E 1,00
mensile di cultura cinematografica
La nostra Piccola Patria
Alessandro Rossetto racconta l’anima sofferente del Nordest
Prima di cadere - Le voci dell’inchiesta 2014 Dal 9 al 13 aprile l’VIII edizione del festival
Le meraviglie del cinema in fiera Cinemazero incontra i più piccoli a B come Bimbo
Gino Peressutti, l’architetto di Cinecittà In libreria l’interessante saggio di Sara Martin
Tina Modotti a Torino
La straordinaria parabola dell’artista in mostra a Palazzo Madama
Alla ricerca della sedia perduta
14
Aprile
Le più interessanti uscite sugli schermi di aprile
2014 numero 04 anno XXXIV
Un pesce di nome Lars Von Trier
A fine aprile arriva in sala il film postumo di Carlo Mazzacurati
Anticipazioni dal Far East
Dal 25 aprile al via la 16ma edizione del festival del cinema asiatico spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Le più interessanti uscite sugli schermi di aprile 2014
AndreaCrozzoli Crozzoli Andrea
Editoriale
Un pesce di nome Lars Von Trier In uscita questo mese diversi film da tenere d’occhio. Cominciamo con il furbo Lars Von Trier che aveva promesso grande scandalo a Berlino con la prima parte del suo dittico Nymphomaniac (il vol. 1 è in uscita il 3 aprile) rivelatosi alla visione un vero “pesce d’aprile”. In centoquarantacinque minuti snocciola le performance erotiche giovanili di Joe, narrate da Charlotte Gainsbourg. L’attrice Stacy Martin, che interpreta Joe negli anni ruggenti, nel film intona litanie del tipo: “Mea Vulva. Mea Vulva. Mea Maxima Vulva!” e, in bilico fra i racconti boccaceschi e il Marchese De Sade, inanella una serie infinita di performance sessuali, la cui meccanicità finisce per annoiare. La giovane Martin ha dichiarato a Berlino che il tutto è solo frutto del digitale, lei non ha fatto niente di quello che si vede sullo schermo! Come se non bastasse giovedì 24 è prevista l’uscita di Nymphomaniac – vol. 2, ovvero la parte seconda di questa biografia a tutto sesso con la quale Von Trier chiude la trilogia sulla depressione e la sua personale riflessione sulla sessualità che fonde l'alto e il basso. Una summa del suo cinema di cui non sentivamo il bisogno. Fortunatamente aprile riserva, però, anche graditissime sorprese come l’Orso d’Argento al FilmFestSpile 2014 vinto da Wes Anderson per The Grand Budapest Hotel , l’opulentissimo film dove, come in Il treno per Darjeeling, Tenenbaum o Moonrise Kingdom, c’è una fuga, questa volta dalla follia bellica, da un’Europa sull’orlo della guerra. Anderson, che ha studiato filosofia all'Università del Texas, ha dichiarato, per questo film, il suo tributo a maestri del cinema come Ernest Lubitsch, Billy Wilder, Fritz Lang, aiutato in questo anche da interpreti come Bill Murray, Adrien Brody, Willem Dafoe, Harvey Keitel, Tilda Swinton, Jeff Goldblum e Léa Seydoux. Sarà d’ob bligo, nei prossimi mesi, leggere Stefan Zweig (nato a Vienna nel 1881) e il suo Il mondo di ieri – Ricordi di un europeo (ed. Mondadori), autobiografia quasi testamentaria da cui Anderson ha tratto il film. Il mese scorso ci ha lasciato, a 91 anni, Alain Resnais, subito dopo aver vinto un Orso d’Argento a Berlino con il suo ultimo film Aimer, boire et chanter, terzo lavoro teatrale ad essere adattato per lo schermo. Una deliziosa e intelligente commedia sulla fiera delle vanità di tre coppie, dove Resnais mesco la, con la consueta abilità, diversi livelli di finzione nella finzione. Film ancora senza distribuzione per l’Italia come il suo precedente, del 2012, Vous n'avez encore rien vu con Lambert Wilson, Mathieu Amalric, Michel Piccoli e Sabine Azéma. Riuscirà in Italia, invece, uno dei suoi capolavori, l’imperdibile Hiroshima mon amour (1959), con Emmanuelle Riva, in versione restaurata, fondamentale opera della Nouvelle Vague con un uso innovativo, per l’epoca, dei flashback che non sono un salto nel passato, ma al contrario è il passato a saltare nel presente, con le immagini suggerite dalla memoria della donna che si alternano alla straziante visione di Hiroshima ancora bruciante. Il film ha la densa sceneggiatura di Marguerite Duras e venne candidato all’Oscar. Ma aprile sarà anche l’occasione per rivedere restaurato un capolavoro assoluto del cinema italiano e mondiale, quel Roma città aperta di Roberto Rossellini, con le immagini della morte di Pina (Anna Magnani) falciata dalla mitragliatrice dei tedeschi mentre rincorre il camion che sta portando via il suo uomo, entrate ormai come icona nell’immaginario filmico. Un film dalla realizzazione travagliatissima, sul quale molto si è scritto, e che ha cambiato il corso della storia del cinema tout court.
In copertina: Ralph Fiennes protagonista dell’ultimo film di Wes Anderson The Grand Budapest Hotel Orso d’Argento all’ultimo FilmFestspiele di Berlino.
cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Aprile 2014, n. 04 anno XXXIV Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Marianita Santarossa Direzione, redazione, amministrazione P.zza della Motta, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 Cassa: 0434-520527 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Grafiche Risma Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica
L’anima sofferente del Nordest in un racconto di finzione legato alla realtà
Marco Fortunato
È ambientato nel Nordest, ma potrebbe esserlo in qualunque provincia italiana. È un racconto di finzione, ma le sue radici affondano nell’esperienza del reale. È Piccola Patria, il primo lungometraggio di fiction di Alessandro Rossetto, noto regista padovano con un’importante carriera da documentarista alle spalle (Bibione Bye Bye One (1999) Chiusura (2002)) che ci racconta in esclusiva la genesi e i dietro le quinte del suo ultimo lavoro che arriverà in sala in aprile. Dopo il documentario l’esordio nel cinema di fiction. Quali esigenze artistiche e produttive hanno fatto nascere Piccola Patria? Sul racconto avevo lavorato qualche anno fa con Caterina Serra. Partivamo da un soggetto sulla fine dell’adolescenza e il conflitto con il mondo degli adulti, sui lati oscuri e sensuali di un ricatto. Volevo strutturare un’opera “aperta”, ma in un schema tragico classico. E la realizzazione doveva essere a metà tra il cinema di finzione e il documentario. Una scommessa per la scrittura, per la forma del film e per gli attori. L’impianto produttivo si è adattato alla lavorazione di un film corale e di ricerca. Quindi una tappa del tuo percorso artistico che si pone in continuità con quanto fatto finora? Sì, per le basi del racconto - cercate nell’esperienza del reale – e per la narrazione, affidata anche alla scrittura della macchina da presa. La concezione dell’immagine per me resta primaria, questo è in continuità con il mio passato. E l'ho girato nel nord est italiano (Rossetto è padovano, ndr), dove ho realizzato altri miei film. In Piccola Patria ho usato gli “strumenti” del documentario per arrivare anche al dramma romantico e ho coinvolto su questo piano gli attori e la troupe. Una precisa scelta registica dunque, come ha influito nella strutturazione della storia? Connaturare il racconto con il territorio e l’improvvisazione è stata la forza del film. La struttura finale si è determinata solo al montaggio e durante le riprese la storia è stata letteralmente immersa in situazioni reali. In questo il dialetto gioca un ruolo fondamentale. Gli attori sono tutti “veneto speaking”, credo che proprio l’uso di una lingua locale e vera renda la storia spettacolare e universale. I protagonisti sono attori con una formazioni specifica, come li hai scelti? Ho condotto il casting da solo, cercando una specifica energia per ciascun ruolo e una disponibilità non comune. Gli interpreti dovevano essere funzionali al racconto e allo stesso tempo aperti ad un percorso di sperimentazione. Non cercavo attori “presi dalla strada”. Maria Roveran e Roberta da Soller (Luisa e Renata nel film) hanno studiato cinema e recitazione. Vladimir Doda (Bilala) è albanese e ha studiato teatro e recitazione a Udine, Lucia Mascino, Nicoletta Maragno, Mirko Artuso, Diego Ribon e il grande Giulio Brogi sono attori di esperienza. C’è anche un protagonista invisibile, ma in realtà molto presente, cioè la musica... Tre tipi di musica accompagnano il film. Avevo scelto i cori di Bepi de Marzi prima delle riprese per il loro potente tono epico e sapevo che avrebbero ben accompagnato le immagini aeree. Maria Roveran, che è anche musicista, ha sentito l’esigenza di comporre e cantare due canzoni mentre eravamo sul set, quasi fosse il suo personaggio a dettargliele. E una terza parte delle musiche - che definirei il tema del film, una ballata senza canto - è stata scritta da Paolo Segat e Alessandro Cellai. Il risultato è un film coraggioso, sperimentale, che fonde elementi di documentario e fiction. Abbiamo preso dei rischi, mantenendo una certa e sana amatorialità. Quella di cui parlava John Cassavetes, senza forzature per raggiungere l’entertainment commerciale ad ogni costo. Da questo punto di vista, Piccola Patria rappresenta una sfida per promuovere e valorizzare contenuti “altri” e “alti” in un momento non facile; la buona accoglienza ricevuta a Venezia comunque è stata confortante. C’è dunque la luce in fondo al tunnel, sia per il futuro del cinema italiano che per le vicende della nostra Piccola Patria? Credo di sì, ma non saprei se il cinema italiano sia nel tunnel o fra le sabbie mobili… Per quanto riguarda il film e i personaggi, almeno quelli giovani, è vero che partono da una sorta di buio come vittime della situazione circostante, per poi scoprirsi in grado di giocare un ruolo da protagonisti positivi.
