Cinemazeronotizie febbraio 2014

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E 1,00

mensile di cultura cinematografica

Non solo cinema...al cinema!

A febbraio musica, teatro e balletti arrivano sul grande schermo

Il cinema secondo Carpi

Focus sull’opera del poeta, cineasta e sceneggiatore

Nostalghia - A journey Within Una selezione dell’archivio Cinemazero Images in mostra a Lubiana

Cinema stellare a Berlino 2014

Dal 6 al 16 febbraio la 64edizione del FilmFestSpiele

TIR tra documentario e fiction

In arrivo grazie a TuckerFilm il film di Fasulo trionfatore a Roma

Nouvelle vague tra Demy e Godard

Riflessioni e curiosità intorno al cinema più antico del mondo

14

Febbraio

Un 2014 carico di ottimi film nonostante la crisi e il digitale

2014 numero 02 anno XXXIV

Ancora un anno di buon cinema

Domani accadrà

Ovvero se non si va non si vede spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi


Un 2014 carico di ottimi film nonostante la crisi, il digitale e via discorrendo

Andrea Crozzoli

Editoriale

Ancora un anno di buon cinema Il 2013 ci ha regalato ottime pellicole con film come La migliore offerta di Giuseppe Tornatore o La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino che ha diviso critica e pubblico e che, dopo il Golden Globe, si sta avvicinando sempre più verso l’Oscar 2014. Per non parlare di Zoran, il mio nipote scemo di Matteo Oleotto, film evento irripetibile, che da conquistato il pubblico non solo triveneto e la critica, che alla Mostra del Cinema di Venezia lo ha premiato. Il 2013 verrà ricordato anche per La Vita di Adele il film rivelazione di Kechiche, Palma d’Oro al Festival di Cannes. Ma l’anno appena tracorso ha, anche, visto la vittoria al Festival del Cinema di Roma di TIR di Alberto Fasulo, altra distribuzione Tucker Film dopo Zoran. È tempo ora di dare un rapido sguardo al 2014 che sembra promettere momenti di grande cinema. Dopo Paolo Virzì con il suo capolavoro Il Capitale Umano , con un cast di primordine come Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio e Valeria Bruni Tedeschi; sarà la volta del pluripremiato Alberto Fasulo con il suo attesissimo TIR. In sala, poi, l’opera di Jean-Marc Vallée, Dallas Buyers Club, con Matthew McConaughey impegnato in una storia vera dove combatte contro il virus dell’Aids nell’America degli anni ’80. Presentato con successo lo scorso anno a Cannes, arriva finalmente Inside Llewyn Davis scritto e diretto dai fratelli Coen: la New York multiculturale degli anni ’60 con Oscar Isaac, Carey Mulligan e Justin Timberlake. Sugli schermi anche The Monuments Men con la regia di George Clooney, oltre ad essere protagonista assieme a Matt Damon, dove i due sono impegnati a salvare quadri e sculture dal nazismo, durante la seconda guerra mondiale. Ha le dimensioni del blockbuster il film diretto e prodotto da Ridley Scott The Counselor – Il procuratore con protagonista Michael Fassbender nei panni di un avvocato alle prese col traffico di droga; l’emergente divo sarà affiancato da Brad Pitt, Cameron Diaz, Penélope Cruz e Javier Bardem. Gigante solitario, sullo schermo per novanta minuti, torna l’inossidabile Robert Redford protagonista e unico attore di All Is Lost , nuovo film di J.C.Chandor, anche questo presentato a Cannes 2013, imperdibile prova d’attore in una storia che lascia il segno. Anche questo, come il film di Sorrentino, in odore di Oscar, l’attesissimo 12 anni schiavo di Steve McQueen con Brad Pitt, Michael Fassbender. La storia di un uomo libero in terra di schiavi narrata mentre governa un presidente di colore. E vedremo nel 2014 anche l’ultimo film di Lars von Trier Nymphomaniac storia ad alto tasso erotico con Stellan Skarsgård, Willem Dafoe, Charlotte Gainsbourg. E questi sono solo alcuni dei titoli dell’anno. In ogni caso auguriamo a Sorrentino di portare a casa l’Oscar per sdoganare finalmente il cinema italiano dal neorealismo e dal postbellico, da Roma città aperta a Ladri di biciclette a Sciuscià. Gli ultimi Oscar vinti dall’Italia sono per storie belliche o postbelliche come Nuovo cinema Paradiso, Mediterraneo, La vita è bella!

In copertina: George Clooney in concorso con Monuments Men alla 64/a edizione del Festival di Berlino (6-16 febbraio).

cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Febbraio 2014, n. 02 anno XXXIV Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Marianita Santarossa Direzione, redazione, amministrazione P.zza della Motta, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Grafiche Risma Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica


A febbraio un ricco programma per scoprire musica, teatro e balletti sul grande schermo

Marco Fortunato

Con quasi un milione di spettatori – pari ad oltre 7 milioni di euro d’incasso – il segmento dei contenuti “alternativi” ha rappresentato, nel corso del 2013, la fetta di mercato in maggior espansione per il settore cinematografico. Più di 60 eventi, alcuni dei quali trasmessi live, hanno reso possibile che il volume d’affari si potesse triplicare nel giro degli ultimi 12 mesi con la conseguente nascita di nuovi soggetti che si affacciano sul mercato per proporre ulteriori contenuti ai cinema. Compito di una grande realtà culturale come Cinemazero saper raccogliere questa sfida e presentare al suo pubblico il meglio dell’offerta. Un impegno che si traduce, da subito, in un ricco calendario di appuntamenti “alternativi” in programma a febbraio. S’inaugura ufficialmente il 28 gennaio con l’Hamlet di Shakespeare dal National Theatre di Londra. E’ il suo direttore artistico Nicholas Hunter, grazie ad una sapiente regia, a farsi carico del non facile compito di attualizzare la secolare inquietudine dell’eroe di fronte al soprannaturale disegno del proprio destino di essere umano. Un progetto particolarmente ambizioso – nato in occasione dei 450 anni dalla nascita del drammaturgo – ulteriormente impreziosito dalla straordinaria interpretazione di Rory Kinneart, pluripremiato attore inglese che ha lavorato con la Royal Shakespeare Company. Il National Theatre di Londra sarà protagonista anche il 13 febbraio quando l’incontro tra cinema e teatro raggiungerà uno dei suoi momenti di maggiore interesse con la proiezione della messa in scena di Frankestein interpretata da Benedict Cumberbatch e Jonny Lee Miller. A dirigerli il regista, produttore e sceneggiatore Premio Oscar Danny Boyle. La celebre opera di Mary Shelley sul desiderio dell’uomo di giocare al ruolo di divino artefice, torna così ad emozionare con una produzione sensazionale e ricca di colpi di scena. Spazio anche alla musica, con un doppio appuntamento con i concerti della Filarmonica della Scala di Milano, scelti nell’ambito del progetto MusicEmotion, l’iniziativa che ha permesso di portare la grande musica sinfonica dal Teatro alla Scala al cinema. Si parte il 6 febbraio con due dei giovani interpreti più in vista nel panorama musicale internazionale come il direttore d’orchestra Daniel Harding e il pianista Lars Vogt chiamati a dare vita a due partiture che oggi costituiscono momenti imprescindibili del repertorio concertistico: il concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in re min. op. 15 di Johannes Brahms e il le sacre du printemps di Igor Stravinskij. Si prosegue, il 27 febbraio, con Ludwig Van Beethoven (Sinfonia n. 6 in fa maggiore - Pastorale op. 68) e Johannes Brahms (Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98) diretti dalla bacchetta del grande maestro coreano, formatosi nelle più prestigiose orchestre europee e statunitensi, che presenta due capisaldi del repertorio sinfonico viennese. Un’esperienza unica, resa ancora più emozionante grazie all’opportunità di osservare da vicino l’orchestra, i passaggi solistici, i gesti e le espressioni dei direttori, potendo apprezzare ogni sfumatura musicale ed estetica grazie ad un ricco backstage che accoglie interviste agli artisti, impressioni, racconti e commenti. Ad impreziosire ulteriormente la proposta, un piccolo gioiello – nel senso letterale del termine – il balletto Jewels in arrivo direttamente dal Teatro Bolshoi di Mosca. Dall’idea di George Balanchine, creatore e coreografo di spettacoli danzanti arriva per la prima volta sul grande schermo in alta definizione un’opera maestosa ed emozionante che vede protagonsta l'Orchestra del Bolshoi Teatro Accademico di Stato con i solisti e il Corpo di Ballo del Bolshoi. Il balletto si suddivide in tre parti. La prima è Smeraldi (Emeralds), l’omaggio poetico alla scuola romantica francese; la seconda Rubini (Rubies), omaggio alla tradizione americana dei musical di Broadway e del Jazz; l’ultima, Diamanti (Diamonds) è l’evocazione della tradizione e dei classici del balletto russo. Grazie agli straordinari brani tratti dal repertorio di Georges Fauré, Igor Stravinsky e Pëtr Čajkovsky, l’insieme disegna un divertissement inimitabile all’insegna dei colori delle gemme preziose.

