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mensile di cultura cinematografica

112 realtà del FVG hanno già formalizzato la loro adesione al Movimento 1%

Berlino 2013 e il french touch Dal 7 al 17 febbraio il primo grande appuntamento di cinema

La migliore offerta e il complesso dell’opera prima Il regista, che sarà presente a Berlino, racconta i segreti del suo recente grande successo

Giannino e il cinema Tessera Sociale n° 1274

L’incubo che distrusse quell’avanguardia culturale 4 febbraio 2013: giornata della memoria contro l’omofobia

Domani accadrà

Febbraio

Prosegue l’impegno del movimento 1% a favore della cultura in FVG

13 2013 numero 02 anno XXXIII

Paesaggio culturale I paradossi dell’Italia negli investimenti pubblici per la cultura

Ovvero se non si va non si vede spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi


I paradossi dell’Italia negli investimenti pubblici per la cultura

Andrea Crozzoli

Editoriale

Paesaggio culturale Scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1962: […] li ho visti, nel Kenia, quei colori/senza mezza tinta, senza ironia,/viola, verdi, verdazzurri, azzurri, ori,/ma non profusi, anzi, scarsi, avari,/accesi qua e là, tra vuoti e odori/inesplicabili, sopra polveri d’alveari/roventi… […]. Questi magnifici versi sono contenuti in Guinea, poema dedicato ad Attilio Bertolucci, dove la quieta purezza di Casarola, nelle colline parmensi, è assimilata ai paesaggi colorati africani. Con la sensibilità del poeta Pasolini aveva colto appieno come un albero fosse cultura, portatore di una sua bellezza e di una sua intensità di vita. Come un paesaggio fosse cultura, frutto di identità e memoria collettiva. Come un film, un concerto, uno spettacolo teatrale fosse cultura. Il 2013 sarà l'Anno della cultura italiana negli Stati Uniti con 180 eventi che coinvolgeranno quaranta città statunitensi, da New York, a Miami, da Los Angeles a San Francisco e così via. Una manifestazione promossa dal Ministero degli Affari Esteri con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con la collaborazione di numerose istituzioni culturali e scientifiche, per porre all'attenzione del pubblico d’oltre oceano le nuove generazioni, i nuovi talenti (quali??). A Los Angeles, tra gli appuntamenti musicali, è previsto anche un concerto dell'Orchestra Italiana del Cinema con le colonne sonore dei film italiani vincitori di premi Oscar. Saranno inoltre proiettati film italiani del passato e del presente con una retrospettiva integrale su Pasolini prevista a settembre 2013, mentre il nuovo cinema italiano arriverà sugli schermi di Philadelphia a dicembre. Insomma il governo centrale investe le sue poche risorse per portare la cultura all’estero e non pensa a coltivare la cultura in patria. È necessario, invece, un rinnovamento vero, tempestivo e appassionato dove bisogna avere visione e fare sistema, anche collegando in maniera organica pubblico e privato. Se godere del nostro patrimonio fatto di beni culturali, arte, spettacolo, cinema, biblioteche è un diritto dei cittadini, chiunque abbia il privilegio e la responsabilità di occuparsi della sua gestione dovrà farlo finalmente con rigore e competenza, al di sopra degli schieramenti, rinunciando ad ogni forma di “spoil system”. Alla cultura deve essere riservata la stessa importanza dell’economia, della sanità, della sicurezza, della giustizia e dell’istruzione. È un paradosso che paesi meno dotati dal punto di vista del patrimonio culturale e paesaggistico, investano in questo settore più dell’Italia. Come è un paradosso, ancora più insopportabile, che l’Italia non raggiunga gli obiettivi minimi di spesa del programma "attrattori culturali" e debba restituire 33 milioni di euro all'Unione Europea. Eppure, come è noto, gli investimenti nella cultura generano benefici per molti settori della nostra economia, incrementano l’occupazione e il reddito di tante famiglie oltre ad accrescere il livello generale di partecipazione. Per salvaguardare il nostro paesaggio culturale è forse giunto il momento di reagire, almeno con l’indignazione!

In copertina: Gus Van Sant regista di Promise Land in concorso al Festival di Berlino 2013

cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Gennaio 2013, n. 01 anno XXXIII Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Marianita Santarossa Direzione, redazione, amministrazione P.zza della Motta, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Grafiche Risma Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla Unione Italiana Stampa Periodica


112 realtà culturali del FVG hanno già formalizzato la loro adesione al Movimento 1%

Marco Fortunato

Chi l’aveva etichettato come un “fuoco di paglia”, destinato ad esaurirsi insieme alla situazione contingente da cui aveva avuto origine, dovrà ricredersi. Il Movimento 1%, infatti, seppur creatosi spontaneamente in un contesto emergenziale – ovvero come risposta unitaria del mondo culturale regionale contro i tagli alla Finanziaria che minacciavano di metterne a rischio la sopravvivenza – ha deciso non solo di proseguire il suo impegno, ma addirittura di ampliarlo. L’ultimo incontro tra i suoi promotori, datato pochi giorni fa, è stata l’occasione per fare il punto sulla sua storia (breve ma indubbiamente molto intesa) e soprattutto sulle sue prospettive. Nato effettivamente in una situazione di assoluta eccezionalità, di fronte all’ipotesi concreta di uno smantellamento totale ed improvviso del comparto culturale del FVG, il Movimento 1% si è subito distinto per la capacità propositiva tanto da riuscire ad elaborare in pochissimi giorni un documento condiviso per una soluzione di transizione. Una proposta concreta per mettere in sicurezza i principali enti primari, ed il settore nel suo complesso, che ha sicuramente inciso sul parziale recupero di risorse avvenuto nel corso del dibattito in aula. Recupero parziale, perché non ha recepito in toto le richieste del movimento, e per certi versi tuttora incerto, come dimostrano le polemiche di questi giorni. Di fatto le cifre esatte che sono state destinate alla cultura non sono ancora chiare ed anche su questo punto vi sarà la massima attenzione da parte del Movimento 1% affinché venga fatta chiarezza sugli stanziamenti effettivi. Si tratta, in questo caso, di chiarire il significato stesso del concetto di 1% che rappresenta la cifra percentuale (rispetto al bilancio della Regione) che i promotori auspicano possa essere destinata in maniera stabile al comparto culturale. ll prossimo passaggio sarà senza dubbio quello della costituzione formale del Movimento in associazione. Una tappa imprescindibile per assicurargli riconoscibilità ed autorevolezza a tutti i livelli, ma soprattutto per individuarlo con chiarezza come interlocutore accreditato nei confronti delle istituzioni. La sua attività si articolerà su due piani, distinti ma complementari. In primo luogo esso dovrà farsi carico di proseguire ed implementare l’attività di informazione e sensibilizzazioni dei cittadini sul ruolo della cultura. Un aspetto più volte sottolineato ma che troppo spesso non è stato adeguatamente approfondito in tutte le sue implicazioni. Perché la “Cultura” in FVG è davvero una ricchezza, in termini sociali ma anche economici. Si tratta dunque di far conoscere – meglio di quanto sia stato fatto finora – che cosa producono e quali ricadute hanno, in termini reali, settori come il cinema, il teatro, la musica, gli eventi sul territorio. Non meno importante sarà la fase programmatica che avrà come obiettivo l’attivazione di un tavolo di lavoro e riflessione permanente che coinvolga tutti gli stakeholders del settore per concepire nuove proposte. In questo senso già emerge, ad esempio, una sostanziale condivisione intorno ad alcuni principi che a breve potrebbero essere tradotti in proposte concrete. Si va dalla richiesta di formulare degli strumenti normativi che possano permettere di superare l’attuale individualismo nella gestione dei contributi nel tentativo di arrivare a definire dei criteri oggettivi per la loro assegnazione, all’ipotesi di creare una struttura trasversale all’interno della Regione a cui fare riferimento per l’intero comparto culturale. Un organismo ancora tutto da definire ma che possa permettere di mettere in collegamento le attuali direzioni regionali competenti in materia di turismo, relazioni internazionali, attività produttive, che già oggi sono, di fatto, interessate all’attività culturale. I progetti non mancano dunque, così come il pieno sostegno da parte delle diverse e variegate realtà che compongono il panorama culturale del FVG, 112 delle quali hanno già formalizzato la loro adesione al Movimento 1%. Le premesse quindi ci sono tutte perché del Movimento 1% si senta ancora parlare... e siamo certi che avrà molto di interessante da dire!

