POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura e SocietĂ Corso di Laurea Magistrale in Architettura di Interni e Allestimento a.a. 2012/2013
FRA NATURA E STRUTTURA. Spazi riconquistati alla ferriera di Crema
Relatore:
Prof. Arch. Arnaldo Arnaldi
Correlatore:
Arch. Gianluca Bresciani
Studenti:
Cinzia Giardino
Clara Taverna
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ABSTRACT 9
1| La Ferriera 13 Sessant’anni di storia 17 Organizzazione della fabbrica 27 Conseguenze della dismissione 35
2| Crema 43 Mappare l’arte 46 Artshot 50 Tazebau 53
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Reuse 57 Suggestioni 77
5| Spazi riconquistati 103 Proposta progettuale 107 Layout funzionale 108 Spazi del verde 115 Spazi d’uso comune 119 Lo spazio espositivo Il teatro Gli spazi amministrativi Il bar
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Conclusioni 143
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Bibliografia 149
0# ABSTRACT
FRA NATURA E STRUTTURA
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ABSTRACT L’ esperimento messo in atto parte dall’ipotesi che le risorse spaziali che la città offre sottoforma di edifici dismessi di varia natura siano delle fonti da cui ricavare stimoli ed ispirazioni, catalizzatori di attenzioni e desideri progettuali. Questi spazi, che hanno perso una loro identità legata alla realtà per cui erano nati, sono luoghi di transizione verso nuove forme di definizione da parte di tutti. Questo progetto prende spazio in un luogo di confine, di cucitura tra due parti della stessa città, il centro storico di Crema e la zona NordEst. Si tratta di una lunga fascia industriale chiusa sui due lati lunghi da due assi molto importanti per la città, da un lato il Canale Vacchelli e dall’altro i binari della stazione, che costituiscono gli assi divisori tra la parte storica della città e il quartiere Nord-Est di Santa Maria. Grazie alla posizione strategica di questa fascia industriale, la scelta è stata quella di recuperare e riqualificare un’area di circa 20000 mq, un tempo destinata alle lavorazioni del ferro ed ora completamente dismessa. La proposta di questo progetto è quella di destinare questo spazio a luogo pubblico, dedicato alla partecipazione collettiva di attività riguardanti tutte le arti. Dopo uno studio delle proposte artistiche della città di Crema, si è infatti constatato che i luoghi dell’arte all’interno della città sono spesso inadeguati a sostenere le numerose attività proposte da associazioni, collettivi e gruppi. Il gesto progettuale è di non interferenza con l’esistente: la scelta è stata quella di non intervenire sulla struttura, di agire con elementi che conservino le qualità estetiche dell’edificio, cogliendo e interpretando la struttura nelle sue valenze spaziali.
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1# LA FERRIERA
FRA NATURA E STRUTTURA
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LA FERRIERA “Ferriera è la denominazione corrente con cui, sin dai tempi della Grande Guerra, viene identificato il grande impianto siderurgico posto tra la stazione ferroviaria, il fiume Serio e il lungo viale che porta al santuario di Santa Maria della Croce. Essa, unitamente all’ottocentesco insediamento tessile del Linificio, ha costituito l’ossatura industriale della città fino alla grande trasformazione degli anni Cinquanta e Sessanta, quando nel nostro paese sono mutati i rapporti tra agricoltura e industria. [...] Sia il Linificio che la Ferriera si erano originate come attività derivate dall’agricoltura, che allora costituiva il settore economico prevalente nel circondario cremasco e nella provincia cremonese: mentre un’impresa lavorava una pianta industriale, il lino, allora abbondantemente coltivata in questi territori, l’altra produceva i ferri di cavallo, un manufatto piccolo ma tanto rapidamente usurabile quanto indispensabile per utilizzare il ricco patrimonio zootecnico esistente non solo nel Cremasco, ma in tutta la Padania.” 1
1. Le Vilète de la Feriera. Il villaggio operaio di Crema (1926-1996), Libreria Editrice Buona Stampa, Crema 1997, p.41
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1. La fabbrica di ferri di cavallo, reclamizzati nel bizzarro ingresso.
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Sessant’anni di storia La fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento segnano un graduale e marcato mutamento urbanistico della città di Crema. Fino a pochi anni prima contenuta e serrata entro le sue vecchie mura, aprì nuovi varchi nella sua cerchia. La zona attigua alla città murata fu individuata come possibile spazio per nuove costruzioni di tipo abitativo o per insediamenti artigianali. Nel 1863 venne inaugurata la ferrovia e costruita la stazione. Il tracciato della linea ferroviaria passa a nord, fuori le mura. Fu pertanto offerta una nuova e moderna opportunità alla città. Il trasporto su rotaie fu considerato importante, anche se con non poche eccezioni, per il decollo industriale della città e la via ferrata fu via privilegiata, per quel tempo, per il trasporto di merci e passeggeri. Dal 1889 una nuova opera infrastrutturale attraversa questo territorio: è il Canale Marzano, nel 1913 intitolato al senatore Pietro Vacchelli. Scopo della costruzione era di approvvigionare ed incrementare i canali irrigatori della zona sud orientale del cremonese. Corre, nel tratto cittadino, parallelo alla ferrovia, delimitando così una stretta e lunga striscia di terreni da poter sfruttare dal punto di vista economico produttivo. Proprio in questa zona esistevano già piccoli opifici che da tempo sfruttavano la risorsa delle acque. Furono così poste le premesse per uno sviluppo di tipo artigianale ed industriale di tutta questa zona. In particolare la parte a sud e ad ovest di Via Mulini, quella connotata in modo più evidente da fertili campi, marcite e abbondanti corsi d’acqua, per lo più derivati da risorgive, subì un massiccio ed invasivo intervento. La diminuita necessità di proteggere la città con fossati e corsi d’acqua, capaci di garantirne la difesa, diede avvio, nei primi anni del secolo, ad una serie di opere di idraulica capaci di alleggerire la portata d’acqua sulla città. La configurazione del terreno, a balze, favorì inoltre lo sfruttamento razionale delle acque utilizzando i dislivelli naturali per muovere magli e mulini; tutte queste caratteristiche anticiparono una vocazione industriale di quella zona.
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1930
2. Costruzione dei capannoni della ditta Lancini.
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La zona dunque era già punteggiata da piccole officine. Una carta topografica del 1902 evidenzia la presenza, superata la ferrovia sul Viale di Santa Maria, di un’area denominata Maglio. Il maglio, da cui il toponimo, era mosso dalle acque della roggia Taglio di Sena, che precedentemente muoveva macchine idrauliche presso un altro insediamento produttivo, la Ressica, con a ridosso la fabbrica Grioni attrezzata per la lavorazione dei ferri di cavallo. Un altro insediamento produttivo, già ben individuato fin dalle carte del 1895, era la fornace Ballerio. In zona, in località Gaeta (toponimo indicante possibili cave di ghiaia a ridosso della via Mulini), era inoltre insediato un altro opificio per la lavorazione dei ferri di cavallo. Il complesso della Ressica rappresentò il nucleo originario della nuova industria: la Ferriera. Nel 1893 originariamente la zona fu occupata dall’opificio di Ferdinando Borella, il quale lo cedette al Sig. Luciano Grioni, che lo sviluppò con la produzione dei ferri di cavallo e un piccolo laminatoio. Successivamente, nel 1910, tale fabbrica di ferri di cavallo fu acquistata dal proprietario terriero Giuseppe Vailati. Subito si rese conto che quella modesta produzione doveva essere integrata per poter meglio far decollare l’impresa e occupare così nuovi spazi di mercato. Questa azione di rilancio e di sviluppo fu assunta dal cognato del Vailati, il dott. Paolo Stramezzi, il quale si avvalse della perizia tecnica di un esperto ingegnere cremasco: Mario Marazzi. Anche il padre, conte Fortunato e lo zio dell’ingegnere, conte Girolamo, si unirono con nuovi capitali all’impresa di Giuseppe Vailati. Il 13 luglio 1913 rilevarono la fabbrica costituendo la società “Ferriera di Crema P. Stramezzi e C.”, aumentando cospicuamente il capitale al fine di raggiungere un significativo potenziamento produttivo. All’originale lavorazione dei ferri di cavallo si aggiunse così anche la laminazione di profilati e tondini. Alla fine del 1927, dopo che nel 1922 furono aggiunti nuovi reparti: la Bulloneria e la Trafila, fu abbandonato e venduto da parte della Ferriera il reparto “Costruzioni metalliche”. I capannoni e l’area più ad ovest furono acquistati dalle Officine Riunite di Crema e F.lli Lancini. Dopo la crisi del 1929, che segnò anche per la Ferriera una battuta d’arresto, negli anni ‘30 la fabbrica stessa diversificò la sua
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1970
3. Veduta della stazione di Crema (sullo sfondo a destra) con un convoglio in transito sul raccordo ferroviario della Ferriera.
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produzione e aprì un nuovo grande laminatoio; nel 1939 furono installati due forni elettrici. A seguito di ciò giunsero nel quartiere nuove famiglie e la popolazione aumentò. La società assunse la nuova denominazione “Acciaieria e Ferriera di Crema P. Stramezzi & C.”. La Lancini, specializzata nella costruzione di ponti e manufatti di carpenteria, fu la seconda fabbrica a dare occupazione agli abitanti delle Villette, il quartiere così denominato, costruito sull’altra sponda del canale, per ospitare le famiglie dei lavoratori della Ferriera. La Seconda Guerra Mondiale irruppe nella storia dell’industria: furono bombardati la Ferriera, la ferrovia e il ponte che attraversa il fiume Serio. Pochi furono gli uomini impegnati sul fronte di guerra, in quanto quasi tutti i capifamiglia lavoravano presso la Ferriera e questo li esonerava dal servizio militare, poichè la fabbrica era considerata “strategica” per i rifornimenti di materiale bellico. Il 31 dicembre 1944 i bombardamenti alleati distrussero la maggior parte dei capannoni e dei macchinari, costringendo la dirigenza al licenziamento della mano d’opera, data la momentanea cessazione dell’attività produttiva. Dal 1946 in avanti furono lentamente ricostruite e recuperate tutte le parti devastate dal conflitto: nel 1949 la fabbrica si dotò di un potente forno “Martin-Siemens” con alimentazione a metano, risorsa di nuova scoperta in Lombardia. All’inizio degli anni Cinquanta la Ferriera Stramezzi era uno degli stabilimenti più importanti d’Europa. Gli anni Cinquanta e Sessanta videro Crema al centro di una seconda espansione industriale, favorita massicciamente dall’arrivo dell’Olivetti nel 1967. La Ferriera raggiunse il proprio apice produttivo all’inizio degli anni Sessanta, dopodichè si instradò verso un lento ed inesorabile declino, aggravato dalla generalizzata crisi degli anni ‘80. Le agitazioni sindacali non ne evitarono la chiusura e lo smantellamento, che avvenne nel 1994. Pochi anni dopo fu aquistata dall’achitetto Irsonti, tuttora proprietario dell’area.
