Marzo 2012 cinemazeronotizie

mensile di cultura cinematografica

E 1,00

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Un'inedita intervista di Gideon Bachmann, svela il rapporto fra i due maestri

Sara, le Giornate e la Cineteca Ricordo di una collaboratrice insostituibile

Veni, Vidi, Vici!

L'Orso d'Oro all'Italia nella Berlinale 2012

Raccontare la forza dell'amore

A Simple Life (Tao Jie) di Ann Hui dall'8 marzo nei migliori cinema

Enzo Biagi: maestro di giornalismo e libertà

11>15 aprile 2012, al via la sesta edizione de Le voci dell’inchiesta

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Marzo

Pasolini secondo Bellocchio

2012 numero 3 anno XXXII

Ciao Sara

Far East Film Festival 14

20>28 aprile 2012 - Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” & Visionario

Domani accadrà

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foto Paolo Jacob ©

Buone Feste e…che il 2012 sia migliore perdindirindina! Sara&Martino.

Con questo spiritoso auspicio Sara Moranduzzo aveva salutato gli amici lo scorso Natale con una mail firmata assieme al suo gattino dal pelo fulvo, inseparabile compagno dei giorni difficili della malattia. Purtroppo Sara se n'è andata per sempre pochi giorni dopo, il 26 gennaio, a soli 47 anni. Un mese prima, il giorno di Santo Stefano, però, non aveva voluto perdersi la proiezione di The Artist, lo straordinario film “muto” di Michel Hazanavicius. Film ambientato negli anni del passaggio dal muto al sonoro, che è riuscito a ricreare sullo schermo quell'atmosfera magica che gli abituali frequentatori delle Giornate del cinema muto o del Cinema ritrovato di Bologna conoscono bene. A Sara la pellicola, nonostante alcune sviste filologiche, era piaciuta molto, perché le ricordava i giorni felici del festival del muto, giorni per lei di fatica e lavoro, ma attesi sempre con gioiosa trepidazione. Lo scorso ottobre per la prima volta dopo molti anni Sara non c'era: un'assenza per lei - e per noi -dolorosissima. E così The Artist è stato l'ultimo film che lei ha potuto vedere al cinema sul grande schermo: un segno del destino?

A Cinemazero avevamo conosciuto Sara nel 1995 quando per Le Giornate del Cinema Muto avevamo organizzato presso il convento di S. Francesco la mostra Luce e Movimento, incredibile esposizione sul precinema curata da David Robinson. Sara, laureata da un paio d'anni in architettura, si doveva occupare del bookshop della mostra e delle visite guidate per le scuole: ci colpirono l'entusiasmo e la passione con la quale fino al 28 dicembre - anniversario della nascita del cinema - fece da cicerone a migliaia di studenti impegnati a scoprire i segreti delle lanterne magiche, del fenachistoscopio, dei taumatropi, del kinetoscopio di Edison fino al cinematografo dei fratelli Lumière. Un'esperienza che la affascinò e incuriosì moltissimo. Pochi mesi dopo - nell'aprile del 1996 - era già al lavoro a Cinemazero per occuparsi di comunicazione, ufficio stampa, Ambiente Incontri a Sacile, mostre fotografiche, Zerorchestra, La voce della poesia, La sentinella della patria, Tina Modotti e tante altre cose. Gli anni a cavallo del nuovo secolo sono stati anni importanti per la vita della nostra associazione che allora si trovava ad affrontare con coraggio e determinazione una stagione di profondo rinnovamento. Pensiamo al trasferimento della sede e alla scelta di realizzare la nuova mediateca presso il complesso di S. Francesco, alla necessità di aprire una terza sala di proiezione e di progettare il restyling della facciata dell'Aula magna, ma anche la nuova immagine di Cinemazero. L'interesse e la passione di Sara per la grafica, il design e l'architettura si rivelarono decisivi nel coinvolgere alcuni bravi professionisti - suoi cari amici - come il grafico Patrizio De Mattio e gli architetti Monica Bianchettin, Giuliana Raffin, Michele De Mattio, che contribuirono con identico impegno a realizzare questo importante processo di innovazione. L'amore mai sopito per l'architettura trovò per anni una sintesi felice nella rassegna Cinema&Architettura che curò assieme a La città complessa, così come il suo profondo legame con Maniago - sua città natale - la portò a curare il bel volume Il Verdi di Maniago - un cinema teatro e la sua storia e a recuperare e salvare la copia del cortometraggio Ritratto di un paese girato da Romolo Marcellini nel 1949 nella città dei coltelli. La sua capacità nell'intessere relazioni e reti con altre realtà culturali la portò nel 2001 ad entrare nel gruppo originario dei nuovi curatori di Pordenonelegge.it assieme a Gian Mario Villalta, Valentina Gasparet, Alberto Garlini e Mauro Covacich. Prima ancora era riuscita a consolidare il rapporto di Cinemazero con gli amici udinesi del CEC, Thomas Bertacche e Sabrina Baracetti in particolare. La collaborazione con Cinemazero proseguirà ufficialmente fino all'inizio del 2004 quando accettò di seguirmi a Trieste nella mia avventura politica in Consiglio regionale: ma questa è un'altra storia. Nello staff delle Giornate del Cinema Muto ha avuto sempre un ruolo importante occupandosi non solo dell'ufficio stampa ma delle mille incombenze che una manifestazione internazionale richiede. Le centinaia di ospiti che ogni anno arrivano da tutto il mondo la conoscevano e le volevano bene: il suo sorriso e la sua disponibilità erano il modo migliore per accogliere chi aveva percorso migliaia di chilometri per arrivare nella capitale del cinema muto. Ciao Sara non ti dimenticheremo. foto Paolo Jacob ©

Piero Colussi

Editoriale

Ciao Sara

In copertina: Paolo e Vittorio Taviani premiati a Berlino con l’Orso d’oro per Cesare deve morire

cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Marzo 2012, n. 03 anno XXXII Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Elisabetta Pieretto Direzione, redazione, amministrazione P.zza della Motta, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Impaginazione Tommaso Lessio Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Grafiche Risma Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla Unione Italiana Stampa Periodica

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Un'inedita intervista di Gideon Bachmann, ci svela il rapporto fra i due maestri

a cura di Riccardo Costantini

Il primo incontro che ho avuto con Pier Paolo Pasolini è stato nel '65, quando presentò all'Associazione Italia-Urss me e Bertolucci. All'epoca ci teneva a portare avanti l'idea di una distinzione tra cinema di prosa e di poesia.

Negli ultimi anni aveva invece abbandonato questa definizione, questo punto di vista.

Nel panorama del cinema italiano Pasolini è stato un regista molto solitario, nel senso che, a differenza di altri maestri, ha portato avanti un tipo di cinema che, penso, non avrà molti epigoni, un cinema personalissimo, soprattutto fino a Uccellacci uccellini.

“La Trilogia della vita”, come lui stesso la definiva, ha accentuato la contraddizione tra la sua vita e le sue opere, l'elemento contraddittorio già presente nel “personaggio Pasolini”. Lui stesso di se diceva: “ho due vite”. Parlava di una vita a contatto col mondo borghese e di una vita tutta autonoma, fatta del suo rapporto con le borgate, con il mondo del proletariato, dei poveri. Questa sua seconda vita era per lui il segno di distinzione nei confronti di tutto il mondo artistico borghese integrato, nei confronti dell'ideologia borghese contro la quale si era sempre scagliato.

Questa contraddizione rappresentava per lui qualcosa di estremamente fecondo.

Se da un lato Pasolini risultava confutabile dal punto di vista ideologico - i suoi paradossi politici da un punto di vista pratico, reale, non stavano in piedi -, dall'altro era invidiato proprio per la sua capacità straordinaria di essere doppio, di non essere completamente integrato, di avere dei rapporti - sebbene contraddittori con un'altra classe. Quel che è certo, comunque, è che le sue teorizzazioni politiche erano dei paradossi.