Movimento 1%

Prosegue l’impegno del movimento 1% a favore della cultura in FVG

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Dal 7 al 17 febbraio il primo grande appuntamento di cinema

Andrea Crozzoli

63ma Berlinale

Berlino 2013 e il french touch Fin dal Medioevo i francesi giravano le corti europee vendendo il loro formaggio e con intatto entusiasmo oggi girano il mondo per manifestazioni cinematografiche mietendo incassi, premi Oscar e sbancando ai festival. Dopo i successi planetari di film francesi come The artist o Quasi amici o Amour, eccoli alla prossima 63esima edizione del Festival di Berlino più agguerriti che mai per tentare di imporre quello che potremo definire il “french touch”. La ricetta francese consiste nel guadagnare un prestigioso traguardo per portarne poi altri, mantenendo un alto livello qualitativo. A Berlino 2013 lo fanno schierando in concorso per l’Orso d’Oro, come in una parata militare, i generali col maggior numero di medaglie sul petto, ovvero tre loro stelle di prima grandezza come Juliette Binoche, Catherine Denevue e Isabelle Huppert. Juliette Binoche sarà Camille Claudel, la scultrice originaria del nord della Francia, dove nacque nel 1864. Sorella dello scrittore Paul Claudel, di quattro anni più giovane e allieva del maestro scultore Auguste Rodin fino alla rottura avvenuta nel 1895, Camille Claudel nel 1913 - alla morte del padre e dopo dieci anni passati reclusa nel suo studio di Bourbon a Parigi - fu internata dalla famiglia per via dei suoi disturbi mentali e non ritrovò mai più la libertà. Rinchiusa in una struttura nei pressi di Parigi prima e in un manicomio nel sud della Francia dopo, Camille non poté mai più scolpire e rimase per 29 anni in attesa di una visita del fratello Paul, con cui intratteneva uno scambio epistolare. Morì il 19 ottobre del 1943 all'età di 79 anni e venne sepolta in una fossa collettiva, senza che sia stato più possibile ritrovarne il corpo. Il film di Bruno Dumont a Berlino si chiamerà Camille Claudel 1915, e racconta la Camille dall’inverno del 1915, già internata due anni prima da sua madre. L’inverno del 1915 sul quale si concentra Dumont è quello di tre giornate passate nella spasmodica attesa di una visita da parte del fratello, Paul Claudel. Catherine Denevue, icona immutabile e specie di regina madre del cinema francese, sarà invece la matura protagonista di Elle s'en va di Emmanuelle Bercot, un road movie su un’esistenza giunta ad un bivio. Mentre Isabelle Huppert sarà la madre superiora in La Religieuse, adattamento del romanzo di Denis Diderot diretto da Guillaume Nicloux. Dagli Stati Uniti arriva poi in concorso Promised Land dramma sulla crisi immobiliare americana e sulle implicazioni personali che ne conseguono. Il film avrebbe dovuto essere diretto da Matt Damon, da tempo alla ricerca di un’opera per la sua prima volta dietro la macchina da presa. Causa la sua fitta agenda il buon Matt, qui solo attore e co-sceneggiatore del film, ha dovuto passare la mano a Gus Van Sant, che lo aveva già diretto in Will Hunting - Genio ribelle, per il quale vinse l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Altro uomo dall’agenda fittisima è Steven Soderbergh, a Berlino in concorso con Side Effects. Dopo aver sfornato quattro film in poco più di due anni, fra i quali Contagion e Magic Mike. Soderbergh torna dalle parti del thriller e mette in scena una intricata storia su una casa farmaceutica e un nuovo psicofarmaco dagli effetti dagli effetti devastanti.


63ma Berlinale Andrea Crozzoli

Coadiuvato in questa sua ultima fatica da un cast stellare fra i quali Channing Tatum, Jude Law e la sempre splendida Catherine Zeta-Jones. Il sessantenne austriaco Ulrich Seidl, la cui notorietà internazionle è scoppiata nel 2001 con Canicola, premiato con il Gran Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia, seguito da Import/Export selezionato per il Festival di Cannes nel 2007, nel 2012 ha presentato alla Mostra di Venezia Paradise: Love, primo capitolo di una trilogia sull’amore cui ha fatto seguito seguito Paradise: Faith, per arrivare a Berlino in concorso col terzo e ultimo capitolo Paradise: Hope dove la tredicenne Melanie, mentre la madre è in Kenya, trascorre le sue vacanze in un centro dietetico per adolescenti in sovrappeso. Tra estenuanti sessioni di educazione fisica e consulenze nutrizionali Melanie si innamorerà del medico di 40 anni più vecchio di lei. Ma il concorso riserva anche altre sorprese, scandagliando sistematicamente il cinema mondiale, da Epizoda u životu bera a željeza di Danis Tanovic a Gloria di Sebastián Lelio, da Gold di Thomas Arslan a Layla Fourie di Pia Marais, da The Necessary Death of Charlie Countryman di Fredrik Bond a Nugu-ui Ttal-do Anin Haewon di Hong Sangsoo passando per Pozitia Copilului di Călin Peter Netzermiere, Parde di Jafar Panahi, Dolgaya schastlivaya zhizn di Boris Khlebnikov, Prince Avalanche di David Gordon Green, Uroki Garmonii di Emir Baigazin, Vic+Flo ont vu un ours di Denis Côté e W imi ... di Małgośka Szumowska. Ma Berlino oltre al concorso riserva anche molto altro ancora come The Grandmaster del presidente di giuria di quest’anno Wong Kar-Wai o Before Midnight di Richard Linklater o Night Train to Lisbon di Bille August per arrivare all’unica presenza italiana di questo 2013 con La migliore offerta di Giuseppe Tornatore o The Look of Love di Michael Winterbottom o Les Misérables di Tom Hooper. Ma è soprattutto nelle sezioni parallele che si annidano i film più nuovi, interessanti, di ricerca come la sezioPanorama e Panorama ne Dokumente. Per non parlare della sezione Forum da sempre luogo di ricerca e sperimentazione. Un altro pezzetto di Italia lo troveremo infine tra gli otto giurati della giuria internazionale del premio Teddy Award assegnato ai migliori film a tematica GLBT. Cosimo Santoro, direttore del Festival Cinema Gay di Torino, infatti, farà parte della giuria con altri direttori e programmatori di Festival, quest'anno provenienti da Usa, Uk, Russia, Uruguay, Bosnia e Germania.


