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1.1. Il contesto internazionale ed europeo e l’Agenda ONU 2030
1. Il contesto dell’Agenda 2.0
1.1. Il contesto internazionale ed europeo e l’Agenda Onu 2030
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Il concetto di sviluppo sostenibile si è affermato ed è evoluto nel tempo in una successione di tappe che hanno coinvolto la comunità internazionale e quella globale in un processo di riflessione e di azione sulla direzione da intraprendere nel rapporto tra le persone, i popoli e il pianeta. Nel 1968 viene fondato il Club di Roma che quattro anni più tardi pubblica il Rapporto «I limiti dello sviluppo» dimostrando l’impossibilità di perseguire una crescita economica illimitata in un pianeta dotato di risorse finite. La conferenza delle Nazioni unite sullo sviluppo umano del 1972, che fonda il programma ONU per l’ambiente (UNEP, 19731), si conclude con la Dichiarazione di Stoccolma, recante 26 principi su diritti e responsabilità dell’uomo nei confronti dell’ambiente. I temi ambientali sono percepiti per la prima volta come questioni globali: viene sancito il Principio di responsabilità internazionale e attraverso l’incremento di azioni di sensibilizzazione cresce anche l’interesse politico, con la nascita dei primi ministeri dell’Ambiente in seno agli Stati membri. È nel 1987 che la Commissione ONU per ambiente e sviluppo pubblica il suo primo Rapporto dal titolo «Il nostro futuro comune», noto come Rapporto Brundtland, che contiene la definizione ancora oggi più nota di sviluppo sostenibile: «Uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Attraverso ulteriori tappe significative e quasi tre anni di lavori preparatori si giunge alla Conferenza delle Nazioni unite su Ambiente e Sviluppo e al Vertice della Terra di Rio de Janeiro del 1992, con 178 Stati membri partecipanti e un Forum globale alternativo e simultaneo che coinvolge per la prima volta la società civile. Il ricco portato della conferenza di Rio si traduce in due convenzioni (Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e Convenzione quadro sulla biodiversità) e tre dichiarazioni di principi (Agenda 21: il programma d’azione per il XXI secolo; Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste; Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo2), oltre che alla nascita della Commissione per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni unite (UNCSD) con il mandato di sovrintendere all’attuazione degli accordi e di elaborare indirizzi politici per attività future e partenariati tra governi e società civile. L’Unione europea approva lo stesso anno il quinto Piano d’azione ambientale «Per uno sviluppo durevole e sostenibile» 1993-1999 che auspica un cambiamento dei modelli sociali promuovendo la partecipazione e la corresponsabilità intersettoriale. Il 1997, in occasione della terza Conferenza delle Parti (COP) di attuazione della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC, 1992), vede la firma del celebre Protocollo di Kyoto3, che pone obiettivi vincolanti per la riduzione delle emissioni di gas responsabili del cambiamento climatico e impone ai Paesi sviluppati un processo di collaborazione globale. A cavallo con il nuovo millennio, viene coniato dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen il termine «antropocene»4 il quale, se tecnicamente indica la capacità dell’uomo di incidere sui processi geologici, afferma altresì l’insostenibilità dei modelli di vita umani rispetto alla Terra. Con la formalizzazione del Patto globale delle Nazioni unite (cd. Global compact) nel luglio del 20005, il settore privato è incoraggiato ad avviare una nuova fase della globalizzazione improntata alla sostenibilità, cooperazione internazionale e partenariati multistakeholder. Nel settembre del 2000, 187 Stati sottoscrivono la «Dichiarazione ONU del Millennio» che adotta otto Obiettivi di sviluppo del Millennio (MDGs) da raggiungere entro il 20156: pur mancando di una piena multidimensionalità e rivolgendo una primaria attenzione ai Paesi in via di sviluppo, essi manifestano l’assunzione di un forte im-
1. United Nations environment program (UNEP), https://www.unep.org/. 2. ONU, Dichiarazione di Rio sull’ambiente o lo sviluppo, 1992, https://www.isprambiente.gov.it/files/agenda21/1992-dichiarazione-rio.pdf. 3. http://unfccc.int/resource/docs/convkp/kpeng.pdf. 4. Paul Crutzen, Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era, Mondadori, 2005. 5. https://www.unglobalcompact.org/. 6. https://www.un.org/millenniumgoals/.