Intervista ad Alessandro Rossetto
La nostra Piccola Patria
Dall’9 al 13 aprile a Cinemazero l’VIII edizione del Festival
Marco Rossitti
Le voci dell’inchiesta 2014
Prima di cadere Le voci dell’inchiesta 2014 Giunto all'ottava edizione, il festival "Le voci dell'inchiesta" riespone, attraverso un fitto e articolato palinsesto, una formula consolidata che intreccia proiezioni e incontri, omaggi e approfondimenti, tesori d'archivio e novità internazionali, tavole rotonde e rassegne stampa, workshop e matinée per le scuole. Una quarantina di ospiti italiani e stranieri e una trentina di opere selezionate nei più importanti festival cinematografici del mondo (metà delle quali in anteprima nazionale e sottotitolate per l'occasione) spalancano il programma della manifestazione ad una ricchezza e varietà di contenuti capaci di sollevare, nello spettatore, una girandola di sorprendenti, per lo più antitetiche, "impressioni sul mondo". Pars destruens: Il mondo è bello perché è avariato. È questa la sensazione che si distilla ripercorrendo l'Italia degli anni Novanta aggrappati, come a tanti minuscoli tappeti volanti, alle Cartoline (847 in cinque anni: 1989-1994) spedite da Andrea Barbato ai suoi telespettatori, ai governanti e ai notabili. Ne riemerge l'inossidabile déjà-vu a tinte fosche di un Paese soggiogato da una classe dirigente mediocre e furbesca, parolaia e incolta, sullo sfondo di un paesaggio di rovine fatto di terreni inquinati, monumenti frananti, istituzioni fragili, mafie e clientele aggressive. Questo stesso paesaggio nazionale - "arricchitosi" nel frattempo del vergognoso spettacolo di città d'arte ridotte a "luna park" a pagamento, per la fortuna dei soliti noti vicini ai poteri, e dello scandalo di musei e residenze storiche utilizzati per le feste private di grandi marchi, stilisti e rock star è oggi il fronte sul quale si consumano le lotte per la tutela del patrimonio culturale del Paese portate avanti, contro tutto e contro tutti, tra gli altri, da Tomaso Montanari (Le pietre e il popolo), Gian Antonio Stella (Vandali), Antonella Tarpino (Spaesati), Bruno Zanardi (Un patrimonio artistico senza), protagonisti della tavola rotonda L'Italia: il Paese dell'Articolo 9, condotta da Nino Criscenti autore di indimenticabili inchieste come Arte negata e Paesaggi rubati. Un vero e proprio presidio di resistenza contro quelle nuove politiche che, negando «il valore civico dei monumenti, in favore del loro potenziale turistico, e quindi economico» e alterando l'idea stessa di comunità, stanno cercando di smantellare uno dei principi fondanti della nostra democrazia e di trasformarci «da cittadini partecipi a consumatori passivi» (Montanari). Se tale "sperimentazione umana" si sta attuando, tutto sommato, per gran parte alla luce del sole, nell'indifferenza (quasi) generale della popolazione e coperta da un'insopportabile "retorica del Bello", assai più subdole si rivelano altre "sperimentazioni", perpetrate alle spalle e ai danni di cittadini e consumatori per lo più inconsapevoli: da una parte, ad esempio, quelle che derivano dall'uso, da parte di alcuni produttori di cosmetici e conservanti per alimenti, di componenti chimiche altamente cancerogene, capaci di provocare in un anno, nei soli Stati Uniti, più vittime degli attentati terroristici e dei disastri ferroviari (The Human Experiment di Don Hardy e Dana Nachman); dall'altra quelle attuate dalle grandi banche e società d'investimento, principali responsabili della crisi economica nella quale ci dibattiamo, che in nome di ciniche logiche finanziarie e di una malsana cultura del profitto hanno ritenuto lecito utilizzare i piccoli e medi risparmiatori come cavie da laboratorio e speculare sulle economie di intere nazioni, come Grecia e Portogallo. “Le banche hanno un piano B per tutto. Ma per questa crisi finanziaria non c’è un piano B" afferma l'ex banchiere tedesco Rainer Voss (protagonista di Master of the Universe di Marc Bauder), aggirandosi, come il fantasma di un mondo che fu, per un intero palazzo di uffici abbandonati nel distretto finanziario di Francoforte. «È veramente affascinante - commenta l'ex "dominatore dell'universo" - come si possa discutere per anni prima di destinare un paio di centinaia di milioni alla cultura, e poi decidere in un weekend di sborsare cento o duecento miliardi per salvare una banca". E aggiunge: «È impossibile che tutto questo abbia un lieto fine». Niente happy end, dunque. Neanche per quelle opere che ci immergono, a vario titolo, nell'ambito di conflitti internazionali di ieri e di oggi: la guerra civile somala, dove il 20 marzo del 1994 trovarono la morte, in circostanze misteriose, la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e l'operatore triestino Miran Hrovatin, impegnati in un'inchiesta sul traffico internazionale di
veleni, rifiuti tossici e radioattivi dai paesi industrializzati verso l'Africa in cambio di armi e tangenti per i poteri locali (Il caso Ilaria Alpi. Le verità parallele); il caos e la vertigine della rivoluzione libica, con la sua brutale perdita di vite umane e di innocenza (First to Fall della giovanissima giornalista-filmmaker Rachel Beth Anderson, vera rivelazione del festival); e ancora le stanze del Pentagono, nelle quali "l'architetto della guerra" Donald Rumsfeld, segretario alla difesa dei presidenti Ford e Bush jr., progettò a tavolino la più imponente - e fallimentare - azione militare alleata dal 1945 in poi: la guerra contro l'Iraq (The Unknown Known di Errol Morris); ma anche le strade notturne di Juarez, Messico, e El Paso, Texas, dove si consumano la violenta e disperata lotta quotidiana delle forze dell'ordine contro i cartelli della droga e la guerra all'ultimo sangue (più di 60.000 omicidi dal 2006 ad oggi) tra le bande rivali del narcotraffico (Narco Cultura di Shaul Schwarz). Pars construens: Il mondo è bello perchè è vario (e variamente "orientato al bene"). Nonostante tutto, anche noi ci auguriamo che nella fitta trama del festival - come sperava Andrea Barbato per il tessuto sociale di quella brutta Italia che andava ritraendo in Cartolina - si possa sentire «la presenza, come grande coro silenzioso, di una popolazione che continua a sperare nel meglio, sia pure per strade sempre incerte e tortuose», convinti come siamo - questa volta con l'"utopista concreto" Adriano Olivetti - che sia ancora possibile confidare «nel potere illimitato delle forze spirituali» e