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Ritorna in Italia la “Strega di Roma” dal fascino irresistibile
Il mercante di Venezia e il genio di Welles Cinemazero apre la 72 Mostra del Cinema di Venezia
Le Giornate del Cinema Muto 2015
Dal 3 all’11 ottobre al Teatro Verdi la 34 edizione del festival
Una questione di Scala
Film che non vorresti vedere in nessun altro luogo se non al cinema
«Il festival non avrà luogo»
Fantasie e incubi del veterano dei festival di Cannes
Cinema e letteratura a Pordenonelegge
Un ricco programma di incontri tra parole ed immagini
Domani accadrà
Ovvero se non si va non si vede
15
Settembre
Quattro chiacchere con Barbara Steele
2015 numero 8 anno XXXV
Venezia chiama, il Canada risponde
Come cambiano le nuove geografie festivaliere nel mondo
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Come cambiano le nuove geografie festivaliere del mondo
AndreaCrozzoli Crozzoli Andrea
Editoriale
Venezia chiama, il Canada risponde È un momento difficile per l’Europa. Anche il cinema è chiaramente coinvolto in queste difficoltà e con esso i Festival, che devono subire una «fortissima concorrenza internazionale» come ha detto Paolo Baratta, presidente della Biennale, alla conferenza stampa della 72ma Mostra del Cinema di Venezia che si svolgerà al Lido dal 2 al 12 settembre, in «un momento dove parecchi Festival nuovi si stanno affacciando al mondo e dove mantenere in Italia un Festival così importante come Venezia presenta molte più difficoltà rispetto al passato». Il cinema, nella sua accezione più ampia, è in continua mutazione. Cannes, già agli inizi degli Anni Ottanta ha costruito il nuovo palazzo del cinema (ora siamo già ai primi riammodernamenti) mentre Berlino dovette aspettare la caduta del muro nel 1989 e la riunificazione della Germania, ma nel 2000 anche i tedeschi hanno dato nella Potsdamer Platz una solida struttura al festival, mentre a Venezia si sono solo susseguiti, per decenni, progetti di ogni sfumatura politica. Ora le nuove geografie festivaliere, aiutate anche dal digitale, hanno cambiato radicalmente il modo sia di concepire la visione che la fruizione dei film. È oltreoceano il 40mo Toronto International Film Festival, ma da alcuni anni fa sentire sentire il “fiato sul collo” alla Mostra del Cinema di Venezia. Per essere precisi dal 2010 quando ha inaugurato il Bell Lightbox, un complesso mozzafiato di cinque piani situato nel centro città. Una sede permanente per gli appassionati di cinema di tutto il mondo con 5 sale di proiezione, 2 ristoranti, varie aule per incontri e convegni. Per la 40° edizione dal 10 al 20 settembre (si sovrappone agli ultimi giorni di Venezia) a Toronto saranno oltre 400 i titoli proposti e si daranno appuntamento molte delle grandi anteprime dell’imminente stagione autunnale, alcune delle quali soffiate proprio al Lido. Il 20 settembre Toronto chiuderà con La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, in 70mm, e la colonna sonora eseguita dal vivo dalla Toronto Symphony Orchestra. Ma il “fiato sul collo” canadese non si ferma qui, dal 27 agosto al 7 settembre, Montreal proporrà il 38mo World Film Festival, ricco di un cartellone composto di ben 350 film e 160 cortometraggi, di cui 100 anteprime mondiali, oltre a 32 anteprime americane e 51 opere prime. E mentre il mondo cambia, il Lido richiude dopo sei anni la scandalosa voragine a cielo aperto, colma di amianto, rifacendo il prato alberato. Un buco costato in questo anni alla collettività 40 milioni di euro. In questa landa sperduta e deserta il nostro Alberto Barbera ha messo in piedi una selezione che ha definito lui stesso «inattesa e un po’ spiazzante», figlia di una strategia colma di difficoltà con ben 16 cineasti su 21 che partecipano al concorso per la prima volta. Forse per dare alla Mostra di Venezia l’allure di luogo di ricerca e di scandaglio di nuovi orizzonti, che guardino alla «persistenza nel nuovo millennio» del cinema. Persistenza che Cinemazero persegue caparbiamente e il 1° settembre sarà al Lido per la serata-omaggio di preapertura della 72ma Mostra con la proiezione, in prima mondiale, della copia restaurata di Il mercante di Venezia di Orson Welles, film considerato perduto e ricostruito grazie proprio al ritrovamento di nuovi materiali da parte di Cinemazero (usciti sempre dalla famosa cassa, fatta donare da Mario Catto all’Associazione, dalla quale, lo scorso anno, è apparso anche Too Much Johnson). Il “classico” shakespeariano avrà, nel solco della tradizione delle Giornate del Cinema Muto, l’esecuzione dal vivo della partitura di Lavagnino (1909-1987), grande compositore di colonne sonore.
In copertina Orson Welles ne Il Mercante di Venezia, Trogir (HR) © Oja Kodar Cinemazero Filmmuseum München.
cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Settembre 2015, n. 8 anno XXXV Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Manuela Morana Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Marianita Santarossa Direzione, redazione, amministrazione Via Mazzini, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 Cassa: 0434-520527 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Sincromia Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica
Ritorna in Italia la “Strega di Roma” dallo sguardo magnetico ed il fascino irresistibile
Silvia Moras
Bastò il personaggio di Asa, la strega che risorge dai secoli nella steppa russa, protagonista di La maschera del demonio di Mario Bava per farle conquistare il titolo di regina dell'horror, la più bella star del cinema del terrore, l'icona per eccellenza del gotico italiano. Seguiranno ben 10 film di genere, realizzati con i maggiori esponenti italiani, da Riccardo Freda ad Antonio Margheriti, a Massimo Pupillo, Mario Caiano, Camillo Mastrocinque, Sergio Corbucci. Ma la sua carriera di Scream Queen non si limita all’Italia: fondamentale è la sua interpretazione nelle trasposizioni di Poe di Roger Corman, in Piraha di Joe Dante, nel Demone sotto la Pelle di David Cronemberg, per non parlare della serie televisiva Dark Shadows o il più recente Barbara Steele in Black Sunday Butterfly Room di Jonathan Zarantonello. L'opportunità per incontrarla è stata la sua presenza a Roma come madrina della XXXV edizione del Fantafestival che le ha conferito il premio alla carriera. Per l'attrice l'occasione per ritornare a Roma, la città dove tutto è cominciato, la città di cui ancor oggi è follemente innamorata. Il suo nome è legato all'horror ma i suoi occhi si illuminano nominando Federico Fellini, subito le balza alla mente la sua esperienza in 8 ½. Racconta ''Tutti amavano Fellini, e volevano lavorare con lui, era un uomo emotivo, sempre molto gentile e appassionato. Poi amavo molto il modo con cui si rivolgeva a tutti sul set...al provino mi ha fatto domande intime che non c'entravano niente con il recitare, tipo, 'Ti piace l'aglio?', 'Hai animali?' Poi durante le riprese non c'era sceneggiatura, lavoravamo con i fogli che ci dava di giorno in giorno. E ricordo quando mi chiamava nel mezzo della notte per fare una passeggiata nel silenzio di Roma, poi il caffè all'alba, lo riconoscevano, lo salutavano, e lui era contento. ”. Fellini offrì a Barbara Steele anche una parte in Casanova: ''Avrei dovuto recitare un'alchimista capace di risvegliare la virilità degli uomini.. Ma poi purtroppo quella parte di sceneggiatura è stata tagliata''. Numerosi sono gli aneddoti che l'attrice ama raccontare, ancor più durante il pranzo a cui si uniscono anche il figlio Jonathan, il regista Ruggiero Deodato e l'amico collezionista e scrittore Paolo Zelati. Non mancano neanche le incursioni di Rino Barillari, storico paparazzo romano che quasi magicamente ricrea l'atmosfera della Dolce Vita degli anni sessanta. Racconta ad esempio della sua prima esperienza sul set al fianco di Elvis Presley in Stella di fuoco, western di Don Siegel. Aveva firmato un contratto con la 20th Century Fox, gli Studios volevano lanciarla come la nuova diva: «Mi avevano fatta bionda! — esclama — ci potete credere?». The King lo descrive come un giovane bellissimo con la pelle di velluto e una collezione di cadillac. “Una sera - aggiunge - andai a mangiare e c'era anche Marylin Monroe, assorta nei suoi pensieri, quasi assente faceva risuonare un bicchiere accarezzandolo con le dita”. Tra gli aneddoti che si susseguono sarebbero moltissime le domande da poterle rivolgere, e lei in merito ai “chiacchieroni” racconta di una cena con Robert Mitchum: “Uomo straordinariamente bello ma che parlava moltissimo, una volta gli Barbara Steele nel corso della nostra intervista proposi 100$ per farlo smettere”. È stato presentato a Cannes Lost River il film debutto dietro la macchina da presa di Ryan Gosling. Una madre single viene a contatto con un sottomondo macabro, e tenta di tener unite le persone che ama nella sua casa di infanzia. A tutti i costi l'attore canadese ha voluto ci fosse nel cast anche Barbara Steele, icona senza tempo e attrice che ancor oggi emoziona lo spettatore e lo travolge con il suo sguardo magnetico.
Incontrando Barbara Steele
Quattro chiacchiere con Barbara Steele
Cinemazero apre la 72 Mostra del Cinema di Venezia
Riccardo Costantini
Welles ritrovato
Il mercante di Venezia e il genio di Welles “Il ruolo che davvero sogno di interpretare è l'ebreo di Shakespeare. Io sono cristiano (non che la cosa importi), ma ho sempre sentito una certa affinità verso Shylock e vorrei raccontare questo mio sentimento al pubblico”. Orson Welles Il mercante di Venezia, film incompiuto considerato universalmente perduto torna a nuova vita grazie al ritrovamento nel 2015 di nuovi materiali da parte di Cinemazero. Buona parte del film era stata consegnata diversi anni or sono da Oja Kodar, attrice, musa ispiratrice e ultima compagna di Orson Welles, al Filmmuseum München. Unendo i materiali dell'archivio tedesco a quelli ritrovati da quello friulano, aggiungendovi alcune scene conservate dalla Cineteca di Bologna, dopo un accurato lavoro di ricerca (La Cinémathèque Française; Paris Mercury Theatre Productions, New York; Special Collections Library at the University of Michigan, Ann Arbor), si è potuti arrivare a realizzare una ricostruzione del film puntando a una versione che fosse il più possibile simile a com'era stato pensato e realizzato nella sua ultima versione da Orson Welles all'epoca. Linea guida del lavoro è stato lo script originale del regista, recentemente ritrovato. Come d'uso con Welles, la produzione era stata travagliatissima: il film, a colori, che doveva mettere in scena una riduzione della nota pièce omonima di Shakespeare, era stato finanziato originariamente dall'emittente americana CBS, compreso all'interno di uno speciale dal titolo Orsons' Bag. Se alcune fonti riportano problemi fiscali, altre sostengono che i primi finanziamenti bastarono appena a coprire le riprese a Venezia. Sta di fatto che Welles si ritrovò con una troupe, un film da portare a termine e il suo grande sogno di interpretare Shylock. Così, decise di continuare e di prendere in mano la produzione. Via da Venezia, si continuò a girare in Croazia, in Veneto e a Roma, dove il Orson Welles nella scena di apertura del film © Oja Kodar_Cinemazero_Filmmusem München film fu montato. Le prime riprese furono effettuate nel 1969 a Venezia luogo che Welles ben conosceva per ragioni personali e per avervi girato alcune scene di Otello nel 1952. Le usuali traversie produttive - contrasti con la committenza, fine dei fondi a disposizione, spesi nella loro interezza nella “costosa” città lagunare – portarono dunque Welles a “ricostruire” Venezia in diversi luoghi e paesi: girò infatti (auto producendosi questa seconda parte) in Yugoslavia, sulla costa dalmata ora in Croazia: nella parte di film ritrovata da Cinemazero sono apparse immediatamente identificabili la piazza e gli archi intarsiati della cattedrale di Traù (Trogir) e della piazza prospiciente, a testimonianza