FRANCO CHIARANI
Velate presenze
Medole Torre Civica
FRANCO CHIARANI Velate presenze
6 Novembre 2016 8 Gennaio 2017
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FRANCO CHIARANI
Velate presenze 6 Novembre 2016 - 8 Gennaio 2017 Medole - Torre Civica Collaborazione
COMUNE DI MEDOLE
COMUNE DI PONTI SUL MINCIO
UNIONE DEI COMUNI “CASTELLI MORENICI”
Con il Patrocinio
Mostra, catalogo e coordinamento Giovanni Magnani - Fabrizio Migliorati
Testi critici a cura di Fabrizio Migliorati, Paolo Capelletti Luca Cremonesi
Allestimento Settore operativo dell’Associazione Pro Loco Medole
Fotografie Domenico Brunelli Digital Foto Calvisano (Bs)
Addetto stampa Paolo Capelletti
Comune di Medole Tel. 0376 868001 www.comune.medole.mn.it
Associazione Pro Loco Medole Tel. 0376 868748 Torre Civica Tel. 0376 868622 2
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gni nuova mostra della Civica Raccolta d’Arte di Medole rappresenta un momento di alta riflessione artistica e umana. Il lavoro, oramai quarantennale, portato avanti dalla nostra Raccolta Museale, rappresenta una ricerca che non si pone in una semplice prospettiva locale, ma che guarda all’Italia e al’Europa. Le numerose mostre che hanno abitato le sale della Torre Civica sono la testimonianza di un percorso sincero e coerente, che pone il lavoro al centro dell’analisi in atto. L’Amministrazione Comunale è orgogliosa di presentare un nuovo evento culturale che chiude un anno ricco di interventi e di esposizioni. Concepita dal direttore e dal conservatore della Civica Raccolta d’Arte, con il fondamentale sostegno della Pro Loco Medole, Velate presenze, mostra personale consacrata ai lavori dell’artista arcense Franco Chiarani, si pone perfettamente all’interno della politica culturale esplicitata in questi anni nel nostro Comune. Umori mitteleuropei, atmosfere che oscillano tra la bohème e le avanguardie storiche, tra fonti letterarie e artisti come Giacometti e Bacon: il mondo pittorico e segnico di Chiarani è un mondo ricco e denso di significati. Le due grandi sale della Torre Civica accolgono, quindi, un mondo di visioni e di riflessioni di un importante artista contemporaneo le cui opere sono state esposte, e premiate, tanto in Italia quanto all’estero (ci fa particolarmente piacere ricordare la sua partecipazione alla mostra di Expo Italia 2015, selezionato personalmente da Vittorio Sgarbi). Auspichiamo che l’impulso che verrà da questo importante evento si tradurrà in altre iniziative, in desiderio e, quindi, produzione culturale e, in definitiva, in un salto di qualità per il tessuto della comunità medolese e non solo. Con l’augurio che i tempi per questo cambiamento siano presto maturi e nella piena certezza che la Civica Raccolta d’Arte sarà in prima linea con le sue attività, durante questa evoluzione culturale, il nostro più sentito ringraziamento va a tutti coloro che a vario titolo hanno contribuito alla realizzazione di questo evento. Franca Caiola
Assessore alla Cultura di Medole
Giovanni Battista Ruzzenenti Sindaco di Medole
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UN FIL ROUGE SUL LIMITARE ESTREMO DELLE PRESENZE PERSISTENTI di Fabrizio Migliorati
L’opera di Franco Chiarani è un’opera colta, impregnata di cultura e storia dell’arte. Un lavoro che unisce due termini, due valori essenziali come “arte” e “vita”.1 E, immediatamente, il pensiero corre a quegli scritti intrisi di valore etico del grande critico bolognese Francesco Arcangeli. Riunire arte e vita non è mera ovvietà, quanto una scelta etica che concepisce l’arte come luogo di uno sviluppo sub specie aeternitatis,2 come il farsi dell’eternità attraverso l’arte. E il lavoro di Chiarani si pone come presa di posizione all’interno della realtà, nel profondo di essa, in una logica non trascendentale, ma drammaticamente mondana. Priva di una volontà metafisica, l’etica dell’artista sviluppa una parabola segnica certosina, dove anche il più piccolo frammento, il segno più impercettibile, incide la materia leggera della pittura per mostrare la propria esistenza, il proprio battito vitale. Una fedeltà al proprio essere artista, una profonda coerenza che pone Chiarani al di fuori delle logiche del mercato e lo consegna alla vera, e sincera, storia dell’arte. Se abbiamo citato Francesco Arcangeli, vi è certo una motivazione. Il critico bolognese lavorò assiduamente insieme ad una piccola pattuglia di artisti della “marca di settentrione”3, la Pianura Padana, e il suo lavoro critico non si limitò alla promozione e all’accompagnamento artistico. Il suo ruolo fu piuttosto quello di un complice4 di quel movimento (ma che vero e proprio “movimento” non fu) che egli stesso definì come “ultimo naturalismo”. Arcangeli fu un compagno di viaggio di straordinari artisti come Ennio Morlotti, Pompilio Mandelli, Sergio Vacchi, Vasco Bendini, Sergio Romiti e Mattia Moreni, creando più che un vero movimento, una compagine di amici battaglieri che si ritrovarono “sulla stessa barricata”.5 Abbandonando l’equilibrio, questi artisti fecero un’azione estremamente coraggiosa per quegli anni Cinquanta che si rivolgevano verso lidi assai rivoluzionari come l’Informale e il Concettuale: essi ritentarono la natura. E lo fecero sentendone gli umori profondi, consci che quelle rappresentavano le ultime propaggini di un rapporto intenso con la natura tutta, senza che questo diventasse una pittura naturalistica. “Natura è la cosa immensa che non vi dà tregua, perché la sentite vivere tremando fuori, entro di voi: strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento”.6 In Chiarani ci sembra di ritrovare un procedere che riprende la compagnia di artisti di Arcangeli, ma ovviamente, propria del suo tempo. Con l’artista trentino i valori pittorici sembrano spinti ancora più in là, lambendo margini invisibili, in un movimento che potremmo definire, parafrasando Arcangeli, “ultimissimo naturalismo”. Lavori come Figure che attraversano il bosco o Arco, mostrano sentori di Mandelli e di Morlotti, là dove il paesaggio diviene una forza particolare, un “epitelio di contatto così quotidianamente e prolungatamente impressivo che l’uomo artista è portato quasi inevitabilmente all’ambizione di esprimere questo rapporto, a darne segno in arte come ad una delle sue realtà
Francesco Arcangeli, Arte e vita. Pagine di galleria 1941-1973, Accademia Clementina-Boni, Bologna 1994. Federico Ferrari, Sub specie aeternitatis. Arte ed etica, Diabasis, Reggio Emilia, 2009. 3 Francesco Arcangeli, “Gli ultimi naturalisti” originariamente pubblicato in «Paragone», 59, Firenze, 1954, ora in Francesco Arcangeli, Dal Romanticismo all’informale. Il secondo dopoguerra, Einaudi, Torino, 1977, p. 325. 4 Il concetto di “curatore come complice” è ben chiarito in Federico Ferrari, “Un complice dell’artista”, in Curare l’arte, a cura di Chiara Bertola, Electa, Milano, 2008, ora con il titolo “Chi è il curatore?” in Federico Ferrari, Visioni. Scritti sull’arte, Lanfranchi, Milano, 2016, pp.188-190. 5 Francesco Arcangeli, op.cit, p.314. 6 Ibidem, p.317. 1 2
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più vere”.7 Ma se la pittura di quegli artisti emiliani era sovente una pittura ricca, pastosa, le opere di Chiarani si dimostrano molto più segniche, come se il paesaggio tremante non necessitasse più di un’abbondanza stratificata, ma di una leggerissima patina da lavorare con il bulino, creando una pittura segnica la cui profondità rimane incalcolabile e, di conseguenza, insondabile. In queste opere il paesaggio non è rappresentato: esso è estroflesso, mostrato attraverso le rugosità interne, per poi essere sciolto successivamente nell’intervento artistico dell’autore. Le figure che attraversano il bosco, proprio come il paesaggio che li ospita, sono dati ridotti ai minimi termini. Vi è un drammatico abbassamento della precisione e della fissità attraverso un processo di scioglimento progressivo del mondo circostante. Ma dobbiamo resistere alla tentazione nullificante che questo fenomeno potrebbe indicarci. Nella pittura di Chiarani convivono diverse forze e i movimenti che si effettuano e sono spesso contemporanei e antitetici. Se da un lato abbiamo uno sprofondamento nel dato naturale al punto tale che la connotazione sembra lasciare il passo al caos, abbiamo, contemporaneamente, l’emergenza significativa della figura, che indica tanto un’emersione, una risalita verso la superficie, quanto l’urgenza del ritratto. E il ritratto