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4/5. Costruzione dei capannoni della ditta Lancini.
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1990
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2000
2010
2013
Magazzini/Scorte
Parcheggio Parcheggio
Falegnami
Spogliatoi
Meccanica Fabbri
Carpenteria
Bulloneria
Infermeria Seconde lavorazioni
Laminatoi
Torneria cilindri
Acciaieria
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Organizzazione della fabbrica La Ferriera incombeva sul quartiere delle Villette lungo la sponda opposta del canale e i suoi diversi settori venivano identificati dagli abitanti del quartiere in relazione alle corrispondenti funzioni. Non si diceva che una persona andava a lavorare an Feriera, ma con maggior precisione: al laura al laminatòi, al du, al tri, al quatre, al laura ai furne, an mecanica, an buloneria, an aciaieria, an trafila per indicare i vari reparti; oppure si diceva: al laura söl piasal, riferito alle prestazioni di manovalanza; oppure: al va al carich e scarich quando si trattava di opera di facchinaggio; per indicare poi il lavoro dell’impiegato, l’espressione utilizzata era: al va ai stüde e con ciò si intendevano gli uffici, ai quali si accedeva per una stradina proveniente dal viale di Santa Maria nei pressi della stazione ferroviaria. I fèr da caaj È stata un’attività svolta in ampia misura fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando la Ferriera di Crema era fornitrice ufficiale di ferri di cavallo all’Esercito Italiano. Ma il commercio dei ferri di cavallo non aveva potenzialità espansive di fronte alla modernizzazione dei trasporti e dei lavori agricoli, così la sua produzione non andò oltre gli anni Trenta e il reparto fu definitivamente chiuso dopo la guerra. I furne, o l’acciaieria Era il settore nel quale si trasformava il rottame in lingotti di ferro, operando con l’ausilio di tre forni, due a corrente elettrica e uno del modello Martin-Siemens. Il processo di lavorazione, in modo semplificato, si svolgeva così: una persona era addetta alla vaporiera, un trenino che trainava avanti e indietro, su appositi binari, alcuni vagoncini carichi di rottami; questo era caricato a mano da alcuni manovali. Dalla vaporiera altri manovali prelevavano il rottame e lo gettavano
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nella bocca del forno con le mani o con apposite pale. Queste due operazioni di manovalanza nel periodo postbellico erano diventate estremamente rischiose per la presenza, in mezzo al rottame, di residuati bellici inesplosi. In seguito questa operazione fu svolta con strumenti più moderni e sicuri, quali il ragno, il carroponte e la calamita elettrica. Caricati i forni si procedeva alla colata: tre elettrodi erano posti nella bocca del forno per colare il ferro, che, reso liquido e incandescente, era riversato nei secchi, grossi recipienti in ferro rivestiti di materiale refrattario e da qui nelle apposite forme per creare i lingotti, che venivano estratti dalla fossa, ancora incandescenti, con una gru e posti sul pavimento del capannone per il raffreddamento. I lingotti che le gru non riuscivano ad afferrare dovevano essere estratti a mano con l’aiuto di stanghe e notevole rischio di infortuni. Era ancora compito dell’addetto alla vaporiera e in seguito del carroponte, trasportare i lingotti sul piazzale esterno e accatastarli, in attesa di passare alla successiva lavorazione nei reparti del laminatoio. Le scorie di questo processo di fusione erano le cosiddette marogne de la Feriera, utilizzate come materiale di riempimento di discariche e adattate dagli abitanti delle Villette a diverse funzioni. I laminatoi Rappresentavano la continuazione del ciclo iniziato nell’acciaieria in quanto vi si trasformavano i lingotti in vari profilati. Prima della guerra il reparto aveva quattro sezioni: i laminatoi uno e due, che vennero distrutti dai bombardamenti e in seguito non più riattivati; e i laminatoi tre e quattro che rimasero in funzione fino alla dismissione. Nel laminatoio tre, dove negli anni intorno alla guerra lavoravano 125 operai, si producevano manufatti di grosso taglio, mentre nel laminatoio quattro, che occupava 88 persone, manufatti di taglio più piccolo. In ambedue i casi il ciclo lavorativo iniziava a partire dai lingotti di ferro che, adeguatamente tranciati nelle dimensioni desiderate, erano messi nel forno, resi incadescenti e passati, tramite un cingolo mobile, in apposite macchine per prendere le forme più varie: il piatto, il tondo, la vergella e i vari tipi di fèr a u, fèr a ti, fèr a
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zeta. Accatastati sul piazzale, dove lavoravano altre 125 persone, erano pronti per entrare nel grande mercato nazionale ed internazionale tramite i vagoni delle Ferrovie dello Stato che avevano un loro scalo all’interno della fabbrica. La bulloneria Installata già negli anni Venti, era un reparto di “seconda lavorazione” in quanto vi si producevano bulloni, dadi, viti e manufatti vari soprattutto per la carpenteria pesante utilizzando una parte dei profilati usciti dai laminatoi, che in tal modo venivano ad avere maggiori possibilità di sbocco sul mercato dei prodotti siderurgici. Era l’unico reparto produttivo nel quale lavoravano anche le donne. Il ciclo della produzione, che usufruiva di attrezzature semplici e assai comuni come i torni e le presse a bilancere, iniziava con il riscaldamento di pezzi di ferro, messi nei forni per essere lavorati a caldo dalle presse, che producevano bulloni di piccolo taglio e caviglie, di taglio superiore, adatte a fissare le rotaie dei treni ai traversi di rovere; c’era poi la cosiddetta berta, una grande pressa a caldo che produceva manufatti di varie fogge, come ad esempio i denti degli erpici per lavori agricoli o, durante la guerra d’Africa, vari pezzi per carri armati; altre macchine producevano dadi che venivano poi filettati, ed era un lavoro soprattutto femminile. Tutto ciò finì nel 1943 quando entrarono in funzione nuove macchine. La trafileria Era l’ultimo reparto nato nell’acciaieria Ferriera e produceva trafilati di alta precisione in barre di acciaio dolce. Il materiale in barre di acciaio dolce che giungeva dal laminatoio veniva in questo reparto ulteriormente lavorato portandolo alle sagome e alle misure desiderate tramite trafile, che erano dischi con al centro una foratura sagomata attraverso la quale venivano fatte passare a tensione le barre dando origine ai trafilati che avevano una tolleranza di misura assai precisa rispetto ai prodotti del laminatoio.
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I stüde Era il reparto di direzione e di computisteria, dove operavano dirigenti e impiegati di sesso maschile e femminile, che raggiunse una punta massima di 60 persone impiegate, considerate nei tempi passati categoria privilegiata. Il complesso consisteva in un Ufficio acquisti, un Ufficio vendite, un Ufficio contabilità, un Ufficio disegnatori tecnici e un Ufficio paga e personale. Ben definite risultavano le gerarchie che governavano questo settore amministrativo e dirigenziale, centro propulsore di tutte le articolazioni dell’azienda: il presidente dott. Paolo Stramezzi e il consigliere delegato Mario Marazzi, fondatori della fabbrica, costituivano il vertice e una sorta di nomi-simbolo nei quali tutti i cremaschi identificavano i padroni della Ferriera. In portineria venivano svolte alcune attività di controllo: all’ingresso l’operaio doveva stacà la medaja per segnalare la sua presenza, sistema più tardi sostituito dal timbro del cartellino, e subire un controllo da parte del portinaio che aveva tra l’altro il compito di verificare che non si portasse sul posto di lavoro, insieme con la schisèta delle vivande, una quantità superiore a mezzo litro di vino; in uscita l’operaio doveva attraversare una sorta di percorso obbligato munito di semaforo che lasciava passare con l’accensione di una luce verde e bloccava se la luce diventava rossa; in tal caso il lavoratore doveva subire un controllo da parte degli addetti per accertare che oggetti utili o strumenti di lavoro non venissero furtivamente sottratti alla fabbrica. La Lancini L’edificio si estendeva lungo il canale verso ovest in continuità con la Ferriera e produceva manufatti di carpenteria pesante, ad esempio grossi serbatoi o strutture per ponti in ferro, come quello di Lagoscuro, diventato celebre nella memoria degli operai e degli abitanti delle Villette. Fino al 1950, prima cioè che venisse introdotto il sistema più comodo e veloce della saldatura, questi grandi manufatti erano costruiti con il sistema antico della chiodatura ed era questa la caratteristica che determinava e al tempo stesso
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qualificava il sistema di lavorazione adottato. Tagliate delle lastre di lamiera secondo dimensioni e modelli prefissati, venivano unite insieme per formare il manufatto desiderato con chiodi e bulloni messi a scaldare in fucina dal garzone, il quale li lanciava al rebatör che con una tenaglia li introduceva nei fori della lamiera e li ribatteva con un martello ad aria compressa mentre un altro, con l’ausilio di un paletto, lo batteva; l’operazione era conclusa con un colpo dato con un apposito scalpello tondo. I manufatti erano poi caricati, mediante un paranco a tre piedi, su vagoni e portati a destinazione tramite la rete ferroviaria, che aveva, analogamente alla Ferriera, uno scalo all’interno della fabbrica. Anche nella Lancini c’era varia articolazione di gerarchie e di ruoli all’interno della classe lavoratrice; esisteva poi una categoria fuori schema e clandestina, intorno alla quale i lavoratori stendevano una sorta di velo di omertà: erano chiamati scherzosamente i sutradur, coloro che si prestavano a nascondere furtivamente sotto terra pezzi mal riusciti, magari per misura errata, in qualche angolo del vasto piazzale, detto “il cimitero degli errori”. Emerge, attraverso questa articolata nomenclatura della Ferriera e della Lancini una dettagliata organizzazione del lavoro affidata a ben precisi gradi di competenza che l’individuo poteva raggiungere attraverso una progressione individuale basata su qualità personali, successive esperienze e riconosciute prestazioni. A differenza di quanto avveniva in altri settori di lavoro, nel mondo della fabbrica veniva offerta la possibilità di percorrere una scala gerarchica che comportava anche miglioramenti economici e riconoscimenti sociali importanti. Depandances In questo stretto rapporto tra la fabbrica e il quartiere non vanno dimenticati tre servizi collegati alla Ferriera e alla Lancini e dei quali gli abitanti/lavoratori delle Villette hanno abbondantemente usufruito: La mutua aziendale interna, sorta dopo qualche anno dalla fondazione della Ferriera in forma indipendente dalla Mutua nazionale. L’amministrazione, autonoma, è stata sempre attiva
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con il diretto controllo dei medici addetti. I testimoni ricordano che la Mutua della Ferriera era tra le più organizzate ed efficienti del territorio cremasco e dava la possibilità a operai e familiari di accedere alle migliori specialità mediche e terapeutiche. La mensa aziendale: allestita nelle due fabbriche per i dipendenti ed estesa anche ai familiari, serviva soprattutto ai più vicini, cioè agli abitanti delle Villette. L’infermeria: messa in funzione all’interno della fabbrica soprattutto per offrire i primi soccorsi agli operai infortunati, era anche una specie di pronto soccorso per gli abitanti delle Villette. Il Dopolavoro: trasferito alle Villette dal 1941, dopo aver avuto la propria sede a porta Tadini, indipendente da ideologie e formazioni politiche e partitiche, è stato un centro a disposizione dei lavoratori delle vicine aziende con diverse funzioni: ambiente ricreativo con bar, giochi di bocce e carte, intrattenimenti musicali, teatro popolare, spettacoli, gite turistiche; luogo per la refezione del mezzogiorno; luogo di incontro per i lavoratori che attendevano il fischio di inizio o di ripresa del lavoro.
