MFL 28 - Asian Cult

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MFL

Magazine For Living

w w w. m f f a s h i o n . i t

Supplemento al numero odierno di MF/Mercati Finanziari. Spedizione in abbonamento postale L. 46/2004 art. 1 C. 1 DCB Milano

n. 28. dicembre 2012. Solo in abbinamento con mF/mercati Finanziari - iT euro 4,50 (3,00 + 1,50) bimeSTrale

house/vivere a taipei e shanghai, fra tradizione e avanguardia d’arte

design/le architetture di ai weiwei e i new names dell’ex celeste impero

fashion/fate barocche nella pechino imperiale e street boy irriverenti

asiancult

cina, corea, giappone. un collage estetico made in far east, per dipingere un oriente sempre piĂš estremo


photo: www.studioventuno.eu


Mono’Noke’/Patrick Norguet, Wash/Giulio Cappellini, Compono System/Cappellini e Talarico



Openview

asian cult

Cina in primis. Ma anche Giappone, Corea e Taiwan. Una febbre asiatica sembra aver contagiato il mondo occidentale, ammaliato da un’estetica con gli occhi a mandorla. Il nuovo numero di MFL - Magazine For Living, progetto dedicato al lifestyle di lusso, racconta il contemporaneo attuale analizzando quel Far East che non sembra più così lontano. Pronto a trasformare le discipline più disparate, dall’architettura all’interior design, dal fashion alla musica passando per l’home decoration, l’arte e la cucina. In un rigurgito del periodo chinoise che, a partire dal XVII secolo, influenzò l’Europa affascinata da una vena di esotismo estremo. Oggi è un melting pot di cultura, con venature pop. Tra deejay entrati nel mito grazie al web e artisti che raccontano la nostalgia dell’Ex Celeste Impero, case che mimano gli ambienti della dinastia Ming e moda che gioca tra cultura street e simboli arcaici. Per dipingere un Estremo Oriente che appare sempre meno estremo. E sempre più vicino. Stefano Roncato


Sommario 10 12 e 13 14 a 19 23 24 26 28 30 32 e 33 35 e 36 38 e 39 40

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01 - FLAMInIA. Doppio zero, lavabo ad appoggio dalla forma floreale ispirata ai 70s 02 - FABBIAn. Giunco, piantana led in fibra di vetro e metallo. Design Marc Sadler 03 - SAnGIORGIO. Armadio scorrevole ad alta capacità e completamente personalizzabile

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04. ST. REGIS LhASA. La piscina dorata all’interno della spa dell’hotel St. Regis Lhasa (Photo courtesy of The St. Regis Lhasa)

66 a 73 75 a 78 80 a 85 86 a 95 96 a 99 100 a 109

110 a 113 114 a 117 118 a 120

Artwork: Michele De Andreis Post production: Lucy-cgi

Evergreen/Matrimonio concettuale di Camilla Gusti Follie/Assemblages di Cristina Morozzi Atmosfere/Chinese art vs European fashion di Francesca Manuzzi Art/Shan shui metallico di Matteo Zampollo Art/L’eroina della Rivoluzione di Giuliana Di Paola Fashion/New couture made in China di Barbara Rodeschini Accessories/Nell’anno del Dragone di Elisa Rossi Furniture/Riutilizzo tra yin & yang di Francesca Manuzzi Hot names/Package design di Cristina Morozzi Overview/Nostalgia del Celeste impero di Sasha Carnevali People/Un’artigianalità spirituale di Silvia Manzoni Shopping/London calls Shanjing di Rosario Morabito Real estate/Gehry hills di Francesca Manuzzi Urban/Asian graffiti in versione XXL di Francesca Manuzzi Projects/Bangkok cartoon university di Francesca Manuzzi Music/Nuovo K-pop planetario di Elisa Rossi Museum/Welcome to comics city di Francesca Manuzzi Fitness/Aerobica meets Tai chi di Fabio Gibellino Jewel/Designed for superstars di Matteo Zampollo People/Il mio scrigno del tesoro di Chiara Bottoni Taipei antique history di Matteo Zampollo, foto KM Lee Barocco orientale foto Chen Man/Madame Figaro/Volpe images At home with Ai Weiwei di Matteo Zampollo, foto Iwan Baan Asian fever servizio e foto Stefano Roncato ChinaExpress di Cristina Morozzi, artwork Giorgio Tentolini Dinastia imperiale di Matteo Zampollo, foto Derryck Menere Asian cult di Cristina Morozzi Arty in Shanghai di Matteo Zampollo Product/2046, L’amore è una cosa meravigliosa, A simple life, Addio mia concubina di Cristiano Vitali Story teller/Cinquant’anni illuminati di Camilla Gusti


p. Paola Navone

Le emozioni non vanno raccontate, vanno vissute.

