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Emi Basket Gubbio, il sogno continua Contro Macerata e Pesaro in palio c’è la Serie C

C’era gente fuori assiepata intorno alla Polivalente, costretta suo malgrado a provare a intravedere qualche azione dalle porte d’emergenza del palazzetto. Sugli spalti per loro non c’era più posto: oltre 800 persone (alcune salite anche da Marsciano) avevano già stipato all’inverosimile le tribune, perché nessuno voleva perdersi lo spettacolo che solo una gara 3 di finale può offrire. Finale che l’Emi Basket Gubbio ha fatto sua, conquistando il titolo regionale in coda a un’annata davvero densa di soddisfazioni (primo posto in regular season, vittoria finale nella sempre selvaggia corsa play-off), ma che pure il meglio potrebbe ancora offrirlo. Perché adesso c’è da emigrare nelle Marche per tentare di rendere la stagione unica e irripetibile: contro Macerata e Real Pesaro in palio c’è l’unica slot promozione in Serie C, sebbene non è da escludere che per ognuna delle tre formazioni rimaste ci possa essere l’opportunità di salire di categoria anche attraverso il ripescaggio.

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SOGNARE SI PUÒ. “La nostra vittoria più bella è stata vedere la Polivalente piena come poche altre volte lo si era visto negli ultimi anni”, ammette Pierangelo Belbello, presidente felice e (giustamente) orgoglioso di una società che continua a fare passi da gigante. “Aver conquistato il titolo regionale è una soddisfazione enorme, da condividere con un’intera comunità che ci ha sostenuto sempre con forza e che nel momento del bisogno non c’ha fatto mancare nulla. Il colpo d’occhio con tutta quella gente sugli spalti ci ha riempito il cuore, ma è chiaro che sull’onda dell’entusiasmo generato dalle vittorie vogliamo continuare a inseguire il nostro sogno”. Una vittoria dedicata a Giovanni Pierotti, di cui nei giorni scorsi ricorreva il primo anniversario della scomparsa, preludio a un’altra appassionante rincorsa che vedrà il via domenica 28 maggio alle 18 contro Macerata, nella prima gara del triangolare, con i ragazzi di coach Marco Martina chiamati a partire subito col piede giusto. “Il livello è sempre più alto, le marchigiane sono squadre attrezzate che hanno tanti giocatori di provata esperienza, alcuni anche abituati a giocare in categorie superiori. Ma noi vogliamo giocarcela senza paura, consapevoli però che serviranno due prestazioni eccelse per intensità e concentrazione. Perché se stacchi la spina 2’ nessuno ti perdona nulla”. Nessuno però vuol smettere di sognare: una promozione in C nell’anno del cinquantenario avrebbe un valore inestimabile. R. BAR.

La Dottrina Nella Storia

LO STRANO ALBERO DELL’EDEN DISTINZIONE FRA PECCATO E REATO

Il frutto proibito che mangiarono Adamo ed Eva, condannando l’intero genere umano all’allontanamento da Dio e alla morte, non era una mela, come erroneamente pensano in molti. L’identificazione con la mela è dovuta forse al fatto che in latino malus indica sia il sostantivo melo (l’albero) sia l’aggettivo malvagio, cattivo, perverso. In realtà, l’albero da cui disgraziatamente mangiarono i nostri progenitori è sconosciuto alla botanica. Nella Bibbia viene infatti indicato come “l’albero della conoscenza del bene e del male” e rappresenta l’unico vero limite che la creatura uomo, vertice della creazione, ha ricevuto da Dio stesso: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire» (Gn 2, 16s). Conoscere ciò che è davvero bene e ciò che è davvero male per l’uomo non può che essere prerogativa di Dio. L’uomo esiste grazie all’atto creatore di Dio, che lo trae dal nulla allo splendore dell’essere non per un puro caso o per un capriccio, ma per un fine ben preciso: renderlo felice e partecipe della stessa vita divina. Il bene e il male non sono dunque stabiliti dall’uomo in base al suo personale criterio di giudizio. Non sono “conosciuti” dall’uomo, nel senso di “stabiliti” da lui. Ecco perché l’uomo può nutrirsi da qualunque albero da frutto, tranne da quello della “conoscenza del bene e del male”. La sua libertà o il suo giudizio non possono modificare l’ordine morale della realtà. Sarebbe come pensare di mangiare del veleno solo perché si è convinti che faccia bene allo stomaco. Allo stesso modo, posso pure convincermi che un peccato sia un bene, ma per l’anima resta un veleno…

Proprio perché il voler stabilire autonomamente ciò che è bene e ciò che è male è una conseguenza diretta del peccato originale, l’uomo non riesce quasi mai a sottrarsi a questa tentazione. Soprattutto con l’epoca moderna l’uomo ha radicalizzato questa ambizione di porsi come criterio di giudizio di tutta la realtà. In fondo, Satana proprio su questo atto di superbia fece leva per far cadere Adamo ed Eva quando disse: «Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gn 3, 5). Anche per questo, forse, è sempre stata spietata e virulenta la lotta del laicismo contro la Chiesa, soprattutto in ambito morale, con la solita accusa di voler imporre uno stato confessionale. Ebbene, molti dimenticano che la distinzione fra peccato e reato è prerogativa dei paesi di sana tradizione cattolica. Un conto, infatti, è il dovere della Chiesa di ricordare all’uomo ciò che è peccato agli occhi di Dio e un altro conto è pensare che ciò che è peccato debba anche essere considerato reato dalla legislazione civile. Andando a spulciare dati e fatti storici si scopre che la realtà è ben diversa da come tanti laicisti la raccontano. Basti pensare, tra gli infiniti esempi possibili, alla doverosa depenalizzazione dei rapporti omosessuali tra adulti consenzienti. Come ricorda Vittorio Messori, la prima nazione a decriminalizzare gli atti tra persone dello stesso sesso fu la Francia, nel 1810. La seconda l’Italia, nel 1886. La terza la Polonia nel 1932. Guarda caso, tre Paesi di lunga tradizione cattolica. L’anglicana Gran Bretagna si decise al passo solo nel 1967, e l’anno dopo la Germania comunista. Un altro Paese «socialista», la Jugoslavia, vi giunse nel 1977. La luterana Norvegia nel 1972. Ultimo, Israele, nel 1988.

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