da ovunque. Nuovi saggi, freschi e impostati con spirito Venerdì 11 | “Narratori cinematografici” di ricerca giovane che diventano disponibili Incontro con il benshi Ichiro Kataoka per la grande comunità degli studiosi internazionali.

Collegium e dintorni

Giovani con la passione per il cinema muto


Domenica 6 ottobre i ragazzi sul palco con un programma tutto “da ridere”

A colpi di note: piccoli musicisti crescono

I MATINEE DEL CINEMA MUTO

Manuela Morana

A colpi di note

BIGLIETTO UNICO A STUDENTE PER OGNI MATINéE € 3,00. PRENOTAZIONI MEDIATECA CINEMAZERO 0434520945 E-MAIL DIDATTICA@CINEMAZERO.IT

Ritrovarsi sul palcoscenico, di fronte al pubblico, Lunedì 7 | Ore 11:00 The Wizard Of Oz sotto ai riflettori de Le Giornate del Cinema Muto. di Larry Semon (1925) E' l'avventura che anche quest'anno l'orchestra Accompagnamento musicale del vivo del di piccoli musicisti delle scuole della provincia di pianista Ian Mistrorigo Pordenone vivrà grazie al progetto A colpi di note, approdato a quota sette con la collaboraMartedì 8 | Ore 11:00 The Adventures Of zione tra la Mediateca di Cinemazero, l'Istituto Prince Achmed di Lotte Reiniger (1926) Comprensivo Pordenone Centro, la Scuola Accompagnamento musicale del vivo del “Leonardo Da Vinci” di Cordenons e la 32a edipianista Ian Mistrorigo zione della kermesse dedicata al cinema delle origini. Mercoledì 9 | Ore 9:00 Charlie Chaplin, Attesa con la trepidazione che si confa ai grandi Harold Lloyd & Buster Keaton: eventi, l'esibizione live firmata A colpi di note tre maschere della risata avrà luogo al Teatro Verdi domenica 6 ottobre The Champion di e con alle ore 16:00 con ingresso libero. Sotto la solerCharlie Chaplin (1915) te e appassionata guida delle professoresse I Do di Hal Roach con Harold Lloyd (1921) Maria Luisa Sogaro, coordinatrice dell’orchestra One Week di Edward F. Cline, Buster pordenonese e anima del progetto fin dalla sua Keaton con Buster Keaton (1920) nascita, e Emanuela Gobbo, coordinatrice dell’orAccompagnamento musicale del vivo del chestra di Cordenons, i piccoli musicisti di A colpi pianista John Sweeny di note mostreranno al pubblico internazionale de Le Giornate il risultato di un lungo e intenso percorso di rimusicazione dal vivo di un film. Il progetto ha avuto inizio nel dicembre del 2012 con lezioni teoriche preparatorie sul cinema muto e, in particolare, sul commento sonoro dei film a carattere comico. Tra i docenti saliti in cattedra nel corso di uno dei laboratori di punta dell’intera offerta formativa di Cinemazero ricordiamo Manlio Piva, Rudy Zugno, Silvia Moras e Denis Pinese. Nel gennaio del 2013 i giovani musicisti sono entrati nel vivo dell'attività laboratoriale, sperimentando l’esecuzione di brani originali e spingendosi nel territorio ricco di sorprese e colpi di scena della rielaborazione e improvvisazione. Per la settima edizione di A colpi di note la parola d'ordine è “ridere”! Ecco perché la scelta è caduta sui grandi capolavori della comicità delle origini e in particolare sulle comedy shorts con protagoniste Le simpatiche canaglie, The little Rascals. Di questa serie, creata nel 1922 da Hal Roach, ma nota in Italia nella versione sonora degli anni ’40, la scuola di Pordenone ha scelto il folle film Crazy House mentre quella di Cordenons ha puntato tutto sul diciassettesimo della serie No Noise che, contrariamente al titolo, è uno dei più fragorosi dell'intera avventura delle simpatiche canaglie. Tra valzer, polke ed entusiasmanti incursioni nel jazz e nello swing, l'orchestra di piccoli musicisti di A colpi di note farà rivivere sul grande schermo gag, marachelle e scherzi della gang più vivace e birichina della storia del cinema. Ma non solo. L'esibizione di domenica 6 ottobre sarà anche l'occasione speciale per riservare un omaggio affettuoso alla dolcissima attrice Jean Darling, Lady presenza costante e spiritosa alle proiezioni de Le Giornate del Cinema Muto e nota nella storia del cinema come protagonista degli impareggiabili Little Rascals. Ricordiamo che il progetto A colpi di note è reso possibile anche grazie alla Regione Friuli Venezia Giulia che col suo contributo ha accresciuto e migliorato la dotazione strumentale dell'orchestra di giovani musicisti.


La vie d’Adèle - Châpitres 1 & 2: genesi di un capolavoro

(*) Kechiche si riferisce poco elegantemente al fatto che Léa Seydoux discende notoriamente da due ricche dinastie protestanti francesi, i Seydoux, proprietari dell’impero Pathé da parte di padre, e i petrolieri Schlumberger da parte di madre.