che «la sola soluzione alla presente crisi politica e sociale» consista nel dare a quelle stesse forze «la possibilità di sviluppare il loro genio creativo». Entrambi - il "giornalista gentiluomo" e il "maestro d'industria illuminato" - si sarebbero emozionati, e avrebbero ricevuto nuova speranza nel futuro, nello scoprire i sogni e le paure, le insicurezze e la capacità d'autocontrollo, le speranze e le delusioni, le spinte ideali e l'amore incondizionato per la musica di quei centotrenta giovani provenienti da ogni parte del mondo, aspiranti direttori d'orchestra, ritratti con partecipazione e sensibilità non comune da Elena Goatelli e Angel Esteban in One Minute for Conductors; di buon grado si sarebbero uniti - magari utilizzando uno di quei moderni strumenti di comunicazione che non hanno fatto in tempo a conoscere (Barbato, forse, le pagine di un quotidiano online o di un blog; Olivetti, con buone probabilità, Facebook o Twitter) - all'appello di alcuni grandi pensatori contemporanei - tra cui l'etologa Jane Goodall, la scrittrice Margaret Atwood, l'ambientalista David Suzuki e l'astrofisico Stephen Hawking - a favore di uno sviluppo sostenibile capace di contrastare le infinite "trappole del progresso" nelle quali siamo finiti e in cui rischiamo di soccombere (Surviving Progress di Mathieu Roy e Harold Crooks); sarebbero stati orgogliosi di sfoderare la fionda a fianco delle fragili ma determinate Pussy Riot in una coraggiosa sfida al gigante Cremlino (Pussy versus Putin del collettivo Gogol's Wives); e non avrebbero certamente mancato di organizzare una qualche pubblica sottoscrizione (che oggi si dice crowfunding) per aiutare una giovane iraniana a realizzare il sogno di diventare astronauta (Sepideh. Reaching for the Stars di Berit Madsen); mai infine, diversamente dagli ottusi genitori della sfortunata ragazza, avrebbero fatto mancare affetto e conforti alla diciannovenne Regina Diane, malata terminale di cancro (Farewell to Hollywood di Henry Corra). In altre parole, avrebbero provato l'immenso piacere di condividere passioni, convinzioni, problemi, ideali, senso di responsabilità con quanti, ogni giorno, lontano dai riflettori dei media, si battono per difendere e promuovere la vita, la giustizia, il bene comune, l'arte, i propri sogni, l'amore...: ovvero con il nostro pubblico ideale, che continuiamo ad immaginare composto non da irriducibili pessimisti, ma - come direbbe Elias Canetti - da ottimisti che amano essere informati.
Dal 5 al13 Aprile la quarta edizione di B come Bimbo in fiera a Pordenone
Manuela Morana
B come Bimbo
Le meraviglie del cinema alla fiera dei più piccoli B come Bimbo, la fiera pordenonese dedicata al mondo dell'infanzia e delle famiglie, quest'anno raddoppia: sì, perché visto l'entusiasmante successo di pubblico riscontrato nel corso della scorsa edizione, l'evento promosso da Pordenone Fiere in collaborazione con Fondazione Pordenonelegge.it e Camera di Commercio di Pordenone, dà appuntamento al pubblico dei più piccoli per ben due weekend di aprile. Ecco le date da segnare in agenda: 5, 6 e 7 e 11, 12 e 13 aprile. Non mancherà anche per questa edizione il ricchissimo parterre di spazi espositivi curati da tutte le associazioni, gli enti e le realtà del territorio che si dedicano all'infanzia e all'educazione. Promette faville inoltre lo straordinario programma di laboratori didattici e creativi, incontri, giochi e grandi eventi pensato per le scuole e le famiglie, da vivere tutto d'un fiato, giorno dopo giorno. Oltre alle centinaia di attività per i visitatori più piccoli dove giocare fa rima con educare, saranno accolti nei padiglioni della fiera pordenonese anche numerosi incontri con i protagonisti dell’editoria per l’infanzia, della cultura, della musica, dello sport, della TV, curati e realizzati da B come Bimbo in collaborazione con Pordenonelegge.kids. Inoltre i genitori e gli insegnanti potranno partecipare agli incontri sui temi dell'educazione e della salute, destinati a tutti coloro che intendono valorizzare le abilità nella relazioni con i figli e gli allievi. Coloratissime e irresistibili si presenteranno agli occhi dei piccoli le aree gioco di B come Bimbo, con giostrine, gonfiabili, spettacolini di animazione, concorsi e piccole grandi competizioni da vincere col sorriso sulle labbra. Cinemazero conferma la sua presenza alla fiera pordenonese e accoglie con tutto l'entusiasmo di cui è capace la sfida del doppio weekend di attività. Ancora una volta sarà protagonista la Mediateca Pordenone che offrirà a scuole e famiglie la possibilità di vivere e toccare con mano le meraviglie del cinema. Il menù messo a punto vede come ingrediente top l'immagine in tutte le sue forme e declinazioni. Tra analogico e digitale, le immagini tutte costituiscono il pane quotidiano per la Mediateca che da oltre vent'anni elabora e conduce laboratori di alfabetizzazione all'audiovisivo nelle scuole di ogni ordine e grado. Il capitale inestimabile di competenze e di abilità accumulato stagione dopo stagione fa della Mediateca un alleato prezioso per tutti gli insegnanti e gli studenti che vogliono scoprire cosa si nasconde dietro al grande schermo e tra le pagine della storia del cinema, e, non da ultimo, cosa succede all'immagine quando incontra i nuovi media e si trasforma in pixel. L'offerta didattica di Cinemazero messa a punto per B come Bimbo 2014 è modellata sull'idea di narrare la meraviglia unica e irripetibile di una tecnologia che ha visto la nascita grazie all'ingegno e allo sforzo di tanti artigiani dell'immagine. Nello stand i bambini potranno assicurarsi un ricco bottino di ombre cinesi, lanterne magiche, fenachitoscopi, taumatropi e flipbook: macchine e oggetti dai nomi strani e bizzarri, difficili da pronunciare, ma semplici da ammirare, scoprire e realizzare con le proprie mani. Cinemazero propone un'avventura a occhi aperti attraverso l’universo variegato del cinema delle origini, con eroi e folli protagonisti capaci di strappare una risata e di lasciare i piccoli a bocca aperta. Animali e creature fantastiche faranno la loro apparizione e ad ogni bambino verrà richiesto di sporcarsi le mani e lasciare la propria firma. Come una briciola di pane lasciata lungo il cammino da Hansel e Gretel, tutte le tracce lasciate dai piccoli andranno a comporre un sentiero che porta dritto al cuore della settima arte. Informazioni e prenotazioni: www.bcomebimbo.com.
