MFF-Magazine for Fashion 96

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Magazine For Fashion

Supplemento al numero odierno di MF/Mercati Finanziari. Spedizione in abbonamento postale L. 46/2004 art. 1 C. 1 DCB Milano

n. 96. febbraio 2019. Solo in abbinamento con MF/Mercati Finanziari - IT Euro 5,00 (3,00 + 2,00) trimestrale

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Pierpaolo Piccioli con tre modelli in Valentino. Foto Pablo Arroyo

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Fendi

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Emporio Armani

Neil Barrett

Dunhill

Dries Van Noten

Isabel Benenato

Dsquared2

Cerruti 1881

Hermès

Pal Zileri

Junya Watanabe

Tom Ford

Dolce&Gabbana

Y/project

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the wowness by STEFANO RONCATO

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Issey Miyake

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Sartorial monk

Back to tailoring. Il menswear torna al suo tratto più formale e si veste di nuove forme, equilibri e linee con la fall-winter 2019/20. Un universo rinnovato, che prende il testimone dallo streetwear per ripensare il mondo maschile in chiave sartoriale, quella stessa in cui tutte le generazioni ritrovano il loro trait d’union. Il nuovo numero di MFF-Magazine For Fashion traccia il percorso di una nuova storia. Una storia che per l’uomo contemporaneo significa anche affrontare le proprie paure tra universi extraterrestri, monster horror ed ecosistemi ancestrali, popolati da fiere feroci e nightmares. Come sulla passerella di Valentino, nella quale il direttore creativo Pierpaolo Piccioli disegna una nuova galassia di Ufo e astronavi che aleggiano su maglioni e cappotti e che evocano l’atipicità e una nuova libertà formale. La stessa che Berluti, sotto la guida di Kris Van Assche, rappresenta attraverso il colore. La sua collezione di abiti racconta la favola di un uomo impavido che con il suo look aderisce al concetto vagabond deluxe. Un tassello importante dentro le sfaccettature del mondo di oggi. Nel quale Donatella Versace si muove con maestria per la maison della Medusa chiamando in causa sonorità techno e melodie d’opera per una gender fluidity senza più confini prestabiliti, declinata in stampe con pins, bondage e trasparenze in vinile. La libertà dichiarata di essere come si vuole. Abito ergo sum. Senza paura.

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openview Stefano Roncato

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aldomariacamillo Angelo Ruggeri

28 e 29 facecool Angelo Ruggeri

38 Astrid Andersen Angelo Ruggeri

30 e 31 Moodboard Ludovica Tofanelli

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carlo rivetti Cristina Manfredi

32 e 33 cultwalk Ludovica Tofanelli

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amiri Ludovica Tofanelli

34 e 35 neil barrett Angelo Ruggeri

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RĂŚburn Angelo Ruggeri

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lo SHOW Fall-Winter 2019/20 DI BILLIONAIRE

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48 magliano Cristina Cimato

58 e 59 models Angelo Ruggeri

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52 quick chat Angelo Ruggeri

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55 Francis Kurkdjian Silvia Manzoni

66 a 69 seasonal tips Margherita Malaguti

56 e 57 grooming Paola Gervasio

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family business Sara Rezk

sopra, Un'immagine jacquemus f-w 2019/20

buyers picks Elisabetta Campana e Margherita Malaguti accessor-hype Angelo Ruggeri

pierpaolo piccioli @ valentino Stefano Roncato. Foto Pablo Arroyo

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Kris Van Assche @ berluti Cristina Manfredi Foto Alessio Bolzoni

82 a 85 versace Stefano Roncato Foto Pier Nicola Bruno 86 e 87 88 e 89

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back to store con il tailoring Elisabetta Campana le grandi scommesse Fabio Gibellino

90 a 97 the best celine prada dolce&gabbana comme des garรงons fendi ermenegildo zegna xxx dior louis vuitton

il finale della sfilata thom browne f-w 2019/20

98 a 109 trends bloody horror et

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il finale dello show y/project f-w 2019/20 (foto vanni bassetti)

in covers

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Pierpaolo Piccioli con tre modelli in Valentino

Kris Van Assche con un modello vestito Berluti

Foto Pablo Arroyo

Foto Alessio Bolzoni

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PEOPLE

facecool

Un racconto in dieci tappe tra arte e moda, fotografia e musica, cinema e design. Alla ricerca di personaggi che stanno riscrivendo il concetto di creatività. Talenti con un cool factor da scoprire. By Angelo Ruggeri

Jeanne Detallante WORKs as: illustrator / FOR: herself / WHERE: paris Della sua vita privata non si sa molto: sono le sue opere che parlano per lei. I suoi disegni, infatti, sono amati da tutto il mondo della creatività. Soprattutto dalla stilista Miuccia Prada, che l’ha scelta per disegnare le nuove stampe della collezione menswear per l’a-i 2019/20 di Prada (l’artista aveva già collaborato con il marchio di Milano per la primavera-estate 2014). Jeanne Detallante crea mondi che si rifanno a sogni bohémien, al tempo stesso inquietanti e affascinanti. Tra citazioni anni Sessanta, ispirazioni a miti e fiabe, e sfondi astratti o surreali.

Giorgio Di Salvo WORKs as: creative director / FOR: united standard / WHERE: milan Classe 1981, Giorgio di Salvo coltiva da sempre la sua passione per l’hip-hop e la grafica. Prima da autodidatta e poi come studente di Ied. Nel 2000 ha iniziato la sua carriera nel fashion system, entrando a far parte dei team di comunicazione e prodotto dello store milanese King Kong. Nel 2015 ha fondato il marchio United standard, caratterizzato da un’attitudine alla ricerca che ha come fonte di ispirazione principale la cultura underground europea. Il brand presenta capi sportswear e accessori in cui l’avanguardia tecnologica contemporanea è al servizio delle prestazioni, superando gli attuali limiti dell’immaginazione.

Valerio Farina WORKs as: creative director / FOR: Numero 00 / WHERE: Rimini Nato a Termoli nel 1985, Valerio Farina si è laureato in Culture e tecniche del costume e della moda a Rimini. Nel 2011 si è trasferito a New York e l’anno successivo, tornato in Italia, ha fondato nella sua città natale il marchio Made in Italy Numero 00, come risposta alla richiesta dei suoi coetanei che non riuscivano a identificarsi con l’offerta della moda sul mercato. Il suo brand si basa su vestibilità inedite in controtendenza con i trend imperanti, tagli asimmetrici innovativi e italianità. Dal 2017, Farina collabora in pianta stabile anche con Lotto.

Paria Farzaneh WORKs as: creative director / FOR: Paria Farzaneh / WHERE: london Paria Farzaneh si è laureata alla Ravensbourne University London nel 2016 e ha lanciato la sua prima collezione di menswear nel 2017. Fin dall’inizio, il patrimonio iraniano della designer ha avuto grande influenza sulle sue creazioni. Riesce, infatti, a mixare modelli e materiali tradizionali provenienti dal Medio Oriente con l’uniforme quotidiana del Regno Unito, paese nel quale è cresciuta. Ispirata dalla bellezza della terra di origine della sua famiglia, Farzaneh crea tessuti e disegni che inducono anche una riflessione sulla cultura persiana. Inoltre, tutte le sue collezioni strizzano l’occhio all’ecosostenibilità e all’approccio green.

Ezra matthew Miller WORKs as: actor / FOR: himself / WHERE: new york Attore, in primis. Ma anche cantante, musicista e modello. Ezra Matthew Miller è nato il 30 settembre del 1992 a Wyckoff, nel New Jersey. La sua carriera nel piccolo schermo è iniziata partecipando alla nota serie televisiva Californication e, nel 2009, oltre ad apparire in Law & order e in Royal pains, ha impersonato lo strampalato figlio del personaggio di Andy Garcia in City island. Lo scorso novembre, alla prima mondiale di Animali fantastici: I crimini di Grindelwald a Parigi, ha indossato l’iconico look total black in piumino di Moncler Genius by Pierpaolo Piccioli. Ed è stato il più fotografato del red carpet.

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Shinichiro Nakamura-sk8thing WORKs as: graphic artist / FOR: himself / WHERE: tokyo Shinichiro Nakamura, in arte Sk8thing, è uno dei graphic artist più famosi d’Oriente e vanta già grandi collaborazioni con brand di streetstyle del calibro di A bathing ape, Human made, Billionaire boys club e Ice cream. Nel 2011, assieme all’inglese Toby Feltwell, ha fondato in Giappone anche il marchio Cav Empt che, recentemente, ha firmato le Air max 95 e una capsule di abbigliamento maschile con il brand di sportswear americano Nike. «Mi ha permesso di lavorare nel presente per ridefinire il mio passato», ha spiegato Nakamura in occasione del lancio del nuovo progetto di co-branding.

Luca Rizzi WORKs as: director / FOR: pitti tutorship / WHERE: milan Classe 1984, dopo gli studi in economia e gestione aziendale, Luca Rizzi si è specializzato in management con un master presso la European school of economics di Milano. Qui ha acquisito gli strumenti per iniziare l’avventura lavorativa presso Futurenet group (oggi Tomorrow ltd), dove ha seguito il percorso professionale dello stilista belga Raf Simons. È passato poi alla Cernobbio, azienda titolare del marchio Metradamo, dove si è occupato di pubbliche relazioni. Nel 2011 è approdato a Lagente e nel 2014 ha fondato Creative and more, agenzia di business consultancy. Da novembre 2018 è il nuovo direttore di Pitti tutorship.

Pietro Sedda WORKs as: creative director / FOR: saint mariner / WHERE: milan È un artista del tatuaggio e un vero e proprio talento creativo capace di inventare e illustrare le fragranze d’autore o le sue nuove T-shirt e felpe. Pietro Sedda, dopo il profumo, ha lanciato il suo progetto di abbigliamento Saint Mariner, che prende il nome dal suo storico studio di tattoo e dalla passione per il mare. Per la prima collezione, l’ispirazione è arrivata dalla figura dantesca di Caronte, il traghettatore di anime. Che non solo le conduce, come gli è stato imposto, ma decide di intraprendere lui stesso un viaggio per scoprire la parte di mondo che non ha mai conosciuto.

aimee song WORKs as: fashion blogger / FOR: song of style / WHERE: los angeles Stile impeccabile e sorriso smagliante. Nel 2008 ha fondato il suo fashion blogger Song of style, divenuto uno dei più cliccati dalle fashion addicted. Non solo. Anche il suo profilo Instagram @songofstyle è visto quotidianamente da più di 5 milioni di persone. È così influente nel fashion system internazionale che quest’anno è stata scelta per fare parte della giuria degli esperti al Lvmh prize for young fashion designers, il premio per giovani creativi promosso da Delphine Arnault, figlia di Bernard Arnault, patron del colosso francese del lusso, assieme a personalità del calibro di Edward Enninful e Naomi Campbell.

lev tanju WORKs as: founder / FOR: palace / WHERE: london Il marchio di skateboarding e streetwear, che ha fondato nel 2009 in Gran Bretagna, è candidato a diventare il nuovo Supreme a livello mondiale. Perché tutti gli appassionati del genere hanno iniziato a comprare, sfoggiare e a postare sui social capi firmati Palace, mixati alle griffe dal mondo del lusso. Un crash ipervisivo. Della vita privata di Lev Tanju tuttavia non si conosce molto. Ma si ricordano alcuni dettagli super fashion. Come la sua collezione di cappelli da baseball che sfoggia ogni giorno e le sue collaborazioni deluxe (come quella con Polo Ralph Lauren dello scorso anno) che sono indimenticabili.

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backstage

MOODBOARD

Visioni astrali, ricordi floreali. Per la p-e 2019 di Schiaparelli haute couture, Bertrand Guyon scava nei ricordi della fondatrice. By Ludovica Tofanelli

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Un surrealismo botanico circonda la primavera-estate 2019 firmata Schiaparelli haute couture. Visioni floreali e immaginari astrali prendono forma nel patchwork materico creato dal direttore creativo Bertrand Guyon, per la nuova collezione della maison. «Sono partito dai ricordi d’infanzia di Elsa Schiaparelli, dalle visite all’osservatorio di Brera assieme allo zio e dal suo amore per la botanica», ha raccontato lo stilista dietro le quinte del défilé, dando concretezza al moodboard visivo dal quale ha fatto nascere la collezione. A ispirarlo è stato un aneddoto in particolare, tratto dall’autobiografia della fondatrice della maison dal titolo Shocking life, nel quale la stilista raccontava di quando lo zio Giovanni avesse comparato i nei sul suo viso alle stelle che formano l’Orsa maggiore. Anni dopo la stessa Schiaparelli fece realizzare una spilla decorata con la forma di quella costellazione, un oggetto significativo che diventò per lei un vero e proprio talismano. Reminiscenze passate

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appartenenti alla storia stessa della stilista, figura di riferimento al quale Guyon si è rivolto per delineare questo racconto tra il reale e l’irreale, riprendendo a livello estetico i lavori della designer risalenti al periodo del dopoguerra. «A guidare il mio lavoro sono stati gli anni 50 nelle forme e una visione ottimistica del futuro nello spirito, che ho voluto tradurre attraverso maggiore leggerezza, colore e fantasia», ha continuato a spiegare il direttore creativo della griffe di Diego Della Valle. Tratteggiando così una narrazione visiva pregna di ricordi, immagini e parole. Abiti piumati sembrano fluttuare nell’aria, modellandosi sulle silhouette femminili. Incursioni stellari sono possibili grazie

alle riproduzioni astrali stampate e ricamate sui capi. Impalpabili organze riescono a definire un’eleganza pura e intangibile. Assieme a decorazioni botaniche, richiamano la passione per il mondo floreale della stessa Elsa Schiaparelli. Elementi riconoscibili ai quali Guyon ha dato nuova vita attraverso le forme scolpite, per poi declinarle secondo toni saturi e vibranti. Assieme a tocchi eccentrici come gli occhiali a mascherina con maxi stelle applicate e gli stivali texani a contrasto. Un omaggio alla maison, al suo heritage e ai ricordi della sua stessa fondatrice. Per raccontarne ancora una volta l’universo mistico e misterioso.

in alto, il moodboard di schiaparelli haute couture per la primavera-estate 2019

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FASHION MOVES

Cultwalk

CAMBI DI DIREZIONE CREATIVA, TRASFERTE VERSO NUOVE FASHION WEEK E DEBUTTI. ecco LE NOVITà DA SEGNARE IN AGENDA CHE ANIMERANNO i calendari delle prossime PASSERELLE. BY LUDOVICA TOFANELLI

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Daniel Lee @ Bottega Veneta

Giorgio Armani turns co-ed

Uno show all’Arco della Pace di Milano. Questa la cornice scelta da Bottega veneta per il debutto co-ed di Daniel Lee. In passerella saliranno le collezioni disegnate dal direttore creativo del marchio, entrato nella maison dopo l’addio di Tomas Maier. «Sono onorato di sviluppare la legacy di Bottega veneta», ha spiegato lo stilista, che nel nuovo ruolo porterà la sua esperienza di fashion director di Celine ai tempi di Phoebe Philo, e il suo passato tra Maison Margiela e Balenciaga.

«Per la prima linea ho fatto uscire già in passato uomo e donna, ma la scelta di unire le due collezioni presuppone anche un ripensamento creativo». A parlare è lo stesso Giorgio Armani, raccontando la sua scelta di unificare gli show womenswear e menswear della sua griffe. Dopo aver testato la formula co-ed la scorsa stagione con la linea Emporio Armani, anche la maison ammiraglia del gruppo porta per la prima volta sotto i riflettori all’unisono le sue collezioni uomo e donna, attraverso un maxi défilé all’interno di Armani/Silos.

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Bruno Sialelli @ Lanvin

foto Craig McDean

Un nuovo capitolo estetico firmato Bruno Sialelli. Lo stilista italiano è entrato a far parte di Lanvin per prenderne in mano le redini stilistiche. In arrivo da Loewe, dove ricopriva il ruolo di direttore creativo della linea menswear facendo capo a Jonathan Anderson, Sialelli si porta dietro esperienze all’interno di maison come Balenciaga, Acne studios e Paco Rabanne. «Dare emozione attraverso storie coinvolgenti e definire un approccio contemporaneo rappresentano sfide appassionanti per tramandare questa eredità», ha spiegato lo stilista, pronto a debuttare in passerella sotto i riflettori di Parigi.

Rushemy Botter e Lisi Herrebrugh @ Nina Ricci Dai riflettori di Hyères a quelli parigini. Il duo creativo formato da Rushemy Botter e Lisi Herrebrugh, dopo aver vinto il premio Première vision del Festival internazionale di Hyères, entra a far parte di Nina Ricci per guidarne la creatività. I nuovi fashion director, che hanno comunque mantenuto la direzione del loro brand Botter, prendono così il posto di Guillaume Henry. E dopo aver anticipato la loro visione estetica con la pre-fall 2018, si preparano a svelare il loro immaginario stilistico con la fall-winter 2019/20.

Tommy Hilfiger goes to Paris È Parigi la nuova tappa scelta da Tommy Hilfiger per il progetto TommyNow. L’evento see now-buy now del brand americano avrà luogo per la prima volta nella Ville Lumière, dove oltre alla collezione primavera 2019 sarà anche svelata la speciale capsule collection TommyxZendaya. Come ha spiegato Tommy Hilfiger: «Il nostro innovativo show mixerà l’heritage americano della nostra casa di moda con la fiducia e l’ottimismo di Zendaya, includendo gli elementi iconici della città per portare in scena un evento davvero indimenticabile».