Un febbraio “alternativo”

Non solo cinema... al cinema!


Focus sull’opera del poeta, romanziere, cineasta, documentarista, sceneggiatore.

Luciano De Giusti

Fabio Carpi e il cinema

Il cinema secondo Fabio Carpi Mi ha procurato un vero piacere la lettura del libro di Fabio Carpi, Il cinema secondo me contenente uno scritto di Tullio Kezich del 2004, annunciato fin dalla copertina, in apertura del quale il critico esprime il suo disappunto per il fatto che al nome del regista non corrispondesse una voce a lui dedicata nell’Enciclopedia del cinema Treccani, allora fresca di edizione: segno eloquente della “fortuna” critica riservata a questo regista, autore di una dozzina di film personali e raffinati come i suoi altrettanti romanzi. Egli stesso riconosce di inseguire un modello di cinema forse «troppo personalizzato e fuori dalla norma», ciò che concorre a spiegarne l'appartata collocazione nella storia di quest'arte così deperibile e soggetta alle mode. I suoi film scartano dalla norma innanzitutto perché scritti e concepiti come se si trattasse di opere letterarie. Del resto cinema e letteratura sono state fin dall’adolescenza due passioni germogliate in parallelo che a lungo si sono contese il campo delle sue attenzioni e attività, dandosi il cambio in una continua alternanza. «Non so se posso considerarmi un regista - scrive - potrei dire che io sono essenzialmente uno scrittore che a volte scrive i suoi libri con la macchina da presa». I suoi film, profondamente nutriti di letteratura, vanno ascritti a un tipo di cinema nel quale si affida alla parola una funzione espressiva essenziale. Ne ricordo almeno due i cui titoli non avranno qui altra opportunità di menzione: Quartetto Basileus (1982) e Nel profondo paese straniero (1997). Negli ultimi anni, Carpi, che vive a Parigi, non ha più dato corso a progetti di film (l'ultimo, Le intermittenze del cuore, risale al 2003) ma continua a scrivere. Soprattutto romanzi: l'ultimo, Il grande ballo della letteratura, è stato pubblicato a breve distanza dalla riedizione del suo primo, I luoghi abbandonati, uscito nel 1962 (entrambi per Editori Riuniti Internazionali). Ma attingendo a giacimenti riposti, Fabio Carpi ci fa pervenire anche materiali sul cinema, suo e degli altri. Un paio d'anni fa ci giunse Come ho fatto i miei film, edito dalla coraggiosa Portaparole: stringate pagine di diario dalle quali affiorano come predominanti le vicissitudini occorse nella realizzazione di tre film: Barbablu Barbablu (1987), L'amore necessario (1990), La prossima volta il fuoco (1993), gli ultimi due girati in Friuli anche con la collaborazione di Cinemazero. Ora è la volta appunto del volume indicato in apertura, Il cinema secondo me, una raccolta di testi appartenenti a epoche diverse e talora lontane, equamente ripartiti tra riflessioni di carattere generale sul cinema, scritti sui suoi film e interventi su altri registi. Non mancano i ricordi, alcuni contrassegnati dalla nostalgia come quello relativo a Zavattini, con il quale Carpi ha trascorso una intera settimana, da mattina sera, per le riprese di un ritratto che gli ha dedicato nel 1966, Parliamo tanto di me, suo esordio nella regia, circostanza che gli ha consentito di catturarne anche alcuni dei tratti più segreti: ad esempio, quando gli confida «l'amarezza di aver sprecato la sua esistenza in un mestiere zoppo» come quello dello scrittore di cinema (la sceneggiatura come una delle brutte arti). Egli «appartiene a quella piccola costellazione di grandi vecchi – tutti indimenticabili» che Carpi ha avuto la fortuna di incontrare. Il primo fu il poeta Umberto Saba che frequentava regolarmente la sua casa («o meglio la mia stanza») a Milano. Un altro fu lo psicanalista Cesare Musatti, conosciuto prima al liceo nelle vesti di professore interrogante di filosofia, poi oggetto di un intenso ritratto filmico, Cesare Musatti, matematico veneziano (1985), che costituì la prin-


cipale fonte ispirativa nella genesi di Barbablu Barbablu (1987). Negli scritti riservati ai grandi maestri ricorrono i nomi di Ejzenstein, Welles, Von Stroheim, Dreyer e Antonioni. Servendosi di Faulkner, Carpi elogia Stroheim per la magnificenza del suo fallimento. Questo «artista ostinatamente votato alla dismisura», tenta un'impresa impossibile: la restituzione integrale di un mondo in cui sono predominanti «la corruzione di una classe e la perfidia di una civiltà», tentativo destinato appunto a fallire nello sconto con le restrittive convenzioni di Hollywood, tanto da preferire il silenzio al compromesso disonorevole: «alla fine Stroheim piuttosto di doversi piegare a disonorevoli compromessi preferì l'autopunitiva scelta di un orgoglioso silenzio». Dreyer invece è per lui innanzitutto l'autore di Vampyr, «opera di autentica e assoluta poesia», scoperto a quindici anni grazie alle proiezioni settimanali della Cineteca di Milano, film al quale riservò una recensione, riprodotta nel volume, scritta nell'immediato dopoguerra quando Carpi era critico cinematografico de L'Unità di Milano. Cinquant'anni più dopo, la perdurante grandezza di questo «immenso capolavoro» girato da «un poeta in stato di grazia» viene celebrato in uno scritto del 1994 nel quale si legge che il film «appartiene a quella esigua schiera di opere visionarie che nessuna critica, neanche quella psicanalitica […] riuscirà mai ad esaurire completamente»: a «riconferma che il linguaggio filmico può non essere inferiore a quello letterario (Hoffmann, Poe)». A Michelangelo Antonioni, Carpi aveva già dedicato uno storico volumetto edito da Guanda, il primo un profilo monografico scritto sul grande regista, uscito nel 1958, lo stesso anno di un altro volume, di storiografia cinematografica, nel quale il futuro regista esercita il suo acuto sguardo critico fatto scorrere in panoramica sul Cinema italiano del dopoguerra. Anche a un più recente ripensamento, Antonioni gli appare «l'unico romanziere moderno del nostro cinema, così ricco di cronache, di bozzetti, di articoli di fondo, di farse, e nel migliore dei casi di commedie, ma così povero di romanzi». Oltre quelle riservate a singole figure, sono assai stimolanti e suggestive le pagine sul cinema in generale, a cominciare dallo scritto intitolato “Che cos'è il cinema” (come quello celebre di Bazin, ma senza il punto interrogativo) nel quale quale sostiene che le due direzioni di sviluppo di questo linguaggio non sono tanto il quotidiano e il fantastico (Lumiére vs Méliès), ma l'azione e la contemplazione: «Nel cinema della contemplazione si potrebbe dire che il movimento è quello della macchina da presa che s'identifica con l'occhio riflessivo dell'autore». Nella convinzione che registi si diventa mentre autori si nasce, in un testo sul mestiere del cinema scrive: «Si può imparare una tecnica […] non si potrà mai imparare lo stile che è invece una qualità essenzialmente innata». Un tratto rilevante del mestiere di regista è costituito dal lavoro con gli attori nel quale è decisivo il passo iniziale, quello della loro pertinente individuazione come interpreti di quel personaggio: se la scelta è giusta, sul set non ci sarà bisogno di tante parole e inutili spiegazioni. Da cultore di Bresson, non potevo che trovare una perfetta consonanza con le opinioni di Carpi sulla musica nel cinema. Come il grande regista francese, anche lui rifiuta la musica di commento sovrapposta alle immagini per sostenere punti deboli o enfatizzare emozioni. Fedele al criterio di non aggiungerla mai a film ultimato, la musica nei suoi film, pensata già in fase di sceneggiatura, si offre all'ascolto come proveniente da una fonte in scena o evocata dalla dimensione interiore di un personaggio. Resta saldo e inderogabile il principio che «la musica non deve mai riempire il vuoto di un silenzio». Vedendo qui sotto le poche righe ancora a disposizione rarefarsi implacabilmente, aggiungo solo che nel corso della lettura di questo libro molti altri bagliori in esso custoditi possono spigionarsi a beneficio di chi vi si accosterà.