Lorenzo Codelli

A film straordinario, in tutti i sessi, pardon, i sensi, polemiche straordinarie, in tutti i... dissensi! Abdellatif Kechiche, il regista franco-tunisino autore di quattro originalissimi film – dal brillante La schivata al poderoso Venere nera –, ha portato a Cannes un montaggio provvisorio di 179 minuti del suo quinto film. Il quale s’intitolava, fino a pochi giorni prima del festival, Le bleu est une couleur chaude / Blue Is the Warmest Colour, esattamente come la graphic novel di Julie March pubblicata nel 2010 a cui liberamente s’ispirava. Racconta Thierry Frémaux, direttore di Cannes, che ha accettato, non certo per la prima volta, la scommessa d’un film “incompiuto”: “Kechiche fa parte dei grandi cineasti-montatori, come Terrence Malick e Wong Kar Wai. Dispongono d’una quantità folle di rush, quindi riscrivono interamente i film al montaggio. Come i pittori, ritoccano le tele fino all’ultimo, aggiungendo qui una punta di blu, levando lì una sfumatura di rosso”. Appare ex abrupto sull’immenso schermo dell’Auditorium Lumière, gremitissimo, un titolo da romanzo: La vie d’Adèle - Châpitres 1 & 2. Nessun altro credit, né in testa né in coda al film, segno evidente che ci troviamo di fronte a un assemblaggio di sequenze ancora umido di Avid (la moviola elettronica). E che sequenze! Non le descriveremo qui, a cinque mesi da quella folgorante proiezione, certi che ciò che stiamo per rivedere al cinema, sia in Francia che in Italia e altrove, sarà un montaggio diverso, forse ancora più sfolgorante, del capolavoro. Al Festival di San Sebastián a settembre, ove ha ricevuto il Prix FIPRESCI per il miglior film del 2013, Kechiche (foto accanto) ha introdotto a mezzanotte, applauditissimo, la première della versione definitiva del film, che ora dura 175'. Limitiamoci a riferire in sintesi il caos scoppiato dopo che Steven Spielberg aveva consegnato sul palco la Palma d’oro a tre cineasti contemporaneamente – caso unico negli annali –, cioè al regista Kechiche e alle sue due memorabilissime interpreti, la semi-esordiente Adele Exarchopoulos, e la già affermata Léa Seydoux (presente anche nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2013 con Grand Central di Rebecca Zlotowski). I tre si baciano e si abbracciano in diretta TV. Il regista dichiara alla stampa che intende girare i capitoli successivi della sua “Vie de Adèle”, guardando soddisfatto la sua Exarchopoulos. Ovazioni internazionali, contratti di vendita firmati con 60 Paesi. Contemporaneamente garanzie, forse un po’ naif, da parte di Spielberg che il film sicuramente sarebbe uscito intonso nelle sale statunitensi. Idem in Tunisia da parte delle autorità tunisine, forse un po’ prese alla sprovvista. “Kechiche un tiranno come gli altri”, titola il 1 giugno Le Monde, riportando le accuse dei tecnici che hanno collaborato al film, i quali parlano di sfruttamento (11 ore di lavoro al giorno pagate 8), di convocazioni notturne sul set, di “comportamenti che sfiorano il logorio morale”, di licenziamenti abusivi. Kechiche aveva accumulato 750 ore di rush e si è scannato in postproduzione per cinque mesi. Libération scrive che “la caméra di Kechiche ha sublimato le due attrici ma al prezzo di innumerevoli crisi di nervi e di un numero incalcolabile di scene di sesso ben poco simulato, che per gran parte non compaiono più nel film”. Trascorse le ferie, riesplodono le diatribe. Su Télérama, Léa Seydoux dichiara: “Abbiamo scoperto il film a Cannes. Sono uscita con la certezza che Kechiche fosse un genio, però non ha scusanti: non credo che l’esito artistico giustifichi qualunque cosa, né che il film sia il risultato delle pene inflitte durante la fabbricazione. Ha conservato del resto appena il 5% di quel che avevamo girato, e ha scelto di rendere il racconto più calmo, meno violento (...) La scena di sesso non l’abbiamo girata in un giorno, bensì per dieci giorni! (...) In nessun altro mestiere sarebbe accettabile ciò che abbiamo subito. In Francia, il regista è strapotente”. E Adèle Exarchopoulos aggiunge: “Non avevo molta esperienza, e sul set ho capito che lui voleva davvero che gli concedessimo tutto!”. Chi desidera particolari più “hard”, veda il reportage “L’«horrible» tournage du film de Kechiche”, Le Monde 4/09/2013. Al Festival di Telluride agli inizi di settembre, Seydoux giura che non lavorerà “mai più” con Kechiche, e Exarchopoulos “probabilmente mai più”. Kechiche da Los Angeles, ove sta preparando la campagna del film per gli Oscar – resa impervia dal suo rifiuto di autocensurare il film negli USA e dal conseguente divieto ai minori di 17 anni, oltre al fatto che la Francia, incredibile!, ha preferito candidare l’accademico Renoir di Gilles Bourdos – replica: “Non si viene qui a promuovere un film se si hanno problemi con la realtà. Se Léa non fosse nata nella bambagia (*) non avrebbe mai detto cose del genere. Léa non era capace di entrare nel ruolo, ho allungato le riprese per lei”.