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neil barrett interview by angelo ruggeri

Eleganza e aplomb «very brit». Neil Barrett è inglese, ma milanese di adozione. Dopo gli studi alla Central Saint Martin si è specializzato in menswear al Royal college of art di Londra. Poi l’arrivo in Italia e l’inizio della carriera da stilista: prima da Gucci a Firenze («Non male come primo lavoro dopo la scuola, no?», ha detto). Qualche anno dopo, invece, Patrizio Bertelli, ceo di Prada, gli ha affidato il lancio del menswear di Prada: «Ed è lì che ho iniziato a esercitare la mia calligrafia, creando ibridi creativi tra sartoria e materiali tecnici». Nel 1999, il grande passo e la grande sfida: ha fondato il suo marchio omonimo che ha debuttato sulle passerelle l’anno successivo a Pitti uomo. A 20 anni da quell’importante occasione, il creativo racconta il tempo passato e i capitoli futuri legati al suo brand. Che cos’è è la moda per lei? È un linguaggio. Ha rappresentato una sorta di evasione che mi ha permesso di affermarmi ed è un medium per esprimere la mia visione e confrontarmi con il presente. Quando ha deciso di diventare un designer di moda? La mia famiglia si occupava di sartoria militare e fin da piccolo adoravo guardare mio nonno al lavoro. Ciò mi ha portato a sviluppare un forte interesse per tagli, linee e forme che applico ancora adesso alle mie collezioni, tecniche e accorgimenti che appartengono ai miei capi: apparentemente semplici ma dalla confezione impeccabile. Quest’anno celebra i 20 anni dalla fondazione del suo marchio: avrà sicuramente molti ricordi in mente. Il più importante? Sicuramente uno dei più significativi è coinciso con l’apertura nel nuovo headquarter di Milano, in via Ceresio. È come se fino a quel momento non avessi mai preso coscienza della dimensione del brand: avere tutto il mio team sotto lo stesso tetto mi ha dato conferma e consapevolezza di quello che è oggi Neil Barrett. Questo luogo rappresenta un traguardo, un posto mio dove poter fare tutto. È soddisfatto della collezione a-i 2019/20, che festeggia l’anniversario? Sono molto entusiasta di questa stagione, non solo per la collezione che è stata particolarmente stimolante nella creazione, ma anche per la sfilata stessa. Ho avuto una visione molto specifica e volevo offrire un’esperienza coinvolgente, creando un paesaggio urbano contemporaneo attraverso luci, schermi e suoni. Questa collezione nasce dal punk, ma vista da una prospettiva attuale, attraverso gli occhi della società multiculturale che è l’Inghilterra oggi, contaminata da riferimenti che lasciano chiaro il riferimento a questo movimento ma lo incorporano in un nuovo concetto di street style. Può essere Piccadilly Circus così come Shanghai o Tokyo: l’unica cosa che mi interessava era esprimere l’idea di città contemporanea, un luogo in cui persone di stili di vita e culture molto diverse coesistono. Ha qualche collega designer preferito? Ho stima di moltissimi colleghi, per motivi diversi. Sicuramente Miuccia Prada per la sua capacità di interpretare il presente attraverso incursioni nel mondo dell’arte e dell’architettura. Ma anche per l’azienda che ha creato: molto strutturata, con un approccio analitico. Poi c’è

Rei Kawakubo, che preferisco per l’innovazione e per essere autrice di una moda originale. Come può definire il suo stile? La mia filosofia di design è radicata in un’interpretazione contemporanea dell’abbigliamento maschile: essenziale ma non semplicistica. È una combinazione di elementi sartoriali e riferimenti sportswear. È cambiato in questi 20 anni? Ho sviluppato la mia calligrafia. Anche se le collezioni evolvono stagione dopo stagione, l’approccio rimane lo stesso. Durante la progettazione, immagino sempre le persone che indossano un mio capo, e questo mi aiuta a percorrere nuove strade. E il fashion system? I cambiamenti più significativi derivano dalla comparsa del digitale. Specialmente i social media e l’e-commerce hanno ridotto il tempo di vita di una collezione e hanno contribuito a un fabbisogno maggiore. Mi avvicino a questi strumenti con curiosità. Questo è un momento particolare per la nostra industria. Ma questa specie di «cortocircuito» ha permesso a ogni azienda di rimettere in discussione il proprio modello e di identificarne uno che risponda meglio al loro business. Io da qualche stagione, per esempio, ho rintrodotto il womenswear nelle sfilate uomo per riallineare sia il processo di design, sia di campagna vendita, per migliorare le consegne, ma anche per ribadire l’unitarietà del brand. Con il senno di poi, cosa vorrebbe dire al giovane Neil Barrett oggi? Per la verità, fatico a credere che siano già passati vent’anni. Essere arrivato a questo punto rimanendo fedele a me stesso, è davvero straordinario. Ecco, se potessi dire qualcosa al giovane me, gli direi questo: è difficile, ma è fattibile. C’è qualcosa che vorrebbe cambiare di questi ultimi 20 anni? Sicuramente tante cose perché sono autocritico, ma piccole cose che, di fatto, non hanno contribuito a quello che è oggi Neil Barrett. Sono soddisfatto del percorso fatto fino a ora. Milano. Com’è la sua relazione con questa città? Fondare il marchio qui è stato naturale per me. Dopo essermi laureato, le mie prime esperienze furono qui e fin dai primi giorni ho avuto la fortuna di confrontarmi con l’artigianalità Made in Italy. Però mi sento inglese e penso lo sia anche la mia moda. Proprio in questi giorni, a Londra, ho aperto il primo flagship store, al 41 di Conduit street, a Mayfair. E con l’arte? Mi interessa, ma la seguo con un po’ di distacco. Con il tempo mi sono reso conto che l’architettura tende a interessarmi di più, a contribuire maggiormente al mio patrimonio estetico. Alla fine, anche tra gli artisti, tendo sempre a favorire quelli con un approccio architettonico o materico: Richard Serra, Donald Judd e Robert Smithson. Che cosa consiglierebbe ai giovani designer oggi? Sento che i giovani hanno una grande consapevolezza della moda, ma a volte manca quell’approccio alla sartorialità. In sartoria, la vestibilità è tutto.

nella pagina accanto, neil barrett (foto white featuring Stefan Giftthaler)

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aldomariacamillo aldo maria camillo. interview by angelo ruggeri

Elegante, ironico e gentile. Forse uno tra i più gentili creativi che si possano conoscere oggi. Aldo Maria Camillo è papà, designer e oggi anche imprenditore. A Pitti uomo 95, infatti, l’ex direttore creativo di Cerruti 1881, classe 1975 con esperienze da Valentino (sia con Valentino Garavani sia con Pierpaolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri) e da Ermenegildo Zegna, ha svelato la prima collezione maschile con la sua etichetta Aldomariacamillo, come designer indipendente, molto apprezzata dagli addetti al settore. Dopo tanti anni come designer interno di aziende di moda, qual è stato il motivo che l’ha spinta a lanciare il suo brand? In questo momento, la moda è in preda a forti cambiamenti ed evoluzioni. Proprio in questo «delirio creativo», mi sono fermato a riflettere sul mio mestiere e su quello che voglio comunicare. Da questi pensieri è nato Aldomariacamillo. «Radici» è il capitolo zero del progetto, il luogo della memoria: all’interno vi sono gli anni 90, il vintage militare, i ricordi legati a Maison Martin Margiela e a Helmut Lang, oltre alle giacche prese dal guardaroba di mio padre. Che caratteristiche ha il consumatore di Aldomariacamillo? Non esiste una vera e propria tipologia di cliente. Voglio proporre capi che io stesso non trovo facilmente sul mercato: essenziali, dal carattere forte, dalla silhouette studiata. Non ci sono fit riconoscibili, ma c’è un grandissimo studio anatomico sulle vestibilità, per raggiungere un equilibrio perfetto. Senza dimenticare una piccola dose di sensualità. Cosa è la moda per lei? È comunicazione non verbale, ma potente. È uno sguardo, un patto creativo che si fa con le persone che vedi. La moda è come si indossa un capo, come lo si vive. Cosa ne pensa del sistema moda italiano? Sono quasi sette anni che vivo a Parigi. E, inevitabilmente, non ho potuto non cogliere le

differenze. Senza dramma, né critica. In Italia, qualche anno fa sentivo una certa staticità: c’erano solo i grandi gruppi e non vedevo spazio per progetti più piccoli che avrebbero avuto bisogno di sostegno. A Parigi invece sì: la Francia è attiva su scouting e supporting. In Italia, però, tutto questo è iniziato recentemente. E ciò mi ha dato molta energia. Cosa ne pensa dei suoi colleghi francesi che dirigono marchi giovani? Gran lavoratori, determinati, supportati, umili, per nulla viziati. Mi piace molto il lavoro di Alexandre Mattiussi e Simon Porte Jacquemus. Devo dire la verità: sono stato un po’ influenzato da tutta questa energia giovane. Alla mia età, invece, c’è una misurata incoscienza... Preferisce il percorso da solo o come direttore creativo di una griffe? Sono due cose completamente diverse. Adesso sono intrigato dal progetto da designer indipendente. Non dico di non voler più dirigere nessuna maison. Anzi, magari in un futuro… Ma ora sto analizzando questo capitolo in tutte le sue sfaccettature. Ha una musa a cui si ispira? L’ho sempre desiderata, ma ancora non c’è. Ho amiche artiste che mi aiutano nel progetto, ci scambiamo libri, mi fanno conoscere nuovi artisti: è un rapporto vivo. Qual è il suo rapporto con il mondo virtuale? Mi incuriosisce molto: vorrei trovare il modo corretto per utilizzarlo. Sono aperto all’utilizzo dei social network per raggiungere il cliente. Demna Gvasalia (direttore creativo di Balenciaga e Vetements, ndr) un giorno mi ha detto: «Per me, il virtuale è quasi un terzo lavoro». Lei è anche papà: come la vedono i suoi due figli? Sono lontani da questo mio universo. Vivono fuori Roma, vanno al liceo, hanno i loro amici… Sono felice che non siano influenzati da ciò che faccio. Quando vengono a trovarmi a Parigi li vedo con gli occhi sbarrati: aspetto che siano loro ad avvicinarsi al mio mondo.

in alto, Aldo maria camillo (foto Sara Imloul)

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astrid andersen interview by angelo ruggeri

Sorriso contagioso e creatività vulcanica. La designer danese Astrid Andersen è una delle protagoniste indiscusse della London fashion week men’s. Dal 2011, anno in cui ha fondato il suo marchio omonimo, le sue collezioni maschili hanno emozionato, divertito ed elettrizzato il pubblico degli addetti al settore, sempre presente ai suoi show. Nel dicembre del 2018, poi, la grande novità: la stilista è stata nominata anche direttore creativo di Fila fjeld, nuova linea dello storico e iconico marchio nato in Piemonte nel 1911. Quando ha capito che sarebbe diventata una designer? Da bambina non ho mai trovato vestiti che mi facessero sentire a mio agio. Mia madre mi ha aiutato a «seminare» il mio pensiero creativo. Penso che questo sia stato cruciale per costruire la mia identità e per permettermi di diventare quello che sono oggi. Cosa è la moda per lei? È un mezzo che permette a ogni individuo di esprimersi. Quando ha deciso di lanciare il suo marchio? Ho presentato il marchio Astrid Andersen per la prima volta, otto anni fa, subito dopo la fine del college. Mi sembrava il momento giusto: pensavo che la mia estetica, in quel momento preciso, avesse assunto un ruolo a se stante e ben delineato. Da dove trae ispirazione quando crea? Sono fortunata nel momento della creazione: nella mia vita, ho viaggiato molto e ho incontrato persone straordinarie e di talento, provenienti da tantissime culture diverse. Queste sono la principale fonte di ispirazione per me. Poi ho la passione per i tessuti: una vera e propria ossessione. Per me, ogni stagione parte da un moodboard di tessuti. Qual è il suo rapporto con l'arte? Il mondo sarebbe un posto spaventoso e molto diverso da ora se non avessimo gli artisti,

che ci fanno analizzare noi stessi e diventano uno specchio per la nostra esistenza. Amo le opere di Olafur Eliasson, Mark Rothko, Gilbert & George e Jackson Pollock. E con la musica? Quando ero adolescente ascoltavo l’hip hop americano e l’R’n’B: dai TLC a Dr. Dre. Oggi, invece, tra i miei preferiti ci sono Travis Scott, SZA, Skepta e Solange Knowles, ma anche Pink Floyd, Missy Elliott e Wu-tang clan. Lo scorso dicembre è diventata anche direttore creativo di Fila fjeld. Come sta vivendo questa esperienza? È la prima volta che ricopro il ruolo di direttore creativo per un marchio diverso dal mio e il processo è ovviamente molto diverso, ma la sfida è altrettanto entusiasmante. È davvero un privilegio lavorare con Fila. Il marchio valorizza la mia esperienza, mixandola al patrimonio italiano: mi piace molto provare a creare un nuovo linguaggio da questi due mondi. Cosa rappresenta per lei Fila? Ha una storia molto ricca. È un marchio sportivo che ha fatto da pioniere in questa categoria di prodotti e quando ho visitato l'archivio di Biella è stato ancora più sorprendente vedere i primi capi firmati Fila. Nel mondo veloce di oggi è un privilegio lavorare per un marchio che esiste da più di 100 anni, perché l’heritage è una realtà così unica e rara. Cosa le piace di più nel suo lavoro? Mi piace la libertà di creare qualcosa da zero. Cosa cambierebbe del sistema moda di oggi? Vorrei che le stagioni fossero effettivamente sincronizzate in fatto di consegne: non solo creerebbe una cultura diversa intorno alle vendite, ma darebbe anche a marchi come il mio il timing giusto per ottimizzare la produzione.

in alto, astrid andersen

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Carlo Rivetti interview by cristina manfredi

Sulla carta è il presidente e direttore creativo di Sportswear company, la società che controlla il marchio Stone island, ma per i suoi Carlo Rivetti è molto di più. Lo showroom è in piena campagna vendita e lui si muove fra un tavolo e l’altro chiacchierando con tutti. Solo i clienti più nuovi si stupiscono di trovarlo lì, gli altri già sanno che se c’è una cosa che gli piace, è parlare con la gente. Quanto allo staff, ognuno prosegue in quel che stava facendo e intanto gli riserva un sorriso. In effetti hanno di che essere contenti, visto che il brand ha chiuso il 2018 con un fatturato che sfiora 200 milioni di euro. Un valore super positivo, se si considera che nell’ultimo biennio il turnover è praticamente raddoppiato con un prodotto che, di base, è sempre rimasto fedele a se stesso. Erede di una dinastia di grandi imprenditori (dal lanificio Giuseppe Rivetti e figli, fondato nel 1872 nel Biellese, al Gruppo finanziario tessile, tra i pionieri del ready to wear a partire dagli anni 50) Rivetti ha acquisito progressivamente il 100% di C.P. Company e Stone island, due realtà entrambe create dal designer Massimo Osti. Nel 2010 Rivetti ha venduto C.P. Company «per metterci in sicurezza di fronte alla tempesta finanziaria del 2008», ha spiegato. Poi nel 2014 la decisione che coglie tutti di sorpresa perché, anziché perfezionare la cessione a un grande gruppo, ha fatto saltare l’affare preoccupato dalle scarse garanzie di continuità. Nel 2017 ha aperto le porte a Temasek, società di investimenti basata a Singapore che ha acquisito il 30% delle quote di Sportswear company. Se prima i suoi dipendenti lo stimavano, ora lo guardano come un ammiraglio di lungo corso. E di lanciare la nave all’arrembaggio dei mercati con coraggio e strategia, ma soprattutto senza mai tradire il suo spirito di gentiluomo. Come spiega le vostre performance in forte crescita di questi ultimi anni? Siamo sempre andati dritti per la nostra strada. Questo marchio ha nel suo Dna una diversità costruita sulla nobilitazione tessile di spalmature, finissaggi, tinture in capo.

Un modello di 20 anni fa è sicuramente diverso da uno contemporaneo, ma c’è un filo conduttore. La mostra che avevamo allestito alla Stazione Leopolda a Firenze nel 2012 durante Pitti uomo per i trent’anni del brand ci ha fatto realizzare quello che avevamo costruito nel tempo e mi ha convinto a ragionare in modo differente su come trasmettere il nostro lavoro. E cioè? Ho capito l’importanza di parlare alla gente. Sul finire degli anni 90 un giornalista inglese definì Stone island il segreto meglio custodito della moda maschile e io ne andavo fiero. Quando però ho visto l’orgoglio della gente dell’azienda rispetto alla nostra storia ho capito che è importante parlare al mondo. Ero scettico anche all’idea di aprire un corner in Rinascente a Milano, e sbagliavo, perché ha dimostrato che se hai una storia da raccontare, troverai qualcuno disposto ad ascoltarla. E che non c’è bisogno di cambiare il proprio lessico per dialogare con altri mercati. Noi parliamo di contenuti tecnici e il pubblico ci segue. Anche chi non vi conosce bene? Quando incontro i consumatori finali mi accorgo che sono perfettamente informati sulle caratteristiche dei capi che posseggono o che desiderano comprare. Il fenomeno del collezionismo legato ai nostri modelli è in espansione anche nei paesi dove siamo presenti da meno tempo. Qualche mese fa mi è arrivata la lettera di un ragazzo inglese, un re-seller che mi ringraziava perché con la compravendita di vecchi pezzi Stone island è riuscito a pagarsi tutta l’università. In che cosa lei è stato davvero strategico per il brand? Mi riconosco il merito di avere intuito con largo anticipo la crisi che poi avrebbe falciato tante imprese. È stato un momento di grande solitudine perché non avevo dati a

nella pagina accanto, carlo rivetti, presidente e direttore creativo di sportswear company (foto Sabrina Tanzi)

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supporto della mia teoria e sembravo essere l’unico ad annusare qualcosa di strano nell’aria. Faticavo a spiegare le mie sensazioni, però l’azienda mi ha seguito e siamo così stati in grado di organizzarci al meglio per affrontare i marosi. Poi ho anche capito che sarebbe successo come negli anni 80 e che dovevamo prepararci a cavalcare un’onda in arrivo. Quello che non avevo previsto era la portata di quell’onda, rivelatasi gigantesca. Siamo passati da poco meno di un milione e mezzo di capi prodotti nel 2016 a oltre 2 milioni e 300 mila nel 2018. I veri eroi sono in nostri ragazzi della produzione che hanno saputo gestire questo aumento dei volumi senza abbassare gli standard qualitativi e la precisione delle consegne. Avete mai pensato all’ipotesi di una quotazione? Abbiamo un livello di managerialità diffusa e una redditività ancora più impressionante della esplosione dei ricavi degli ultimi anni, fattori questi che ci consentirebbero di andare in Borsa anche domattina, ma per il momento non ci interessa farlo. C’è un aspetto del suo lavoro che le dà particolare soddisfazione? Durante l’ultimo pranzo di Natale mi hanno presentato molti neo assunti ed erano quasi tutti giovani. Circa 15 anni fa ci preoccupava il numero di teste bianche nel reparto

cucitura, dove realizziamo tutti i prototipi. Allora ci siamo mossi per stimolare i ragazzi che all’epoca non sembravano interessati a quel tipo di lavoro e oggi, su 13 addetti, otto sono nuove leve. Quando mi capita di fare il giro in azienda, passo anche da loro e spesso succede che arrossiscano quando mi parlano. Per me è un segnale stupendo, vuol dire che il loro lavoro li emoziona. Come quando vedo che le persone escono dall’ufficio e spengono la luce: vuol dire che si sentono a casa. Che rapporto ha con il suo team creativo internazionale e giovane? Nonostante la mia carica, durante le riunioni resto quasi sempre in silenzio. Li ascolto molto, lascio che discutano tra di loro e intervengo solo quando vedo che hanno imboccato una strada cieca. Spesso però capita che io sia più coraggioso di loro, forse perché con la mia esperienza ne ho viste talmente tante che ben poco mi spaventa. Quello che dico sempre è: se c’è un’idea, proviamoci. Se non funziona, avremo sprecato un prototipo. Ma se invece l’imbrocchiamo, allora ci divertiamo. In cambio, loro mi fanno vedere delle cose che io leggerei in modo differente. Quando sono uscito dal Gruppo finanziario tessile ho deciso che non mi sarei mai guardato indietro, detesto il concetto di vintage nelle collezioni. E i ragazzi mi aiutano a tenere sempre gli occhi puntati avanti.

in queste pagine, alcuni look stone island per la fall-winter 2019/20 (foto &Son)

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amiri

mike amiri. interview by ludovica tofanelli Il rock’n’roll in versione luxury, in cui ogni pezzo è unico. Un concept dal quale Mike Amiri ha fatto nascere la sua label Amiri, conquistando un posto di primo piano nel panorama internazionale della moda e non solo. Dopo aver fondato circa cinque anni fa il suo brand nello scenario losangelino, lo stilista di origini iraniane, classe 1977, ha visto indossare i suoi capi da personalità di spicco come LeBron James, Jay Z, Kendrick Lamar, Kendall Jenner e Justin Bieber. «Ho iniziato a disegnare capi per i musicisti a Los Angeles. Dopo molti anni ho voluto proporre questo look sicuro non solo ai musicisti, ma anche a tutte le persone che condividono quello stesso spirito rock’n’roll. È così che ho iniziato il concetto di Amiri», ha spiegato il creativo. Raccontando in quest’intervista a MFF-Magazine For Fashion i suoi esordi, il suo legame inscindibile con la musica e la sua ultima passione: il basket. Tanto da aver ricreato un campo da gioco nel suo stesso atelier. A cosa si è ispirato per l’ultima collezione presentata a Parigi...? Alla common story del musicista che ha bisogno di lasciare il chaos della città e tornare alla natura, per trovare nuova creatività e ripulire lo spirito. Come ha iniziato questa carriera e perché? Ho iniziato a disegnare capi per i musicisti a Los Angeles. Dopo molti anni ho voluto proporre questo look sicuro non solo ai musicisti, ma anche a tutte le persone che condividono quello stesso spirito rock’n’roll. È così che ho iniziato il concetto di Amiri. Ha avuto mentori o persone che l’hanno particolarmente ispirata? Crescendo ho sempre considerato le rockstar come i miei eroi. Il modo in cui si vestivano e la fiducia in loro stessi mi ha davvero ispirato. Che idea di moda vuole trasmettere con le sue collezioni? Voglio dimostrare che le persone possono ottenere il vero lusso attraverso quello che

indossano e sentirsi allo stesso proprio agio e senza sforzo. Il lusso non deve essere serio o forzato. Si tratta di essere se stessi e avere fiducia nella propria personalità. Quale capo o accessorio considera fondamentale per un look? Gli stivali sono il miglior punto di partenza per qualsiasi look. La dimensione, la forma e il colore determinano il resto di ciò che si indossa. Quanto è importante per lei la musica e in che modo entra in relazione con il mondo della moda? Prima di diventare stilista, ho lavorato nel settore della produzione musicale e ho scritto canzoni. E come nelle collezioni di abbigliamento, ho imparato che un buon album è collegato da una trama che l’attraversa dall’inizio alla fine. Perché pensa che le sue collezioni siano diventate così popolari tra celebrities e consumatori? Penso che il consumatore contemporaneo stia cercando il nuovo lusso e l’eccitazione della scoperta. Celebrities, artisti, atleti, musicisti… Sono tutti considerati rockstar nel mondo moderno. Attraverso i social media noi li vediamo sul loro palcoscenico insieme a questi pezzi speciali. Quali sono i prossimi passi che compirà con il suo brand? Abbiamo iniziato con la linea uomo che è diventata piuttosto grande. Ora cerchiamo di portare avanti la stessa crescita nell’abbigliamento e negli accessori femminili. Quali sono le sue passioni oltre alla moda? Recentemente ho iniziato a giocare molto a basket. Tanto che abbiamo costruito un campo da pallacanestro professionale nel mezzo del design studio. È un bel modo per rilassarsi tra una sessione e l’altra.

in alto, mike amiri (foto Ken Tisu)

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rÆburn

christopher rÆburn. interview by angelo ruggeri Remade, reduced, recycled e, ovviamente, Ræburn. Sono queste le quattro R che invadono il lavoro creativo di Christopher Ræburn. Nato a Kent nel 1982, il designer si è laureato al London’s Royal College of Art e ha iniziato a lavorare come modellista. Nel 2008 ha fondato il suo marchio omonimo, da subito protagonista della London fashion week. La sua visione, da sempre avanguardista, strizza l’occhio alla sostenibilità, alla performance dei capi e all’attitudine tech. Nel novembre del 2018, è stato nominato anche global creative director di Timberland, con lo scopo di far vivere la filosofia del marchio dello Yellow boot creando prodotti responsabili con innovatività e lungimiranza. Come è essere il nuovo global creative director di Timberland? È un momento molto emozionante della mia vita, perché sto unendo le mie forze creative a quelle di Timberland. Intravedo un’incredibile opportunità per il marchio: emergere e presentare un design responsabile e innovativo. Sono onorato di collaborare con un’azienda che possiede valori così saldi e sono entusiasta di fare la differenza su scala globale. Cosa rappresenta Timberland per lei e cosa cambierà? Ho osservato il marchio per molti anni e ricordo, nel passato, di essere stato ispirato dal modello Earthkeepers (lo scarponcino con cuciture a vista, ndr), che è stato lanciato quando studiavo al Royal college of art. Sono interessato all’innovazione e questo è l’approccio che ho nei confronti di questo marchio. Dobbiamo rispettare l’etica e lo scopo del brand iconico di lifestyle, ma anche spingersi oltre i confini. Cos’è la moda per lei? Non ho mai visto la moda in senso tradizionale. La verità è che non mi vedo più come designer di moda ma più come product designer. Per me, oggi, la moda è rielaborazione dei tessuti in eccesso e funzionalità sopra ogni altra cosa.