Milano, via Medici 15 路 Roma, Via Gregorio VII 308/310 | www.baxter.it



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Evergreen

Matrimonio concettuale

È un connubio vincente quello tra Poliform e il designer Jean-Marie Massaud che grazie alla sua versatilità e a collaborazioni internazionali con aziende di grido come Cassina, B&B Italia e Cappellini è stato scelto dal leader nel settore dell’arredo moderno per creare oggetti di design puri. Una serie d’imbottiti concettualmente differenti, in grado di esplorare un’ampia gamma di approcci estetici e di diventare parte di un home project totale e avvolgente. Dove ogni elemento d’arredo trova corrispondenza in un progetto di interior design fortemente condiviso. Prima fra tutti la poltrona Ventura lounge (nella foto a sinistra). Presentata al salone del mobile lo scorso anno; l’innovazione è stata realizzata fin dall’inizio del processo utilizzando il rovere in modo da valorizzare al massimo la sua leggerezza, mentre la scocca è in poliuretano flessibile stampato con prerivestimento in fibra di poliestere. La seduta può essere in tessuto o in pelle. Il lavoro del designer francese può definirsi una perfetta integrazione tra oggetto e individuo, una caratteristica fondamentale del suo operare tanto da meritarsi un posto in prima fila nelle collezioni permanenti dei musei internazionali di Chicago, Amsterdam, Lisbona e Parigi. Camilla Gusti

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“Made for iPod,” “Made for iPhone,” and “Made for iPad” mean that an electronic accessory has been designed to connect specifically to iPod, iPhone, or iPad, respectively, and has been certified by the developer to meet Apple performance standards. Apple is not responsible for the operation of this device or its compliance with safety and regulatory standards. Please note that the use of this accessory with iPod, iPhone, or iPad may affect wireless performance. iPad, iPhone and iPod are trademarks of Apple Inc., registered in the U.S. and other countries.

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Follie

Assemblages Vedere le cose come fossero aliene: è il mantra di una generazione di artigiani virtuosi, che giocano in bilico tra dissacrazione e trash Riutilizzando l’esistente per creare l’inedito Jan Bogost, docente di Digital media e Interactive computing al Georgia institute technology of Atlanta, sostiene che: «I modi convenzionali di guardare le cose ci impediscono di vedere le alternative... Il fatto che le funzioni tecnologiche sostituiscano quelle umane è un problema che avrebbe senso solo se supponessimo di sapere cosa è la tecnologia. Ma non lo sapremo finché non sperimenteremo la meraviglia di vedere le cose come se fossero aliene». Oggi esiste una nuova generazione di creativi che vede le cose proprio come se fossero aliene; una generazione che ha accolto, quasi a distanza di un secolo e inconsciamente, la lezione di Bruno Munari, (Da cosa nasce cosa, Laterza, Bari,1981) e osserva gli oggetti da un differente punto di vista, accorgendosi che possono essere altri. Si tratta di una generazione di artigiani virtuosi, più che di artisti, che si adopera per ritrovare il contatto con la realtà. Che nelle sfaccettature del quotidiano trova la propria sorgente d’ispirazione. Che mediante la moltiplicazione e l’ibridazione, partendo dall’esistente, costruisce l’inedito, senza timore di rasentare il kitsch, anzi quasi inseguendolo. Per restituire alle proprie creazioni la verità, che deriva dall’attitudine a manipolare, affidandosi all’intuito, più che alla ragione, al gusto, più che alla cultura. È una generazione internazionale che sta producendo un repertorio d’inediti, sul confine tra buono e cattivo gusto, che non teme di stupire e, magari, di inorridire. Tra questi profeti di una estetica di confine, che spazia dal sorriso al disgusto, vari sono i cultori dell’assemblaggio. C’è nel mettere assieme elementi omogenei o eterogenei una sorta di perversa ossessione che stimola al virtuosismo, alla ricerca di una perfezione che parrebbe impossibile, considerando che al posto di materiali preziosi, sovente sono utilizzati quelli di scarto. Michelle Erickson è un’artista della ceramica canadese, approdata a Londra al museo Victoria&Albert, dove ha esposto, nell’ambito di un programma di artisti in residence, una sua collezione di ceramiche per la tavola. Ogni creazione è il risultato di una sovrapposizione di frammenti disomogenei in precario equilibrio, quasi un gioco delle costruzioni, dove al posto dei cubi di legno ci sono, come nel centro tavola Made in China, figurazioni rubate alla tradizione cinese, dissacrate da oggetti impropri, come la pistola impugnata da una delle tante mani della divinità (nella foto a destra una sua opera). La fattura pregiata e la minuzia dei dettagli, modellati con rara sapienza, rimandano ai capolavori classici. Sovvertendo i canoni della composizione e introducendo elementi rubati ad altre culture, come il simbolo del dollaro, la Erickson propone una fertile miscela di culture che trovano una possibile unità nel candore opalescente della porcellana bone china.

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Roberto Mora

Parmigiano, classe 1964, appassionato di pittura che pratica sperimentando diversi linguaggi, si dedica dagli anni 90 al design artistico, modellando i metalli, abbinati al legno, alla ceramica, ma anche ai sassi di fiume. La sua palestra di sperimentazione è la galleria di design artistico milanese Dilmos. Ha partecipato a varie mostre, tra le quali una personale a Parma dove ha presentato i suoi primi 15 anni di attività artistica. Ha immaginato Fantacook (nella foto a destra) come un pezzo da esterno. Si tratta di un appendiabiti di nuova specie: gli abiti si appendono ai manici delle pentole. A prima vista pare un totem primitivo, quasi sacrale nel suo svettare. Poi, a ben vedere, ci si rende conto che è costruito sovrapponendo delle vecchie pignatte in alluminio, di varie dimensioni, assieme a pentole smaltate un po’ scrostate.

XYZ design

Lo studio XYZ design , con base a Shanghai e appartenente alla scuderia della galleria Contrast di Pearl Lam, si definisce come un gigante addormentato che al suo risveglio scuoterà il mondo. Fa proprie le parole di D.H. Lawrence che considera il design artistico una relazione tra elementi diversi appartenenti al flusso della vita, riconoscibili mediante l’intuito. Fare design significa per loro lavorare d’istinto, affidandosi alle emozioni che le cose trasmettono. La sedia Design Fake (nella foto a sinistra), fantasioso assemblaggio di elementi di sedie di varie stili ed epoche, è un compendio di culture, un ibrido tra antico e moderno, tra occidente e oriente, testimonianza del melting pot. Il rivestimento, un coraggioso patchwork di tessuti griffati e pelle, con tanto di fibbie e frange, rappresenta l’ironico compendio della recente storia della moda, dominata dai loghi del lusso.