Fino alla morte “il proletariato” è stato il suo grande amore. Col procedere degli anni si accentuava in lui un pessimismo sempre più acuto a mio avviso non condivisibile: non mi è affine questa sua nostalgia per il paradiso perduto rappresentato dall'Italia delle tradizioni popolari distrutta dalla società dei consumi e della tv. Un sentimento, un atteggiamento che davvero non condivido, anche per le forti componenti estetizzanti. Di sicuro aveva capito quale fosse il male profondo, quali i guai della civiltà presente, ma arrivava a idealizzare un passato secondo me non idealizzabile.

Il passato rappresentava il bene, mentre nel presente vedeva solo il male. E soprattutto non credeva nel presente: anche qui, secondo me, sbagliava.

Non so se il suo amore fosse corrisposto dal sottoproletariato. Io conoscevo Pier Paolo Pasolini come intellettuale, non per i suoi rapporti con l'altra vita che erano molto intimi, scissi dalla sua vita di intellettuale…

Mi ricordo che stava sempre zitto, non partecipava, veniva raramente coinvolto dai colloqui. Si è riservato tutte le sue energie per quell'altra parte, quell'altro mondo completamente scisso.

Un'altra contraddizione sta nel fatto che molti dei suoi film non erano adatti per una divulgazione di massa, rivolta alle classi da lui tanto amate. I suoi film più originali sono quelli che non hanno avuto grande successo commerciale. Gli ultimi film, a parte Salò che è stato sequestrato, o altri che hanno avuto grande successo di pubblico per equivoci o fatti scandalistici non determinati da Pasolini, sono stati visti per motivi diversi rispetto a quelli che Pasolini si era prefissato o per cui li aveva realizzati.

Lo sguardo dei maestri

Pasolini secondo Bellocchio

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Ricordo di una collaboratrice insostituibile

Piera Patat & Livio Jacob

Ricordo di Sara Moranduzzo

Sara, le Giornate e la Cineteca Sì, è vero, a differenza della Silvia leopardiana, la nostra Sara è morta d'inverno, però il grande Tu pria che l'erbe inaridisse il verno, freddo è arrivato proprio all'indomani della sua da chiuso morbo combattuta e vinta sepoltura nella terra del paese natale, a Maniago, nei pressi del bel duomo di S. Mauro. perivi, o tenerella.

E col freddo dei giorni della merla si è fatto più acuto dentro ciascuno di noi delle Giornate, dovunque fossimo - qui in Friuli, a Trieste, a Venezia, a Savona, oltre Manica e oltre Oceano -, il dolore per averla persa, un dolore che, a funerali ormai celebrati, non potevamo più nascondere con la scusa degli impegni: avvertire gli amici lontani, preparare una biografia per i colleghi giornalisti, scrivere il necrologio, informare il pubblico internazionale del festival tramite la homepage del sito… Non è la prima volta che un lutto colpisce le Giornate, ma è la prima volta che se ne va una collaboratrice tanto più giovane di noi ex ragazzi fondatori del festival.

Il rapporto di Sara con le Giornate era iniziato nel 1995, l'anno del centenario del cinema. Se scorrete le pagine dei credits del nostro catalogo di quell'anno non troverete il suo nome: faceva infatti parte del team della Biblioteca dell'Immagine. Ma dal 1996, quando venne assunta da Cinemazero, ha curato, in indissolubile coppia con Giuliana Puppin e con la complice intesa di Fulvio Toffoli, l'ufficio stampa di tutte le edizioni del festival, compresa quella del 2011, svoltasi dall'1 all'8 ottobre (aveva solo dovuto accettare di non esserci fisicamente, visto che era stata operata a Padova il 29 settembre). Ricorda Giuliana: “Sara teneva i contatti con i rappresentanti delle istituzioni locali e seguiva la promozione in senso lato, dalla cartellonistica alla pubblicità sui giornali. Si occupava con particolare piacere anche dell'organizzazione di momenti conviviali, rinfreschi veri e propri o degustazioni, sempre molto apprezzati dagli ospiti. Nel lavoro più specifico dell'ufficio stampa collaboravamo per la stesura dei comunicati, l'organizzazione delle conferenze stampa e in generale per i contatti con la stampa, che ci dividevamo. Lei seguiva in particolare i rapporti con le testate regionali per le quali scriveva, concordando gli spazi che avrebbero dedicato al festival. Sara era brillante e affabile, un vero 'animale sociale', amava intrattenere rapporti con le persone, e sapeva conquistarle, anche con un pizzico di civetteria. Il che la rendeva perfetta per le pubbliche relazioni. I nostri contatti, telefonici per lo più nel corso dell'anno, diventavano più frequenti mano a mano che il festival si avvicinava. Come succede, si potevano creare piccole tensioni se eravamo in disaccordo su qualcosa, ma c'era anche complicità. A Pordenone lavoravamo fianco a fianco tutto il giorno, eravamo una squadra che ora non c'è più.

Penso spesso ai pranzi veloci e alle nostre cene. Facevamo il punto della situazione e i piani per il giorno dopo, ma parlavamo anche d'altro. A volte chiudevamo la serata vedendo un film. E sono questi i momenti che mi mancheranno di più.”

Per Sara il legame del festival con la città era fondamentale e si è adoperata per salvaguardarlo anche nei momenti più difficili, quelli della chiusura del vecchio Verdi con il conseguente trasferimento, nel 1999, a Sacile e quelli del ritardato ritorno a Pordenone a causa dei problemi di visibilità dello schermo del nuovo Verdi.

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Avevamo approfittato della sua laurea in architettura per affidarle l'allestimento, presso la Galleria degli Affreschi di Sacile, di due nostre piccole, ma apprezzate mostre: su Erich von Stroheim nel 2000 e su Merian C. Cooper nel 2003.

Il suo gusto per la grafica e le sue doti diplomatiche ne avevano fatto il naturale referente quando si trattava di controllare i “mezzi” promozionali come cartoline, poster, locandine, ecc. Quante volte ha dovuto mediare tra noi e gli enti sostenitori per il posizionamento, le dimensioni e i colori dei rispettivi logotipi!

Venuta in contatto tramite Cinemazero con la Cineteca del Friuli, aveva subito proposto iniziative comuni: la pubblicazione in vhs nel 1997di Ritratto di un paese, il documentario su Maniago girato da Romolo Marcellini nel 1949 e da lei ritrovato; il restauro della Sentinella della Patria di Chino Ermacora e la successiva tournée del film, partita nel dicembre 1997 dal Cinema Sociale di Gemona e proseguita per tutta la Regione con le musiche dal vivo del Glauco Venier Ensemble (raccolte nel 2000 in un vhs e un cd musicale). Una complessa operazione che ha fatto ottenere a Cinemazero e alla Cineteca il premio Epifania del 1998.

A Gemona Sara ha anche supervisionato - affidandone l'allestimento a Monica Bianchettin - le prime mostre della “galleria della Cineteca”: Stanley Kubrick, le location western, il Friuli e il cinema, John F. Kennedy, Elio Ciol e Gli ultimi, Pierluigi Praturlon. La mostra su Kubrick è stata visitata e ammirata anche dai massimi studiosi del regista di 2001 Odissea nello spazio, Michel Ciment, Giuseppe Lippi e Alexander Walker (quest'ultimo ha talmente amato la mostra da decidere di lasciarci in eredità il suo archivio).

Con Gloria De Antoni, è stata sui set delle produzioni cinematografiche della Cineteca, in particolare quella su Antonio Centa, il suo concittadino più celebre.

E come dimenticare che era stata lei a far conoscere a Cinemazero - e quindi alla Cineteca - gli architetti Giuliana Raffin e Michele De Mattio che anni dopo sarebbero diventati i brillanti autori dell'edificio sorto a Gemona, tra i monti e il Tagliamento, per ospitare l'Archivio Cinema del Friuli Venezia Giulia?