proprio di questa seconda tranche di riprese. La casa del mercante Shylock è ad Asolo (la cosiddetta “Casa Longobarda”), dove sono ambientate anche le scene della reggia di Belmont (Villa Contarini, detta “degli Armeni”). Alcuni ciak vennero girati anche a Roma (in Piazza SS. Giovanni e Paolo), dove in un primo momento il film venne montato presso la SaFa Palatino dall'italiano Mauro Bonanni (anch'egli ritratto nel film). Nel montaggio del film questi luoghi si fondono magicamente, grazie al genio di Welles all'opera su più moviole, ed è impressionante verificare come la continuità dei luoghi sia fluida, e come si faccia fatica a riconoscere le location originali, immaginando invece di essere sempre e solo a Venezia. La durata doveva essere superiore ai quaranta minuti, ma alla fine, anche con l'aiuto del montatore svizzero Friedrick (Fritz) Müller, Welles confezionò verso l'estate del 1969 una versione che si avvicinava ai trenta minuti, destinata quindi a un uso diverso da quello originale. Rocambolesco - ed estremamente wellesiano - l'epilogo della lavorazione, con versioni differenti della vicenda. Se Welles racconta che un rullo gli fu sottratto in circostanze
non precisate, Oja Kodar (sua ultima compagna) testimonia di aver assistito a una proiezione privata (con sua madre) di una copia pressoché definitiva del film. Più attendibile la ricostruzione che vuole il film perso nei molteplici e costanti spostamenti di Welles, fra le sue varie residenze fra Spagna, Italia, Francia e Yugoslavia. In ogni caso, i rulli spariscono completamente. Riappare parte del Shylock in Piazza SS. Giovanni e Paolo, Roma © Oja Kodar _ Cinemazero _ Filmmuseum Mun̈ chen film grazie a Oja Kodar, che, per garantirne sopravvivenza e testimoniando la necessità di una memoria wellesiana, consegna un rullo in suo possesso al FilmMuseum di Monaco di Baviera, dove viene accuratamente preservato e valorizzato. Questa parte del film appare da subito come una versione tronca e poco significativa perché mancante di buona parte delle vicenda. Il ritrovamento da parte di Cinemazero di più di seicento metri di pellicola positivo 35 mm e di un rullo di sonoro magnetico contenente l'audio mixato del film – tutto depositato e conservato presso l'Archivio Cinema del Friuli Venezia Giulia / La Cineteca del Friuli, e inventariato grazie al sostegno della Fondazione CRUP – ha dunque consentito il lavoro di restauro sul film (supervisionato da Luca Giuliani e Stefan Drossler, condotto presso i laboratori L'immagine ritrovata di Bologna e AlphaOmega, CK TV&Film, entrambi di Monaco di Baviera, ) e sull’audio (Haghe Film Digitaal di Amsterdam e Cine-Audio & Media Services di Monaco di BAviera), che ricostruisce la versione più completa possibile, cercando di avvicinarsi il più possibile – alla luce dei documenti analizzati – a quanto pensato da Orson Welles, per quanto è dato sapere dalle testimonianze d’epoca e dalle carte depositate negli archivi di mezzo mondo. Di grande importanza per la ricostruzione anche il fondo del Maestro Angelo Francesco Lavagnino presso la Cineteca Nazionale - Centro sperimentale di cinematografia: Lavagnino compose infatti le musiche del film, lí conservate insieme a quattro preziosi fogli con le sue indicazioni a penna, precise al dettaglio, degli ingressi e le uscite degli strumenti musicali in relazione alle scene, documenti fondamentali per la ricostruzione corretta del film. Nel film che rivive come una ricostruzione il più possibile simile al progetto originale di Welles, oggi appare fonte di assoluta emozione poter vedere il regista/attore avanzare in laguna in gondola o girare con barba, cappello e gobba, sotto un pastrano nero, per campi e calli, fra case, chiese e altri luoghi di Venezia assolutamente riconoscibili, ma ancor più nel prologo vederlo che si trucca in un campiello veneziano (in realtà a Traù) per assumere i connotati del personaggio shakespeariano - il mercante Shylock - "maschera" che lo ha accompagnato per buona parte della sua carriera. Ha infatti interpretato la parte sul palco a teatro, l'ha registrato su un album e ha impersonificato il mercante ebreo sia per il cinema che per la televisione. Per la ricostruzione si sono consultati tutti i materiali disponibili: l'album (registrato fra il 27 Luglio e il 14 settembre, 1938) tratto dall’edizione del suo Shylock © Oja Kodar _ Cinemazero _ Filmmuseum Mun̈ chen Everybody’s Shakespeare e illustrata con un disegno della edizione a stampa, la sua apparizione al Dean Martin Show (14 settembre,1967), senza tagli, un frammento di un adattamento cinematografico del 1969, che non è mai uscito, e diversi estratti inutilizzati del monologo di Shylock che girò durante le riprese de La Decage Prodigeuse di Claude Chabrol in Francia (1971) e durante i sopralluoghi per le riprese di The Other Side Of the Wind in Spagna (1973).
Dal 3 al 11 ottobre al Teatro Verdi di Pordenone la 34 edizione del Festival
Giuliana Puppin
Le Giornate del Muto 2015
Le Giornate del Cinema Muto “Grandi artisti hanno usato il cinema come catarsi per gli orrori della guerra: Chaplin in Charlot soldato e Il dittatore, Keaton in Come vinsi la guerra, Lubitsch in Vogliamo vivere! In Maciste alpino, l’affiatata squadra di Pastrone affronta uno dei più tragici e letali scontri del 1914-18, la “guerra bian- Una scena di Maciste alpino, evento inaugurale dell’edizione 2015 ca”, in cui gli austro-ungarici e gli italiani si trovarono faccia a faccia lungo un fronte di oltre 400 chilometri, in buona parte a un’altitudine superiore ai 1800 metri." Così David Robinson, direttore delle Giornate del Cinema Muto, introduce Maciste alpino, evento speciale di apertura della 34a edizione che si svolgerà al Teatro Comunale Giuseppe Verdi dal 3 al 11 ottobre. Il film, diretto nel 1916 da Luigi Maggi e Romano Luigi Borgnetto con la supervisione di Giovanni Pastrone, è presentato nel recente, splendido restauro curato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e dalla Biennale di Venezia. Questa godibile commedia avventurosa è in realtà uno dei migliori film italiani di propaganda bellica, realizzato con l'intenzione di sostenere l'ingresso in guerra contro gli ex alleati austriaci e tedeschi e, attraverso le imprese dell’eroe dall’incredibile forza fisica impersonato da Bartolomeo Pagano, di sollevare il morale degli italiani, che avevano visto sfumare la speranza della guerra-lampo e avevano già subito pesantissime perdite. Con Maciste alpino, oltre che con i documentari di Luca Comerio e il restauro del lungometraggio americano girato sul fronte tedesco nel 1915, On the Firing Line with the Germans, presentato in prima mondiale, le Giornate si inseriscono nelle celebrazioni legate al centenario della Grande Guerra. A chiudere il festival la sera di sabato 10 ottobre e in replica il pomeriggio di domenica 11 sarà Il fantasma dell'Opera diretto da Rupert Julian nel 1925, un horror carico di mistero che fissò il modello dello stile gotico della Universal degli anni ’30 e ’40. Non è il primo adattamento cinematografico del romanzo di Leroux (la versione realizzata in Germania da Ernst Matray nel 1916, con Nils Olaf Chrisander, è uno dei gioielli