Brunno Jahara

Dalla Cina al Canada, passando per l’Italia, per finire in Brasile. Ma sempre di assemblages si tratta. Brunno Jahara, paulista, allievo di Fernando e Humberto Campana, sovrapponendo scarti di plastica costruisce policromi oggetti d’arredo. Ogni pezzo, assemblato in Brasile, è unico. I tappi e i contenitori di plastica con cui ha realizzato queste lampade da terra, della collezione Multiplastica domestica (nella foto a destra), provengono dall’associazione nazionale di riciclaggio Copamare di San Paolo che separa i materiali riciclabili dalla spazzatura. Ha realizzato anche un’installazione nel giardino creato da Burle Marx per il MAM-Museo d’arte moderna di Rio: i suoi assemblaggi multicolori parevano, in mezzo al fogliame, fioriture di nuova specie. Che hanno un’eleganza speciale grazie anche alla sua abilità nel comporre le tavolozze cromatiche. a cura di Cristina Morozzi


Atmosfere

Chinese art vs European fashion Oriente vs Occidente. In uno scambio di arte cinese e fashion europeo. Dior meets Quentin Shih aka Shi Xiaofan. E la moda parla ad arte, con la serie di 20 immagini intitolata L’étrangère dans la boîte en verre, che il fogografo cinese ha coniato per l’exhibition «Christian Dior & Chinese artists», andata in mostra nel 2008 all’Ullens center for contemporary art di Pechino. Spezzoni dell’immaginario cinese in mix alla moda della maison di avenue Montaigne. Per una donna immobilizzata in una gigantesca teca di vetro, esposta in vetrina, alla mercé dell’osservazione affascinata degli orientali. La straniera imprigionata tra emuli di Mao Tse-tung, atleti della squadra olimpica di basket, operai, donne al mare con tanto di ciambella, scienziati. Tutti assolutamente cinesi. Personaggi e ambientazioni figli della cultura e della tradizione orientale in netto contrasto con l’Occidente impersonificato dalle esili modelle in lussuosi abiti couture. Cinesi stregati da tutto ciò che l’Occidente rappresenta ed evoca.

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L’étrangère dans la boîte en verre di Shi Xiaofan: opera realizzata per la mostra «Christian Dior & Chinese Artists» del 2008 a Pechino


Gli stilisti della maison Valentino, Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli mimetizzati da Liu Bolin in un’opera del 2011. (Courtesy of Eli Klein fine art)


Atmosfere

Lost in fashion. Moda dispersa nella moda. Un progetto studiato da Liu Bolin, il signore cinese della mimesi, e Harper’s Bazaar, che ha come protagonisti cinque top designer del panorama worldwide, trasformati per l’occasione in invisible men. Diventando Mr and Miss camouflage, immersi nei loro atelier, tra gli abiti simbolo che disegnano, diventando background, come camaleonti umani, a colpi di pennello. Angela Missoni s’intreccia in un crochet dei classici filati del brand coniato da suo padre Ottavio. Jean Paul Gaultier è tutto una riga tra le T-shirt marinière, emblema del suo brand. Alber Elbaz, direttore creativo di Lanvin, ha il dono dell’invisibilità nel suo studio della storica maison. E Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli diventano rosso Valentino, all’interno dell’ex ufficio di rappresentanza di Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti nel cinquecentesco Palazzo Mignanelli a Roma. Il progetto va a inserirsi in «Hiding in the city», avviato da Bolin nel 2005.

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Atmosfere

Sul filo del rasoio. Come funamboli, camminano in bilico tra l’oggi e il domani. Cina antica e divenire capitalista. Questa la propaganda dello short movie First spring realizzato da Yang Fudong per Prada. «Il lavoro di tutto un anno dipende da un buon inizio in primavera». Così dice il proverbio cinese; e così la maison aveva raccolto la sfida nel 2010, trasformando i frame dei nove minuti in bianco e nero di Fudong nello special advertising Prada uomo springsummer 2010. Il lavoro di Fudong, uno dei più influenti video-artisti cinesi, nato a Pechino nel 1971, ritrae uomini e donne di classi ed epoche distinte. Personaggi che si incontrano per le strade vuote di Shanghai, nei ricchi privé, in una sorta di iperealismo ripetitivo e ossessivo. «È una rappresentazione dello status ambiguo dei moderni intellettuali cinesi», ha spiegato il curatore e critico Hans Ulrich Obrist osserva, «rappresenta la loro aspirazione alla libertà individuale nel momento del passaggio dell’attuale società a una società capitalista». Prada precorreva i tempi. testi di Francesca Manuzzi

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Uno degli scatti dello special adv primavera-estate 2010 di Prada, realizzato dall’artista Yang Fudong