Quanto lontane sembrano ora le “speranze”, quanto lontani i “cori” di quel festoso, ventoso giorno di primavera di quattro anni fa, quando l'Archivio era stato inaugurato alla presenza di autorità regionali, amministratori locali, rappresentanti di cineteche italiane e straniere, università e associazioni e tutto era andato bene anche grazie all'intenso lavoro di relazioni “politiche” svolto da Sara.

E adesso, quando più ci sentiamo stringere il cuore vedendo su Skype il simbolo di “non in linea” accanto al suo nome, è lei che sembra volerci consolare con i versi citati nel suo ultimo messaggio personale: “Questo orribile mondo non è privo di grazie, non è senza mattine per cui valga la pena di svegliarsi.”

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11-15 aprile 2012, al via la sesta edizione de Le voci dell'inchiesta

Le voci dell’inchiesta

Enzo Biagi: maestro di giornalismo e libertà Un grande omaggio a Enzo Biagi, il teatro d'inchiesta con Ascanio Celestini e molti altri, un focus su inquinamento e tumori, i 50 anni della scomparsa di Marilyn Monroe, il fenomeno dei Black Block e la mai risolta questione dei fatti del G8 di Genova - in particolare la tristemente nota vicenda Diaz/Bolzaneto -, lo spettro nucleare di Fukushima, la fotografia d'inchiesta con Francesco Cito e Pierpaolo Mittica, la seconda annualità dell'indagine interattiva sui rifiuti in FVG sviluppata con Arpa-Larea, il progetto Legality Coop e la cultura della legalità, i documentari sul nostro 'devastato' ambiente/paesaggio, i mattinée per le scuole... Dopo il traguardo delle prime cinque edizioni del festival - riuscite e di successo -, è in arrivo dal 11 al 15 aprile a Cinemazero l'attesa sesta puntata de Le voci dell'inchiesta, ricca di spunti sull'attualità, ma anche sulla storia di questo particolare genere d'informazione, e sopratutto presentando - sempre accompagnati da registi e ospiti - i migliori e più recenti documentari internazionali (vincitori dei principali premi ai più prestigiosi festival del mondo, spesso in anteprima nazionale). Non si può che presentarla dando spazio al denso omaggio a Enzo Biagi, maestro inimitato di giornalismo e d'inchiesta: «Buonasera, scusate se sono un po' commosso e magari si vede. C'è stato qualche inconveniente tecnico e l'intervallo è durato cinque anni. C'eravamo persi di vista, c'era attorno a me la nebbia della politica e qualcuno ci soffiava dentro… Vi confesso che sono molto felice di ritrovarvi. Dall'ultima volta che ci siamo visti, sono accadute molte cose. Per fortuna, qualcuna è anche finita…». Con queste parole, il 22 aprile 2007, un Enzo Biagi visibilmente stanco e provato (morirà il 6 novembre di quello stesso anno) salutava il pubblico italiano dalla sua casa milanese trasformata per l'occasione in studio televisivo (le telecamere - ricorda la figlia Bice - erano state piazzate in quella che per lui era ancora “la camera delle bambine”). La nuova serie di RT - Rotocalco televisivo - che segnava il ritorno in televisione del "grande vecchio" del giornalismo italiano dopo cinque anni di silenzio forzato (l'"editto bulgaro", col quale l'ex Presidente del Consiglio Berlusconi aveva accusato Biagi di «uso criminoso della televisione pubblica», risale all'aprile del 2002) - iniziava deliberatamente alla vigilia del 25 aprile, una data che Biagi riteneva "ormai essenziale nella storia degli italiani: quella in cui hanno acquistato il diritto della parola».

E Resistenza, Resistenze, significativamente, era il titolo della puntata, interamente dedicata ai testimoni delle "nuove resistenze": quella operaia; quella dei giovani che cercano di arrivare a fine mese; quella «che si deve combattere ogni giorno contro le ingiustizie, le prepotenze, le lusinghe e gli abusi del potere, di tutti i poteri»; quella contro le mafie e la ‘ndrangheta, con Roberto Saviano in testa («mi ascolti bene, lei ha raccontato questo

Anteprima Le voci dell'inchiesta 2012 Cinemazero e Centro Studi e formazione Gymanasium presentano

THE DARK SIDE OF THE SUN (Italia, 2011) Giovedì 22 marzo 2012, Cinemazero, Sala Grande. INGRESSO LIBERO alla presenza del regista Carlo Shalom Hintermann I mille colori del buio. A Camp Sundown si fanno incanti: i “bambini XP”, come vampiri, non possono esporsi ai raggi solari e vivono, giocano, creano nella notte: un film commovente, delicato, sorprendente anche per modalità di realizzazione, ne racconta la storia...

Per pochi bambini il sole è un nemico mortale. Una rara malattia, Xeroderma Pigmentosum, li costringe a vivere isolati, lontani dal mondo diurno dei loro coetanei. Questo non accade però a Camp Sundown, un campo estivo nello stato di New York creato dall'immaginazione e dalla tenacia dei loro genitori, che raccoglie pazienti da tutto il mondo. Qui prende forma un universo rovesciato, colmo d'incanto. La vita di questa piccola comunità notturna si intreccia con i sogni che prendono forma nell'animazione, ideata dagli stessi bambini. Genitori e figli si riconoscono qui in un unico desiderio: vivere appieno la propria vita, nonostante la malattia. www.thedarksideofthesun.org

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Paese, e nessuno glielo perdonerà mai» lo ammonirà Biagi in trasmissione). Riletto oggi, quel ritorno di Biagi sul piccolo schermo - fortemente voluto da Paolo Ruffini e Antonio Di Bella (all'epoca, rispettivamente, direttori di RaiTre e Tg3) - non sembra aver voluto segnare tanto un "nuovo inizio" (assai improbabile, considerate le sue incerte condizioni di salute), quanto piuttosto un'occasione per il giornalista per ribadire in modo fermo i principi della libertà e pluralità dell'informazione, chiudendo simbolicamente (ciclicamente) quarant'anni di carriera televisiva con una trasmissione che portava lo stesso titolo di quella - prototipo dei programmi televisivi d'inchiesta - con cui il giornalista aveva inaugurato nel 1962 il suo rapporto con la RAI. E nella riedizione del programma, nato per «raccontare i bisogni della gente, i loro sogni, le loro speranze» («i politici no, hanno tanti spazi in televisione dove andare; la politica sì, ma senza di loro»), il pensiero del giornalista era andato spesso «ai colleghi, ai compagni di lavoro caduti sui tanti fronti di guerra, e anche nelle nostre città, vittime di agguati e di crudeltà, che non dovrebbero esistere mai, tanto meno in questo che forse impropriamente è detto tempo di pace. Avevano solo voglia di raccontare». Il verbo raccontare ricorre spesso nei discorsi di Biagi, come evidenziano i miei corsivi. La grande eredità lasciataci dal giornalista, «grande voce di libertà» (come lo ha definito il Presidente della Repubblica Napolitano) è un lungo, approfondito e "partecipato" racconto della realtà italiana e internazionale. L'occasione per rileggerne alcuni dei capitoli più significativi sarà dunque offerta al pubblico di Cinemazero dall'ampio omaggio che la sesta edizione del festival Le voci dell'inchiesta dedicherà al maestro dell'inchiesta giornalistica e cinetelevisiva.