Il regista, che sarà presente a Berlino, racconta i segreti del suo recente grande successo

Riccardo Costantini

Incontro con Giuseppe Tornatore

La migliore offerta e il complesso dell'opera prima Riccardo Costantini: Giuseppe Tornatore, il pubblico di Cinemazero dimostra di amare davvero moltissimo il suo cinema. La migliore offerta è, in qualche modo, diverso, per certi aspetti, dalla sua produzione più nota. Da dove ha incominciato a creare questo film? Giuseppe Tornatore: Le storie nascono da qualsiasi situazione. Talvolta nascono da un'immagine, da una frase, da un sentimento, da un fatto di cronaca o da un sogno, da un libro, da un racconto che ti fa qualcuno. In questo caso erano due spunti che mi portavo dietro da molto tempo. Uno molto antico uno più recente. Due storie completamente diverse, che a un certo punto ho sentito che si attraevano una con l'altra e le ho innestate insieme ed è nata una terza storia, diversa da quelle due, ma che delle due si nutriva. Una genesi un po' bizzarra, diversa dagli altri miei film, ma di genesi bizzarre ne ho vissute diverse nella mia carriera. RC: C'è una sorta di continuità in certi suoi film che possono ricadere sotto la definizione di “thriller”... GT: Classificare è sempre difficile: cerco di sfuggire a questo, però è impossibile impedire agli altri di farlo. Questo film lo mettono in fila dopo Una pura formalità, La sconosciuta. Qualcuno ha iniziato a dire che c'è un filone solare e un filone scuro nel cinema di Tornatore. É probabile. Il fatto è che la mia filmografia non è lineare, è zigzagante. Certe volte riesco a farlo fino in fondo, come è successo per Una pura formalità e, credo, anche con questo. Certe volte mi riesce meno. Però questo zigzagare è semplicemente “il complesso dell'opera prima”. Se affronto un film completamente diverso da quello che ho fatto prima, ritrovo l'emozione del mio primo film. Rapportarsi con qualcosa di completamente nuovo, ti restituisce quella timidezza, quella paura che hai quando devi fare il tuo primo film. Io credo che la paura sia molto creativa, sicuramente più della sicurezza. Seguire una linearità, inseguire una sicurezza temo che porti, senza accorgersi alla routine. Io ho molta paura della routine, quindi preferisco essere incoerente e inseguire la mia eterna opera prima, se mi riesce. Anche questo film si inserisce in questa fuga continua, verso qualcosa di diverso che mi ridia l'eccitazione della prima volta. RC: Certo che ha scelto un modello complicato, perché ha messo in campo una storia che ha lasciato il pubblico incollato allo schermo per più di due ore con tre personaggi, oltre al quarto, il “demiurgo” della storia, che forse è lei ... GT: Non c'è una regola per cui se i personaggi sono tanti è più facile fare un film, se sono pochi è più difficile o viceversa. Ogni storia è un cominciare da capo, un reinventare tutto da capo: regole nuove, una grammatica nuova. Ci sono film con pochi personaggi che non funzionano e film con pochi personaggi che funzionano e viceversa. Dipende da quello che stai raccontando. Una pura formalità era ancora più minimalista di questo. Nel ricordare quel film so di fare un esempio sbagliato. Quel film, a differenza di questo, andò malissimo. Lo sapevo già mentre lo giravo che nessuno sarebbe andato a vederlo. Però mi attraeva troppo quell'idea e feci il film, sapendo di fare una cosa che a chissà chi sarebbe potuta interessare. Nel caso di questo film non mi aspettavo, sinceramente, tutto questo successo, questo avvio così forte, però mi rendevo conto di raccontare una storia seguendo uno stile, seguendo una struttura che sarebbe stata un po' più attraente per il pubblico. RC: Credo che una domanda dovuta sia quella su Geoffrey Rush, un grande attore che sappiamo essersi messo in discussione per lei. Come è andato l'incontro con questo personaggio che il pubblico di Cinemazero ha apprezzato moltissimo già con Il discorso del re? GT: In genere si crede che avere a che fare con grandi attori sia difficile. Invece posso dire che è esattamente il contrario: più sono grandi e più è facile. È quando non sono dei grandi attori che la cosa diventa più complicata. Con i grandi attori è facilissimo. Io ho avuto il privilegio di lavorare con alcuni, durante la mia carriera. Con Rush è stata un'esperienza bellissima. Gli ho mandato il copione, dopo un po' mi ha chiamato dicendomi: “ho letto il


(trascrizione a cura di Angela Ruzzoni)