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6. Veduta aerea della Ferriera.
Lamiera
Luce
Capriate in cemento
Capriate in acciaio
Acciaio
Cemento
Mattone
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Conseguenze della dismissione L’area oggetto della tesi è quella occupata dai capannoni della ditta Lancini. Si tratta di un’area molto ampia, di circa 20mila metri quadrati, su cui sono stati costruiti, in diverse fasi, alcuni fabbricati, uno adiacente all’altro, di dimensioni ingenti. Questi inglobano, al loro interno, due fabbricati di costruzione più antica, identificabili a prima vista dal loro diverso approccio costruttivo. La fabbrica, ora in dismissione, si presente come un “cimitero di rottami”, ed era questo, appunto, il nome con cui veniva identificata l’ampia area delimitata dai grossi pilastri che sostengono il carroponte a sud, confinante con i binari della stazione. L’edificio è il più incombente all’interno dell’area dell’ex-Ferriera, ma nonostante ciò la sua percezione dall’esterno è limitata. Infatti l’area è delimitata a sud da un muro alto circa 4,5 metri che la separa dai binari della stazione, ad est da un giardino ormai abbandonato e dagli uffici che ne nascondono l’entrata, posta a una quota più bassa rispetto al piano stradale di Viale Santa Maria, e infine a nord, lungo l’asse del canale Vacchelli, il fabbricato si nasconde dietro il lungo prospetto di quello che una volta era l’edificio contenente i magazzini, anch’esso abbandonato e risalente ad un’epoca precedente alla costruzione della Lancini. L’area vista dall’alto sembra quasi isolata, tagliata da due direttrici che pongono la fascia industriale della Ferriera come divisione tra il centro della città di Crema e il quartiere di Santa Maria. L’unico collegamento tra le due parti di città è costituito dal Viale di Santa Maria, che taglia perpendicolarmente le due direttrici e conduce alla chiesa omonima. Le due direttrici di cui si parla sono: a sud i binari della stazione e a nord il canale Vacchelli. Oltre ad essere due linee nette visive per chi guarda l’area dall’alto, sono anche due limiti fisici che isolano l’area industriale e le conferiscono un carattere particolare ed indipendenete rispetto ai quartieri cittadini limitrofi. Oltre a queste direttrici, di isolamento, altri “oggetti” fungono da separatori visivi per chi si aggira nei dintorni della fabbrica: l’edificio
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in linea che ne costituisce il prospetto affacciato su via Gaeta e sul canale, e il carroponte a sud, elemento caratterizzante l’esterno di quest’area e maggiormente visibile dai passeggeri dei treni in arrivo o in partenza da Crema, e anche da alcuni punti all’interno della città. Per accedere all’interno di quest’area erano stati creati due ingressi, che resteranno tali per il nuovo intervento: uno ad est attraverso una stradina collegata al Viale di Santa Maria e uno, in comune con la bulloneria, ancora in attività, su via Gaeta. La stradina collegata al viale è leggermente in pendenza, quindi l’ingresso è situato ad una quota più bassa rispetto alla quota stradale. Da questo accesso si poteva entrare direttamente negli uffici, mentre quello su via Gaeta portava al piazzale e ai magazzini. Gli elementi costruttivi del fabbricato sono molteplici. I nuclei più vecchi della Ferriera sono due, uno posto all’estremità nordovest e l’altro quasi al centro dell’edificio. Sono riconoscibili dai diversi materiali di costruzione, dall’altezza ridotta e dalla diversa configurazione della copertura. Questi nuclei risalgono agli anni ‘10 e ‘20 del Novecento.
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MATTONE I mattoni sono utilizzati nella struttura di tamponamento dei nuclei piÚ antichi e per tutto il muro che corre lungo il perimetro dell’edificio, e che raggiunge un’altezza di circa 4,5 m. I laterizi sono pieni, uniti con giunti di malta e posati a due teste.
CALCESTRUZZO I fabbricati, costruiti negli anni Cinquanta, presentano una struttura a telaio, di calcestruzzo e metallo, di dimensioni molto elevate, che si integrano e a volte si confondono con le murature precendeti. Il calcestruzzo è presente come struttura portante, sottoforma di pilastri, travi, muri e capriate, nel nucleo centrale dell’edificio. Anche gran parte delle pavimentazioni è stata realizzata in gettate di calcestruzzo, anche se l’usura e lo smantellamento degli stabilimenti hanno distrutto il materiale. Visibili sono le gigantesche buche che caratterizzano la pavimentazione dell’intero edificio e che incidono sulla scelta dei percorsi da effettuare all’interno di esso. Queste buche, in passato, contenevano i macchinari per la fabbricazione dei profilati e secchi di acidi per la pulitura del ferro.
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METALLO Ăˆ il materiale piĂš diffuso. Esso non riguarda solo le strutture architettoniche: molti sono i residui della produzione che si sono depositati sul suolo portando alla creazione di un deposito diffuso di bulloni e chiodi. I materiali metallici sono stati utilizzati per: le strutture a telaio dei capannoni (pilastri, capriate e travi in profilati IPE) realizzate in acciaio; le travi reticolari posizionate al di sotto delle capriate lignee nei nuclei piĂš antichi, realizzate in acciaio, sia lungo la campata sia lungo la navata; i telai delle finestre e i serramenti dei vani tecnici; tubature ed impianti; la struttura portante delle lamiere ondulate utilizzate per la chiusura superiore degli edifici.
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LUCE La luce è l’elemento più spettacolare all’interno di questo edificio. Essa penetra attraverso le finestre poste in copertura oltre che da numerose finestre interne, che si adattano di volta in volta ad esigenze diverse. Anche la lamiera, ormai deteriorata in molti punti in copertura, lascia filtrare la luce, creando un effetto spettacolare negli interni dell’edificio.
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2# CREMA
FRA NATURA E STRUTTURA
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CREMA La città di Crema ospita diverse associazioni culturali, collettivi, gruppi di artisti, che organizzano eventi di vario genere per avvicinare la cittadinanza all’arte. Si tratta, soprattutto, di giovani tra i 20 e i 40 anni, che operano insieme per dare vitalità all’aspetto artistico della città. Un aspetto degno di nota di questi gruppi è la loro disposizione a collaborare insieme per dare vita ad eventi o manifestazioni che coinvolgano il maggior numero di persone. La mappatura delle attività artistiche nel cremasco evidenzia le distanze dall’area di progetto delle stesse, e si può quindi sottolineare come quest’area sia collocata in un punto strategico della città, ottimale per la realizzazione di eventi per i quali sia prevista una grande affluenza. Un altro aspetto individuato dalla mappatura è che due di queste associazioni non hanno a disposizione una vera e propria sede, ma si appoggiano ad enti esterni per avere a disposizione degli spazi per i loro eventi. Queste sono ARTSHOT e TAZEBAU, tra le più vive nel cremasco, che organizzano ogni anno eventi che richiamano un numero considerevole di persone.
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1 2 3
ARTSHOT
4 5 6 7 8 9
TAZEBAU
4 2
8
3
0,7 km
5 0,8 km
7
6
1,1 km
9 1
1,6
km
bi le di sp on i io sp az
Amenic Cinema
ARTSHOT
Centro Ricerca A. Galmozzi
Met Levi
Museo Civico
TAZEBAU
% .5 15
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% .5 23
sponsor
vendita gudget
10 membri fondi
sponsor
fondi
donazioni
iscrizioni soci laboratori teatrali
ARTSHOT C.T: ”Cos’è Artshot e di cosa si occupa?” M.D.T: “ArtShot è tante cose. Un organizzazione, o un festival? Per noi che siamo dentro, è l’organizzazione di un festival, per chi ci viene, è un festival organizzato. ArtShot è il nome con cui chiamiamo la settimana più bella di Crema. Si occupa di tutte quelle cose che ai giovani sembrano poco valorizzate. Il sociale, l’arte, la creatività. Il Festival è un raccoglitore di quello che la città ci offre. Apriamo un bando per tutte le sezioni che ci vengono in mente, e accettiamo richieste di altri stili, allestiamo una mostra per la durata del festival e degli eventi ogni sera, di musica, teatro, danze, video, arte di strada. Quest’anno parallela alla mostra abbiamo organizzato anche un contest di illustrazione.” C.T: “Quanti membri avete? Come siete organizzati?” M.D.T: “Nell’organizzazione siamo una decina, l’età varia da me, che ho 21 anni, a più di 30. Ci troviamo una volta alla settimana, più spesso se ce n’è bisogno, e abbiamo un gruppo per le email. Durante il festival abbiamo dei ruoli precisi, ognuno si occupa di uno o più aspetti del festival, e di una sezione. Io, ad esempio, mi occupa della sezione espositiva, del reading e di altri aspetti puramente tecnici durante il festival. Tendenzialmente ognuno ha il suo. Durante gli anni gli organizzatori sono cambiati ed anche i ruoli. Durante il festival contiamo molto anche sull’aiuto di amici vari, sopratutto per quanto riguarda le cose più immediate (allestire, spostare sedie, montare palchi). Non c’è un capo generale di artshot, ma ovviamente chi è dentro da più tempo ha più conoscenze.” C.T: “Che tipo di attività organizzate?” M.D.T: “Durante l’anno siamo apparentemente inattivi, ma quest’anno abbiamo organizzato una giornata di laboratori al Liceo A. Racchetti di Crema. Abbiamo proposto diversi laboratori (fotografia, make up da zombie, danza africana, pittura, percussioni, video, giocoleria). Abbiamo avuto un altissimo apprezzamento da parte dei ragazzi. Io, personalmente, penso che la richiesta dei “nuovi” giovani sia un po’ questa, scoprire la creatività. Inoltre organizziamo anche dei pre eventi, in primavera. Quest’anno ce ne sono stati due, uno di musica e una mostra di fotografia.” C.T: “I vostri eventi sono a pagamento?”
