Democratici di Sinistra Unione metropolitana di Firenze
a Noemi, Lucia, Elsa.
Š marzo 2007 Ăˆ una realizzazione a cura dei DS Unione Metropolitana di Firenze Via Venezia, 2 50122 Firenze Tel. 055 503201 uffsegre@dsfirenze.it www.dsfirenze.it Un ringraziamento a tutte le compagne e i compagni del territorio, che hanno contribuito a reperire il materiale fotografico. Un ringraziamento ai fotografi: Riccardo Germogli, Claudio Giovannini, Giudo Mannucci, Roberto Minuti, Dario Orlandi, Gianni Pasquini, Enrico Ramerini, Giovanni Rocchi.
Progetto grafico: Sonia Squilloni, Promopoint S.r.l. Stampa: Nuova Grafica Fiorentina
Incisa e il Valdarno Caro amico ti scrivo... TIBERIO BIAGI
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Il nostro Meme MARCO MERCATELLI
pag. 21
Firenze e l’Unione Metropolitana Può darsi che... LEONARDO DOMENICI
pag. 37
“Allora io sono il Meme” MARIO PRIMICIERIO
pag. 43
Tante volte... GIANNI GIANASSI
pag. 49
La notizia DIEGO DELLA VALLE
pag. 55
Ciao Meme Incisa in Val d’Arno, 4 dicembre 2006 PIERO FASSINO pag. 77 Firenze, 16 dicembre 2006
Indice
ANDREA MANCIULLI
pag. 83
Firenze, 16 dicembre 2006 MASSIMO D’ALEMA
pag. 87
Incisa e il Valdarno
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Caro amico ti scrivo… di Tiberio Biagi
“
Più che nella memoria quelle ore restano impresse nel corpo, come un fascio di sensazioni inalterabili che la luce di un mattino o un colpo di vento risvegliano di sorpresa. Luigi Pintor
”
Caro amico ti scrivo... quando muore il tuo più caro amico, l’amico di un’intera esistenza, il fratello che non ti avevano dato i tuoi genitori ma che ti aveva regalato la vita stessa, senti che scompare assieme a lui una parte di te, una parte tanto importante di te… Ti si affacciano alla mente infinite immagini, ti sembra di riviverne tutti i particolari, di coglierne ogni più piccola sfumatura, anche se non riesci a dare un ordine a quel turbinoso vortice di pensieri, di sensazioni, di emozioni che ti si accavallano nella testa. I ricordi non riempiono certo il vuoto che ha lasciato dentro di te, ma ti aiutano ad affrontarlo: le esperienze fatte assieme, le lunghissime chiacchierate, i momenti felici e quelli difficili, il rimpianto per quel viaggio rimandato (tanto lo faremo la prossima estate…), le cose dette e quelle non dette (tanto ci sarebbe stato tempo…)… e invece il tempo è finito. Rapida, improvvisa, inattesa è arrivata la fine! Caro Meme, non riceverò più le tue telefonate alle ore più impensabili, non vedrò più il tuo sorriso aperto, la tua espressione a volte ironica, a volte timida, non sentirò più il calore rassicurante del tuo affetto, non potrò più incoraggiarti nel portare avanti i tuoi progetti che, sempre, ti precipitavi ad illustrarmi con il solito entusiasmo: vedevi il mondo con la freschezza di un adolescente e come un adolescente avevi bisogno di sentirti stimato, valorizzato, apprezzato per quel che facevi. Agli amici chiedevi “rassicurazione” : ero orgoglioso di essere il tuo confidente, di poter esserti utile nell’analizzare
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assieme i problemi e le difficoltà che incontravi nella tua attività politica, in quella che era la grande passione della tua breve vita. Una vita troppo breve, ma sicuramente piena, vissuta con entusiasmo: una vita bella! Mi è tornato alla mente un verso di una canzone di Jim Morrison che sembra quasi sia stato scritto per te: “Non vivere con la paura di morire, ma muori con la gioia di aver vissuto” Un altro cantante, Paolo Conte, ha riassunto così il senso della vita: “Si nasce e si muore soli. Certo che nel mezzo c’è un bel traffico.” Il tuo ‘traffico’ è stato sicuramente imponente e l’hai vissuto con rara intensità. Il tuo impegno politico si era via via sviluppato a partire dagli anni ’80, gli anni degli yuppies, dei rampanti, della ‘Milano da bere’, gli anni in cui il dilemma di Eric Fromm, (Essere o avere), si era risolto in “sei quello che hai”: tu hai attraversato quegli anni senza esserne rimasto minimamente contagiato. Eri dotato di un grande ottimismo e come tutti gli ottimisti potevi apparire un ingenuo: ti fidavi di tutti e ti esponevi al rischio. In realtà vedevi in tutti delle qualità positive e su queste facevi leva. Eri attento alle persone, sapevi osservarle, dedicavi loro del tempo. Era così che riuscivi ad unire e a indicare un obiettivo comune da perseguire. Sapevi entusiasmarti per i progetti che avevi in mente, per le idee da realizzare (due fra gli ultimi sono stati il Centro Sportivo Viola a Incisa Valdarno e la sede dei DS). Si, eri un entusiasta, un sognatore infaticabile; sapevi inventare progetti, strategie, soluzioni e riuscivi a contagiare gli altri per la realizzazione di quei sogni, perché sapevi trasmettere anche a chi ti stava intorno la tua forte passione, la tua tenacia, il tuo instancabile impegno. La tua caratteristica era quella di saper coinvolgere chi lavorava con te, fargli sentire il convincimento di partecipare ad un compito importante, di contribuire alla realizzazione di qualcosa che meritava impegno e dedizione e ciò ti veniva naturale perché credevi in ciò che facevi. Ci hai fatto essere migliori di quanto saremmo stati senza la tua spinta. Puntavi sulla parte più generosa, più emotiva di coloro che ti circondavano e li stimolavi a metterla a frutto. Sapevi trascinare gli altri col tuo attivismo, col tuo slancio, con la tua generosità, dimostrando nella realtà che spesso anche le cose più complicate sono davvero possibili. Anche le cose più difficili, infatti, riescono se ci buttiamo a capofitto, se ci spendiamo personalmente, senza risparmiarci. E tu sapevi farlo. Nella tua attività di amministratore ti ho visto superare resistenze e difficoltà burocratiche “pressando” il funzionario di turno fino a che per lui stare fermo diventava più faticoso che risolvere il problema. Hai rappresentato un esempio difficilmente superabile di disinteresse personale e di totale dedizione al partito nel quale militavi e senza il quale non avresti saputo nemmeno immaginarti. Nessuno, fra tutti coloro con i quali eri in contatto, si sarebbe mai aspettato da te inganni o trabocchetti, ma proprio tutti potrebbero dire di essersi comportati con te in modo altrettanto leale e disinteressato?