perduti del muto) ma quello che, grazie soprattutto all’interpretazione di Lon Chaney, ha consegnato il Fantasma all'immaginario collettivo. La copia restaurata da Photoplay, comprensiva delle suggestive scene in Technicolor, è accompagnata dalla musica di Carl Davis eseguita dall'Orchestra San Marco di Pordenone diretta da Mark Fitz-Gerald. Molto atteso è anche l'evento di metà settimana: sei ore e mezza (con intervallo!) di grande cinema con il capolavoro di Henri Fescourt, I miserabili (1925), riconosciuto come il migliore e il più fedele dei numerosi adattamenti dell'opera di Victor Hugo e ora restaurato da CNC, Cinémathèque de Toulouse e Fondation Jérome Seydoux-Pathé. L’impresa dell’accompagnamento al pianoforte è affidata a Neil Brand. Lo sterminato programma delle Giornate 2015 comprende anche i film muti di Victor Fleming, il futuro regista di Via col vento; i classici del “Canone rivisitato”; le commedie sovietiche; le imprese dei “forzuti” Aldini e Albertini; tanto cinema delle origini, inclusi i contributi cinematografici del trasformista italiano Leopoldo Fregoli; la nascita del western; film e documentari dall’America Latina; i grandi artisti neri dello spettacolo nelle commedie americane di cento anni fa; le “altre” sinfonie di città e l’omaggio a Manoel De Oliveira con Douro, sulla sua Porto; e ancora, ritrovamenti eccezionali come le sequenze inedite di una delle più famose comiche con Laurel & Hardy e lo Sherlock Holmes di Berthelet del 1916, con la star del teatro americano William Gillette (a lui si devono il cappello da cacciatore e la tipica pipa ricurva, diventati emblemi del detective). Non mancano produzioni recenti, come il nuovo film d’avanguardia di Paolo Cherchi Usai, Picture (2015), accompagnato dal trio americano Alloy Orchestra, e il film di animazione di due giovani autori iraniani, Junk Girl (2014), ispirato a una breve poesia di Tim Burton, sui rifiuti umani della società. L’appuntamento con le piccole orchestre delle scuole, “A colpi di note”, Il fantasma dell’opera di Rupert Julian chiuderà il festival quest’anno apre il festival la mattina del 3 ottobre.
OSPITA UN OSPITE...DELLE GIORNATE DEL CINEMA MUTO Si avvicina il periodo dell’anno in cui Pordenone si popola di storici, appassionati e studenti di cinema, che certo non mancheranno alla 34° edizione delle Giornate del Cinema Muto, in programma al Teatro Verdi dal 3 al 10 ottobre più la replica dell’evento finale con l’orchestra il pomeriggio di domenica 11. Dall’apertura con Maciste alpino alla chiusura col Fantasma dell’Opera, passando per la monumentale maratona dei Miserabili, le Giornate richiameranno cinefili da ogni parte del mondo. Rinnoviamo perciò l’invito ai pordenonesi che hanno camere o appartamenti liberi ad accogliere i sempre numerosi ospiti che chiedono di usufruire di un alloggio presso privati. Solo così alcuni di loro, soprattutto studenti ma non solo, avranno la possibilità di seguire il festival. Sono molte le famiglie che negli anni hanno aderito alla formula “Ospita un ospite” e certamente anche quest’anno saranno numerosi i pordenonesi pronti ad aprirsi a questo tipo di accoglienza e vivere insieme ai fan del muto il clima del festival. Chiunque voglia avere ulteriori informazioni o comunicare la propria disponibilità può contattare gli uffici delle Giornate: infodesk.gcm@cinetecadelfriuli.org, tel 324 8992620
Film che non vorresti vedere in alcun altro posto che non sia un cinema
Chris Fujiwara
Una questione di Scala
Una questione di Scala "Ci sono film che non vorresti vedere in alcun altro posto che non sia un cinema?" Una buona domanda che può aiutarci ad andare oltre l’attuale posizione in cui ristagna la cinefilia e arrivare a qualcosa di essenziale, e ancora non formulato, sul posto e la funzione del cinema. Cercando di far sì che la mia risposta abbia almeno una parvenza di obiettività, ho riformulato la domanda in questo modo: quali film hanno i requisiti per richiedere una proiezione e fruizione al cinema in modo così profondamente radicato, sia per la forma che per il tema, che vi è una grande probabilità che i film stessi non possano essere adeguatamente compresi al di fuori di tali condizioni? Come ha osservato Noël Burch, Playtime (1967) di Jacques Tati è "il primo [film] nella storia del cinema che deve essere visto non solo diversi volte, ma anche da diverse distanze dallo schermo". Ovviamente va da sé che, per Burch (che scrive nel 1969), il film doveva essere visto in un cinema. Jonathan Rosenbaum porta l'osservazione di Burch più lontano, sostenendo che è "inappropriato" vedere i film "in spazi privati, in particolare su qualsiasi schermo più piccolo di se stessi. Playtime assume una precisa contiguità e continuità con lo spazio pubblico della sala, dove condividiamo la sua esperienza con gli altri”. La coreografia trionfale e meticolosa del film di Tati, il suo spiritoso discorso sull'architettura, la sua scoperta di una socialità rinnovata, la saturazione dell’immagine attraverso una miriade di dettagli discreti, e la scala della figura umana all'interno dell'immagine, tutto questo insieme fa di Playtime un film che richiede un "grande schermo" e rischia di diventare illeggibile quando visto su qualcosa di più piccolo. Un altro regista che ama i campi lunghi, i cui film possono deformarsi fino ad un livello tale da non essere ben compresi (diventando addirittura incomprensibili) quando si guardano su piccoli schermi, è Jacques Tourneur. Nei quattro ritratti di destini comuni che Tourneur dipinge con Leopard Man (1943), Canyon Passage (1946), Stars In My Crown (1950), e Wichita (1955), i ruoli svolti dai personali eroismi o perversioni sono posti in una prospettiva in cui diventano, se non del tutto insignificanti, almeno un po’ arbitrari. Questa prospettiva può essere meglio approssimata calibrata al cinema, dove la misura della ripresa e la sua durata assumono un peso psicologico che risulta solo accennato in una visione domestica. In Stray Dogs (Jiao voi, 2013) di Tsai Ming-liang, la durata delle inquadrature si avvicina al limite in cui il disagio di guardare un'immagine in movimento in cui molto poco si muove quasi cessa di essere compensato con qualsivoglia piacere legato alla qualità dell'immagine – una soglia che Una scena di Playtime di Jacques Tati può subire solo un’ulteriore riduzione se lo spettatore ha la possibilità di mandare avanti la scena, o se l'immagine si degrada a causa di una riproduzione a bassa risoluzione. Posso immaginare che Leviathan di Lucien Castaing-Taylor e di Verena Paravel (2012) non possa funzionare fuori da una sala cinematografica: l'effetto del film richiede il rapimento/sequestro all'interno di uno spazio in cui il pubblico può farsi condurre dalle immagini e dai suoni (soprattutto i suoni); l'impotenza voluta che fa sempre parte dell'etica della spettatorialità è fondamentale per creare l'esperienza di questo film. Uno dei film marittimi di Raoul Ruiz, Le tre corone del marinaio (Les trois couronnes du Matelot, 1983), va a sua volta ricordato per la perfezione della sua metafora cinematografica e per la costruzione del suo cinema immaginario come casa dei racconti galleggiante.