Photo: Cesare Chimenti

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Art

Shan shui metallico

Uno Shan shui di Chen Chun-Hao

Si chiamano Shan shui nell’arte cinese. I paesaggi di montagna e acqua, shan e shui appunto, che più classici non si può, senza colore, senza luce e senza ombra. Come dice lo storico Ch’eng Hsi: «Non è una finestra aperta per l’occhio dell’osservatore, ma è un oggetto per la sua mente». E chissà cosa è passato nella mente di Chen Chun-Hao quando si è messo a realizzare i suoi enormi Shan shui. Ma con una pistola sparachiodi. L’artista cinese crea infatti con abilità delle copie fedeli delle più grandi creazioni dei secoli passati. Copie pungenti, con piccoli chiodi che bucano tavole di legno coperte da teli. Un’unione di stile vecchio e di inesauribile creatività. Curioso è proprio il contrasto: paesaggi creati per regalare all’osservatore calma e relax, con una serie di rigide regole di proporzioni, che subiscono un’improvvisa mutazione industriale, ricreati con materiali rumorosi e per niente contemplativi. In più, gli originali Shan shui erano limitati a pochissime copie, riservate alle corti imperiali. Mentre ora diventano riproducibili e destinati a un pubblico più ampio. Oltre a essere, appunto, riprodotti con tecniche meccaniche. «Quando ho iniziato questo tipo di arte, la pistola era solo una pistola sparachiodi. Ora è diventata il pennello con cui lavoro», ha raccontato Chen Chun-Hao. Che crea copie molto elaborate: nell’arte cinese, infatti, la copia è ammessa solo a patto che comprenda a fondo l’originale e aggiunga qualcosa di personale. E per l’artista, è così personale da rappresentare una sorta di meditazione. Oltre che un lavoro molto fisico, che lo tiene impegnato nel suo studio anche per oltre dieci ore ogni giorno. «È il mio allenamento di kung fu quotidiano», ama scherzare. Perché, come nell’arte marziale, unisce la potenza del corpo a una profonda riflessione interiore. Matteo Zampollo

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Nella foto, un’opera realizzata da Hung Liu

Art

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L’eroina della Rivoluzione Nata un anno prima della creazione della Repubblica Popolare Cinese, Hung Liu è cresciuta nel pieno della Rivoluzione culturale di Mao, che ha vissuto in prima persona con quattro anni in un campo di rieducazione nelle campagne. Un’esperienza che le ha condizionato la vita. «In positivo», assicura lei. Da lì confessa viene la sua tenacia: «Ammiravo gli eroi della Rivoluzione e sognavo di diventare un valoroso soldato. Come le Figlie della Cina, un film del 1949 che ha plasmato il mio immaginario di bambina: è la storia di otto donne che, nel 1938, sacrificarono le proprie vite per proteggere la ritirata dell’esercito cinese. Certo, in questi decenni negli Stati Uniti ho sostituito l’utopia socialista con un umanismo in chiave moderna, ma i valori fondamentali dei 36 anni trascorsi in Cina fanno ancora parte integrante di me e del mio lavoro», ha raccontato l’artista. Proprio lì, tra le risaie, è fiorita la sua passione per l’arte e, prima

di tutto, per la fotografia. Con la sua Leica, ereditata da un’amica e fedele compagna per tutto quel periodo, Hung Liu documentava la sua quotidianità, il paesaggio rurale e le sue compagne di lavoro. Immagini che sono diventate, poi, l’ispirazione primaria per i suoi lavori fino a oggi. Come le sue opere più recenti ispirate, appunto, ai fotogrammi del film di propaganda Figlie della Cina, ritrovati dall’artista ormai di stanza a Oakland nel suo primo rientro in patria alla fine degli anni 90. Istantanee che, nelle sue tele, decontestualizza mescolando elementi moderni e simboli tradizionali come cicogne, draghi e soprattutto il cerchio, diventato il suo trademark: appare in quasi tutti i suoi dipinti e installazioni e campeggia come homepage del suo sito internet (www.kelliu.com). Simbolo dell’universo e dell’eternità, emblema di un racconto poetico. Giuliana Di Paola



Fashion

New couture made in China

Un look Ne.Tiger, vedette del Mfgs2012 di Milano

Quando l’Oriente incontra l’Occidente. Grazie a un interprete doc, che per la prima volta ha sfilato a Milano in occasione dell’edizione 2012 del Mfgs-Milano fashion global summit. Lui è Zhang Zhifeng e il suo brand di haute couture cinese, Ne.Tiger, è il portavoce di una tradizione antica adattata agli stilemi della modernità contemporanea. È l’ambasciatore della cultura stilistica cinese in tutto il mondo grazie a una visione lussuosa fatta di abiti da sera e ricami preziosi, figli della tradizione handmade. «La moda è futuro, la moda è sempre il domani», ha spiegato Zhifeng. «Dopo 15 anni di sfilate in Cina, Giappone e Hong Kong, abbiamo deciso di venire a Milano, un grande onore e un’importante occasione per far conoscere noi e le nostre radici. Siamo estremamente orgogliosi delle nostre origini e pretendiamo che il nostro stile sia riconosciuto al primo sguardo come made in China». Amato da celebrities del calibro di Gong Li, Lin Zhi Ling e Andie McDowell, Ne.Tiger ha raccontato la nuova stagione tra gli stucchi dorati della Sala del Tiepolo di Palazzo Clerici, in un’atmosfera poetica e sognante. «In questa collezione ci sono due abiti speciali. Il primo è un long dress blu notte che abbraccia ed esalta la figura, ricamato con il motivo del dragone, mio segno zodiacale e del 2012. Il secondo, un abito che riprende il design di un bicchiere della dinastia Tang. Sulla seta è ricamata un’appassionata poesia di Li Bai. È un componimento romantico dedicato alle mogli dell’imperatore e alla loro solitudine. All’epoca l’imperatore aveva 3 mila mogli e poteva succedere che alcune non lo vedessero per anni». Barbara Rodeschini