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Il dolore dipinto sui volti, le lacrime che rigavano le guance di donne e di uomini mi hanno fatto capire che quelle persone pensavano a te non come al personaggio politico, ma come ad un uomo che faceva parte della loro vita, come ad un familiare o ad un amico la cui perdita lascia un vuoto incolmabile. La gente ti voleva bene perché ti vedeva come uno di cui ci si poteva fidare: eri uno di loro. Alcuni si sono resi conto quando sei morto di quanta stima ed affetto godessi fra la gente. Molti ti sentivano così vicino perché non vedevano in te i tratti tipici di molti (troppi) personaggi politici che tengono la gente a distanza. Se una così grande parte di persone, indipendentemente dall’appartenenza politica, ha provato dolore e angoscia per la tua scomparsa, ciò è dovuto al tuo modo di fare politica e al tuo modo di essere. Chi non ha dentro di sé il ricordo di una tua battuta, di un tuo scherzo, della tua risata, del tuo braccio che si appoggiava sulle spalle e ti trasmetteva tutto il tuo calore e il tuo affetto… Sei stato un esempio di volontà, passione, rettitudine morale, dedizione, coerenza, sacrificio. Hai dato tutto all’impegno politico: hai dato tutto se stesso. Hai ricevuto dalla politica molto meno di ciò che hai dato, mentre molti chiedono (e purtroppo ottengono) molto più di quello che danno. Ma è stata proprio questa la tua forza e la tua grandezza e proprio questo è stato motivo d’orgoglio per tutti quelli che ti sono stati davvero vicini. Non sono molti, oggi, gli uomini politici dotati delle tue qualità: è questa una ragione in più per imitarti, per portare avanti le idee in cui credevi… Caro Meme, piango la tua morte e la sua profonda ingiustizia. Il modo in cui sei morto mi ha dato come l’impressione che tu sia rimasto vittima di uno sforzo troppo grande. Parafrasando il commento che Benigni fece alla morte di Berlinguer, anch’io voglio dire ‘Caro Meme, troppo presto, morire a 50 anni è come nascere a 24 mesi: uno non ci crede. E sono sicuro che fra una settimana mi squillerà il telefono e sentirò il tuo “oh, allora?”.
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Il nostro Meme di Marco Mercatelli Quando ci chiedevano se e come mai ci conoscevamo, entrambi rispondevamo: “siamo della settimana”. Ultimamente quando mi capitava di rispondere a questa domanda dicevo: “siamo nati a 4 giorni e 50 metri di distanza”. Volevo che non ci fossero equivoci ma che si capisse che ci conoscevamo da sempre e che ne ero orgoglioso. Siamo cresciuti insieme, fianco a fianco, come siamo nati. La parrocchia, la scuola, la strada, gli amici, i divertimenti, le passioni tutto insieme fino all’adolescenza. Non beveva alcolici, solo ultimamente qualcosa senza gradire, (la sua bevanda era il “cocche” come diceva lui) a seguito di una tremenda ubriacatura a 14 anni durante una festa di fine anno fra amici, tutti rigorosamente maschi, (le femmine non “potevano” allora partecipare) organizzata negli spogliatoi del nostro campo sportivo. Aveva bevuto di tutto, etichette che non esistono più e come conseguenza era rimasto tre giorni a letto con un febbrone esagerato, vomitando continuamente. E’ stata l’ultima sua esagerazione giovanile, poi è dovuto crescere in fretta, molto più velocemente di tutti noi, i suoi amici, che non capivamo come mai il pomeriggio, tornando da scuola, Meme non veniva per strada per andare, invece, a montare antenne sui tetti della nostra Incisa, così da permetterci di vedere la televisione a colori. Mentre lui affrontava in modo maturo il mondo del lavoro, l’esperienza nel sindacato e la battaglia politica, io con altri rimbalzavo da una sigla all’altra alla sinistra del P.C.I. Abbiamo fatto percorsi diversi in alcuni momenti della nostra breve vita, non ci siamo però mai lasciati e ci siamo più volte ritrovati. La prima volta è stata agli inizi degli anni ’70 quando insieme a tanti altri abbiamo vissuto quella meravigliosa esperienza del Teatro popolare del Valdarno. L’ultima volta alcuni mesi fa quando, alla festa della Martina, andandocene ci siamo salutati e lui ha abbracciato sua figlia guardandola, come solo un padre può fare, ed ho pensato: Manuele sta diventando grande. Che stagione straordinaria. I successi della sinistra (favoriti anche da noi diciottenni per la prima volta al voto) alimentavano i nostri animi e si moltiplicavano le occasioni per dar sfogo al nostro divertimento, il teatro. Abbiamo praticamente proposto i nostri spettacoli in tutte le città, ma anche in tutti i borghi della Toscana e di altre regioni. Avevamo un vasto repertorio: vernacolo; impegnato di sinistra; ricerca delle tradizioni rurali; teatro dell’assurdo. Alcune centinaia di repliche conciliando questo divertimento faticoso e nottambulo con il lavoro alcuni, con la scuola altri.