In libreria, per Forum, l’interessante saggio di Sara Martin
Sara Martin
Cinecittà è uno di quei luoghi che hanno assicurato un’esistenza, una storia e un’identità al cinema italiano e che presumibilmente ne trasmetteranno, più di altri, la memoria. E' stata spesso oggetto di attenzione e di analisi, ma perlopiù come luogo di produzione cinematografica; l’edificio di Cinecittà in quanto tale, tra l’altro dotato di caratteristiche strutturali e architettoniche altamente significative, non sembra aver riscosso pari interesse da parte degli studiosi; o forse, semplicemente, le difficoltà nel reperire il materiale documentale necessario a ricostruire le motivazioni, le scelte stilistiche, le problematiche economiche, politiche e architettoniche che stanno alle origini degli stabilimenti cinematografici più grandi d’Europa, hanno impedito che si riuscisse a togliere gli stabilimenti di Cinecittà dall’oscurità in cui sembravano essere avvolti. La ricostruzione dei fatti e dei motivi per cui sorgono i nuovi stabilimenti di via Tuscolana – inaugurati dal Duce il 28 aprile del 1937, voluti fortemente dal Direttore generale della Cinematografia Luigi Freddi, dall’onorevole Carlo Roncoroni (proprietario degli stabilimenti Cines) e progettati dall’architetto Gino Peressutti, con l’appoggio incondizionato del Capo del Governo – rappresenta il passaggio fondamentale della ricerca alla base del libro. Si dice che Cinecittà sia nata a New York nel 1928. O perlomeno, in quell’anno e nella metropoli americana è nata l’idea di quella che sarà poi Cinecittà: un complesso di stabilimenti e teatri di posa progettati non soltanto per ospitare la produzione di film ma anche per rappresentare e incarnare l’idea stessa del cinema, per farsi interprete delle sue moderne esigenze industriali e per diventare il polo centrale di tutta l’attività cinematografica nazionale. L’architetto Gino Peressutti è nato a Gemona del Friuli il 21 giugno del 1883 e si è formato prima in Friuli e poi nella città di Padova dove è responsabile, tra le altre cose, della progettazione del piano regolatore della città che coinvolge una ristrutturazione radicale del centro storico. Peressutti è sicuramente un professionista di prim’ordine, ma l’elemento su cui è ancora difficile far luce è la motivazione che induce Luigi Freddi in prima battuta e poi l’onorevole Carlo Roncoroni (ma anche il Duce stesso), ad affidare un progetto di tale richiamo mediatico come la Città del Cinema a un architetto così lontano dal dibattito sull’architettura che gravita intorno all’ambiente romano da più di un decennio. Non è da escludersi l’ipotesi di una scelta in funzione del fatto che Peressutti non era mai stato implicato in polemiche e dibattiti legati ai movimenti e ai progetti realizzati dai protagonisti del razionalismo come Piacentini, Terragni, Montuori, Scalpelli, Piccinato, Cancellotti, Michelucci, Pagani… Dati i tempi brevi con cui si volevano realizzare gli stabilimenti cinematografici che, si ricorda, appartengono pur sempre a una tipologia architettonica industriale, Freddi e Roncoroni potrebbero aver deciso di coinvolgere una figura professionale che garantisse un’elaborazione non soggetta a eventuali polemiche dovute a particolari sperimentazioni tecniche o formali. E non è da escludersi neppure la pista intrapresa in questa ricerca, ma priva ad oggi della documentazione comprovante, che vede, nell’incarico della progettazione degli stabilimenti, un rapporto diretto e privilegiato di lunga data di Peressutti con l’ambiente della curia (padovana prima, romana in seguito). Quello che è certo è che Cinecittà, con le sue forme rigorose e funzionali, è un valido esempio di quel linguaggio nazionale capace di unificare visivamente il paese. Se è vero che gli stabilimenti nascono guardando al modello degli studios americani ed europei, come testimonia lo stesso progettista, è anche vero che un centro pienamente autosufficiente e concepito come città a sé, fisicamente separato dalle altre aree urbane, e con una propria logica di sviluppo urbanistico e funzionale – come si può osservare nelle tavole realizzate da Peressutti e pubblicate nel volume grazie alla gentile concessione degli eredi dell’architetto – riflette compiutamente il disegno mussoliniano di fare del territorio l’immagine simbolica dell’organizzazione del regime.
Un friulano a Cinecittà
Gino Peressutti, l’architetto di Cinecittà
Dal 1 maggio al 5 ottobre a Palazzo Madama l’omaggio curato da Cinemazero
Marianita Santarossa
Tina a Torino
Tina Modotti in mostra a Torino A 90 anni dalla sua prima mostra, dal 1 maggio al 5 ottobre 2014, Cinemazero porta nella corte medievale di Palazzo Madama a Torino un omaggio a Tina Modotti (1896 – 1942), frutto della collaborazione con Fondazione Torino Musei e la casa editrice Silvana Editoriale. La mostra copre tutto l’arco della vita di Tina, come fotografa, come musa e come attivista. Ricostruisce sia la sua straordinaria parabola artistica – che la vide prima attrice di teatro e di cinema in California e poi fotografa nel Messico post-rivoluzionario degli anni venti – sia la sua non comune vicenda umana. Un percorso teso a mappare l'evoluzione della sua vita, dagli affetti familiari ai suoi amori; dai primi scatti, figli dell'influenza del compagno Edward Weston, alle ultime, poche, misconosciute foto scattate a Berlino, quando ormai la fotografa ammetteva l’impossibilità di continuare la sua carriera con strumenti tecnici troppo moderni, che non consentivano il suo particolare approccio, metodico e posato. Celebre e ancora emblematica la definizione che Tina Modotti coniò per il suo lavoro: “Sempre, quando le parole "arte" e "artistico" vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo… Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni” (Tina Modotti, Sulla fotografia). Il percorso espositivo messo a punto mostra questa ricerca estetico formale, che guida lo spettatore nell'evoluzione degli stili e delle tecniche della Modotti, passando dagli still life e dagli scatti figli dell'Istridentismo del primo periodo, per arrivare - senza strappi, ma con un'evoluzione progressiva - ai ritratti delle donne di Theuantepec, passando attraverso gli scatti più politici e "rivoluzionari". Una fotografia sempre calibrata e meditata, dei bianco e neri pastosi ma estremamente vari nelle tonalità, frutto di lunghe riflessioni ed esperimenti. Nuclei definiti e coerenti che tracciano la linea di ricerca della fotografa, declinata in fasi e temi diversi: “Stadio” Messico (1925) e “Serbatoio n. 1” (1926) testimoniano l’attento lavoro per catturare i volumi, enfatizzati da tagli prospettici arditi e rigorosamente geometrici, a cui fa da contraltare l’ammorbidirsi delle linee delle nature morte come “Manito” (Messico, 1924) o la celeberrima “Calle” (Messico, 1924 ca), dove il contrasto tra luce e ombra dona una concretezza quasi carnale agli still life. Nei ritratti della stagione messicana l’indagine si concentra sul soggetto umano, con tagli inusuali, volti a marcare la dimensione emotiva, parallela al suo impegno politico, umano e sociale verso i protagonisti, ben rappresentato da fotografie come “Julio Antonio Mella sul letto di morte” (Messico, 1929), “Bambina che prende il latte” (Messico, 1926) o dal famoso scatto della “Marcia di campesinos” (Messico, 1928). Fondamentale per completare la panoramica su questa figura è poi la serie di ritratti fatti dal compagno Edward Weston, dove la forza dirompente della presenza fisica della Modotti ne dichiara anche la consapevolezza del “fare fotografia”, l’aderenza totale ad una precisa idea di fotografia, come testimoniano “Tina che recita” (1924) e “The White Iris” (1921), portandola ad una rara disinvoltura da una parte e dall’altra dell’obiettivo.Una Modotti al lavoro dunque, che cerca soluzioni alle sfide fotografiche che si pone negli anni, che trova conferma anche nelle lettere a Weston che arricchiscono la mostra, maestro e amante con cui condivide un percorso fotografico, mai esausto. Un cammino che educa l'occhio dello spettatore contemporaneo, riportandolo alla misura calibrata e meditata dei bianco e neri pastosi ma estremamente vari nelle tonalità, che caratterizza tutta la fotografia della Modotti, cogliendo la forza caratteristica della fotografia: il suo non voler esser a tutti i costi "arte", ma il suo dover essere qualitativamente valida per poter raccontare il mondo e gli infiniti aspetti della vita.