Incontro con Giuseppe Tornatore Riccardo Costantini

copione, facciamo il film”. Poi ci siamo incontrati a cena e dopo quindici minuti stavamo già lavorando. Da allora abbiamo smesso solo quando abbiamo finito di girare. Un rapporto bellissimo. Oltretutto lui è un attore molo rigoroso, molto preciso, ma leggero, ironico, semplice. In genere l'attore maniacale fa pensare a personalità molto introverse, molto difficili. Nel caso di Geoffrey Rush non lo è stato. È stato come lavorare con un compagno di classe. Si scherzava continuamente ma poi quando c'era da lavorare lo faceva più che seriamente. L'ho definito un grande amico del film. Non è che ci siano stati momenti di particolare difficoltà durante le riprese, però quando queste difficoltà si potevano risolvere anche con la sua collaborazione è stato sempre generosissimo, pronto. Rilavorerei con lui domani mattina. RC: Attendiamo con ansia l'uscita del libro, visto che la sceneggiatura è sua.... GT: Non è una sceneggiatura, ma un soggetto generoso che ho scritto prima di passare alla stesura della sceneggiatura. Ne è venuto fuori un libro, che esce ora per Sellerio, che si potrebbe definire un racconto lungo o un romanzo breve. È la testimonianza di un percorso. In genere, quando faccio un film non parto mai dall'idea di scrivere un racconto. Nel caso di questo film, forse, per superare la genesi di questa storia ho sentito l'istinto di fissare l'unicità che era nata. Quindi ho fissato la storia in un racconto letterario in vista di una stesura successiva della sceneggiatura. Sellerio in un primo momento voleva che io trasformassi in romanzo la sceneggiatura, cosa che non avevo il tempo di fare, poi, quando gli ho detto che avevo questo soggetto, lo ha letto e ha deciso di pubblicarlo. RC: La protagonista femminile - un'attrice emergente -, si fa desiderare, anche per dal pubblico, aldilà di un muro per buona parte del film, per poi farsi scoprire in tutta la sua bellezza. Com'è andato il vostro incontro sul set? GT: Tanto facile è stato trovare il protagonista maschile, quanto difficile è stato trovare quello femminile. Perché le attrici non erano attratte dal dover recitare per buona parte del film dietro una porta. Ho fatto molti provini. Poi un giorno è entrata questa attrice e ho avuto subito la sensazione che fosse il volto giusto, l'attrice giusta. Non ha avuto problemi con l'idea di essere a lungo dietro una porta, di essere soltanto una voce fuori campo, cosa che, a mio avviso, doveva rendere il personaggio ancora più interessante. RC: Ha lavorato in digitale in questo film, ed è una novità per lei che è un amante della pellicola. Com'è andata con questa tecnica in qualche modo “nuova”? GT: Lavorare in digitale è una scelta che bisognava fare, nonostante l'amore per la pellicola che non si esaurirà mai. È una scelta che era necessario fare un po' perché il mercato stesso ha deciso di abbandonare questo sistema, un po' perché stava diventando non più efficace come una volta. Non si riesce più a ottenere lo stesso risultato di una volta. Con le dovute eccezioni, perché so di parlare in un luogo dove la pellicola viene trattata bene e credo che le proiezioni vostre siano perfette. Vi assicuro che non è più tanto facile andare al cinema e trovare una proiezione a fuoco. È diventato ormai un privilegio, una fortuna. Negli ultimi tempi è diventato doloroso fare un film mantenendo i sistemi di una volta. Il digitale ti offre delle chances straordinarie, semplifica molte cose, abbatte un po' i costi. Un anno e mezzo fa avevo fatto un documentario in digitale, proprio per testare il mezzo. Nel frattempo sono uscite delle macchine nuove, straordinarie, e ho deciso di fare il passo verso il digitale. Però nel mio studio, nella mia sala di proiezione, c'è un proiettore in 35mm che non abbandonerò mai. RC: In questo film si nota la sua passione per l'arte. È un collezionista anche lei, come il protagonista del film? GT: Non sono un collezionista, non colleziono niente. Non ho mai frequentato particolarmente questo mondo. Però una delle cose bellissime, forse la più bella, del mio mestiere è che puoi improvvisamente entrare in mondi che non ti appartengono. Devi documentarti, devi conoscere, devi informarti. Se fai un film devi saperti destreggiare sulla materia, come se ti appartenesse, fino a far sospettare al pubblico che tu sia un collezionista.”


Tesera Sociale n° 1274

Maurizio Solidoro

Ricordo di un amico

Giannino e il Cinema Ero ancora al Liceo quando entrai in contatto per la prima volta con Giannino Cadin. In quegli anni organizzavo con altri amici un po’ di cineforum alla Casa dello Studente. Durante la rassegna dedicata a Carl Theodor Dreyer proiettammo Ordet – La Parola (1955). Mentre ammiravo in sala questo capolavoro ed eravamo giunti ad uno dei momenti più coinvolgenti della storia, in cui il protagonista Johannes si allontana senza lasciare traccia di sé, all’unisono con gli attori Giannino mi afferrò il braccio con forza invocando anche lui il nome dello scomparso Johannes facendomi, non lo nego, sobbalzare sulla poltrona. Evidentemente la bella sequenza era rimasta nella sua memoria come poi (complice anche questo episodio) ha continuato a restare nella mia. Qualche anno dopo lo conobbi. Mi fu presentato da comuni amici, Luciano Campolin e Claudio Guerra, che me lo avevano descritto come un grande intenditore di cinema. Cosa di cui mi ero un po’ “insospettito” anch’io visto che avevo notato come Quel Signore (in seguito contammo una differenza d’età di 26 anni) fosse presente a tutte le retrospettive cinematografiche della zona e non indossasse mai il cappotto d’inverno. Al nostro primo incontro il Cadin, che mi aveva visto presentare diversi film, mi affrontò subito di petto ed interrompendo una sua narrazione – documentata anche da belle fotografie - in cui ricordava le frequentazioni avute con Giovanni Comisso, Nico Naldini, Francesca Sanvitale ed Amedeo Giacomini, si rivolse d’improvviso a me e con fare piuttosto serio mi interrogò: quanti scalini aveva la celebre scalinata di Odessa, scena del massacro nel film La corazzata Potëmkin? Non sapendo se prenderlo sul serio o cosa, ridendo gli risposi un misero “boh…” Ma lui seriamente ed un po’ amareggiato si diede la risposta: 184! Un giorno mi piacerebbe andare a contarli. Nella frequentazione sempre più assidua che si instaurò in seguito – entrambi amavamo andare al cinema a vedere di tutto – venni a conoscenza che anche lui aveva un invidiabile trascorso di conduttore di cineforum: avendo addirittura conosciuto e presentato film con il mitico Padre Angelo Arpa, il gesuita scomodo, amico dei registi, che inventò negli anni Cinquanta il Cineforum e fece capire come il cinema fosse uno straordinario strumento di comprensione dell'uomo e del mondo. Una volta addirittura, al suo seguito, montò sul motoscafo di Luchino Visconti, dal Lido alla volta di Venezia. Si erano imbarcati anche due giovani critici francesi che domandarono al regista se l’Arte imitasse la Natura o piuttosto fosse la Natura ad imitare l’Arte. Visconti si limitò a rispondere: “question imbécile”.