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I nostri teatri erano soprattutto i palchi delle festa de l’Unità. Si recitava in mezzo ai rumori provenienti dai ristoranti, dalla ruota e dal maialino. Quando poi la confusione non veniva da fuori, ci pensava Meme a farla: la presidenza; io brasiliano, tu marocchino; il Cherici, il Cherici nazionale e il Renzi. Solo alcuni dei suoi tormentoni. Le ragazze che piangevano stressate dalla sua insistenza nel pretendere di mangiare i tortellini al ragù, che non c’erano. Quel suo modo di entrare in scena, darti la mano (come da copione) e sussurrarti nelle orecchie: “ tummi levi tante soddisfazioni”. Ricordo che una volta, a Pelago, non siamo riusciti a portare a termine la rappresentazione, perchè eravamo scoppiati tutti a ridere. Era incredibile poi constatare come questi suoi modi contagiassero tutti anche fuori, per strada, si sentiva parlare di Brasile e di Marocco. Sono sempre di quegli anni i nostri viaggi, realizzati con macchine improbabili, su strade impossibili, dormendo dove capitava, con una compagnia bella ed irripetibile. Il “pellegrinaggio” a Stintino, la Grecia, Lampedusa, ospiti del segretario del partito. Le sue battaglie contro gechi, meduse e zanzare. Quella canzone di Julio Iglesias tormentone di tutti i viaggi: “… la valigia sul letto, quella di un lungo viaggio …”. La sua auto che non andava mai e che ci costava di riparazioni più delle vacanze. I cibi semplici, con profumi speciali che non sentiremo più. I telefoni che non esistevano o non funzionavano. Eravamo isolati dal mondo, giovani senza inibizioni, in posti da favola, coinvolti in viaggi che tutti sognano e pochi hanno la fortuna di fare. Potrei parlare all’infinito del “nostro Meme” come dice Andrea, il Meme di Marino, del Perugia e della Vanna, di Panzine e di Gengi, del Muara e del Giucca, chiassone e goliardico, generoso e leale. Il Meme degli eccessi, accanito tifoso viola e giocatore di carte impenitente. Sempre pronto ad ascoltare tutti, amici e non, per trovare soluzioni, dare sostegno, aiuto. Senza mai presentare il conto, ostentare o millantare. Quanto manchi Manuele. Quante telefonate ricevo, quante persone mi fermano per strada e me lo confermano. Molti con la stessa sensazione che ho provato con la tua scomparsa: di trovarmi sopra uno spartiacque, da una parte la vita con te, dall’altra senza di te. Ti ho voluto bene Manuele, ti abbiamo voluto bene. Ti voglio bene, Marco.
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1961 - 64, Incisa scuole elementari
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1964 - 1970, Incisa scuole elementari e medie
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Giugno 1977, Casa del Popolo Incisa
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Giugno1977, Casa del Popolo Incisa
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Agosto 1979, Corf첫
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Maggio 1980, Tricarico (Molise)
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Ottobre 1980, Anghiari
data, luogo e avvenimento
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Incisa, festeggiamenti 80 anni di Attilio Benassai
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Gennaio 1985, cinema Figline V.no, dibattito con Mauro Farini e Giorgio Napolitano
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Luglio 2006, Rodi; agosto 1992, Sardegna, luglio 2003, Orbetello.
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Luglio 2006, Rodi
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Firenze e l’Unione Metropolitana
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il trascorrere del tempo aiuti a lenire il dolore che inesorabilmente si prova quando muore una persona cara, un amico. Può darsi, anche se non sempre è così. Soprattutto è difficile attenuare il senso della perdita, quando lo spazio occupato da quella persona non si limitava al solo ambito personale, ma andava oltre e riguardava la vita pubblica, la sfera sociale, istituzionale, politica, quella in cui alcuni di noi si trovano a svolgere la propria attività. Allora l’assenza si fa ancor più pesante. Perché viene meno un apporto prezioso, un punto di riferimento importante, una sponda sicura. Soprattutto se quella persona è Manuele. Accade un fatto politicamente rilevante? C’è da prendere una decisione che richiede un forte senso di responsabilità pubblica? Oppure, più semplicemente: c’è da seguire un congresso, da curare una campagna elettorale, da tenere delle riunioni su questioni cruciali? Ecco, non puoi non pensare: “Se ci fosse il Meme…”. Perché sarebbe utile sapere che cosa lui ne direbbe e potersi avvalere della sua partecipazione generosa alla gestione del problema. Perché il Meme era un uomo acuto, capiva gli esseri umani e le situazioni in cui si trovavano e soprattutto si muoveva senza anteporre il suo interesse personale a tutto il resto. Questo non vuol dire che non avesse ambizioni, ma sapeva vederle nel contesto generale, pesarle e valutarle con sano realismo. Un uomo così, non può non mancare. E non sembri riduttivo, in questo momento, ripensare soprattutto al Meme “pubblico”, politico. La politica era parte preponderante della sua vita. Per molti della nostra generazione è stato (ed in parte ancora) così. Certo, oggi è difficile farlo capire, soprattutto ai più giovani. Ma il “fare politica”, a tempo pieno e in modo professionale, noi lo abbiamo vissuto come elemento costitutivo della nostra identità personale. Anche questo ci univa, con Manuele. E se oggi dico che, con il lento passare dei mesi, vedo quanto è grande il vuoto politico che ha lasciato, è per riconoscere il suo valore di uomo. In queste stesse pagine, Tiberio ci ricorda che il Meme ha ricevuto dalla politica “molto meno di quello che ha dato”. È vero, anche perché Manuele è mancato troppo presto e nel momento in cui poteva fare ancora molte nuove esperienze. Ma sono sicuro che se lui oggi fosse qui, ci direbbe che non è questo che gli interessava sopra ogni altra cosa e che la politica si fa prima di tutto perché è una passione, che può dare un senso tutto particolare alla nostra vita, al nostro essere individui sociali e non isolati dal resto della società in cui siamo immersi. Ci direbbe, Manuele, che il fare politica risponde al nostro bisogno insopprimibile di battersi perché il mondo possa cambiare in meglio e perché la vita del maggior numero possibile di uomini e di donne sia una vita degna di essere vissuta.