In mostra a Lubiana centinaia di foto inedite dell’Archivio Fotografico Cinemazero Images

Riccardo Costantini

Archivio fotografico Cinemazero Images

Nostalghia - A journey Within l’incredibile arte di Tarkovskij Il 30 gennaio verrà inaugurata a Lubiana la mostra “Nostalghia – A Journey Within” che Cinemazero porta in occasione di Leto Kina – Kinodvor 90, A Year of Celebrating Cinema and Cinemas organizzata dal Kinodvor. La mostra propone un viaggio attraverso più di 100 foto inedite del Fondo Bachmann – custodito dall’Archivio Fotografico Cinemazero Images – scattate nel 1983 da Deborah Beer sul set di Nostalghia: un percorso che scandaglia l’anima di un poeta del cinema e che permette di comprendere l’incredibile arte di Andrei Tarkovskij. Tra le nebbie e la foschia che avvolgono la Toscana in cui è girato il film, le foto della Beer e le parole annotate da Bachmann aprono spiragli affacciati su luoghi abbandonati e stanze intime. Catturano uno dei film più evocativi della Storia del Cinema, ma anche in intero sistema in uso in quegli anni. Il 29 ottobre del 1982 Gideon Bachmann annota nella sua fedele agenda: "rabbia perché Deborah non ha potuto ottenere il lavoro sul film di Tarkovsky, che è andato invece alla sig.a Eder". Deborah Beer però è a Bagno Vignoni dal primo all'8 novembre del 1982 (come annota puntualmente Bachmann), quando sono in corso le riprese del film Nostalghia di Andrej Tarkovskij, e segue le riprese anche quando proseguono verso il Campidoglio a Roma, tra il 17 e il 19 novembre. Il 25 novembre è lo stesso Bachmann ad intervistare il regista russo sul set. “Il giorno 26 novembre c'era una proiezione del film Lo specchio di Tarkovsky al Cineforum di Roma, in Via Monteverde 57A, dove lui, che doveva venire, non è apparso”. Il 16 maggio del 1984 alle 17.00 Nostalghia viene presentato a Cannes – dove vinse Grand Prix du cinéma de création, ex æquo con L'Argent di Robert Bresson, e il premio FIPRESCI - e la mattina dopo Bachmann intervista ancora e molto approfonditamente Tarkovskij, all'hotel Carlton, alla presenza del protagonista del film: Oleg Jankovskij. “Non credo che esista alcuna forma d’arte che possa essere compresa da chiunque. Quindi è impossibile fare un film che sia accessibile a tutti. […] Un’opera d’arte non è mai accettata senza obiezioni. L’arte è come una montagna: c’è una cima e tutto intorno si stendono le colline. Quello che c’è sulla sommità del monte non può essere per definizione colto da tutti”. O ancora: “C’è un solo viaggio possibile: il viaggio in noi stessi. […] Qualunque sia il posto in cui si arriva, è sempre la propria anima che si sta cercando” racconta Tarkovskij a Bachmann, aprendo il pensiero alla creazioni di immagini suggestive e rarefatte quanto quelle del film che sta girando. L'esperienza maturata sui set da una fotografa come Deborah Beer le permette di catturare i momenti salienti del lavoro di grandi maestri e scene poi tagliate ma altrettanto eloquenti circa il il loro processo creativo, e garantisce ai suoi contatti uno sguardo alternativo a quello ufficiale da proporre ai propri lettori. L’occhio acuto di Bachmann e il rapporto personale che seppe stringere con ognuno dei registi con cui entrò in contatto gli consente di portare alla luce i pensieri più profondi, celati tra le pieghe delle posizioni più conosciute. Quando Bachmann propone il materiale registrato a diverse riviste (l'inglese Sight and Sound pubblica il suo reportage sulla lavorazione di Nostalghia, mentre la rivista svedese Chaplin pubblica la lunga intervista fatta a Cannes) si porta con sé anche le foto scattate dalla moglie Deborah Beer, il che spiega perché lei spesso accettasse di coprire anche solo parzialmente i set, senza essere la fotografa ufficiale, sapendo di poter contare sulla loro eventuale vendita tramite i suoi agenti o suo marito. Le foto in mostra così non raccontano solo il film o il suo dietro le quinte, ma ci permettono oggi di comprendere e conoscere i meccanismi che in quegli anni erano in uso nel mondo del cinema. Se consideriamo il sodalizio professionale, oltre che personale, tra la Beer e un metodico e arguto reporter come Gideon Bachmann appare chiaro come la loro passione e il loro impegno potessero arrivare a svelare gli aspetti più profondi del fare cinema con cui si sono confrontati per una vita intera e che oggi, grazie all’Archivio Cinemazero Images, il pubblico può riscoprire e assaporare.