è, etimologicamente, l’effigie che si ricava da una persona, il “taglio o della exeresi che tira a sé i tratti per poi esprimerli”,8 e, contemporaneamente, la ritrazione dell’essere umano dall’opera. Un doppio movimento antipodico. I ritratti di Chiarani sono opere profondamente drammatiche, nelle quali il volto della persona raffigurata si fa tratto intenso ed essenziale. Le figure di Chiarani sono presenze sartriane, lavorate senza sosta fino alla realizzazione finale. Alberto Giacometti può, certamente, essere convocato come vicinanza stilistica e come assonanza visiva, ma queste presenze non sono immerse nel claustrofobico e fecondo vano dell’atelier dell’artista svizzero. Esse sono sprofondate in ambienti che ricordano le gabbie di Francis Bacon e, le opere che possiamo definire come l’alfa e l’omega di questa mostra, à voir, Centro storico (2000) e Nozze d’oro (2016), sono estremamente significative in questo senso. Le presenze di Chiarani sono una successione di figure sparse viventi nell’isolazione. Certo, non ci troviamo in quel laboratorio dove venivano create opere che compiacevano i morti,9 ma in un luogo altro, indefinibile quanto l’ambiente di Bacon, ma nel quale rimangono incastonati, malgré tout, frammenti di mondo, particelle mondane che oscillano tra il riconoscibile e l’indicibile. Un bar, un ristorante, una piazza. Forse. La nostra volontà di completezza, insieme al nostro sentimento dell’horror vacui, preme per nominare un luogo, come se questo ci donasse una rassicurante consolazione. Ma esse rimangono nel loro mondo, un mondo che rimane insondabile, grazie a quella patina invisibile e impalpabile che le accoglie, le protegge e le mantiene in vita. Un velo lievissimo. Il mondo di queste figure è una nebbia che possiede la stessa consistenza del marmo: figure incastonate ridotte all’essenzialità più drammatica. Vi è qualcosa che persiste di queste figure, qualcosa che rimane e che non può essere cancellato: il loro atto politico di resistenza. Una resistenza che è costituita della mancanza di un dialogo. Uomo seduto, Uomo alla finestra, Dentro alla figura, I giorni della memoria, sono dichiarazioni di una solitudine malinconica e riflessiva. I disegni presentati in mostra narrano di figure contorte, appena abbozzate, che rimangono silenti e in attesa. Un’attesa che si rinnova e che mai si spegnerà, proprio come avviene in Beckett (il drammatico lavoro intimista La morte di un albero sembra evocare l’albero che Giacometti creò nel 1961 per Aspettando Godot, poi tristemente distrutto nel 1968).
Francesco Arcangeli, “Una situazione non improbabile”, in «Paragone», 86, Firenze, 1956, ora in Francesco Arcangeli, Dal Romanticismo all’informale, cit., p.370. 8 Jean-Luc Nancy, L’Altro Ritratto, in L’altro ritratto. Catalogo della mostra, a cura di Jean-Luc Nancy, Electa, Milano 2013, p.16. 9 Jean Genet, L’atelier d’Alberto Giacometti, L’Arbelète, Décines 1992, p.87. 7
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Il circo, Interno con figure e i già citati Nozze d’oro e Centro storico rappresentano ristrettissimi gruppi di figure il cui silenzio, che nasce dall’interno dell’opera, racchiude i personaggi in un manto dolce e protettore, e che si rivela, in più, rigido ed indistruttibile. La sapienza costruttiva e la finezza segnica di Chiarani lavora le immagini con indomita pazienza fino a porre l’ultima traccia che definirà il quadro, l’ultima traccia che resiste, però, alla sindrome di Frenhofer, che resiste al caos, per produrre, al contrario, un’eccezionale precisione. Siamo in un mondo che si libra tra Kafka e Schiele, in un sentimento mitteleuropeo dove la bohème lascia il passo alla meditazione, alla riflessione interiore, fino a lambire il dramma. Questo carattere si lega ad un profondo sentimento personale, che ha le sue radici nella propria storia familiare. “Chi cerca di accostarsi al proprio passato deve comportarsi come un individuo che scava. Soprattutto non deve temere di tornare continuamente a uno stesso identico stato di cose, di disperderlo come si disperde la terra, di rivoltarlo come si rivolta la terra stessa”.10 I due lavori che portano il titolo di Braunau ed i disegni dedicati ai profughi, sono tanto l’omaggio ad un evento che colpì molte famiglie del Trentino, (e, anche, quella dello stesso Chiarani) quanto la testimonianza di quella che possiamo definire come una delle prime forme di lager. Nella cittadina austriaca di Braunau, dopo l’entrata in guerra del Regno d’Italia, fu creato un centro di raccolta degli sfollati cacciati dal Trentino. Le tracce di quelle baracche fatiscenti, gelide, popolate da topi, di quelle terribili condizioni dove l’umanità veniva negata, si depositano sulle carte e sulle tavole di Chiarani, come monito e patimento, memoria ed intimità. Vige l’incomunicabilità propria della testimonianza e quella interna delle figure, presenze fantasmatiche che si pongono sul limitare del visibile, ma che non creano alcun dialogo: il logos si è arrestato di fronte alle inumane misure che rispondono a necessità politiche di amministrazione territoriale e di salvaguardia dell’interesse nazionale. L’umano diviene accidente, scomoda eccedenza che avvia processi di concentrazione e di stoccaggio. Le ragioni nazionali prevalgono sull’umano fino a ridurlo a mera presenza fisica. Ingombrante. Chiarani rappresenta figure spente, ingarbugliate e mantenute da drammatiche linee-tagli lancinanti. Lo sguardo è buco, la figura sembra scomparire. Ma essa persiste. Rimane sulla carta malgrado tutto, testimonia la propria essenza, l’ecceità di Duns Scoto, nient’altro che ciò, l’haec, che la rende quella determinata figura e non un’altra, insostituibile. È quella presenza che, velata, rimane, persiste nell’immagine e non può scomparire. Immagini che non “escono dal nero” come quelle cinematografiche di László Nemes11 ma che si frappongono tra la dimensione dell’oscurità e quella della luce, in quell’interstizio che lascia loro sufficientemente spazio perché esse possano vibrare. Si tratta di una vibrazione vitale che schiva il sistema del nutrimento per lasciarsi andare a quello di una testimonianza del proprio essere nudo, mondato da sovrastrutture politiche e sociali. La testimonianza del campo di Braunau è quindi incisiva poiché è quel corpo che non si perde: esso rimane. Su queste immagini, depositate sulla loro superficie e non all’interno dell’immagine stessa, appaiono singole tracce di primo acchito quasi insignificanti. Adagiate su linee precedentemente tratteggiate, leggermente deviate o agglutinate in una forma globulare, discrete tracce rosse segnano le opere di Chiarani, come fossero la sua firma. Ma qui non si tratta certamente di sostituire l’elegante segnatura dell’artista con una traccia colorata quanto, piuttosto, di creare una sanguinante speranza, un ossimoro di una possibilità relazionale. Molte opere dell’artista portano i segni di questa spe-
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Walter Benjamin, “Scavare e ricordare”, in Opere complete, V, Scritti 1932-1933, Einaudi, Torino 2003, p.112. Georges Didi-Huberman, Sortir du noir, Minuit, Paris 2015.
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ranza, quasi fossero delle stigmate di un’immagine, il cardine avviluppato di una relazione con il mondo. L’offerta che queste presenze fanno di esse stesse è un’offerta greve, dolorosa, e quelle tracce sono, al contempo, il punto relazionale e l’ultima speranza, il dramma che si fa azione e che crea un varco da adoperare per non perderle per sempre. Ecco come dobbiamo porci di fronte alle opere di Chiarani. In religioso silenzio, come per acclimatarci a quella malinconica mancanza di dialogo e di rumore così insito nelle sue opere; nella curiosa scoperta all’interno del mondo segnico dell’immagine, per cercare di carpire i sintomi di quei brandelli mondani immersi in un viluppo annodante; dando loro una possibilità di relazione, poiché sono loro che avanzano una mano ferita, segnata da uno stigma indelebile, depositata sulla superficie senza affondare nella materia pittorica; chiudendo gli occhi, per poi renderci conto che quel tratto raffinato e delicato ha inciso una presenza persistente che resiste al tempo e all’oblio, per poi tornare con lo sguardo sull’opera rendendoci conto che quella presenza rimane coperta da un fine velo insondabile. Mentre un filo rosso tesse un’opera continua e silenziosa consegnata alla storia dell’arte.