Può darsi che
Leonardo Domenici
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Campagna Pubblicitaria Festa nazionale de l’Unità 1992 a cura di Oliviero Toscani
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19 ottobre 1991, 21째 Congresso del PCI, Teatro Tenda Firenze
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1995, Firenze proclamazione del Sindaco
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Settembre 1996, Incisa in Val d’Arno, ufficio del Sindaco
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“Allora, io sono il Meme!”
Così mi si presentò Manuele Auzzi, nella primavera del 1995, quando accettai la candidatura a Sindaco di Firenze e lui si accollò una responsabilità non banale in quella campagna elettorale; perché non si trattava di un incarico organizzativo (o meglio, non solo di quello) ma di un progetto politico che partiva dal far conoscere, in meno di un mese, alla base e ai simpatizzanti del PDS un candidato non proveniente dal partito ma scelto –insieme alle altre forze della coalizione- per portare a Palazzo Vecchio un Sindaco di centro sinistra, il primo eletto direttamente a Firenze con la nuova legge elettorale. Meme conosceva molto bene la città e conosceva in profondità il mondo delle forze politiche. Credeva profondamente nella urgente necessità di rinnovare la politica, senza però mai abbandonare le sue radici; di coinvolgere e appassionare persone non iscritte ai partiti (condividevamo la stessa antipatia per quella equivoca espressione “società civile”!), e al tempo stesso valorizzare l’impegno degli iscritti e motivarli ad una maggiore presenza. Il suo partito, e anche la nascente coalizione dell’Ulivo, gli deve molto. Se oggi, nella nostra città e nella nostra regione, il centro sinistra ha allargato i suoi consensi, si è ulteriormente radicato nel territorio questo tutti noi lo dobbiamo a lui. Meme non si risparmiava mai. Amava la politica, la riteneva una forma alta di servizio alla collettività, alla gente comune. Mi ricordo di quando, mentre stavamo organizzando la campagna elettorale, mi disse che gli avevano chiesto di candidarsi a Sindaco di Incisa: gli brillavano gli occhi, ma al tempo stesso non voleva… prendersi troppo sul serio (“…tanto –mi disse– uno slogan elettorale ce l’ho già: ‘se all’Incisa vuoi star bene, vota il Meme!’”) e il suo impegno nella campagna elettorale fiorentina non diminuì, anzi. Per me, per il progetto di quegli anni, il suo aiuto e il suo contributo furono determinanti; credo di avere imparato tante cose da lui, ma forse di una in particolare gli sono debitore: di un messaggio che ho capito sempre meglio anche osservando il suo modo di fare l’amministratore, di fare politica. Dell’importanza, per un politico, di essere uno come gli altri e di essere percepito come tale: questo è il modo più schietto e sincero di servire il bene comune e di farlo con passione, con una attenzione particolare a chi ne ha più bisogno. E Meme traduceva in pratica, senza retorica o moralismi, questo modo di essere: e la gente lo sentiva subito e lo apprezzava. Per questo era circondato dall’affetto e dalla stima di tanti. E quindi sono sicuro che se adesso Meme -come dice la Bibbia- cammina al cospetto del Signore nella terra dei viventi non cammina da solo, ma si è già fatto tanti amici! Mario Primicerio 43
1999, Incisa Campagna elettorale; ottobre 1996, Incisa, inaugurazione primo ambulatorio comunale; novembre 2000, Firenze Facoltà di Ingegneria, plesso Santa Marta; gennaio 2001, Incisa, Viola Club “Befana Viola”. 44
25 febbraio 2002, Firenze, Palazzo Congressi “Incontro con i professori�
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Luglio 2002,Firenze Fortezza da Basso, Festa Metropolitana de l’Unità ; 24 aprile 2002 Calenzano, ristorante Gli alberi
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5 ottobre 2002, Firenze, Piazza della Repubblica, Manifestazione per la pace
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Tante volte
avevo risposto no alle sue richieste di fare qualcosa per lui. Perché non potevo o perché non volevo. Ma quando gli dissi che avevo detto sì ad un piccolo incarico per il partito regionale, oltre a mandarmi a quel paese ne fu contento.
Ci siamo trovati bene insieme. Come accade tra persone che avevano voglia di fare quello che stavano facendo e che già in questo trovavano realizzazione personale ed appagamento di tanti sacrifici. Qualcuno, a volte, in maniera sciocca e superficiale, pensa alla politica come ad un ‘affare’, come ad un posto sporco, dove a forza di colpi di mano si decidono carriere e vite agiate, potere e lussi. Vorrei usare la vita politica di Manuele quale termine di paragone per negare con ampia prova tutti gli stereotipi ed i luoghi comuni intorno all’impegno in un partito. O meglio nel nostro partito. Un mestiere duro, faticoso, che non ti lascia mai; perché vuoi bene a quel che fai, ma soprattutto perché vuoi bene alle persone per conto delle quali lo fai. Una concezione della politica oramai passata? Io credo proprio di no. In questi anni di lavoro ne abbiamo combinate tante. Non sono stato, a dire il vero, un suo collaboratore “ufficiale”, ma al di là degli incarichi formali abbiamo condiviso scelte e responsabilità. Come si dice, eravamo in sintonia. Quando mi chiedeva: “Che m’hai inteso?” di solito “l’avevo inteso”. In nome della condivisione di un progetto politico, ma soprattutto per la convinzione della bontà di un metodo da praticare. Quello del lavoro duro, delle cose da fare prima delle chiacchiere, quello che non metteva mai avanti gli interessi personali, neppure quelli legittimi. Bischerate? Sì, gliene ho viste fare, e dire, ma con la leggerezza dell’innocenza. Pensando di fare bene, senza quel piglio aristocratico che a volte ci fa credere che aver ragione vuol dire che gli altri abbiano necessariamente torto. Per dirigere, e farlo bene, ci vuole anche questa dose di umiltà, a compensazione delle debolezze della nostra formazione. Ma anche il coraggio di decisioni forti come le convinzioni che le accompagnano. Dunque un ricordo di Manuele non può non passare dalla sua umanità e dall’instancabile sua capacità di lavoro. Una volta si sarebbe detto:“dedizione alla causa”. Facendogli un piccolo torto - avrebbe sicuramente preferito una battuta di Massimo D’Alema - lo voglio ricordare con un verso di Pessoa che mi pare si attagli bene all’idea che avevo e che ho di lui. “Non sono niente. / Non sarò mai niente. / Non posso volere d'essere niente. / A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo”. Molti sogni di Manuele erano e sono anche i miei, i nostri. Quelli di tanti. Gianni Gianassi 49
24 ottobre 2002, Sesto Fiorentino Libreria Rinascita
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10 dicembre 2002, Firenze Poggio Imperiale
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2003, Firenze, Teatro Puccini; 13 aprile 2003, Borgo San Lorenzo
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“
Un pomeriggio andai a trovarlo: era impegnato negli ultimissimi preparativi per il dibattito serale, ma mentre prendevamo un caffè mi disse: - «Certo che con Paolone sembra più di essere in ferie che a lavorare!»”.