La vita di Adele

La vita di Abdellatif da Cannes a San Sebastián


Doppio premio a pari merito nelle sezioni Young Adult e Under 25

Scrivere di Cinema

Scrivere di Cinema: le recensioni vincitrici Ecco le recensioni che, giovedì 19 settembre scorso, sono state premiate nel corso della cerimonia finale del 11ma edizione del concorso Scrivere di Cinema. LA LEGGENDA DI KASPAR HAUSER di Renato Loriga- Roma (SEZIONE UNDER 25) Kaspar Hauser è un corpo alieno, comparso dal nulla, incomprensibile. Allo stesso modo, il regista Davide Manuli è un alieno nel panorama cinematografico italiano. Il corpo androgino e pansessuale di Kaspar Hauser rappresenta contemporaneamente il tutto e il niente, il femminile e il maschile, la stasi e il movimento. Il corpo galleggiante, sporco di sale, moribondo richiama lo stesso cinema italiano, anch’esso alla deriva da troppo tempo, gonfio d’acqua e impossibilitato a muoversi. Osservato, sezionato, messo in gabbia, venerato. Come un moderno mostro di Frankenstein, il cadavere immobile viene scosso alla vita attraverso la musica elettronica. Hanno inizio gli spasmi che scuotono la carne, operazione necrofila ma necessaria. Il cinema italiano torna quindi alla vita insieme al corpo di Kaspar Hauser, scosso da convulsioni incessanti. Perché ciò che è mancato da troppo tempo nel panorama italico è proprio la corporeità, e nel film di Manuli tutto è movimento, tutto è corpo. Ammassi di tendini, nervi, muscoli, tutti protesi spasmodici verso il futuro. Come un Prometeo ancor più moderno, Kaspar Hauser porta con sé la vibrazione infinita dell’essere, scuote un paesaggio mortalmente statico. Ognuno porta il proprio nome addosso, cucito sui vestiti o impresso sulla pelle, perché il corpo si fa veicolo di ogni cosa. La leggenda di Kaspar Hauser è un film che imbeve il cinema italiano di nuova linfa, creando una pulsione vitale continua. È un film che vive innanzitutto di sensazioni, che trapassa nell’immediato il corpo dello spettatore e lo avvolge. La narrazione viene abbandonata in favore del connubio sensoriale fra suono e immagini. Le parole incessanti, sfinite, acquose come il mare da cui proviene Kaspar Hauser, diventano schiuma. La ripetizione incessante toglie significato al parlato per lasciare posto al suono puro, alla vibrazione che si fa strada nei pori di chi ascolta. E proprio perché tutto e movimento, l’occhio di Manuli non ha bisogno di tecnicismi, ma preferisce stare fermo, seguire i corpi in silenzio, senza chiudere le palpebre. Il risultato è una stasi dinamica, un’apocalisse silenziosa che scuote tutto ciò che incontra. Il rifiuto della storia e della comprensione rendono lo stesso film un corpo alieno che non sembra intenzionato a compromettere il suo essere in favore di un qualsivoglia gusto comune. Non resta altro da fare che lasciarsi infondere la febbre del movimento e iniziare a torcere gli arti, a seguire le vibrazioni, alzarsi dalle poltrone e abbandonarsi, non importa a cosa. DJANGO UNCHAINED di Andrea Miele – Treviglio (Mi) (SEZIONE UNDER 25) I piani americani, in un western, sono chiaro presagio di morte: possono acuire la tensione di un duello imminente, oppure farci capire che è una pessima idea negare la stretta di mano a Calvin Candie. L'affare è quasi concluso, manca solo una semplice formalità tra gentiluomini. Eppure il dottor Schultz desiste a farsi convincere, mettendo a dura prova la pazienza del padrone di casa e i nervi dei presenti. Infine, con un ampio sorriso e un velo di sarcasmo, cede alle insistenze. I pochi passi compiuti verso Monsieur Candie bastano a scandire la marcia funebre. Schultz non avrà una vistosa pistola nella fondina, tuttavia sappiamo quale asso nasconde nella manica. Con un colpo al cuore sparato a bruciapelo dà il via al bagno di sangue. “Django Unchained” riassume alla perfezione i recenti esperimenti di Tarantino. Sarà la crisi creativa post “Kill Bill” ad averlo spinto a esplorare appieno questa nuova strada, dato che già in “Bastardi senza gloria” la suspance era retta da dilatazione dei dialoghi e successiva furia dell'azione. Ma il risultato finale vale il gioco della padronanza tecnica? In fondo “Django” è ben lontano dall'omaggio al western all'italiana. Anzi, pare più la storia di un servitore della legge infiltrato nella Triade dei 'rednecks'. Normandia '44 o '1858 - due anni prima della guerra civile' per il regista poco importa: sotto il cappello del cowboy nasconde, come sempre, le lezioni narrative delle crime novels e del cinema orientale. La mano minacciosa di Leonardo Di Caprio è circondata da mura e verbosità alla Elmore Leonard, mentre la carneficina è l'ennesima, compiaciuta prova di virtuosismo made in Hong Kong (con buona pace dei grandi silenzi e spazi leoniani, o violenza anarchica degli 'spaghetti'). Forse per Tarantino l'ovest è stato conquistato fino all'ultimo arbusto, e il solo modo di dare linfa vitale al genere americano per antonomasia è cucirgli addosso il linguaggio del gemello siamese (presente fin dai tempi delle “Iene”), con poliziotti e gangster mascherati da latifondisti e cacciatori di taglie. Non soddisfatto, sulla soglia delle tre ore distrugge tutto, persino sé stesso. Sopra le macerie della devastazione erge fiero lo schiavo redento, ma non risparmia nemmeno la