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Una scarpa Emilio Pucci primavera-estate 2013

Accessories

Nell’anno del Dragone

Bussola puntata a Est. Rotta verso Oriente, nell’antica Saigon, dove sorge il sole. La mente viaggia tra Vietnam e Indocina. Nell’anno in cui cadono i festeggiamenti del Drago, per la comunità cinese presupposto di longevità, ricchezza e trasformazione, anche Peter Dundas, direttore creativo di Emilio Pucci dal 2008, abbraccia l’avvento del cambiamento. E nella primavera-estate 2013 la sua donna diventa una dea dalle inflessioni oriental, una concubina strong dell’Ex Celeste impero. «La mia donna sta crescendo, è diventata più sobria ed elegante rispetto al passato. Il colore, a differenza delle scorse stagioni, è usato con meno enfasi, il che mi ha permesso di giocare con le trasparenze», ha spiegato il designer norvegese, alla guida della maison fiorentina satellite del gruppo Lvmh. Un can-

dore che parla il linguaggio di un intricato ricamo in filo latteo, cucito minuziosamente a riprodurre dragoni e tigri, tatuaggi sui corpi intravisti e sulle tele in crespo di seta e leggiadro chiffon. Kimoni eterei dai pantaloni see through, bomber da aviatore e abiti T-shirt come uniforme da esplorazione. Animali della mitologia cinese che irrompono con forza anche negli accessori. Come sui sandali-scultura dalla zeppa intarsiata a dar vita a un groviglio di sacri dragoni in volo, che sembrano scolpiti nell’avorio grazie alla realizzazione amanuense di preziosi bassorilievi. O sullo zaino in canvas dai colori giungla, reso prezioso dalle auree decorazioni animal/floreale. Degno di una viandante chic, in una sosta nel torpore di una fumeria d’oppio. Elisa Rossi

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Furniture

Riutilizzo tra yin & yang

gati, come tubi idraulici, piuttosto che giocattoli per bambini, condutture in rame. Tutti plasmati dalle mani esperte della Oh, per creare una sorta di sogno, di wondering world, organizzato con sembianze metamorfiche. Modellando la versione industriale della filosofia orientale dello yin & yang. In cui energia, significato e forma s’interlacciano, in cui basico e strutturato si completano prendendo nuove forme. «Le persone ricercano sempre qualcosa di nuovo, sia nell’arte che nel design. Il mio processo è focalizzato sul riutilizzo di ciò che già esiste, creando qualcosa di nuovo solo osservando l’ordinario attraverso una prospettiva differente», ha spiegato. Perché la Oh pone al centro del suo manifesto costituzionale di designer la riconsiderazione dell’ordinario, in cui l’abbondanza in cui viviamo è riutilizzata per dare vita alla sua arte. Francesca Manuzzi

La Savage chair di Jay Sae Jung Oh

Nata coreana, Gaetano Pesce d’adozione. Jay Sae Jung Oh è cresciuta a Seoul, si è laureata in scultura all’università di Kookmin e ha deciso di partire alla volta del Michigan, perché l’arte non era abbastanza. Poi, con una laurea al dipartimento di design 3D alla Cranbrook academy ha guadagnato una menzione speciale per il MercedesBenz financial services emerging artist award, oltre alla visibilità per entrare nella studio del maestro Pesce nella Grande Mela. Oggi, la linea di oggetti che porta il suo nome è arte materica. Una collezione scultorea di pezzi di design d’interni. Concrezioni d’oggetti di uso quotidiano che sono entrati negli spazi dell’headquarter di Daimler Chrysler, così come al Lotte hotel e nei department store dell’altrettanto coreana Hyundai. Complementi d’arredo editati nelle texture più disparate. Naturali o artificiali. Dalla juta alla plastica, passando per i materiali reimpie-

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Hot names

Package design Realizzati con le tradizionali casse da imballaggio, i mobili della giovane designer cinese Jing Jing Naihan Li propongono un’idea di arredo mobile, minimal e figlio di un nomadismo moderno Jing Jing Naihan Li è approdata a Milano nel 2012, durante il Salone del mobile, come una delle interpreti di «Kitchen story» per Franke e si è fatta notare per la sua soluzione, dotata di ogni accessorio e comfort, realizzata con le casse da imballaggio. Nata ad Harbin, si è trasferita a Pechino alla metà degli anni 80 vivendo l’esplosione della cultura occidentale che all’epoca iniziava a conquistare la Cina. Terminati gli studi alla scuola superiore di Pechino, nel 1999 si è trasferita a Londra per studiare architettura e design alla Bartlett school. Nel 2004 è tornata a Pechino, trovando la metropoli nel pieno del suo incontrollato sviluppo urbanistico. Installatasi in un grande spazio industriale, attrezzato con la sua ormai famosa serie The Crates, vincitrice nel 2012 del Design award promosso dal Design museum di Londra, si è dedicata a progetti d’arredo adatti al nomadismo contemporaneo. Con il proprio lavoro s’interroga sul futuro del design, convinta che debba dare risposte pertinenti ai modi di vivere delle giovani generazioni e che debba essere funzionale, ma anche divertente. Il progetto al quale lavora, declinandolo in tutte le possibili varianti per adattarlo alle varie situazioni pechinesi, si chiama The Crates, letteralmente imballaggi. All’origine, infatti, ci sono le casse da imballaggio che Jing Jing trasforma con molto ingegno e un minimo di ferramenta e di accessori in contenitori, cucine, letti, poltrone e sofà. L’idea nasce nel 2010 dall’osservazione delle casse pronte a partire per il Salone del mobile di Milano cariche di nuovi progetti. Come le comuni casse da imballaggio, anche la serie The Crates di Jing Jing nasconde delle sorprese. Ogni oggetto quando è chiuso altro non è se non una cassa da imballaggio simile a tutte le altre e realizzata con il medesimo povero legname. Ma, aperta, svela cucine, divani, letti e persino un biliardino. L’arredo domestico diventa così mutevole al pari del paesaggio di Pechino che si trasforma alla velocità del vento: stanno scomparendo le costruzioni tradizionali e sorgono grattacieli che fanno a gara nel superarsi in altezza. Dotate di ruote, le casse si spostano con facilità da una stanza all’altra, ma anche da