”
6 luglio 2003, Pontassieve Festa de lìUnità
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La notizia
della morte di Auzzi, pur essendo la nostra una conoscenza recente, mi ha molto impressionato e amareggiato. Il primo pensiero è stato quello che se ne era andato un uomo vero, con grandi qualità umane e con un forte senso della lealtà e del voler far bene le cose. In un mondo dove tutto diventa complicato, dove purtroppo si comincia a non avere più fiducia nelle persone e nelle cose l’incontro con Manuele Auzzi è stato una boccata di aria fresca per me. Infatti il nostro rapporto anche se non frequente è stato da subito improntato sulla chiarezza e sulla fiducia reciproca e sul fatto che tutti e due avevamo voglia di fare veramente delle cose fatte bene e che portassero beneficio alle persone e alla comunità che avevamo intorno. Senza la determinazione di Auzzi sicuramente non avremmo fatto quello che sta cercando di fare la Fiorentina e soprattutto in certi momenti di difficoltà e di lungaggini, se non avessimo avuto la consapevolezza che c’era lui a seguire le cose in prima persona, con tutta la fiducia che riponevo sulla serietà dell’uomo, probabilmente avrei fermato tutto. Io sono nato e vivo in provincia e nonostante passi gran parte del mio tempo in giro per il mondo quando ho visto Auzzi per la prima volta ho riconosciuto in lui i tratti tipici della gente seria e salda della provincia e questo sicuramente, anche se non ce lo siamo mai detti, ha creato un rapporto tra di noi di rispetto. Non conosco la famiglia di Auzzi; se però mi viene consentito di farlo, vorrei dire ai suoi familiari che possono essere orgogliosi di lui in quanto persona di principi veri, di grandi capacità esecutive nel suo lavoro e di rapporti umani che venivano privilegiati a qualsiasi tipo di interesse. Ne’ io né la mia famiglia, né i miei collaboratori né tanto meno la Fiorentina lo dimenticheremo. Diego Della Valle
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3 maggio 2004, Firenze, Teatro Puccini campagna elettorale amministrative
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Giugno 2004, P.za Madonna della Neve campagna elettorale amministrative Comune di Firenze
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19 luglio 2004, Firenze Consiglio Comunale
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28 gennaio 2005, Tirrenia, Congresso Regionale DS
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2 marzo 2005, Sesto Fiorentino, Congresso Comunale DS
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4 marzo 2005, Calenzano, Congresso Comunale DS; 11 marzo 2005, Signa, Congresso Comunale DS
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marzo 2005, Firenze, Sash Hall campagna elettorale regionali
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16 aprile 2005, Firenze Palazzo Vecchio
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21 luglio 2005, Firenze Festa regionale de l’Unità; 21 luglio 2005, Calenzano Festa de l’Unità
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Agosto 2006, Firenze Festa Regionale de l’Unità; 9 ottobre 2005, Roma, Piazza del Popolo, manifestazione de l’Unione
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1 dcembre 2005, Firenze, Palazzo dei Congressi Conferenza nazionale DS
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2 dcembre 2005, Firenze, Palazzo dei Congressi Conferenza nazionale DS
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24 marzo 2006, Firenze Palazzo Vecchio
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maggio 2006, Figline V.no, elezioni amministrative
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20 luglio 2006, Firenze Festa regionale de l’Unità; agosto 2006 Firenze Festa regionale de l’Unità
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Ottobre 2006, Firenze Piazza Signoria
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3 dicembre 2006, FirenzeStadio Artemio Franchi
Ciao Meme
3 dicembre 2006, Firenze Piazza San Marco
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4 dicembre 2006, Incisa in Val d’Arno Piazza del Municipio
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Meme, rimarrai nei nostri cuori di Piero Fassino
In una grande comunità come il nostro Partito - fatta di donne e uomini che stanno insieme non solo perché condividono un progetto, si battono per gli stessi obiettivi e credono negli stessi valori, ma anche perché sono legati da una profonda e intensa solidarietà umana - quando uno di noi se ne va la sofferenza è atroce. E quando se ne va un compagno come Meme, con cui tutti abbiamo condiviso molti momenti, la mente si affolla di immagini e ricordi. L’ultimo ricordo di Meme è di cinque giorni fa quando, alla fine della riunione dei segretari regionali e dei segretari delle grandi città, prima di andarsene, mi ha detto «Piero, devi darmi una data per venire a Firenze». Entrambi non potevamo sapere che a Firenze sarei venuto, ma per salutarlo. Don Luca, il sindaco Leonardo Domenici e tutti i compagni intervenuti hanno giustamente ricordato la cifra di Meme, la sua straordinaria generosità, che si esprimeva in una grande passione, espressa in ogni suo gesto, ogni sua parola. Era un uomo trasparente al punto tale da poterne intuire gli umori e i pensieri al solo osservare i comportamenti e i gesti. Quella generosità era il tratto che gli consentiva di interpretare al meglio le aspettative, le ansie, le domande di chi interloquiva con lui, sia che fosse un compagno con le sue stesse idee, sia una persona da lui distante. Era un uomo che aveva compreso che la politica è prima di tutto ascolto, capacità di prestare attenzione alla gente, alle sue domande, ai suoi bisogni, angosce e speranze. Ma sapeva che