Qual è il suo rapporto con il concetto di moda sostenibile? Lo dico sinceramente: quando ho fondato il mio marchio non pensavo di lanciare un brand sostenibile. Le nostre creazioni più importanti e la filosofia del «remade» si sono sviluppati con il tempo. Diciamo che sono stati degli incidenti felici. Cosa ne pensa dei co-branding nel mondo creativo? Abbiamo avuto la fortuna di collaborare con alcuni dei migliori marchi del mondo negli ultimi anni, a partire da Moncler, Disney, Clarks, fino a Timberland. Per noi, è una grande opportunità per donare ad aziende più grandi molto di ciò che abbiamo appreso nel corso degli anni, per fare la differenza su scala globale. Questi progetti ci hanno anche permesso di immaginare i progetti esistenti e di sviluppare davvero il nostro lato innovativo e creativo. Il più bel ricordo legato alla sua carriera? Ne ho tanti: quando ho vinto l’Emerging talent award ai British fashion awards del 2011; quando abbiamo trasferito il Ræburn lab nell’ex textile building di Burberry nel 2016. Più recentemente, quando sono stato nominato global creative director di Timberland o quando mio fratello Graeme è entrato a far parte della mia azienda come performance director. Pensa che Londra sia il posto giusto dove sfilare e lavorare? Assolutamente sì. Sono grato per il sostegno che ho ricevuto dal Bfc e dalla London fashion week men’s, un’ottima piattaforma per ottenere visibilità. L’energia e la ricca cultura di Londra mi ispirano ogni giorno. Sono orgoglioso di chiamare questa città casa. Quali sono i suoi progetti futuri? Per Timberland, vorrei capire come possiamo spingere in avanti ogni aspetto del marchio, dal prodotto alla cura dei dettagli. E, naturalmente, voglio continuare a coinvolgere e ingrandire la nostra comunità.

in alto, christopher rÆburn (foto darren Gerrish)

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magliano

luca magliano. interview by cristina cimato Dal 2016 il tempo che vola sembra averlo preso a braccetto. Luca Magliano ha 32 anni, è del segno dello Scorpione e sta guardando la sua vita che va a cento all’ora. Tre anni fa ha fondato il brand che porta il suo cognome. Ha vinto la competizione Who is on next? nel 2017, partecipato a Pitti italics nel 2018. Quest’anno ha sfilato a Milano, nella settimana della moda maschile, ed è stato nominato nuovo direttore creativo di Grifoni. È successo molto in poco tempo. Che momento è questo per lei? A me sembra siano passati duemila anni e allo stesso tempo mi sembra di essere sempre all’inizio di tutto. Ogni stagione si aggiungono una gratificazione e qualche delusione. La sensazione dopo lo show di Milano è stata: bisogna fare di più. Più cose da dire, precisione da applicare, strategia da immaginare. Sia per il brand sia per la mia carriera di designer. L’estetica dell’uomo innamorato prima, e poi gli anni 80 con la via Emilia e i suoi simboli. Che cosa vuole raccontare un giovane stilista oggi, citando il passato? Quella storia e quella cronaca le ho ricevute nell’adolescenza attraverso personaggi chiave: Pier Vittorio Tondelli e Andrea Pazienza. Quindi è come se avessi ricevuto informazioni su questa rotta Piacenza-Rimini in un momento in cui era una zona tutto fuorché provinciale. Era, invece, un territorio ricco di cultura, avanguardia, controcultura e subcultura. Non c’è nostalgia perché non ho vissuto quel tempo, solo l’ho trovato bellissimo. A cosa pensa quando disegna? E cosa la ispira? Il mio approccio è corale. C’è un brief da cui emerge un tema. L’argomento ha punti focali che vengono indagati attraverso letteratura, immagini, storia. È più un rebus da compilare. A occuparsi di design con me c’è Giuseppe Ierardi, ma siamo affiancati da un team appassionato di persone che completano la nostra visione. I suoi capi si distinguono per una ricerca molto attenta ai dettagli e un uso ricco

della maglieria. È una strada che vuole continuare a percorrere? Sì, assolutamente. Quello è il pattern che vogliamo replicare. Fare casino in un guardaroba classico. Rifarci alla tradizione e poi stravolgere i volumi per ricercare effetti fumettistici. Arrivare un attimo prima del ridicolo e poi fermarsi. Creare abiti con finiture punk inspired. Accogliere l’incursione di materiali che non c’entrano nulla come gesto irriverente verso il classicismo. Creo oggetti che devono essere compresi da persone della mia generazione. Cosa significa disegnare per un altro brand e come sarà l’uomo Grifoni? Questo è il mio grado zero del progetto. Voglio approfondire un’identità che già esiste. Grifoni ha una sua storia, un’anima, un concept e un’identità precisi. È una sfida divertente. Il mio compito in questo caso è quasi scientifico, è quello di un ricercatore. Qual è il ricordo più bello dei suoi anni di studi? Barbara Nerozzi, la professoressa e persona con cui ho studiato, che mi ha regalato un metodo di progettazione. Una persona con cui ho capito che volevo fare questo lavoro. Mi ha trasmesso la passione per la ricerca e per lo studio. Se avesse la sfera magica, dove sarebbe tra dieci anni? Tra dieci anni mi immagino nella stessa situazione di oggi, ossia a lavorare. Ho una strategia chiara per il futuro più immediato, anche se ho iniziato a proiettarmi in avanti. L’esperienza che sto avendo con Magliano è centrale all’interno della mia vita. Qual è la città in cui vorrebbe vivere? Vorrei vivere in tutto il mondo. Ma di più a Los Angeles. Per la luce, per l’atmosfera. Non mi sorprende sia il posto dove si fa cinema. Quella luce è indimenticabile, rende tutto bello. Qual è uno stilista con cui vorrebbe lavorare o aver lavorato? Senza ombra di dubbio Franco Moschino. È il mio eroe della moda.

in alto, luca magliano (foto maria clara macrì)

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Family BUSINESS Q&A with Veronica and Kean Etro

Sono passati 50 anni da quando Gerolamo Etro, detto Gimmo, ha fondato la sua casa di moda. Oggi, Etro è ancora un family affaire e sono stati proprio i suoi quattro figli a prendere le redini del marchio, che nel 2018 ha festeggiato l’anniversario con una mostra al Mudec dal titolo «Generation paisley». Quella generazione che vede Jacopo, il maggiore dei fratelli, alla direzione creativa della collezione home, Ippolito nel ruolo di strategic officer; Kean stilista delle collezioni maschili e Veronica, la più piccola, mente della linea donna. Ed è proprio ai due stilisti che in questa intervista è stato chiesto com’è, da dentro, casa Etro. Portate un cognome che ha fatto la storia della moda italiana. In che modo gli avete reso omaggio con il vostro lavoro? Veronica: La mostra che abbiamo realizzato per il 50° anniversario è stata un’esposizione del lavoro di tutta la famiglia. Nostro, di nostro padre Gimmo, di nostro fratello Jacopo... Noi non siamo la seconda generazione, ma la prima, perché abbiamo sempre lavorato insieme. Kean: Siamo italiani ma abbiamo sempre fatto una moda non italiana. Prendendo ispirazione dall’India, dall’Oriente, dai nostri viaggi. E oggi, come definireste voi Etro, in tre parole? V: Eclettico, esotico, spirito libero. K: Fedele all’amore e alla bellezza. Come vi rapportate con il tema sostenibilità? K: La parola sostenibilità mi fa pensare sempre all’amore ancestrale per la natura. Ma ci deve anche essere un approccio scientifico... Durante la presentazione di gennaio 2019, abbiamo mostrato la nostra filiera italiana ecosostenibile. Tra i progetti con etichetta «benETROessere», un piumino realizzato con 110 bottiglie di Pet riciclato NewLife Yarns che prende la materia prima dall’Amsa piemontese. V: Per mantenere standard di qualità alti, la nostra produzione si trova in Italia, dove gli artigiani realizzano a mano i modelli. Etro e i prossimi 50... Come vedete il futuro della maison? K: Per me il futuro non esiste, esiste solo un eterno presente. V: Con una forte identità, senza snaturare il nostro Dna, ma proiettati

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sul futuro. Raccontandoci di più, perché a parte per il 50°, siamo sempre stati un po’ chiusi tra le nostre mura. Vi consultate e consigliate nel vostro lavoro? V: Sì, chiamo sempre Kean prima delle sfilate, perché voglio che mi dia consigli, soprattutto dal punto di vista comunicativo. K: Ci confrontiamo tutti insieme, anche con nostro padre e Jacopo, sulle stampe, sui colori, i tessuti. Ci piace condividere, vedere, intuire. Ogni stagione si riparte sempre dall’archivio di famiglia Etro. Co-ed: forse sì o assolutamente no? V: Perché no? È successo per la spring-summer 2018 e potrebbe risuccedere, siamo molto liberi e aperti. Siamo Pacific zen! K: Il nostro è un lavoro co-ed su tutti i fronti: anche quando ci troviamo assieme a nostro padre e agli altri fratelli. Condividiamo scelte e decisioni, ma anche questioni più banali e per noi è un rituale quotidiano. Il ricordo del momento più speciale legato al vostro lavoro? V: Tanti, ma la mostra è stato davvero emozionante! Ricordo quando sono entrata e ho visto realizzate le stanze dopo un anno di lavoro, avevo le lacrime! Ritrovarci tutti lì è stato un momento molto forte. K: In 30 minuti di video della mostra, vedi raccolto in cinque stanze il lavoro di tanti anni e di tante persone: è un lavoro di famiglia, di tribù Cosa apprezzate di più nel lavoro dell’altro? V: Un sacco di cose! Kean è il numero uno a ricreare il suo mondo nelle sue presentazioni. Sa mettere insieme tanti punti, idee, ispirazioni, personaggi, pensieri. Questo fa la differenza. K: Ammiro molto il modo in cui Veronica usa i colori e il patterning. Sa declinarlo su accessori, scarpe fino ad arrivare alla spilla con il cuore della collezione donna che ci ha prestato per vestire Irama a Sanremo! Quali sono i prossimi progetti che vorreste portare a termine? V: Mi piacerebbe legarci a un progetto charity concreto. K: Sostenere l’ispirazione e il proprio respiro, qualcosa di vitale, cultura o natura. Sosteniamo ciò che è vivo e questo ci rende vivi. Sara Rezk

nella foto, kean e veronica etro

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point of view

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Un’intervista doppia ad alta velocità. Domande e risposte rapide con una coppia di player dell’eyewear di nicchia. Per scoprire quali sono i punti chiave del loro lavoro. By Angelo Ruggeri

D A N I E L B E CK E R M A N Ceo Retrosuperfuture

L UCA G N E CCHI R U S C O N E Founder & ceo L.G.R

Tre parole per definire il suo lavoro Onesto, all’avanguardia e alla ricerca.

Impegnativo, incessante e appagante.

Come è cambiato il mondo dell’occhialeria rispetto a quando ha iniziato a lavorare? Quando ho iniziato non esisteva il mondo dell’occhialeria indipendente come esiste oggi. Secondo me, il nostro marchio ha mostrato una nuova strada a una serie di creativi e imprenditori in giro per il mondo.

Ci sono molti più marchi indipendenti. Sia i produttori sia gli ottici hanno cominciato a produrre piccole collezioni di occhiali. Questo ha aumentato la competitività. Poi ci sono nuovi metodi di marketing, rispetto ai quali è necessario aggiornarsi costantemente.

Cosa cercano i suoi clienti in un paio di occhiali da sole? Cercano la distintività e vogliono sentirsi parte di un gruppo.

Oltre a un prodotto di qualità, fatto artigianalmente con lenti che garantiscano il meglio di quello che esiste sul mercato, cercano un’esperienza, un’avventura da raccontare.

In che modo fa ricerca con il suo team per creare i nuovi modelli di occhiali? Mi sono circondato di persone che hanno uno spirito ricercato. Li ascolto bene: dal direttore creativo al designer, fino all’ufficio marketing. Sono persone attente e ognuno mette qualcosa della propria esperienza. Io sintetizzo e incanalo il tutto.

Ogni collezione nasce dallo sviluppo degli imput creativi che accolgo e raccolgo nell’habitat che mi circonda: le donne e gli uomini della mia famiglia, gli amici, i viaggi, l’Africa, i profumi e i colori della Riviera italiana.

Cosa cambierebbe del sistema moda di oggi? La moda è sempre stato uno strumento per apparire in un certo modo. Mi piacerebbe che ci fosse più onestà. A volte c’è falsità, forse più che in altri settori lavorativi.

In un mercato vittima del fast fashion, il sistema moda dovrebbe educare il cliente. Far comprendere il valore e i tempi per preservare processi di lavorazione artigianale.

Cosa ama di più del suo lavoro? Sono pieno di stimoli tutti i giorni: mi piace vedere brand nuovi e storici che si rinnovano. In azienda, ci interessiamo anche di musica e di arte.

Il contatto con le persone, prima di tutto con il mio team, che rappresenta per me una famiglia. Poi il rapporto con gli artigiani. E, infine, conoscere i miei clienti.

Cosa invece non le piace? In generale, è un po’ demanding. Vorrei gustarmi un po’ di più i momenti, senza dover essere sempre di corsa, a tutta velocità.

Dovermi separare dalla mia famiglia. Andare lontano mi pesa sempre di più, anche se so che questa è una parte fondamentale del mio business.

Uno dei momenti più belli della sua carriera? Quando ho incontrato Kanye West e Virgil Abloh per la prima volta. E, insieme, abbiamo lavorato a una collaborazione speciale.

Quando ho ricevuto una proposta di acquisto da parte di un grande gruppo dell’eyewear. È stato un segno importante, indicatore del fatto che stiamo procedendo nella direzione giusta, oltre che un motivo di lusinga.

Un sogno da realizzare? Mi piacerebbe creare un nuovo groove, incidere un percorso per i prossimi dieci anni. Forse nuove categorie merceologiche, anche se per ora non sono la nostra mission.

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Dieci anni fa, tutto è iniziato quasi per gioco. Vorrei che L.G.R, tra altri dieci anni, diventi una multinazionale con uffici presenti in tutto il mondo.

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LA MEDICINA AL SERVIZIO DELLA BELLEZZA 08/02/19 10:47


MFF-Magazine For Fashion | 55

beauty

Francis Kurkdjian interview by silvia manzoni

Francis Kurkdjian avrebbe voluto fare lo stilista, poi ha cambiato strada ed è arrivato al profumo, «perché non sapevo disegnare». A 25 anni ha conosciuto il successo con Le Mâle di Jean-Paul Gaultier. Poi, a 30, nuovo exploit con Narciso, del designer cubano Narciso Rodriguez. «Cominciare la propria carriera con tali affermazioni non è facile, perché non si è ancora abbastanza maturi per capire cosa stia succedendo e gestire quello che seguirà», ha detto. Oggi, a 50 anni, è considerato uno dei più grandi talenti nel profumo. Ha creato per tutti i grandi marchi di moda e cosmesi come Dior, Elie Saab, Lancôme, Burberry, Kenzo, ha fondato nel 2009 la propria maison de parfum, nella quale è entrato il gruppo Lvmh, che ha anche un delizioso negozio vicino a place Vendôme. Intanto, continua a dar voce all’identità olfattiva di grandi creatori. Con audacia e umiltà. Perché l’audacia è importante per lei? Perché è un elemento essenziale quando si è un creativo. Talvolta è proprio quello che manca quando ci si lancia in un nuovo progetto. Forse perché si cerca il consenso e il marketing orienta le scelte creative? Non è vero che il marketing uccide la creatività. L’esigenza di vendere c’è sempre stata, ma questo non blocca il coraggio di esprimersi, fare qualcosa di nuovo. Come è arrivato alla creazione olfattiva? Dopo aver letto un articolo, a 13 anni, ho deciso che sarebbe stata la mia strada. E ho cominciato a orientare gli studi in quella direzione. Di solito i «nasi» vengono da stirpi familiari, non è stato difficile? Quando non si fa parte di una genealogia di profumieri è complicato all’inizio affermarsi, ma dopo la pressione è meno forte. In ogni caso in questo mestiere c’è molta competizione e ci si deve abituare ad accettare i fiaschi. Il rimedio è lavorare molto, preparasi. Riesce a staccare dal lavoro o la fase creativa è una presenza costante? Non ci si stacca mai dalla creazione e le idee possono venire da qualsiasi parte e in qualsiasi circostanza. Tuttavia non credo all’idea romantica dell’artista a cui scende l’ispirazione dal cielo. L’ispirazione è frutto di molto lavoro. È come un’equazione di matematica con alcune incognite. Le piace la matematica? L’ho studiata a fondo perché in Francia per diventare profumieri si deve scegliere il ramo scientifico e siccome non ero bravo in chimica mi sono molto impegnato sulla matematica. Un profumiere deve coniugare rigore scientifico e creatività? Smettiamola di pensare che un artista debba essere bohème, staccato dalla realtà. Un artista è rigoroso quanto uno scienziato. D’altronde nel Rinascimento c’era una completa osmosi tra scienze e arti, non c’erano separazioni. È un’epoca a cui penso spesso e alla quale forse stiamo tornando dopo un relativo oscurantismo da Medioevo, anche nel modo di portare i profumi. Cosa vuol dire? Viste le questioni legate alla sicurezza dei profumi, che tuttavia non sono mai stati così safe, non porteremo più le fragranze direttamente sulla pelle, ma ci profumeremo attraverso degli oggetti: ventagli, gioielli, guanti, come si faceva nel ’500. In profumeria, come nella moda, i grandi filoni o tendenze non sono più dettati da ragioni estetiche, ma di società. Lei crea dei profumi per le sfilate di moda? Sì, per Alexandre Vauthier. Siamo diventati amici quando abbiamo capito che lui voleva diventare profumiere e si è trovato nella moda, e che per me era stato l'opposto. Ora siamo alla 18ª fragranza. Prima le spruzzavamo nell’aria, adesso sono veri e propri profumi che gli ospiti trovano in uno spray sul loro posto. Li creo dopo aver visto i primi schizzi. Ma nessuno di loro è commercializzato. Quali sono le sue passioni? La musica e la danza in particolare. Sono un habitué dell’Opera, è più che una passione. Poi mi piace molto cucinare, invito gli amici quando posso e le mie specialità sono la zuppa fredda ai piselli, noce di cocco e coriandolo o le carote al gelsomino. Ha un sogno? Quello di restare in vita a lungo perché sono curioso di vedere come si evolverà il mio mestiere.