Cral di Torre, 25 giugno 1984


Testimone oculare

Ricordo di un amico Maurizio Solidoro

Bellissimo. Era il 1965 e finalmente Visconti quell’anno vinse il Leone d’oro con Vaghe stelle dell’Orsa. Intanto a Torre nel 1978 aveva iniziato a proiettare una nuova Associazione: Cinemazero. Da subito fummo tra i più assidui frequentatori della sala dell’ex CRAL ed anche del vecchio morer (gelso) fuori dove si andava a fumare visto che da qualche anno la legge lo proibiva. Presto in forme diverse cominciammo a collaborare e a dare una mano all’Associazione. Giannino nel 1980 – grazie anche all’amico Francesco Durante, trasferitosi a Napoli – riuscì a pubblicare un resoconto della rassegna Max Linder, “le roi du rire” sul quotidiano Il Mattino, testata di livello nazionale. Un bel colpo per quella che ora viene ricordata come la prima edizione de Le Giornate del Cinema Muto. E così nel 1982, insieme a Parigi, Giannino mi trascinava al cimitero del Père-Lachaise a rendere omaggio al grande Georges Méliès dando inizio ad una delle sue bizzarre passioni: la visita dei cimiteri con reportage fotografico. Dal 1984 al 1991 con puntualità curò sul nostro periodico la mitica rubrica “Pong Ping”, da molti venerata – per il carico di arguta intellettualità - e da tanti ignorata – per la criptica ricercatezza della scrittura e dei riferimenti – dando prova anche di una certa adattabilità a seconda del formato grafico in continuo divenire in quegli anni. Le ultime collaborazioni riguardano le sue missioni da reporter ad alcuni festival cinematografici: Pesaro, Rimini e Trento, Bergamo e soprattutto dove Salsomaggiore rimase folgorato da Dominique Sanda e strinse amicizia con Tatti Davanti a Cinemazero, alcuni aficionados si intrattengono Sanguineti. A fine secolo, a testimo- con il regista-sceneggiatore del film appena proiettato. nianza duratura e sfidan- Si tratta di una ricostruzione storico-intimistica, dalla veldo ancora la pazienza del leitaria impostazione psicoanalitica. Il drappello dell'eGrande Vecchio, sperto pubblico di Cinemazero rivolge all’autore domande l’Associazione editò la di convenienza, più impietosito per lo scadente risultato e la conseguentemente “tiepida” accoglienza che per effetraccolta dei sui articoli: tivo interesse. L'autore, a dir poco autorefenziale, recita la Cinemazero: tessera parte dell'artista che ha partorito l'opera attraverso un sociale n° 1274: sbatti il percorso di grande e partecipe sofferenza interiore. giannino in anastatica – Come spesso accadeva - o era sempre così? -, i presenti Pordenone, Cinemazero, realizzano che nel crocchio, un po' in disparte ma proteso 2000 - 103 pp. : ill.; 34 - per via dell'orecchio debole - era improvvisamente cm. apparso (o c'era dall'inizio?) Giannino Cadin. Compariva Imperdibili le due prefa- così, un po' folletto corpulento, un po' Hitchcock che si zioni di Andrea Crozzoli e mostra ‘a sorpresa’ in un proprio film. Del resto, a Francesco Durante cui Cinemazero era presenza costante. Comunque sia, era lì Giannino replicava nel- con il perfetto senso della composizione scenica e del l’introduzione: «Scrive ritmo, pronto ad intervenire nel momento opportuno. Crozzoli “noi lo amia- L'autore sta concludendo il suo racconto: «…lavorare alla mo”. Durante mi intitola sceneggiatura, condurre la lavorazione… è stato molto, Amatissimo. Entrambi molto faticoso… e finalmente concludere le riprese e il duo s’affrettano poi a montaggio… e dunque terminare il film… è stato per me parlare di “senile”, del- una grande liberazione». Giannino (adotto qui una famil’età “più vicina a quella liarità che rispettosamente ero titubante ad assumere direttamente con lui) asseconda l'altrui silenzio, per poi dei nostri padri”, di uscirsene dopo una misurata pausa, un po' rivolgendosi “Grande Vecchio”. Forse ai presenti, forse all'autore, come parlando tra sé e sé, ma temono di dover rispon- in tono ben udibile e, con un inizio di lenta torsione del dere di pedofilia. Attenti corpo che preludeva al suo pacato abbandono del grupragazzi, che prima o petto dice: «Capisco, …: come andar di corpo.». In effetti dopo le Procure s’occu- non occorreva esplicitare l’evocata qualità scatologica del peranno della gerontofi- film. (Franco Piva) lia, e rammentino che prendere per il culo è atto di sodomia».


4 febbraio 2013: giornata della memoria contro l’omofobia

Giacomo Deperu

Giornata della memoria

L’incubo che distrusse quell'avanguardia culturale gay Lunedì 4 febbraio, Paragraph 175 racconterà di un secolo rubato. Di una Germania di inizio ‘900 che, nonostante la legge omofoba “Paragrafo 175”, rappresentava una speranza per tante e tanti omosessuali, che qui godevano di una vivace vita sociale e culturale. Di un sogno trasformato in un incubo che distrusse quell'avanguardia culturale gay che avrebbe potuto consegnarci un’Europa migliore. 100.000 gay nei lager, un numero indefinito di lesbiche deportate con le più svariate accuse. Dei 4.000 sopravvissuti, molti passarono dai lager alle carceri, per effetto della legge ancora in vigore: un’ulteriore insostenibile umiliazione. Gli omosessuali che, dopo decenni, trovarono il coraggio di denunciare, vennero accusati di voler “infangare la memoria dell’olocausto”. Del resto, eravamo solo dei froci. E mentre il ricordo della tragedia nazifascista rischia di sbiadire, per noi omosessuali quell'olocausto, che continuò in altre forme anche sotto i regimi comunisti, non è mai finito: 80 Paesi nel mondo prevedono ancora pene contro l’omosessualità e il numero delle vittime è incalcolabile. In Ungheria, oggi, l'omofobia entra nella costituzione; a San Pietroburgo una legge repressiva contro l’omosessualità; in Iran i gay finiscono impiccati; in Iraq nelle fosse comuni. E in Uganda, dove l’attivista gay David Kato venne massacrato il 26 gennaio 2011, proprio in questi giorni la Presidente del Parlamento Rebecca Kadaga – benedetta da Papa Ratzinger in una recente visita in Vaticano presenta una legge omofoba che prevede addirittura la pena di morte. E tutto nel disinteresse generale della gente e delle istituzioni che ci lasciano nuovamente soli, anche nella nostra arretratissima Italia. Per noi omosessuali, ancora oggi, la Giornata della Memoria serve per non dimenticare: per non dimenticare il presente.


FRANKESTEIN JUNIOR Con Frankenstein Junior, la nuova produzione della Compagnia della Rancia, ci riporta nelle atmosfere di quella che è considerata una delle migliori cento commedie americane di tutti i tempi, la celebre pellicola girata nel 1975 con uno stile ispirato agli anni ’20 (omaggio ai classici horror della Universal): la parodia del Frankenstein di J. Whale e dei numerosi film dedicati alla creatura di Mary Shelley. Il film, premiato dal pubblico che lo ha consacrato come il cult movie per eccellenza e le cui battute sono entrate nella memoria collettiva - con oltre 500 mila copie vendute - è il “classico” in Dvd di maggior successo della storia dell'home video in Italia. Il genio di Mel Brooks , dopo The Producers , torna così dal cinema al teatro con una commedia musicale che nella versione italiana è diretta da Saverio Marconi con la regia associata di Marco Iacomelli; le coreografie sono curate da Gillian Bruce, mentre Lena Biolcati è la vocal coach. L’allestimento ripropone la suggestione della straordinaria fotografia in bianco e nero del film con il tocco colorato di numeri esilaranti, su tutti quello tra Frankenstein e il Mostro sulle note di Puttin’ on the Ritz di Irving Berlin. Info: http://www.comunalegiuseppeverdi.it