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STARE NEL PRESENTE DELL’IMPAZIENZA di Paolo Capelletti
Come si distingue il limite tra l’assenza e ciò che c’è? Quale strumento consente di misurare il prodursi di questa differenza primeva? Il presente, da dove si inizia a cercarlo? Queste domande, che non esauriscono con le parole la profondità degli interrogativi, sono solo particolari, scaglie, della questione estetica essenziale, che si chiede se ciò che percepiamo coincida con ciò che esiste. Senza ammettere, si scopre piuttosto in fretta, una risposta univoca, soltanto affermativa o soltanto negativa. La figura, diciamo spesso, si staglia su uno sfondo. La prepotente sicurezza con cui, ai nostri occhi, i suoi contorni si separano dal resto di ciò che vediamo ne fa un soggetto chiaro e ci invita a convincerci che esista lei e poi, in secondo piano, il mondo. La figura che si è staccata dal fondo pretende lo status di presenza, ci impone di riconoscerglielo in virtù della propria solare evidenza. Eppure, dopo un’analisi più meditata, proprio quel grado di evidenza dovrebbe farci esitare a dirci soddisfatti, indugiare prima di terminare la ricerca di risposte alle domande iniziali. I nostri sensi, i nostri occhi, non sono fatti per essere confortati o rassicurati dalla nitidezza, il troppo evidente risulta loro, alla lunga, rumoroso e insopportabile, probabilmente non possono contenerne l’eccesso. Forse, al contrario, è proprio di un eccesso che il nostro sguardo necessita, ma che sia proveniente da molte fonti, che rigetti l’unicità e che, invece, sappia far fluire non soltanto la forma e la linea, ma anche il loro deragliamento, il fondo scomposto e riottoso. Alla ricerca di una presenza, forse, la vista è come una bacchetta da rabdomante, che vibra con forza centuplicata laddove individui un principio paradossale, che rasenti l’impossibile, generato da un impulso anarchico. Le opere di Franco Chiarani ci spingono sul contorno liminare di una rivolta. La rivolta della forma che porta su di sé la rivolta del corpo. Il corpo, i corpi, si sollevano innanzitutto nei propri stessi confronti: incapaci di contenersi, essi debordano, deflagrano, si costringono a nascondersi quando volevano apparire e le loro membra si sfuggono ed emergono proprio mentre cercavano di rendersi invisibili. È nell’impossibilità di deciderla, che riconosciamo la forma. Nello squarciamento della somiglianza, ne accogliamo l’evidenza. In un istante di indistinguibile avvertiamo una presenza. Velata. Potenza. A ben guardare, si coglie spesso una più vivida esperienza di questo genere nel ricordo che nella percezione. Nel ricordo i fantasmi si rincorrono, la realtà li deforma nel tentativo affannato di ingabbiarli, e ci arrivano tratteggiati, frammentati, drammaticamente diafani eppure pieni. Come urla silenziose. L’armonia non è necessariamente pace, ma soluzione riuscita di conflitti che non smettono di imperversare, magari avvelenandosi a vicenda, esaltando il manchevole, fiorendo nella mutazione e nella mutilazione, speculando sulla differenza. La mano di Chiarani sembra impaziente di esprimersi in questi termini, inquietanti ma come lo sa essere solo il desiderio, la vita stessa, quando non si ha il coraggio di ammettere di non poterne fare a meno e, dopotutto, non c’è alcun bisogno di farlo. Corpi da volere, corpi da temere, corpi da amare, corpi da distruggere. Presenze che manifestano il loro fulgore nell’assenza, assenze che non si accontentano di mancarci ma ci riprendono e ci trattengono. Queste creature potranno forse disturbarci, ma finiranno sempre per solleticare in noi la voglia di interrogarle, di averle attorno e, prima ancora che ci siamo concessi il tempo di capire perché, ci scopriremo in loro contemplazione, desiderosi di farne parte, di avere luogo nel loro aver luogo. L’evidenza della ragione di questo fenomeno dell’opera ci colpisce all’improvviso e altro non può fare che inchiodarci lì una volta di più: questi corpi, queste presenze, sono i nostri. Siamo noi. Ecco perché vorremmo abbracciarci. Per poter stare dietro al velo, sul limite, nel presente.
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MODERNO & CONTEMPORANEO di Luca Cremonesi
Moderno e Contemporaneo sono termini che dettano le qualità della Civica Raccolta d’Arte di Medole. Ogni volta che ci apprestiamo a inaugurare una mostra e a scrivere un catalogo per testimoniare la nostra produzione e le nostre proposte, ci si chiede se davvero stiamo lavorando in questa direzione. Con la mostra di Franco Chiarani il dubbio non è mai venuto a galla. La sua produzione è, allo stesso tempo, moderna & contemporanea. Uso la & commerciale perchè vorrei che il senso di lettura fosse moderno-e-contemporaneo, tutto attaccato. In Chiarani, infatti, ritroviamo la figura umana quale luogo della riflessione e della presentazione di temi centrali nell’esistenza umana. Questo procedere è, senza dubbio, moderno. Tuttavia, allo stesso tempo la figura di Chiarani accade e si presenta non più come netta separazione dal fondo. La figura, infatti, lo sfondo se lo porta con sé. Non solo, il fondo e lo sfondo sono carichi di forze e tensioni che fanno accadere e vivere la forma. L’equilibrio di quella forma che appare come sintesi e integrale di una tensione, fatto che ricorda Bacon, senza il teatro dello sfondo/fondo, e Freud, senza la sofferenza della carne, è l’elemento che rende il figurativo di Chiarani contemporaneo. Lo abbiamo già detto in altre occasioni, e il compito del nostro lavoro è anche questo, e cioè ribadire i concetti: contemporaneo non vuol dire solo assenza della forma e neppure assenza della figura e tantomeno assenza del corpo. Contemporaneo è un modo di accadere delle forme, delle figure e del corpo che non è più quello della bella forma e della bella apparenza che, nei secoli, sono stati dei modi d’essere dominanti dell’arte. D’altronde, cosa c’è di più contemporaneo della fotografia che, di fatto, riproduce fedelmente la realtà? Lettura banale della fotografia, ma solo per dire che quell’espressione artistica spesso è contemporanea proprio nel suo essere simile alla realtà. Le forme, dunque, e i corpi di Chiarani accadono raccontando corpi di uomini e donne che appaiono da una nube di sensazioni che rendono precaria, o sfuocata, l’esistenza. La gamma delle sensazioni, che vanno dallo stupore alla nausea (di sartriana memoria) esistenziale, ma anche dall’attesa alla sospensione della ricerca di un senso, sono l’apparire di un futuro incerto (termine che ha già descritto Chiarani, ma che a mio modo di vedere ben funziona ancora…) che permea queste opere. L’esistenza diventa precaria perché la nostra forma e il nostro destino sono tali, per definizione. Il nostro corpo è precario, senza dubbio. Emergiamo da un fondo comune e siamo destinati a tornarci. Forse questa consapevolezza di emergere & appartenere è alla base della malinconia di molte figure umane di Chiarani. Questi veli di colore, queste sfumature rimandano a un al-di-qua che è ben più interessante dell’al-di-là perché il “di-qua” è il luogo dove si deve capire come e perché ci si è staccati da quel fondo. La figura, dunque, sfuocata non lo è perché manca la messa a fuoco, ma perché nell’accadere non c’è stabilità, come accade nella vita quotidiana. Consapevolezza tutta contemporanea. Come l’arte di Chiarani, come le sue forme e i suoi corpi…
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DISEGNI
(in copertina)
Interno con figure, 2015 matita su carta cm. 39x30,5
(in retro copertina)
Figure, 2015 matita su carta cm. 30,5x35
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Sala d’aspetto, 2015, matita su carta, cm. 30x32
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Donna che scende le scale, 2015, matita su carta, cm. 36x31
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Uomo sulla strada, 2016, matita su carta, cm. 38,5x28,5
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Uomo che aspetta, 2016, matita su carta, cm. 38x30
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Figure sulla spiaggia, 2015, matita su carta, cm. 27,5x24,5
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Figure in piazza, 2016, matita su carta, cm. 32x30
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OPERE
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Arco, 2000, tecnica mista su tavola, cm. 70x114
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Domenica mattina, 2003, tecnica mista su tavola, cm. 70x70
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Cantiere, 2006, tecnica mista su carta, cm. 85x89