Dal 6 al 16 febbraio la 64ma edizione della Berlinale

Andrea Crozzoli

Per la 64ma edizione del FilmFestSpiele di Berlino si prepara all’ennesima abbuffata di film, eventi, retropettive e ... parties! L’apertura ufficiale è riservata ad una attesissima anteprima mondiale: The Grand Budapest Hotel, ultima fatica di Wes Anderson, dove si raccontano le avventure di Gustave H, leggendario concièrge di un albergo, e Zero Moustafa, lobby boy che diventa il suo più fidato amico. Dopo The Royal Tenenbaums (2002) e The Life Aquatic with Steve Zissou (2005) ritorna a Berlino con un cast stellare che comprende: Ralph Fiennes, Tony Revolori, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Jason Schwartzman, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Tom Wilkinson e Owen Wilson. Altro cast stellare per l’altra anteprima internazionale: The Monuments Men di e con George Clooney ma anche Matt Damon, Cate Blanchett, Jean Dujardin, Bill Murray e John Goodman. Tratto dell'omonimo libro di Robert Edsel, il film di Clooney racconta la storia di un gruppo di storici dell'arte che, durante la seconda guerra, andavano in giro per l'Europa a caccia dei tesori trafugati dai nazisti rischiando la vita. Tesori che sarebbero andati distrutti. Il film ricorda in qualche modo il ritrovamento recente a Monaco di una serie di capolavori nascosti in un appartamento. Quadri di Marc Chagall, Max Liebermann, Ernst Ludwig Kirchner, Oskar Kokoschka, Edvard Munch, Emil Nolde e Albrecht Dürer. Altro atteso evento berlinese in anteprima mondiale è la presentazione di Volume I con la versione integrale di Nymphomaniac di Lars von Trier della durata totale di cinque ore e mezzo. Storia ad alto tasso erotico di una donna dalla nascita ai 50 anni con Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Shia LaBeouf, Christian Slater, Jamie Bell, Uma Thurman, Willem Dafoe, Jean-Marc Barr, Udo Kier e molti altri. Uscito in Danimarca in una versione molto più corta, il film si preannuncia già con strascico di polemiche e con “un’estetica radicale” a detta del direttore del Festival Dieter Kosslick. Dopo le polemiche al Festival di Cannes, dove è stato allontanato per delle dichiarazioni filonazi, Lars von Trier infiammerà la gelida Berlino con il suo hardcore? E sono solo tre fra le centinaia di proposte festivaliere. Il presidente della giuria sarà il produttore James Schamus (Brokeback Mountain ) assieme a Barbara Broccoli (figlia di Albert, storico produttore di James Bond), all’attore danese Trine Dyrholm, alla cineasta iraniana Mitra Farahani, a Greta Gerwig, al regista francese Michel Gondry, all’attore di Hong Kong Tony Leung e al due volte premio Oscar Christoph Waltz. Non essendoci film italiani in concorso, salomonicamente diciamo: “vinca il migliore”!

FilmFestSpiele

Cinema stellare a Berlino 2014


Presto in sala con Tucker Film il nuovo film di Alberto Fasulo trionfatore a Roma

Giorgio Placereani

Inizia il viaggio di TIR

TIR un film on the road tra documentario e fiction Film estremamente rigoroso, di un minimalismo quasi ascetico, tutto proiettato sull'individuo protagonista, tutto spezzettato in piccoli momenti dell'esperienza, TIR - la nuova importante opera di Alberto Fasulo dopo Rumore bianco - si situa nella zona di transizione fra il documentario e la fiction, sempre più esplorata nel cinema contemporaneo. Il film segue Branko, un ex insegnante croato che ha lasciato il lavoro per fare il camionista per una ditta italiana: guadagna il triplo, ma la moglie a casa non è soddisfatta della nuova situazione. L'interprete Branko Završan (un attore che ha lavorato con Bulajić, Tanović, Stoppard) ha conseguito la patente di camionista per questo film, girato in sei mesi sulle strade di mezza Europa; mentre il suo partner nella prima parte del film, Maki, è Marijan Šestak, un camionista di mestiere che qui recita se stesso, ovvero il proprio ruolo. La situazione degli interpreti - Završan a mezza strada fra attore e camionista, Šestak a mezza strada fra camionista e attore - è simbolica del carattere “doppio” del film. Il concetto di viaggio accomuna Rumore bianco e TIR - ma nel primo caso proiettato verso l'esterno, nel secondo verso l'interno. Ovvero: in Rumore bianco l'occhio della mdp, come trascinato dal nastro trasportatore ideale che è il fiume Tagliamento, guardava direttamente l'esterno che si dispiegava alla vista; in TIR abbiamo di nuovo un nastro che scorre, la strada interminabile, ma l'occhio della mdp è tutto concentrato sul protagonista. Ciò conferisce al film un senso centripeto, laddove Rumore bianco era centrifugo. Un senso centripeto che replica l'elemento “chiuso” del lavoro dei camionisti; la durezza del lavoro occupa il primo piano (il lavoro, con la sua muta sicurezza del gesto, sembra essere un tema centrale di Fasulo: l'uomo è faber, si definisce in questa logica). Vediamo molta strada scorrere in TIR, ma non è un normale camera-car, perché lo sguardo si porta dietro tutta la pesantezza stanca del lavoro umano: scivola sulle cose (il panorama esterno) senza fermarsi su di esse, perché quello che importa non è il paesaggio ma il movimento (o meglio, il lavoro che sta dietro al movimento). L'inquadratura dalla cabina di guida del camion è l'elemento fondamentale del film, oscillando fra la soggettiva del guidatore e un'inquadratura da dietro le sue spalle. Per forza di cose quest'inquadratura è stretta, quasi soffocante: la dimensione della cabina di guida, questo abitacolo dove trascorrono i giorni mentre il mondo si snoda davanti e intorno al TIR, diventa l'universo di svolgimento del film. Gli spazi alternativi sono anch'essi ristretti: i momenti della pausa, seduti accanto al camion, in un'inquadratura quasi egualmente stretta, a cucinare su un fornello o sedere a chiacchierare, magari occhieggiando una donna che passa. E quando appaiono gli spazi larghi e vuoti di un magazzino, o un ufficio, noi spettatori - condizionati come siamo dal dispositivo “magnetico” della regia - sentiamo sulla pelle quest'allargamento dello spazio, come (qui esagero per farmi intendere, ma nel senso giusto) se fosse qualcosa di sorprendente. Del resto, sono spazi così intimamente legati al lavoro che psicologicamente formano un tutt'uno con la guida in strada. Di conseguenza, si potrebbe


dire che l'unico spazio vitale che si apre realmente fuori dalla dimensione ristretta dell'abitacolo è uno spazio virtuale che si esplicita nelle telefonate di Branko con la moglie, con le loro tensioni: la gelosia per un certo Goran, il malcontento della moglie rivelato dalla proposta di un nuovo lavoro precario a scuola, un litigio sul prestito dei loro risparmi al figlio sposato che vuole comprarsi una casa. “Branko - dichiara il regista Alberto Fasulo - è ovviamente un Ulisse, un uomo che ritiene che il dovere sia più importante del piacere”. Ma è un Ulisse il cui nostos non si conclude. Ciò che invece vale per il compagno - però a prezzo di un rifiuto: Maki, che già prima minacciava di lasciare il camion per strada, infine molla: “Io non ne posso più. Sono fuori dal gioco”. Invece il tempo di Branko, il tempo del lavoro, sembra immutabile e infinito come la strada (e non mancano accenni alla perdita della nozione del tempo nel film). A partire da qui, si potrebbero fare molti discorsi sull'alienazione (che non è Monica Vitti che dice “Mi fanno male i capelli”: è qualcosa di molto più reale e concreto e drammatico). Senza sottovalutare le costrizioni produttive e di budget, mi pare evidente che TIR si basi su un partito preso antispettacolare, sviluppato in modo estremamente coerente. Anche un episodio come quello dello sciopero dei camionisti italiani che bloccano il TIR di Branko è depotenziato come sviluppo “drammaturgico” (cioè fictional) per giocarsi tutto sulla dimensione immediata dell'esperienza. E ancora, la scena in cui i maiali vengono fatti scendere dal camion “ereditato” da Maki passa subito all'umile compito di ripulire il camion da sterco a palate. Questa posizione antispettacolare deriva da una scelta di base: non c'è nel film, nemmeno sullo TIR: LA SCHEDA sfondo, nessun “romanticismo della REGIA: Alberto Fasulo merce che viaggia SCENEGGIATURA: Branko Zavrsan nel mondo” (perché ATTORI: Branko Zavrsan, Marijan Šestak esso implicherebbe PRODUZIONE: Nefertiti Film, Focus Media, in collaborazione una visione armocon Rai Cinema niosa come nei libri DISTRIBUZIONE: Tucker Film illustrati per bambini DATA USCITA: febbraio 2014 (indicativa) di Richard Scarry: ANNO: 2013 una società ordinata PAESE: Italia, Croazia di animaletti sorriDURATA: 85 minuti denti dove tutti sono felici del mestiere NOTE DI REGIA: «Ancor prima che un film su un camionista, TIR che svolgono) - e di è un film su un paradosso: quello di un lavoro che ti porta a viveconseguenza nessure lontano dalle persone care per cui stai lavorando. Il processo na astratta eroicizzadi scrittura è durato più di quattro anni. Durante questo tempo ho zione del lavoro del alternato fasi di ricerca sul campo ad altre in cui ci fermavamo a camionista. riflettere sul materiale raccolto, in una continua tensione creativa C'è solo la silenziofra elementi di finzione e di documentario». E ancora: «Più che sa, tenace, ammirefare un racconto sociologico, mi interessava entrare sotto la pelle vole dignità di del mio personaggio e riprenderlo in un momento di crisi persoBranko nel suo duro nale, in cui si vedesse obbligato a compiere una scelta non solo impegno. pratica, ma anche etica». Alberto Fasulo