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un’abitazione all’altra. Traslocare non è più un problema: il mobilio è già imballato. Per usarlo basta trasportare le casse dove meglio aggrada e aprirle. Con la freschezza di chi si affaccia al design contemporaneo senza una storia autorevole alle spalle, Jing Jing si riallaccia alla storia di Louis Vuitton, lo specialista del viaggio, che alla fine del secolo scorso costruì una serie di travel furniture, leggera e pieghevole, destinata alle grandi traversate oceaniche o ai viaggi avventurosi in auto (oggi i pezzi sono custoditi nel museo della griffe e talvolta vengono esibiti nel flagship store di Parigi sugli Champs Elisée, ndr). La serie The Crates pone le basi per una riflessione sulla mobilità contrapposta. L’abitare non è più un hideggeriano essere sulla terra, mettendo radici, ma un vivere in perenne mobilità, ricostruendo dentro una cassa su ruote il proprio existens mi-

nimum. Jing Jin con The Crates combatte i formalismi e le copie, invitando a trovare soluzioni che nascono dalle consuetudini popolari: i cinesi sono commercianti, invadono il mondo con le proprie merci. Le casse che riempiono i magazzini e che stazionano sui moli sono parte integrante del nuovo paesaggio mercantile della Cina che esporta in tutto mondo. E opera un rinnovamento tipologico, senza rubare spunti all’Occidente, senza copiare, senza fare dello stilismo. Abbandona la tradizione cinese e inventa un nuovo modo di abitare. Gli arredi si rivelano solo al momento dell’uso, quando si apre il contenitore. In modo radicale Jing Jing risolve il problema dei minispazi, trovando una nuova onorevole vita per le casse da imballaggio, altrimenti destinate a ingrossare le fila degli scarti. Cristina Morozzi

In queste foto, le soluzioni d’arredo realizzate con casse da imballaggio dalla designer pechinese Jing Jing Naihan Li, nel portrait a sinistra


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Overview

Nostalgia del Celeste impero Mentre impazza una furia di modernità, nella Pechino di Dashilar alley si predica uno stile di vita genuino e meno stressante di quello contemporaneo. Grazie a una manciata di boutique, trasformate in simbolo di recupero della memoria sociale è rivelato uno scrigno prezioso a quelli dei giovani artisti e architetti locali. E non solo ai loro, visto che Dashilar è da due anni il fulcro della Beijing design week: durante l’edizione di questo autunno ha ospitato 40 tra lab e pop up store, le feste più ambite dell’evento e il padiglione realizzato dai celebri fratelli brasiliani Fernando e Humberto Campana. Tra i negozi del genere concettuale che attirano tutto l’anno un raffinato pubblico, c’è il Wuhao curated shop, la versione asiatica di Colette e 10 Corso Como diretta dalla francese Isabelle Pascal proprio come se si trattasse di una mostra. Citato da Wallpaper come una delle 20 ragioni per vistare la Cina, Wuhao occupa

Uno scorcio del cortile interno del Wuhao curated shop

La recente nascita e l’affermarsi di un’estetica nostalgica nell’interior design e nella moda è un buon segno per la middle class cinese: indica che ha già superato la fase del nouveau riche che butta fuori dalla finestra tutto ciò che è vecchio e che brama tutto ciò che luccica. Nella Pechino investita dalla furia palazzinara, la zona che si sviluppa attorno a Dashilar alley, ai suoi hutong e alle sue siheyuan decisamente fané, è diventata il simbolo del recupero di una memoria sociale fino a poco tempo fa rifiutata e ora rivalutata. È questo il quartiere dove sono nati l’Opera e il Circo, il cuore storico del commercio nella capitale che è decaduto agli occhi del popolo ma si

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L’allestimento del Wuhao curated shop di Pechino

Overview

mille metri quadrati di ex-abitazioni, un dedalo di balconi, ringhiere, corridoi, padiglioni e giardini chiusi che appartenevano alla moglie dell’ultimo imperatore. Tra le pareti scrostate che fanno da inedite quinte, si incontrano installazioni e pochi, ma importanti, oggetti di design creati in esclusiva da giovani talenti emergenti. I colori degli allestimenti seguono quelli delle stagioni, mentre lo spazio è diviso in sezioni ispirate ai cinque elementi della filosofia cinese: terra, fuoco, acqua, metallo e legno. Sempre in zona si trova Lost & Found, store dalle grandi vetrate che propone, accanto a un servizio di consulenza di interior design, collezioni di mobili che sembrano di modernariato ma che sono in effetti solo influenzati dalle linee elementari e funzionali degli arredi degli anni 50 e 60. Questi oggetti, anziché prodotti in massa per la massa, sono infatti realizzati a mano con materiali di prima scelta, dal teak alla piuma d’oca ai pellami trattati fino a sembrare velluto a coste. «Ci ispiriamo a un’epoca in cui la vita in Cina era più semplice, la gente era ottimista e piena di coraggio, pronta a superare qualsiasi difficoltà. Contrariamente alla cultura consumistica di oggi, la gente allora trattava ogni oggetto come un tesoro», hanno spiegato i proprietari Paul