pegno politico misurabile e raggiungibile, in un’ottica di cooperazione. L’anno successivo l’Unione europea adotta la sua «Strategia per lo sviluppo sostenibile (EU SDS)»7 che pone sette sfide prioritarie al 2010 principalmente ambientali, ma volte anche alla coesione sociale e al raggiungimento di una prosperità in senso ampio. Revisionata nel 2006, la EU SDS evolve nel 2010 nella nota Strategia «Europa 2020, per una crescita intelligente e sostenibile e inclusiva»8 . Pietra miliare dell’evoluzione del tema è la conferenza delle Nazioni unite sullo sviluppo sostenibile del 2012 di Rio de Janeiro (cd. Rio+20), nella quale vengono poste le basi per una nuova concezione dell’economia, capace di armonizzare la coesistenza di sistemi sociali e naturali, aprendo così definitivamente all’intersezione delle diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile. Eredità di Rio+20, a seguito di due anni di intensi e complessi negoziati, è la dichiarazione dal contenuto principalmente programmatico «Il futuro che vogliamo»9 che avvia il processo di definizione di nuovi obiettivi globali e fonda il Forum politico di alto livello (HLPF) per lo sviluppo sostenibile i cui lavori saranno avviati nel 2013. Il 2015 segna un anno determinante per l’evoluzione del concetto di sviluppo sostenibile in ottica di integrazione multidimensionale in forma dinamica, da perseguire attraverso un approccio olistico. A maggio viene promulgata l’enciclica “Laudato sì. Sulla cura della casa comune”10, nella quale si afferma il concetto di ecologia integrale, alla quale tutti possono contribuire. A luglio viene approvato il Piano d’azione di Addis Abeba nel contesto della terza Conferenza internazionale sul Finanziamento allo sviluppo11 (le precedenti: 2002, Monterrey; 2008, Doha), che definisce la necessità di contribuire allo sviluppo sostenibile da parte del settore privato, oltre all’impegno politico e alle risorse pubbliche. In occasione della COP21, con la partecipazione di 195 Paesi e numerose organizzazioni internazionali, è stato sottoscritto l’Accordo di Parigi12, il cui principale obiettivo vincolante è il mantenimento dell’innalzamento della temperatura globale sotto i 2°C e la guida degli sforzi per limitarne l’innalzamento fino a 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali. Il momento di maggiore portata in epoca contemporanea è il Summit sullo sviluppo sostenibile a latere dell’Assemblea generale dell’ONU, dove il 25 settembre 2015 193 Stati membri approvano e sottoscrivono la risoluzione dal titolo «Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile»13 . Risultato di un complesso processo preparatorio, la risoluzione è composta da diverse sezioni: dichiarazione politica, obiettivi e target, strumenti attuativi e monitoraggio dell’attuazione e revisione. L’Agenda 2030 fissa i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs o OSS) da raggiungersi entro il 2030, declinati in 169 target o sotto-obiettivi e da un set di oltre 200 indicatori fissati a livello internazionale per monitorare l’avanzamento verso il loro raggiungimento Gli SDGs hanno carattere universale: si rivolgono tanto ai Paesi in via di sviluppo, quanto a quelli avanzati e necessitano dell’impegno non solo delle istituzioni governative, ma anche del settore privato e della società civile in tutte le sue variegate sfaccettature. L’Agenda 2030 dà infatti particolare rilievo alla creazione di partenariati multistakeholder per la costruzione di azioni intersettoriali. L’interdipendenza degli SDGs conferma poi definitivamente la multidimensionalità dello sviluppo sostenibile: alla dimensione ambientale sono affiancate senza ordine di priorità quella economica, sociale ed istituzionale. Ne è corollario il fatto che un singolo SDG non potrà essere raggiunto se non saranno raggiunti, nello stesso tempo, gli altri sedici. Tale trasversalità è confermata da cinque concetti chiave su cui l’Agenda 2030 si fonda, rappresentati da cinque 5: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership. Fondamentale importanza è acquisita dal monitoraggio sull’avanzamento dello stato di sviluppo sostenibile che, a livello internazionale, si traduce in una revisione annuale in sede di Consiglio economico e sociale ONU (ECOSOC), una quadriennale in sede di Assemblea generale (UNGA), e con la presentazione delle revisioni nazionali volontarie (VNRs). Con l’adozione dell’Agenda 2030 la comunità internazionale compie un passo estremamente significativo nell’inquadrare le politiche di sviluppo in un’ottica di sostenibilità.
7. https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2001:0264:FIN:it:PDF. 8. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52010DC2020&from=IT. 9. https://sustainabledevelopment.un.org/rio20/futurewewant. 10. https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html. 11. https://www.un.org/esa/ffd/ffd3/index.html. 12. https://unfccc.int/process-and-meetings/the-paris-agreement/the-paris-agreement. 13. https://unric.org/it/wp-content/uploads/sites/3/2019/11/Agenda-2030-Onu-italia.pdf.