Me
C
Sp
Sugli schermi ad aprile il film postumo di Carlo Mazzacurati
RICORDO DI CARLO MAZZACURATI
Andrea Crozzoli
Esce finalmente, a fine aprile (giovedì 24), sugli schermi italiani l’atteso film postumo di Carlo Mazzacurati La sedia della felicità interpretato da Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese, Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando, Antonio inaugurazione mostra Albanese, Giuseppe Battiston, Katia Ricciarelli, Milena Vukotic e Roberto Citran; ovvero tutti (o quasi) gli amici e compagni di sempre. Così come il soggetto e sceneggiatura, firmato da Mazzacurati assieme a Doriana Leondeff e Marco Pettenello, e la fotografia di Luca Bigazzi. Era stato presentato a novembre 2013 al Festival di Torino, dove foto di Lucia Baldini Mazzacurati aveva ricevuto dalle mani di Paolo Virzì, diretdella manifestazione, il Gran Premio per la carriera. È Spazio Zeroimages / Cinemazero tore con il soprannome di «Kaurismäki di Padova» che Virzì aveva introdotto l’amico e collega Carlo Mazzacurati per la sua ultima fatica La sedia della felicità , definito un film pieno di freschezza, ironia e anche un pizzico di malinconia. «Non ho una speciale tendenza per il genere comico, mi è capitato di raccontare storie tristi che hanno fatto ridere involontariamente - aveva dichiarato a Torino Mazzacurati, nella sua ultima apparizione in pubblico - ma almeno una volta nella vita desideravo fare una commedia, un film che mi divertisse come spettatore». E ci è riuscito, spruzzando la storia con il giusto mistero e popolandola di personaggi (a lui sempre cari) in cerca di un futuro migliore. «Ho scelto il paesaggio urbano e fisico che conosco bene, il nordest. Ho girato altrove, a Roma per esempio, ma mi sentivo spaesato - aveva dichiarato, sempre a Torino, Mazzacurati - il nordest è nel mio destino, i miei riferimenti sono tutti lì, anche con i suoi cambiamenti. Era un territorio con un suo grado di innocenza che adesso faccio fatica a ritrovare, si è imbastardito, i rapporti umani sono peggiorati. In questo senso è rappresentativo del resto d’Italia. Mi auguro che il film susciti una grande voglia di riscatto». Nel primo film comico di Mazzacurati, Mastandrea e Ragonese erano alla loro prima volta con il regista padovano ma sono stati, anch’essi, colpiti dal "mazzacuratismo” che investe, come ha suggerito Virzì alla premiazione, gli attori che lavorano con Carlo. «È una delle persone che più mi ha fatto simpatia - aveva detto, a proposito di Valerio Mastandrea romano purosangue, Mazzacurati - è capace di esprimere il giusto stupore per il territorio e nello stesso tempo sorprendere gli abitanti del luogo. Dalle mie parti uno che viene da fuori ha sempre fatto una certa impressione. Valerio è l’attore della sua età che trovo più divertente, professionalmente è in un momento di grazia, e lavorando con lui ho scoperto non solo una grande generosità, ma mi ha aiutato a trovare il baricentro del personaggio, correggendo il linguaggio di Dino ». Nel film si sorride, e spesso si ride di gusto alle comiche avventure sulla ricerca di una sedia, dall’imbottitura tigrata, che nasconde un tesoro. La sedia della felicità è una favola moderna che vuol rendere omaggio anche alla commedia slapstick che ha le sue radici nel cinema muto e che ha goduto di un notevole revival negli Anni ‘60 con titoli come Questo pazzo pazzo pazzo mondo o Hollywood Party, dove Mazzacurati, il più ispirato giovane discepolo di Nanni Moretti, che ha avuto in vita meno riconoscimenti di quanto avrebbe meritato, si diverte e si concede totale libertà di scrittura e di stile. Ci mancherà la sua forte presenza, la sua intelligenza e ironia, che emanava quando veniva a Cinemazero a presentare i suoi film.
Mercoledì 24 aprile 2014 ore 20.45
La sedia della felicità
Alla ricerca della sedia perduta
Inaugura il 25 aprile la 16esima edizione del Festival del cinema popolare asiatico
Sabrina Baracetti
Anticipazioni dal FEFF
Notizie dal Far East (Film Festival) Anno dopo anno, edizione dopo edizione, l’inquadratura del Far East Film Festival si è progressivamente allargata dal primissimo piano fino al campo lunghissimo. E ora che la macchina da presa attende il sedicesimo ciak, l’occhio dello spettatore (l’occhio dei fareastiani, come ormai vengono chiamati i cittadini del FEFF) è pronto per scivolare, spaziare e perdersi di nuovo. È pronto per abbandonarsi alle visioni orientali, alla full immersion orientale, che il Centro Espressioni Cinematografiche di Udine seleziona e promuove dall’ormai lontano 1998. FEFF 16, dunque. Un campo lunghissimo dove troveranno collocazione, dal 25 aprile al 3 maggio, oltre 60 titoli della migliore produzione popolare asiatica: blockbuster polverizza-botteghino, futuri cult movie, outsider degni di scommessa e, come sempre, ottimi fuori pista d’autore. 10 differenti realtà produttive (Hong Kong, Cina, Giappone, Corea del Sud, Thailandia, Malesia, Indonesia, Filippine, Singapore, Taiwan) per uno sguardo ampio e curioso: quello degli organizzatori, che sorveglia il perimetro qualitativo senza discriminazioni artistiche, e quello del pubblico, quello dei farestiani, che desidera scivolare, spaziare e perdersi… lontano dall’Occidente. Qualche anticipazione? I riflettori, per la prima volta, si accenderanno sul pianeta del documentario: sia di taglio dichiaratamente cinefilo, come nel caso di Boundless (prodotto da Shu Kei e girato sui set di Johnnie To), sia di taglio narrativo, come nel caso di Streetside (il ritratto di tre busker dipinto da Daniel Ziv a Jakarta, una della capitali più popolose al mondo). Il focus, invece, sarà dedicato al cinema cantonese, con un ospite d’onore che di quel cinema (o meglio: della sponda indipendente di quel cinema) è protagonista assoluto. Stiamo, ovviamente, parlando di Fruit Chan, il grande Fruit Chan, che con capolavori come Made In Hong Kong o Durian Durian ha raccontato gli squilibri e le contraddizioni del postriunificazione e ora, con il nuovissimo The Midnight After (a Udine sarà presentata la versione definitiva, dopo il passaggio al Festival di Berlino) lancia l’ultimo grido di allarme su un mondo che sta per scomparire. Adesso che il conto alla rovescia ha iniziato ufficialmente a ticchettare, e in attesa dei prossimi annunci (le anticipazioni, si sa, vanno centellinate!), concludiamo con un’ultima occhiata al campo lunghissimo del FEFF 16, ricordando che il catalogo sarà ancora una volta impreziosito da un fittissimo calendario di attività collaterali: dai talk con gli ospiti ai laboratori tematici disseminati nel cuore della città, senza ovviamente dimenticare il Far East Cosplay Contest, giunto alla quinta edizione e ormai diventato uno degli appuntamenti più attesi da tutti gli appassionati e anche dai curiosi. Anche quest'anno, infine, il FEFF ospiterà la sessione italiana di Ties That Bind (dal 29 aprile al 3 maggio), il workshop internazionale dedicato alle coproduzioni cinematografiche tra Asia ed Europa: cinque produttori asiatici ed altrettanti produttori europei avranno l’opportunità di confrontarsi con alcuni dei maggiori esperti mondiali su temi che spazieranno dallo sviluppo delle sceneggiatura al marketing, passando attraverso gli aspetti legali e finanziari delle co-produzioni.