Rinasce la sala cinematografica più antica del mondo

Lorenzo Codelli

Inaugurazioni e resurrezioni

Nouvelle vague tra Demy e Godard Giugno 1889, a La Ciotat s'inaugura l'Eden Théâtre, un raffinato music hall. Estate 1895, i fratelli Lumière girano sulla collina lì accanto L'arrivée d'un train en gare de La Ciotat. Trasformatosi subito dopo in sala cinematografica polivalente, l'Eden attraversa il 900 alla velocità d'una locomotiva ospitando illustri personaggi e proiettando pellicole popolari. Novembre 2013, s'inaugura nuovamente l'Eden, mirabilmente restaurato grazie ai fondi dell'attuale "capitale culturale europea", la vicina Marsiglia. All'ombra d'una statua dell'arroseur arrosé in grandezza naturale, l'Eden è divenuta la sala cinematografica più antica del mondo. Oltre a rimanere quella che regala il colpo d'occhio più strabiliante sull'intero panorama della Costa Azzurra (www.edentheatre.org). Invitato nel corso delle manifestazioni d'apertura da Emmanuelle Ferrari, artificiera inesauribile di questo paradis fin de siècle, ho avuto le grand plaisir d'introdurre e dibattere Lola (Lola, donna di vita, 1961). Il capolavoro dell'esordiente Jacques Demy, girato nella natìa Nantes. Un faro luminoso dell'insorgente nouvelle vague che non mostra neppure una ruga sul grande schermo di fronte a un folto pubblico. Non sono solo i cittadini di La Ciotat ad applaudire la resurrezione di Demy. Negli stessi giorni Les inrockuptibles e altri giornali francesi pubblicano ampi elogi sia sulla riedizione in sala di Une chambre en ville (1995), l'incompreso testamento di Demy, che sulle memorie del "demi Demy" [mezzo Demy], Michel Legrand. In Rien n'est grave dans les aigus (Editions du Cherche-Midi), il grande musicista, autore di straordinari refrain, LP, colonne sonore internazionali, tuttora sulla cresta dell'onda, rievoca non solo la propria brillante carriera ma anche la genesi d'un movimento contraddittorio come la nouvelle vague. «"Il mio film s'intitola Vivre sa vie, mi piacerebbe un tema con undici variazioni". Glieli compongo, li registro, ma al missaggio lui conserva solo le prime otto battute della prima variazione, ripetute per tutto il film! Qualcuno ha detto: "Non si lavora con Godard, si lavora per Godard"». Tra le tante cose, Legrand dà una grossa mano, segretamente e non accreditato, all'amico compositore Jean Constantin sulle melodie per I quattrocento colpi di Truffaut. «Il mio matrimonio con la Nouvelle Vague non include clausole d'esclusività (...) Così quando annuncio agli amici dei Cahiers du cinéma che sto lavorando a un film di Gilles Grangier con Jean Gabin, loro m'insultano: "Basta con 'ste stronzate, ci hai deluso, traditore" (...) Un compositore cinematografico deve adattarsi a tutti i linguaggi, a tutte le culture». Impossibile sintetizzare i jazzistici capitoli che Legrand dedica alla lunga e fruttuosa collaborazione con Demy su dei musical passati alla Storia. Ricordiamo solo che Lola venne girato interamente muto per ragioni di budget, e che la celeberrima canzone intonata e danzata da Anouk Aimée venne composta a posteriori, seguendo al missaggio i movimenti labiali e mimici dell'attrice. Che epoca gli anni '60! «Era davvero l'arte per l'arte, l'immaginazione al potere. Da Godard a Varda, da Demy a Reichenbach, formavamo una famiglia, un collettivo creativo. Avevamo la stessa età, facevamo gli stessi sogni». Quando Legrand annuncia a Godard che vorrebbe trasferirsi a Hollywood, il regista scrive sui titoli di testa di Bande à part: «E per l'ultima volta (?) sullo schermo le musiche di Michel Legrand». «Un giorno del 1966 ho scritto una breve lettera a Jean-Luc Godard presso i Cahiers du cinéma, 8 rue Clément-Marot, Paris 8e. Gli scrivevo che m'era piaciuto molto il suo ultimo film, Masculin Féminin. Gli scrivevo inoltre che mi piaceva molto l'uomo che c'era dietro, che amavo proprio lui». Anne Wiazemsky inizia così il suo émouvant Une année studieuse (Gallimard), dedicato ai dodici mesi in cui la liceale di nobili origini – nonché nipote e ospite dell'eminente scrittore cattolico e gaullista François Mauriac – conobbe, amò, sposò Godard, e girò con lui La chinoise. Romanziera affermata, Wiazemsky aveva già dedicato un imperdibile volumetto alla sua precedente esperienza cinematografica come deuteragonista dell'asino cristico in Au hazard Balthazar, per la regia di Robert Bresson (Jeune fille, Gallimard, 2007). Le sue madeleine proustiane dolci e amarognole piaceranno agli appassionati di avventure romantiche. I suoi aneddoti sui metodi di lavoro godardiani piaceranno a tutti gli altri. «Jean-Luc ci aveva dato i dialoghi un'ora prima [di girare una scena de La chinoise], e ciò mi aveva fortemente turbato. Vi ritrovavo le stesse frasi che gli avevo urlato quando lui era venuto a trovarmi da Blandine in Normandia contro la mia volontà (...) M'ero sentita tradita. La troupe, che era al corrente di come Jean-Luc mescolasse finzione e vita privata, si sarebbe resa conto che si trattava dell'alterco tra noi due e delle parole che avevo usato io». Peccato che quest'intimo memoriale s'arresti all'anteprima de La chinoise e non affronti la successiva odissea iper-maoista della coppia. Speriamo che la prolifica Wiazemsky scriva un giorno anche delle esperienze con Pasolini sul set di Teorema.