I protagonisti di House of Strangers di Joseph L. Mankiewicz
Quando si lascia il cinema dopo aver visto il film di Ruiz, è come mettere piede a terra dopo un lungo viaggio in mare. È anche invocando l'esperienza del viaggio compiuto che tre grandi film di Joseph L. Mankiewicz – House of Strangers (1949), A Letter to Three Wives (1949), e The Honey Pot (1967) – traggono un potere che è in gran parte perduto quando i film sono visti su schermi di piccole dimensioni. Si deve essere all'interno del cinema, per sua natura una House of Strangers (ndr: casa di estranei), per sentire qualsiasi emozione prima che i meravigliosi modelli meccanici che Mankiewicz applica ai rapporti umani vengano trasmessi attraverso le parole e le immagini che comunicano gli atteggiamenti più precisi verso quei rapporti. Ma il non plus ultra dei registi il cui lavoro deve essere vissuto in una sala cinematografica è certamente Naruse Mikio. Perché? Perché i suoi film, quando incontrati casualmente, sembrano troppo vicini alla vita stessa per essere afferrabili con delle immagini; e diventa necessario creare la massima distanza tra il film e lo spettatore – attraverso la differenza di scala tra lo spettatore e lo schermo, attraverso il rito di entrare cinema e sedersi, ecc – in modo da poter vedere dietro la loro complessità e astrazione. Dei film di Naruse, i seguenti (tutti del dopoguerra) non sono necessariamente i migliori, ma sono certamente grandi esempi di film che hanno bisogno di essere visti al cinema per poter essere visti davvero: Ginza Cosmetics (Ginza Kesho 1951 ), Mother (Okaasan, 1952), Il suono della montagna (Yama no oto, 1954), Crisantemi tardivi (Bangiku, 1954), Estate Nuvole (Iwashigumo, 1958), Yearning (Midareru, 1964), Nubi sparse (Midaregumo 1967 ). Naruse è il grande regista del quotidiano; e forse, per ironia della storia, è oggi il quotidiano (di formati e schermi elettronici) che deve essere allontanato in modo che questa poesia visiva e narrativa di Naruse possa essere recuperata attraverso l'esperienza sempre più esotica del cinema. [traduzione a cura di Marianita Santarossa]
Chris FUJIWARA è un critico cinematografico, educatore, programmatore, giornalista e redattore. È l'autore di Jerry Lewis (University of Illinois Press, 2009), Il mondo e il suo doppio: La vita e l'opera di Otto Preminger (Faber & Faber, 2009), e Jacques Tourneur: Il cinema di Nightfall (Johns Hopkins University Press, 2001). È stato Direttore Artistico del Festival Internazionale del Cinema di Edimburgo 2012-2014.
Il critico, educatore e programmatore Chris Fujiwara
Fantasie e incubi del veterano del Festival di Cannes
Lorenzo Codelli
Un debutto nella narrativa
«Il festival non avrà luogo» romanzo di Gilles Jacob «"Figurati, ieri sera ho fatto un sogno, ho sognato ancora di Cannes: i gabbiani erano scappati. Un'ondata alta molti metri sommergeva la Croisette, ribaltava le automobili, devastava le boutique di lusso, si abbatteva sugli alberghi. Eravamo in pieno festival, i cameramen filmavano immagini di rovine e devastazione. Poi lo choc. Una specie di lungo muggito proveniente dal ventre della terra. Pareva che il boulevard si spaccasse in due parti, crac, un po' come la mamma divide il cibo ai bambini. E poi il silenzio, i corpi intrappolati, le ossa contorte, fracassate, i volti atterriti o sfigurati, le sirene, le sirene, le sirene... Immobili vetusti si sbriciolavano, impedendo l'opera dei soccorritori. Incendi divampavano, navi si spostavano. In tutta la regione si organizzavano i soccorsi. Calava la notte, mancava la corrente. Il numero dei dispersi continuava ad aumentare. E io ero lì, paralizzato ma sano e salvo. Di colpo, tutto quanto s'era ribaltato. La vita interrotta, la festa rovinata, panico, polvere, rovine, razzie, fame, sete, la fine del mondo. Lungo il porto, i fari dei proiettori rischiaravano la notte, e dei congegni vibravano con tutta la loro potenza in cerca dei sopravvissuti e alla scoperta dei morti. Dio non finirà mai di mettere il mondo alla prova?". Con i pugni chiusi dietro la schiena, Federico fece gli scongiuri contro il malocchio incrociando le dita”». Il 19 maggio 1968, a casa sua in via Margutta, Fellini così racconta a Lucien Fabas, direttore del Festival di Cannes travolto dal maelström sessantottesco. Siamo al clou apocalittico del romanzo Le festival n'aura pas lieu (www.grasset.fr), con cui Gilles Jacob esordisce nella narrativa. Nel protagonista l'autore fonde le figure di due suoi illustri predecessori al soglio cannense, Robert Favre Le Bret (1952-1971) e Maurice Bessy (1972-1977), evocando ricordi di gioventù e timori attuali. Il racconto inizia nell'ottobre 1952, quando l'inesperto giornalista Fabas viene inviato in Kenya per intervistare le star di Mogambo, che la Metro Goldwyn Mayer sta producendo in mezzo alla giungla. La bionda Grace Kelly in casco coloniale guarda invidiosa la statuaria Ava Gardner nella foto di copertina. Assieme a Fabas, su quel set incontriamo il ruvido regista John Ford, l'orecchiuto Clark Gable, la mangiauomini Ava e sua sorella Bappie. Nel corso di trent'anni, Fabas e Bappie tesseranno un idillio antonionian/borzaghiano, con finale... viscontiano. Innumerevoli co-protagonisti allontaneranno o avvicineranno via via “Les amants". Persino il generale de Gaulle, oltre a Burt Lancaster, John Frankenheimer, Fritz Lang, JeanLuc Godard, François Truffaut, Roman Polanski, Louis Malle, Louella Parsons, Lillian Gish & "a cast of thousands". Che sorpresa! Salva la vita a Fabas e Bappie, rapiti dai Mau-Mau, e accompagna poi il protagonista attraverso gli insidiosi canyon hollywoodiani, l'amico Alexander Walker (1930-2003). Il leggendario critico e storico irlandese, autore di biografie evergreen, il quale lasciò in eredità il suo straripante archivio personale alla Cineteca del Friuli. Strana coppia, Fabas e Alex, uniti dall'immensa passione per il cinema "d'autore popolare", impegnati a promuoverlo ovunque, dalla Costa Azzurra alle Filippine. Quanti deliziosi aneddoti il veterano Jacob ci regala. «L'immenso Christopher Lee sorprendendosi allo specchio si spaventò, s'era scordato che non indossava l'abituale divisa da vampiro». «Al funerale di John Ford, a Corona del Mar, un becchino chiede: "Chi seppelliscono?". Un fotografo che l'aveva conosciuto bene gli risponde: "Il cinema americano"».