TRAME DI CINEMA - DANILO DONATI E LA SARTORIA FARANI La mostra ospita la straordinaria collezione di costumi disegnati da Danilo Donati, nel corso della sua carriera di scenografo e costumista, e realizzati dalla storica Sartoria Farani, oggi diretta dal friulano Luigi Piccolo. Nelle diciotto stanze sono presenti centoundici abiti, perfettamente restaurati, commissionati da alcuni dei più importanti maestri del cinema italiano, da Federico Fellini a Pier Paolo Pasolini, da Franco Zeffirelli a Alberto Lattuada, da Sergio Citti a Roberto Faenza. Le voci dei registi, le colonne sonore e una selezione di testi accompagnano il visitatore in un viaggio nei set ricostruiti con ingrandimenti fotografi ci e con la proiezione di sequenze dei film. Inoltre, a completamento della mostra ogni fine settimana verranno presentati a Villa Manin, sul grande schermo, i film per i quali Danilo Donati ha lavorato. Non mancheranno anche le occasioni per conoscere ed ascoltare dal vivo le voci di collaboratori e studiosi che hanno avuto l’opportunità di seguire da vicino la nascita di queste opere: fra gli altri, Gideon Bachmann, Nico Naldini, Gianfranco Angelucci. Info: www.villamanin-eventi.it
‘NDEMO IN CINE!
Trieste, riapre L’Ariston, storica sala d’essai
‘Ndemo in cine era il titolo di un libro pubblicato alla fine degli anni ’90 dal grande critico cinematografico triestino Tullio Kezich. E proprio con questo slogan, La Cappella Underground, storico cineclub triestino che quest’anno festeggia il 45esimo anniversario della sua fondazione, annuncia una notizia lungamente attesa dal pubblico cinefilo del capoluogo giuliano. A marzo 2014 La Cappella Underground ha inaugurato la nuova gestione dell’Ariston, il cinema d’essai di Viale Romolo Gessi n. 14 a Trieste. Con questa nuova attività, che va ad affiancarsi al servizio pubblico di Mediateca attivo nella sede della Casa del Cinema, alle molteplici rassegne e incontri con i protagonisti del cinema proposte nel corso dell’anno in varie sedi cittadine, ai corsi di formazione e laboratori didattici, al festival della fantascienza Trieste Science+Fiction, il centro ricerche e sperimentazioni cinematografiche La Cappella Underground completa il ventaglio della propria offerta culturale nel settore della settima arte a Trieste. Info: www.lacappellaunderground.org
FILMFORUM - MOSTRE ED ESIBIZIONI
Gorizia, fino al 18 aprile 2014
In occasione del Festival Internazionale FilmForum (Udine e Gorizia, dal 2 all’11 aprile) vengono proposte diverse mostre ed installazioni. Segnaliamo al Kinemax di Gorizia, fino all’11 aprile, 9,5 MM TO 16 MM (LOOP) installazione realizzata a partire da film amatoriali in formato Pathé Baby. Frammenti di vita, eventi occasionali o rituali legati a tradizioni (più o meno) consolidate. Memoria, tempo libero, il cinema fatto in famiglia, a casa propria o in viaggio. Dagli “originali” del primo formato ridotto a larga diffusione degli anni ’20 e ’30 del Novecento, alla preservazione digitale, fino alla proiezione di un positivo 16mm. Inoltre, presso la Mediateca di Gorizia Ugo Casiraghi, fino al 18 aprile, in mostra le fotografie di Francesco Pasinetti, mostra organizzata dall’Associazione Culturale Hommelette e dall’Archivio Carlo Montanaro, in collaborazione con l’Università degli Studi di Udine, l’Associazione Palazzo del Cinema e la Biblioteca Statale Isontina. L’esposizione propone venti scatti realizzati da Francesco Pasinetti tra gli anni ‘30 e ‘40. La mostra approfondirà anche il contributo che Pasinetti ha dato alla Storia del Cinema, attraverso documenti, materiale audiovisivo, pubblicazioni e altro ancora. Info: www.filmforumfestival.it
Domani accadrà ovvero se non si va non si vede
Villa Manin (Passariano di Codroipo), fino al 22 giugno 2014
i film del mese
Un film di Wes Anderson. Con Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric. USA 2014. Durata: 100 min.
(Tit. Or.: Fading Gigolo) Un film di John Turturro. Con John Turturro, Woody Allen, Sharon Stone. - USA, 2013. Durata 98 min.
IL FILM CHE HA INAUGURATO IL 64 FESTIVAL DI BERLINO E VINTO IL PREMIO ALLA REGIA
THE GRAND BUDAPEST HOTEL
DI WES ANDERSON Monsieur Gustave è il concierge ma di fatto il direttore del Grand Budapest Hotel collocato nell'immaginaria Zubrowka. Gode soprattutto della confidenza (e anche di qualcosa di più) delle signore attempate. Una di queste, Madame D., gli affida un prezioso quadro. In seguito alla sua morte il figlio Dimitri accusa M. Gustave di averla assassinata. L'uomo finisce in prigione. La stretta complicità che lo lega al suo giovanissimo neoassunto portiere immigrato Zero gli sarà di grande aiuto. Per occuparsi di questo film di Wes Anderson (presentato in apertura alla 64^ Berlinale) è necessaria una premessa di carattere letterario. Il film è dedicato a Stefan Zweig, scrittore austriaco tra i più universalmente noti tra gli anni Venti e Trenta. Animato da un convinto pacifismo si vide bruciare nel 1933 ciò che aveva scritto dai nazisti. È alle sue opere (tra cui un solo romanzo) che il regista ha dichiarato di ispirarsi per questo ennesimo viaggio in un mondo tanto immaginario quanto affollato di riferimenti alla realtà. A partire da quella che potrebbe sembrare solo una raffinata scelta tecnica e che invece diviene una precisa indicazione di senso. La ratio del film (cioè il formato della proiezione) cambia tre volte e finisce con lo stabilizzarsi sulla cosiddetta "academy ratio" che è stata quella della storia del cinema classico fino a quando arrivarono il CinemaScope e il VistaVision. Questo ci rivela come Anderson abbia voluto rifarsi alle opere dei Lubitsch e dei Wilder innervandolo con il suo ormai classico caleidoscopio di situazioni e di attori. Perché in questa occasione ai quasi immancabili Bill Murray ed Owen Williams si aggiungono new entries che vanno da Ralph Fiennes a Murray Abraham passando per l'esordiente Tony Revolori che non solo si carica del ruolo di coprotagonista ma finisce con il rappresentare l'immigrato costantemente nel mirino di tutti i razzismi grazie anche al suo volto che è quasi un coacervo di etnie (figlio di guatemaltechi sembra talvolta arabo e talvolta ebreo). Come il Chaplin de Il grande dittatore e il già citato Lubitsch di Vogliamo vivere Anderson vuole farci sorridere delle innumerevoli avventure a cui sottopone i suoi protagonisti. Questo però non cancella, anzi accentua, la riflessione su quelle frontiere che troppo a lungo in Europa hanno costituito punti di non ritorno per decine di migliaia di persone arrestate e fatte sparire e oggi si ripresentano con altre modalità meno tragicamente evidenti ma sempre fondamentalmente ostili. Questo film però vuole essere anche, fin dal suo tanto astratto quanto acutamente lieve inizio, una riflessione sull'arte del narrare. Un'arte che può permettersi di parlare della realtà profittando di quanto di meno realistico si possa escogitare. Le stanze del Grand Budapest Hotel sono innumerevoli quanti i personaggi che le abitano o vi entrano anche solo per un'inquadratura. L'instancabile e vivace fantasia di Anderson possiede la chiave di ognuna di esse.