LA TIGRE È ANCORA VIVA OMAGGIO A EMILIO SALGARI (1862-1911) Pordenone, Biblioteca Civica - fino al 28 febbraio 2013 In mostra quindici grandi pannelli: la bibliografia completa delle opere salgariane, vengono presi in considerazione gli illustratori più famosi, in primo luogo Alberto Della Valle. Un pannello illustra le traduzioni dei romanzi e un altro è interamente dedicato al capolavoro di Salgari: Il Corsaro Nero. Testi e immagini accuratamente scelti consentono di esplorare le fattezze di Sandokan. Altri pannelli si soffermano sui ciclI indo-malese, dei Corsari e del Far West. Nella mostra si dedica attenzione anche alla trasposizione delle opere dello scrittore in fumetto. Il pannello intitolato Hanno detto di Salgari presenta i volti di personaggi della cultura, dell'arte, dello spettacolo che hanno lasciato testimonianze su Salgari. Non manca ovviamente un pannello esplicativo sull'Associazione friulana Emilio Salgari di Udine, ideatrice dell'esposizione che ha prestato alla Biblioteca Civica i materiali e ne ha curato l'allestimento. Una serie cospicua di bacheche espone edizioni di romanzi salgariani, tra cui alcune preziose prime edizioni. Non mancano esemplari di armi bianche citate da Salgari nel ciclo indo-malese, nè un'uniforme e una serie di figurini e medaglie inglesi che si riferiscono al periodo coloniale indiano. Interessanti anche le splendide riproduzioni di maschere indonesiane. Info: http://www.comune.pordenone.it/it/comune/in-comune/strutture/biblioteca/ eventi/mostra-la-tigre-e-ancora-viva

DA TEX WILLER A ... DYLAN DOG La storia del fumetto italiano Gorizia - Ex Pescheria - Febbraio 2013 Dopo il successo ottenuto a Napoli, a Lucca e a Brindisi, viene presentata nella città giuliana la mostra che ha ricevuto la Medaglia d'Oro del Presidente della Repubblica; l’ex Pescheria accoglierà nei suoi ampi spazi le tavole e gli albi dei personaggi che hanno fatto la storia del Fumetto italiano: da Tex Willer a Zagor, da Mister No a Dylan Dog, da Julia a Dampyr, in un percorso che non è solo cronologico o tematico ma che racconta la ricchezza del patrimonio culturale e sociale del nostro Paese, un patrimonio comune non solo ai milioni di lettori degli albi Bonelli, che unisce tante generazioni nel segno dell'avventura. La veste scenografica della mostra, completamente rinnovata e arricchita per la sede triestina, offrirà un quadro completo e aggiornato sulla produzione storica e attuale della casa editrice italiana di fumetti per eccellenza e ospiterà nel suo percorso più di 200 tavole originali: oltre ai personaggi pubblicati negli ultimi anni, ci sarà spazio per una sezione speciale di fantascienza legata all'universo di Nathan Never, e per una retrospettiva su Martin Mystère, che proprio quest'anno ha festeggiato i trent’anni di pubblicazioni (e il cui creatore, Alfredo Castelli, è stato ospite d'onore del Trieste Science+Fiction Festival dove ha ricevuto il premio alla carriera Urania d'Argento). Info: http://www.retecivica.trieste.it

Domani accadrà ovvero se non si va non si vede

Pordenone, Teatro Comunale G.Verdi - 8, 9, 10 Febbraio


i film del mese

di Tom Hooper. Con Amanda Seyfried, Hugh Jackman, Helena Bonham Carter, Russell Crowe, Anne Hathaway. Or.: - Gran Bretagna, 2013 Dur.: 152’

UNO DEI MUSICAL PIÙ LONGEVI DELLA STORIA ARRIVA AL CINEMA

LES MISÉRABLES DI TOM HOOPER Toulon, 1815. Jean Valjean è il prigioniero numero 24601, condannato a diciannove inverni di lavori forzati per aver rubato un pezzo di pane sfamando un nipote affamato. Rilasciato a seguito di un'amnistia prova a ricostruirsi una vita e una dignità nel mondo, nonostante gli avvertimenti e le intimidazioni di Javert, integerrimo secondino della prigione convinto che un ladro non possa che perseverare nel male. Dopo aver dato voce al re (Il discorso del re), Tom Hooper dà voce ai miserabili di Victor Hugo, affrancandoli col canto dallo stato di minorità in cui versano. Teatro di lotta e di idee, Les Misérables è narrativamente apparentato con l'opera lirica di cui riproduce il 'recitativo', ossia il recitar cantando, che introduce o segue un'aria. La rievocazione storica fa tutt'uno con la logica narrativa del feuilleton e con l'emotività iperbolica del melodramma, realizzando movimenti musicali da vedere con le orecchie e ascoltare con il cuore. Se dal conflitto nasce il dramma de Les Misérables, dal confronto tra Hugh Jackman e Russell Crowe si produce un'epica polarità che si imprime sulla retina, che fa sussultare, trattenere il fiato, richiedendo allo spettatore una partecipazione assoluta e senza condizioni. Il film è un inseguimento infinito concepito come un musical e imbastito come un'opera, dove allo spartito dell'istintiva improvvisazione del forzato redento si oppone la calcolata determinazione dell'ispettore, che per catturare la sua ossessione deve imparare a sentirla, viverla da dentro, possedere il suo ritmo per negarlo con il proprio o negarsi il proprio in fondo al fiume. Tom Hooper da par suo vivifica la storia di Victor Hugo lavorando sulle coordinate espressive dell'inquadratura, arricchendo e complicando una sintassi articolata sul campo e controcampo, come vuole un film quasi totalmente incentrato su due uomini (in)conciliabili che si è guadagnato ben 8 nomination agli Oscar.

di Kathryn Bigelow. Con Jessica Chastain, Jason Clarke, Joel Edgerton, Jennifer Ehle, Mark Strong. Or.: USA, 2013 Dur.: 157’

REALISMO E RITMO PER UN FILM RARO E IMPERDIBILE CHE NARRA UN’OSSESSIONE

di Gabriele Salvatores. Con Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, Jonas Trukanas, Vitalji Porsnev. Or.: Italia, 2013 Dur.: 110’

SALVATORES RACCONTA CRESCITA E FORMAZIONE DI UNA COMUNITÀ CRIMINALE

ZERO DARK THIRTY DI KATHRYN BIGELOW La caccia ad Osama Bin Laden è stata la missione che più ha impegnato l’America contemporanea, nel corso di un decennio abbondante e di due mandati presidenziali, e che più l’ha esposta, in termini di promesse e vendette, all’interno dei suoi confini e al cospetto del mondo intero. Questa è la storia di Maya, giovane ufficiale della CIA, armata d’intuito e di una determinazione dura a morire, che non si è lasciata fermare dai giochi di potere né dalle indecisioni o dallo scetticismo dei superiori ed è riuscita nell’impresa storica di trovare l’ago che pareva svanito nel nulla all’interno di uno dei pagliai più fitti, complessi e lontani dagli uffici di Washington che si potessero immaginare. Al di là del successo nel raccontare una storia nota con una tensione che non dà tregua, e oltre una regia di massima precisione, come un’arma intelligente guidata però da una mano umana scaldata dalla passione, c’è una considerazione banale nella sua evidenza che fa di Zero Dark Thirty un film raro e imperdibile: tanto nella ricostruzione quasi documentaristica dei metodi di lavoro dell’Intelligence, delle dinamiche maschili al suo interno, della solitudine al femminile, dell’impegno visivo, strategico e linguistico che ne sono parte integrante e che occupano per intero la prima parte del film, quanto nella grande sequenza dell’azione e nella difficile chiusura, non c’è nulla che manchi al film né nulla che sia di troppo. Non è una questione di realismo, ma una misura tutta interna all’opera, ottenuta con gli strumenti della scrittura e della messa in scena e i tempi del montaggio, che lo rende magnificamente esauriente e mai esondante. Il rischio di non centrare il bersaglio era altissimo: visto il soggetto trattato, la possibilità di andare sopra le righe nel raccontare la storia della caccia a Osama Bin Laden era più che tangibile. Ma Kathryn Bigelow, aiutata anche dalla fotografia di Greig Fraser, compie il prodigio di una messa in scena assolutamente realistica e coincisa nonostante la durata.