beffa finale da intrattenitore navigato. Il tema principale di “Lo chiamavano Trinità” sigla la presa di distanza nei confronti di qualsiasi epica, crepuscolare o nichilista. Per Tarantino dubbi, incertezze e amare sconfitte non trovano spazio; anzi, preferisce sfruttare i consueti marchi di fabbrica (la caccia alla citazione, l'eccellente direzione degli attori) e tendere il cappio quanto basta a trovare l'ispirazione per il prossimo (già attesissimo) film. Sceglie di firmare un western illuminato dall’aurora. Al termine dell’avventura l'eroe e la sua amata cavalcano al termine della notte. Non più in direzione del tramonto, ma verso un’alba imminente. SKYFALL di Antonio Canzoniere - Catanzaro (SEZIONE YOUNG ADULT) E' ormai risaputo che Ian Fleming avesse creato James Bond basandosi sui suoi più accattivanti spunti autobiografici: la vita lussuosa, i viaggi, le donne, i cocktail e i vini più pregiati. Se avesse potuto seguire la serie di Bond in tutti questi anni, fatti di successi, splendori, virtuosismi e rovinose scivolate nell'auto-parodia, non sarebbe stato difficile per lui paragonare la serie ad un'annata delle più belle della sua "cantina". Ma se ogni buon vino che si rispetti migliora invecchiando, il più famoso servitore di Sua Maestà Britannica va avanti alla maniera di Benjamin Button: da "gigolò" stanchi e per niente convincenti si passa ad un protagonista con più ombre che luci, amatore fragile, sensibile, tagliente e killer inesorabile; i vecchi cattivi così improbabili sono stati sostituiti da terroristi elettronici sadici segnati da traumi edipici; i personaggi più opachi, tra cui Sévérine, Moneypenny e Q, elevati a figure chiave dotate di savoir faire. Sam Mendes, maestro del dramma psicologico, si è affidato al superbo John Logan, già sceneggiatore di Sweeney Todd e Il gladiatore, per rendere al meglio nello scavo dei comportamenti e dei segreti intrisi nella storia, ricevendo gli aspetti più fulgidi da Fleming, il cinema d'azione hollywoodiano e il racconto gotico, quest'ultimo reso alla perfezione nell'ultima parte in Scozia, dove la vecchia tenuta Bond diventa un teatro epico di ricordi e impulsi primordiali stile Cime Tempestose, ancor più esplosivi della dinamite che distrugge il villino atavico, la cui disintegrazione, poco prima della morte del rivale, diventa lo sfogo dell'interiorità del protagonista e dei suoi più incandescenti risvolti (con sfumature alla Fassbinder e Siegel). Figurativamente splendido, grazie alle scenografie di Dennis Gassner e la fotografia di Roger Deakins, uno dei migliori aiutanti dei Coen, funzionale agli intenti della storia e dello sguardo dell'autore, riflesso sul lato musicale dalla colonna sonora di Thomas Newman e la canzone di Adele, meritatasi l'Oscar. Ma più che un album di immagini e una mostra esemplare quanto sovversiva degli stereotipi di un genere, è un dramma interiore accattivante e sensuale con attori magnifici, che chiude un'era di svogliati blockbusters per aprire una stagione di grande stile. NELLA CASA Alessandro Di Filippo - Salerno (SEZIONE YOUNG ADULT) Caos! E' il fine magmatico che anima il cinema di Ozon sin dagli esordi: dal grottesco Sitcom all'esplosivo Otto donne e un mistero, il regista parigino ha sempre coltivato un ispirato feticismo intellettuale per la lacerazione degli equilibri, la destabilizzazione del quotidiano e la caricatura dell'ordinario, o meglio di chi si sforza affannosamente di apparire tale. E la sua ultima fatica rivela una raggiunta maturità stilistica nella sagace contaminazione di generi (commedia e noir, satira sociologica e melò) con cui - attingendo liberamente alla pièce teatrale El chico di Juan Mayorga - sviscera la “gestazione” dell'arte, il rapporto mutuale e biunivoco tra processo creativo ed idea, da cui emerge la superiorità dell'intreccio sulla fabula, della narrazione sull'ispirazione. La vita di Germaine (F. Luchini), docente di letteratura e scrittore mancato, sconsolato dall'inarrestabile decadimento dei suoi alunni, acritici e viziati figli di una generazione di genitori che ha venduto i propri -illusori!- ideali per una sporca manciata di edonismo e consumismo, si ravviva quando legge l'elaborato del sedicenne Claude (E. Umhauer): il sottile - a tratti ripugnante - sarcasmo con cui il ragazzo descrive un weekend “nella casa” dell'amico Raphà, deformandone morbosamente quegli aspetti più tipicamente borghesi (bersaglio prediletto del cineasta francese), e il “continua” con cui conclude il tema solleticano la pruriginosa (e altrettanto borghese) curiosità del professore, che - con la complicità voyeuristica di una moglie annoiata (la sublime K.S.Thomas) - non esiterà ad incitare le fantasie del ragazzo. Claude, da sapiente e cinico demiurgo, muoverà così le fila degli abitanti della maison in un hitchcockiano valzer di segreti e perversioni che oscilla tra realtà e finzione i cui confini, come ombre, si fanno sempre più labili in nome della loro sintesi, il realismo: il vissuto diviene così fonte d'ispirazione al servizio della fantasia dell'artista, che ne deturpa i connotati per denudarne la sostanza più pura, e per questo grottesca e patetica, altrimenti sopita sotto le apparenze. Ciò che nelle prime scene ci pare indiscutibilmente reale perde progressivamente di veridicità quanto più la narrazione di Claude diviene autodiegetica e, al contempo, manipolata dalle aspettative di Germaine: se l'intervento sempre più opprimente dello scrittore nei fatti romanzati svela l'intessitura artificiosa di cui bisogna servirsi se si intende adescare il lettore, l'ingerenza del professore si fa metafora del compromesso (spesso sgradito, e qui squilla forte la denuncia del regista) a cui l'artista deve soggiacere (verso editori o produttori). Non ripudiando mai la vivace dimensione teatrale dell'opera e servendosi di dialoghi pungenti e ricchi di rimandi cinematografici (Allen e Pasolini su tutti), è proprio nella classica casa borghese che Ozon dimostra il suo primordiale teorema: un buon narratore troverà sempre una storia da raccontare.