LA STRANA COPPIA ALLEN-TURTURRO PROTAGONISTA DI UNA COMMEDIA AGRODOLCE
GIGOLO’ PER CASO DI JOHN TURTURRO
Aveva fatto intendere di non voler mai più prendere parte ad un film in qualità di attore, ma dinanzi all'amico John Turturro non ha potuto fare altro che accettare. E trasformarsi in 'pappone'. Così in aprile Woody Allen tornerà in sala non come regista bensì come co-protagonista al fianco proprio di Turturro, mattatore e 'director' dell'attesissimo Gigolò per caso, presentato al Festival di Toronto. Al fianco di Woody e John tre bellezze come Vanessa Paradis, Sharon Stone e Sofia Vergara. Protagonisti della pellicola Fioravante e Murray, due amici per la pelle in condizioni economiche precarie che per sbarcare il lunario decidono di cimentarsi con il mestiere più antico del mondo. L’uno (John Turturro) nei panni di un gigolò, l’altro (Woody Allen) nel ruolo di manager. Con il nome d’arte Virgil, Fioravante si destreggia tra un ménage a trois con due avvenenti signore alla ricerca di emozioni forti (Sharon Stone e Sofia Vergara) e gli incontri ben più casti con Avigal, vedova di un rispettato Rabbino, rimasta sola con i figli, i ricordi di una vita vissuta nel mondo chiuso della comunità chassidica e un disperato bisogno di scoprire cose nuove. Mentre Fioravante viene messo in crisi dai sentimenti che quest’ultima suscita in lui, ignaro della gelosia di Dovi (Liev Schreiber), chassidico innamorato di lei fin da quando era ragazzo, Bongo (pseudonimo di Murray) scopre che non è poi così facile essere un protettore…
Un film di Carlo Mazzacurati. Con Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese, Giuseppe Battiston. Italia, 2013. Durata 90 min.
LA
VERA STORIA DI
ROBYN DAVIDSON
CHE ATTRAVERSÒ IL DESERTO AUSTRALIANO
TRACKS - ATTRAVERSO IL DESERTO
DI JOHN CURRAN Robyn Davidson ha venticinque anni e un progetto folle: attraversare a piedi il deserto centrale australiano, da sola. Da Alice Springs all'Oceano Indiano, camminerà per 2.700 kilometri, in compagnia di tre cammelli e del suo cane Diggity. Dopo un paio d'anni di preparazione, passati a prendere confidenza con gli animali e ad indurirsi i piedi in vista della fatica, e dopo i saluti alla famiglia e ai pochi amici, nel 1977 Robyn dice no all'inazione e alla mancanza di concretezza che guida le vite di tanti suoi coetanei e muove i primi solitari passi, con la sponsorizzazione del National Geographic e l'accordo di incontrare periodicamente lungo la strada il fotografo Rick Smolan, per permettergli di documentare l'epica impresa. Il regista John Curran, americano trasferitosi in Australia all'età del viaggio della protagonista, ispirandosi al reportage della Davidson sulla rivista internazionale e al bestseller che ne è seguito, spinge Mia Wasikowska "into the wild", convinto, a ragione, che quell'esperienza di solitudine estrema possa avere ancora -e di più- un impatto significativo oggi, nel tempo della connessione perpetua e della socialità virtuale. Protagonista assoluta l’eccezionale Mia Wasikowska, prodigiosa ventitreenne che si era già fatta apprezzare in Alice in Wonderland, ma soprattutto per le sue interpretazioni in film come I ragazzi stanno bene e Jane Eyre. E’ lei infatti, con il suo viso diafano ed espressivo, e l’aria imbronciata che a tratti cede il posto ad un sorriso magnetico e avvolgente, a rappresentare a conti fatti la principale ragion d’essere di un tipico racconto di viaggio, in cui ad un solido impianto narrativo corrisponde anche una certa convenzionalità a livello di struttura e di scelte nella messa in scena. Per quasi due ore, la giovane attrice dà corpo, volto e voce a questo personaggio inquieto ed introverso, esprimendo in maniera impeccabile il suo spirito solitario, il lieve disagio nei rapporti con gli estranei, nonché il desiderio di esplorare lo sconfinato deserto australiano: un desiderio perseguito con incrollabile determinazione, e reso possibile dalla collaborazione (almeno all’inizio non troppo gradita) di Rick Smolan (Adam Driver), un fotografo freelance che farà finanziare l’impresa di Robyn dal prestigioso National Geographic. In cabina di regia, John Curran restituisce sullo schermo la fascinazione per il deserto, rendendo il proprio film anche - e soprattutto - una spassionata dichiarazione d’amore nei confronti della terra australiana e dei suoi suggestivi paesaggi.
UNA CACCIA AL TESORO STRALUNATA AMBIENTATA NEL SUO AMATO NORDEST
LA SEDIA DELLA FELICITA’ DI CARLO MAZZACURATI
Bruna è un'estetista che fatica a sbarcare il lunario. Tradita dal fidanzato e incalzata da un fornitore senza scrupoli, riceve una confessione in punto di morte da una cliente, a cui lima le unghie in carcere. Madre di un famoso bandito, Norma Pecche ha nascosto un tesoro in gioielli in una delle sedie del suo salotto. Sprezzante del pericolo, Bruna parte alla volta della villa restando bloccata dietro un cancello in compagnia di un cinghiale. In suo soccorso arriva Dino, il tatuatore della vetrina accanto, che finisce coinvolto nell'affaire. Scoperti il sequestro dei beni di Norma e la messa all'asta delle sue otto sedie, Bruna e Dino rintracciano collezionisti e acquirenti alla ricerca dell'imbottitura gonfia di gioie. Tra alti e bassi, maghi e cinesi, laguna e montagna, Bruna e Dino troveranno la vera ricchezza. Radicato nel Nordest, La sedia della felicità ribadisce il territorio del cinema di Carlo Mazzacurati e punta su due losers 'spaesati' e approdati, chissà come e chissà quando, al Lido di Jesolo. A Dino e Bruna, alla maniera dei personaggi lunari e malinconici de La lingua del Santo, capita l'occasione della vita, un tesoro da trovare per cambiare la sorte e risollevarsi dai propri fallimenti. Ma il Veneto che abitano, e che attraversano oggi in lungo e in largo, è meno florido e la sua ripresa ogni giorno più lontana. A cambiare è pure il paesaggio antropologico, la composizione sociale di paesi e città a bagno nell'acqua e alle prese con tempi grami. Tempi che contemplano nondimeno il miracolo e allontanano, nella ricerca della felicità, la solitudine sempre in agguato. In una regione e in un mondo dove tutto va in panne, si rompe e si spezza, dove anche i traghetti alle fermate sembrano incapaci di ripartire, un'estetista e un tatuatore restano invischiati in qualcosa che non avevano previsto e che ha a che fare con la riscoperta dei sentimenti e dell'amore. Con garbo surreale, la commedia dinamica di Mazzacurati cambia lo stile di versificazione del suo cinema, sperimentando una scansione del racconto che pratica leggerezza e
i film del mese
Un film di John Curran. Con Mia Wasikowska, Adam Driver, Emma Booth. Gran Bretagna, 2014. Durata 107 min.