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FRA NATURA E STRUTTURA
M.D.T: “Assolutamente no.” C.T: “Dove trovate i fondi per organizzare i vostri eventi? ” M.D.T: “Ad ArtShot abbiamo pochi sponsor, sempre gli stessi da anni, che ci sono fedeli e credono in noi senza remore. Siamo autofinanziati, offriamo aperitivi ad offerta libera. Chi ci conosce sa che è questo il modo per sostenerci finanziariamente. L’anno scorso abbiamo venduto anche delle magliette.” C.T: “Avete delle scadenze, ci sono degli eventi ciclici? “ M.D.T: “ArtShot è l’unico evento fisso. Si colloca tra le ultime di giugno, in genere, quest’anno è un po’ più in ritardo, la prima di luglio. Verso marzo/aprile cerchiamo di organizzare almeno un pre evento, ma siamo in continuo cambiamento anche internamente, e le idee sono ogni anno diverse. E anche il tempo che possiamo dedicare all’organizzazione di cose “oltre” il festival.” C.T: “Che tipo di spazi usate per le vostre attività? “ M.D.T: “Al momento siamo ospiti della fondazione San Domenico. Usiamo il teatro interno, un palco più piccolo che montiamo nei chiostri, i corridoi per la mostra. ArtShot è nato come “invasione” della città, quindi tentiamo ancora di uscire dai “confini” del teatro, organizzando eventi per le strade cittadine. L’anno scorso siamo stati nel quartiere di Santa Maria, con un evento per bambini, alla Caritas e nella Casa Famiglia di San Giacomo.” C.T: “Avreste bisogno di altri spazi? Se sì di che genere? “ M.D.T: “Ci arrangiamo, lo spazio non è tra le nostre prime necessità. Ovviamente sarebbe bello avere uno spazio “apposito”. Una zona più consona all’esposizione è senz’altra la nostra prima necessità, ma in uno spazio per ArtShot non può mancare un palco, una zona per proiettare. Per lo stile che abbiamo sarebbe bello ci fosse una zona all’aperto. “ C.T: “Se a Crema vi dedicassero degli spazi appositi, che caratteristiche dovrebbero avere? “ M.D.T: “Più o meno quelle che ti ho descritto sopra. Una zona per la mosta più consona, con dei pannelli apposta. Un palco all’esterno di dimensioni utili.
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Dovrebbe essere in una zona non periferica della città, aperta a tutti. C.T: “Sareste disposti a collaborare o condividere questi spazi con altre associazioni, come per esempio il Tazebau? “ M.D.T: “Non essendo il nostro festival “permanente” si, non ci sarebbero problemi. Ma nel periodo del festival dovremmo esserci solo noi, dargli il nostro carattere. Ovviamente sarebbe bello avere uno spazio “ArtShot”, riusciremmo ad organizzare molti più eventi, laboratori, mostre. “
C.T: Clara Taverna M.D.T: Micol Della Torre
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FRA NATURA E STRUTTURA
TAZEBAU C.G: “Cos’è Tazebau e di cosa si occupa?” I.F: “Siamo un’associazione culturale no profit, che si occupa di arte. Prevalentemente siamo incentrati sul teatro, ma abbiamo intenzione di proporre anche eventi e iniziative riguardanti altre arti, come la fotografia, le belle arti ecc.. Essendo però ancora un’associazione giovane (e inesperta) non abbiamo, per ora, programmi intensi. In realtà l’associazione esiste già da qualche anno (è nata nel 2005), ma da quest’anno è cambiato il direttivo e sono entrate quindi anche nuove idee, intenzioni e prospettive.” C.G: “Quanti membri avete? Come siete organizzati? ” I.F: “Innanzitutto esistono due tipi di “membri”: i soci, che sono tutti coloro che aderiscono all’associazione tesserandosi, e i membri del direttivo: le persone elette da tutti i soci in riunione, che svolgono ruoli organizzativi e gestionali. Il numero di membri varia, ma devono esserci obbligatoriamente tre membri fondamentali: il presidente, il tesoriere e il segretario. Quest’anno abbiamo anche un direttore artistico, ma è superfluo. Il presidente è colui che tiene le riunioni e gestisce le decisioni, l’organizzazione di tutto; il tesoriere è colui che tiene la “cassa” dell’associazione e i conti di entrate e uscite; il segretario è colui che durante le riunioni tiene il verbale di quanto accade e di cosa viene deciso.“ C.G: “Che tipo di attività organizzate?” I.F: ”Come già accennato, l’associazione si occupa di organizzare eventi ed iniziative artistiche e culturali che spaziano un pò in tutti i campi artistici, ma prevalentemente abbiamo un’impronta teatrale. C.G: “I vostri eventi sono a pagamento?” I.F: “Premesso che fin’ora abbiamo organizzato solo due eventi da quando è cambiato il collettivo, al primo evento, la quota del biglietto era decisa dalla compagnia teatrale che abbiamo chiamato a Crema, quindi in realtà i soldi andavano agli artisti, mentre il secondo evento (cioè il nostro spettacolo) è fatto direttamente da noi, quindi era ad ingresso libero. In linea di massima, per quanto riguarda i pagamenti, dipende dai singoli eventi. Inoltre i soci tesserati possono godere di sconti qualora l’evento fosse a pagamento.” C.G: “Dove trovate i fondi per organizzare i vostri eventi?”
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I.F: “I fondi di cui disponiamo derivano dalle quote versate dai soci per l’iscrizione, donazioni e dall’acquisto di gadget di eventi passati (come CD, immagini, magliette ecc..) o biglietti d’ingresso agli eventi che lo richiedono, sempre però da parte dei soci (perchè per legge possiamo vendere qualsiasi cosa solo agli iscritti).” C.G: “Avete delle scadenze, ci sono degli eventi ciclici?” I.F: “Per ora l’unico evento fisso annuale è quello dello spettacolo teatrale che noi stessi prepariamo e che, in questi tre anni, abbiamo presentato sempre al teatro di Romanengo.” C.G: “Che tipo di spazi usate per le vostre attività?” Se a Crema vi dedicassero degli spazi appositi, che caratteristiche dovrebbero avere? ” I.F: Lo spazio di cui necessitiamo principalmente è una sede per le riunioni e, che, magari possa anche funzionare come spazio espositivo e, perchè no, come teatro. Fin’ora però, gli unici spazi di cui disponiamo sono case dei soci che si rendono disponibili ad ospitarci per riunioni, prove ecc... oppure dobbiamo chiedere dei permessi specifici ai teatri (nei casi degli spettacoli) o ai comuni o ad altri enti per spazi espositivi pubblici o privati, ma non sempre otteniamo gli spazi di cui necessitiamo. Quindi la cosa migliore sarebbe avere un’unico spazio di cui usufruire. Se a Crema riuscissimo ad ottenere uno spazio nostro, dovrebbe soddisfare tutti questi bisogni: riunioni, esposizioni, spettacoli e, perchè no, uno spazio di svago, con angolo bar o banchetto per acquisti e/o tesseramenti. Quindi dovrebbe essere uno spazio grande e multifunzionale, che riesca a soddisfare tutte queste esigenze così varie (un palco, un posto conferenze/ riunioni, stanze per esposizioni (che possano soddisfare qualsiasi tipo di esposizione/mostra artistca, dalla mostra di fotografia alle installazioni, alle performance e magari anche uno spazio per proiezioni video (per video-installazioni o cineforum ecc..), quindi oscurabile.” C.G: “Sareste disposti a collaborare o condividere questi spazi con altre associazioni, come per esempio ArtShot?” I.F: “Credo che la condivisione di un unico spazio possa risultare difficile, in quanto essendo due associazioni indipendenti l’una dall’altra organizziamo eventi e iniziative diverse e, secondo me, per un fatto di organizzazione sarebbe difficile non “cozzare” o intralciarsi. Sarebbe
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FRA NATURA E STRUTTURA
possibile una condivisione solo se si riuscisse a organizzarsi in fatto soprattutto di tempistiche e spazi. Es. Se noi organizzassimo una mostra di fotografia nell’apposito spazio, l’associazione di ArtShot non potrebbe organizzare un’altra mostra nello stesso spazio, a meno che non ce ne fosse un’altro disponibile. Stessa cosa per gli spettacoli teatrali. Alcuni eventi non sono organizzabili contemporaneamente. Uguale per le riunioni, non potremmo svolgerle negli stessi giorni, ma mettersi d’accordo e fissare precedentemente gli appuntamenti. In conclusione è una cosa fattibile ma solo con una grande collaborazione e disponibilità da entrambe le associazioni e da parte di tutti i membri che le compongono.
C.G: Cinzia Giardino I.F: Irene Fioretti
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3# REUSE
FRA NATURA E STRUTTURA
3#
REUSE L’ipotesi alla base della politica del Re-Use è che le risorse che la città offre sottoforma di edifici dismessi di varia natura siano delle fonti da cui ricavare stimoli ed ispirazioni, siano catalizzatori di attenzioni e di desideri progettuali. Questi ex-luoghi, spazi cioè che hanno perso una loro identità legata alla realtà per cui erano nati, sono “luoghi di nessuno” in transizione verso nuove forme di definizione da parte dell’esperienza di tutti. Tali aree possono diventare occasione di progetti di riuso sociale, teatro di iniziative ed eventi nei quali si creano le condizioni adatte allo sviluppo di interazioni tra istituzioni e parti sociali, nella creazione di nuove forme e contenuti per la sfera pubblica. Questi edifici o aree dismesse, che praticamente possono essere assimilati a dei vuoti urbani, costituiscono una preziosa risorsa spaziale inutilizzata. Alcuni di questi luoghi, in passato, ospitavano funzioni specifiche che hanno caratterizzato l’aspetto, le funzioni e il significato sociale; il riuso di questi permette alla società di esprimere nuove idee, nuove istanze progettuali e anche di cambiare il connotato sociale degli spazi e del territorio dove essi si trovano. Altri spazi, invece, non sono mai stati luoghi rappresentativi per la città perchè marginali, poco funzionali oppure erroneamente progettati e attraverso il loro riuso, o nuovo uso, vengono reinterpretati e reinventati fino a diventare parti attive di città. Da letture di vario genere sui casi di riuso nazionali e nel mondo, esce una gamma di combinazioni e di opportunità nella tipologia di riuso, tra le quali risulta predominante la categoria delle dismissioni industriali che ha caratterizzato lo sviluppo della società contemporanea dagli anni ‘80 ad oggi.
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FRA NATURA E STRUTTURA
ESPERIENZE DI REUSE I seguenti casi di Re-Use rientrano nella casistica di edifici industrali dismessi e riconvertiti con funzioni di vario genere. Filo conduttore di questi progetti, e catalizzatore di particolare interesse per il progetto della Ferriera di Crema è il tema del verde, che accomuna gran parte dei casi studio riportati in seguito. L’abbandono di un’area, la sua dismissione, dona alla natura la libertà di prendere possesso e stanziarsi in questi spazi. Si tratta di una specie di parassitismo infestante, in cui ogni genere di pianta che trovi le condizioni ideali di crescita, va ad insediarsi all’interno di questi edifici. Ecco che in questi progetti invece, il verde non è visto come parte infestante e quindi da eliminare, ma, al contrario, parte integrante del progetto, che ridoni vitalità a questi spazi. In altri casi, invece, dove la parte naturale è il suolo della dismissione, gli elementi abbandonati vengono integrati in questo ambiente, quando invece da attivi venivano visti come elementi anomali del sito. Altra tematica comune a queste esperienze e a quella della Ferriera di Crema consiste nel rendere disponibili questi spazi per attività creative, che sensibilizzino le persone e le avvicinino al mondo dell’arte inteso come spazio di scambio di conoscenze e di interazione.