a sinistra, Francis Kurkdjian (foto Nathalie Baetens)

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beauty

grooming

makeover. Un racconto di bellezza che si muove dietro le quinte. Mixando effetti speciali, suggestioni da sfilata e tips backstage. by paola gervasio

Prada

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1. VERSACE. Eros flame, con note di rosmarino; 2. SALVATORE FERRAGAMO. Testa di moro, con sentore di cuoio; 3. LAURENT MAZZONE. Hysteric, dal tono speziato; 4. WOMO. Leather & Benzoin, resinato; 5. TOM FORD. Private blend collection Beau de jour; 6. VILHELM PARFUMERIE. Poets of Berlin, ispirato ai 70s

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foto Ragazzi Nei Paraggi

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1. BARB’XPERT. Masque peel-off au charbon; 2. DIOR HOMME. Dermo system, siero effetto tensore; 3. FILORGA. Nutri-filler lips, nutre e leviga le labbra; 4. BULLFROG. Agnostico, balsamo viso multifunzione; 5. MAISON BIO. Gel post rasatura rinfrescante; 6. SHISEIDO MEN. Total revitalizer, crema tonificante

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58 | MFF-Magazine For Fashion

REPORT

models

Le esclusive, i volti piĂš richiesti e i nuovi Nomi dalle sfilate autunnoinverno 2019/20 Secondo il parere di casting director internazionali. per rivelare i modelli piĂš cool della stagione. By Angelo Ruggeri

best exclusive

Bruno Sprenger Prada

Serigne Lam Prada

Jeranimo van Russel Prada

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most bookable

Callum Stoddart Fendi

Mathieu Simoneau

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Leon Dame Dries Van Noten

Serge Sergeev

Neil Barrett

Lev Uliesov

Khadim Sock

Noah Morley

Fernando Lindez

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N°21

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Freek Iven Berluti

Acne studios

Dior

Bed J.W. Ford

Ami Alexandre Mattiussi

THANKS TO: MARIA GIULIA AZARIO, MAURILIO CARNINO @ MTC CASTING INC., VANESSA CONTINI, MARCELLO JUNIOR DINO, DANILO DI PASQUALE, GISELLA GENNA, ADAM HINDLE @ ADAM HINDLE CASTING, CATERINA MATTEUCCI @ RANDOM PRODUCTION, GIUSY NATALE, DANIEL PEDDLE E DREW DASENT @ THE SECRET GALLERY INC., ARDEA PEDERZOLI @ MARABINI BAIOCCHI, BARBARA PFISTER @ BARBARA PFISTER CASTING, ARIANNA PRADARELLI @ ARIANNA PRADARELLI CASTING, SIMONE BART ROCCHIETTI @ SIMO BART CASTING, ALEXANDRA SANDBERG, CAMILLA TISI @ TO THE MOON STUDIO

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report

buyers picks

LA PAROLA AI compratori worldwide PER STILARE LA NUOVA CLASSIFICA DEI pezzi più hot, tra SFILATE E showroom. BY ELISABETTA CAMPANA e margherita malaguti

best mood

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new suits

Jil Sander

Thanks to: ROSY BIFFI e CARLA CEREDA @ BIFFI BOUTIQUES LEE GOLDUP @ BROWNS TIBERIO PELLEGRINELLI @ BUYER CONSULTANT VERONICA MATTI @ CLUB 21 MAURIZIO COLTORTI @ COLTORTI MARCO CATENI @ DIVO ALBERTO FERRANTE @ ERALDO LUKE RAYMOND @ FARFETCH DENIS V. EVSTAFIEV @ FASHIONISTAS CONCEPT ANDREA GALBIATI @ FOLLI FOLLIE DANIELA KRALER @ FRANZ KRALER GABRIELE PANCHERI @ G&B, NEGOZIO FEDERICO GIGLIO @ GIGLIO KIYOHIKO TAKADA @ ISETAN MITSUKOSHI SABINA ZABBERONI @ JULIAN FASHION AMOS E ANGELA ADANI @ LA BOUTIQUE DI ADANI GIANNI AMATI @ LEAM PAOLO MANTOVANI @ MANTOVANI JOSH PESKOWITZ @ MODA OPERANDI FIONA FIRTH @ MR PORTER BRUCE PASK @ NEIMAN MARCUS e BERGDORF GOODMAN BEPPE NUGNES @ NUGNES 1920 LIA PAGONI @ PAGONI GROUP SALVATORE PARISI @ PARISI KAREN VERNET @ PRINTEMPS MIRCO OCCHIALINI @ RATTI FEDERICA MONTELLI @ RINASCENTE LUIS SANS @ SANTA EULALIA CLAUDIO BETTI @ SPINNAKER CARMEL IMELDA WALSH @ STEFANIAMODE.COM BEPPE ANGIOLINI @ SUGAR DIEGO COSSA @ TIZIANA FAUSTI RICCARDO TORTATO @ TSUM HIROFUMI KURINO @ UNITED ARROWS LUC DHEEDENE @ VERSO VINICIO RAVAGNANI @ VINICIO ROBERTO GRASSI @ WISE

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PEZZI CULT fall-winter 2019/20. UNA SELEZIONE DI BORSE, SCARPE E TIPS DESTINATI A DIVENTARE I MUST-HAVE DELLA STAGIONE. BY ANGELO RUGGERI

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FALL-WINTER 2019/20. proposte selezionate per ogni stile e occasione d’uso. Ecco i cult della prossima stagione. by MARGHERITA MALAGUTI

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68 | MFF-Magazine For Fashion

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MFF-Magazine For Fashion | 69

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valentino pierpaolo piccioli

U

n vero Valentino moment. Pieno di immagini che aleggiano a raccontare mesi vissuti intensamente. Le passerelle che si infiammano di applausi. Lady Gaga avvolta di piume poudre a Venezia. O in quell’iconica nuance pervinca dalla testa ai piedi ai Golden Globe. Lo sportswear che cessa di essere una tendenza per divenire un modo di vivere. Quell’attitudine couture che fa parte del Dna del marchio, trasportata in nuovi ambiti dalla mente creativa della maison, Pierpaolo Piccioli. Che vince intanto premi e riconoscimenti per il suo lavoro. E compie il bis nel progetto Moncler genius, dove questa volta ha lavorato assieme a Liya Kebede. E lei, Liya Kebede che sale in passerella come una delle veneri nere per interpretare l’alta moda di Valentino. Un cerchio che si chiude, un cerchio magico con un incantesimo lanciato da Naomi Campbell. Che assieme a Piccioli ha composto quel quadro finale di una sfilata che è diventata un vero fashion moment. «Non ho lanciato un messaggio politico, ma un messaggio estetico. Che è più forte, lascia un segno profondo», ha spiegato a MFF-Magazine For Fashion Pierpaolo Piccioli, «non voglio un marchio fantastico, bello, che si leghi solo a un passato glorioso. Ma voglio un marchio rilevante oggi». Un confronto che è sbocciato anche tra le nuove collaborazioni con Undercover di Jun Takahashi e Birkenstock nello show dell’uomo per l’autunno-inverno 2019/20, protagonista di questo shooting speciale accanto al suo creatore pronto a un’intervista senza barriere. Quel menswear che non manca di riservare delle sorprese. Lei ha affermato che la moda maschile oggi sia più rivoluzionaria di quella femminile... Secondo me sì, perché quello che fa la differenza è cambiare il gusto comune di tante persone. Non quello di una nicchia. Questa è l’ambizione più grande, no? Gli uomini sono mutati tantissimo negli ultimi trent’anni. Sicuramente è stata una reazione ai grandi cambiamenti delle donne. In realtà l’abito dell’uomo, come tradizione, è millenario, centenario… C’era il vestito formale, il vestito da sposo, nell’Ottocento lo sportswear era un’uniforme perché si andava a cavallo. In fondo, le regole della forma erano le stesse. Adesso gli uomini sono

liberi di essere come vogliono, più semplicemente. Di sottostare meno a certi schemi sociali e quindi anche di esprimere se stessi in un altro modo, anche attraverso l’abbigliamento. Come mai la moda riesce a compiere questo racconto? Diventa uno strumento? Perché l’abbigliamento e la moda sono un modo di riflettere i cambiamenti della società. Pensiamo agli anni 30 e alle donne libere, con uno stile più androgino. E poi la guerra e quindi il ritorno a un certo tipo di sicurezza. Donne come mogli o amanti, con corrispondenti silhouette. O negli anni 80 le giacche dalle spallone per lei, un primo, secondo me poco maturo ma sicuramente forte segnale delle donne che stavano cambiando e diventavano più manager. Oggi c’è una morbidezza nuova per gli uomini, che possono portare il romanticismo, usare sfumature diverse e non devono necessariamente essere in un modo o nell’altro. Nelle generazioni nuove c’è molta più fluidità. Anche meno regole, semplicemente. Non può esserci ancora dal lunedì al venerdì la giacca, il sabato e domenica lo sportswear. Capisci che il gusto è cambiato, perché nei lavori nuovi non puoi affidarti a vecchie regole. Io non credo tanto al ritorno del formale, non credo che gli uomini possano tornare a certe regole sociali. Poi se uno ha voglia di mettersi un vestito, va benissimo, ci mancherebbe. Ma non credo che l’approccio con cui ti metti il vestito oggi sia lo stesso. Per questo è fondamentale il cambiamento: se cambia l’attitudine, cambia tutto. Per questo puoi mettere un vestito e non essere formale. Oggi si parla tanto di essere aperti. Anche con le colab appena svelate nell’ultima sfilata uomo con Undercover da una parte, Birkenstock dall’altra. E poi lei stesso alla seconda prova con Moncler genius. È una sorta di dare e ricevere? Io credo veramente nel fatto che la moda possa creare un sistema e credo che questo possa essere un linguaggio. Intendo non avere barriere mentali, superare i muri che qualche volta qualcuno costruisce. Per cui se ho voglia di fare un paio di Birkenstock è per un motivo non soltanto estetico. Per me le Birkenstock rappresentano un concetto di universalità, sono con un paio di jeans. Tu non sei figo

se le indossi, sei figo per come sei. Le Birkenstock rappresentano un oggetto senza sesso, senza status sociale, senza età. A seconda di come sei, lo puoi personalizzare e diventa un’altra cosa. E questo è esattamente l’opposto dell’esclusività legata al mondo della couture. Mettere insieme questi due mondi crea la tensione che sta nella contemporaneità. Una ricerca del nuovo? Non credo al nuovo, credo che il nuovo sia quando tu crei nuovi equilibri tra cose che possono essere dissonanti. Secondo me, Birkenstock porta con sé i concetti di universalità e di democraticità. Non ho voluto realizzare le Birkenstock di coccodrillo a 2 mila euro, non potevo prenderle e farle diventare un oggetto di lusso sfrenato. Volevo prendere le Birkenstock e metterle dentro a un mondo Valentino, che storicamente è esclusivo, per dare una morbidezza nuova, per parlare di vita. E la stessa cosa, ma in maniera diversa, è successa con Undercover. Tutto nasce da situazioni personali, non da strategie di marketing. Per questo è vero quando dico che vale per me a livello personale come vale a livello professionale. Io e Jun Takahashi ci siamo incontrati per una piccolissima cosa in un negozio di Tokyo, poi ci siamo piaciuti e interessati a vicenda e quindi abbiamo detto «Ah, sarebbe bello lavorare insieme e provare a mettere le stesse stampe su due diverse passerelle a due ore di distanza a Parigi». Così si parla di identità. C’erano le stampe da me e c’erano le stesse stampe da Undercover, ma i prodotti erano totalmente diversi perché è l’identità, la sensibilità con cui tu interpreti le superfici cambiano l’oggetto stesso. È molto più forte come messaggio. Come è stato l’esperimento con Moncler genius? Io mi diverto con Moncler. Mi sono divertito l’anno scorso a farlo in quel modo, mi sono divertito quest’anno che è stato un lavoro diverso. Ho lavorato con Liya Kebede per un progetto che volevamo fosse diverso. Anche nella foto-ritratto di gruppo siete vicini... E sorridiamo, mentre tutti gli altri sono seri. È una cosa che diceva sempre Franca (Sozzani, ndr): «Si può lavorare sul serio senza prendersi troppo sul serio».

testo stefano roncato - foto pablo arroyo

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nella foto, da destra, pierpaolo piccioli e tre modelli in valentino fall-winter 2019/20

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Liya Kebede era alla sua ultima sfilata di alta moda con tante modelle di colore. Lei cosa ha provato con quel quadro finale e con tutto il pubblico che si è alzato? In quel momento ho capito che era quello che doveva succedere. Volevo che questa fosse un’alta moda bella, classica, con i fiori ma volevo anche usare la mia voce in maniera potente per dire quello che pensavo. Non sono un politico o non ne ho l’autorevolezza, perché è stato scritto che io volessi lanciare un messaggio politico. Un messaggio estetico è più forte. Secondo me è come quando leggi un libro o vedi un film. La potenza dell’immagine ha una forza che copre anche le parole. È difficile tornare indietro da qualcosa che hai già visto. Desideravo che questa cosa avesse una potenza estetica. Ricreare quella foto delle alte mode classiche, con i grandi vestiti, ma invece che con donne nere che facevano le cameriere, con donne nere al centro della stanza. E metterle lì voleva dire molto di più che non scrivere messaggi su T-shirt o parlare e basta. Penso di avere un’autorevolezza come designer, non come politico. Per cui ho usato la mia voce di designer. Quando abbiamo fatto le prove ho immaginato i vestiti e i colori degli abiti lì in quella posizione, ma in realtà li ho visti tutti insieme solo nel momento in cui sono uscito fuori. Era come la realizzazione di una cosa che immaginavo. Penso sia la stessa sensazione che ha un regista. Scrive una sceneggiatura e poi vede l’immagine. Certo, perché si passa dalla mente alla realtà… Io lavoro così. So cosa voglio vedere e vedo già quello che voglio. Il mio lavoro è cercare di metterlo in pratica in modo che lo possa vedere io e lo possano vedere tutti gli altri. E Naomi Campbell? Si era avvicinata a parlarle all’orecchio. Cosa le ha detto? Quando era in passerella mi diceva: «Mi viene da piangere, mi viene da piangere. Ho pianto soltanto un’altra volta, questa è la seconda volta che piango su una passerella». Era un momento forte, per me è stata un’emozione. Lei sapeva che cosa stava facendo. Perché era importante che ci fosse proprio Naomi? Senza di lei, molte di quelle ragazze nere non avrebbero mai fatto le modelle in vita loro. Lei e Iman hanno sdoganato in un qualche modo un concetto di bellezza. Per alcune di queste ragazze era un sogno che ci fosse Naomi. Per loro significava molto di più che per gli altri. I giornali italiani non hanno enfatizzato così tanto questo aspetto, cosa che invece hanno fatto i giornali americani e quelli inglesi. Quando è uscito il Black Issue di Vogue Italia di Franca Sozzani nel 2008, a Londra in 48 ore il giornale è andato sold out... Anche in America oltre all’Inghilterra... L’Inghilterra è un paese in cui esiste già una cultura, dove ci sono più contaminazioni di razze diverse. In Italia senti le cose, ma in realtà non ti riguardano. Stai lì e vedi tutte le persone come te. Noi ci scandalizziamo per articoli come quello dove si titola su Pil e gay, uscito proprio il giorno della sfilata dell’alta moda, ma nessuno in realtà poi lo scrive o lo dice. Facciamo un lavoro in cui siamo tenuti a dire ciò che pensiamo, non è solo un nostro diritto. Io non sono un politico e lo faccio da designer, perché in quel campo ho l’autorevolezza per farlo e per dirlo. Non da politico. Però lo dico. Lei giustamente afferma di usare i suoi strumenti… Credo che a volte un messaggio estetico possa essere più potente, perché entra e rimane lì. Non lo puoi cancellare, non torni indietro. Se alle persone è sembrato normale, meglio. Se le persone non hanno notato certe cose, per me è meglio perché significa che questo problema è passato. È normale che in passerella da Valentino ci fossero più di 40 ragazze nere? Perfetto, va bene così. Non deve esserci la pesantezza della strumentalizzazione, ma ci deve essere la forza

del messaggio estetico che cambia il gusto e che cambia la percezione di chi guarda. E quello è molto più potente. Quanto è importante secondo lei l’inclusività oggi? Tutti ne parlano… Secondo me è fondamentale oggi parlare di altro. Quello che dieci anni fa era un valore e cioè l’esclusività, secondo me oggi è un deterrente. Quello che era il lifestyle è stato sostituito da un concetto di community. Lifestyle è quando un gruppo di persone condividono alcune superfici: lo stesso mobile, lo stesso quadro, la stessa lampada, lo stesso vestito. Le community sono persone che condividono le stesse idee. E, secondo me, è questo che accade oggi, o almeno io vorrei che fosse così. Che le persone stessero insieme perché condividono valori, idee, speranze, passioni, qualsiasi cosa. E credo che questo concetto di community rappresenti di più la vita di oggi. Quello che mi piace è che da questa esclusività, che è fondamentale per un marchio come Valentino con una storia forte alle spalle, si trasporti il brand nel presente. Io voglio che Valentino sia un marchio rilevante oggi, non solo un marchio che è stato importante. No, io voglio che sia un marchio significativo per la generazione attuale. Cosa la spinge in questo percorso? Non m’interessa il modernismo, non mi interessa il futuro, non mi interessa il passato. Mi interessa il presente. Per essere rilevante oggi, secondo me devi interfacciarti con la vita e la vita è fatta di questo. Non voglio un brand fantastico, che si leghi a un passato glorioso, voglio un marchio che s’interfacci con la vita, che non può essere esclusiva. L’esclusività di Valentino per me oggi vuol dire identità, vuol dire mantenere un’identità forte. è un marchio romano, di couture e io voglio che si senta moltissimo questo aspetto. Però voglio parlare a un mondo che mi auguro sia senza barriere, di nessun tipo. Per cui devi comunicare non soltanto a chi parla la tua stessa lingua, ma a molte più persone. E al tempo stesso con un’identità precisa, sennò diventi generico. Il digitale? I social? Sono una grande opportunità, perché puoi interagire con molte più persone. Il punto è che devi dire cose interessanti e quindi profondamente legate alla tua identità. Per questo secondo me è bello parlare di un marchio che è così romano, così legato alla couture come cultura, perché couture vuol dire unicità, vuol dire fatto su misura. Anche in quel caso si parla di umanità quando si parla di couture. Io vorrei che un marchio grande come Valentino abbia ancora questo senso di umanità e questo senso di unicità. Anche in una T-shirt, anche in un paio di sneakers. perché non vuol dire che un marchio di couture debba fare solo quello, ma può fare il prêt-à-porter, gli accessori, un paio di scarpe da ginnastica con lo stesso approccio con cui fa la couture. E riguardo alla sfilata dell’alta moda, per esempio, parlo sempre delle persone che ci sono dietro, del team. Sono tutte storie vere di persone. Quello che mi piace è l’idea che un marchio profondamente romano sia rappresentato da una bellezza nera. Non vuol dire che se sei un marchio romano, tu debba essere rappresentato da una bellezza romana o con un certo tipo di fisico. Puoi essere rappresentato da chi vuoi. È l’identità che deve essere forte, poi dopo la rappresentazione può essere varia, com’è vario il mondo, come sono varie le persone. Perché la diversità, secondo me, è un valore. In qualsiasi categoria. Non è sempre spiacevole essere diversi. Ha sempre avuto questa sensibilità? O è riuscito a esprimerla più facilmente con il passare del tempo…? Devi avere una maturità per dire certe cose. Devi elaborare. Ho lavorato per tanti anni assieme a un’altra persona, per cui quando sei insieme è ovvio avere una visione comune. Io ho