PORDENONESCRIVE - Scuola di scrittura creativa Da molti anni il festival pordenonelegge è diventato un laboratorio permanente sulla letteratura, per coniugare il dialogo fra chi legge, chi scrive e chi pubblica. Pordenonescrive, così come Roland. Scritture emergenti (l'annuale confronto fra editor nazionali, pubblico e scrittori inediti) sono opportunità concrete e importanti per affacciarsi consapevolmente alla dimensione della scrittura nel contesto creativo ed editoriale del nostro tempo. Perchè ognuno di noi ha una storia da raccontare. Una storia che gli urge nel cuore e che necessita delle parole giuste per essere detta, per entrare nell’esperienza altrui come nella propria. Ma si può imparare a scrivere di sé stessi? E' certo che alcune tecniche si possono imparare, alcuni strumenti si possono affinare. Anche in rapporto a sé: perchè sempre più spesso l’autore introduce sé stesso nella narrazione con l’intento di fare luce, oppure mistificare l’esperienza del reale. Ed ecco che pordenonescrive propone un pacchetto di seminari ed esperienze per spiegare sul campo come la conoscenza e l’agire individuale siano intimamente intrecciati alla finzione per raggiungere il memorabile risultato della letteratura. Quest’anno, inoltre, pordenonescrive diventa editore: grazie alla sponsorizzazione Atap i migliori cinque racconti scritti dai corsisti verranno raccolti in un libro che sarà pubblicato in mille copie e distribuito gratuitamente a cura dell’Atap. Info: www.pordenonelegge.it

LUIGI MOLINIS, TOPOGRAFIE DELLA MEMORIA

Cordenons, Centro Culturale Aldo Moro, fino all'8 febbraio 2014

(...) Senza accorgersene Luigi Molinis viene inghiottito nell’orifizio del Sottoportico degli Orefici, per poi sbucare di nuovo al chiarore del riverbero riflesso dal Canal Grande. Gli effetti del trascolorare luminoso delle increspature delle onde sollevate dai vaporetti e dalle gondole lo ipnotizzano e ruotando ancora su se stesso, si muove automaticamente verso la lezione che lo aspetta. Pensa ai panneggi dei mantelli delle Madonne del Tiziano, anch’essi ondeggianti, ma molli e sensuali e quelli cangianti e luminescenti dipinti dal Tintoretto, vibranti e chiusi nell’ombra o a quelli duri e spigolosi del Carpaccio nelle Storie di sant’Orsola. Lo studio dei panneggi è rivelatorio delle anatomie, delle strutture dei corpi, pensa, da una parte le copre e le dissimula, d’altra parte le evidenzia, anzi le determina. E nella pittura veneziana è la luce e le velature sovrapposte, che intessono la profondità, gli scavi e la tridimensio-nalità potente della carne. (...) Il giovane Molinis, seduto davanti al tavolo da disegno, lo sa perfettamente e questo fa quando traccia una linea con la matita sul foglio da disegno tecnico o la segna con l’inchiostro di china sulla carta porosa o la sviluppa fluente con il pennello sulla tela. (Paola Bristot) Info: www.comune.cordenons.pn.it

PREMIO DARKO BRATINA - OMAGGIO AD UNA VISIONE Gorizia, dal 26 febbraio al 1° marzo 2014

Nel 1999 il Kinoatelje ha assegnato per la prima volta il premio intitolato al proprio fondatore; negli anni seguenti il Premio Darko Bratina si è evoluto fino a diventare una rassegna monografica che si snoda in cinque città del comune spazio interregionale tra Italia e Slovenia. Il premio si indirizza su opere e autori che accompagnano i valori estetici con un'attenzione particolare per il contesto storico e sociale, adoperandosi allo stesso tempo per una comunicazione interculturale. Quest’anno la giuria ha deciso di assegnare il premio alla documentarista austriaca Ruth Beckermann, autrice poliedrica le cui opere si focalizzano tanto sulla dimensione multiculturale di ambiente europeo quanto sulla memoria storica, e personale, di identità ebraica, in particolare di quella viennese. Ruth Beckermann ha realizzato oltre una decina di film documentari, presentati in numerosi festival internazionali e premiati con numerosi riconoscimenti. La sua opera comprende inoltre installazioni audiovisive e pubblicazioni. La consegna del premio a Ruth Beckermann avrà luogo giovedì 27 febbraio 2014 presso il Trgovski dom di Gorizia e in quest'occasione l'autrice inaugurerà anche l'installazione audiovisiva Europamemoria. Info: www.kinoatelje.it

Domani accadrà ovvero se non si va non si vede

Pordenone, dal 1° al 28 Febbraio 2014


i film del mese

Un film di Jean-Marc Vallée. Con Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner. USA 2013. Durata: 117 min.

Un film di John Wells. Con Meryl Streep, Julia Roberts, Chris Cooper - USA 2013. Durata 121 min.

UN UOMO QUALUNQUE CHE SI METTE CONTRO LA LEGGE PUR DI TENTARE DI RIMANERE VIVO

DALLAS BUYERS CLUB

DI JEAN-MARC VALLÈE Ron Woodroof vive come se non ci fosse un domani, non credendo alla medicina ma professando solo la religione della droga e dell'alcol. La scoperta di non avere realmente un domani a causa della contrazione del virus HIV apre un calvario di medicinali poco testati e molto inefficaci, fino all'estrema soluzione di sconfinare in Messico alla ricerca di cure alternative. Lì verrà a conoscenza dell'esistenza di farmaci e cure più efficaci, ma non approvate negli Stati Uniti, che deciderà di cominciare ad importare e vendere a tutti coloro i quali ne abbiano bisogno, iniziando un braccio di ferro legale con il proprio paese. Dallas Buyers Club, nuovo lungometraggio del canadese Jean-Marc Vallée, è un'opera che si presta a diverse chiavi di lettura; pur priva di veemenza e furore pasionario va considerata come un atto d'accusa nei confronti dello strapotere delle lobby del farmaco, pronte a monetizzare tutto, anche la malattia. E' inoltre il racconto puntuale di una precisa epoca storica, in cui, nonostante tutto stesse per cambiare, si era ancora arroccati su vecchie concezioni, vecchi ideali; ma è soprattutto la parabola di un uomo costretto dalla malattia più terribile a cambiare prospettiva e modo di pensare. Per questo Dallas Buyers Club è un film che appartiene totalmente ai suoi interpreti, su tutti, lo straordinario protagonista Matthew McConaughey, che ha trasformato il suo fisico per meglio entrare corpo scarnificato di Woodroof. Non siamo certo nuovi ad exploit del genere nel mondo del cinema, tanti sono stati gli attori che come McConaughey hanno perso chili (o al contrario sono ingrassati) per obblighi di copione, ma in questo caso la mutazione si è rivelata fondamentale per riscaldare il film di Vallée. L'incedere della storia è scandito prima dal conto alla rovescia relativo ai giorni di vita rimasti per Ron, poi, una volta attraversato quel confine, dalla lenta trasformazione dell'uomo. Playboy, spacciatore, razzista, omofobo, Woodroof è la quintessenza di un'America arcaica, rude e violenta che si sgretola quando tutte le certezze vengono meno; Ron/McCounaughey modifica la debolezza in forza, senza alcuna conversione sulla strada di Damasco, ma seguendo un iter partito con la non rassegnazione alla malattia e proseguito poi con la lotta al fianco di altri malati. L'Aids non è stato solo una morbo mortale, ma è diventato anche il mezzo utilizzato da nuovi e vecchi moralisti per imporre la propria etica e, come mostra benissimo il film, il terreno di scontro tra le grandi multinazionali del farmaco e i sostenitori delle cure alternative. L'opera di Vallée si addentra in questo territorio con gli occhi ben aperti, senza ricorrere a inutili artifici e ci regala dei momenti di grande intensità e umanità