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> LA RUHR “Il cielo sopra il Distretto della Ruhr deve tornare ad essere di nuovo blu!” [Willy Brandt] La Ruhr è un’ampia regione che si estende per 4400 chilometri quadrati nella Germania nord-occidentale. Lunga 120 km da capo a capo, delimitata dai fiumi Ruhr a sud, Emscher al centro e Lippe a nord, ospita circa 5 milioni di abitanti. Osservata dall’alto, questa zona appare caratterizzata da un sistema insediativo continuo: da un centro maggiore si sviluppano abitati sempre più radi fino ad arrivare al centro successivo. Altra caratteristica del paesaggio sono le halde, colline derivate dalle scorie di lavorazione degli impianti produttivi ormai dismessi, su cui ora sorgono imponenti landmarks disegnati da alcuni tra i più affermati artisti contemporanei. Peculiarità della regione è la presenza del carbone, che si colloca su un piano immergente da nord a sud. Per questo motivo, a partire dal XIX secolo, la regione diventò quella che si potrebbe definire una colonia interna di sfruttamento industriale, dedicata all’estrazione di carbone e alla produzione di ferro e acciaio. Il sistema che si sviluppò nell’Ottocento, che aveva come punto di riferimento la fabbrica, ha costituito l’ossatura portante della regione fino agli anni ‘60. Tra il 1960 e il 1980 si avviò un processo di crisi che portò alla graduale chiusura di larga parte degli impianti: si è posto così il problema di reinventare l’identità della zona, di recuperare un territorio inquinato e contaminato e di individuare una via postindustriale per lo sviluppo successivo della regione. Oggi la Ruhr è ancora una regione importante sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista economico. L’obiettivo è stato quello di definire nuove reti di centralità culturali e del tempo libero. Gli obiettivi generali sono stati essenzialmente due: - la costruzione dell’identità dei monumenti dell’industrializzazione come risorse - dare impulso all’area dell’Emscher
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E’ attraverso questa strategia che oggi, mentre alcuni dei vecchi minatori continuano a frequentare le gallerie e le sale macchine nella nuova veste di guide e ciceroni di un passato che non vuole essere dimenticato, numerosissime nuove piccole industrie, soprattutto nel settore informatico, nella distribuzione e nell’artigianato, occupano gli antichi spazi frazionati dall’ente pubblico e rimessi a disposizione dei privati. Il livello culturale è molto cresciuto; una parte degli antichi canali in cemento è stata naturalizzata; molte delle grandi industrie che hanno fatto la storia della Ruhr sono state trasformate in parchi aperti al pubblico; i villaggi dei turchi sono stati restaurati e dotati di piccoli orti privati; i monumenti più importanti ripuliti e lustrati per nuove destinazioni culturali; l’aria è tersa e la polvere nera che un decennio prima copriva ogni cosa, è solo un ricordo. Il nuovo si intreccia al vecchio portando nuove letture e nuovi significati. Le trasformazioni avvenute nell’area della Ruhr sono molteplici. Essene, la Zeche Zollverein, miniera di carbone risalente al 1847 e trasformata negli anni ‘20 in stile Bauhaus, oggi è patrimonio dell’umanità. Il progetto urbanistico dell’area è opera di Rem Koolhaas, che ha realizzato un parco di oltre 100 ettari e riutilizzato il pozzo principale della miniera per l’estrazione del carbone per collocare il Museo della Ruhr, a cui si accede attraverso una scala luminescente color arancione che ricorda il fuoco. Nella gigantesca caldaia della Zeche Zollverein, nel 1997, Norman Foster ha creato il Red Dot Design Museum che, tra i tubi della caldaia, raccoglie una ricca raccolta di pezzi di design moderno. Ad Oberhausen il gasometro più alto d’Europa è stato trasformato in uno spazio espositivo ed é ambita meta di eventi culturali. All’interno, i suoi ampi spazi – 120 metri di altezza e 68 metri di diametro – sono attraversati da un ascensore di cristallo. A Duisburg, ancora Norman Foster ha trasformato l’area dell’ex porto fluviale facendola rivivere in luogo di incontro e divertimento. E qui, ad opera degli architetti svizzeri Herzog & de Meuron, è stato trasformato un vecchio mulino in un museo di arte contemporanea, il Museo Kuppersmuhle.
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Burckhardt + Partner and Raderschall Landschaftsarchitekten AG
> MFO-PARK Zurich Oerlikon, Switzerland
L’area dismessa delle officine Oerlikon a Zurigo è stata recentemente interessata dalla conversione in parco pubblico che si configura come una vera e propria architettura verde, una specie di casa parco che ridefinisce il tema del giardino in città. Secondo di quattro parchi ideati per il nuovo centro residenziale di Zurigo-Nord, l’MFO è un grande padiglione rivestito esternamente e internamente da manti vegetali che mutano di colore e forma in base alle diverse stagioni. La struttura in acciaio, lunga 100 m e alta 17, disegnata sul profilo del volume preesistente, è paragonabile a una grande pergola progettata su scala urbana. Oltre 1200 diverse piante rampicanti, dalla vegetazione rigogliosa e profumata, caratterizzate da una grande varietà di colori, si abbarbicano per il loro naturale sviluppo nei pilastri in acciaio, nei tiranti, nelle travi reticolari metalliche che limitano ed organizzano il parco, rivestendoli completamente. Nel corridoio della struttura con pareti inverdite si alternano scale in acciaio zincato e passerelle, e aggettano secondo un ritmo regolare logge coperte di legno che servono da belvedere. Al piano più alto l’ampio solarium offre la vista sul nuovo quartiere residenziale. L’atmosfera di serena tranquillità del giardino invita alla sosta e alla lettura, ma il padiglione può diventare il luogo ideale per lo svolgimento di rappresentazioni e concerti. Una vasca d’acqua e diversi elementi di seduta costituiscono il principale punto di attrazione dell’area. Di notte, il volume inverdito, completamente illuminato, risalta nello spazio urbano e in occasione di manifestazioni l’illuminazione è integrata da corpi sospesi sulla copertura. L’MFO è un esempio di come una costruzione realizzata con 33 tonnellate di travi d’acciaio di sostegno e 30 chilometri di cavi, possa essere meravigliosamente trasformata in un’immensa pergola fiorita, un rifugio non solo per gli uccelli ma anche per le persone.
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Rafael Moneo
> STAZIONE FERROVIARIA DI ATOCHA Madrid, Spain 1992
Nel 1992 la Spagna ha dato il via ai festeggiamenti per il cinquecentenario della scoperta dell’America, ha inaugurato l’Esposizione Universale e celebrato l’apertura dei giochi Olimpici. Eletta, nello stesso anno, capitale culturale dell’Unione Europea, la città accoglie un numero immenso di visitatori. I lavori ultimati alla stazione di Atocha si iscrivono in questo slancio di rinnovo dell’immagine dell’intero paese. La parte antica della stazione, opera di Alberto del Palacio, risalente alla fine del XIX secolo, si erge al margine del Paseo del Prado, la passeggiata che separa il lussuoso parco reale del Buen Retiro dai quartieri del centro storico. L’edificio occupa un terrapieno che cela un dislivello di una decina di metri tra il piano stradale e il piano dei binari e che ha reso a lungo impossibile il proseguimento della passeggiata. Fiancheggiato da edifici ad alto valore culturale, il fabbricato ottocentesco chiude l’asse del Paseo del Prado lasciando dietro di sé un’area irrisolta, disordinata e incerta. È con lo scopo di eliminare tale barriera tra il quartiere della Castellana, a nord, il centro storico e i quartieri più a sud, che nel 1984 venne bandito un concorso per l’ampliamento della stazione e la riqualificazione dell’intera area urbana adiacente. Il progetto di Moneo, vincitore del concorso, propone un’articolazione di nuovi corpi di fabbrica affiancati all’edificio esistente e che creano un insieme di percorsi e di spazi pubblici collegati tra loro. Lo spazio più suggestivo all’interno è la navata centrale della vecchia stazione, trasformata in un giardino botanico, con aree di sosta, bar e ristoranti di qualità. E’ appunto il giardino, l’altezza del verde, la parte che si impone come attrazione principale. Addentrandosi poi all’interno si nota una quantità di varietà vegetale imponente, proveniente da tutto il mondo. A parte alcune zone, il giardino è liberamente percorribile. La stazione, notoriamente immaginata come luogo di passaggio, diventa un luogo da vivere con tutti i sensi. La natura ha trasformato un’opera dell’uomo.
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ADH Doazan+Hirschberger
> JARDIN DES FONDERIES/FOUNDRIES’ GARDEN Nantes, France
Il Foundries’ Garden è situato in una zona periferica sull’”Ile de Nantes”, uno dei più grandi progetti urbani in costruzione in Francia. Diretto da Alexander Chemetoff dal 1990, il progetto ha trasformato una lunga fabbrica dismessa e la zona circostante in un grande contenitore sociale di 350 ettari. La visione di Chemetoff si basa su due concetti: - riutilizzare la maggior parte delle strutture esistenti - prestare attenzione e cura alla storia e alla geografia del luogo, nonchè al suo ambiente sociale. Si tratta di una riqualificazione di un edificio e degli spazi pubblici intorno al complesso Atlantique Fonderies, un’azienda specializzata nella produzione di eliche per navi. Forni industriali, rotaie e pozzi sono tracce visibili della vecchia attività. Gli obiettivi principali sono stati: - creazione di un garden under a roof: uno spazio pubblico coperto per l’uso quotidiano, con giochi per bambini e spazi per eventi di quartiere - uso dell’ex attività industriale non solo come museo, ma anche come ricordo, legame al luogo in cui sono stati impiegati molti cittadini del quartiere, per i quali la conservazione del sito è un emozionante tributo al passato industriale della città e della loro vita lavorativa. Il giardino è diviso in due parti: “Le jardin des fours”, che si trova intorno ai quattro forni, caratterizzato dalla presenza di graminacee e bambù che creano delle “colonne verdi” accanto a nuovi serbatoi per l’acqua; il “Travels Garden”, il giardino che occupa la maggior parte del sito: è costruito ad un’altezza di 1.50 m a causa dell’inquinamento del terreno sottostante. Il tema del viaggio è illustrato con una collezione di piante importate in Europa attraverso i principali porti dell’Atlantico, durante il XVI, XVII, XVIII secolo, grazie a spedizioni scientifiche ed economiche oltreoceano. La chiusura del sito, data dalla struttura e dalla protezione degli edifici circostanti, protegge dal vento e permette l’innalzamento della temperatura di 3-4°C rispetto a quella esterna.