Un modo per ricostruire - attraverso i ricordi e le testimonianze delle figlie, degli amici, dei colleghi di lavoro - la grande lezione umana e professionale del «pacato ma efficace inquisitore». E un'opportunità per rivedere ed apprezzare alcune tra le inchieste televisive e cinematografiche più significative, esempi di un giornalismo televisivo basato sui fatti e improntato ad uno stile asciutto e incisivo dal "gusto cinematografico", un giornalismo «fatto di immagini, suoni, montaggio, regia», capace di proporre «un salutare ritorno all’immagine» in un momento in cui la televisione si alimentava pressoché solo di «parole, riunioni, tavole rotonde, conferenze, dissertazioni, interviste, quasi che la radio non fosse stata mai inventata...»: da Il giudice (1960), sul dodicenne ebreo David Rubinovich, deportato ed assassinato nei campi di concentramento nazisti, con l'incisivo bianco e nero del "mitico" cineoperatore Franco Lazzaretti, storico collaboratore di Biagi, alle grandi inchieste internazionali: All’est qualcosa di nuovo (1963) realizzata con Jas Gawronski, sulle condizioni sociali, economiche e sulle abitudini di vita a Varsavia, Praga e Budapest nel dopoguerra, dopo il periodo storico del regime comunista; Mississippi: romanzo di un fiume (1964), una sorta di “viaggio”, attraverso immagini e filmati, sulle rive - e nella storia - del grande fiume americano; Jugend (1966), sui giovani tedeschi negli anni Sessanta; Douce France. Diario filmato di un viaggio (1978) uno spaccato della Francia, tra modernità e tradizione, con interviste a personaggi di spicco (tra cui il regista Truffaut) e a uomini della strada; Made in England: come vi piace (1979), acuto racconto della Gran Bretagna di fine anni Settanta, con filmati e interviste che mettono a fuoco aspetti significativi e anche insoliti del paese; Tocca a noi (1993), sul rapporto tra politica e morale, inteso a sollecitare le sopite coscienze civili scosse dagli avvenimenti di Tangentopoli (da qui il titolo, che suona come un invito a rimboccarsi le maniche); La lunga marcia (1994), reportage sulla Cina come grande potenza che punta a Occidente: da Mao Tse Tung alle Ferrari, passando attraverso la rivoluzione delle donne e piazza Tien an men (dodici mesi di lavoro e oltre 150 interviste filmate, tra cui quelle a Gorbaciov e Kissinger). La rassegna retrospettiva sarà anche occasione per vedere (o rivedere) alcune storiche interviste (a Yasser Arafat, Roberto Benigni, Bill Gates, Mu'ammar Gheddafi, Indro Montanelli, Pietro Nenni, Pier Paolo Pasolini, Sandro Pertini, ...) e il lungometraggio Italia proibita (1963), un filminchiesta per le sale prodotto dalla Cineriz realizzato da Biagi assieme ai collaboratori di RT - Rotocalco televisivo Aldo Falivena, Brando Giordani, Sergio Giordani: un viaggio a occhi aperti lungo lo stivale, per documentare con curiosità civile aspetti drammatici o grotteschi della società italiana: i delitti di mafia in Sicilia, la riforma fondiaria nel Sud, le insufficienze del sistema scolastico e sanitario, il microcosmo sottoproletario, il dibattito sulla legge Merlin e la prostituzione, la comunità di Nomadelfia voluta da don Zeno e governata dalla carità cristiana.

A breve tutto il programma del festival su www.voci-inchiesta.it

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L’Orso d’Oro all’Italia nella Berlinale 2012

Andrea Crozzoli

62mo FilmFestSpiele di Berlino

Veni, Vidi, Vici!

«Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione» ha dichiarato ai fratelli Taviani il detenuto che nel film Cesare deve morire interpreta Giulio Cesare. Questa frase è rimasta nella testa dei due grandi registi che la ripetono a Berlino durante l’incontro avvenuto subito dopo aver ricevuto l’ambito Orso d’Oro della Berlinale 2012 dalle mani del direttore Dieter Kosslick e del presidente della giuria Mike Leigh. Dopo 21 anni dal precedente Orso d’Oro a Marco Ferreri per La casa del sorriso, l’Italia rivince con due grandi maestri come Paolo e Vittorio Taviani (Vittorio classe 1929, e Paolo, classe 1931) e con un docu-fiction di grande impatto emotivo. È la storia di un gruppo di detenuti nel carcere romano di Rebibbia, sezione di massima sicurezza che, sotto la guida di un regista teatrale, mettono in scena il dramma shakespiriano Giulio Cesare. Su questa traccia hanno dato inizio, come ha dichiarato Paolo Taviani, ad “un’avventura nella quale si parte con un’idea e la si modifica in base alla luce di quel momento, alle facce, alle espressioni”; per questo Cesare deve morire aveva “bisogno di grande libertà di espressione”. E grazie anche a questa libertà ne è uscita un’opera potente, che da voce a delle persone dimenticate, percorrendo le zone alte dell’arte, della drammaturgia. Ognuno di loro ha tradotto la propria parte nel dialetto che conosce meglio e questo ha dato ai personaggi una forza e una qualità rara. “Nei loro occhi oltre al talento c’è un’esperienza unica. Stesi, nel silenzio delle loro brande, si dichiarano guardatori di soffitti e non carcerati.” dice Paolo, mentre Vittorio incalza affermando che “dopo tanti premi questo è il più importante perchè è dato a un film diverso, nuovo su un tema attuale e scottante. C’è bisogno che si parli del carcere, di tutti i suicidi che avvengono in queste celle sovraffollate”.

Attraverso l’arte, il teatro, i detenuti hanno espresso una loro natura sconosciuta; il teatro come catarsi. C’è stato in loro anche un bisogno di affermarsi, di riconoscersi ed essere riconosciuti. “Dite nomi finti, questo è un film - ha raccontato Paolo Taviani - tutti invece hanno detto il loro vero nome nella scene dei provini. Così tutti quelli che li hanno dimenticati, nel vedere il film si ricorderanno di loro”. “Ci siamo affidati a loro senza dare indicazioni precise - continua Vittorio Taviani - e attraverso un testo come quello di Shakespeare, che parla di tiranni, di lotta per il potere, di congiure, hanno rivelato parte della loro natura e del loro talento. Ne hanno preso coscienza.” L’attesissimo film Cesare deve morire uscirà in Italia distribuito dalla Sacher Film di Nanni Moretti a marzo. I due fratelli, 164 anni in totale, erano felicissimi come due bimbi per il trionfo alla Berlinale 2012, e a proposito del loro distributore italiano ‘doc’ ha raccontato divertito Paolo Taviani che “La vespa che si vede all’inizio, come logo della distribuzione Sacher Film, ci ricorda quella con la quale Nanni Moretti veniva a trovarci chiedendoci, insistentemente, di poter fare l’aiuto regista per Padre e padrone. Ma noi siamo già in due come registi, così gli abbiamo proposto un piccolo ruolo nel film; quello del professore di latino. È stato il battesimo di Nanni nel cinema adulto e di questo ne siamo orgogliosi, oltre al fatto che fra di noi è rimasto un rapporto di amicizia e stima.”. Nell’albo d’oro della Berlinale i fratelli Taviani fanno ora compagnia agli altri Orsi d’Oro vinti dall’Italia nel corso degli anni, ovvero: Michelangelo Antonioni nel 1961 con La notte, Gian Maria Polidoro nel 1963 con Il Diavolo, Vittorio De Sica nel 1971 con Il giardino dei Finzi Contini, Pier Paolo Pasolini nel 1972 con I racconti di Canterbury e il già citato Ferreri nel 1991 con La casa del sorriso. Nel 1986 lo aveva sfiorato lo stesso Nanni Moretti con La messa è finita, aggiudicandosi l’Orso d’Argento.

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A Simple Life (Tao Jie) di Ann Hui dall’8 marzo nei migliori cinema

TUTTI I PREMI DI A SIMPLE LIFE Coppa Volpi - 68. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia a Deanie Ip; Premio “Pari Opportunità”, istituito lo scorso anno dal Dipartimento per le Pari Opportunità e assegnato da una giuria di personalità del mondo dello spettacolo e della cultura a A Simple Life “per la capacità di rappresentare il diritto che uomini e donne, anziani e giovani, hanno di determinare se stessi al di la di ogni differenza”; Premio SIGNIS, assegnato da esponenti dei Festival cinematografici ed eventi TV internazionali perché ritenuto film tra i più “significativi in concorso per sensibilità umana e spirituale”; Premio P. Nazareno Taddei, per la capacità di “esprimere autentici valori umani con il miglior linguaggio cinematografico”; Premio La Navicella – Venezia Cinema, riconoscimento che porta la firma della Rivista del Cinematografo, in passato assegnato a maestri del cinema come De Oliveira, Malle, Angelopoulos, Yimou, Frears, Amelio, Ferrara, Kechiche, Bigelow e quest’anno tributato ad Ann Hui per lo sguardo “partecipe sui lati meno piacevoli della vecchiaia e capace di mettere in evidenza l’umanità e la solidarietà che gli ospiti della casa di riposo sanno dimostrare”; Premio Gianni Astrei Pro Life, promosso dal Movimento per la Vita e dal Fiuggi Family Festival.