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Fiume in secca, 2005, tecnica mista su tela, cm. 90x90
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La terza pagina, 2009, olio su tavola, cm. 70x80
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La strada dell’orto, 2004, tecnica mista su tavola, cm. 70x80
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Figure e rocce, 2005, tecnica mista su tavola, cm. 60x86
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Uomo al telefono, 2009, tecnica mista su carta intavolata, cm. 55x77
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Centro storico, 2009, tecnica mista su tavola, cm. 70x98
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Rocce e lago, 2009, tecnica mista su carta intavolata, cm. 70x100
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Il ponte di ferro, 2010, tecnica mista su carta intavolata, cm. 90x90
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I giorni della calura, 2011, tecnica mista su carta intavolata, cm. 82x82
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Piano bar al caffè Celeste, 2010, tecnica mista su carta intavolata, cm. 80x100
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Il circo, 2010, tecnica mista su carta intavolata, cm. 70x100
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Josephine, 2012, olio su carta intavolata, cm. 80x80
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I giorni della memoria, 2013, olio su carta intavolata, cm. 80x80
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Braunau: le cittĂ di legno, 2014, tecnica mista su tela, cm. 80x80
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Visita alla misericordia, 2015, tecnica mista su carta intavolata, cm. 70x80
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Nozze d’oro, 2015, tecnica mista su carta intavolata, cm. 70x70
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Figure intorno al tavolo, 2015, tecnica mista su carta intavolata, cm. 78x85
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Uomo alla finestra, 2016, tecnica mista su tavola, cm. 83x62
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Scrittore del Sud, 2016, tecnica mista su tavola, cm. 90x60
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Sala d’aspetto, 2016, tecnica mista su carta intavolata, cm. 70x80
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Figure che aspettano, 2016, olio e grafite su tavola, cm. 80x90
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Uomo anziano, 2011, tecnica mista su carta intavolata, cm. 50x35
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Confini e confinanti - II, 2015, tecnica mista su carta, cm. 70x50
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La prima neve, 2005, tecnica mista su carta, cm. 49x67
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Migranti, 2016, tecnica mista su carta, cm. 50x50
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Figure, 2016, tecnica mista su carta, cm. 56x47
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Figura, 2015, tecnica mista su carta, cm. 50x35
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Figure con cane, 2009, tecnica mista su carta, cm. 70x53
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Uomo con il cane, 2009, tecnica mista su carta, cm. 70x51
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Uomo seduto, 2015, tecnica mista su carta, cm. 70x50
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Confini e confinanti - I, 2014, tecnica mista su carta, cm. 70x50
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Muore un albero giovane, 2010, tecnica mista su carta, cm. 80x50
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Dentro la figura, 2012, tecnica mista su carta, cm. 80x53
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Controluce, 2012, tecnica mista su carta, cm. 80x53
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BIOGRAFIA Franco Chiarani è nato ad Arco di Trento nel 1946 e proprio nella sua cittadina natale egli ha vissuto tutta la sua esistenza, portando avanti un’importante ricerca artistica e arricchendo la sua esperienza di viaggi, incontri e frequentazioni sia nazionali che internazionali. Sono numerose le mostre collettive a cui ha preso parte in Italia e all’estero e svariati i riconoscimenti, i premi e le vittorie in concorsi e contesti sia nazionali che internazionali, dal Premio Agazzi al Premio Segantini, dalla Biennale di Soliera al Premio G.B.Cromer di Agna fino alla mostra di Expo Italia 2015 cui si aggiungono anche le partecipazioni a fiere d’arte specializzate di livello europeo. Chiarani sperimenta su carte speciali, importate dal nord Europa, o carte da parati che danno effetti materici molto particolari: a volte è la carta stessa che emerge dalla macchia di colore, come fosse essa stessa la protagonista del quadro. Prima ancora di iniziare a dipingere, come ha spiegato l’autore, un passaggio fondamentale è il trattamento della carta per rendere quest’ultima e la materia pittorica un corpo unico: per questo motivo, Chiarani lascia spesso per ore le carte immerse nell’acqua, affinché il pigmento possa penetrare al meglio nelle fibre. Le sue opere fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.
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Tonalità ed atmosfere di Franco Chiarani Chiarani mi ha colpito non appena mi è stato sottoposto un suo catalogo al fine di valutare un’eventuale esposizione nello Spazio Atelier del Museo di Ca’ la Ghironda. Le sue opere le ho trovate subito “intriganti” non per la particolare luce ovattata o la rigorosa misura con cui tratta il colore, bensì per la dotata capacità di equilibrare materia e soggetti in un delicato, misterioso, magico rapporto tra la forma e la de-forma, la scomposizione o meglio la de-composizione, spesso, delle icone classiche – che rimandano ai soggetti tipici di ispirazione figurativa – con il gioco delle migrazioni, o meglio, trasposizioni dall’inconscio. Così, la dispersione delle forme nel mare della magia artistica, nella pura creatività del segno che parte da una figurazione dapprima abbozzata e poi dispersa nell’informale più puro ed equilibrato (un’informale di “maniera”, azzarderei), è certamente figlio sia di quell’istinto che il Chiarani riesce a far emergere nei suoi lavori, sia di quella propria sviluppata tecnica che guidano, entrambe, la riuscita delle armonie. Ciò con una sempre chiara applicazione plastica sistematicamente riproposta, con eguale efficacia estetica, su supporti materici differenti. Non definirei, il Chiarani, un artista informale, bensì un sensibile elaboratore del segno, un cultore dell’equilibrio tra forme e informe, un giocoliere di figure e ricami pittorici che, seppur nella drammaticità spesso dei suoi soggetti e delle sue atmosfere, rivela un accentuato percorso di qualità tecnica, di studio, di analisi, di ricerca, di elaborazione, di novità. Chiarani lavora abilmente il dipinto spessissimo con pochi colori, concentrandosi altrettanto abilmente sulle tonalità, rendendo la propria opera, nata da un moto apparentemente bitonale, o poco più, una magica rappresentazione scenica dell’inconscio e delle icone. Un’atmosfera pura e dichiarata, che riassume scuole e tendenze del ‘900, certamente, ma di stampo assolutamente originale, allorquando mistico. La figura di Chiarani, ricorrente e spesso emblematica, può servire a noi per agevolarci nella lettura e nell’interpretazione del suo linguaggio, nella ricerca della prospettiva, la bussola di orientamento, la ciambella di salvataggio di chi, dell’informale, non ne comprenda la valenza, lo sforzo, la ricerca, lo scopo, la sintesi, l’essenza e, finanche, la provocazione. E così ammirare un’opera di Chiarani diventa il nostro gioco e probabilmente la sfida che l’artista ci lancia, una replica di quella meravigliosa sfida che tutta l’arte del novecento ha instaurato tra l’autore e il fruitore, laddove gli artisti, abbandonando il modo più tradizionale di fare pittura (dall’orinatoio di Marcel Duchamp e dalle Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso in poi), si sono calati con tutta la loro abilità nella filosofia del linguaggio semiotico, poggiando la loro creatività dapprima espressa con una pittura spesso da cavalletto, nella magia della sintesi del segno, del colore e della materia. Se, per come citava Albert Einstein, l’immaginazione è più importante della conoscenza, il Chiarani parte da una conoscenza folta e intensa di pittura per esprimere la propria comprensione delle cose, il proprio gioco della vita, perché