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Lacaton & Vassal
> PALAIS DE TOKYO Paris, France 2001
Il Palais de Tokyo venne costruito nel 1937 per l’Esposizione internazionale di arte e tecnologia di Parigi e fu successivamente utilizzato, tra l’altro, come Museo nazionale di arte moderna, Centro nazionale della fotografia e Palazzo del cinema. Alla fine degli anni Novanta, fu abbandonato a un destino incerto, fino a quando, nel 1999, il Ministero della Cultura decise di adibirlo alla sua finalità attuale: uno spazio di esposizione e creazione per artisti contemporanei, aperto al pubblico da mezzogiorno a mezzanotte. Il suo interno era stato trasformato e aveva subito un terribile deterioramento a causa dell’avvicendarsi di differenti utilizzi, arrivando quasi a rendere irriconoscibili la configurazione e la complessità spaziale del progetto originario. L’intervento al Palais de Tokyo non segue le regole di trasformazione/ mutazione dell’esistente. Lacaton & Vassal proposero una strategia di “postproduzione leggera”, che valorizzava le caratteristiche fisiche ed estetiche del complesso, effettuando trasformazioni minimali e necessarie a migliorare l’accessibilità e la sicurezza. Il Palais de Tokyo sarebbe diventato così uno spazio cangiante e fluido, senza suddivisioni che avrebbero impedito lo sviluppo delle azioni degli artisti e del pubblico che lo avrebbero abitato ogni giorno. Secondo Charles Saatchi, il Palais de Tokyo, attualmente, è uno dei migliori spazi dedicati all’arte, a livello sia architettonico sia culturale, insieme ad altri casi, quale quello dell’Arsenale di Venezia: spazi nudi e senza orpelli, semplicemente pronti a qualsiasi formalizzazione per il sempre mutevole mondo dell’arte contemporanea. La configurazione del Palais de Tokyo consente di stabilire un parallelismo con il Fun Palace, concepito da Cedric Price nel 1961. In quel progetto, Price proponeva scene continuamente riprogrammabili; in questo, Lacaton & Vassal riformulano l’edificio preesistente per una riprogrammazione autonoma. Il Palais de Tokyo è il Fun Palace contemporaneo.
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Franco e Van Teslaar
>ANTICO MATTATOIO LEGAZPI Madrid, Spain 2006
Ex mattatoio comunale appena a sud dal centro di Madrid, nel quartiere Arganzuela. Il complesso ha una superficie di 165.415 mq. L’antico mattatoio comunale di Arganzuela rappresenta uno degli stabilimenti industriali più singolari e interessanti dell’architettura madrilena del XX secolo. Nel 2003 la Municipalità decise di inserire la riqualificazione del Matadero in un programma di recupero del patrimonio storico madrileno all’interno del piano di rigenerazione della parte sud della città. Il Matadero di Madrid nasce come nuovo centro culturale metropolitano, un luogo per l’arte e per il tempo libero e contemporaneamente come un’opportunità, in termini di proposta culturale, per potenziare l’offerta pubblica. Dal punto di vista urbano, per la sua ubicazione, il Matadero consolida e prolunga il grande asse culturale Recoletos-Prado fino alla piazza di Legazpi, estendendo la centralità della città di Madrid verso il rio Manzanares. I progettisti hanno lavorato sul tema della ristrutturazione come rispetto per la rovina, potenziandone i valori senza quasi intervenire e limitandosi alla messa in sicurezza della struttura. Hanno usato un mondo di materiali industriali carichi di densità e in grado di stabilire una comunicazione aperta con il vecchio, l’antico, conferendo ad entrambi il massimo livello di espressività. Si impiegano materiali dal contesto industriale possibilmente senza ulteriore lavorazione e in dimensioni standard. Un grande portone in acciaio, nel muro perimetrale esterno del complesso del mattatoio, apre ai visitatori il percorso attraverso una rampa in acciaio leggermente inclinata che, tramite una porta scorrevole in acciaio, immette nel foyer dove domina un ampio bancone in lastre di lamiera d’acciaio. Il Matadero può essere considerato un modello sperimentale da sperimentare.
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4# SUGGESTIONI
NATURA “Per comprendere la natura, bisogna far sì che essa si sviluppi dentro di noi in tutta la sua interezza.” [Novalis]
LUCE “L’ Architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico, dei volumi assemblati nella luce.” [Le Corbusier]
SPAZIO
5# SPAZI RICONQUISTATI
FRA NATURA E STRUTTURA
5#
SPAZI RICONQUISTATI L’approccio a questo grande scheletro abbandonato ha fatto nascere la voglia di riconquistare questi spazi di nessuno e la volontà di condividerne la loro bellezza. Il fascino di questa fabbrica dismessa nasce proprio dalla sua dismissione: lamiere ormai usurate in copertura fanno penetrare raggi di luce che illuminano come lampi l’interno buio; scritte di avvertimento sui muri ricordano tempi ormai passati; gigantesche lacerazioni nel pavimento che ospitavano, un tempo, i grandi macchinari per la lavorazione del metallo. E tutto questo in uno spazio di dimensioni enormi, che fa sembrare le persone che vagano al suo interno, minuscole. La Ferriera di Crema è conosciuta come “La Ferriera” da tutti i cittadini di Crema. Ha segnato una pagina importante della storia industriale della città, vi lavoravano molte persone che ancora oggi raccontano vecchi episodi della vita in fabbrica. Quindi questo “edificio” situato tra il canale e la stazione è come un ricordo indelebile, un gigante addormentato quasi al centro della città. Oggi la Ferriera di Crema è frequentata da due tipologie di utenti: i senzatetto che la popolano, la abitano, la vivono come un luogo sicuro, chiuso alla città, dove rifugiarsi e dove depositare i loro bottini, soprattutto biciclette; gli artisti, che hanno subito il fascino di questi immensi spazi e che la firmano attraverso disegni sul muro o ne colgono l’essenza tramite fotografie. C’è chi poi, come noi, sogna di riusare questi spazi, non per farne l’ennesimo centro commerciale o zona residenziale, ma per aprirli, per condividere la memoria di questo pezzo di città e per renderlo fruibile dalla maggior parte delle persone. E’ per questo motivo che si parla di “Spazi riconquistati”, una presa di posizione contro la demolizione o la creazione di zone commerciali o residenziali, una determinazione a fare di questi spazi luoghi di incontro, di condivisione, di riposo, una fascia fisicamente poco aperta alla città, dati i limiti della stazione e del canale, ma in realtà sempre in mutamento, pronta a ricevere sempre nuovi stimoli.
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Copertura naturale
Copertura progettuale
Struttura
Progetto
Ordine strutturale
Ordine tecnico 1
A
2
3
4
5
6 7
8
B
9
10
C
11
D E
12
13
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15
16
17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
F
A
B 1
Ordine naturale
C 2
3
4
5
6 7
8
D 9
10
E 11
12
13
14
15
F 16
17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
FRA NATURA E STRUTTURA
PROPOSTA PROGETTUALE Date queste premesse la scelta progettuale è stata quindi quella di riconquistare questo luogo, prima di tutto utilizzando la natura come mezzo di sfondamento dei limiti fisici della fabbrica, e in secondo luogo ricavando, negli spazi lasciati liberi dalla natura, spazi aperti al pubblico, di uso comune, dedicati ad attività artistiche e culturali, quelle che meglio si adattano ad insediarsi in un luogo di questo tipo. L’impronta progettuale è minima: il verde è come una foresta che si appropria di ogni spazio, e in quelli lasciati liberi, pochi segni, non evidenti, chiudono fisicamente, ma non visivamente, luoghi dedicati all’arte: uno spazio espositivo, un teatro con sale prova, un bar, una sala conferenze, uno spazio per l’amministrazione. La struttura è lasciata così com’è, i muri scrostati e l’acciaio arruginito, per mantenere l’essenza di questa fabbrica e non indebolirne la forza. Il verde si appropria di questi spazi e fa sembrare questo spazio una sorta di parco nella città, dove poter sostare, passeggiare, sedersi, ricordare. E a sua volta sono le persone che si riappropriano di un pezzo della loro città ormai dimenticato, lo fruiscono e ne colgono la forza e la vera essenza.
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LAYOUT FUNZIONALE La prima operazione svolta è quella di sfondare i limiti dell’area, cioè il lato lungo sul canale Vacchelli e quello opposto rivolto sui binari della stazione. Questi sfondamenti rispondono anche all’esigenza di visibilità e accessibilità del luogo: ecco appunto che una delle scelte è stata quella di bucare il prospetto sul canale, per dare visibilità alla parte esterna a nord del sito e per creare un collegamento con l’esterno dato dall’entrata dell’acqua del Vacchelli. Attraverso uno scavo nel sottosuolo l’acqua del canale entra nella Ferriera, taglia perpendicolarmente le navate della fabbrica fino a scontrarsi con la parte del teatro. Questa entrata è un gesto forte, netto, che sfonda il limite fisico e visivo dato dal lungo edificio che affaccia sulla strada, e fa entrare nel progetto anche l’acqua, elemento caratterizzante quest’area di città. Questa striscia perpendicolare di acqua che entra nel progetto e lo attraversa, funge anche da alimentazione per l’acqua di una “piscina” scavata nella parte a nord-est della fabbrica. Gli ingressi all’area sono tre: uno principale, rivolto verso la città, lungo il Viale di Santa Maria; uno riservato ai soci di ArtShot e Tazebau per accedere agli spazi amministrativi; uno posto sulla strada parallela al canale Vacchelli, di servizio per gli addetti ai lavori. Vista la lieve pendenza del terreno, dal Viale di Santa Maria si scende verso l’ingresso principale, situato alla fine di questa discesa, dove un tempo si ergevano gli edifici degli uffici amministrativi della Ferriera. Per rendere visibile questo ingresso e mantenere un’asse visivo anche con il carroponte retrostante l’ingresso, elemento caratterizzante degli spazi esterni della Ferriera, si è deciso di demolire gli edifici degli uffici e di mantenerne solo alcuni muri, bassi, che fungessero da quinta all’entrata, tra i quali è posta la biglietteria. Si tratta di un piccolo volume interamente in u-glass al quale si arriva attraverso due sentieri collegati al Viale. Da qui gli spazi sono inseriti tra il verde che domina l’area e si contende l’attenzione insieme alla struttura imponente della fabbrica. La disposizione degli ambienti è stata pensata in modo tale da avere tutti gli spazi di uso comune, accessibili al pubblico, vicino all’ingresso
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principale: si tratta del museo, del teatro e del carroponte. Gli spazi di servizio, accessori, sono posizionati quasi al centro, in modo tale da essere facilmente accessibili dagli spazi di uso comune. Gli spazi amministrativi, invece, mantengono una loro privacy grazie all’accesso riservato e al posizionamento di una piscina non attraversabile che blocca il passaggio dal centro della Ferriera a questi spazi. Essi sono solo visibili dalla riva della piscina e non raggiungibili, se non dai soci stessi delle associazioni tramite l’apposito accesso. La caratteristica principale degli spazi della fabbrica, cioè la longitudinalità data dalle navate che li suddividono, è mantenuta tramite la costruzione di perimetri opachi solo fino ad un’altezza di 4.50 m. Tutti gli spazi sono poi chiusi attraverso sistemi mobili o pareti vetrate, in modo da poter mantenere uno sguardo aperto su tutta la lunghezza degli ambienti. Per quanto riguarda la copertura si è deciso di intervenire con due diversi elementi: una copertura naturale e una artificiale. La copertura naturale è data da piante rampicanti che sottolineano ancora di più l’importanza del verde in quest’area e caratterizzano alcuni ambienti, come il carroponte, l’entrata al museo e al bar e la parte soprastante la piscina. La copertura artificiale invece è costuita da pannelli vetrati sopra cui sono posizionati dei tiranti, sempre legati ai pannelli, con diverse inclinazioni, in modo tale da ottenere una trama disordinata. Questa trama ha preso forma dalla suggestione avuta durante il primo sopralluogo: i buchi disordinati nella lamiera di copertura, dati dall’usura, facevano apparire le navate della fabbrica come quelle di una cattedrale, la cui luce filtrava da questi fori in modo irregolare creando una trama di forme luminose sul pavimento. Questa tipologia di copertura è stata usata per tutto l’edificio ad esclusione della parte del teatro. Qui la scelta è stata quella di optare per una copertura più ordinata che desse un ritmo al prospetto visibile dai passeggeri del treno: si tratta di montanti rivestiti in zinco che scandiscono la facciata e che, contemporaneamente, vista la distanza l’uno dall’altro, fanno intravedere l’interno. E’ quindi mantenuta una linearità visiva sia orizzontalmente che verticalmente, tutti gli spazi sono aperti, la Ferriera diventa un luogo poroso aperto alla città.