Thomas Bertacche

Abbiamo visto A Simple Life lo scorso luglio a Hong Kong su un piccolo schermo televisivo, in un montaggio provvisorio, in bianco e nero e senza musiche. Inizialmente il film non doveva andare a Venezia, l'uscita in sala in Cina era prevista per marzo, e la produzione pensava che la miglior soluzione sarebbe stata presentarlo al festival di Berlino, in febbraio. Ma Marco Muller se ne innamorò talmente tanto che convinse i produttori e la regista a fare i salti mortali per finire la postproduzione in tempo per la Biennale. Alla prima proiezione pubblica al Lido abbiamo sentito la sala commuoversi e partecipare, in un rigoroso silenzio intervallato solo da quei meravigliosi rumori collettivi nei momenti di gioia o di commozione, quei rumori che ti raccontano l'empatia tra un'opera e il pubblico. La proiezione si è conclusa con un applauso genuino, non c'erano attori e registi in sala. Noi abbiamo provato un'emozione intensa, la più forte da quando abbiamo cominciato l'avventura distributiva. Abbiamo sentito la sala commuoversi con noi, e abbiamo capito che quello che avevamo intuito nella copiaccia lavoro vista a Hong Kong, risaltava in maniera meravigliosa nella copia definitiva.

C'è una continuità tra Departures e A Simple Life, passando attraverso Poetry: la capacità di raccontare la forza dell'amore di fronte alle difficoltà della vita, la bellezza degli affetti, il valore di ogni singolo momento. La capacità, soprattutto orientale, di raccontare la semplicità della vita. Il film alla 68ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha conquistato la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile consegnata all’attrice protagonista Deanie Ip e dall’8 marzo, giornata internazionale della donna, sarà nei cinema italiani. La data d’esordio non è un caso visto il magnifico personaggio femminile raccontato dalla sensibilità di una regista donna. Ann Hui sa infatti misurare poesia e sobrietà, toccando nel profondo senza mai cadere nel patetico o nel cliché. Accompagna la stupenda Deanie Ip il divo cinese Andy Lau, nel ruolo del produttore Roger Lee, protagonista di una storia realmente accaduta. Quella tra il giovane produttore cinematografico interpretato appunto da Lau e la domestica di famiglia che ha il volto struggente della Ip. Ann Hui, figura chiave della New Wave Hongkonghese, già Orso d’Argento a Berlino con Summer Snow, è anche la prima regista donna che ottiene l’Oscar Asiatico (Premio alla Carriera che le verrà consegnato durante una serata di Gala agli Asian Film Awards proprio nel marzo 2012 a Hong Kong).

Il Far East Film Festival di Udine le ha dedicato nel 2009 un focus che si è concentrato sulle opere realizzate dalla regista per la televisione negli anni ’70 con una pubblicazione bilingue curata da Tim Youngs e intitolata Hong Kong Stories: The TV Works Of Ann Hui.

Tucker Film

Raccontare la forza dell’amore

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20 / 28 aprile 2012 - Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” & Visionario

Sabrina Baracetti

Cinema asiatico

Far East Film Festival 14 Hong Kong, Cina, Giappone, Corea del Sud, Thailandia, Malesia, Indonesia, Filippine, Singapore, Taiwan: sono gli estremi della mappa cinematografica che il Far East Film Festival 14 regalerà al pubblico che dal 20 al 28 aprile si raccoglierà tra il Cinema Visionario e la platea di 1.200 posti del Teatro Nuovo Giovanni da Udine. In 9 intensi giorni di cinema popolare asiatico, somministrato a suon di anteprime, eventi speciali, retrospettive, incontri con registi, attori e produttori - con novità e rumours tutti da scoprire sulla nostra pagina Facebook ufficiale, udineFAREASTFILMfestival, e sul sito www.fareastfilm.com - Udine cambierà veste e rinnoverà la sua silhouette. Emozione, energia, coinvolgimento saranno le parole d'ordine della quattordicesima edizione di quello che critica e pubblico riconoscono come un appuntamento imprescindibile per conoscere l'Oriente contemporaneo e la sua cultura. Una full immersion che sarà sottolineata, anche quest'anno, dal Cosplay Contest, sfilata di costumi, abiti e trucchi ispirati al mondo dei manga, degli anime, del fumetto, del cinema, dei telefilm, della musica, dei videogiochi di provenienza panasiatica (domenica 22 aprile nel centro città, http://cosplay.fareastfilm.com/. Nella foto, uno scatto dal Contest 2011). Stringendo l'obiettivo sul cinema, possiamo annunciare che saranno molti i nomi e i titoli da tenere a mente e preziosissimi gli inediti, veri e propri capolavori sommersi che chiedono d'essere riscoperti sul grande schermo del Far East Film Festival. Tra questi 10 titoli riuniti nella retrospettiva The Darkest Decade: Korean Filmmakers in the 1970s firmata da Darcy Paquet, uno squarcio nella storia cinematografica della Corea del Sud degli anni Settanta. Un periodo segnato da repressione e censura feroci, dove arresti e deportazioni a carico dei registi erano all'ordine del giorno e dove hanno visto la nascita film memorabili della storia nazionale. La storia della loro resistenza e della loro lotta promette d'essere uno momenti più salienti della kermesse. Ma Far East Film Festival non è solo vetrina cinematografica. Da quest'anno (un 2012 inaugurato sotto l'egida del segno del Dragone, mai così forte, passionale, determinato), il Festival si trasforma in qualcosa di più. Sì, perché ha deciso di puntare lo sguardo più lontano, oltre il grande schermo e di includere nel suo orizzonte tutto ciò che ruota attorno alla pellicola. Il Far East Film Festival 14 punta così i suoi riflettori sulla produzione, la TV e la distribuzione dando vita a quella che amiamo definire la Far East Film Dimension. La produzione sarà rappresentata dalla quarta sessione del workshop Ties That Bind (in programma dal 22 al 26 aprile e dall'8 all'11 ottobre a Busan, in Corea del Sud) dove 5 produttori orientali incontreranno 5 produttori europei per avviare nuove coproduzioni; la TV dal ciclo Missione Estremo Oriente di Rai4 dove, grazie alla collaborazione con Carlo Freccero, hanno trovato spazio i migliori action presentati al Festival; infine, l'impegno nella distribuzione, fiore all'occhiello della Far East Film Dimension, si concretizza da una parte in una collana Home Video dal nome Far East Film (nata dalla collaborazione tra la friulana Tucker Film e la Cecchi Gori Home Video in uscita fino al 18 aprile con un set di titoli imperdibili in cerca di una “seconda vita” dopo il passaggio nei Festival) dall'altra nella distribuzione in sala targata Tucker Film di A Simple Life. Opera diretta dalla regista Ann Hui (prima donna ad aver ricevuto un Oscar agli Asian Film Awards e madrina assoluta della New Wave di Hong Kong) che ha esaltato la critica a Venezia 68., A Simple Life è valsa alla sua protagonista, Deanie Ip, la Coppa Volpi per la Migliore interpretazione femminile e alla regista il Premio Pari Opportunità. Storia dell'amore filiale tra la domestica Tao e il suo giovane padroncino Roger (Andy Lau), di un legame capace di superare le barriere sociali, la differenza generazionale e la malattia, A Simple Life arriverà nelle sale per colpire il cuore del pubblico italiano l'8 marzo, nella giornata in cui si celebra la donna. E alla sua dignità.