Gelinas e Xiao Miao. Da lontano le loro panche, le poltrone, le scrivanie sembrano oggetti economici; da vicino si rivelano ricercate e custom made. Lost & Found vende anche abiti e accessori da uomo e donna, il cui immaginario minimalista e urbano è decisamente lontano da quello sexy e aggressivo strombazzato dai media. Sono simili le proposte di Ruxi, sempre a Dashilar, la boutique di riferimento per chi cerca vestiti in fibre e colori naturali (lino e seta soprattutto) dalle fogge dimesse o addirittura castiganti delle casacche, delle tuniche, delle pesanti gonne di lana e dei cappotti di era maoista. Il must che più attira le fashioniste sono le scarpe stringate in suède, basse e a pianta larga. Tra i trentenni serpeggia insomma una sorta di amarcord che si potrebbe definire un: «Si stava un po’ bene anche quando si stava peggio». E se ne sono accorte le agenzie di marketing, che stanno improntando le più recenti campagne pubblicitarie sul filo della nostalgia di uno stile di vita più genuino, più sicuro e meno stressante di quello contemporaneo. L’ultimo trend vede ad esempio il rilancio della bicicletta: fino a ieri percepita come simbolo di povertà, oggi oggetto cool in quanto retrò. Sasha Carnevali

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People

Un’artigianalità spirituale

La lunga storia dell’Ex Celeste Impero racchiusa in una linea di oggetti deluxe. Questo è Shang Xia. «Non viviamo nel passato, ma ci ispiriamo alle antiche radici culturali della Cina per guardare avanti», ha detto Jiang Qiong Er, anima creativa del progetto Un servizio da thé in bambù e ceramica con le anse ricurve come un ponte gettato tra due rive. Un cappotto geometrico che riprende un modello della dinastia Han, tessuto come le yurta delle steppe della Mongolia. O una sedia a dondolo che oscilla fra terra e cielo seguendo la forma del corpo. Nella nuova collezione di Shang Xia, tutto è calibrato per entrare nel cerchio magico della perfezione e del lusso supremo. La maison cinese, satellite del gruppo Hermès, ha voluto offrire alla Cina un gioco unico e speciale: quello di un artigianato artistico, espressione di tradizioni ancestrali divenute rare e preziose. Qui tutto è simbolo e ogni dettaglio ha un senso. Shang Xia (letteralmente: Sopra sotto) riflette 5 mila anni di storia dell’Impero di Mezzo, consegnati alla modernità attraverso una visione del design contemporanea e attuale, in un’atmosfera a cavallo tra Oriente e Occidente. È l’estetica cinese alla prova del 21° secolo. E oggi, anche, alla prova dei gusti occidentali, con l’apertura della prima boutique europea. A Parigi, naturalmente, sulla chic rue de Sèvres, di fronte allo store di Hermès rive gauche, perché l’eco che unisce i due brand risuoni chiaramente sulle due sponde. Un progetto che Hermès ha spinto fino in fondo, scegliendo come partner la giovane 35enne Jiang Qiong Er, pittrice e designer, formatasi tra la Cina e la Francia. Figlia d’arte

e già avvezza alle grandi griffe del lusso (aveva in precedenza lavorato per L’Oréal, Artelano e lo stesso Hermès), distilla l’offerta della griffe in edizioni limitate che sottolineano il valore di ogni oggetto. «È importante per le generazioni future come per quelle passate che questo patrimonio di conoscenza non vada perso», ha spiegato Jiang Qiong Er. «Questo non vuole dire vivere nel passato, ma ispirarsi alle antiche radici culturali della Cina per guardare avanti. L’idea di trasmissione è intrinseca nello spirito di Shang Xia, di consegnare delle emozioni che passano attraverso il lavoro delle mani». Al primo negozio aperto a Shangai nel 2010, ne ha fatto seguito un altro inaugurato recentemente a Pechino, nel China World Mall, su 135 metri quadrati decorati dall’architetto giapponese Kengo Kuma che ha ripreso i codici della Grande Muraglia. E in parallelo la griffe si incammina verso l’atteso esordio in Occidente. Nel contempo, come insegna la filosofia cinese, nessuna fretta e nessuna corsa sfrenata orientata al business a oltranza. «Ci diamo tutto il tempo per portare al successo il progetto, seguendo il nostro ritmo», ha aggiunto il ceo di Hermès Patrick Thomas. E il tempo è, appunto, uno dei concetti-chiave per capire questo brand. «Per intrecciare il bambù di una delle nostre teiere», ha precisato la designer, «ci vogliono dieci giorni di lavoro. Ma il risulta-