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SPAZI DEL VERDE Ciò che infesta le aree dismesse delle città occupando qualsiasi spazio adatto alla sua crescita è il verde. Alberi, piante rampicanti, fiori e arbusti crescono dove trovano l’ambiente adatto ed occupano spazi che un tempo appartenevano solo ed esclusivamente al cemento. E’ in quest’ottica che il progetto fa in modo che il verde rimanga il proprietario indiscusso di questo terreno. Gli alberi diventano mezzo di sfondamento dei limiti dell’area, guida lungo i percorsi attraverso le navate della fabbrica, catalizzatori di attenzione per sottolineare le caratteristiche di certi spazi o per nasconderne degli altri. Si impossessano del luogo, lo attraversano sia in orizzontale che in verticale, rendendo impossibile la copertura di tutto il sito. Ciò che colpisce di più nella visione complessiva del progetto è proprio questo elemento. Gli spazi d’uso comune sono come spazi accessori, ricavati negli interstizi, tra il verde, e quest’ultimo diventa parte integrante della fabbrica, si lega alle capriate e diventa un tutt’uno con esse. Natura e artificio, radici e cemento, si fondono. La solidità delle murature e dei pilastri è perimetro per la crescita e lo sviluppo delle piante; la mutevolezza degli alberi, il cambiamento di colore e dimensioni, dona vivacità alla staticità del mattone e del cemento. Le varie essenze sono state scelte in base alla loro capacità di crescita in ambienti simili a quello della Ferriera e alla loro necessità di luce. Si è optato per la piantumazione di specie autoctone, che crescono nel territorio circostante. Il legame che ha instaurato la Ferriera col territorio è mantenuto anche dalla scelta di posizionare in questo luogo specie che crescono nell’ambiente circostante. Non solo la Ferriera, ma anche l’edificio in lunghezza è stato colonizzato da essenze arboree. Per questo tipo di spazio si è optato per arbusti più bassi, viste le caratteristiche dell’edificato, in modo da far nascere una specie di orto botanico ai confini dell’area, e per rendere tutto questo visibile sia dall’esterno che dall’interno, sono stati tolti degli elementi architettonici, quali la facciata verso la Ferriera e i serramenti nelle aperture ora rimaste cave.
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SPAZI D’USO COMUNE Gli spazi d’uso comune, situati nelle aree lasciati liberi dal verde, sfruttano la struttura esistente. Pochi elementi sono costruiti ex novo, la maggior parte degli spazi si serve dei muri, dei pilastri, delle capriate, per segnare il proprio limite. Questi spazi sono: lo spazio espositivo, il teatro, gli spazi amministrativi e il bar. Tra i tronchi degli alberi invece sono state ricavate delle aree attrezzate per il ristoro dei passanti, con tavolini, amache e sdraio. La caratteristica principale di questi spazi d’uso è la luce. Sono tutti caratterizzati da diversi tipi di luce data da diversi tipi di copertura: quella formata da pannelli di tiranti ma chiusa da schermi vetrati, quella senza schermi vetrati sulla quale si arrampica la vegetazione e quella del teatro con tagli di luce più ordinati che scandinscono anche l’interno degli ambienti. Tutto lo spazio della Ferriera è quindi attraversabile, poroso, ed ogni ambiente ha caratteristiche spaziali e “climatiche” distintive. Il sito è pensato come fruibile tutti i giorni a tutte le ore del giorno. La Ferriera diventa quindi una sorta di parco all’interno della città. Elemento caratterizzante di quest’area è il carroponte esterno: sotto di esso è stato posizionato un palco per eventi e manifestazioni estive. Tutto l’asse del carroponte è sottolineato anche dal posizionamento in linea degli alberi, che enfatizzano l’essenza del carroponte, la cui parte finale è stata dotata di una copertura soprastante il palco. Questo elemento attrae l’attenzione dei visitatori che arrivano dalla stazione, grazie alla dimensione dei pilastri e all’altezza che incombe sul muro divisorio.
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Lo spazio espositivo Lo spazio espositivo, denominato “La Ferriera. Centro di creazione”, è situato nella zona a sud-est della Ferriera. Esso è caratterizzato da 3 livelli di apertura degli ambienti: - il livello aperto è situato a livello zero, e comprende l’ingresso, la biblioteca e la parte finale del percorso espositivo; - il livello semi-aperto è quello interno alle 3 buche esistenti e riutilizzate ai fini delle esposizioni. La prima situata nella parte della biblioteca, le altre due facenti parte del percorso espositivo e dedicate alle attività di ArtShot e Tazebau: - il livello chiuso è invece quello che racchiude al suo interno una discesa, la parte iniziale del percorso espositivo: da qui si arriva a quota -2.50 m, da cui si può accedere alle buche espositive. L’entrata allo spazio espositivo è caratterizzata dalla presenza di un bancone visibili appena entrati. La pavimentazione esterna dell’ingresso entra nello spazio del museo e si ferma al bancone, per sottolineare la continuità tra interno ed esterno. Un blocco-servizi contiene i bagni ed è costituito, all’esterno, da blocchi luminescenti che fungono da armadietti per depositare eventuali borse o cappotti. Il blocco-servizi divide gli spazi dell’ingresso e della biblioteca: quest’ultima è costuituita dalla presenza di bassi scaffali centrali che riempiono lo spazio e da una buca, la cui pavimentazione è erbosa, dalla quale si può accedere agli spazi esterni(interni) della Ferriera. La biblioteca è anche fornita di tavoli dove poter consultare tranquillamente i libri: questi trattano principalmente di due temi, che sono la storia della Ferriera e le caratteristiche paesaggistiche del territorio cremasco, nonchè di botanica. Il percorso espositivo comincia in uno spazio chiuso e in discesa. Si accede in questo spazio passando per una stanza delimitata da pareti fatte di teli, su cui scorrono le poesie dello scrittore Francesco Angelo Ogliari, che accompagnano le opere dell’artista Stefano Ogliari Badessi, tre in tutto, disposte lungo il percorso. Durante la discesa si è infatti accompagnati dalle sculture dell’artista,
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che fanno parte dell’opera XI’AN, L’ESERCITO DI CARTA: si tratta di un’installazione luminosa posizionata appunto in questo luogo buio, e il cui impatto visivo è alienante. Le dimensioni di questi busti luminescenti superano di poco quelle umane, ed essi sono girati verso la discesa, come se accompagnassero il visitatore verso il punto di luce. Questo punto di luce è costuito dall’entrata nelle buche ad una quota di -2.50 m. L’apertura è stata ricavata nel muro della buca, con l’ausilio di una trave che sostenesse il peso del muro soprastante. Lo spazio delle buche è utilizzato per diverse attività e quindi ognuna di esse ha a disposizione attrezzature di diverso tipo: panche e schermo per proiezioni, puff sui quali godersi l’esposizione, muri e pannelli di carta sui quali disegnare. Questi spazi sono dedicati alle attività di ArtShot e Tazebau, il cui campo di applicazione spazia dalla fotografia, alla pittura, alla scultura, alla musica. Dallo spazio delle buche si risale poi a livello 0 attraverso una rampa. Qui si conclude il percorso espositivo con altre due opere di Stefano Ogliari Badessi: DIVIETO DI PESCA e E NOI RIMANIAMO QUA! I materiali utilizzati dall’artista sono sempre gli stessi, il bambù, la carta di riso, sostegni in ferro...la caratteristica principale delle sue opere è la leggerezza e il diverso rapporto con la luce, che ben si adattano ad uno spazio espositivo come quello progettato nella Ferriera.