EDUCAZIONE SIBERIANA DI GABRIELE SALVATORES "L'educazione siberiana" è uno strano tipo di "educazione". E' un'educazione criminale, ma con precise e, a volte sorprendentemente condivisibili, regole d'onore. La storia si svolge in una regione del sud della Russia e abbraccia un arco di tempo che va dal 1985 al 1995. In quegli anni avviene uno dei più importanti cambiamenti della nostra storia contemporanea: la caduta del muro di Berlino e la conseguente sparizione dell'Unione Sovietica con tutto


di Gus Van Sant. Con Matt Damon, John Krasinski, Frances McDormand, Lucas Black, Titus Welliver. Or.: USA, 2013 Dur.:’

di Ben Lewin. Con John Hawkes, Helen Hunt, William H. Macy, W. Earl Brown, Moon Bloodgood. Or.: USA 2012. Dur.: 98’

I GROVIGLI PROFESSIONALI E SENTIMENTALI DI UN VENDITORE IN MISSIONE

PROMISE LAND DI GUS VAN SANT Steve Butler (Matt Damon) è un agente di vendita di una grossa compagnia, che si trasforma da ragazzo di campagna a uomo in carriera. La sua vita, però, prende una piega inaspettata quando arriva in una piccola città, McKinley, dove è stato mandato dall'azienda con la collega Sue Thomason (Frances McDormand). La città è stata colpita duramente dalla recente crisi economica e i due esperti della vendita sono convinti di avere gioco facile nel convincere gli abitanti di McKinley ad accettare l'offerta dell'azienda per cui lavorano, decisa a ottenere i diritti di trivellazione sui terreni di loro proprietà. Ma quello che sembrava un lavoro facile e un breve soggiorno diventa ben presto un complicato groviglio, sia da un punto di vista professionale, per le resistenze della comunità, sia sul versante personale, per l'incontro di Steve con Alice. E, quando Dustin Noble, uno scaltro attivista ambientale, interviene, improvvisamente la posta in gioco, sia personale che professionale, sale al punto di ebollizione. McKinley è la cittadina dove i progetti di una grande società petrolifera sono destinati a infrangersi, uno spaccato dell'America rurale che, pur vivendo la crisi, non è disposta a svendersi per meri interessi economici. Sono temi forti, quelli affrontati da Gus Van Sant in Promised Land. Tanto forti da mettere in agitazione i magnati del petrolio, la politica, e da far temere per la riuscita stessa del progetto. A dirigere Promised Land avrebbe dovuto essere l'attore Matt Damon, da tempo alla ricerca di un film che gli consenta di esordire dietro la macchina da presa. Eppure, alla fine, considerata la fittissima agenda del 2012, Damon, cosceneggiatore del film, ha dovuto cedere il timone a Gus Van Sant, che lo aveva già diretto in Will Hunting - Genio ribelle, lungometraggio per il quale Damon vinse l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale, scritta a quattro mani con l'amico di sempre Ben Affleck.

UNA PRODUZIONE INDIPENDENTE DA CUI EMERGE UNA REGIA PULITA

THE SESSIONS DI BEN LEWIN Berkeley, California, anni '80. Il giornalista Mark O'Brien è costretto a vivere in un polmone d'acciaio, paralizzato dalla poliomielite. Quando il suo corpo inizia a trasmettergli desideri sessuali sempre più espliciti, l'uomo decide di ricorrere a una terapista specializzata, Cheryl Cohen Greene. Nelle sei sessioni con la donna Mark scoprirà la gioia del sesso e la scoperta del proprio corpo. Ma quando anche i sentimenti entrano in gioco, oltre alla mera questione fisica, la faccenda si complica per tutti. Ad ascoltare la confessione del protagonista c'è poi padre Brendan, prete diviso tra la propria religione e la comprensione delle effettive necessità del suo parrocchiano. Alla base di tutto c'è il documentario Breathing Lessons: The Life and Work of Mark O'Brien di Jessica Yu, che nel 1996 si aggiudicò addirittura l'Oscar. Ben Lewin, regista anch'egli affetto da poliomielite, dopo aver scoperto la storia del giornalista poi deceduto a 49 anni, ha deciso di realizzarne un film. La produzione non poteva che essere indipendente, e di questo tipo di cinema possiede tutti gli stilemi immaginabili: regia pulita e vicina ai caratteri, scrittura precisa sulla definizione delle psicologie e delle situazioni, messa in scena "pove-

i film del mese

quello che questo evento ha poi comportato nei rapporti economici e sociali dell'intero pianeta. Ispirato all'omonimo romanzo di Nicolai Lilin (edito da Einaudi), in cui l' autore racconta la sua infanzia e la sua adolescenza all'interno di una comunità di "Criminali Onesti" siberiani, così come loro stessi amano definirsi, il film racconta la storia di ragazzi che passano dall'infanzia all'adolescenza, e della comunità in cui sono cresciuti, rappresentando, attraverso un microcosmo molto particolare, una storia universale che, al di là delle implicazioni sociali, acquista un significato metaforico che riguarda tutti noi. Salvatores ci ha tenuto a specificare che: “Educazione siberiana non è un film politico. Il messaggio politico è intuibile, semmai, dalle storie dei protagonisti, dalle loro personali vicende di crescita. Ci siamo concentrati su quello che Lilin (il protagonista della vicenda reale) racconta nel romanzo: Le regole ferree che hanno dominato la comunità nella quale è cresciuto, la religione, il rapporto con le armi e il denaro, sull’importanza dei tatuaggi e su come ci si comporta in galera, per i meno fortunati che ci sono finiti. Educazione siberiana è in pieno un romanzo di formazione e spero di avere reso bene il clima perché qui, non siamo davanti ad una formazione classica ma estrema e dal fascino pericolosamente ambiguo”. “Ci ho pensato – ha continuato Salvatores – prima di accettare questo progetto perché presentava un argomento a me non affine e per le tante difficoltà che si portava appresso. Ora, posso dire, senza alcuna voglia o ombra di provocazione, che ho imparato più cose in questo film che negli altri quattordici realizzati fino ad ora.