la politica comporta il dovere, non solo di ascoltare, ma anche di dare risposte concrete, capaci di alleviare le grandi e piccole angosce della vita quotidiana di tanti. Aveva tratto questa concretezza dalle origini operaie, dall’attività di sindacalista e dalla decennale esperienza maturata come sindaco a Incisa Valdarno. Una concretezza che lo portava sempre a tradurre ogni idea in azione, ogni suggestione in proposta, conferendogli una straordinaria vitalità e intensità di iniziativa che lo impegnava ogni giorno allo spasimo. C’era un tratto che di Meme mi colpiva: il suo modo di parlare, in cui sembrava che il pensiero arrivasse al termine, oltre la parola. Un eloquio, certamente mosso da una passione intensa e dall’urgenza comunicativa, che comportava la necessità di interpretare il discorso là dove qualche volta mancava una parola, ma mai il filo logico. Credo sia questa la ragione per cui tutti noi siamo stati colpiti e straziati da una morte tanto più crudele perché improvvisa, perché ha colto questo nostro amico e compagno nel cuore degli anni, nel vigore della vita, nel momento in cui stava realizzando tanti obiettivi che davano concretezza e realizzazione ai suoi sogni e alle sue idee.
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Proprio mercoledì mi parlò con slancio del suo ultimo progetto: l’apertura di una nuova sede dei Ds toscani, alla cui cerimonia di inaugurazione mi aveva più volte chiesto di partecipare. Trovo giusta la proposta di Andrea Manciulli, il nostro segretario regionale, di intitolare proprio quella sede a Manuele Auzzi. Così ce lo ricordiamo. Come uno di noi, che ha speso bene la propria vita, conciliando la passione per la politica con gli affetti, l'amore per Lucia e per Noemi. Ricordo come brillavano i suoi occhi quando parlava di sua figlia. Tutti noi conserviamo l’immagine di un uomo impegnato, appassionato, vivace, forte. In fondo il destino, anche quando è atroce, onora gli uomini perbene. E lui è morto esattamente come si poteva immaginare. Al termine di una giornata di lavoro faticoso, al termine di una riunione con i suoi compagni, tornando a casa dalla sua famiglia, convinto di aver fatto, come sempre anche quel giorno, il suo dovere. Ha speso bene la propria vita. Per questo rimarrà nei nostri cuori.
Lunedì 4 dicembre 2006, Chiesa Sant’Alessandro, Incisa in Val d’Arno
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4 dicembre 2006, Incisa in Val d’Arno Piazza del Municipio
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6 dicembre 2006, Firenze Palazzo Vecchio, Consiglio comunale straordinario
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6 dicembre 2006, Firenze Palazzo Vecchio, Consiglio comunale straordinario
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Cara Noemi, cara Lucia, cari compagni, non scorderò mai quegli ultimi chilometri di una serata tranquilla passata tutti insieme per festeggiare Marco Filippeschi. Avevamo finito la cena vicino al caminetto a raccontare i soliti aneddoti, come ci capita spesso. Poi avevamo ripreso la strada, io e Manuele. Cominciò quasi subito: “Hanno fatto la gettata, ora cominceranno a tirare su i piani…”. La sera aveva partecipato a una riunione delle compagne proprio qui, aveva ispezionato i cantieri come faceva spesso lui e come io non sarò in grado di fare. Scorreva la strada e lui mi raccontava imperterrito come procedevano i lavori, come stava andando la campagna di sottoscrizione. Lo faceva come sempre con grande trasporto e grande passione: era la sua creatura e un giorno mi spiegò che se fosse riuscito a costruirla “si sarebbe sentito a posto”. Mi sono spesso domandato il perché di questo “a posto”: credo che il suo “a posto” fosse un enorme tributo al partito, al suo modo di intenderlo come un luogo che deve sopravvivere a tutti noi, un luogo nel quale le solide fondamenta della sede corrispondano alle pareti spesse ed eterne di una solidarietà collettiva che è la nostra forza. Credo che costruire la sede per lui fosse anche un modo per dare le gambe ad un partito fiorentino di nuovo stabile, solido, degno di rispetto e di considerazione, un modo per ridare metaforicamente dignità al partito, quello con la P maiuscola, a quel modo di essere compagno che brillava nei suoi occhi e nel suo sorriso, fatto di altruismo, generosità e responsabilità. Meme era un uomo di partito, di questo partito. Amava il suo lavoro, gli attribuiva una dignità immensa, una dedizione totale. Oggi per molti sarebbe quasi incomprensibile, ma chi lo conosce e lo prova questo modo di essere non può che essere fiero. E sono questa sua dignità e questa sua generosità che ne hanno fatto un dirigente politico di prim’ordine. Lo voglio dire con grande chiarezza: Manuele è stato un grande segretario, il suo bilancio politico è di grande valore. In questi anni ha saputo essere un punto di riferimento per tutta la provincia, ha promosso una nuova leva di amministratori e dirigenti politici, ha fatto conseguire al partito risultati elettorali importanti, ha saputo riportare un rapporto solido fra la federazione di Firenze ed il partito regionale. Ha saputo, e questa è la cosa più importante, anteporre i destini collettivi a quelli personali: lo ha fatto gestendo situazioni difficili con autonomia, saggezza e determinazione. Avrebbe lasciato fra poco, al Congresso, il suo incarico. Queste cose avrei voluto dirgliele lì, salutandolo e ringraziandolo, cominciando con lui una nuova avventura, e invece queste cose le posso dire solo a voi. Non immaginavo che quelli in auto sarebbero stati gli ultimi attimi della sua vita. Avrei voglia di poterli rivivere almeno per esprimergli il mio affetto. Siamo sempre così parchi con i nostri sentimenti, come lo eri tu. Oggi qui c’è anche il tuo leader preferito, al quale forse avresti voluto dire un giorno quanto lo stimavi, ma non ne hai avuto tempo: proverò a dirglielo io. Una sera, dopo una bellissima cena con te, Massimo, una cena nella quale parlammo fino a tarda notte, eravamo in pochi e c’era davvero una bella atmosfera, distesa, conviviale. Uscendo,