non è importante il colore, oppure il segno, ovvero la materia, bensì tutto l’insieme, quel fantastico – cioè – equilibrio che il Tutto richiede, ed ogni volta rinnova, per poter far nascere la visione immaginaria del proprio dettato. Non una caduta, quindi, non una dispersione, bensì costante pulsione e tensione nelle sue opere, indiscutibile abilità tecnica, ed efficace gestione del colore nelle sue atmosfere e tonalità, che pongono il Chiarani artista di bella qualità e interesse. Vittorio Spampinato Futuro incerto Franco Chiarani dipinge da quando era ragazzo, e fin da bambino ha guardato, ammirato, osservato pittori e pitture, con attenzione e desiderio. Il desiderio di esprimersi attraverso l’immagine dipinta lo ha portato a cimentarsi, completamente autodidatta, con disegni e colori; una continua, incessante sperimentazione alla ricerca del modo migliore per comunicare con il resto del mondo attraverso la forma che lui ama di più. Non è stato facile giungere al risultato odierno, ma Chiarani è un lavoratore instancabile: cerca, dipinge, crea i suoi colori, dipinge, osserva, dipinge. E’ il suo modo di comunicare, è il suo modo di trasmettere emozioni, di commentare il mondo, di affrontare la vita. Nel corso della sua esperienza ha maturato dei codici pittorici originalissimi e raffinati, che richiamano innumerevoli suggestioni – i suoi maestri virtuali, i suoi incontri, le sue letture – ma le propongono riviste, rielaborate e trasformate in modo assolutamente personale irripetibile. Nonostante l’estremo lavorio, la ricercatezza dei segni, la selezione intransigente dei colori per la sua tavolozza, ormai quasi monocromatica, Chiarani riesce comunque a trasmettere emozione con una forza incredibile, a volte violenta. L’immediatezza dei suoi disegni è sorprendente, perché frutto di un lavoro attento e appassionato non tanto per garantirne la resa, quanto per eliminare gli ostacoli che potrebbero limitarne la forza. Ed ogni aspetto o particolare della materia che lui lavora, acquista significato e regala significato alle sue opere: la sinuosità delle linee 97
che estraggono soggetti dai tratti a matita e dalle sfumature penetrate nel foglio, la profondità che proviene dalla stratificazione di pigmenti e dalla sovrapposizione di carte e tele. Soprattutto nell’uso della carta emergono con maggiore incisività la sua sapienza e il genio pittorico. Franco Chiarani ama la carta e ne è riamato, senza dubbio. I suoi risultati sono di assoluto rilievo ed interesse anche nei lavori eseguiti su tavole o su tele: eguale la cura che lui mette nel suo lavoro, la precisione della tecnica. Eppure i lavori su carta sono i migliori che lui produce, ineguagliabili per la bellezza dell’immagine, per la forza espressiva e per la maestria dell’esecuzione. Forse per il suo lungo dedicarsi alla fabbricazione delle carte (per anni questa è stata la sua professione) o per una affinità ancora precedente e che lo ha portato a passare una vita in mezzo a questa materia, la carta non è per lui un semplice supporto: diviene una parte fondamentale della composizione del quadro. Chiarani la lavora a lungo, in modo diversificato e attento, frutto di lunga esperienza e di grande capacità, e la trasforma, la rende permeabile ai colori, ne modifica lo spessore, la lucidità, ne diversifica e separa i vari strati. L’effetto di questo attento lavoro sulla carta diventa lo strumento per sostenere la drammaticità delle opere, amplificato dalla decisione di limitare sempre più l’uso del colore, in un percorso di progressiva astrazione e semplificazione degli sfondi dipinti. Nel percorso operato negli ultimi anni, si palesa proprio questo aspetto e risalta la sapiente ricerca espressiva, nella tecnica e nei soggetti. Nelle opere su carta (libera, intelata o intavolata) si stagliano figure inserite in paesaggi urbani o naturali, a volte in interni e, specie nelle opere più recenti, contornate da un’ambientazione monocromatica, così incisiva da sovrastare e quasi opprimere le raffigurazioni umane. In alcune opere si trovano evidenti richiami al paesaggio che il pittore vive nel quotidiano, la sagoma familiare dei monti della sua valle o i profili del castello e delle vie della sua città diventano il luogo di riferimento, così come i lineamenti delle persone ricordano gli affetti familiari e in alcuni casi una certa rappresentazione autobiografica. In altri, il paesaggio si dilata in pianure o nebbie rarefatte, che non sono più un riferimento geografico, ma piuttosto una metafora, un’astrazione che trasforma gli elementi della natura in maniera simbolica. Franco Chiarani è pittore schivo, ma non introverso: ama comunicare, anche di sé, ma non ama imporre il proprio sentire, il proprio punto di vista. E’ generoso, ma non invadente. Misurato in ogni sua espressione e sincero, nelle sue opere pone la stessa sincerità, trasferendo sulle carte il suo sentire, i suoi desideri, le sue passioni: in modo diretto eppure contenuto, poco appariscente, con grande lavoro e fatica – la stessa, forse, che fa per aprirsi agli altri. In tutte le opere si trovano sempre figure, a volte più evidenti, a volte solo tratteggiate nel paesaggio o negli interni rarefatti ed essenziali, individuati dallo spigolo di un muro, dalla sagoma appena tracciata di una porta. Non ci sono figure inserite in un ambiente, ma figure che nascono dal paesaggio, dal mondo circostante: le persone escono da linee che le accomunano a stipiti o curve dell’orizzonte, alle strade che percorrono, agli edifici che abitano, dai colori che sostituiscono le forme dell’ambiente circostante, annientando la vista del mondo naturale e schiacciando con forza sovrumana le persone che vi sono inserite. L’ambiente e le figure sono un tutt’uno, compenetrati e uniti in una totalità inscindibile. Non c’è un soggetto con un contorno ma tutto è un insieme misurato ed in assoluto equilibrio, di una drammatica perfezione. E proprio il senso drammatico delle opere diviene più palese: i personaggi si stagliano fra le linee come ergendosi in attesa ed esplode lo sgomento di fronte al mondo con una sensazione acuta di sospensione, dove si percepiscono allo stesso tempo la fragilità e il coraggio, la forza di accettare anche la propria disperazione. Nell’osservare queste figure delineate contro l’orizzonte, con lo sguardo rivolto sempre oltre, si intende chiaramente il loro aspettare a volte con timore, a volte con rassegnazione, a volte con rabbia, il futuro che incombe, incerto. Giancarla Tognoni FRANCO CHIARANI Franco Chiarani è un artista di talento che ha saputo costruirsi un nome nel panorama nazionale grazie ai dipinti molto personali e identificabili per il segno grafico elegante e nervoso con cui tratteggia sapienti masse chiaroscurali o inquietanti figure umane. La gran parte delle sue opere hanno come filo conduttore l’uomo e il suo stare in un mondo che pare privo di senso. L’artista non è interessato tanto alle fisionomie quanto alla rappresentazione dei connotati psicologici di personaggi che recitano nella commedia umana sospesi in una dimensione spazio-temporale inafferrabile. Attraverso ripetuti trattamenti e passaggi, come da un antico palinsesto, dalle sue carte dipinte riaffiorano le “forme cercate” simili a ombre o fantasmi indistinguibili che risalgono alla superficie attraverso atmosfere rarefatte monocromatiche. Come i protagonisti di “Aspettando Godot” rimangono in attesa di una risposta che non verrà mai, così l’umanità dei suoi quadri oppressa dalla solitudine, l’incomunicabilità, la fatica di vivere, si trova impotente 98