Info: www.fareastfilm.com e www.tuckerfilm.com.

P.S. - Il Far East Film 14 ha bisogno di voi. Cerchiamo volontari che collaborino all'organizzazione del Festival, occupandosi di promozione, logistica e tanto altro ancora.

Inviate subito la vostra candidatura a volontari.feff@cecudine.org.

In cambio offriremo un badge per seguire le proiezioni gratuitamente e un attestato di partecipazione.

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DEDICA 2012 - WOLE SOYINKA DEDICA 2012 si terrà a Pordenone dal 10 al 24 marzo e vedrà protagonista uno dei grandi intellettuali del nostro tempo: il nigeriano Wole Soyinka, primo Nobel africano per la letteratura, universalmente noto anche per il suo impegno civile. Nel segno di una formula che lo ha reso unico e inimitabile nel panorama nazionale, il festival DEDICA raccoglierà le suggestioni di un autore che è esempio straordinario di talento letterario e coraggio civile, di orgoglio per le proprie radici e amore per la libertà e che tuttora è in prima linea nella lotta contro il fanatismo e i fondamentalismi. Al solito, il programma sarà ricco di conversazioni, mostre, spettacoli, conferenze, musica: un intreccio di diversi linguaggi, espressioni artistiche e personalità portatrici di vocazioni e discipline differenti. Cornice degli eventi in calendario saranno il Teatro Verdi, il Convento di San Francesco, il Municipio, PArCO - Spazi espositivi di via Bertossi, la Biblioteca civica.

Info: www.dedicafestival.it

“P.O.E. POETRY OF EERIE” (POESIA DEL LUGUBRE) Pordenone, Cinemazero - giovedì 29 marzo, 20.45. Ingresso libero

Qualche mese fa durante un festival all'interno di un gruppo di registi Indipendenti è nata giocosamente una singolare “sfida”: progettare, realizzare e consegnare in 2 mesi, un film a episodi autoprodotto, impiegando non più di 3 giorni ciascuno per le riprese, reinterpretando le novelle di E. A. POE. Unico requisito richiesto: spirito di gruppo e libertà! A quella scommessa hanno risposto 15 registi, tra questi anche il pordenonese Matteo Corazza che sarà presente alla proiezione. Info: www.facebook.com/pages/POE-Poetry-Of-Eerie/

100 ANNI FA…LA MUSICA E LA CITTA’

Pordenone, ridotto del Teatro Verdi, martedì 20 e 27 marzo 2012

Prosegue il ciclo di incontri “100 ANNI FA… I Martedì di FriulAdria” che la banca organizza fino a fine marzo al Ridotto del Teatro Verdi di Pordenone. L’iniziativa è stata ideata a margine della mostra 100 anni FA…1911. Le arti in Friuli e Veneto in corso di svolgimento a Palazzo Cossetti, sede della Direzione Generale, fino al 2 aprile 2012 (visite guidate per gruppi e percorsi didattici gratuiti per le scuole su prenotazione). L’appuntamento Promenade 1911, con il duo pianistico Elisabetta Bocchese/Pierpaolo Maurizzi (martedì 20 marzo alle ore 21) ha come grande protagonista la musica nella sua relazione con le altre arti, così come aveva fatto in questi anni il grande organizzatore dei Ballets russes Sergej Diaghilev. Data 1911 la prima di Pétruchka a Parigi, con le musiche di Stravinskij, coreografie di Fokine, scene e costumi di Alexandre Benois e il celebre ballerino Nijinski nel ruolo di Pétruchka. Fu sempre lui l'interprete di Prélude à l'après-midi d'un faune sulle musiche di Debussy con le scene e costumi di Léon Bakst. Conclude l’ideale percorso sulla danza il celebre Ma mère l’oye di Ravel che con le sue piccole cinque fiabe ci riconduce al magico mondo della favola di Pétruchka. Nell’ultimo incontro Pordenone ieri/oggi/domani, che si terrà martedì 27 marzo alle ore 18, tre scrittori pordenonesi con un reading si interrogano in modo divertito sulla Città in cui vivono, fra un passato di tradizioni, nostalgie e luoghi, un presente inquieto di crisi, e un futuro quanto mai incerto. L’arma della scrittura e dell’ironia libera la Città dai cliché e la rende più viva e vera. Protagonisti della serata saranno Roberto Cescon, Alberto Garlini e Simone Marcuzzi. Info: www.friuladria.it

COMMERCIO EQUO : CHE COS’È?

Incontri di approfondimento del commercio equo e solidale

Negli ultimi anni è cresciuta sempre più l’attenzione dei consumatori verso l’aspetto etico dell’acquisto: prodotti biologici, a chilometro zero, oggetti di riciclo e produzioni a basso impatto ambientale. Anche il commercio equo e solidale è elencato come buona prassi, ma resta sconosciuto il suo significato più vero, in cosa consiste. “Si fa del bene” si dice, eppure non si tratta nemmeno di semplice beneficenza. Il commercio equo è una partnership economica basata sul dialogo, la trasparenza e il rispetto, che mira ad una maggiore equità tra Nord e Sud del mondo attraverso il commercio internazionale. Un progetto ben più complesso e ambizioso, che nel corso del tempo ha compreso la concretezza di quello che inizialmente pareva un ideale, si è trasformato tenendo fede ai propri principi etici. Gli incontri di marzo sono fissati per venerdì 2 marzo (“La storia dell’Altrametà”) e venerdì 30 marzo (“Certificazioni: destreggiarsi tra sigle per fidarsi”). Info: L’Altrametà, tel. 0434 26797

Domani accadrà ovvero se non si va non si vede

Pordenone, dal 10 al 24 marzo 2012

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Un film di Paolo Taviani, Vittorio Taviani. Docu-fiction, Italia, 2012, - dur 76

MERITATO ORSO D’ORO ALLA 62MA BERLINALE 2012

CESARE DEVE MORIRE DI PAOLO E VITTORIO TAVIANI

i film del mese

Era dal 1991 che un regista italiano non si vedeva assegnare l'Orso d'Oro al Festival di Berlino. Allora si trattava di un grande vecchio come Marco Ferreri con La casa del sorriso. In questa edizione di 21 anni dopo a salire i gradini del palco del Palast della Berlinale sono ancora due grandi vecchi del nostro cinema: Paolo e Vittorio Taviani. Nel teatro all'interno del carcere romano di Rebibbia si conclude la rappresentazione del “Giulio Cesare” di Shakespeare. I detenuti/attori fanno rientro nelle loro celle. Sei mesi prima: il direttore del carcere espone il progetto teatrale dell'anno ai detenuti che intendono partecipare. Seguono i provini nel corso dei quali si chiede ad ogni aspirante attore di declinare le proprie generalità con due modalità emotive diverse. Completata la selezione si procede con l'assegnazione dei ruoli chiedendo ad ognuno di imparare la parte nel proprio dialetto di origine. Progressivamente il “Giulio Cesare” shakesperiano prende corpo.

I fratelli Taviani erano certamente consapevoli delle numerose testimonianze, in gran parte documentaristiche, che anche in Italia hanno mostrato a chi non ha mai messo piede in un carcere come il teatro rappresenti un strumento principe per il percorso di reinserimento del detenuto. Quando poi si pensa a una fusione di fiction e documentario la mente va al piuttosto recente e sicuramente riuscito film di Davide Ferrario Tutta colpa di Giuda. I Taviani scelgono la strada del work in progress utilizzando coraggiosamente l'ormai antinaturalistico (e televisivamente poco gradito) bianco e nero.