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Meme, con il suo fare, mi disse: “E’ stata una serata bellissima, sarei stato tutta la notte ad ascoltare. Non ho fatto figurette vero?”. Era il modo migliore per lui di dire quanto ti stimava. Oggi Meme avresti compiuto 50 anni. Non c’è giorno migliore per farti sapere quanto ti vogliamo bene. Lo vogliamo fare costruendo la cosa alla quale tenevi di più, tireremo su questa sede come avresti fatto tu. Per farla c’è bisogno di tutti voi. Mettiamoci tutto l’impegno che possiamo, perché prima sarà pronta, prima porteremo a termine il progetto di Manuele. Questo partito ti deve tantissimo e per questo oggi siamo qui per dedicarti per sempre la nostra nuova casa che nascerà. Sarà la casa del nostro partito, sarà la tua casa, Meme, nella quale ti sentiremo sempre con noi. Andrea Manciulli
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16 dicembre 2006, Firenze Casa della Cultura “La casa dei DS la casa di Meme�
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Cara Lucia, cara Noemi e carissimi compagni, siamo qui riuniti, a poca distanza dalle fondamenta della nuova casa della sinistra fiorentina, che Manuele Auzzi ha voluto per sanare la ferita, mai rimarginata, di quella Festa dell’Unità che si portò via tanta parte dei sacrifici, delle fatiche, dei risparmi della nostra grande organizzazione di Firenze. Egli, più di tutti, si rimboccò le maniche per non disperdere quel patrimonio e ricostruire un luogo che avesse una valenza anche simbolica, in cui ci si potesse tutti riconoscere e ritrovare. Qui, a pochi metri dalle fondamenta di quella casa, che sorgerà e prenderà il sui nome, noi ricordiamo Manuele con affetto e riconoscenza. Vedete, la vita di un dirigente politico porta a girare l’Italia, ad andare all’estero, dunque ad incontrare una grande quantità di compagne e compagni, ad incrociare un gran numero di vicende personali. Non è facile, a volte, conservare nella memoria la percezione esatta, il valore preciso dei rapporti umani che si intrecciano. Trovo che in questo ci sia una grande disuguaglianza, una disparità, nel senso che non sempre si riesce a percepire fino in fondo il valore che si ha per gli altri ed a cogliere fino in fondo il valore che gli altri hanno per te. Non è il caso di Manuele Auzzi, il quale è rimasto impresso nella mia memoria, forse perché in lui vi era un’idea di partito e di impegno politico, un’impronta che, chissà, magari per vecchiaia, io sento profondamente affine. È come il far parte di una razza in via di estinzione, per cui ci si riconosce a fiuto. Si ha la sensazione di appartenere ad un certo mondo, ad una particolare storia, ad un determinato modo di concepire la politica. Tutto ciò, in lui, era molto forte. So bene che parlare, oggi, di “senso del partito” può persino sembrare un modo di svilire la forza di una personalità, ma non è cosi’. Il legame ad un progetto collettivo non è un modo di ridurre o imprigionare la forza dalla propria individualità, al contrario. Tanti anni fa, è stato scritto che le ambizioni che si legano al narcisismo individuale sono piccole, mentre le ambizioni che si legano ad un progetto collettivo, in grado di lasciare un segno nella storia, sono grandi. Manuele era legato ad una grande ambizione: essere parte della sinistra, del movimento dei lavoratori. Egli aveva, anche ai miei occhi, quella qualità, ormai rara, di essere - come si diceva una volta - un “quadro operaio”, in cui era evidente l’impronta popolare, la capacità di ragionare come fanno le persone comuni, che è una grande dote in un dirigente politico. Fabbrica, sindacato, sindaco: egli veniva da questa trafila, che rappresenta un approccio non intellettualistico alla politica. E’ la politica vissuta come proiezione di aspirazioni, speranze, bisogni delle persone comuni. In lui, questo senso di appartenenza al popolo era molto forte. Gli dava quel buon senso, che potrebbe sembrare una
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virtù modesta, di cui, invece, c’è tanto bisogno nel mondo politico di oggi. Gli dava realismo, gli dava equilibrio, gli dava quella passione unitaria che gli operai imparano come condizione per vincere e sapere andare avanti. Gli dava quella capacità di rapporto con gli altri, di cui oggi voi misurate l’assenza, il vuoto che è stato lasciato. Gli dava un punto di equilibrio, di garanzia, il ché non significa non avere proprie opinioni politiche. Manuele Auzzi le aveva: è stato un uomo del rinnovamento politico e culturale, del rinnovamento del partito e dell’apertura verso i più giovani. Ma credo che nell’avere le proprie opinioni, si possa avere quel tratto di rispetto verso gli altri, che fa la differenza tra un uomo di fazione ed un uomo politico, equilibrato e saggio, come egli è stato in questi anni. Ricordo i tratti del suo carattere, del suo stile personale, della sua gentilezza, della sua attenzione verso gli altri. Penso, ad esempio, a quella sera in cui ci tuffammo nella bolgia dell’assemblea del cosiddetto “movimento dei professori”. Forse Manuele non era del tutto convinto dell’idea di partecipare a quell’assemblea. Probabilmente, gli sembrava un’imprudenza, una guasconata, e si sentiva un po’ responsabile, pur non essendolo, di come sarebbero andate le cose. Era preoccupato, perché nello spirito del partito c’era l’idea che uno dei massimi dirigenti non potesse essere svillaneggiato. Egli visse