Cinemazero a Pordenonelegge
Marco Fortunato
Crisi è una delle due parole (insieme a futuro) che quest’anno Pordenonelegge, festa del libro con gli autori, ha scelto per tracciare una linea di congiunzione ideale tra le centinaia d’incontri, dibattiti ed approfondimenti che animeranno la città dal 16 al 20 settembre prossimi. Tra questi non mancheranno quelli curati da Cinemazero, tra i fondatori della kermesse, attraverso i quali proseguiremo nel percorso di analisi del legame tra cinema e letteratura. Protagonista del primo appuntamento uno dei più grandi artisti italiani del Novecento, Pierpaolo Pasolini. Il laboratorio di Accattone, questo il titolo del dibattito nel corso del quale due pasoliniani di caratura nazionale come Roberto Chiesi e Luciano De Giusti ricostruiranno le circostanze e i momenti salienti del suo primo film, (Accattone, 1961) dalla genesi - che affonda le radici nella remota passione di Pasolini per il cinema - alle varie tappe della sua realizzazione. Un’operazione culturale di ampio respiro che vede coinvolti Cinemazero e Cineteca di Bologna, con la partecipazione del Centro Studi PPP di Casarsa della Delizia e il sostegno della Provincia di Pordenone in occasione del quarantennale della sua scomparsa. Ad un altro maestro del cinema, OzuYasujiro, è dedicato un altro importante appuntamento, che si svilupperà nella nuova formula dell’incontro seguito dalla proiezione nella rinnovata SalaGrande di Cinemazero. Grazie alla Tucker Film arrivano infatti per la prima volta in Italia sei dei suoi capolavori restaurati sul grande schermo e, per l'occasione, è stato pubblicato un libro sull'opera del regista giapponese curato da Dario Tomasi, uno dei maggiori esperti europei di cinema orientale, e Giorgio Placereani. Insieme a loro dialogherà Silvio Soldini, che ben conosce e ama l'opera di Ozu - tanto da chiamare la propria casa di produzione Monogatari da Tokio Monogatari (Viaggio a Tokio, 1953) – e, insieme, presenteranno in sala Fiori d’equinozio (1958) il suo primo lungometraggio a colori. Stesso schema, incontro con gli autori seguito dalla proiezione del film, per Parole povere. Il sogno di un'altra trasformazione organizzato in concomitanza con l’uscita in dvd del docufilm di Francesca Archibugi Parole Povere, sulla vita e la poesia di Pierluigi Cappello, dove emerge nitido il fondamento dell’opera del poeta friulano nei primi anni della vita. Insieme a loro, per un dialogo a tre voci, lo scrittore Eraldo Affinati, che da sempre indaga il legame tra la formazione dell’individuo e il suo destino. E proprio il destino ha voluto che sopravvivessero le carte del “caso Manzoni”, la storia di un vero e proprio cantiere di scrittura cinematografica che, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta coinvolse grandi registi e illustri scrittori in un dibattito lungo oltre un decennio. I documenti, gli aneddotti e le curiosità di questo “caso” - ordinate e contestualizzate - costituiscono l’ossatura del libro Promessi sposi d’autore. Un cantiere letterario per Luchino Visconti curato da Salvatore Silvano Nigro e da Silvia Moretti che incontreranno il pubblico. Un pubblico che la redazione di Hollywood Party, il programma radiofonico che da 20 anni porta ogni sera il meglio del cinema nelle case degli italiani, ha voluto coinvolgere direttamente per stilare una classifica dei 100 film italiani che hanno segnato in modo indelebile l'ultimo secolo entrando nel nostro immaginario collettivo. Ne è nata una raccolta, i Cento colpi di Hollywood Party naturalmente commentata dalle poliedriche voci dei conduttori, ciascuno dei quali, ognuno con la sua storia e il suo approccio al cinema, ha cercato di leggere dal suo punto di vista perché quel film era così importante da meritare tanti voti. Interverrà il critico cinematografico Steve Della Casa uno dei fondatori della trasmissione. Chiude il ricco programma della sezione Il desiderio di essere felici, che vedrà protagonista Ivan Cotroneo il testimonial delle premiazioni di Scrivere di Cinema Premio Alberto Farassino 2015, il concorso nazionale di critica cinematografica rivolto ai giovani. Cotroneo sarà intervistato da uno dei giurati, Mauro Gervasini, direttore della rivista “Film Tv” e selezionatore per la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Nel corso dell'incontro verranno premiati i vincitori delle due sezioni di gara, Young adult (15-19 anni) e Under 25 (2025 anni), scelti dalla giuria presieduta da Viola Farassino e costituita dai critici Gervasini, il Premio Strega Nicola Lagioia e Adriano De Grandis. Verrà inoltre assegnato il Premio del Territorio, riservato agli studenti della Provincia di Pordenone; in questo caso sarà la giuria formata da docenti del territorio a decidere il vincitore. E tra un incontro e l’altroil nostro suggerimento è di passare in Mediateca che sarà aperta in via straordinaria durante tutto il periodo del festival (dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.0019.00) e, oltre ai consueti servizi ospiterà numerosi laboratori didattici rivolti ai più piccoli.