UNA FAMIGLIA SI TROVA A DOVER FARE I CONTI CON LA SCOMPARSA DELL'UOMO DI CASA

IDI SEGRETI DI OSAGE COUNTY JOHN WELLS

I Segreti di Osage County è l'oscura, esilarante, e profondamente commovente storia delle caparbie donne della famiglia Weston. Beverly Weston e la moglie Violet vivono tranquillamente nella loro casa di Osage County. Lui è un poeta col vizio dell’alcol, mentre lei è dipendente dai farmaci per una malattia alla bocca. Un giorno, Beverly viene ritrovato morto suicida. Al funerale, oltre alla figlia Ivy, che vive in casa con loro, partecipano anche le altre due figlie, Barbara e Karen, e tutto gli altri parenti. Passano pochi giorni e cominciano a riemergere una serie di conflitti: il primo tra Barbara e Violet, che non sono mai andate d’accordo, si fa sempre più serrato mentre il fidanzato di Karen, dimostra la sua vera natura ed Ivy pianifica la fuga d’amore con suo cugino Charle. Con una sceneggiatura dall'indiscusso appeal il film pone indiscutibilmente al centro della sua storia le dinamiche di una famiglia disfunzionale, mixando irresistibilmente commedia e tragedia, e i modi in cui al suo interno ci si può a vicenda, presentando temi, argomenti e personaggi universalmente riconoscibili. L'omonima pièce teatrale di Tracy Letts da cui il film è tratto ha vinto il Premio Pulitzer ed è andata in scena per la prima volta sul palco del leggendario Steppenwolf Theatre di Chicago nell'estate del 2007, prima di esordire a Broadway nel dicembre dello stesso anno. Le rappresentazioni sono continuate con successo in una tournée internazionale e nel 2008 la pièce è stata insignita di cinque Tony Awards, tra cui quello per la Migliore Commedia. I Segreti di Osage County è diretto da John Wells, apprezzatissimo regista di serie tv, che ha riunito un cast d’eccezione, a partire dal produttore George Clooney, alle protagoniste: Meryl Streep e Julia Roberts, entrambe candidate ai Golden Globe 2014.


Un film di J.C. Chandor. Con Robert Redford. USA, 2013. Durata 106 min.

UNA BALLATA COMICA E STRUGGENTE SULLA SCENA FOLK DEGLI ANNI SESSANTA

A PROPOSITO DI DAVIS

DI JOEL E ETHAN COEN C’era una volta la capitale indiscussa del folk, quel Greenwich Village a partire dal quale Bob Dylan avrebbe cambiato la storia della musica. Ma questa storia comincia prima, quando la musica folk è ancora inconsapevolmente alla vigilia del boom e i ragazzi che la suonano provengono dai sobborghi operai di New York e sono in cerca di una vita diversa dalla mera esistenza che hanno condotto i loro padri. Llewyn Davis è uno di questi, un musicista di talento, che dorme sul divano di chi capita, non riesce a guadagnare un soldo e sembra perseguitato da una sfortuna sfacciata, della quale è in buona parte responsabile. Anima malinconica e caratteraccio piuttosto rude, Llewyn è rimasto solo, dopo che l'altra metà del suo duo ha gettato la spugna nel più drastico dei modi, e ha una relazione conflittuale con il successo, condita di ebraici sensi di colpa, purismo artistico e tendenze autodistruttive. Appartiene alla categoria più fragile e più bella dei personaggi usciti dalla mente dei fratelli Coen, come Barton Fink o Larry Gopnik (A serious man), così come il film appare immediatamente come il ritorno ad un progetto più intimo rispetto all'ultimo Il Grinta. E tuttavia A proposito di Davis, nei confini di uno spazio limitato a pochi ambienti (l'unica possibilità di fuga si rivela un altro fallimento) e di una sola settimana di tempo (arrotolata in una circolarità tipicamente coeniana), è una celebrazione dell'arte - della musica, ma anche e più che mai del cinema amara e sentita, tutt'altro che contenuta. Per quanto il lavoro di rievocazione storica dell'ambiente musicale e degli ambienti in generale (è il 1961, l'anno di Colazione da Tiffany, qui omaggiato dalle finestre che si aprono sulle scale antincendio e da un gatto senza nome, destinato a riuscire nell'impresa giusto per far sentire Llewyn ancora più perdente) sia uno dei protagonisti indiscussi del film, è in un una scena molto diversa che si nasconde il suo cuore. Su un palco in penombra, senza appigli che non siano una sedia e una chitarra, e ad un certo punto più nemmeno quest'ultima, Llewyn canta la sua struggente ballata per il produttore. È un momento di emozione pura, al termine del quale, il potente interlocutore guarda il protagonista e sentenzia: non si fanno soldi con quella roba. E in questa chiusa comica e micidiale, i Coen dicono tutto, dell'arte e dell'industria, forse anche del loro stesso film, con la consueta ironia e il consueto cinismo. Ispirato in parte al memoir del folk singer Dave Van Ronk ("The Mayor of MacDougal Street), A proposito di Davis è anche una piccola summa del cinema precedente dei fratelli di Minneapolis, fatto di incontri enigmatici, facce incredibili, bizzarre riunioni canore attorno ad un microfono, tragicomici doppi. Perché in due è meglio.

UN FILM 'PRAGMATICO' CHE RESTITUISCE DIGNITÀ ALLE COSE E ALLE PERSONE

ALL IS LOST - TUTTO È PERDUTO DI J.C. CHANDOR

Un uomo naviga a vista sull'Oceano Indiano. Colpito un container alla deriva, ripara la falla e libera lo scafo dall'acqua imbarcata. Accomodato il danno, riprende la navigazione minacciata da lontano da nuvole nere. Abile e previdente, si organizza per affrontare la tempesta che, forte e implacabile, ha la meglio sull'imbarcazione. Rovesciato, precipitato in mare, riemerso, arrampicato, scivolato, ferito, l'uomo getta in acqua un natante gonfiabile, attendendo che il vento e le onde si plachino. L'indomani sotto un sole timido recupera suppellettili, generi alimentari e oggetti di navigazione, guardando mestamente affondare la sua barca a vela. Munito di sestante e di saldo coraggio, si barcamena, calcolando la sua posizione sulla mappa nautica. Invisibile alle navi e ai mercantili che incrociano la sua rotta, non si arrende alla natura e alle incessanti tempeste, rispondendo alla sua collera e rovesciando i suoi rovesci. Opera seconda di J.C. Chandor, dopo l’interessante Margin Call, All is Lost è un film-sfida che torna su un tema affrontato sin troppe volte dal cinema americano degli ultimi anni, quello dell'uomo (in questo caso Robert Redford) che lotta per la sopravvivenza in un ambiente a lui ostile. Il risultato è un film tutto "di regia", dove una vicenda che potrebbe potenzialmente esaurirsi dopo la prima mezz'ora, viene continuamente rilanciata e rinvigorita da una regia in grado di sfruttare al meglio i pochissimi elementi visivi e scenografici. Ogni piccolo evento che funesta la lotta per la vita del protagonista (che si tratti della ricerca di acqua potabile, il tentativo di riparare il danno alla nave con mezzi di fortuna, cercare di orientarsi in base agli insegnamenti di un vecchio libro di astronomia) è rappresentato con minuzia di particolari, creando un costante effetto di tensione e angoscia.

i film del mese

(Tit. Or.: Inside Llewyn Davis) Un film di Joel Coen, Ethan Coen. Con Oscar Isaac, Carey Mulligan, John Goodman. USA 2013. Durata 105 min.


i film del mese

Un film di George Clooney. Con George Clooney, Matt Damon, Cate Blanchett. USA,Germania 2014.

(Tit. Or.: 12 Years a Slave) Un film di Steve McQueen. Con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch. USA 2013. Durata 134 min.