capito sicuramente questo, che da solo si allentano i filtri. Si è molto più legati alla propria sensibilità. Non è soltanto un lavoro, tutto diventa un po’ più fluido. Il tuo modo di vedere, i tuoi valori, tutto diventa una cosa sola perché quello che dici è legato a quello che pensi, altrimenti rischi di tirare fuori uno slogan. Si percepisce se un’idea è strumentale o se, invece, è vera. E poi, ecco, c’è sicuramente una maturità nel modo in cui dire le cose. Maturità. E riflessioni sagge. Adesso non è che affermerà simpaticamente di stare invecchiando? No, no… Anzi! Io mi sento pienamente consapevole del ruolo che ho, di quello che sto facendo. Lo sai quando hai un certo tipo di autorevolezza in quello che dici. All’alta moda, accanto a una Celine Dion super commossa, c’era lo stesso Valentino Garavani. Che a fine sfilata diceva come lei stia scrivendo nuovi capitoli di quel libro che porta il suo nome, Valentino… È bello quello che ha detto, mi piace molto. … A che punto è di quel libro? All’inizio? Alla fine? Mi sento molto consapevole, questo sì. Penso di avere piena coscienza di quello che sto facendo e penso che sia importante per me, che faccio il mio lavoro con una sensibilità che diventa anche un approccio al lavoro, avere un posto dove mi rispecchio nei valori del marchio. In questo senso, mi sento molto nella mie scarpe. Non penso «questo è Valentino, questo non è Valentino». In fondo noi siamo una seconda generazione di designer e direttori creativi. Non credo che Valentino, negli anni 70 o 80, si ponesse il problema «questo è Valentino, questo non è Valentino». Era lui stesso. Io mi sento in una fase dove sono totalmente dentro questo processo. Valentino ormai fa parte di me e della mia memoria. Se invece questo libro raccontasse la sua, di vita, che titolo avrebbe? Il titolo non lo so, ma sicuramente sarebbe legato al sogno e all’incanto. Questo lo dico sempre, penso sia importante non dimenticarsi mai da dove vieni e chi sei. Sono di Nettuno e non mi dimentico mai quanto mi sembrasse lontana la moda quando ero ragazzino, ma quanto in fondo la sognassi. O i film, il cinema. Non mi sembrava impossibile, mi sembrava solo lontano. E oggi non mi dimentico chi ero. E questo mi fa venire voglia di sognare tutti i giorni. Ha chiuso una anno incredibile, tra premi, sfilate e fashion moments... È contento? Sì, sono contento. E mi piace questo aspetto della moda che si apre. Alla mia sfilata c’erano Raf Simons, Claire Waight Keller e Giambattista Valli. Io sono andato da Undercover e da Raf Simons nello stesso giorno, dopo il mio show. Siamo persone che hanno passioni in comune. Viviamo in posti diversi nel mondo, ma abbiamo qualcosa che ci unisce. Sembra essere un’attitude poco italiana. A Milano se ne vedono poche di queste visite, in Francia di più… Secondo me devi essere molto sicuro di te stesso per confrontarti. Il confronto si può avere soltanto quando si ha sicurezza. La stessa cosa vale per il team. Ho un team di persone che mi piace molto, che ho scelto in questi anni. Sono persone che sicuramente mi danno molto. Ma sono tutte persone forti. Se sei sicuro, scegli persone forti. È sicuro di se stesso? Sì. Sì. Punto? Sì, punto. Più che altro, sono consapevole. Quando maturi accetti quello che ti piace e anche quello che non ti piace di te. Non è più importante. Fino a un determinato momento cerchi di cambiare, poi a un certo punto ci fai pace. Accetti e diventa anche quella la tua forza. Full translation at page 112

Models: serigne lam, tasmir THIAM @ BANANAS; serge sergeev, MAIklS m @ BRO; WELLINGTON grant @ ELITE; ALEXANDER @ IMG; CHEIKH kebe @ METROPOLITAN; OUMAR diouf, Ronan @ PREMIUM; SEBAS @ ROCK; denver gray, JERANIMO van russel @ SUCCESS; location: Paris, Grand Palais Galerie Courbe; looks: Valentino F-W 19/20

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ssenziale, poetico, contemporaneo. Di Kris Van Assche si può dire che lavora per sottrazioni, che sa emozionare con gesti creativi a volte quasi impercettibili, ma carichi di significato. E che lo fa sempre mantenendo un filo diretto con tutto ciò che è il qui e ora. Nato nelle Fiandre nel 1976, ben rappresenta la naturale evoluzione del «Belgian style», ovvero il mix di riserbo, rigore e rottura degli schemi iniziato negli anni Ottanta con i Sei di Anversa (Dries Van Noten, Ann Demeulemeester, Walter Van Beirendonck, Dirk Bikkemberg, Marina Yee e Dirk Van Saene), diventato leggenda con Martin Margiela e poi con Raf Simons. Ma è in Francia che Kris Van Assche ha sviluppato appieno la sua personale visione di menswear, all’inizio come braccio destro di Hedi Slimane da Yves Saint Laurent e poi da Dior homme, dove, a partire dal 2007, è diventato il direttore artistico al posto proprio di Slimane. Non era facile raccogliere quel testimone, cosa che Van Assche ha fatto tirando dritto per una strada lastricata di linee precise e sartorialità ri-

letta con un approccio futuribile nelle forme e fedele alla tradizione nell’esecuzione. È tra quelli che hanno intuito il potenziale dirompente nel mescolare accenti streetwear all’universo del lusso, mentre ha sempre rifuggito le tentazioni di una conformità rassicurante e noiosa. L’anno scorso ha lasciato Dior per varcare la soglia di un tempio dello stile al maschile, Berluti. La maison è nata a Parigi sul finire dell’Ottocento con l’Italiano Alessandro Berluti, creatore di calzature da uomo fuori dal comune per tecnicismo e charme. Il brand è entrato a far parte del gruppo Lvmh nel 1993 e nel 2011 ha lanciato il prêt-à-porter allora disegnato da Alessandro Sartori, a cui è seguito Haider Ackermann, che a sua volta ha ceduto il passo a Van Assche. E a lui tocca ora il compito di fare evolvere ulteriormente la griffe, dopo l’ottima prova di debutto con l’autunno-inverno 2019/20 che ha sfilato a Parigi Che cosa ha significato per lei il passaggio all’universo Berluti? Avevo trascorso 11 anni da Dior homme e sentivo giunto il momento di affrontare una nuova sfida. Avevo

l’esigenza di rimettermi in discussione, correre qualche rischio. Sono arrivato in Berluti con un approccio molto umile, dettato dalla consapevolezza del grande valore di una maison votata al luxury nella sua accezione più alta. Sapevo di avere molto da imparare e che avrei dovuto farlo in fretta. Berluti ha un know-how molto specifico, è una realtà completamente diversa da quelle che avevo vissuto in precedenza, con una ricerca di lusso portata a un livello che ancora non conoscevo. E poi in un momento in cui tanto è giocato sul concetto di sportswear che sposa l’alto di gamma mi piaceva l’idea di andare nella direzione opposta: volevo cercare una qualità ancora più sofisticata, senza però perdere di vista l’obiettivo di lanciare un messaggio fashion». È difficile progettare l’abbigliamento in un mondo che è approdato al ready to wear da nemmeno dieci anni? In realtà, mi trovo in una condizione di grande libertà. Posso reinventarmi l’heritage delle calzature e immaginare come dovrebbero essere le silhouette degli abi-

testo cristina manfredi foto Alessio Bolzoni

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nella foto, da sinistra, kris van assche e un modello in berluti fall-winter 2019/20

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ti, partendo proprio dalle scarpe. I modelli Berluti sono sempre stati famosi per come abbinano qualità e carattere, motivo per cui hanno attratto nel tempo così tanti artisti e Vip (dal duca di Windsor a Jean Cocteau o Andy Warhol, ndr). Le linee che io creo esprimono quello stesso dualismo. È felice di com’è andato il suo debutto? Sì, decisamente. Penso che quella di Berluti sia la collezione più lussuosa che io abbia mai fatto ed è anche la più creativa, perché ci sono tantissimi tessuti, una grande ricerca sulla pelle e in generale sul prodotto. Amo il lavoro fatto sui tanti coat di pelle e sulla la vestibilità che è sempre comoda. Ho imparato molto in questi ultimi mesi. Lei ha lavorato per alcuni tra i più significativi marchi al mondo: che cosa le hanno lasciato quelle esperienze? Ha un ricordo particolare che l’ha formata come stilista e come persona? Sono diversi i momenti che mi sono rimasti attaccati addosso, a cominciare dal mio primo giorno all’Accademia delle belle arti di Anversa in arrivo da una piccola cittadina di provincia come Londerzeel. E poi l’emozione del primo lavoro, da Yves Saint Laurent, oppure il lancio della mia collezione eponima (poi chiusa nel 2015, ndr). Molte cose sono accadute a Parigi, un luogo che mi ha dato sensazioni forti, dal punto di vista professionale, con uno stimolo continuo a combinare il lusso alla creatività. Il suo è un ambiente dove si respira tanta pressione e a voi designer vengono richiesti sforzi continui tra pre-collezioni, main line, progetti speciali. Come affronta questi ritmi? Ha un ideale di lavoro a cui tende? Ho sempre considerato il mio ruolo come qualcosa di molto simile a quello di un atleta che si prepara per le Olimpiadi. Se vuoi essere convocato e giocartela con i tuoi pari per vincere, hai una sola cosa da fare: impegnarti al massimo giorno dopo giorno. Non ha senso lamentarsi per il super carico di impegni.

Ma qual è la cosa più complessa da gestire? La velocità con cui devo riuscire a farmi venire in mente idee nuove. E non solo devono essere fresche, ma anche soddisfare gli standard qualitativi di un marchio come Berluti. Cosa ne pensa dell’idea di sviluppare sempre più un segmento haute couture dedicato all’uomo? Non sono convinto dell’idea di parlare al pubblico maschile in termini di alta moda, però credo fermamente nel bisogno che una certa clientela ha di riunire in un unico prodotto i concetti di lusso e di individualità, in pratica le fondamenta di un brand come il nostro. Prendiamo per esempio i modelli Patina, inventati da Olga Berluti negli anni 80. Si tratta di un processo segreto che permette a ciascuno di intervenire sulla propria scarpa per ottenere delle coloriture uniche. Chi le indossa decide come personalizzarle al massimo. Ho trascorso un po’ di tempo con lei e mi ha spiegato come le scarpe Berluti siano pensate per incarnare il concetto vagabond deluxe. C’è in loro un lato ribelle del lusso. Ha aggiunto che le persone tendono a pensare che il lusso di alto livello, come quello di Berluti, significhi prodotti timeless. Essere senza tempo in effetti potrebbe anche significare essere sbiaditi, non avere una missione e un vero e proprio fashion statement. Lei però non è mai stata d’accordo su questo, anzi sostiene che le persone vengono da Berluti per comprare scarpe che siano davvero differenti da qualsiasi altra calzatura. Questo significa che, anche nei vestiti Berluti, ci può essere un’indole forte. Nella mia prima collezione le spalle degli abiti sono decise, strutturate. Ci sono più cappotti pesanti e voluminosi. Con il completo di pelle che ha aperto la sfilata di gennaio volevo creare un ponte tra l’universo Patina e l’abbigliamento. Quanto c’è di profondamente suo in questa prima prova? Molto, a cominciare dall’idea del broken suit, con il fat-

to di abbinare i pantaloni da motociclista con la giacca, per esempio. La parte sopra non deve necessariamente formare un completo con il sotto. La mia idea di «vagabond of luxury» significa guadagnare libertà e giocare con i codici, mixandoli, aggrovigliandoli e utilizzando il meglio di tutto, dal cashmere, alla pelle, agli accessori. Che cosa significa essere uno stilista oggi? Penso che la mia qualifica ufficiale di direttore artistico dia un’idea più precisa di ciò che faccio. Ormai non si tratta più soltanto di disegnare dei vestiti, bisogna occuparsi di tutti gli aspetti che contribuiscono a definire una collezione. Chi ricopre un ruolo come il mio deve saper imprimere una precisa direzione artistica. È una linea di pensiero che va sviluppata a 360 gradi. Sono sempre di più i brand che scelgono la strada delle sfilate co-ed e molti sostengono che il menswear diventerà sempre meno rilevante di fronte a un approccio genderless alla progettazione. Lei come vede il futuro del suo settore? L’unica cosa che mi sento di dire è che secondo me la settimana della moda uomo a Parigi non è mai stata così eccitante. Cosa pensa dei social media? Li usa molto? Certo. Sono diventati un elemento essenziale di comunicazione. Una parte di vita. Mi faccio molte domande e penso che sia interessante che le persone abbiano idea di cosa faccio a livello professionale. E come vede lo scenario di collezioni sempre più legate ai responsi dei data? Ci sarà ancora spazio per la poesia nella moda? Il titolo della mia prima sfilata con Berluti era «Je t’aime», direi che da solo rende bene il senso di come la penso io. Per quanto mi riguarda, il giorno in cui mi dovessi accorgere che la poesia non è più di casa nel mio lavoro, sarà quello in cui smetterò. Full translation at page 112

Styling: Mauricio Nardi; Casting director: Piergiorgio Del Moro; Models: SARA GRACE WALLERSTEDT @ Elite; Freek Iven @ rebel management; JUN YOUNG HWANG @ Rock men; Rogier Bosschaart @ Success; KRISTERS KRUMINS @ Bro; INGO SLIWINSKI @ Tomorrow is another Day; Malgosia Bela @ Viva; Jing Wen @ Women; looks: BERLUTI fall-WINTER 2019/20

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testo stefano roncato - foto PIER NICOLA BRUNO

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hantay you stay. Sashay away». Una frase inconfondibile, il dentro o fuori dalla competition televisiva di RuPaul, quella drag race che ha fatto storia nei tv show. E la voce del conduttore irrompe nella colonna sonora firmata Versace per la collezione uomo autunno-inverno 2019/20, andata in scena in via Savona a Milano. Sulle cui note si fondono citazioni da casta diva di Maria Callas, sonorità techno e melodie d’opera della Scala. Un mix che inneggia alla gender fluidity. «Negli anni 90 c’era un’idea molto precisa di chi fosse l’uomo, di come dovesse vestirsi e comportarsi», ha spiegato a MFF-Magazine For Fashion Donatella Versace, mente creativa della maison di Capri holdings, «con il nuovo Millennio tutto questo è stato stravolto un poco per volta e la moda si è evoluta in modo drastico. Oggi, non è più possibile disegnare un perimetro preciso intorno al concetto di uomo perché la società moderna ha concesso

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a ognuno una maggiore libertà di esprimere se stessi non solo con le azioni, ma anche con ciò che s’indossa». Abito ergo sum, senza paura. In una stagione con una vera e propria race come gara su quattro ruote per la collaborazione con Ford, la casa automobilistica americana con cui sono stati creati dei pezzi in edizione limitata. Stampe e appliqué che si mescolano a sportswear dai colori vitaminici. A quelle stampe con pins dai mille colori. Irrompono a dare allegria dopo un incipit dai tratti bondage, con fantasie di cinghie incrociate per un trompe l’oeil sadomaso. Con pelle in primo piano grazie a trasparenze in vinile. «Ciò che ho voluto far vedere con questa collezione sono le diverse sfaccettature dell’uomo di oggi», ha concluso Donatella Versace, «un uomo che, come tutti noi, si veste in modo diverso a seconda dei contesti e ha trovato quel coraggio che gli mancava in passato. Se dovessi definirlo in poche parole, direi che si tratta di un uomo che sa osare». Si tinge i capelli con isole maculate per fare mix and match con il cappotto animalier. Guarda tutti dietro quegli occhiali bianchi da Kurt Cobain, sotto le frangette da new Beatles. E si concede dei tocchi di vanità, con boa in marabù dalle tinte fluo.

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Styling: JACOB K; Hair: GUIDO PALAU; Make up: PAT MCGRATH; Casting director: PIERGIORGIO DEL MORO; models: ismael isaac, soulemane tounkara @ 16men; vuk @ crew; hang yu @ dmen; janusz kuhlmann @ fashion; Robby bain @ the lab; cara taylor @ monster; paco diouf, rey polo @ next; rishi robin @ rebel; louis griffiths @ select; fernando lindez @ why not; looks: VERSACE, collezione UOMO f-w 2019/20

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back to store con il tailoring

L’ONDATA DI sartorialità PER L’UOMO f-w 2019/20 METTE ALL’ANGOLO LO STREETWEAR. SODDISFATTI I buyer CHE AUMENTANO I BUDGET E CONTANO DI INCREMENTARE LE VENDITE NELLe boutique. BY elisabetta campana Ben tornata eleganza moderna. I top buyer, intervistati da MFF-Magazine For Fashion durante le fashion week di Milano e Parigi, applaudono all’unisono al bel vestire, protagonista delle passerelle menswear dedicate all’autunno-inverno 2019/20. «L’uomo torna a vestirsi da uomo», hanno commentato con piacere tutti i compratori italiani e stranieri. Fra le variegate e creative interpretazioni di questo nuovo mood, i retailer hanno particolarmente apprezzato Prada, oltre a Fendi, Marni, Versace ed Ermenegildo Zegna XXX, nel capoluogo lombardo, mentre Celine, Dior, Valentino, Louis Vuitton, Dries Van Noten, Amiri, Ami e Sacai nella Ville Lumière. Dopo anni di strapotere dello streetwear, con il dominio incontrastato di T-shirt, felpe, track pant e sneaker, la moda maschile vira su un’immagine più sartoriale, ricercata, con una grande cura nei dettagli e nella scelta dei materiali. Senza dimenticare ciò a cui nessun consumatore potrà mai più rinunciare: la vestibilità confortevole e l’interpretazione moderna. Ai buyer tornano così a luccicare gli occhi. Principalmente per tre motivi. Innanzitutto i bei cappotti, le giacche raffinate e le molteplici varianti di pantaloni e maglie giustificano meglio i prezzi sempre più elevati delle collezioni. Inoltre vanno a colpire un cliente più maturo, ma di fatto con maggiore capacità di spesa di un giovane, messo all’angolo nelle recenti stagioni dall’eccesso di sportswear. Infine, come molti retailer auspicano, il pregio di questi capi dovrebbe indurre i consumatori a desiderare più assistenza da parte degli addetti alla vendita, oltre al piacere di provare i capospalla e toccare i tessuti, inducendoli a ritornare nei negozi. Anche perché un conto è acquistare online una T-shirt o una felpa, un conto un lussuoso cappotto. Il tutto invita i buyer a incrementare i budget o, comunque, a parità di ordine scommettere sui pezzi più esclusivi. «Abiti e capospalla sono il simbolo del ritorno all’eleganza: un’ottima svolta. Nel mondo esistono così tanti uomini, non solo i giovanissimi, che spesso devono, ma anche amano, indossare un abbigliamento più formale per lavoro o per le occasioni importanti», ha detto Kiyohiko Takada, fashion director dei department store giapponesi Isetan