L'originalità della loro ricerca sta nella cifra quasi pirandelliana con la quale cercano la verità nella finzione. Questi uomini che mettono la loro faccia e anche la loro fedina penale (sovrascritta sullo schermo) in pubblico si ritrovano, inizialmente in modo inconsapevole, a cercare e infine a trovare se stessi nelle parole del bardo divenute loro più vicine grazie all'uso dell'espressione dialettale. Frasi scritte centinaia di anni fa incidono sul presente nel modo che Jan Kott attribuiva loro nel saggio del 1964 dal titolo “Shakespeare nostro contemporaneo”. Ogni detenuto ‘sente' e dice le battute come se sgorgassero dal suo intimo così che (ad esempio) Giovanni Arcuri è se stesso e Cesare al contempo e la presenza del regista Cavalli e dell'ex detenuto e ora attore Striano nel ruolo di Bruto non stonano nel contesto. Ciò che purtroppo diventa dissonante (anche se non inficia alle radici il valore dell'operazione) è la pretesa di far ‘dire di sé' ai detenuti. Nei momenti in cui dovrebbero uscire dalla parte per rientrare in se stessi si avverte che è proprio allora che stanno recitando un copione che parla delle loro tensioni o delle loro attese. La ricerca della verità nella finzione si trasforma in finzione che pretende di palesare delle verità. Non era necessario. Shakespeare aveva già splendidamente ottenuto il risultato. (mymovies.it) Un film di Ann Hui. Con Andy Lau, Deanie Ip, Wang Fuli, Qin Hailu, Paul Chiang. Titolo originale Táo Jie. Durata 117 min. Hong Kong 2011.

COPPA VOLPI ALLA MOSTRA DI VENEZIA, IL NUOVO FILM TUCKER

A SIMPLE LIFE DI ANN HUI

Tra l'anziana amah (domestica) Ah Tao e il suo padrone, l'attore cinematografico Roger, si instaura un rapporto che assomiglia a quello tra una madre e il proprio figlio, destinato a intensificarsi durante la degenza in ospedale di Ah Tao. Una lunga carriera come quella di Ann Hui, dedita sin dagli inizi alla denuncia di storture della società e alla raffigurazione di spaccati di quotidianità raramente visti su grande schermo, non poteva che trovare coronamento in un film come A Simple Life, che già nel titolo pare assurgere a summa della poetica della regista. La storia di Ah Tao è quella esemplare della vita di una persona semplice, una donna costretta dagli eventi a trascorrere sin dall'infanzia una vita al servizio degli altri, ma che a questa condizione ha saputo infondere dignità e passione; una donna, a prescindere dallo status, speciale e unica, proprio come il fiocco di neve del vetusto stereotipo. Riecheggia qualcosa di Ozu nella dinamica servofamiglia, ma la cifra stilistica è inconfondibilmente quella di Ann Hui, che accarezza con la macchina da presa i corpi dei suoi personaggi, ma soprattutto le espressioni, anche le meno percettibili, carpendo sguardi e ammiccamenti furtivi tra due personaggi che spesso non necessitano di parole

per comunicare il reciproco affetto. Quello che arriva al pubblico in una sorta di empatia che supera lo schermo e cresce man mano che Roger e Ah Tao capiscono di rappresentare la famiglia nella sua totalità l'uno per l'altro. Proprio quell'Andy Lau che la Hui lanciò nel lontano 1982 di Boat People torna, ormai superstar, nei panni del protagonista di A Simple Life, privandosi di ogni glamour e dimostrando per la prima volta di accettare la sua mezza età e l'inesorabile verdetto del tempo che passa. A fianco di Lau, diversi i cameo di celebrità del cinema di Hong Kong, tra cui un sorprendente Tsui Hark, che – con Andy Lau e Sammo Hung – riforma, in una breve parentesi di cinema nel cinema, la trimurti a cui dobbiamo Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma. Una lezione di compostezza e raffinata gestione dei sentimenti da un'instancabile osservatrice della vita umana. (mymovies.it) Un film di Marco Tullio Giordana. Con Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Laura Chiatti, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni. Italia 2012.

Un film di Luc Besson. Con Michelle Yeoh, David Thewlis, William Hope, Martin John King, Susan Wooldridge. Durata 145 min.

- Francia, Gran Bretagna 2011.

LA RECENTE STORIA D’ITALIA RIVISITATA DA UN REGISTA DI RAZZA

ROMANZO DI UNA STRAGE DI MARCO TULLIO GIORDANA

Dopo 12 settimane di lavorazione sono terminate il 3 agosto le riprese del film di Marco Tullio Giordana Romanzo di una strage.

L’ultima scena girata è stata quella in cui il giudice Giancarlo Stiz (l’attore Diego Ribon) rinvia a giudizio per la strage di Piazza Fontana i neofascisti Franco Freda (Giorgio Marchesi) e Giovanni Ventura (Denis Fasolo) e trasferisce di conseguenza gli atti dal tribunale di Treviso a quello di Milano. Dopo 5 processi, fughe all’estero e successivi rientri, Freda e Ventura sono stati assolti per insufficienza di prove. Nel 2005 la Suprema Corte di Cassazione assolvendo Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi, nel frattempo incriminati – ha tuttavia riconosciuto Freda e Ventura colpevoli di strage ma non più giudicabili. Il film di Marco Tullio Giordana, prodotto da Riccardo Tozzi per Cattleya e RaiCinema, è stato scritto dal regista insieme a Sandro Petraglia e Stefano Rulli, coi quali aveva già collaborato per Pasolini, un delitto italiano e La meglio gioventù.

Il film, basato su una minuziosa ricostruzione dei fatti - anche alla luce di più recenti indagini - narra il contesto e le conseguenze della bomba esplosa alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969, che causò 17 vittime (alle quali il film è dedicato) e un’ottantina di feriti, inaugurando la cosiddetta “strategia delle tensione”. La bomba, considerata inizialmente di matrice anarchica, fini invece per rivelarsi, tra mille ostacoli e depistaggi, di matrice neofascista. Figure centrali del racconto sono quelle dell’anarchico Giuseppe Pinelli (interpretato da Pierfrancesco Favino) che precipitò dal quarto piano della questura di Milano in circostanze mai veramente chiarite, e del commissario della Squadra politica Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea) al quale fu addebitata la responsabilità morale del terribile episodio. Luigi Calabresi proseguì per proprio conto le indagini sulla bomba di piazza Fontana finché non venne assassinato nel 1972. (primissima.it)

IL DRAMMA UMANO DELLA CORAGGIOSA “ORCHIDEA D’ACCIAIO”

THE LADY DI LUC BESSON

La storia vera di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991 e 'orchidea d'acciaio' del movimento per la democrazia in Myanmar. Dopo l'assassinio del padre, il generale Aung San, leader della lotta indipendentista birmana, Suu cresce in Inghilterra e sposa il professore universitario Michael Aris. Quando nel 1988 il suo popolo insorge contro la giunta militare, Suu torna nel paese natale e inizia il suo lungo scontro diretto contro il potere assoluto dei generali. La figura di Aung San Suu Kyi, paladina dei diritti democratici che per la libertà del suo paese e del suo popolo ha per oltre vent'anni sacrificato la propria libertà personale e gli affetti familiari è di certo una delle più toccanti e ammirevoli fonti d'ispirazione politica e umana degli ultimi decenni. È comprensibile quindi che The Lady fosse tanto per la scrittrice Rebecca Frayn che per il regista Luc Besson e, soprattutto, per la sua interprete Michelle Yeoh un vero e proprio progetto del cuore. Onde rendere più vicina allo spettatore una figura complessa che ha attraversato fasi tumultuose della Storia di un paese di cui i più davvero poco sanno, Frayn

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i film del mese

e Besson hanno scelto la via della divulgazione, presentando il contesto storico e politico in maniera essenziale (la principale riflessione sulla Storia del Myanmar è racchiusa nel racconto di sapore quasi favolistico che Aung San fa alla figlia, e che funge da prologo del film), e di far leva sul dramma umano della protagonista. Dopo il ritorno a Yangon nel 1988, Aung San Suu Kyi ha difatti potuto rivedere il marito solo cinque volte, a causa di visti negati al consorte e della sua impossibilità di tornare in Gran Bretagna (una volta lasciato il suolo birmano non le sarebbe più permesso il ritorno), cosa che le ha impedito di vedere i figli crescere e di assistere Aris durante la malattia che l'ha condotto alla morte nel 1999.