GRADO GIALLO 2013

Domani accadrà ovvero se non si va non si vede

Grado, dal 4 al 6 ottobre 2013

I generi del mistero e i media è il tema della 6^ edizione del Festival letterario Grado Giallo, che metterà a confronto specialisti del settore della comunicazione con autori e studiosi del genere giallo. Tra le novità il workshop di Crime Writing, ovvero un laboratorio per aspiranti giallisti per imparare a scrivere una crime story. Docenti Franco Forte (direttore editoriale del Giallo Mondadori) e, per le indicazioni di criminologia applicata alla scrittura creativa,un pool delle migliori teste criminologiche italiane, ovvero Simone Montaldo, Armando Palmegiani e Alessandro Gamba. Con i nuovi libri in uscita ci saranno Al Custerlina, Roberto Riccardi, Roberto Costantini, per il cinema interverrà Biagio Proietti e Federico Zampaglione, Cinzia Tani parlerà di femminicidi mentre Salvatore Nigro delle indagini di Montalbano. Appuntamenti speciali per i bambini sull'autobus del giallo e, per i ragazzi, l'incontro con il matematico Paolo Zellini. Info: www.gradogiallo.it

SCIENZARTAMBIENTE – PER UN MONDO DI PACE Pordenone, dal 16 al 20 ottobre 2013

La XVII edizione di Scienzartambiente – per un mondo di pace si chiamerà Mondi in Muta raccontando in modo accessibile a tutti scienza e innovazione. Cinque giorni per costruire un “Kit di sopravvivenza civile” in mondi che mutano: 46 ospiti per anteprime editoriali, incontri, laboratori, seminari, visite guidate, mostre interattive e multivisioni in 9 luoghi della città e molto altro per tutti i gusti, età e provenienza. In particolare, per gli appassionati di cinema, venerdì 18 ottobre presso il Convento di San Francesco (ore 18.00) ci sarà la proiezione del film documentario Unwired- Il mondo in casa di Nicole Leghissa alla presenza del regista e di uno dei protagonisti: Carlo Fonda del Science Dissemination Unit di ICTP “Abdus Salam“. Il film narra di Marco, Ermanno e Carlo che si arrampicano su alte torri per fissare antenne wifi a basso costo, spesso costruite con materiali di scarto e di riciclo. Il loro obbiettivo è rendere la comunicazione possibile tra ospedali e villaggi isolati in Africa, tra isole remote delle Galapagos, tra paesini dispersi nelle Ande venezuelane, tra università del sud del mondo e biblioteche scientifiche del nord, tra scuole e centri di ricerca nell’Asia ancora dimenticata. Info: www.comune.pordenone.it/it/eventi/scienzartambiente