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Mitsukoshi. «Speriamo di invogliare anche i più giovani, che hanno meno occasioni d’uso per indossare gli abiti vista la crescente diffusione dell’home working. Credo però che saranno allettati dalle novità, con una connotazione fashion, proposte sulle passerelle», ha aggiunto Takada. «L’ondata del new tailoring garantirà nuovi importanti argomenti di vendita e l’interpretazione con un appeal più rilassato di capotti, spolverini e abiti permetterà di vestire l’uomo nella sua quotidianità», ha sottolineato Federica Montelli, head of fashion dei department store italiani Rinascente. «Sono felice che l’uomo torni a vestirsi da uomo», ha confermato Gabriele Pancheri, buying director di G&B, Negozio, con sede a Flero (Bs), che vanta una quindicina di punti vendita nel Nord Italia. «Potremo rivolgerci a un pubblico un po’ più adulto ma top spender, maggiormente in grado di apprezzare un capospalla o una maglia con un prezzo importante. Così come un bel paio di scarpe in cuoio: perché anche le calzature virano verso il formale», ha precisato Pancheri. «Premesso che abbiamo sempre voluto mantenere nei nostri negozi un rapporto diretto con la clientela, senza dubbio il dilagare della moda street ha confuso un certo tipo di consumatore che contiamo di tornare a servire. A maggior ragione adesso con il digitale che incalza, l’approccio fisico, l’accoglienza e il servizio faranno sempre più la differenza», ha sottolineato Andrea Galbiati, senior menswear buyer di Folli follie, con luxury multibrand a Mantova, Brescia, Bologna, Verona e Riccione. «Perfetto il dressing up, in versione rilassata e confortevole. Crediamo molto nel back to chic, nelle moderne proposte sartoriali, nell’immagine più signorile, magari con un’influenza inglese, e nella conseguente ricercatezza di tessuti e materiali», ha spiegato Bruce Pask, menswear fashion director dei department store americani Bergdorf Goodman e Neiman Marcus, che ha da poco aperto lo store B, all’interno di Bergdorf Goodman, con la propria selezione di capi. «Ormai la clientela approccia gli acquisti in modi molto diversi, magari guardando prima sul web e poi venendo in negozio, oppure facendo showrooming e poi comperando online: tutto è possibile. Ma sicuramente proporre novità, un’offerta ricercata e un ottimo servizio, come gli store fisici possono garantire, continuerà a premiare». Sull’indiscusso valore dei negozi, rispetto al crescente potere dell’e-commerce, si è soffermato anche Maurizio Coltorti, titolare di Coltorti con multimarca ad Ancona, Jesi, Macerata, San Benedetto del Tronto e Pescara: «Le fashion week sono un imprescindibile momento di incontro e confronto tra colleghi e aziende per pianificare al meglio la propria attività, a partire da quella nei punti vendita: bisogna coccolare e fidelizzare i clienti programmando eventi, proponendo pezzi speciali come quelli delle limited edition e offrendo una reale shopping experience». Ciò premesso, il new tailoring induce una vendita più customizzata: «È fondamentale garantire una consulenza di stile e far toccare i tessuti, cose improponibili online. L’esclusività passa attraverso l’esperienza diretta. E il sartoriale sicuramente non fa rima con digitale. Il negozio deve diventare un teatro, un grande palcoscenico, dove il cliente si riconosce. Il prodotto è rilevante ma, ripeto, l’esperienza che si offre lo è molto di più», ha affermato Coltorti, precisando: «Questo non vuol dire che l’e-commerce non sia importante. Anzi, la fa da padrone perché permette di rivolgersi al mondo intero, garantendo una platea senza confini. Però il cliente facoltoso gioca sì con l’online, ma cerca consiglio e supporto in negozio, dove effettua ancora l’acquisto più sostanzioso. E il back to chic sarà di sicuro aiuto».

in alto, l’interno del luxury multibrand sugar ad arezzo di beppe angiolini. nella pagina accanto, dall’alto, una vetrina di rinascente a Milano, e coltorti, multimarca di Maurizio coltorti con sedi ad ancona, Jesi, macerata, san benedetto del tronto e pescara

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Le GRANDi SCOMMESSe

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salvatore Ferragamo è alla ricerca del rilancio, Burberry può raccogliere i frutti della sfida italiana e Calvin Klein progetta il post Raf Simons. ecco le sfide del 2019. BY fabio gibellino

Una sfera di cristallo. Ecco cosa serve per leggere quel che il 2019 ha in serbo per il mondo della moda. Ci sono i dazi, c’è la Brexit, le elezioni europee e per ultima, e più importante, la questione cinese. Il tutto partendo da un 2018 che dopo una partenza a razzo si è sgonfiato con il passare dei mesi, tradito perfino da un clima talmente mite che ha accontentato tutti tranne chi doveva vendere le collezioni invernali. Tornando al 2019, con un occhio riservato alla moda maschile e in attesa di scoprire se la virata verso un nuovo momento sartoriale porterà i frutti sperati, molti big brand sono chiamati a essere protagonisti. Salvatore Ferragamo, costantemente al centro di rumors sempre smentiti su una possibile cessione, finalmente inizierà a raccogliere i primi risultati del percorso intrapreso con il nuovo amministratore delegato Micaela Le Divelec Lemmi e con il duo creativo Paul Andrew e Guillaume Meilland. In attesa che anche il progetto digital firmato con otto influencer di fama internazionale possa frenare la continua perdita di valore delle proprie azioni. Sempre in tema di primi raccolti, a Londra gli occhi sono puntati sul presente di Burberry. Il marchio britannico a guida italiana, dopo un terzo trimestre (chiuso a fine dicembre) da circa 813 milioni di euro, è chiamato a un cambio di marcia che dovrebbe arrivare questo mese, dopo che le prime collezioni firmate da Riccardo Tisci sono arrivate nella loro completezza in tutte le boutique. Non solo, perché poi è inevitabile dare uno sguardo in casa Versace dopo l’ingresso nel gruppo americano Capri holdings limited (ex Michael Kors group). Un’acquisizione complessa e importante che ricambierà gli sforzi (1,83 miliardi di euro) in un lasso di tempo più ampio, ma che già da quest’anno potrebbe lasciar trasparire le strategie future. Chi invece ha una fretta rivoluzionaria, sempre restando a New York, è Pvh, gruppo che controlla anche Tommy Hilfiger e che ha appena stanziato 120 milioni di dollari per rilanciare Calvin Klein dopo il fallimento del progetto stilistico legato a Raf Simons. A nuova vitalità è chiamata anche Tod’s, che dopo aver chiuso un 2018 a 940 milioni di euro (-2,4%) dovrebbe poter contare su un nuovo modello di business legato al progetto Factory, «che comincia a prendere corpo e ogni mese è sempre più importante e visibile», ha detto il presidente e ceo Diego Della Valle. La curiosità è però tutta rivolta verso Ermenegildo Zegna group e i progetti che riserverà alla sua nuova conquista da 500 milioni di dollari, Thom Browne. Il tutto in un contesto storico, come detto, difficile da decifrare. Per Carlo Capasa, presidente di Cnmi-Camera nazionale della moda italiana: «L’uomo sta crescendo più della donna e, nonostante le criticità, voglio essere ottimista per il 2019». Speranze che guardano alle stime del Fmi-Fondo

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monetario internazionale, che valuta il commercio di beni e servizi a +4%, e alle previsioni di Goldman Sachs sul biennio e che indicano un +5%. Il problema è che il primo evidenzia un calo dello 0,2% sull’anno scorso, mentre il secondo addirittura mostra un taglio di due punti percentuali dal 7% stimato inizialmente. È per questo, guardando al menswear, che i numeri raccolti dall’ultima edizione di Pitti immagine uomo rappresentano una lettura con finale aperto. Dove l’impossibilità delle certezze si è trasformata in stabilità. E, infatti, sono stabili le presenze dei buyer internazionali, circa 9.100, e sono stabili le aspettative del Centro studi di Confindustria moda, almeno guardando alla raccolta ordini per la primavera/estate, che di fatto è già in vetrina. Ma tutto il 2019 dovrà passare da una Cina che ha appena terminato il suo peggior anno in termini di crescita del prodotto interno lordo, +6,6%, dal 1990, quando non andò oltre il 3,9%. Ma non solo, perché in questi 12 mesi si dovranno fare i conti con il conseguente calo della fiducia dei consumatori e il braccio di ferro con gli Usa. E allora non è un caso se la griffe che più di ogni altra sta soffrendo sia in termini di bilancio che di performance sui mercati finanziari è Salvatore Ferragamo. Questo perché l’etichetta fiorentina dipende per circa un 40% abbondante dai clienti cinesi: sia nelle loro vesti di consumatori domestici che in quelle di turisti dello shopping. Un discorso che oggi vale per quasi tutti gli attori del lusso, basta pensare ai due colossi parigini Kering e Lvmh che viaggiano oltre il 30% di gruppo. E allora ecco che i dati diffusi da Morgan Stanley, che prevede una crescita ridotta del mercato del lusso in Cina, dal +12% dell’anno scorso al 5-6% previsto quest’anno, rischiano di compromettere le strategie future. Ma come detto, mai come quest’anno l’imprevedibilità è sovrana. Basta una stretta di mano tra Donald Trump e Xi Jinping per scrivere una storia tutta nuova e completamente diversa.

In queste pagine, alcuni protagonisti della moda nel 2019. 1. paul andrew, 2. thom browne (foto alastair nicol), 3. Micaela le divelec lemmi, 4. Diego della valle, 5. Riccardo tisci, 6. Carlo Capasa, 7. Marco Gobbetti, 8. Manny chirico, 9. donatella versace (foto RAHI REZVANI), 10. john idol, 11. guillaume meilland, 12. xi jinping

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The Best

celine Polaroids of the british youth. Il debutto della prima passerella uomo di Celine firmato Hedi Slimane è una London calling in place de la Concorde. Un diario fotografico d’Oltre manica con vista sulla Tour Eiffel. A sfilare è un daytime notturno, sotto un’imponente sfera di neon che illumina a intermittenza maculati e completi leather, calze bianche e anfibi di pelle. Le lunghezze mutano su una silhouette che si mantiene asciutta, rilettura del tailoring di mano tutta slimaniana, mentre l’enfasi è su bomber, giacche e overcoat. Un omaggio alla musica brit e al risveglio di sonorità new wave e post-punk, per una collezione che porta in scena un plotone di modelli come giovani musicisti. Tutti rigorosamente tiny e tutti protetti da immancabili occhiali scuri.

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The Best

prada

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foto molly lowe

Silhouette lunghe alla Frankenstein e cinture di pelle che serrano la vita. Il lato sinistro di Prada è sublime ma pur sempre romantico. C’è un cuore nel mostruoso moderno Prometeo e ne esiste un altro nelle spille della maison. Avvolte di rose sono le stampe punkeggianti di Jeanne Detallante, che si muovono sotto il peso tintinnante di zaini stracolmi. A contrasto, la moda è leggera. «La sfilata parla di questi tempi in maniera light. Con un immaginario di film horror trash», ha dichiarato Miuccia Prada, stemperando il clima con accenti ironici e kitsch. E con pelo. Sullo stomaco, sulle spalle e sui cappucci di peluche colorato.

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The Best

dolce&gabbana Eleganza. Come il nome che accompagna il défilé giorno di Dolce&Gabbana, che conquista con l’allestimento di un atelier ideale tra velluti rossi come tendaggi. Ed elegante. Come la maestria dei sarti della fashion house che sul palco esibiscono la dimensione privata di abiti fatti su misura. La scena è solcata da gruppi di nero e bianco, velluto e pelle, spigati, tweed e gessati. E poi smoking e tessuti preziosi, voce di un’opulenza dai tagli rigorosi. Gli anni 50 e 60 rivivono nell’immagine di un gentleman diviso tra Londra, il brit appeal e la nobiltà siciliana delle terre de Il Gattopardo. Per il duo creativo è tempo di strade meno Millennial. «La moda è così perché porta con sé l’idea del cambiamento», hanno detto. «Basta niente e viva tutto».

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The Best

comme des garÇons «Finding beauty in the dark». Rei Kawakubo tinge di nero la sua f-w 2019/20 con un’immersione nella scena gotica dei 70s e 80s, nichilistica e vitale. La bellezza entra nell’oscurità, in un underground ribelle. E si infiamma con l’hardcore della performance dei Vowws. Con collane spinate come harness scultorei. Accanto, pantaloni di pelle intagliati, giacche sartoriali destrutturate e abiti con frange tra il maschile e l’androgino. Il club estremo di Siouxsie Sioux, Sid Vicious e Robert Smith rivive in un punk che è rock, a tratti glam. Tutto sembra gridare «There is no light without dark». La bellezza dell’oscurità.

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The Best

fendi

The Fendiman. L’uomo Fendi che sale sulla passerella della f-w 2019/20 evoca lo stile di Karl Lagerfeld e l’inconfondibile colletto in piega. Il designer, guest artist per la stagione, collabora con il direttore creativo menswear Silvia Venturini Fendi vestendo i modelli con la sua estetica formale. Alleggerisce il b&w, abbraccia i brown della griffe romana. Introduce tacchi cubani e non dimentica anelli per mani che stringono il debutto della Baguette da uomo. Nuova è la Karl Jacket che dà voce ai capospalla incontro di due metà diverse. A incastro anche le F, disegnate come fulmini nel logo futurista.

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The Best

ermenegildo zegna xxx Zegna aspetta i suoi ospiti fuori dai gate degli arrivi. Quelli della Stazione centrale di Milano. È un luogo di incontri ma anche «di partenze, integrazione e accettazione delle diversità», come osserva Alessandro Sartori, mente creativa del brand. La collezione accende i riflettori sull’ibridazione del suit, mentre l'artigianalità diventa un diavolo bonario e si nasconde nei dettagli. Come i disegni, fantasie astratte o vivide immagini di uomini viandanti o gli accessori, cappelli-elmetto dall’appeal combact. O ancora i tessuti, fiore all’occhiello e oggi emblema di riciclo, seguiti dall’hashtag #UseTheExisting. Perché far leva su ciò che già esiste è una mossa consapevole. E non un trend di passaggio.

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The Best

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Kim Jones avanza con l’uomo Dior su un tapis roulant che taglia la sala dove i modelli entrano come statue, con braccia bloccate in guanti active di pelle nera, avatar di un video game techno-eroico. Solo l’abito sartoriale si muove omaggiando il drappeggio moulage. La tecnica si fonde con i tessuti lucidi per un tocco space. Subentra un hardcore punk addolcito. L’ossimoro è nella fine art di Raymond Pettibon, fumettista violento e antiautoritario. Una Monna Lisa è presentata in chiave astratta, mentre nel mondo robotico si innestano animalier. Gli occhi delle fiere guardano avanti, planando sul passato d’archivio.

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foto matthieu dortomb

foto matthieu dortomb

foto matthieu dortomb

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The Best

louis vuitton Un guanto bianco di cristalli e vibrazioni pop per mattonelle che si illuminano al passaggio. È Michael Jackson l’uomo-icona scelto da Virgil Abloh per l’immaginario della sua seconda collezione uomo di Louis Vuitton. Le silhouette rappresentano il cortocircuito estetico, ibridazione haut de gamme di architettura e streetstyle. Il formale si dilata, i piumini sono scultorei e i trench iper-lunghi. Decori in tessuto imbottito si gonfiano per diventare insegne di grado puffy. Tra disegni di danze dal mondo, il flag americano e abiti dai plissé orientali, in passerella sfila un omaggio all’Heal the world cantato da Jackson.

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Chalayan

Haculla

Rick Owens

Paul Smith

Walter Van Beirendonck

Louis Vuitton

Heron Preston

trends

bloody horror

Études

Prada

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Msgm

Y-3

Comme des garรงons

Yohji Yamamoto Undercover

Vetements

Isabel Benenato

foto hello there milano

Frankie Morello

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Ann Demeulemeester

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Undercover

foto Greg Kessler

Marcelo Burlon county of Milan

foto SGP

Emporio Armani

Valentino Louis Vuitton

Acne studios

Off-white

United standard

Les hommes

trends

et

Juun.J

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Spyder

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Dior

Sacai

foto Jason Lloyd Evans

Philipp Plein

Aldomariacamillo

trends

leopard Neil Barrett

Marni

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John Lawrence Sullivan

Versace

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Louis Vuitton

Emporio Armani

Dolce&Gabbana

Y/project

foto Matthieu Dortomb

Marni

Magliano

Oamc

Fendi

Issey Miyake

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Off-white

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Juun.J

Fumito Ganryu

Dries Van Noten

trends

soft tailoring Dunhill

Astrid Andersen

Valentino Edward Crutchley

Versace

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Daks

Sartorial monk

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Givenchy

M1992

A-cold-wall*

Berluti

Feng Chen Wang

Craig Green

trends

Alyx

foto Benoit Auguste

red suit Tom Ford

Casablanca

Bed J.W. Ford

Philipp Plein

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Spyder

Emporio Armani

foto Ragazzi Nei Paraggi

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Alyx

Prada

Dior

Takahiromiyashita thesoloist.

Ræburn

John Richmond

Raf Simons

foto Molly Lowe

trends

Dries Van Noten

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urban guerrilla Miaoran

Hermès

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Dries Van Noten

JW Anderson

Kenzo

foto Cesar Segarra

Sacai

nordic trim Y/project

Celine

Junya Watanabe

Kent & Curwen

foto Jason Lloyd Evans

trends

Msgm

White mountaineering

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OPERA GIUSEPPE VERDI

RIGOLETTO GIACOMO PUCCINI

TOSCA

GIUSEPPE VERDI

LA TRAVIATA GAETANO DONIZETTI

ANNA BOLENA

CHRISTOPH WILLIBALD GLUCK

ORFEO ED EURIDICE FRANZ LEHÁR

STAGIONE 2018-19

SERGEJ PROKOF’EV

Ettore Festa, HaunagDesign - Illustrazioni di Gianluigi Toccafondo

Roma Opera aperta

LA VEDOVA ALLEGRA L’ANGELO DI FUOCO GIOACHINO ROSSINI

LA CENERENTOLA WOLFGANG AMADEUS MOZART

DON GIOVANNI

WOLFGANG AMADEUS MOZART

Un’Opera al passo con i tempi

IDOMENEO, RE DI CRETA

VITTORIO MONTALTI

UN ROMANO A MARTE BALLETTO

PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ

IL LAGO DEI CIGNI GEORGES BIZET

CARMEN

SERATA PHILIP GLASS GUSTAV MAHLER

BLANCHE NEIGE LUDWIG MINKUS

DON CHISCIOTTE ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA

operaroma.it SOCI FONDATORI

SOCI PRIVATI

Senza titolo-1 1

MECENATI

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Msgm

Iceberg

Ami Alexandre Mattiussi

foto Victor Jones

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Henrik Vibskov Celine

trends

denim mania Sunnei

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Miaoran

Jacquemus

Facetasm

Pal Zileri

foto Bruno Staub

Balmain Off-white

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Thom Browne

Jil Sander

Loewe

Han Kjøbenhavn Fumito Ganryu

Charles Jeffrey loverboy

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dress-up Kiko Kostadinov

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Comme des garçons

Craig Green

Palomo Spain

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addresses

A-cold-wall*

a-cold-wall.com

Fendi

Acne Studios

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Feng Chen Wang

Aeronautica Militare Aldomariacamillo Alyx Ami Alexandre Mattiussi Amiri Andrea Pompilio Ann Demeulemeester

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Francis Kurkdjian

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Frankie Morello

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Baracuta

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Barbour Barena Bata Bed j.w. ford Berluti

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Bikkembergs

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Birkenstock

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fengchenwang.com

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Pal Zileri

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Paul & Shark

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Bruno Manetti

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Jil Sander

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Craig Green

craig-green.com

Danilo Paura Dior Dolce&Gabbana Doucal’s Dries Van Noten

Juun.J JW Anderson Kent & Curwen

Corneliani Daks

daks.com pauraclothing.com dior.com dolcegabbana.com doucals.com driesvannoten.be

Kenzo Kiko Kostadinov Kiton L.B.M. 1911 L.G.R Lanvin

Ermenegildo Zegna XXX Esemplare Etro Études Facetasm

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Roy roger’s

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Sacai Saint mariner Salvatore Ferragamo Santoni Sartorial monk Scaglione