di fronte all’ignoto. La cifra poetica di Chiarani si caratterizza per l’ambiguità espressiva di un linguaggio che si muove sul confine tra figurazione e astrazione, tra allusione e illusione, mantenendosi aperto ai molteplici significati e interpretazioni che l’osservatore vi intravede: misteriose ombre indefinibili, stravaganti donne e uomini usciti da lontane memorie, ambigue presenze minacciose. Le sue pitture, però, sono sempre ammorbidite da tinte calde e materiche in cui predominano i colori delle terre e un vellutato effetto acquerellato che stempera la carica drammatica e angosciante tipica di certo espressionismo nordico. A volte, anomala e incongrua, appare nel dipinto una linea rossa, come una luce che indichi la via in un’esistenza avvolta dalle nebbie: forse un segno di speranza, oppure un (controllato) moto di ribellione. Paolo Tomio Le morbide linee della malinconia Chiunque si senta legato al proprio passato, chiunque lo consideri un percorso a tappe verso un futuro consapevole, incontrerà, nei proprio pensieri, delle figure umanamente indelebili, che hanno, magari involontariamente, fatto sì che una passione latente diventasse la compagna di una vita. E così è stato anche per Franco Chiarani che da ragazzino ha avuto l’occasione di conoscere Luigi Squassina, “ un pittore di origine bergamasca – spiega - che per vent’anni ha alloggiato presso l’albergo Michelotti, situato alle pendici del castello di Arco, ma anche molto vicino a casa mia. Amava dipingere all’aperto e, poiché era invalido, lo aiutavo a portare il cavalletto e la cassetta, ma anche a mescolare i colori sulla tavolozza. E’ da lui che ho imparato ad acquisire la sensibilità cromatica. Squassina, sebbene non sia molto conosciuto nell’ambiente artistico, ha saputo infondere alla sua pittura uno slancio vitale unico: i suoi paesaggi parlano di luci e colori intensamente vissuti, tanto che la realtà da lui racconta si arricchisce delle emozioni proprie di una creatività spassionatamente libera”. Era la fine degli anni Cinquanta quando già le avanguardie si erano spinte oltre il dato concreto, cercando al di là della forma, dentro il concetto per approdare a una nuova spazialità ma anche a una visione estremamente sfaccettata del mondo, nata da quella concezione d’eco futurista che aveva portato l’arte a diventare tutt’uno con la vita. In questo periodo dunque Franco Chiarani si misura con una dimensione artistica incentrata sulla silenziosa contemplazione della natura. Il contatto, prima umano e poi artistico, con Squassina gli ha permesso di conoscere meglio se stesso, di trovare le ragioni di quella nuova esigenza espressiva che sentiva dentro e la pittura è diventata così un importante strumento per raccontare lo sfaccettato orizzonte del proprio mondo interiore. Il percorso di ricerca poi si è via via arricchito di altre voci fino ad acquisire, nel corso degli anni, una specifica identità. L’essere autodidatta non gli ha impedito di entrare nel mondo dell’arte da protagonista e questo grazie anche al suo bisogno di confrontarsi con una diversa realtà artistica, più dinamica rispetto a quella a lui territorialmente vicina. Se molto importante è stato per Chiarani il sostegno morale di Luigi Pizzini, l’artista dell’essenzialità delle forme e della luminosità del colore, che lo ha incoraggiato a seguire le proprie inclinazioni, altrettanto rilevante per l’apertura verso il mondo , è stata la frequentazione di un circolo di pittori veneziani, grazie ai quali ha avuto più volte l’occasione di entrare negli studi di Armando Pizzinato e Giuseppe Santomaso. “Sono questi – spiega l’artista – gli anni della mia formazione. E’ il momento in cui cerco la luminosità del colore e gli sfondi iniziano a configurarsi come spazi sempre più ampi, più autonomi, come presenze giocate su un’essenzialità fortemente evocativa”. Risale sempre a questo stesso periodo, la fine degli anni Settanta e primi Ottanta, l’incontro con l’artista bolognese, allievo di Giorgio Morandi, Luciano Bertacchini, “ Grazie a Bertacchini – sottolinea Chiarani – artista di grande sensibilità, che ha dipinto la poesia del paesaggio e della natura morta, ho avuto l’opportunità di conoscere Bruno Saetti. Mi trovavo a Bologna in occasione della premiazione di un concorso al quale avevo partecipato. Fra i componenti della giuria c’era anche Bruno Saetti che, a cerimonia conclusa, ha espresso il desiderio di incontrarmi. Per me è stata un’emozione ineguagliabile avvicinare un grande maestro dell’arte italiana, allora già ottantenne ed è stato proprio Luciano Bertacchini ad accompagnarmi da lui a Montepiano dove abitava”. E forse Chiarani in quell’occasione ha potuto ulteriormente riflettere sulle possibilità della materia pittorica, carpendo il segreto di Saetti, che la percepiva come ricca e consistente, ma anche aperta alle modulazioni della vibrazione luminosa. Un rigorosa strutturazione formale ha sempre dunque caratterizzato la pittura di Chiarani, che intende la figura come la presenza portante della propria poetica; una figura che a seconda dei periodi sarà più riconoscibile o più nascosta dagli elementi del paesaggio o da pennellate in grado di accentuare la dimensione metafisica dell’immagine. “La figura – spiega l’artista – ha sempre destato in me un grande interesse: sia maschile che femminile è il fulcro della mia indagine. Con il tempo è diventata il pretesto per fare pittura e si è identificata con la pura forma.” Se nei lavori più 99
recenti il riferimento alla presenza umana è alquanto evidente, poiché è spesso la parte centrale dell’indagine, non bisogna, però, dimenticare che ogni superficie è la risultante di una attenta costruzione dello spazio, da dove emerge anche una ricerca di tipo informale. Non mancano, infatti, se si analizza il suo periodo astratto, che poi viene a integrare l’attuale ricerca espressiva, i riferimenti a una pittura vicina, appunto, all’informale e nello sviluppo di elementi che tendono a occupare la parte centrale del quadro, seguendo un movimento orizzontale, si percepiscono alcuni richiami alla visione spaziale di Afro. Sono presenze appena percettibili, che affiorano in lontananza, lasciando intravvedere frammenti di realtà, di paesaggio, di figura, ma soprattutto sensazioni di luce e materia. L’artista parte dunque dalla visione diretta, da un’emozione spoglia e sincera per comunicare, attraverso raffinati giochi sintattici la sensazione del quotidiano persistere degli eventi. Sembra essere la memoria a determinare la durata del sentimento tanto che i soggetti dei quadri sono proiettati in una sorta di immobilità temporale. Il riferimento alla realtà rimane comunque sempre un dato evidente che si materializza nella figura ma anche negli oggetti della casa che, assieme a lei, respirano la stessa inquietudine quotidiana. Così i trasognati pensieri della donna diventano tutt’uno con le morbide forme della poltrona mentre le preoccupazioni dell’uomo si divincolano nelle solide linee di un tavolino. Tutto però è silenzio, un silenzio tanto grande che rischia di trasformarsi in una inarrestabile onda sonora. Questo perché, la capacità evocativa dei soggetti, quindi la forza della memoria, affiora come stato d’animo, come volontà di esprimere, attraverso il riconoscibile, un universo di intimità, nel quale aleggiano solitudine e vuoto, ma dove si può anche cercare l’altro partendo da se stessi, vagabondando all’interno delle proprie incerte sicurezze. Ecco perché, se guardiamo agli interni, nella strutturazione compositiva sembra non esserci distinzione fra la figura e gli oggetti: l’essere umano, quale parte di una realtà complessa, dove si susseguono presenze inanimate, squarci di natura, rimane sempre e comunque un travolgente mistero in grado di trascendere lo spazio della rappresentazione. Compaiono nelle opere di Chiarani delle aperture, dei riquadri che contornano e nello stesso tempo proiettano oltre: sono fonti di luce, che lambiscono le forme, evidenziandone le parti, contrastando le zone d’ombra. L’artista, dunque, si muove in direzione di una ricerca fatta di equilibrio formale, una ricerca che non conosce eccessi; lo stesso colore si esprime attraverso tinte monocromatiche vicine alle tonalità del grigio e del marrone, per cui importante diviene il gioco compositivo, il susseguirsi delle linee, lo studio di uno spazio che, se a volte appare circoscritto, difficilmente comunica chiusura. E’ uno spazio che proietta oltre i confini dell’immagine stessa, oltre l’orizzonte etereo dei pensieri. L’intento dell’artista è infatti quello di riprodurre all’infinito gli effetti del sentire, di liberare le proprie emozioni per non limitarle all’oggetto o alla situazione che le ha suscitate. Ciò avviene anche nei soggetti di paesaggio dove gli elementi costruttivi e il libero fluire delle forme hanno nella tensione metafisica, presente nella storia di ogni uomo, il loro comun denominatore. Tutto ciò contribuisce, nei lavori più recenti, a determinare una sorta di campo percettivo dominato dal nulla: potente, avvolgente, quanto mai evocativo. E’ una sensazione forte che si impossessa della superficie, calando la figura, spesso appena abbozzata, in una realtà incerta, in un divenire dove tutto può accadere e dove inaspettatamente tutto può essere stravolto. Figure e paesaggio si fondono in una sorta di tonalismo, che ha radici profonde, nella tradizione veneta del ‘500, quando nella stesura di tono su tono si ottenevano velature sovrapposte; un effetto plastico morbido, una fusione tra i soggetti e l’ambiente e dove è il colore stesso a determinare il ritmo della spazialità. Scompaiono i confini