Pordenonelegge
Leggere il cinema
ZERORCHESTRA PLAYS BERLINO - SINFONIA DI UNA GRANDE CITTÀ
Domani accadrà ovvero se non si va non si vede
Pordenone, Auditorium Concordia - 11 settembre 2015, ore 21.00
Nuova esibizione della Zerorchestra, dopo gli acclamati concerti estivi, questa volta all’interno dell’undicesima edizione di Musae, percorsi culturali in Provincia, organizzata dalla Provincia di Pordenone. Le musiche composte da Bruno Cesselli faranno da specchio a questo capolavoro del cinema tedesco. Suddivisa in cinque atti, questa sinfonia visiva descrive la vita nella città di Berlino nell'arco di una giornata, con il montaggio teorizzato da Dziga Vertov. Non ci sono né didascalie né trama, ma il ritmo avvincente delle immagini trascina con sé lo spettatore nella vita della metropoli, facendo di questo film uno dei classici dell'avanguardia del cinema astratto. È il 1927 quando, per la prima volta in un film, si affida la parte di protagonista a una città. Nessun attore, nessuna teatralità, nessuna star per quest'opera prodotta dalla Fox Europa: Berlino, la città dalle mille aspirazioni, è insieme centro, argomento e splendida attrice di quest'opera sinfonica di Walter Ruttmann. Info: www.provincia.pordenone.it
RITRATTO DI PORDENONE MONTANARI di Bruno Mercuri Pordenone, Cinemazero 8 settembre ore 21:00
Pordenone Montanari, uomo schivo e artista rivoluzionario, ci apre le porte del suo atélier di Grado e ci concede un’intervista, rara e preziosa testimonianza di sé, nel corso della quale ci accompagna a scoprire l’essenza della sua Arte. Dipingere, scrivere, scolpire, leggere: un continuo ed instancabile tentativo di autodefinirsi, mosso dall’anelito e dalla dirompente esigenza di espressione interiore. Il tocco deciso della pennellata, il tratto impulsivo, la forza del colore, l’espressione dei volti e le forme delle figure ritratte manifestano la grande tensione comunicativa di Montanari e il suo dominio dello strumento pittorico e scultoreo.
I MILLE (O)CCHI Trieste, Teatro Miela - dal 18 al 23 settembre 2015
L'edizione 2015 del festival si terrà dal 18 al 23 settembre al Teatro Miela di Trieste, con un'anteprima il 15 e il 16 settembre al Cinema Trevi di Roma. Ospite d'eccezione del programma d'incontri e proiezioni sarà il cineasta, produttore e didatta portoghese Vítor Gonçalves cui verrà assegnato il Premio Anno Uno. Tra i molti sconfinamenti proposti dal festival triestino dentro e oltre la settima arte, verrà proposto un omaggio al cinema dell'artista francese Niki De Saint Phalle per un festival che è da tempo un appuntamento di richiamo per appassionati, studiosi e cinefili d'ogni sorta, in un viaggio senza limiti d'epoca e genere nella Storia del cinema. Info: www.imilleocchi.com
ESPRESSIONI DI CURA - CONCORSO ARTISTICO LETTERARIO Parole e immagini per narrare la malattia oncologica
Sono aperte le iscrizioni alla quarta edizione del concorso artistico letterario nazionale Espressioni di cura. Parole e immagini per narrare la malattia oncologica, iniziativa promossa dall’Istituto Nazionale Tumori CRO di Aviano. Il concorso è riservato a pazienti/ex pazienti oncologici, operatori con esperienza di lavoro nelle strutture sociosanitarie con pazienti oncologici, persone che si siano prese cura di pazienti con tumore (in qualità di familiari, amici, volontari, ecc.). Il tema scelto per l’edizione 2015 è “l’incontro” e potrà essere sviluppato nelle tre sezioni distinte Narrativa, Fotografia e Video. Gli elaborati dovranno pervenire entro e non oltre il 30 novembre 2015. Info: espressionidicura@cro.it
SEPTEMBER FEST Cordenons, Parco Parareit - 18 e 19 settembre 2015
Organizzato dall’associazione culturale Kactus in collaborazione con PnBox e ProCordenons September Fest è un evento dinamico ed entusiasmante, volto a promuovere l’attività artistica del nostro territorio grazie anche alla partecipazione di band italiane di respiro internazionale. Nel programma, però, non solo musica ma anche performance di teatro, installazioni artistiche e proiezioni cinematografiche con i corti di FMK, il festival di cortometraggi di Cinemazero, il tutto nella suggestiva cornice naturale del Parco Parareit a Cordenons. Ingresso libero. Info: www.kact-us.com
DA PARMA A PORDENONE IL RESPIRO DEI RICORDI
Pordenone, Saletta Ex San Francesco - 29 settembre 2015, ore 18.00
Sarà presentato martedì 29 settembre dal critico Enzo Santese e dall’autore Gian Paolo Cremonesini, noto imprenditore operante a Pordenone dal 1977, il libro Da Parma a Pordenone - il respiro dei ricordi. Storie, sentimenti, emozioni vissuti dall’autore che ripercorrono l’infanzia in Emilia, gli esordi lavorativi a Venezia fino alla nascita e allo sviluppo della propria attività a Pordenone. Ingresso libero.
Un film di di Piero Messina. Con Juliette Binoche, Lou de Laâge, Giorgio Colangeli. Italia, 2015. Durata 100 min.
Un film di Denis Villeneuve. Con Benicio Del Toro, Emily Blunt, Josh Brolin. USA, 2015. Durata 121 min.
L’ATTESO RITORNO DI BELLOCCHIO CON LA SUA “FAMIGLIA” CINEMATOGRAFICA
SAngue Del mio SAngue
Di mARCo bel l o CChio Federico, un giovane uomo d'armi, viene sedotto come il suo gemello prete da suor Benedetta che verrà condannata ad essere murata viva nelle antiche prigioni di Bobbio. Nello stesso luogo, secoli dopo, tornerà un altro Federico, sedicente ispettore ministeriale, che scoprirà che l'edificio è ancora abitato da un misterioso Conte, che vive solo di notte. «Il film nasce dalla scoperta casuale delle antiche prigioni di Bobbio e mi ha ispirato la storia di Benedetta, una monaca murata viva nella prigione convento di Santa Chiara, a Bobbio. Mi parve che questa storia dissepolta da un passato così remoto meritasse un ritorno al presente dell'Italia di oggi e più precisamente in un'Italia di paese, Bobbio, che la modernità, la globalizzazione hanno ormai cancellato» così ha dichiarato Bellocchio che, per l’occasione ha voluto riunire la sua “famiglia” cinematografica, con cui ha da lungo tempo un sodalizio artistico e umano. Roberto Herlitzka, indimenticabile Aldo Moro in Buongiorno, Notte e incisivo politico in Bella Addormentata; Pier Giorgio Bellocchio, suo figlio, che ha fatto esordire bambino nel cinema, per poi dirigerlo in vari suoi film (Buongiorno, notte, Bella Addormentata, Vincere...) e spettacoli teatrali (Zio Vanja); Lidiya Liberman, che ha scoperto e voluto a teatro per il ruolo di Helena in Zio Vanja e che ha fatto debuttare ora nel cinema; Alba Rohrwacher, che ha diretto in Sorelle mai e Bella addormentata e Federica Fracassi (anche lei in Bella addormentata). E poi Toni Bertorelli, indimenticabile interprete di Il principe di Homburg e L’ora di religione e Filippo Timi straordinario protagonista di Vincere. Bellocchio li ha riuniti tutti a Bobbio, dove ha girato il suo primo film I pugni in tasca e dove ogni estate tiene il laboratorio per i giovani “Fare Cinema”.