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international valentino - pierpaolo piccioli Story by Stefano Roncato Photos by Pablo Arroyo A real Valentino moment. Filled with images that tell the story of the months that were lived intensely. The catwalks that fired up with applauses. Lady Gaga wrapped in baby pink feathers in Venice. Or in that iconic purple nuance from head to toe at the Golden Globes. Sportswear that stops only being a trend to become a way of life. That couture attitude that is part of the Dna of the brand, carried into new areas by the creative mind of the maison, Pierpaolo Piccioli. Who, in the meantime, wins prizes and awards for his work. He completes his bag of successes with the project Moncler genius, where this time he worked with Liya Kebede. Liya Kebede, who walks on the path of the fashion show like one of the black beauties to interpret Valentino’s haute couture. A circle that closes, a magic circle with a spell cast by Naomi Campbell. Together with Piccioli, she composed the final picture of a catwalk that has become a real fashion moment. «I did not send a political message, but an aesthetic message. A message that is stronger, one that leaves a deep mark», explained Pierpaolo Piccioli to MFF, «I don’t want a fantastic, beautiful brand that only links to a glorious past. I want a brand that is relevant in today’s world». A comparison that has also blossomed between the new collaborations with Undercover by Jun Takahashi and Birkenstock in the men’s show for autumn-winter 2019, which are protagonists, in terms of clothing, of this special photo shoot next to their creator ready for an interview without barriers. That menswear that has no shortage of surprises. You affirmed that men’s fashion today is more revolutionary than women’s... In my opinion, yes. What makes the difference is to change the common taste of many people. Not that of a niche. This is the biggest ambition, isn’t it? Men have changed a lot in the last thirty years. It was certainly a reaction to the great changes in women. In fact, a man’s suit, as tradition, is millennial, centennial... There was the formal suit, the groom’s suit, in the nineteenth century, sportswear was a uniform because people went horseback riding. After all, the rules of figure were the same. Now men are free to be as they please, to be in certain social schemes for less time and therefore also to express themselves in another way, even through clothing. How come fashion is able to tell this story? Does it become some sort of instrument? Because clothing and fashion are a way of reflecting the changes in society. Let’s think of the 1930s and of free women, with a more androgynous style. Then the war, with the return to a certain type of security consequently. Women as wives or lovers, with corresponding silhouettes. Or the shoulder jackets in the 80s which were, in my opinion, not very mature but certainly were a strong signal of the women who were changing and were becoming more managerial. Today there is a new softness in men, they can bring romance, they can use different shades, they do not necessarily have to be in one way or another. In the new generations there is much more fluidity. They simply just have fewer rules. It cannot keep being that from Monday to Friday men wear jackets, and Saturday and Sunday has to be sportswear. You understand that taste has changed, because in new jobs you can’t rely on old rules. I don’t believe in the return of formal, I don’t believe that men can go back to certain social rules. Then if a man wants to wear a dress, it’s fine, why not. But I don’t think that the approach one uses to wear a dress today is the same. That’s why change is fundamental: if your attitude changes, everything changes. That’s why you can wear a dress and not be formal. There’s a lot of talk today about being open. Even with the collaborations that were just unveiled in the last men’s fashion show with Undercover on the one hand, and Birkenstock on the other. And then you yourself on your second test with Moncler genius. Is it a sort of give-and-take? I really believe in the fact that fashion can create a system and I believe that this can be a language. What I’m talking about is not having mental barriers, of overcoming what are the walls that sometimes someone builds around them. So if I want to do a couple of Birkenstocks, it’s not just for aesthetic reasons. For me, Birkenstocks are a concept of universality, they are like a pair of jeans. You’re not cool if you wear a pair of Birkenstocks,

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you’re cool for who you are. Birkenstocks represent an object that is without gender, without social status, without age. Depending on who you are, you can customize it and it becomes something else. And this is exactly the opposite of the exclusivity linked to the world of couture. And bringing these two worlds together creates that tension that lies in contemporaneity. A search for the new? I don’t believe in the new, I believe that the new is when you create new balances between things that can be dissonant. In my opinion, Birkenstock brings the concepts of universality and democracy with it. I didn’t want to make the crocodile Birkenstock for 2,000 euros, I couldn’t take them and make them an object of luxury. What I wanted was to take them and put them into a Valentino world, which is historically exclusive, to give it a new softness, to talk about life. And the same thing, but in a different way, is what happened with Undercover. Everything comes from personal situations, they are not marketing strategies. For this reason, it is true when I say that it applies to me on a personal level as it does to a professional level. Jun (Takahashi) and I met for a very small thing in a Tokyo store, then we liked each other and were interested in each other and then we said «Ah, it would be nice to work together and try to put the same prints on two different catwalks two hours away in Paris». Therefore we talk about identity, when you understand that the surfaces are not the ones that change. There were the prints from me and there were the same prints from Undercover, but the products were totally different because it is the identity, the sensitivity with which you interpret the surfaces that changes the object itself. It’s much stronger as a message. How did you find the experiment with Moncler genius? I have so much fun with Moncler. I enjoyed last year when we did it in one way, and I enjoyed this year which was a different type of job. I wanted to do it differently, I worked with Liya (Kebede) on a project that we hoped would be different. You both are next to each other also in the group photo… And we’re also smiling, while everyone else is serious. It’s something that Franca (Sozzani) always used to say: «You can work seriously without taking yourself too seriously». Liya Kebede was at her latest high fashion show with so many black models. How did you feel about that final picture and the whole audience that got up? At that moment I realized that was what had to happen. I wanted this to be beautiful and classic high fashion, with flowers but I also wanted to use my voice in a powerful way to portray what I thought. I’m not a politician nor do I have the authority, because it was said that I wanted to send a political message. An aesthetic message is stronger. In my opinion it’s like when you read a book or see a film. The power of the image has a strength that also covers words. It’s hard to go back from something you’ve already seen. That’s what I wanted, that this would have had an aesthetic power. Recreating that picture of classic high fashions, with big clothes. But instead of black women who were waitresses, with black women who were in the middle of the room. And putting them there meant a lot more than just writing messages on T-shirts or just talking. I think I have an authority as a designer, not as a politician. So I used my voice as a designer. When we rehearsed the signs and everything, I imagined the clothes and the colors of the clothes there in that position, but actually I saw them all together only when I came out. It was like making something I imagined. I think it’s the feeling that a director can have, he writes a screenplay and then sees the image. Of course, because you go from the mind to reality… I work in this way. I know what I want to see, I already see what I want to see. My job is to try and put it all in practice in a way that I can see it and every one else can too. How about Naomi Campbell? She came close to you to whisper in your ear. What did she tell you? When she was on the catwalk she said: «I feel like crying, I feel like crying. I only ever cried once on a catwalk, this is the second time». It was such a powerful moment. She knew exactly what she was doing. Why was it important for Naomi in particular to be there? Without her, a lot of the black women would have never become models in their lives. Her and Iman in some way portrayed a concept of beauty. For a few of these girls, it was a dream to have Naomi

there. For them it meant much more than for other people. Italian newspapers didn’t emphasize this aspect a lot, something that American and English newspapers did. When Franca (Sozzani)’s Black Issue of Vogue Italia came out in 2008, the newspaper sold out in London in just 48 hours… Also in America as well as England… England is a country where a culture already exists, where there are contaminations of many more races. In Italy you hear things, but they don’t really concern you. You just stay there and see all the people like you. We are shocked by articles like the one titled Pil and gay, which came out on the day of the haute couture show, but no one actually writes or says so. We do a job where we have to say what we think, it’s not just our right. I’m not a politician and I do it as a designer, because in that field I have the authority to do it and say it. Not as a politician. But I say it. You rightly say that you use your tools... I think that sometimes an aesthetic message can be more powerful, because it enters and stays there. You can’t erase it, you don’t go back. If it seemed normal to people, it’s better. If people haven’t noticed certain things, it’s better for me because it means that this problem has passed. Is it normal that there were more than 40 black girls on Valentino’s catwalk? Perfect, that’s okay. There must not be the heaviness of instrumentalization, but there must be the strength of the aesthetic message that changes the taste and that changes the perception of the viewer. And that’s much more powerful. How important is inclusiveness today? Everyone talks about it... I think it’s important to talk about something else today. Exclusivity was a value 10 years ago. Now, in my opinion, it is a deterrent. What lifestyle was has been replaced by a concept of community. Lifestyle is when a group of people share surfaces: the same piece of furniture, the same painting, the same lamp, the same dress. Communities are where people share the same ideas. And, in my opinion, this is what happens today, or at least I would like it to be so. I would like for people to be together because they share values, ideas, hopes, passions, anything. And I believe that this concept of community represents today’s life more. What I like is that from this exclusivity, which is fundamental for a brand like Valentino with a strong history behind it, the brand is transported into the present. I want Valentino to be a relevant brand today, not just a brand that has been relevant and that has been important. No, I want it to be a relevant brand for the generation that lives today. What is pushing you through this path? I’m not interested in modernism, I’m not interested in the future, I’m not interested in the past either. I’m interested in the present. To be relevant today, in my opinion, you have to interface with life and this is exactly what life is made of. I don’t want a fantastic and beautiful brand that links to a glorious past, but I want a brand that is relevant in today, one that cannot be exclusive. For me, Valentino’s exclusivity today means identity, it means maintaining a strong Dna. It’s a Roman brand of couture and I want you to feel this aspect very much. But I want to talk to a world that I hope is barrier-free. So not only to those who speak the same language as you, you have to speak up more to many more people. And at the same time with a precise identity, otherwise you become generic. What about digital and social platforms? I think they are a great opportunity, because you can talk to a lot more people. The thing is, you have to say interesting things and therefore profoundly linked to your identity. That’s why I think it’s nice to talk about a brand that is so Roman, so linked to couture as a culture, because couture means uniqueness, it means being tailored. Even in this case, we talk about humanity when we talk about couture. I would like a brand as big as Valentino to still have this sense of humanity and this sense of uniqueness. Even in a T-shirt, even in a pair of sneakers. because it doesn’t mean that a couture brand has to do just that, but it can do ready-to-wear, accessories, a pair of sneakers with the same approach that couture has. And with regard to the haute couture show, for example, I always talk about the people behind it, the team. They’re all real stories of people. What I like is the idea that a deeply Roman brand is represented by a black beauty. It doesn’t mean that if you are a Roman brand, you should be represented by a Roman beauty or with a certain type of body. You can be represented by whoever you want. It is the identity that must be strong. After that the representation can be varied, exactly how the world and the people in it are. Because diversity, in my opinion, is a value. In any category. It is not always unpleasant to be different.

Did you always have this type of sensitivity? Or did you manage to show it more freely throughout the years? You must have a certain type of maturity in order to say things like this. You must elaborate. I worked alongside another person for many years, therefore when you’re together it’s obvious that you would have a common vision. What I have understood is that when you work alone, you work without filters. You are much more deeply attached to what is your sensitivity. It’s not just a job, everything becomes a little more fluid. Your way of seeing things, your values. Everything becomes one, because what you say is linked to what you think, otherwise you risk pulling out a slogan. You can tell if an idea is instrumental or if, instead, it is true. And then there is definitely a maturity in the way things are said. Maturity and wise reflections. Are you sympathetically affirming that you’re getting a bit older? No, no... In fact, I feel fully aware of the role I have, of what I am doing. You know that when you have a certain kind of authority in what you say. In the haute couture show, sitting next to a super emotional Celine Dion, there was Valentino Garavani. At the end he mentioned how you are writing new chapters in the book that is entitled Valentino… I think what he said was great, I like it a lot. …Where in the book are you right now? At the start? At the end? I think I am fully aware of what I am doing and I think it is important for me, as I do my job with a sensitivity that also becomes an approach to work, to have a place where I reflect myself in the values of the brand. In this sense, I feel very much in my comfort zone. I don’t think «this is Valentino, this is not Valentino». After all, we are a second generation of designers and creative directors. I don’t think that Valentino, in the 70’s or 80’s, had these kinds of thoughts. He was himself. I feel like I’m in a phase where I’m totally inside this process. Valentino is now part of me and my memory. What if this book told your personal story… What title would it have? I don’t know about the title, but it would surely be linked to dreams and charm. I say this all the time, I think it’s important to never forget where you come from and who you are. I’m from Nettuno and I never forget how far fashion was in my life when I was just a kid, and how much I dreamt of it. Or in film, in cinema. I never thought it was impossible, I just thought it was so far. And today, I don’t forget who I am. This is what makes me dream every single day. You closed an incredible year, with awards, fashion shows and moments... Are you happy? Yes, I’m happy. And I like this aspect of fashion that opens up. At my fashion show there were Raf Simons and Claire Waight Keller. Giambattista Valli was there. I went to Undercover and Raf (Simons) on the same day after my show. We are people who have passions in common, we live in different places in the world, but we have something that unites us. It seems to be an attitude which is not very Italian. Because in Milan we see less of these visits, in France however, there are many more... I think you need to be very confident in order to confront yourself. You can only compare when you have security. The same goes for the team. I have a team of people that I like very much, that I have chosen over the years and that are people who certainly give me a lot. But they are all strong people. If you’re sure, you choose people who are strong, if you’re not sure, you simply don’t. Are you sure about yourself? Yes. Yes. Full stop? Yes. Full stop. Most of all, I’m aware. When you mature, you definitely accept what you like and also what you don’t like about yourself. It’s not important anymore. You try to change until a certain point in your life, then you start to slowly make peace with it. You accept everything and that too becomes your strength. berluti - kris van assche Story by Cristina Manfredi Photos by Alessio Bolzoni Essential, poetic, contemporary. What we can say about Kris Van Assche is that he works by subtraction, he can excite with creative gestures which are sometimes almost imperceptible, but full of meaning. And he always does so while maintaining a direct link with all that is here and

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now. Born in Flanders in 1976, he well represents the natural evolution of «Belgian style», or better, the mix of reserve, rigor and breaking the schemes. This all started in the eighties with the six minds of Antwerp (Dries Van Noten, Ann Demeulemeester, Walter Van Beirendonck, Dirk Bikkemberg, Marina Yee and Dirk Van Saene), and became legend with Martin Margiela and then with Raf Simons. However, it was in France that Kris Van Assche fully developed his personal vision on menswear, firstly as Hedi Slimane’s helping hand at Yves Saint Laurent and then at Dior homme, where in 2007, he became artistic director taking Slimane’s place. It wasn’t easy to fill this role, something that Van Assche has done following a straight road of precise lines and tailoring reread with a futuristic approach and faithful to the tradition. He is one of those who managed to mix the streetcar with the universe of luxury, while he has always avoided the temptations of a reassuring and boring conformity. Last year he left Dior to cross the threshold of menswear, Berluti. The maison was born in Paris at the end of the nineteenth century with the Italian Alessandro Berluti, creator of men’s shoes. The brand joined the Lvmh group in 1993 and in 2011 launched the prêt-à-porter collections which were then designed by Alessandro Sartori, followed by Haider Ackermann, who in turn gave way to Van Assche. And now it’s his turn to further evolve the brand, after the excellent debut with the 2019/20 autumn-winter show in Paris. What did the move to the Berluti universe mean for you? I had spent 11 years at Dior homme and I felt as if it was time to move onto a new challenge. I felt the need to put myself back into discussion, to start risking again. I arrived at Berluti with a very humble approach, dictated by the knowledge of the great value of a fashion house which is the meaning of luxury. I knew I had a lot to learn and that I needed to do it quickly. Berluti has a very specific knowhow, it is a completely different company compared to the ones that I had experienced previously, with a research towards luxury that was brought to a level that I still didn’t know. This all happened in a moment where sportswear would link to high fashion, but I wanted to do something different: I wanted to find a more sophisticated quality, without however losing the main objective, to launch a fashion message. Is it difficult to design clothing in a world that has only seen ready to wear collection for less than ten years? Actually, I’m in a state of great freedom. I can reinvent my footwear heritage and imagine what the silhouettes of clothes should be like, starting with shoes. Berluti models have always been famous for their combination of quality and character, which is why they have attracted so many artists and VIPs over time (from the Duke of Windsor to Jean Cocteau or Andy Warhol, ed.). The lines I create express that same dualism. Are you happy with how your debut went? Yes, definitely. I think that Berluti’s collection is the most luxurious I’ve ever made and it’s also the most creative. This is because there are so many fabrics, a great deal of research on leather and on the product in general. I love the work done on many of the leather coats and the fit that is always comfortable. I’ve learned a lot in the last few months. You have worked for a few of the most important brands in the world: what did these experiences give you? Is there a memory in particular that has shaped you as a person or a designer? There are quite a few that have left a mark. Let’s start with my first day at the Royal Academy of Fine Arts in Antwerp after having lived in a small city like Londerzeel. Then there’s the emotion I felt when I landed my first job at Yves Saint Laurent, or the launch of my first eponymous collection. A lot of things happened to me in Paris, a place that gave me such strong feelings, in this case professionally, with a continuous stimulus to combine luxury to creativity. Yours is an environment where there’s a lot of pressure and designers like you are required to make continuous efforts between precollections, main lines and special projects. How do you deal with these rhythms? Do you have a way of working that you feel is ideal? I’ve always considered my role as something very similar to that of an athlete preparing for the Olympics. If you want to be selected and play it out with your peers to win, you have only one thing to do: work hard every day. It doesn’t make sense to complain about an overload of work. But what is the most complex thing to manage?

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The speed with which I have to come up with new ideas. And not only must they be fresh, but they must also meet the quality standards of a brand like Berluti. What do you think about the idea of developing a haute couture segment dedicated to menswear? I’m not convinced of the idea of speaking to the male public in terms of high fashion, but I firmly believe in the need that a certain clientele has to bring together the concepts of luxury and individuality in a single product, like the foundations of a brand like ours. Let’s take the Patina models as an example. They were invented by Olga Berluti in the 1980s. It’s a secret process that allows everyone to intervene on their shoe to obtain unique colours. The person that wears them then decides how to customize them as much as possible. I spent some time with her and she explained how Berluti shoes are designed to embody the deluxe vagabond concept. There’s a rebellious side to luxury in the shoes. She added that people tend to think that high-end luxury, like Berluti’s, means timeless products. Being timeless in fact could also mean being faded, not having a mission and a real fashion statement. But she never agreed with this. On the contrary she claims that people come to Berluti to buy shoes that are really different from any other type. This means that, even in Berluti clothes, there can be strong characteristics. In my first collection the shoulders of the clothes are strong and structured. With the leather suit that opened the show in January, I wanted to create a bridge between the Patina universe and the clothing. What do you think is very much «you» in this first collection? A lot of things are. Starting from the idea of the broken suit, to mix biker shorts to jackets for example. The top part doesn’t necessarily need to fit with what is under. My idea of «vagabond luxury» means to gain freedom and play around with codes, mixing and using the best of everything, from cashmere, to leather, to accessories. What does it mean to be a designer today? I think my official qualification as an artistic director gives a more precise idea of what I’m doing. It’s no longer just a question of designing clothes, you have to take care of all the aspects that contribute to defining a collection. Whoever plays a role like mine must be able to give a precise artistic direction. It is a line of thought that must be developed at 360 degrees. More and more brands are choosing the path of co-ed fashion shows and many claim that menswear will become less relevant in the face of a genderless approach to design. What do you see as the future of your industry? The only thing I want to say is that I think that men’s fashion week in Paris has never been so exciting. What do you think about social media platforms? Do you use them a lot? Of course. They have become an essential element of communication. A part of life. I ask myself a lot of questions and I think it’s interesting that people have an idea of what I do professionally. And how do you see the scenario of collections increasingly linked to data responses? Will there still be room for poetry in fashion? The title of my first fashion show with Berluti was «Je t’aime», I’d say that on its own it gives a good sense of how I feel. As far as I’m concerned, the day I realize that poetry is no longer at home in my work, that will be the day that I stop. valentino - pierpaolo piccioli 撰文: Stefano Roncato 摄影 : Pablo Arroyo 一个真正的华伦天努时代。一幅幅生动的画面讲 述着几个月来紧张忙碌的生活。被掌声淹没的 秀场。Lady Gaga 身裹粉色羽毛装出现在威 尼斯,亦或金球奖颁奖仪式上和发色同色的浅紫 色的拖地蓬蓬裙。休闲服不再是为了成为一种 生活方式的趋势。作为品牌DNA组成部分的设 计态度被运用到公司开发思路的新领域中。同 时,Pierpaolo先生的工作不仅被认可还获得 了多项奖。完成了和Moncler genius的两次 项目合作,而且这次还请到了Liya Kebede( 莉雅·琦比德)。走在T台上的Liya Kebede 小姐成为那些诠释华伦天奴高级时装的黑美人之 一。又一个活动圆满完成,这是一个由Naomi Campbell(娜奥米·坎贝尔)展示魅力的魔力 圈,她和Piccioli先生一起勾画的一场时装秀的 结尾场景,使之成为一个真正的时尚时刻。“我没 有抛出什么政治信息,只是一个审美的信息。不 过它更强烈,留下一个深刻的印迹。”Pierpaolo Piccioli先生对MFF杂志解释说,“我不要一个只 是躺在过去的辉煌上的精美品牌,我想要一个屹