quei momenti con evidente tensione, segno di un affetto personale e di una preoccupazione verso il compagno. “Compagno” è una parola che, detta così, a volte può suonare rituale, ma se è vissuta con un’autentica partecipazione personale, al di fuori della ritualità burocratica, in realtà ha un significato intenso. Se ci pensiamo, è una parola che si usa nella politica, ma si usa singolarmente anche nella vita personale, quando chiamiamo “compagna” o “compagno” la persona che ci sta accanto. In lui, questo senso di condivisione era molto forte. Ricordo che, finita quell’assemblea, ci fu un sospiro di sollievo, come a dire: ce l’abbiamo fatta, ne siamo usciti, abbiamo superato questa sfida, questa prova. E siamo riusciti ancora a parlare con gli altri, abbiamo continuato a farci intendere, nonostante uno dei momenti più drammatici, in cui sembrava che non fossimo più in grado di farci ascoltare e di farci capire da una parte della società. Ecco, per lui la politica non era mai separata dalle persone, dalla cosiddetta “società civile”. Ed io penso che sia così: la politica è al servizio della società civile, ma rivendica anche la forza di una sua missione. Quando leggo o ascolto chi parla di partiti e di società civile, sento che alla prima espressione si dà quasi sempre una connotazione negativa, per cui si ha immediatamente la percezione di una burocrazia pervasiva, di un potere che si difende. La società civile, invece, viene sempre raffigurata, nella forma, nella vitalità, nella tendenza, come qualcosa di
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necessariamente buono. In questa visione, penso vi sia uno schematismo enorme. Io mi domando: perché quel lavoratore, che la sera, dopo essere stato in fabbrica, va in sezione a discutere, debba essere considerato un cittadino di “serie B” ed espulso dalla “società civile”? Io sono convinto che occorra considerare la politica per ciò che è: un qualcosa di più, un impegno in più, una testimonianza ancora più alta ed impegnativa della propria responsabilità verso gli altri. La politica, quando è vissuta autenticamente, è questo. Credo anche che nessuna società civile possa esprimersi, se non c’e’ chi pazientemente ne crea le condizioni. Non è una battuta sprezzante affermare che noi vogliamo la democrazia aperta, la partecipazione dei cittadini, la possibilità di votare al gazebo per scegliere i candidati, ma che, alla fine, se non vi sono quelli che i gazebo li costruiscono, non c’è il luogo dove la società civile possa incontrarsi e manifestare la propria partecipazione. Dico questo, perché – voi lo sapete meglio di me – Meme era un uomo che costruiva le cose: non ha mai vissuto il suo essere dirigente come un incarico che lo esentasse dai compiti più umili, dalle funzioni materiali, insomma, dalla preoccupazione di come siano distribuite le seggiole. In lui, non c’era la spocchia intellettualistica di chi delega agli altri la responsabilità di fare. Viceversa, egli sapeva, prima come organizzatore (altra figura sottostimata), e poi come capo del partito, che alla fine il successo di quella particolare manifestazione non dipendeva soltanto da quanto fosse brillante l’oratore, ma anche dallo scrupolo con cui erano stati mandati gli inviti, distribuite le responsabilità, organizzata la platea. Ciò, nella consapevolezza che la politica è un lavoro che va svolto con passione e spirito di sacrificio. Di fronte a questo, egli non si è mai tirato indietro. La vita ha un destino strano… Non dipende dalla quantità di lavoro, il fatto che, ad un certo punto, un male ti possa arrivare improvviso. Però, Meme ci ha lasciato con questa impressione: essere caduto sul lavoro, essersi accasciato nel mezzo di un impegno incessante, infaticabile. Questo rende ancora più forte il senso del rimpianto, la sensazione del vuoto di qualcuno che ti era a fianco e improvvisamente cade, nel mezzo di un’impresa comune. Giovane, il ché è ancora più ingiusto e doloroso. È molto difficile parlare alle persone che perdono una persona cara. Non si trovano mai le parole giuste. Credo, però, che il conforto più grande sia la sensazione di essere circondati da un cordoglio, da un dolore che è collettivo. Intendo il non sentirsi soli nel dolore e nel rimpianto, ma avere la consapevolezza di quanto la persona cara, che non c’è più, fosse circondata da rispetto, considerazione, stima ed affetto.
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Credo che in questi giorni, a Firenze, all’Incisa e qui, questa sera, tale sensazione sia grande. Ci sentiamo tutti uniti dal rimpianto, dall’omaggio e dalla necessità di trarre insegnamento dal percorso politico, di vita, di Meme Auzzi. Può sembrare un discorso antiquato, retorico, ma, in fondo, le persone lasciano questo: un ricordo ed una traccia del loro lavoro. Questo ricordo e questa traccia sono grandi: il ricordo di un compagno caro, la traccia di un impegno civile incessante, testimoniato da quelle fondamenta dell’opera a cui Meme dedicò tanta fatica e tanto lavoro. Credo che non soltanto i Ds, ma la politica fiorentina tutta si unisca a noi, come si è unita a noi, in questi giorni, nel ricordo e nell’omaggio a quest’uomo. Continueremo a pensarlo e, quando questa sede sorgerà, vi sarà un’altra occasione per ricordarlo, perché essa rappresenterà un segno ulteriore del lavoro che egli ha compiuto. Oggi siamo qui, per rivolgergli un augurio nell’occasione del suo mancato cinquantesimo compleanno, per ricordarlo insieme, per rendergli omaggio, per dirgli che continueremo il suo impegno e il suo lavoro.
Massimo D’Alema, 16 dicembre 2006, Ponte di Mezzo Firenze
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“Manuele Auzzi” Sede dell’Unione Regionale toscana e Unione Metropolitana di Firenze