QUANDO L'ATTESA DIVENTA UN ATTO DI AMORE E DI VOLONTÀ
l ’ATTeSA
Di PieTRo meSSin A Tra le grandi stanze di una vecchia villa siciliana segnata dal tempo, Anna trascorre le sue giornate in solitudine. Solo i movimenti di Pietro rompono il suo silenzio. Improvvisamente si presenta alla sua porta Caterina, una giovane donna che sostiene di essere la fidanzata di Giuseppe, il figlio di Anna. Ad invitarla in Sicilia per trascorrere insieme qualche giorno di vacanza è stato proprio lo stesso Giuseppe ma nessuna delle due donne sa dell'esistenza dell'altra. Per di più Giuseppe non è presente. Nessuno sa dove sia andato, anche le sue cose sono tutte nella sua stanza e viene da pensare che forse molto presto tornerà. I giorni però passano, le due donne lentamente imparano a conoscersi e l'intero paese prepara la tradizionale processione di Pasqua. Opera d’esordio di Pietro Messina, assistente alla regia nei film di Paolo Sorrentino This must be the place e La grande bellezza, già autore di numerosi cortometraggi e documentari, tra cui ricordiamo Terra presentato al 65° Festival di Cannes nella sezione Cinéfondation, La prima legge di Newton che ha ricevuto una Menzione Speciale al Festival Intl. del Film di Roma, una nomination ai Nastri d’Argento ed una ai Globi d’Oro, La porta selezionato al Festival di Rotterdam.
LA VERA STORIA DEL GIORNALISTA PREMIO PULITZER WEBB CONTRO I TRAFFICANTI
SiCARio
Di Den n iS Vil l en eu Ve Un'imboscata dell'FBI rivela molto piu' di quanto era previsto: lo spettacolo orripilante di decine di cadaveri nascosti nei muri e con la testa sigillata in sacchetti di plastica. Per allargare la squadra che va a caccia dei mandanti di quel massacro la CIA arruola Kate, la giovane agente dell'FBI che ha partecipato all'imboscata rivelatrice, anche se lei è un'esperta di rapimenti mentre la squadra combatte da tempo contro il cartello messicano della droga. È l'inizio di una discesa agli inferi che coinvolgerà tutti i servizi segreti statunitensi (e la coscienza di un Paese) disposti a trasgredire ogni regola e a sacrificare ogni parvenza di umanità pur di mantenere il controllo (ma senza alcuna volontà di debellare il Male). Un’opera intensa e adrenalinica che impone allo spettatore di scegliere chi sia l’eroe di una storia in cui tutti hanno un passato, hanno sofferto e hanno commesso errori. I protagonisti sono esseri umani imperfetti esattamente come noi e le loro reazioni potrebbero essere le nostre. Le domande da porsi sono quindi solo due: quando il fine giustifica i mezzi? Cosa faremmo se ci trovassimo nella medesima situazione?
i film del mese
Un film di di Marco Bellocchio. Con Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio, Filippo Timi. Italia, 2015. Durata 107 min.
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i film del mese
(Tit. Or.: Every Thing Will Be Fine) Un film di Wim Wenders. Con James Franco, Charlotte Gainsbourg, Rachel McAdams. Germania, 2015. Durata 100 min.
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NUOVO FILM IN 3D PER WENDERS CHE RACCONTA UNA STORIA INTIMA
RiToRno Al l A ViTA
Di wim wen DeRS "Non ho scelto io la storia, ma è lei che ha scelto me” - racconta Wim Wenders spiegando la genesi di Every thing will be fine presentato alla Berlinale 2015 dove il regista è stato premiato con l’Orso d’Oro alla carriera “è arrivata sotto forma di una sceneggiatura spedita per mail da Bjorn Olaf Johannessen". I due si erano incontrati al Laboratorio del Sundance, dove il cineasta tedesco aveva premiato una precedente sceneggiatura dello scrittore norvegese. Tre anni dopo è nato il progetto comune. Sulla scorta dell'esperienza sorprendente ed entusiasmante con la tecnica del 3D usata per realizzare il documentario Pina, Wenders ha pensato che questa era la storia giusta per tentare una nuova e intima forma di racconto tridimensionale che lavorasse sui volti e le emozioni dei personaggi. Girato tra Montreal e i dintorni ghiacciati, racconta dello scrittore Tomas, (James Franco), che una sera investe uno slittino in corsa, causando la morte di un bambino. La madre, Charlotte Gainsbourg, non lo incolpa, ma la vita dello scrittore, della donna e del fratello sopravvissuto cambiano per sempre. Tomas cade in depressione, la sua relazione con la fidanzata (Rachel McAdams) entra in crisi. Tra lo scrittore, la madre e il ragazzino si crea un rapporto che cambia nel tempo, mentre l'uomo trova un approdo sentimentale in una madre single. Every thing will be fine è una storia che affronta il tema del senso di colpa e della ricerca del perdono. "E' stato questo a coinvolgermi della sceneggiaturaspiega Wenders- non tanto la colpevolezza rispetto all'incidente, è stata una fatalità, quando al fatto che come scrittore ti capita di usare certe esperienze della vita reale: ti è permesso, anche se sono eventi che hanno causato sofferenza ad altri? L'esperienza traumatica dell'incidente sblocca la crisi creativa di Tomas, lo trasforma in uno scrittore migliore. L'altro tema è che tipo di legame si crea tra quelli che sono coinvolti in questa esperienza traumatica: le vite restano in qualche modo legate anche nel futuro? Sono domande universali a cui è difficile trovare la risposta". [tratto da www.repubblica.it]