i film del mese
sorriso. Si (sor)ride tanto con La sedia della felicità, che 'esagera' rimanendo fedele al reale. Divertito, lieve e personale, lo sguardo dell'autore veneto coglie ancora una volta le contraddizioni esistenziali, trasfigurandole e deformandole in una rapsodia dominata dal caso, per caso avvengono gli incontri, gli abbandoni, le rivelazioni, i ritrovamenti. Per intenzione, gioco e tanto amore avviene invece l'agnizione, la rivelazione dei personaggi e il riconoscimento degli attori che hanno fatto e frequentato il cinema di Mazzacurati. Giuseppe Battiston, Roberto Citran, Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando, Natalino Balasso 'accarezzano' con malinconica dolcezza una commedia che chiede a gran voce la sospensione dell'incredulità. Fuori dal gruppo, congedato con onore, debuttano Valerio Mastandrea, paladino gentile dai tempi comici perfetti, e Isabella Ragonese, nostra signora delle Dolomiti, piena di grazia e riservata bellezza. Presidente della Fondazione Cineteca di Bologna e allievo nel DAMS degli anni Settanta, Carlo Mazzacurati 'incontra' dentro un cimitero (anche) Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca emiliana, che alla maniera del cinema pone rimedio alla finitezza umana, risolvendo il suo desiderio di eternità (e di felicità). Un film di Roberto Rossellini. Con Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Maria Michi,. Italia 1945. Durata: 98 min.
ROSSELLINI
CON POCHI MEZZI FIRMA UN CAPOLAVORO PERFEZIONANDO IL NEOREALISMO
ROMA CITTA’ APERTA DI ROBERTO ROSSELLINI
Roma, inverno 1944. L'ingegner Manfredi, comunista e impegnato nel Comitato di Liberazione Nazionale, chiede aiuto a Pina, una popolana vedova con un figlio e in procinto di risposarsi, per portare a termine un'azione. La donna lo mette in contatto con don Pietro, un sacerdote disposto ad aiutare i partigiani. Manfredi è però comunque in pericolo perché la sua amante, Marina, dipende da una collaboratrice della Gestapo che le fornisce la droga. Rossellini inizia a girare già due mesi dopo la liberazione della città e tutto il film, anche nelle sue parti che oggi potremmo considerare più melodrammatiche, è pervaso dall'urgenza di non far sommergere quanto accaduto da un rassicurante oblio. Il film, punto di riferimento assoluto del cosiddetto movimento neorealista (termine coniato dopo il 1946 per definire quel cinema italiano che intendeva portare sullo schermo il Paese appena uscito dalla guerra) all’epoca della sua uscita ricevette un’accoglienza molto fredda dalla critica, ci vollero il Gran Premio al primo festival di Cannes e la nomination all'Oscar per la sceneggiatura firmata da Rossellini, Amidei e Fellini per indurre i critici nostrani a ripensare al giudizio dato a caldo. Un film di Alessandro Rossetto. Con Maria Roveran, Roberta Da Soller. Italia 2013. Durata: 110 min.
L’ANIMA SOFFERENTE DEL NORDEST
PICCOLA PATRIA DI ALESSANDRO ROSSETTO
Italia, Nordest. Lucia e Renata sono due ragazze che vivono in un paesino di provincia e che hanno come principale desiderio quello di acquisire denaro per poter partire. Lavorano sottopagate come cameriere in un grande albergo. Luisa ha un ragazzo, l'albanese Bilal, che utilizza a sua insaputa per rapporti erotici cui assiste pagando un uomo con cui Renata ha intrecciato una relazione fatta di sesso e soldi. I rapporti tra i locali e gli immigrati sono tesi e Lucia e Bilal ne sono consapevoli. Alessandro Rossetto al suo primo lungometraggio, dopo una lunga esperienza come documentarista, centra il bersaglio con il suo primo film cosiddetto 'di finzione'. Cosiddetto perché in Piccola patria di finzione ce n'è ben poca mentre appare in tutta la sua brutale evidenza il ritratto in nero di un'Italia che sta precipitando nell'abisso di un vuoto culturale che sta divorando anche i valori minimi indispensabili per una convivenza che voglia definirsi civile. Rossetto è consapevole (e lo dice) che le storie che compongono il film "sarebbero potute accadere in una qualsiasi provincia del mondo" ma sa anche come collocarle in un contesto socioambientale preciso. Sono innumerevoli le inquadrature (con particolare rilievo per quelle a piombo dall'alto) che mostrano un territorio in cui tutto è stato degradato, come canta un coro alpino che non glorifica più il passato ma denuncia amaramente il presente. È in questi spazi di capannoni, sterpi e case in cui ognuno consuma il proprio sterile privato (perché le piazze non ci sono più) che si sviluppano le tragedie dell'incomprensione. È lì che ogni immigrato, non importa se albanese od altro, può essere chiamato spregevolmente 'negro' e per lui non esiste futuro. Neanche quello di un amore perché questo vocabolo ormai abusato si confonde nella mente delle due protagoniste con il sesso mercenario, con il ricatto che dovrebbe consentire la realizzazione di un sogno, con, in definitiva, l'incapacità di provare un sentimento nella sua pienezza. Se il futuro non è più quello di una volta Rossetto sa darcene un'immagine desolatamente efficace.
09 > 13 APRILE 2014 > CINEMAZERO > PORDENONE Un’iniziativa
Cinemazero
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Con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione Generale Cinema Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia / FriulAdria Crédit Agricole ARPA FVG - LaREA / Coop Consumatori Nordest
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GIOVEDì 10 APRILE - diore 9.00 | Sviluppo sostenibile Con il supporto Gervasoni Spa
SURVIVING PROGRESS di Mathieu Roy e Harold Crooks Canada, 2011, 86', col., v.o. inglese/portoghese, sott. italiano
In apertura: Cartolina di Andrea Barbato a Giorgio Ruffolo (9.05.1991, 5' 46") Il progresso tecnologico, lo sviluppo economico e l'aumento della popolazione sono davvero degli indicatori di prosperità? Basato sul best-seller di Ronald Wright A Short History of Progress, il documentario ci guida attraverso una travolgente rassegna delle principali "trappole del progresso" che la nostra civiltà affronta nei campi della tecnologia, dell'economia, dei consumi e dell'ambiente. Interviene Paolo Fedrigo, Laboratorio Regionale di Educazione Ambientale ARPA FVG. Con il sostegno di ARPA FVG - LaREA
GIOVEDì 10 APRILE - ore 9.00 | Sviluppo sostenibile
SEPIDEH. REACHING FOR THE STARS di Berit Madsen Danimarca/Norvegia/Svezia/Germania/Iran, 2013, 91', col., v.o. inglese, persiano; sott. italianosott.
Sepideh è una ragazza iraniana che ha un sogno: diventare astronauta! Mentre ne seguiamo la storia, diventa chiaro quanto i suoi sogni siano in contrasto con la società e le aspettative delle persone che la circondano, in particolare della sua famiglia. Fortunatamente, può affidare i suoi pensieri e le sue aspirazioni alle lettere che scrive al suo eroe: Albert Einstein.. Interviene Taher Djafarizad, Associazione Neda Day. Con il sostegno di Coop Nordest
I POMPIERI DI VIGGIU’
regia di Mario Mattoli 1949 - dur. 91’
Venerdì 18 aprile 2014 - ore 19.30 Saletta Incontri San Francesco - Piazza della Motta, PN con il patrocinio del Comune di Pordenone - INGRESSO LIBERO Dopo il film i totofili si incontreranno per una pizza alla Pizzeria Plaza di piazza Risorgimento a Pordenone