立在“今天”的品牌。”在2019年秋冬男装秀上与Jun Takahashi (高桥盾)的Undercover和Birkenstock的新的合作就是一个对照的开始。这 次特别拍摄的服装主角旁边是它的创作者准备好 一场自由采访。那个始终有惊喜的男装。 您断言当前男式时装比女装更具变革.... 我认为是的,因为将不同的是改变许多人相同的 品味。不再是一个模式。这是不是一个更大的抱 负?男人在最后三十年里经历了很多变化。当然 这和女性的巨大变化是相关的。实际上男式服 装,作为传统有上千年,上百年... 有正式的礼服, 有新郎的礼服,在十九世纪休闲服是制服,因为 是骑马穿的。毕竟,形式的规则是相同的。现在 男人可以随心所欲地打扮自己,更简单。较少拘 泥于某些社会模式并且也可以通过服饰以另一种 方式来表达自己。 为什么时尚能讲述这些?变成一种工具了吗? 因为服装和时尚是反映社会变化的一种方式。我 们想想30年代和自由女性的中性风格。接着是战争 于是又回到了比较安全的式样。女人是妻子还是 情人,可以从打扮分辨。亦或80年代女士上装有着 宽厚的垫肩,第一个,我认为不太成熟但确实表 达了一个强烈的信号就是女性在改变并且成为更 加自主。今天对男人来说有一种新的 柔和性,就 是说男人可以有浪漫主义,可以用不同的色调, 不必成为这种或那种样子。在新的一代中有更大 的流畅性,甚至很少规则,简单。已经不可能从 周一到周五穿西装,周末穿休闲装。你知道品味 在改变,因为在新的工作中不能遵循老的规则。 我不认为会回归到正装,不相信男人会回到过去 的一些社会规则。如果有人想穿正装,很好啊, 没什么不可以的。但我不认为你今天穿衣的方式 还是同样的。因此改变是根本的:态度变了,什 么都变了。于是你可以穿礼服却不显得很正式。 现在经常说要开放思想。而且在最近一次男装 秀上刚刚透露的那些合作:一边是Undercover ,另一边是Birkenstock . 之后您自己和 Moncler genius的第二次尝试。是一种给予 和收获? 我相信事实上时尚可以形成一个体系,并且相信 它会成为一种语言。我说的是在思想上没有屏 障,是超越那些有时人为设立的围墙。因此如果 我想做一双Birkenstock,不只是为了美观。 对我来说Birkenstock是一个广泛性的概念, 它们可以配一条牛仔裤。并不因为你穿了一双 Birkenstock 你就很酷,你酷因为你是你自 己。Birkenstock 是一个不分性别,不分社会 地位,不分年龄的物件。根据你的爱好,你可以 个性化把它变成另外一个东西。这恰恰是和与高 级时装界提倡的唯一性相反。把这两个世界放在 一起造成处在同时代的紧张。 在寻找新的东西? 我不相信新的东西,我相信新的是当你在可能 不和谐的事物中创造出新的平衡。 我认为, Birkenstock 自身带有通用性和民主性的概 念。我没想把Birkenstock做成2千欧的鳄鱼, 不能把它做成一件肆无忌惮的奢侈品。我想把 Birkenstock拿来放在Valentino的世界里, 史无前例,为了给它们一种新的柔和性,为了谈 论生活。而和Undercover是同样的情况但方式 不同。一切源于个人原因而不是市场策略。因此 当我说适合我的个人水平相当于专业水平的话是 真的。我和Jun(高桥)我们在东京的一个店里为 了一件很小的事情相见了,然后相互间很欣赏, 并对彼此都很感兴趣,于是我们说:“啊, 一起工 作会很不错, 于是尝试在巴黎前后相差两个小时 的两个不同的秀场上摆放相同的样板。”自身的标 识就是这么来讲的,因为你明白改变的不是这些 表面的东西。有来自我的样板,和同样来自Undercover的样板,但产品完全不同,因为我们 的标识不同,你用来诠释表面的感觉使得即使相 同的物品也会不同。这作为一个信息非常震撼。 和Moncler Genius的尝试怎么样? 和Moncler 我很愉快。去年的做法我很开心, 今年工作不同了我仍然很享受。想用不同的方 式去做,我曾经为一个项目和Liya Kebede( 莉雅·琦比德)一起工作过,我们都希望有些不 同。 而且在集体照里,你们靠得很近.... 我们在笑,而其他人都很严 肃。Franca(Sozzani女士 ,编者按)常说 的:“要认真工作,但不要太较真。” 在您最近一场的高级时装秀里有Liya Kebede( 莉雅·琦比德)和许多黑人模特。您对最后的场 面以及观众全体起立有什么感受? 当时我觉得结果就应该是这样的。我想做漂亮, 经典的高级时装,充满鲜花,但也想以强有力的 方式用我的声音来表达我的想法。我不是政治家 也没有什么权威,为什么被写成我要表达一个政 治信息。一个关于美的信息来得更强烈。我认为 就像看书和看电影。图像的魅力超过语汇。很 难从你看到过的东西再回到之前。我想要的是它 能有一种审美的力量。重新排那张经典高级时装 照,穿着高级的服装,黑人妇女们在房间的中央 而不是做女佣的黑人。然后放在那里,这比在T恤 上写口号或嘴上说说能表达更多。我想拥有作为 设计师的权威性,而不是作为政治家。因此我用 了我的设计师的声音。当我们用样板和其余的东 西演练时,我想象所有服装的样子和在那个位子 上的服装的颜色,然而实际上只是在它们出场时

我才看到全部在一起的效果。就像我想象的东西 变成了现实。我想导演也许有这种体会,先写一 个场景然后看到画面。 的确, 从想法到成为现实..... 我的工作是这样的。我知道自己想看到什么东 西,就看到想要的。我的工作是怎么把他们付诸 实施,以便我和其他所有人都能看到。 (娜奥米·坎贝尔)呢?她还凑近了跟你耳语, 都说了些什么呢? 当时在秀场她对我说:“我要哭了,我要哭了。我 只哭过一次,这是我第二次在T台上哭。”那是一 个非常震撼的时刻,对我而言是一种感动。她知 道自己在做什么。 为什么Naomi(娜奥米)的参与那么重要? 如果没有她许多黑人女孩就不可能成为模特。 她和Iman(伊曼)以某种方式让人们获得了 一个对美的新的认识。对那些女孩中的一些而 言,Naomi的存在是一个梦想,其意义对她们来 说比其他人更大。意大利的报纸杂志对这一点没 有给予重视,而美国和英国的报纸杂志相反却非 常强调这一点,大量出现在他们的杂志上。当2008 年由Franca( Sozzani 女士,编者按)主编的 《Vogue》意大利版推出全黑专题时,该杂志在 伦敦仅48小时就告售罄... 还在英国和美国... 英国是一个混合了不同种族,拥有属于自己的文 化的国家。在意大利,你会听到一些事情,但是 事实上与你无关。你站着看到的人都和你一样。 我们意大利人为与高级时装秀同一天出版的关于 国内生产总值和同行恋标题的文章而震惊,但是 其实之后却没有人再写或者谈论。我们的工作性 质要求我们实话实说,这不仅仅是我们的权力。 我不是政治家而是以设计师的身份发言,因为在 那个领域中,我拥有说和做的权威。不以政治家 的身份,但是会说。 诚然您肯定会用您的方法... 我相信有时候“美”所传达的信号会更为强烈,因为 会深入人心并且坚定不移。你无法推翻它,不会 回到从前。如果人们认为正常,那更好。如果人 们没有注意到一些方面,对我来说更好,因为这 意味着问题已过去。在华伦天奴的时装秀上有40多 位黑人女孩是否正常?非常完美,这样正好。不 需要过度重视方式,但是必须存在能够改变关注 者品味和感受的“美之力量”,后者更为强烈。 如今包容性有多重要?所有人都在谈论这个… 我认为如今至关重要的是谈论其他。包容性是10 年前的价值观,我认为它如今是一种威慑。曾经 的生活风格已被社群概念取代。生活风格是指当 一群人交流表面事物的时候:同一个家具,同 一幅画,同一盏灯,同一件衣服。而社群则是指 拥有相同想法的人们。我认为现今的情况就是这 样,至少我希望是这样。人们因相同的价值观、 想法、希望、热情等任何共同点而在一起。我相 信这个社群概念更能代表如今的生活。我喜欢通 过包容性这个对背后拥有强大故事的华伦天奴来 说至关重要的特性,将品牌带到现代社会。我希 望华伦天奴成为今日知名品牌,而非曾经的知名 和重要品牌。不,我希望它是如今一代人的重要 品牌。 在这条道路上是什么推动您前行? 我对现代主义不感兴趣,对未来甚至过去也不感 兴趣。我关心的是现在。我认为如今想要跻身一 流行列,必须与生活接轨,而生活由此组成。我 不想要一个精彩、美妙、拥有辉煌过去的品牌, 而是想要一个与生活接轨,非独家专属的今日知 名品牌。如今,华伦天奴的独家专属对我来说意 味着个性和保持强烈的个性。它是一个罗马高级 时装品牌,而我想要人们清晰感受到这一点。但 是我想要将品牌向一个无任何壁垒的世界展现, 不仅仅与你说着同一种语言的人,而是必须向更 多人讲得更多。同时保持明确的个性,不然将泯 与众人。 您如何看待数字网络?社交媒体呢? 它们是绝佳的机会,因为能让你与更多人交谈。 重点在于你要说一些有趣,即与你的个性密切相 关的事情。因此,我认为谈论一个如此罗马式, 其文化背景如此与高级时装息息相关的品牌很 有意思,因为高级时装意味着独一无二和量身定 制。在这一方面,谈论高级时装就是讨论人性。 我想让华伦天奴这个重要的品牌保有此种人性和 独特性,包括在一件T恤衫或者一双球鞋中。因为 作为高级时装品牌并不代表只设计制作时装,也 可以用高级时装的风格来设计成衣、配饰和运动 鞋。例如,关于高级时装秀,我总是会谈及后台 人员和工作团队,讲述他们的真实故事。我喜欢 让黑人美模来展现这个拥有深刻罗马血缘的品牌 的想法。一个罗马品牌不一定非要由罗马美女或 拥有特定身材的模特来展现。可以由你想要的任 何人来展现。品牌必须个性强大,但是可以以千 变万化的形式展现,就像千姿百态的世界和人。 因为我认为多样性是一种价值,任何类别皆是如 此。与众不同并不总是一件令人愉快的事情。 您一直如此感性吗?还是随着时间的流逝才能够 更加容易地将它表达出来? 一些事情必须成长后才可以说。必须经过深思熟 虑。我和另一个人一起工作了很多年,因此当我 们在一起时很显然会拥有一个共同的理念。我明 白了一点,就是独自设计时更能发挥自我,且更 能深入连接自己的感性。从而使工作变得更加顺 畅,变得不仅仅只是一份工作,而是你看待事物

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的方式和价值观。一切都合而为一,因为你说的 话与你的所思所想相联,否则会有变成口号的风 险。人们可以感受得到一个想法是真实的还是只 是一种手段。另外,当然,成熟的说话方式也很 重要。 成熟的态度和明智的思想。现在您不会幽默地说 您正在变老吧? 不,不会…与之相反!我充分了解自己的角色以 及我正在做的事情。人能够意识到自己所说的话 是否具有权威性。 在高级时装秀上,瓦伦蒂诺·加拉瓦尼就坐在极 度感动的席琳·狄翁旁边。走秀结束的时候,他 讲到了您正在写那本以瓦伦蒂诺为名的书的新章 节… 我很喜欢他所说的,非常美好。 那本书到了哪个阶段了?刚开始?快结束了? 我觉得自己很有自知之明,这是事实。我充分了 解自己正在做的事情并认为对我来说拥有一个 能够在品牌的价值观中反映出自我的地方非常重 要,在工作时身怀感性,这将变成一种工作方 式。从这个方面来看,我觉得自己适得其所。我 不会想“这个有华伦天奴的风格,这个没有华伦天 奴的风格”。毕竟我们是第二代设计师和创意总 监。我不认为70 或 80年代的瓦伦蒂诺会苦恼“这个 有华伦天奴的风格,这个没有”,他只会做自己。 我觉得自己处于完全融入这个过程的阶段。华伦 天奴已是我和我记忆的一部分。 如果这本书将讲述您自己的人生故事,它的书名 会是什么? 我不知道,但肯定与梦想和魅力有关。我一直对 人说,我认为永远记得你来自哪里和你是谁非常 重要。我来自聂图诺(Nettuno),我永远不会 忘记小时候觉得时尚离我很遥远,但是我却那么 迫切地梦想着靠近。还有电影和电影业。我认为 这并非不可能,只是很遥远。如今的我不会忘记 自己是谁。这让我每天都身怀梦想。 您结束了令人难以置信的一年,包括奖项、时装 秀和时尚时刻...您开心吗? 是的,我很高兴。而且我喜欢时尚正在开放 的这一面。Raf Simons和Claire Waight Keller,还有Giambattista Valli来看过 我的时装秀。我在自己的时装秀结束后,也去看 了Undercover和Raf (Simons,编者按) 的时装秀。我们拥有相同的热情,虽然生活在世 界不同的地方,但是拥有一些将我们紧密相连的 东西。 这似乎不是意大利式态度。因为在米兰这样的互 访不多,法国则多得多… 我认为能与人比较的设计师都应该对自己非常自 信。只有你自信才会与人比较。团队也是如此。 我的团队是一群我非常喜欢的人,由我这些年精 挑细选而来,而他们也回报了我很多。他们都是 坚强的人。如果你自信,就选择坚强的人,否则 就不要。 您自信吗? 是的。 是。仅此而已吗? 是,仅此而已。主要是我有自知之明。当你成长 后,你会肯定地接受自己,无论是喜欢或不喜欢 的一面。因为已不再重要。直到某个时刻你试图 改变自己,然后在某个时刻接纳它。接受并将其 变成自己的力量。 berluti - kris van assche 撰文: Cristina Manfredi 摄影 : Alessio Bolzoni 必要、诗意、现代。Kris Van Assche的工作 可说是删减式的,他知道如何用有时几乎让人察 觉不到,但是充满意义的创意举动来激动人心。 而且一直都与现实保持直接联系。他于1976年在 法兰德斯出生,很好地代表了“比利时风格”的自 然进化,即私密、严谨和打破常规的混合风格, 该风格在80年代由安特卫普六君子(Dries Van Noten、Ann Demeulemeester、Walter Van Beirendonck、Dirk Bikkemberg、Marina Yee和Dirk Van Saene)发起,再被Martin Margiela和之 后的Raf Simons变成传奇。但是,Kris Van Assche是在法国完全形成了他对男装的个人眼 光,开始时作为Hedi Slimane的左右手在圣罗 兰(Yves Saint Laurent)工作,之后转到迪 奥男装部,自2007年起接替Slimane成为该部门 的艺术总监。接手指挥棒并不容易,但是Kris在 一条由线条精确和趋向于未来主义的剪裁形状铺 成的道路上勇往直前,同时在制作的过程中忠实 于传统。许多设计师察觉到将街头风元素与奢侈 服饰混合的巨大潜力,而他是其中之一,他一直 避免受到一种安全、无聊、中规中矩的风格的诱 惑。他于去年离开迪奥,来到Berluti的男装殿 堂。Berluti由意大利Alessandro Berluti 于80年代末在巴黎创立,是后者一手创建了这个 以技术性和魅力而别具一格的男士鞋履品牌。该 品牌于1993年被路威酩轩集团收归旗下,并在2011 年推出了当时的艺术总监Alessandro Sartori 设计的成衣系列,之后该职位由Haider Ackermann接手,后者又让位给Van Assche。如今 进一步发展品牌的责任由Kris承担,他在巴黎的

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2019/20年秋冬系列首秀的成功就是最好的见证。 对您来说转到Berluti意味着什么? 我在迪奥男装度过了11年,觉得是时候面对新挑 战了。我需要重新尝试,冒一些风险。鉴于意识 到Berluti的伟大价值,我抱着非常谦逊的态 度来到这里,它是最高层次的奢华。我知道自己 有很多东西需要尽快学习。Berluti有其特定的 技术诀窍,与我之前经历过的品牌完全不同,它 对奢华的追求是我之前并不了解的级别。然后, 在这个将运动风与高级服装相结合的概念极度火 爆的时刻,我喜欢向反方向前进的想法:我寻求 一个更加精致的质量,同时保持传递时尚信息的 目标。 在一个成衣概念开启不到10年的行业里设计服装 难吗? 事实上,我处在一个拥有极大自由的条件下。我 可以重新诠释品牌鞋履的传承,从鞋开始,想象 如何设计服装的轮廓。Berluti款式一直以质 量和个性的搭配而闻名遐迩,这也是它长久以来 吸引了众多艺术家和名人的原因(从温莎公爵到 Jean Cocteau和Andy Warhol,编者按)。 我设计的线条展现了那种相同的二合奏。 您对您的首秀感到满意吗? 是的,当然。我认为Berluti系列是我迄今为止 设计的最奢华、最具创意的系列,因为使用了无 数的布料,查找了大量皮革和产品的资料。我热 爱我们在众多的皮革外套和舒适穿着上所作的工 作。我在最近这几个月中学到了很多。 您为一些世界最重要的品牌工作过:那些经历给 您留下了什么?您对您作为设计师和个人的形成 有什么特别的回忆片段吗? 有一些回忆一直伴随着我,自我从Londerzeel 小镇来到安特卫普皇家艺术学院的第一天开始。 然后是Yves Saint Laurent的第一份工作, 以及推出我自己的第一个同名系列时(该品牌在 2015结业,编者按)所带来的激动。在巴黎发生 了很多事情,从工作的角度来看,这个城市为我 带来了强烈的情感,持续不断地激发我将创意与 奢华相结合。 您所处的环境具有很重的压力,需要不断努力来 设计早期系列、主要系列、特别系列。您如何面 对这些节奏?您有一个遵循的工作理想模式吗? 我一直都认为我的职位与准备参加奥林匹克运动 会的运动员类似。如果想被选拔参与竞赛,并且 赢得与旗鼓相当的对手的比赛,你唯一需要做的 就是每天都做到全力以赴。抱怨超负荷的工作量 没有任何意义。 您需要处理的最复杂的事情是什么? 我必须能够快速提出新的想法。这些想法不仅必 须新颖,还必须符合Berluti品牌的质量标准。 您觉得发展一个男士高级时装部的想法怎么样? 我不确定向男群众推出高级时装的想法,但是我 坚信特定的客户群有将奢华和个性化的概念集 中在同一个产品里的需要,实际上这也是我们品 牌的基石。以Olga Berluti 在80年代发明的 Patina模式为例,即一道秘密工序,能够让每 个人参与本人鞋履的制作,赋予其独一无二的色 彩。由鞋子的穿戴者决定如何实现最大限度的个 性化。我和她一起度过一段时间,她向我解释了 如何设计Berluti鞋来体现“流浪汉式奢华”的概 念。它们拥有奢侈品里叛逆的一面。她还说过人 们倾向于认为如Berluti这样高端的奢侈品就是“ 永不过时的产品”的代名词。事实上,作为“永不过 时”还可以意味着褪色,无使命和无一个真正的时 尚个性。不过,她一直都不认同这一点,与之相 反,她认为人们来到Berluti只为购买真正与众 不同的鞋履。这也意味着Berluti的服装存在着 强烈的个性。在我的第一个系列中,服装的肩线 条明确,富有结构。还有更多厚重宽大的大衣。 我用皮衣套装来开启一月份的走秀,旨在Patina 世界和服装之间建起一座桥梁。 在这个首秀中有多少您内心深处的东西? 很多,从broken suit(拆分西装)的想法开 始,例如用摩托车长裤搭配西装外套。上衣和下 装不一定非要组成一套。我提出的“流浪汉式奢华” 的想法意味着博得更多自由发挥的余地,同时巧 妙地利用时尚风格,将它们混合纠结,并使用最 佳的面料,从羊绒到皮革,到配饰。 如今作为一位设计师意味着什么? 我觉得艺术总监这个正式职位更能够准确地体现 我的工作性质。设计师已不再只设计服装,而是 需要关注与制定一个时装系列有关的所有方方面 面。担任我所在的这个职位就必须指明一个明确 的艺术方向,一个需要全方位发展的思路。 越来越多的品牌举行男女装同台走秀,许多设计 师认为在无性装设计面前,男装的重要性将日益 减少。您对时尚界的未来有什么看法? 我只想说我认为巴黎男装时装周是前所未有地让 人兴奋。 您如何看待社交媒体?您经常使用它们吗? 当然。它们已成为沟通的必要元素和生活的一部 分。我会问自己很多问题,我认为让人们对我的 工作有所了解很有意思。 您如何看待时尚系列越来越受到网络数据影响的 情况?未来的时尚界还有诗歌的位置吗? 我在Berluti的第一场时装秀的标题是“Je t’aime”,只这个标题就已经能够很好地体现出我的想 法。对我来说,当我发现诗歌不再是我工作要素 的那一天时,那将是我放弃工作的时候。

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