netti, la realtà si dissolve e le figure accennate dal segno si fanno pura forma, oggetto accanto all’oggetto, paesaggio nel paesaggio. Chiarani non fa distinzione fra la figura e il paesaggio: ciò che cerca è l’anima delle cose. Non c’è mai il contorno netto ma l’accenno al movimento e se di espressionismo si vuole parlare per alcune sue figure, non si può ignorare che molte altre vivano semplicemente di diffusa malinconia, avvolte da un silenzio non catalogabile perché del tutto personale. Lo spazio, appena delimitato da tratti sfuggenti, come avviene per gli interni di Alberto Giacometti, a volte frammentato da una sovrapposizione di piani, nelle opere di Franco Chiarani, si somma poi ad un senso romantico dell’uomo e della natura, soprattutto quando l’orizzonte sfuma nel paesaggio appena accennato o quando, dall’incombente materia rocciosa, fuoriescono pensierose ombre. Traccia poi figure riprese frontalmente, scegliendo spesso una visione dal basso verso l’alto; sono figure immobili ma vibranti, isolate in uno spazio tratteggiato da grafie veloci, dove la luce, quasi incorniciata, oltre a fare da sfondo alla scena, proietta i soggetti all’interno della fonte luminosa stessa. Disegna e dipinge instancabilmente Franco Chiarani e passa, con grande padronanza del mezzo tecnico, dall’osservazione della realtà a quella del proprio mondo interiore cercando la tensione espressiva dentro la materia. Non è certo un caso il fatto che abbia scelto la carta, anche quella da parati, così versatile e umana, come supporto sul quale tradurre visivamente il proprio universo interiore. La morbidezza delle linee, l’inquietudine del tratto, come la luminosità intrinseca ad ogni gesto sono, dunque, gli elementi portanti di una poetica che scava dentro l’animo umano, dentro l’esistenza del singolo, per trovare un comune senso della vita. Così la 100
malinconia prende le sembianze del confronto e la solitudine si sfalda in quella corrispondenza d’amorosi sensi, di romantica memoria. E sebbene il segno a volte si infittisca in un turbinìo di pensieri e tonalità buie, è poi la materia diluita, al punto da lasciarsi assorbire dalla carta, a riportare il silenzio, a dare voce alla travolgente poetica del non finito. Per Chiarani, dunque, la pittura si configura come un colloquio intimo scandito da elementi che nel corso del tempo, pur modificandosi, hanno mantenuto una loro riconoscibilità stilistica sia dal punto di vista strutturale che cromatico. Proprio per questo nel suo percorso evolutivo l’artista non ha mai rinunciato del tutto al referente esterno, al confronto con l’ambiente, l’uomo e la natura; anche quando i soggetti si dissolvono in forme meno riconoscibili mai scompare l’accenno all’orizzonte, quale simbolico collegamento fra la realtà e l’infinito. Nelle opere dell’ultimo periodo le figure, delicatamente sospese, spesso eteree, sono sagome che riemergono da un tempo quasi irreale. Una sensazione, questa, che ancora una volta viene sottolineata dall’uso di tonalità soffuse in grado di accentuare la lentezza di un racconto, che solo agli occhi di un osservatore attento, rivela a poco poco la sua trama. Non bisogna avere fretta, dunque, davanti alle opere di Chiarani, bisogna saper aspettare, lasciarsi coinvolgere, meglio avvolgere dalle atmosfere sospese, a volte disincantate dove però non manca quell’energia futuribile, intesa come tensione verso il domani, magari incerto, ma pur sempre domani. Forme-colore stratificate risultano, così, le sue opere dominate da una evidente gestualità sia nelle pennellate che lavano lo sfondo, come anche in quelle che plasmano i nudi di donna, o le giacche di uomini all’apparenza eleganti. Una specificità pittorica che traspare inoltre nel segno quasi inciso sulla carta, un segno che cerca di delimitare la forma, lasciandola poi invadere dal corrosivo colore che rende liquido ogni confine, ogni distinzione fra il concreto e l’informe. Una gestualità, dunque, che copre e svela al contempo, dove la luce riaffiora con forza per dare al soggetto centrale una certa dinamicità espressiva, anche quando l’artista ha come intento primario quello di fermare l’attimo della narrazione. E’ il corpo non il volto ad attrarre l’artista un corpo che occupa con determinazione la scena senza mai essere aggredito dai colori. “La mia pittura ha sempre guardato al nord, in particolare a Schiele e Kokoska, all’arte espressionista soprattutto per quanto riguarda il modo di trattare e interpretare la figura. Nella pittura di Schiele, ad esempio, mi affascina la rappresentazione di corpi contorti, la loro intensità comunicativa, la loro sovrabbondante umanità. Dal mondo tedesco, però, non ho preso il colore”. La sua scelta cromatica infatti non è volta ad un racconto urlato, ma piuttosto a una narrazione assorta, dalla quale comunque emerge una accentuata drammaticità: non il dramma della rabbia, di una sofferenza ostentata, ma piuttosto di una dignità da sempre cercata anche attraverso la propria arte. Escono dalla carta le sue figure e della carta, materiale di tangibile umanità, mantengono la leggerezza e la poesia, ma soprattutto quella trasparenza comunicativa che fa di ogni opera un microcosmo di emozioni. Riccarda Turrina Franco Chiarani. La bellezza della verità È passato oltre un secolo da quando a Dresda del 1905 un gruppo di giovani tedeschi, di cui il più rappresentativo era Ernest Ludwig Kirchner, fondando il “Die Brüke” inventarono l’Espressionismo. Erano artisti che, come era avvenuto attraverso i secoli non andavano in cerca della bellezza ma della verità. La verità è rivoluzionaria ma può essere anche sgradevole, scostante, “brutta”. In ogni caso ci è necessaria. Espressionismo, variamente declinato, ha attraversato tutto il secolo scorso e ancora non accenna ad esaurirsi. È ad esso che va ricondotto Franco Chiarani. Questo artista arcense non concede nulla alle facili platee, al gusto accattivante. Iniziando una quarantina di anni fa con una pittura tardo-impressionista ha via via scavato le forme, graffiato il segno, rinunciato al colore. Da anni la sua pittura appare monocroma, virata sull’ocra e sul colore sabbia. Le sue figure sembrano mimetizzarsi su fondi sabbiosi, come organismi in fondi marini, lacustri, o paludosi, per emergere al fine con timore e rendersi riconoscibili. Sono forme che affiorano dal subconscio per confidarci (se sappiamo ascoltare), la loro pena del vivere. C’è pena, solitudine, incomunicabilità nei quadri di Franco, nelle sue figure dolenti, nelle sue campagne desolate. Una pittura totalmente pessimista (magari compiaciutamente) quella di Chiarani? Io credo di no. Guardate le sue coppie (uomo-donna): a volte sono vicine e non si guardano, si voltano ostentatamente le spalle. Ma altre volte sono accanto, si toccano, sembrano comunicarsi sostegno, solidarietà. Allora la pittura di Franco Chiarani si rivela profondamente umana, ha il volto segnato dalle rughe, dalle cicatrici della realtà. È quella di uno straordinario artista che, nell’economia monacale del segno e del colore, nella ricerca della verità ci aiuta ad alleggerire la pena del vivere. Renzo Francescotti 101
MOSTRE PERSONALI 1978 Galleria Esedra, Padova; 1980 Gall. Ghirlandina, Modena; Gall. Bandini, Cecina (LI); 1981 Gall. Tiziano, S.Giovanni Lupatoto (VR); 1982 Gall. Emilia, Modena; Gall. La Firma, Riva del Garda (TN); 1983 Gall. Conti Arte Studio, Montichiari (BS); 1986 Gall. Torre Civica, Medole (MN); 1987 Gall. Falco Arte, Martinsicuro (TE); 1988 Gall. La Firma, Riva del Garda (TN); 1989 Gall. 707 International Art, Palm Beach, Florida (USA); 1995 Gall. Schaller Int. Kunst Antiquitaeten, Norimberga (D); 1997 Centro sportivo polivalente, Soliera (MO); 1998 Biblioteca comunale, Arsiero (VI); 1999 Villa Fabriani, Spilamberto (MO); 2000 Casa degli Artisti G. Vittone, Tenno (TN); 2001 Centre d’Art Contemporain, Briançon Vauban (FR); 2002 Gall. Sante Moretto, Monticello Conte Otto (VI); 2003 Gall. Sante Moretto, Monticello Conte Otto (VI); 2004 Expo Arte, Morciano (RN); Mirabilarte, Sala Comunale, Preore (TN); Chiesa San Nicolò, Rovereto (TN); 2006 Spazio Arte, Sala Biblioteca, Borgo Ticino (NO); XVII Settimana d’Arte Cecina, Toscolano (BS); 2007 Gall. Sante Moretto, Monticelllo Conte Otto (VI); 2010 Gall. Civica G. Craffonara, Riva del Garda; 2011 Gall. Civica G.B. Bosio, Desenzano (BS); 2012 Castello di Drena, Drena (TN); 2014 Gall. Luigi Sturzo, Mestre (VE); 2015 Spazio Atelier Ca’ La Ghironda, Ponte Ronca di Zola Pedrosa (BO); 2016 Suggestive monocromie, Galleria 13, Reggio Emilia; Velate presenze, Civica Raccolta d’Arte, Torre Civica di Medole (MN).
PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE 1979 Io sono forse un fanciullo Rassegna Unicef, Verona; Il Morazzone Rassegna di Pittura Italiana, Morazzone (VA); 1980 Arte Estate Gall. Bandini, Cecina (LI); 1981 Pittura 81 Scuola Grande, S.G. Evangelista (VE); 1° premio Premio Arona (NO); 1982 Proposte Comune di S. G. Lupatoto (VR); 1° Premio Premio B. Gozzoli, Certaldo (FI); Gall. La Firma, Riva del Garda (TN); 1983 Gall. Conti Artestudio, Montichiari (BS); Rassegna di pittura Grafica e Scultura, Palazzo Comunale Medole (MN); 1984 Pittori alla ribalta, Nardò (LE); 25 anni del premio di pittura di Massa Finalese, (MO); I pittori premiati nei concorsi di Massa Finalese, Finale Emilia (MO); Centro Artestudi, Veglie (LE); 1985 Incontro con cinque pittori, Villa Fabriani, Spilamberto (MO); 1° Premio Premio Pescantina (VR); 1986 Venti pittori a Bassano, Bassano del Grappa (VI); 1987 IV Biennale di Pittura R. Ferruzzi, Torreglia (PD); 1988 Esculapio e l’arte, Vaiano (FI); Biennale Triveneta, Arzignano (VI); 1° premio Premio Marina di Ravenna (RA); Artisti dell’Alto Garda, Casinò Muncipale Arco (TN); Whodunit, Casa degli Artisti G.Vittone, Tenno (TN); Gall. Permanente, Mirandola (MO); 1989 Un quadro per la vita, Istituto Oncologico Romagnolo Rimini; Biblioteca di Agna, Agna (PD); 1° Premio Premio Civitella Val di Chiana (AR); 1990 L’uomo, l’albero, il fiume, Castel Ivano Fracena (TN); Un quadro per la vita, Ostiglia (MN); Il Marina a Ravenna Studio 42, Ravenna e Gall. Forum Interart, Roma; Arte Triveneta Contemporanea, Montebelluna (TV); 1991 Pittori in vetrina, Bardolino (VR); Trenta artisti per Lezioni di Vita, Su Gologone, Oliena (NU); Gall. Fedrizzi, Cles (TN); 1° Premio Premio Marzaroli, Salsomaggiore (PR); 1992 Chiesa di S. Francesco, Sangemini (TR); Trent’anni di pittura, Massa Finalese (MO); Pittori a Todi, Perugia; Venti Maestri a Verrucchio, Verrucchio (FO); Museo Toni Merz, Sasach (Germania); 1° premio Contea di Bormio (SO); 1993 Rassegna Nazionale d’arte, Casier (TV); Museo della ceramica, Sarreguemines (Francia); Expo Arte Bormio, Bormio (SO); 1° premio Premio Martinsicuro (TE); 1° premio assoluto Premio Forlì; 1994 Arte in cammino, Ravenna; Arte in cammino, Roma; La raccolta d’arte della Provincia di Reggio Emilia, Reggio Emilia; Rassegna d’arte Danilo Lusvardi, Soliera (MO); Europars Atelier Tadini, Lovere (BG); Rotonda Exop, Livorno; Elmepe Expop, Erba (CO); Gallerie Contrast, Metz (Francia); Gallerie Arpegè (Francia); 1° premio Premio Lissone (MI); 1995 Aspetti dell’arte italiana contemporanea, Triennale d’arte, Ponzano Veneto (TV); L’arte colora ogni vita, La Cittadella dell’Oasi Maria SS., Troina (EN); Galleria Falco Arte, Martinsicuro (TE); Arte 95 “D Bonzagni”, S.Agostino (FE); 1° premio Biennale di Soliera (MO); 1996 Vittorio De Sica: l’attore, il regista, l’uomo totale, La Cittadella dell’Oasi, Troina (EN); 1° premio Premio Ciardi (TV); 1997 Concerto di colore e luce: Sicilia delle Universiadi; Sala Rotary, Catania; 1998 Arte e Solidarietà, La Cittadella dell’Oasi, Troina (EN); 1° premio Montefiore dell’Aso (AP)”; 1999 opere vincitrici premio Forlì Galleria Vero Stoppani, Santa Sofia (FO) e Fond. Tito Balestra, Castello Malatestiano Longiano (FO); Arte e Vita, Le Ciminiere, Catania; Premio Ostiglia Palazzo Foglia, Ostiglia (MN); 2000 Gall. Duomo, Arte Contemporanea, Verona; 2001 Rassegna Nazionale d’Arte Modena, Casa Mazenta, Giussano (MI); 1° premio XVI Biennale di 102
Baselice (BN); 2003 Artisti en Plein Air, Incontrano l’Etna, Linguaglossa (CT); 1° premio Premio Agazzi, Mapello (BG); 2004 Artisti en Plein Air, Incontrano l’Etna, Fiumefreddo (CT); Biennale d’arte Contemporanea, Premio città di Laives, Laives (BZ); 2005 Artisti en Plein Air, Incontrano l’Etna, Fiumefreddo (CT); 1° premio Premio Cupra, Cupra Marittima (AP); 2008 1° premio Pietro Pagani, Castrezzato (BS); Traguardo Prix Agazzi, Palais dell’Europa Strasburgo (FR); 1° premio Fighille Arte, Perugia; 2009 Dalla periferia alla città, Civitella, Palazzo Provincia Arezzo; Piccolo Museo, Museo del Premio di Pittura Fighille, Perugia; 1° premio Bice Bugatti XXX Ed., Nova Milanese (MI); 2009 7 Espressioni 7, Magie dell’arte e della vigna, Villa Mirra, Cavriana (MN); Il colore svanito, Palazzo della Regione, Trento; 2010 Premio Maccagno, Civico museo Parisi Valle, Maccagno (VA); 1° premio Città di Monselice, Museo di San Paolo, Monselice (PD); Acquisizioni 2010, Civico Museo Parisi Valle, Maccagno (VA); 2011 Approdi, Civico Museo Parisi Valle, Maccagno (VA); Artisti Trentini per l’Unità d’Italia, Casa Artisti G.Vittone, Tenno (TN); 2012 Il tempo e l’arte del Natale, chiesa di S.Barnaba in Bondo, Bondo (TN); Il miniquadro, Soliera (MO); Un lago d’arte, Loggia Barbaro, Torre del Capitanio, Verona; Incontri, Studio d’arte Andromeda, Trento; Ergo sum. La rappresentazione dell’Io, Casa degli Artisti; G.Vittone, Tenno (TN); 2013 1° premio La donna musa ispiratrice nelle arti, Giulietto Accordi, Sanguinetto (VR); Italian artists for Kefalonia, Theatre Argostoli, Cefalonia (Grecia); Biennale di Soliera (MO); Collettiva 20 pittori, Sala Forum, Faenza; Và Pensiero, Casa degli Artisti G. Vittone, Tenno (TN); La Bibbia. IV Rassegna d’arte sacra, Gall. L.Sturzo; Mestre (VE); Solo biancoenero, Gall. Craffonara, Riva del Garda (TN); L’Ora dell’arte, Sala Iras Baldessari, Rovereto (TN); La fascinazione–irresistibile tentazione, Gall. Craffonara, Riva del Garda (TN); 2014 Vent’anni di Biennale San Valentino 1994-2014, Limana (BL); I segreti del bosco, Gall. Craffonara, Riva del Garda (TN); Arte e Creato, sala Don Bosco, Bezzecca (TN); Lo sguardo di oggi si posa sul passato – Centenario della Grande Guerra, Gall. Craffonara, Riva del Garda (TN); 30 Pittori per un poeta, Gall. Craffonara, Riva del Garda, (TN) e Levico (TN) e Trento; 2015 L’attualità di San Francesco – Biennale d’arte sacra, Gall. Luigi Sturzo, Mestre (VE); Il tesoro d’Italia a cura di Vittorio Sgarbi, Padiglione Eataly, Expo 2015, Milano; L’umanità violata – la Grande Guerra nell’arte contemporanea, Bezzecca (TN) e Recoaro (VI); 2016 Set up arte fair, Bologna; Giubileo straordinario della Misericordia, Cà La Ghironda, Bologna e Refettorio monastico San Benedetto Po (MN).
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Quaderno medolese d’Arte XXI
Finito di stampare nel novembre 2016 presso la NOVA LITO
Carpenedolo (Bs) Grafica: Ermanno Bergamini - Giovanni Magnani
978-88-97730-36-1 104