Un'impostazione che inscrive la drammaturgia di The Lady nelle convenzioni del melodramma e che, a conti fatti, rischia di sminuire l'aspetto politico della battaglia di Aung San Suu Kyi. Sul fronte della resa formale, Besson rischia poco ed emoziona solo a sprazzi – ossia quando le situazioni tendono all'action (l'assassinio di Aung San, il primo blocco di Suu agli arresti domiciliari dopo la vittoria alle elezioni). Michelle Yeoh, dal canto suo, si spende nella sua migliore interpretazione (assai riuscita nella mimesi del contegno e della postura di Aung San Suu Kyi), anche se si ha l'impressione che il gigione David Thewlis (nel ruolo di Aris) sovente le rubi la scena.

Un film di Jonathan Levine.

Con Joseph Gordon-Levitt, Seth Rogen, Anna Kendrick, Bryce Dallas Howard, Anjelica Huston.

Titolo originale 50/50. Durata 100 min. - USA 2011.

LA MALATTIA AFFRONTATA CON IRONIA E LEGGEREZZA

50 E 50 DI JONATHAN LEVINE

La vita del ventisettenne Adam scorre tranquilla, forse fin troppo. A complicare le cose arriva la peggiore delle notizie: è malato di cancro. Da quel momento il ragazzo entra in uno stato di passiva accettazione della malattia da cui nessuno sembra scuoterlo: non la sua ragazza che lo tradisce, non il suo migliore amico mattacchione, non la sua inesperta e volenterosa terapista, che tenta con lui un approccio umano.

Adam continua a nascondere prima di tutto a se stesso paura, rabbia, frustrazione e tutti i sentimenti che la malattia porta con sé.

Passando attraverso la chemioterapia e tutte le altre fasi della cura il ragazzo comprenderà alla fine ciò che vuole più di tutto e quali sono le persone che davvero tengono a lui. È sempre una cosa molto difficile tiare fuori una buona commedia da un soggetto drammatico come la malattia, quindi già per il tentativo 50/50 di Jonathan Levine andrebbe applaudito. Il merito principale della sceneggiatura è quello di partire a razzo, di costruire situazioni comuni e insieme molto divertenti riguardo la scoperta del male, l’accettazione dello stato, il tentativo di non farsi abbattere in particolar modo dall’incertezza. Sotto questo punto di vista la prima parte del film è monopolizzata dalla comicità fresca e diretta di Seth Rogen, vero e proprio funambolo capace quasi da solo di alleggerire scene e situazioni dolorose. Joseph Gordon-Levitt, Anna Kendrick, Bryce Dallas Howard e tutti gli altri attori sono in parte e assolutamente convincenti, ma è senza dubbio Rogen la marcia in più di 50/50.

Dopo la prima metà in cui il film esplora con allegria e vivacità la condizione e la storia del protagonista, Jonathan Levine non riesce a nascondere però un evidente problema contenuto nella sceneggiatura stessa: la storia si ferma su una serie di scene magari anche divertenti ma che non fanno evolvere la trama vera e propria né l’arco narrativo di Adam. 50/50 però si riprende come era prevedibile nella parte finale, quando si arriva per forza di cose al confronto decisivo con la malattia. L’ultimo quarto d’ora del film è seriamente emozionante, colpisce al cuore in maniera forse anche prevedibile ma non per questo meno sincera. Alla fine quindi, seppur a tratti molto divertente, 50/50 non è un film leggero o superficiale: grazie a un lucidità di fondo su cosa si vuole raccontare e come si intende farlo, il lungometraggio pone allo spettatore una serie di interrogativi e questioni che solitamente il semplice cinema d’evasione non presenta: quando ci troviamo di fronte a un bivio, cosa conta realmente? Come dobbiamo cercare di vivere una vita che non è eterna né tanto meno garantita? Di fronte a tali quesiti Jonathan Levine e tutti coloro che hanno partecipato al progetto provano a dare risposte non preconfezionate, al contrario personali e sentite.

Se anche non del tutto compiuto, oltre che per il tentativo 50/50 è un film che merita di essere apprezzato anche per questo.

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LA SCUOLA AL CINEMA

prenotazione obbligatoria allo 0434.520945 (Mediateca) LE PROIEZIONI VERRANNO INTRODOTTE DA UN FORMATORE DI CINEMAZERO; AD OGNI DOCENTE VERRÀ L’INGRESSO PER GLI STUDENTI È DI 4,00 EURO.

FORNITO MATERIALE DIDATTICO DI APPROFONDIMENTO.

Mercoledì 28 marzo 2012 ore 9.00 Cinemazero, Pordenone

HUGO CABRET di Martin Scorsese, USA 2011, dur. 125’ Tratto da un romanzo per ragazzi che sembrerebbe di Roald Dahl e ambientato nella stazione di Montparnasse durante gli anni Venti, racconta l' incontro tra un ragazzino e il personaggio storico di Georges Méliès, ormai in ritiro e persuaso che i suoi mitici film siano andati distrutti.

EVENTO SPECIALE “SCRIVERE DI CINEMA”: MATINÉE QUESTION&ANSWEAR Lunedì 19 marzo 2012 ore 10.50 Cinemazero, Pordenone

THE IRON LADY di Phyllida Lloyd, GB 2011, dur 105’ finita la proiezione incontro con il critico MAURO GERVASINI

L’irresistibile ascesa di Margaret Thatcher, figlia di un droghiere di provincia, che salì tutti i gradini della vita pubblica superando il sessismo, lo snobismo, il disprezzo di rivali e compagni di partito, come metafora delle fatiche affrontate da ogni donna che abbia osato conquistare posti cui non era destinata per nascita.

Sarà l’intera classe a partecipare a questa sezione speciale del concorso sfidando con domande a bruciapelo il critico e il regista presenti, e a concorrere così al premio in palio, oltre che ad aggiudicarsi ingressi gratuiti al cinema per studenti e insegnanti. L’ingresso per gli studenti è di 3,00 euro.

LA LEGGE DELL’ ODIO

Incontro con ALBERTO GARLINI Conversazione con ANTONELLA SILVESTRINI In occasione della presentazione del libro LA LEGGE DELL’ ODIO (Einaudi, 2011)

MERCOLEDì 28 MARzO 2012, ORE 20,45

Chiostro di San Francesco, Piazza della Motta Pordenone INGRESSO LIBERO Dolente, osceno, irrimediabile.

Il romanzo che per la prima volta svela il fascino e l'orrore della violenza nera.

Per il ventenne Stefano Guerra la violenza è bellezza e l'odio una legge nuovissima e antica.

C'erano anche lui e i suoi camerati a combattere contro la polizia in un lontano giorno del 1968, in Italia, a Roma, a Valle Giulia. Da quel giorno la vita del giovanissimo neofascista coincide con l'illusione della rivoluzione e l'asservimento reale a ogni potere, fino alla strage. E mentre prosegue il suo percorso di carnefice, sempre piú disilluso, intorno a lui si snoda una storia che non avevamo mai letto. La storia segreta delle trame nere in Italia negli anni dal 1969 al 1972.

Una storia che si apre oggi a prospettive sconfinate e inquietanti. Perché mai un romanzo aveva saputo ritrarre con tanta forza il fiume selvaggio che scorre sotto la storia, le credenze, la politica.

Ed è sempre sul punto di tornare, sotto i nomi piú nuovi. E il suo cuore è sempre quello, batte anche in ciascuno di noi.

Alberto Garlini ne circoscrive, con precisione chirurgica, la sfuggente forma, raccontando il destino di personaggi umanissimi e veri, travolti come pagliuzze nella corrente, dall'Italia al Sudamerica e al mondo.

Un'iniziativa di LA CIFRA – associazione cifrematica di Pordenone con Banca Popolare Friuladria – Crédit Agricole e Cinemazero