FESTIVAL DEL CINEMA LATINO AMERICANO Trieste, dal 19 al 27 ottobre 2013

Animazione, documentari, lungometraggi, cinema spagnolo (Salón España), tutto nelle tre sale che ospitano quest’anno il Festival: il prestigioso Museo Revoltella a cui si affiancano il Teatro dei Fabbri e il Circolo Culturale Knulp. Numerose, come ogni anno, le sezioni previste, nelle quali si articola il ricco programma della manifestazione, vera e propria finestra tradizionalmente aperta all’intero mondo dell’audiovisivo proveniente dal subcontinente americano. Alle consuete sezioni competitive (Concorso Ufficiale, aperto ad opere di recente produzione, inedite in Italia, e Contemporanea Concorso, miscellanea di opere inedite, prodotte in vari formati, specchio dello straordinario panorama audiovisivo offerto dalle produzioni latinoamericane), si sommano ulteriori importanti occasioni di incontro con il cinema latino-americano. Info: www.cinelatinotrieste.org

TRIESTE SCIENCE+FICTION - FESTIVAL DELLA FANTASCIENZA

Trieste, dal 30 ottobre al 3 novembre 2013

Trieste Science+Fiction - Festival Internazionale della Fantascienza, dedicato all'esplorazione dei mondi del fantastico, dei linguaggi sperimentali e delle nuove tecnologie nelle produzioni di cinema, televisione, arti visive e dello spettacolo si svolgerà a Trieste dal 30 ottobre al 3 novembre alla Sala Tripcovich e alla Casa del Cinema. Il cinema sarà come sempre il cuore della kermesse, con prestigiose anteprime nazionali e internazionali delle migliori produzioni nel genere science fiction, fantasy e horror. La selezione ufficiale di Trieste Science+Fiction esplorerà il territorio con tre concorsi internazionali. Filmakers indipendenti da tutto il mondo si contenderanno il Premio Asteroide per il miglior lungometraggio di fantascienza; la competizione europea per il Premio Méliès d'Argento al miglior film fantastico e al miglior cortometraggio è organizzata in collaborazione con la European Fantastic Film Festivals Federation; gli spettatori del festival saranno inoltre coinvolti nell'ormai tradizionale assegnazione del Premio del pubblico. Immancabili gli incontri, suggellati dal Premio Nocturno Nuove Visioni per registi emergenti, dal tradizionale Premio alla Carriera Urania d'Argento a un grande artista nel panorama del fantastico, e dalle Masterclass organizzate con l'Università di Trieste. Info: www.sciencefictionfestival.org


CRONACA DI UNA MORTE PROVOCATA

DIANA - LA STORIA SEGRETA DI LADY D.

DI PAUL OLIVER HIRSCHBIEGEL Tre lustri sono passati dall'incidente (mortale) che fermò il mondo in un lutto collettivo. Era il 31 agosto del 1997 quando la Principessa Diana e il fidanzato Dodi Fayed persero la vita a Parigi, dopo che l'auto sulla quale viaggiavano andò a schiantarsi sotto il ponte dell'Alma. In definitiva è strano che Hollywood abbia lasciato decantare la storia per quindici anni prima di decidere di portarla sugli schermi. La storia parte dal racconto dell'affaire tra la Principessa Diana Spencer e un medico pakistano, il dottor Hasnat Kahn, che lei incontrò nel '95, quando si recò a far visita ad un suo amico che aveva appena subito un intervento chirurgico al cuore. Nel 2008 Kahn parlò pubblicamente della sua storia con la Principessa, aggiungendo che le intenzioni di Diana erano talmente serie che lei sembrava in procinto di convertirsi all'Islam. Alle rivelazioni di Kahn, fecero seguito quelle di Paul Burrell, segretario di Diana, il quale confermò che il medico pakistano era stato il vero amore della Principessa, e che Dodi Al Fayed era stato solo un pretesto per farlo ingelosire..

UN RITRATTO FEMMINILE DI STUPEFACENTE ONESTÀ E DISARMANTE SENSIBILITÀ Un film di Sebastian Lelio. Con Paulina García, Sergio Hernández, Diego Fontecilla Cile 2013. Durata 110 min.

Un film di Andrea Segre. Con Con Anita Caprioli, JeanChristophe Folly, Giuseppe Battiston - Italia 2013.