UN CAST STELLARE PER UNA MISSIONE IMPOSSIBILE AI TEMPI DEL NAZISMO

THE MONUMENTS MEN

DI GEORGE CLOONEY Adattamento dell'omonimo libro di Robert Edsel, The Monuments Men racconta la storia di un gruppo di storici dell'arte che durante la seconda guerra mondiale rischiavano la vita in giro per l'Europa a caccia dei tesori trafugati dai nazisti che rischiavano di essere distrutti, per restituirli ai dovuti proprietari. Sembrerebbe una missione impossibile: con le opere chiuse dietro le linee nemichee con l'esercito tedesco che ha l'ordine di distruggere tutto non appena il Reich cade, come faranno questi uomini (direttori di musei e storici dell'arte più familiari con Michelangelo che con l'M-1) a portare la missione al successo? Trovandosi in una corsa contro il tempo per evitare la distruzione di oltre 1000 anni di cultura, sono disposti a rischiare la vita per proteggere i grandi capolavori dell'umanità. Il film si basa sulla vera storia del programma Monuments, Fine Arts and Archives, un gruppo alleato che durante la seconda guerra mondiale aveva il compito di salvare opere d’arte e altri oggetti culturalmente importanti prima della loro distruzione da parte di Hitler. Il team includeva circa 400 civili molti dei quali molti hanno continuato ad avere una prolifica carriera. In gran parte storici dell’arte e personale di musei, hanno avuto ruoli formativi nella crescita di molte delle più grandi istituzioni culturali degli Stati Uniti tra cui la National Gallery of Art, il Metropolitan Museum of Art e il New York City Ballet, così come nei musei e altre istituzioni in Europa. Tra le missioni dei Monuments Men c’è stata la scoperta in Austria di un ampio complesso di miniere di sale servito come un enorme archivio per l’arte rubata dai nazisti che includeva anche opere provenienti da collezioni austriache. Più di 6.500 solo i dipinti rinvenuti sul luogo. Tra le opere recuperate la Madonna di Bruges di Michelangelo rubata dalla Chiesa di Nostra Signora di Bruges; il Polittico di Gand di Jan van Eyck rubato dalla Cattedrale di San Bavone a Gand; alcuni dipinti trafugati dal Museo di Capodimonte di Napoli e da Monte Cassino dalla divisione corazzata di Hermann Göring e nella città friulana di San Leonardo sono stati rivenuti altri dipinti provenienti dagli Uffizi che erano stati frettolosamente scaricati dalle truppe tedesche in ritirata e che includevano tele di Sandro Botticelli, Filippo Lippi e Giovanni Bellini. L’INCREDIBILE STORIA VERA DI UN UOMO E DELLA SUA BATTAGLIA PER LA LIBERTÀ

12 ANNI SCHIAVO DI STEVE MCQUEEN

In cinque anni, quelli che passano da Hunger (2008) a 12 Years a Slave (2013), Steve McQueen si e’ conquistato un posto d’onore sui red carpet di mezzo mondo e una solida fama di cineasta raffinato, attento ai problemi sociali e influenzato da esperienze artistiche che vanno dalla Pop Art alla Nouvelle Vague. Inglese con origini caraibiche, McQueen ha intersecato il cinema con la pittura, la scultura e la fotografia. Se l’espressione non suonasse un po’ troppo retorica, lo si potrebbe definire un “artista del dolore”. Nei suoi film, la macchina da presa indugia senza remore sulle schiene martoriate dalle frustate degli schiavi neri, sul corpo scarnificato dell’ormai magrissimo Bobby Sands o su quello irrequieto di un newyorchese vittima delle proprie pulsioni. In Hunger, l’irlandese Bobby Sands muore di consunzione, dopo 66 giorni di sciopero della fame contro i suoi carcerieri. In Shame, Brandon, dietro lo schermo di un’esistenza di successo, non riesce a interrompere una spirale autodistruttiva che finisce per consumarlo da dentro. In 12 Years a Slave, McQuenn che – per la prima volta da quando gira lungometraggi – si affida a una sceneggiatura altrui (di John Ridley), racconta la storia di un uomo fatto schiavo con l’inganno. Per dodici anni. Siamo nell’America del 1841 quando Salomon Northup (Chiwetel Ejiofor), un free man di colore residente a Saratoga, e’ rapito e venduto a un possidente di New Orleans. Inizia cosi’ una lunga discesa all’inferno che portera’ Salomon, la cui vera identita’ e’ celata sotto il nome fittizio di Platt, all’ultimo gradino della gerarchia sociale, in un crescendo di abusi e umiliazioni. Saranno la sua inflessibile determinazione e l’aiuto insperato di un canadese dalla coscienza limpida a restituirgli il suo nome e la sua storia. Diventera’ un attivista per la liberazione degli schiavi e scrivera’ il libro autobiografico al quale la pellicola e’ ispirata. Nel complesso si tratta di affresco ibrido e potente, dove le ossessioni personali di McQueen si fondono con l'esigenza di raccontare la schiavitu' dei neri in America; un approccio personalissimo e dall’equilibrio altalenante che riescie a realizzare un oggetto “imperfetto” ma incredibilmente affascinante.


LA SCUOLA AL CINEMA prenotazione obbligatoria presso la Mediateca (tel. 0434-520945 didattica@cinemazero.it)

LA MIA CLASSE

di Daniele Gaglianone. Con Valerio Mastandrea, Bassirou Ballde, Mamon Bhuiyan. Italia 2013, 92' Un maestro dà lezioni a una classe di stranieri che mettono in scena se stessi. Vogliono imparare l'italiano per avere il permesso di soggiorno, per integrarsi, per vivere in Italia. Arrivano da diversi luoghi del mondo e ciascuno porta in classe il proprio mondo. Ma durante le riprese accade un fatto per cui la realtà prende il sopravvento. Il regista dà lo "stop", ma l'intera troupe entra in campo: ora tutti diventano attori di un'unica vera storia, in un unico film di "vera finzione": La mia classe..

A febbraio il regista sarà ospite di Cinemazero e incontrerà pubblico (serata) e studenti (matinée) Per informazioni: 0434-520945

PROSSIMI EVENTI A CINEMAZERO PER INFO: 0434-520404 - cinemazero@cinemazero.it LUNEDì 10 FEBBRAIO

VEDO ROSSO di Sabrina Benussi incontro con S. Benussi e M. Flores

Il documentario nasce dal desiderio di raccontare una pagina di una storia di/al confine complessa e misconosciuta nonostante la sua collocazione geografica vicina: la vita della comunità italiana in Istria negli anni ’70 fino alla morte di Tito nel 1980, in particolare nel vissuto di bambini e adolescenti. Sabrina Benussi (regista) e Marcello Flores (storico) incontrano il pubblico.

MARTEDì 11 FEBBRAIO

COLORADO OLIMPICO

incontro con Daniele Molmenti Due ori olimpici, Daniele Molmenti (Londra, 2012) e Pierpaolo Ferrazzi (Barcellona, 1992) insieme per vivere un’unica, incredibile, avventura: la discesa del fiume Colorado nel Grand Canyon in kayak. Ventidue giorni di spedizione raccontati dai due protagonisti - che saranno presenti in sala - e dalle suggestive immagini riprese dalle loro telecamere montate sulle canoe.

Sua eccellenza si fermò a mangiare

regia di Mario Mattoli - 1961 - dur. 101’

Venerdì 28 febbraio 2014 - ore 19.30 Saletta Incontri San Francesco - Piazza della Motta, PN con il patrocinio del Comune di Pordenone - INGRESSO LIBERO Dopo il film i totofili si incontreranno per una pizza alla Pizzeria Plaza di piazza Risorgimento a Pordenone


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