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Il teatro Il teatro della Ferriera è concepito come uno spazio dedicato alle attività teatrali ma anche ad altre attività e spettacoli, ed è pensato come uno spazio flessibile adatto a qualsiasi esigenza. Attraverso delle altissimi porte scorrevoli si accede all’ingresso: questo spazio è lasciato totalmente libero, privo di qualsiasi orpello che possa distogliere l’attenzione dall’elemento centrale, il teatro stesso. L’ingresso, visto il grande spazio a disposizione, può essere concepito anche come luogo di esposizione. L’elemento centrale dello spazio teatrale, nonchè l’unico elemento presente in questo angolo di Ferriera, è costituito da un solido di legno composto da due tribune e un palco centrale. La scelta di disporre la scena al centro e le tribune ai lati è stata fatta per soddisfare tutte le esigenze dei fruitori di questo spazio: le gradonate sono di diverse dimensioni, una maggiore e una minore, per cui sono previsti tre livelli di rappresentazione; si va dallo spettacolo teatrale, al concerto, che solitamente attirano un numero considerevole di persone, allo spettacolo minore o alla prova teatrale, per la quale sarà sfruttata solo la tribuna minore. Al di sotto delle gradonate sono contenuti degli ambienti di servizio: sotto la gradonata maggiore, quella vicino all’ingresso, sono situati la biglietteria, un guardaroba e i servizi; sotto la gradonata minore sono stati ricavati i camerini. In fondo allo spazio del teatro, dietro l’ultima gradonata, è prevista una zona di relax per gli attori, che funge anche da deposito per le scene teatrali. Caratteristica principale di questo spazio è la visibilità: infatti l’elemento posto al centro di questo rettangolo, nell’angolo sudovest della Ferriera, è visibile da tre dei quattri lati. Questa apertura è resa possibile grazie all’utilizzo di pannelli di chiusura che scorrono verticalmente da terra alla copertura. Sono infatti delle “saracinesche” a scomparsa nel terreno, che rendono visibile e aperto al pubblico lo spazio teatrale, qualora non vi siano degli spettacoli in atto. In questo caso questi pannelli sarebbero
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attivati per la chiusura del teatro, in modo tale anche da garantire una temperatura ottimale all’interno. Dall’altro lato invece, i pannelli all’ingresso scorrono su binari posti lungo la capriata esistente e a terra: essi permettono la totale apertura del “foyer”, che quindi si collega allo spazio esterno al teatro. Sul lato verso il prospetto esterno, a sud, il teatro è reso visibile dall’esterno grazie all’utilizzo, in facciata, di costoloni rivestiti di zinco che fanno intravedere l’interno. Questi costoloni sono costituiti da montanti in ferro rivestiti da una sagoma in zinco, che corre lungo tutto il prospetto per poi piegarsi in copertura e seguire l’andamento della copertura esistente. Questi costoloni sostengono poi dei pannelli di vetro che chiudono tutti gli ambienti. La struttura del teatro è fatta interamente di legno. E’ stato studiato un sistema di incastro trave-pilastro sopra cui poggiano delle travi di legno lamellare sagomate che sostengono i gradoni. Le pareti che chiudono gli ambienti al di sotto sono anch’esse di legno lamellare. Tutto l’insieme è chiuso da un sistema di travetti che funzionano anche da parapetti alle gradonate. Sono stati poi previsti dei corpi esterni al teatro, ma accessori ad esso: sono le sale prova. Sono state pensate come delle scatole appese alla struttura esistente, interamente in u-glass, che si accendono di un colore diverso se utilizzate o no. Queste scatole sono visibili dal prospetto ad ovest, l’unico visibile dall’esterno, lungo i binari del treno. Per questo motivo, ad esclusione della chiusura del teatro, tutto il prospetto è stato aperto per far emergere la struttura esistente. Il rapporto tra la struttura e questi nuovi elementi che si insediano al suo interno è leggero, come il materiale utilizzato. Esse non toccano la struttura, ma attraverso delle travi che le sostengono, sono come sospese alla fine della campata, leggere e timide si affacciano poco al di fuori della linea del prospetto.
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SPAZI RISERVATI ALLE ASSOCIAZIONI
Sala conferenze
Piscina
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Gli spazi amministrativi Attraverso un ingresso riservato, posto su via Gaeta, i soci di ArtShot e Tazebau accedono agli spazi amministrativi, posti a nordest della Ferriera, per garantire più privacy e tranquillità a questa zona “lavorativa”. Essa è costuituita essenzialmente da due elementi: un parallelepipedo sollevato da terra, al quale si accede attraverso una lunga scala. Qui si trovano gli “uffici”, uno spazio lungo e stretto attrezzato con tavoli, scaffali e librerie, dove poter svolgere le riunioni in tranquillità. Sotto di esso, tra i pilastri che lo sostengono, è stato progettato uno spazio libero, aperto ad ogni attività, con una passeggiata centrale e due spazi verdi ai lati. Questa specie di piazza sottostante, che rende totalmente libero il passaggio, è chiusa su tre lati dai muri esistenti, mantenuti all’altezza di 4.50 m. Sul quarto lato invece, la piazza affaccia sulla piscina. Al centro di questa, il cui livello dell’acqua raggiunge circa 1 m di altezza, è posto un volume totalmente rivestito di specchio, che ha la funzione di spazio conferenze. Vi si accede tramite un ponte posto a quota -1.20, in modo tale che la parte finale del parapetto arrivi a pelo dell’acqua. Questo ambiente è costuituito essenzialmente da una gradonata per gli spettatori in fondo alla quale è posizionata una parete su cui proiettare. La scelta di rivestire questo volume di specchio è stata dettata dalla volontà di integrare totalmente questo solido tra gli elementi naturali in cui è posto, quasi si confondesse con essi: l’acqua nel quale galleggia e le piante rampicanti che pendono dall’alto della copertura, intrecciate coi tiranti di questa. Per mantenere una libertà visiva, il lato confinante con lo spazio espositivo è totalmente vetrato. Sulle rive della piscina sono posizionate delle sedie sdraio per il relax di tutti coloro che passeranno in questa zona.
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BAR
Parte nuova in u-glass Parte esistente in laterizio
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Stessa forma ma materiale diverso
FRA NATURA E STRUTTURA
Il bar La prima attività che si incontra entrando alla Ferriera, posta al centro della triade Carroponte-Teatro-Museo, il Bar occupa l’ala più vecchia della struttura esistente. Questa sezione della Ferriera infatti, fa parte del nucleo più antico, prima della costruzione della Lancini. Caratteristica principale di questo spazio sono le grossi travi reticolari che occupano un terzo dell’altezza degli ambienti e che vengono mantenute all’interno del progetto. La scelta progettuale per questo tipo di spazio è stata quella di raddoppiarlo, mantenendo la stessa forma ma cambiando il materiale. Lo spazio del bar si estrude verso l’esterno, e la parte estrusa, della stessa forma di quella esistente, ha una struttura ad u-glass, moderna, che ne segna la divisione. All’interno del nucleo antico è stato posizionato un cubo contenente i servizi, la cucina e il bancone. Come da concept, questo cubo non tocca le pareti esistenti, ma si stanzia al centro di questo spazio, suddividendolo in due ambienti: quello d’entrata con poltrone e divani, quello retrostante con tavoli e sedute per la zona ristorante. Superato il ristorante si accede alla parte nuova attraverso tre grandi vetrate che dividono lo spazio fisicamente ma non visivamente. Questo spazio di relax, pensato come zona lounge sfruttabile anche da chi è in attesa del prossimo spettacolo a teatro, è inserito in un ambiente verde, caratterizzato dalla presenza di alberi. D’estate è completamente apribile, per espandersi all’esterno e addentrasi nella “foresta”.
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LA
FERRIERA
6# CONCLUSIONI
FRA NATURA E STRUTTURA
6#
CONCLUSIONI Una foresta industriale. Un progetto che si situa tra natura e struttura. La staticità della struttura contiene o è contenuta nella dinamicità della natura. Questo progetto-processo, nato da un’idea di apertura verso la città, di condivisione di spazi ormai dimenticati, di riconquista, è attuato attraverso la creazione di spazi di uso pubblico situati nel verde. La forza degli alberi e dell’acqua si impossessa di questo luogo, e l’imponente struttura di metallo diventa una gabbia di verde. Il punto forte di questo progetto, a nostro parere, è proprio questo. Nonostante gli spazi chiusi siano stati progettati e pensati accuratamente, è l’entrata della natura nella struttura che ne permette il collegamento, ed è quindi questo elemento che ridona vita alla Ferriera di Crema. Ciò che a noi interessa è proporre un’idea innovativa, stimolante, sia per quanto riguarda la possibilità di introdurre questa fascia di verde in città, sia per dare vigore alle attività di associazioni artistiche ristrette in spazi non adatti alla loro diffusione. La Ferriera non è pensata come un contenitore di arte, ma come uno spazio in cui condividere nuove esperienze da esportare in tutta la città. Riaprire i confini di questo luogo, sfondarli letteralmente, significa riconquistare questo luogo che ha una valenza storica e culturale per la città di Crema. E’ un luogo che ha potere anche se dimenticato e dismesso..questa potenza si quadruplicherebbe se natura e struttura si fondessero per donare questi spazi all’arte e alla condivisione di idee.
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Desidero ringraziare prima di tutto, i miei genitori che hanno sempre creduto in me, mi hanno e continuano a sostenermi economicamente, senza tirarsi mai indietro e senza i quali non sarebbero stati possibili i miei studi. Non ci sono parole per descrivere quello che loro fanno per me, perchè quello che sono lo devo soprattutto alla loro educazione e alla presenza costante nella quotidianità. Ringrazio il professore Arnaldo Arnaldi, relatore della tesi, e Gianluca Bresciani, correlatore della tesi, per la fiducia riposta in noi e per averci guidato e consigliato per far diventare le nostre idee, un vero progetto. Un ringraziamento anche a Santiago, per i consigli e gli incoraggiamenti. Questa tesi non poteva nascere senza la mia compagna, Clara. E’ a lei che va uno dei ringraziamenti più profondi. Per due anni di specialistica e per l’anno di lavoro di tesi, siamo state un noi. Un noi che mi ha dato forza, è stato di incoraggiamento e di supporto. Clara, sei stata la mia spalla, la persona con cui più mi sono confrontata, che mi ha abbracciato nei momenti di sconforto e che ho abbracciato quando ne aveva bisogno. Aver condiviso con te questa esperienza è stato esilarante. Grazie. Ringrazio le mie compagne di università, Valentina, Alessia, Alessia, Valentina, Anna, Daniela, Valeria, Nikita, Giulia con voi ho condiviso tutto in questi anni, ed è stato bellissimo poter sempre contare su di voi, per una risata (quella non manca mai), un abbraccio, un incoraggiamento. Ringrazio Stefano, per aver creduto in me, per essermi stato di conforto quando ne avevo più bisogno durante questi mesi di stress. La mia amica di sempre, Cinzia. Un’amica sincera e che ha sempre creduto in me.
Cinzia
Il momento dei GRAZIE. Il mio primo grazie è ai miei genitori, a Luca (e a Silver), che mi hanno sempre sostenuto durante questi anni. I miei pilastri. Voglio ringraziare poi chi ha permesso la realizzazione di tutto questo: il professor Arnaldi, Gianluca, Santiago e tutti quelli che hanno partecipato al progetto. Senza Ci però non sarei qui oggi, quindi un grazie particolare va a lei, la mia Compagna. (Chi l’avrebbe mai detto dopo il primo anno di Postiglione?). Grazie! Un altro MEGA grazie va alle mie compagne di viaggio, un gruppo fantastico: Valentina, Alessia, Alessia, Nikita, Anna, Valentina, Daniela, Valeria, Giulia, Debora e Cami. E grazie a tutti i miei amici, che amo: Giulia, Claudia, gli Eletti, Jonas, Irene, Giovanni, Valentina, Gaia, Monia, il Bona, i compagni di treno Marcello, il Cava, Riki, Gaia, Fede, Ghiso e..forse dimenticherò qualcuno. Poi vorrei ringraziare Ste per le fotografie, Stefano Ogliari Badessi per essersi reso disponibile all’uso delle sue fotografie e i miei compagni di avventura nelle retate in Ferriera. E ultimo, ma questo lo rende speciale, Mauro, non solo per il sostegno gigante che mi ha dato durante questi mesi, ma per tutto quello che c’è oltre.
Clara