GLORIA DI SEBASTIAN LELIO

Divorziata da anni con due figli ormai adulti, un nipote e un vicino molesto, Gloria cerca un nuovo equilibrio in feste, eventi serali e discoteche nelle quali poter incontrare qualcuno della propria età, un nuovo fidanzato. Quando però sembra averlo trovato questi si rivela inaffidabile, misterioso e poco propenso a tener fede a quel che dice. Sul corpo non più giovane di Gloria, sulle sue imperfezioni, sui diversi look, sulle sue valorizzazioni e sulla potenza con la quale si regge in piedi e procede nonostante tutto, è riconoscibile la forza di un film capace di elevarsi al di sopra di qualsiasi banalità e qualsiasi rischio di smielata drammatizzazione dell’ordinario. Gloria è un ritratto di donna come raramente si ha la fortuna di vedere: completo, profondo, toccante eppur composto, talmente onesto e sincero da travalicare il sesso di riferimento e risultare universalmente disarmante. La storia di una 50enne che con compostezza e serietà vive come un’adolescente fuori tempo massimo, attraverso il lento accumularsi di eccessi, passioni e delusioni aliene alla sua età, è attraversata con una grazia ed un’urgenza morale che impediscono al personaggio di scivolare nel ridicolo.l film di Sebastian Lelio con audacia non comune prende le distanze dai più illustri esempi del cinema passato in materia di profili femminili e sceglie un registro da commedia sebbene si attacchi alla protagonista come in un dramma, trovando in lei una forza motrice inesauribile. Molto della riuscita del film è infatti merito di Paulina Garcìa, attrice capace di tramutare una sceneggiatura rigorosa in cinema di rara intensità

SEGRE CONTINUA LA SUA PERSONALE RICERCA DEI RAPPORTI TRA UOMINI E LUOGHI

LA PRIMA NEVE

DI ANDREA SEGRE Pergine, piccolo paese del Trentino ai piedi della Val de Mocheni. E' lì che è arrivato Dani, fuggito dal Togo e poi nuovamente costretto a fuggire dalla Libia in fiamme. Dani ha una figlia piccola (che gli ricorda troppo la moglie morta per volerle davvero bene) e una meta: Parigi. In montagna, dove ha trovato lavoro presso un anziano apicoltore, fa la conoscenza di Michele, un bambino che soffre ancora per la perdita improvvisa del padre. Segre prosegue con questo suo secondo film di finzione dopo Io sono Li la personale ricerca del rapporto tra gli esseri umani e i luoghi che ne ospitano le vicende. Come Shun Li, Dani è arrivato in un'Italia di cui non conosce le tradizioni ma, a differenza della donna cinese, non subisce le offese del razzismo perchè Dani l'emarginazione ce l'ha dentro ed è data dal dolore profondissimo di una perdita, di un lutto che sembra impossibile elaborare.Massimo Troisi, dopo il successo di Ricomincio da tre affermava, con la saggezza che lo contraddistingueva, di non voler fare il secondo film ma di voler passare direttamente al terzo. Perché una regola non scritta del cinema di finzione dice che se la prima opera è venuta bene la seconda non sarà altrettanto valida. La prima neve costituisce una delle rare eccezioni alla regola.

i film del mese

(Tit. Or.: Diana) Un film di Oliver Hirschbiegel. Con Naomi Watts, Douglas Hodge, Geraldine James Gran Bretagna, Francia 2013. Durata 113 min.


i film del mese

(Tit. Or.: La Vie d'Adèle) Un film di di Abdel Kechiche. Con Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Aurélien Recoing - USA 2013.

Un film di Rocco Papaleo. Con Rocco Papaleo, Riccardo Scamarcio, Barbora Bobulova - Italia 2013

IL CAPOLAVORO DI

KECHICHE VINCITORE DELLA PALMA D'ORO A CANNES

LA VITA DI ADELE DI ABDEL KECHICHE

Adèle ha quindici anni e un appetito insaziabile di cibo e di vita. Leggendo della Marianna di Marivaux si invaghisce di Thomas, a cui si concede senza mai accendersi davvero. A innamorarla è invece una ragazza dai capelli blu incontrata per caso e ritrovata in un locale gay, dove si è recata con l'amico di sempre. Un cocktail e una panchina condivisa avviano una storia d'amore appassionata e travolgente che matura Adèle, conducendola fuori dall'adolescenza e verso l'insegnamento. Perché Adèle, che alle ostriche preferisce gli spaghetti, vuole formare gli adulti di domani, restituendo ai suoi bambini tutto il bello imparato dietro ai banchi e nella vita. Nella vita con Emma, che studia alle Belle Arti e la dipinge nuda dopo averla amata per ore. Traghettata da quel sentimento impetuoso, Adèle diventa donna imparando molto presto che la vita non è sempre un (bel) romanzo. Ancora una volta Abdellatif Kechiche guarda a Pierre de Marivaux, maître dei sentimenti nella società francese del diciottesimo secolo, spiando il cuore della 'petites gens' dove si nasconde l'amore. L'amore che il suo cinema come la letteratura dello scrittore fa uscire allo scoperto, segnato da un movimento della parola e da una naturalezza di espressione che incanta. Sul romanzo "La Vie de Marianne" apre La vie d'Adèle, storia d'amore e di formazione di un'adolescente che concede alla macchina da presa ogni dettaglio e ogni sfumatura di sé. Eludendo il compiacimento dell'esibizione, il regista tunisino racconta una stagione d'amore dolorosa e irripetibile, senza psicologismi e con una carnalità priva di morbosità. Al centro del film due giovani donne che leggono la realtà con gli occhi del desiderio, il loro, che esplode sullo schermo accordando i capitoli della loro esistenza.