i film del mese

ra". The Sessions si fa apprezzare per l'efficacia e la sensibilità con cui mette insieme tutte queste componenti. Tutta l'impalcatura, con le sue raffinatezze ma anche con la sua punta di retorica buonista, è messa al servizio delle interpretazioni dei tre protagonisti. Spalla sobria e simpatica è un William H. Macy che a ben guardare aveva il ruolo più difficile, quello che rischiava di andare troppo sopra le righe. L'attore invece lo mantiene sempre simpatico ma mai caricaturale, riuscendo a delineare un uomo di Dio umanissimo e convincente. Un degno applauso va anche a Helen Hunt, bellezza non scontata che adopera il suo corpo in maniera elegante e coraggiosa. Con la sua fisicità matura regala al personaggio di Cheryl freschezza e la giusta dose di distacco. Padrone assoluto della scena è però un grande, ironico, perfetto John Hawkes, incredibilmente efficace nel comunicare soltanto attraverso uno sguardo o l'intonazione della voce sforzata che O'Brien aveva. Siamo davvero di fronte a uno dei più grandi interpreti della sua generazione, capace di cambiare radicalmente di film in film e mantenere intatta la sua forza propositiva. È Hawkes il cuore pulsante e poetico di The Sessions, e per lui più che per ogni altro motivo questo film merita di essere visto e apprezzato. di Brillante Mendoza. Con Isabelle Huppert, Kathy Mulville, Marc Zanetta, Rustica Carpio, Ronnie Lazaro. Or.: Filippine, Francia, Germania, Gran Bretagna 20Dur.: 120’

di Joe Wright. Con Keira Knightley, Jude Law, Aaron Johnson, Kelly MacDonald, Matthew MacFadyen. Or.: Gran Bretagna 2012. Dur.: 130’

UN FILM INUSUALMENTE D'AZIONE DA UN REGISTA DAI TEMPI PIÙ RIFLESSIVI

CAPTIVE DI BRILLANTE MENDOZA A partire da eventi realmente accaduti Brillante Mendoza gira il suo primo film in cui il realismo dello stile si accompagna a quello di una trama ispirata alla cronaca. E nel disegnare i fatti veri il regista filippino sceglie subito la barricata dietro la quale schierarsi. Captive è la storia di quindici prigionieri e quasi altrettanti carcerieri, la storia di un continuo movimento lungo la giungla come gli animali che li circondano, senza un tetto e senza provviste, uno spostarsi continuo fatto di pasti saziati da quel che si trova e ferite curate con le erbe masticate, di un gruppo di uomini che sviluppa vicendevolmente un rapporto di affezione e comprensione. Senza fare sconti alla durezza e intransigenza dei rapitori ma non cedendo nemmeno un passo davanti all'ancora maggiore inamovibilità dei governi (cui non è riservata nemmeno un'inquadratura, solo qualche flebile voce dall'altra parte del telefono), Mendoza inserisce i suoi attori professionisti e non (accanto a Isabelle Huppert c'è un cast in cui spiccano volti che non possono di certo essere habitué della macchina da presa) in una giungla affollata di piante e altri esseri viventi. Come già in altri film (specie in Lola) il regista filippino sembra infatti tenere all'ambiente tanto quanto ai personaggi. Tra metafore esplicite (il serpente che cattura la preda e se ne ciba), un parto durante una sparatoria filmato realmente (il sangue finto dei morti montato accanto a quello vero del neonato) e un insperato anelito di libertà portato da un coloratissimo uccello fatto al computer, Captive sembra guardare a L'alba della libertà di Werner Herzog, per il modo in cui il tragitto della foresta è pericoloso e metaforico, aspro e comprensivo. L'impressione finale è che il film più ambizioso (e dispendioso!) del regista mostri anche qualcos'altro, ovvero come la sua vena, fino ad ora espressa nell'intimismo, abbia molto da dire anche in quel cinema che affronta la morte da vicino, che alterna ai più classici momenti di stasi altri caratterizzati da un ritmo serrato e dall'ansia della violenza imminente.

UN FILM CHE 'FILA' LETTERALMENTE COME UN TRENO NELLA NOTTE

ANNA KARENINA DI JOE WRIGHT Rivitalizzato con risorse tecnico-linguistiche il romanzo di Tolstoj ritorna sullo schermo sfidando le trasposizioni illustrative con Greta Garbo, due volte Anna Karenina, prima 'muta' e poi sonora. La Knightley, sempre leziosa e impersonale, è nobilitata da un cinema che rifà il teatro che rifà la vita dentro uno studio e una danza. Danza che avvolge e coinvolge, diventando testimonianza della vita sociale, di esigenza poetica di racconto e di preludio all'azione. Accompagna Keira Knightley nel giro di valzer e di vita, il biondissimo e fatale conte di Aaron Johnson, portatore di eros e thanatos. Dietro alle quinte la trattiene e custodisce come un bene il marito imploso di Jude Law, che sperimenta dolente l'inarrestabile divenire morte della vita. Come inevitabile conclusione, come si addice alla forma tragica. Le passioni e le pulsioni vitali nel film di Wright finiscono così per coincidere con la distruzione indicando un destino senza possibilità di ritorno, gestito soltanto dall'immediatezza e dalla furia del sentimento. In una rappresentazione che alterna l'orizzontalità delle scene con la verticalizzazione delle scenografie si rinnova la tragedia della condizione umana di Anna Karenina, l'insostenibilità di un amour fou che distrugge e autodistrugge proprio mentre assapora la perfetta aderenza dell'amante amato.


LA SCUOLA AL CINEMA Febbraio 2013 PER NON DIMENTICARE: IN RICORDO DELL' OLOCAUSTO Teatro Zancanaro (Sacile) Venerdì 8 febbraio 2013, ore 9.00.

Incontro con Geremia Della Putta, sopravvissuto a Buchenwald. Seguirà:

"Ogni cosa è illuminata" di Liev Schrieber, durata 106', drammatico Un'opera prima illuminante e illuminata come "ogni cosa" nel titolo che accompagnerà i racconti di chi ha vissuto sulla propria pelle la terribile esperienza della deportazione. Cinemazero (Pordenone). Sala Grande. Lunedì 18 febbraio 2013, ore 11.00

“Moonrise Kingdom. Fuga d’amore” di Wes Anderson, durata 94’, drammatico 2012 Percorso di formazione per due dodicenni alle prese con il primo amore e l’incomprensione con gli adulti. Cinemazero (Pordenone). Sala Grande Martedì 26 febbraio 2013, ore 11.00 In occasione del cinquantenario della sua uscita:

“Gli Ultimi” di Vito Pandolfi, durata 87 minuti, drammatico 1963. Il 31 gennaio 1963 usciva in sala a Udine Gli ultimi di padre David Maria Turoldo e Vito Pandolfi, film capolavoro sulla vita dei contadini friulani negli anni Trenta. La proiezione verrà introdotta da un formatore di Cinemazero; ad ogni docente verrà fornito materiale didattico di approfondimento. L’ingresso per gli studenti è di € 4,00. TOTÒ

FANS CLUB

P O R D E NONE

TOTÒ FUORILEGGE (?)

La banda degli onesti

regia di Camillo Mastrocinque - 1956 - dur. 90’

Venerdì 22 febbraio 2013 - ore 19.30 Saletta Incontri San Francesco - Piazza della Motta, PN con il patrocinio del Comune

di Pordenone

INGRESSO LIBERO

Dopo il film i totofili si incontreranno per una pizza alla Pizzeria Peperino di Viale Martelli a Pordenone



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