L’ULTIMA, DIVERTENTISSIMA, “IMPRESA” DI ROCCO PAPALEO

UNA PICCOLA IMPRESA MERIDIONALE

DI ROCCO PAPALEO Un ex prete, don Costantino, viene confinato dalla madre, mamma Stella, in un vecchio faro dismesso, lontano da occhi indiscreti, per evitare che in paese sappiano che si è spretato. Mamma Stella, infatti, ha già un altro scandalo da affrontare: sua figlia Rosa Maria ha lasciato il marito, Arturo, ed è scappata con un misterioso amante. Il vecchio faro in disuso, che appartiene alla famiglia di Costantino e che dovrebbe garantirgli un isolamento, comincia ad attirare personaggi bizzarri, trasformandosi via via in un refugium peccatorum. Dopo l'ex prete arriva una ex prostituta, Magnolia. Poi il cognato cornuto, Arturo. Infine una stravagante ditta di ristrutturazioni chiamata per riparare il tetto del faro. Una commedia di equivoci e colpi di scena che conquisterà gli spettatori dal primo istante. La piccola impresa meridionale è nel miracolo che si compie: la riparazione di un edificio, infatti, può diventare l'inizio di una ricostruzione più profonda.

IN CONCORSO ALLA 70A EDIZIONE DELLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA Un film di Daniele Luchetti. Con Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti, Benedetta Buccellato - Italia 2013. Durata 100 min.

ANNI FELICI DI DANIELE LUCHETTI

1974, Roma. Guido è un artista che vorrebbe essere d'avanguardia, ma si sente intrappolato in una famiglia troppo borghese e invadente. Serena, sua moglie, non ama l'arte, ma ama molto l'artista e infatti lo "invade". I loro figli, Dario e Paolo, 10 e 5 anni, sono i testimoni involontari della loro irresistibile attrazione erotica, dei loro disastri, dei tradimenti, delle loro eterne trattative amorose. Tra happenings artistici, colpi di testa, film in super 8, pigre vacanze, design e confessioni, il film racconta gli anni felici - ma che sembravano infelici - di una famiglia che, provando ad essere più libera, si ritrova in una prigione senza vie di fuga. Riusciranno a salvarsi? Tra happening artistici, colpi di testa, film in super 8, pigre vacanze, design e confessioni, si raccontano gli anni felici – ma che sembravano infelici - di una famiglia che, provando a essere più libera, si ritrova in una prigione senza vie di fuga. E’ un film molto personale, quello di Luchetti, in cui (come si può legge nell’ampia intervista riportata nelle pagine precedenti) “se i fatti sono inventati le emozioni e i sentimenti che essi evocano sono reali” per una storia che ha forti tratti autobiografici. Da qui anche la scelta di non accettare l’invito al Festival di Venezia perchè, come ha dichiarato “mi presento “nudo”. E allora ho pensato che se dovevo andare in una spiaggia di nudisti andare in quella frequentata dai miei vicini di casa – come sarebbe stato a Venezia – mi avrebbe messo molto più in agitazione che andare in una spiaggia di stranieri.”


Martedì 1 ottobre | ore 21.00 | Sala Totò Mediateca di Pordenone in collaborazione con FriulAdria presentano la proiezione speciale di:

ROSSO MALPELO di Pasquale Scimeca. Con Antonio Ciurcia, Omar Noto. Iitalia, 2007. Dur.:90’

A seguire incontro con l’autore INGRESSO LIBERO

Vajont, cinquant'anni dopo

CinemazeroImages | Spazio espositivo | Dal 9 ottobre

ll Circolo fotografico “L'OBIETTIVO” di Pordenone , ospitato negli spazi espositivi di CINEMAZERO, inaugura il 9 di ottobre alle ore 18 (giorno della memoria per il Vajont) una mostra sui luoghi della tragedia per non dimenticare i morti, e per ricordare il dolore e le vicissitudini di chi è rimasto e di chi è stato obbligato a vivere in realtà lontane dal proprio mondo, per mostrare la natura che si è spaccata , si è piegata, ma con l'energia vitale che le appartiene ha continuato a vivere.

TOTÒ UNO, TRINO E OLTRE

Totò terzo uomo regia di Mario Mattoli - 1951 - dur. 95

Venerdì 25 ottobre 2013 - ore 21.00 Saletta Incontri San Francesco - Piazza della Motta, PN con il patrocinio del Comune di Pordenone - INGRESSO LIBERO Dopo il film i totofili si incontreranno per una pizza alla Pizzeria Peperino di Viale Martelli a Pordenone


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