A sinistra, un ritratto di Jiang Qiong Er, anima creativa del marchio Shang Xia di Hermès. Nelle foto sotto, una carrellata di oggetti creati dal brand cinese per la nuova collezione 2013

to è di una qualità unica, quella che cerca la nostra clientela». Pazienza certosina in ogni processo di fabbricazione, che sia la laccatura di un vaso, la tessitura di un cappotto, gli intagli delle pietre di un gioiello o la costruzione della rocking chair (5 mila ore di lavoro e la precisione di una ricamatrice di merletti). Questa genialità manuale va di pari passo con un’originalità di concezione destinata a sorprendere ogni volta il consumatore. «Per me la creatività è la cosa in assoluto più importante. E non solo nel lavoro, ma in ogni istante della vita; è grazie alla creatività che si sviluppano gli incontri, che si incentiva l’amore, anche nella sfera privata. È questo stimolo continuo a provocare la sorpresa che segna il vero successo della propria vita», ha poi detto. La creatività deve per forza far parte del Dna di un brand che esprime un lifestyle di lusso: «Allo stesso modo dei materiali grezzi scelti uno ad uno, della confezione artigianale, del servizio e della spiritualità, che sono effettivamente le caratteristiche salienti di Shang Xia», ha precisato. Progetti per il futuro? Continuare su questo cammino spirituale che esalta il lavoro manuale. Fare in modo che ogni oggetto sprigioni una forza interiore che il cliente esperto, sia questi orientale o occidentale, saprà per forza riconoscere. Silvia Manzoni


Shopping

A lato, il nuovo store Bosideng di Londra

London calls Shanjing

Lo storico quartiere dello shopping londinese di Mayfair, al numero 28 di South Molton street, ha un nuovo protagonista. Ha infatti aperto i battenti il nuovo store Bosideng, primo negozio europeo del colosso cinese da 837 milioni di sterline di fatturato, fondato a Shanjing nel 1976 e che oggi rappresenta il 37,6% del mercato nazionale nel settore piumini. Un debutto importante, con cui l’azienda annuncia il proprio ingresso sul mercato del Vecchio continente. Per farlo, si è affidata a un progetto ambizioso: rilevare un edificio storico, con una posizione strategica che segna il bivio fra South Molton e Oxford Street. Il nuovo store occupa una superficie di oltre mille metri quadrati e si sviluppa su sette piani: tre per lo store, altri tre per gli uffici e l’ultimo dedicato a un roof top luxury apartment, a disposizione del presidente Gao De Kang. Importante è stato il costo di quest’insediamento: un investimento complessivo di 35 milioni di sterline, di cui 21 per la proprietà e 14 per il nuovo edificio. Il progetto, curato dagli architetti inglesi di Dsdha con lo studio Ward McHugh associates, e poi affidato all’impresa edile Mclaren, si è presentato da subito come una sfida: il vecchio edificio sorgeva su un’area protetta, un concentrato di edifici storici in stile Georgiano usciti indenni dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Così quello che era un edificio modesto di due piani, con dentro un vecchio pub, è oggi un gigante triangolare rivestito in bronzo che ricorda il Gridiron building di New York. Un edificio iconico, che ridisegna il profilo di South Molton street nel segno dell’architettura contemporanea e la cui modernità spicca ancora di più grazie al contrasto con gli edifici circostanti. «Sono estremamente fiero di aprire il primo negozio Bosideng all’estero», ha spiegato Gao De Kang, «questo building servirà anche da quartier generale del brand in Europa. È una mossa che avevamo in programma da tempo, un nostro vecchio sogno... Siamo molto contenti per esserci posizionati in questa zona, così importante per la moda». A celebrare il momento speciale è la collezione che il duo creativo, composto da Nick Holland e Ash Gangotra, ha voluto creare fondendo la cultura cinese con elementi british. E a conferma che le intuizioni di De Kang sono andate nella giusta direzione, è arrivato un riconoscimento importante: il Chinese investor of the year award assegnato con una cerimonia a Shanghai durante i British business awards 2012. Il premio viene conferito a chi riesce a dimostrare, accanto a una solida crescita, di aver migliorato le relazioni commerciali fra Regno Unito e Cina, investendo all’estero e puntando sull’espansione internazionale. Con la sua boutique, Bosideng non poteva farlo meglio. Rosario Morabito

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Real estate

Gehry hills

L’Opus di Frank Gehry a Hong Kong

Prezzi sky-hi per la star degli skyscraper: 61 milioni di sonantissimi dollari. È questo il prezzo di vendita di un appartamento dentro a Opus, il primo grattacielo asiatico progettato da Frank Gehry a Hong Kong. Un’eccellente eccezione, inerpicata sulle colline del Peak, che mutua le sue strutture in movimento dal landscape verde della zona. Vetro temperato attorcigliato su se stesso, come canne di bambù che ondeggiano con il vento. Sono 12 residenze extra-lusso, di cui due con giardino e piscina privata, disposte su due piani. Un progettista stellare per costi stellari, già previsti dalla Swire properties, il real estate che ha sviluppato il tutto e che preannunciava: «Aspettative che batteranno ogni record». E così è stato: è il prezzo al metro più alto che Hong Kong e tutta l’Asia abbiano mai visto per un’unità di 570-600 metri quadrati. Secondo al mondo, solo a una vendita londinese di Hyde Park. E non c’è da scandalizzarsi, Hong Kong ha un reddito pro capite medio di 49 mila dollari all’anno. E le stime dicono che, già dal 2050, Hong Kong sarà il secondo Paese più ricco al mondo dopo Singapore, soppiantando Lussemburgo, Qatar e Norvegia. Ovviamente questa corsa alla vendita del secolo non sempre premia. L’ex colonia britannica, infatti, ha subito un rallentamento di un quarto dell’immigrazione di big spender del lusso rispetto allo scorso anno. Ma, come ha spiegato Wong Leung-sing, capo delle ricerche alla Centaline property agency: «Il prezzo non rappresenta una regola reale per il mercato. Non stanno vendendo questi appartamenti come semplici abitazioni, ma come masterpiece... Vere e proprie opere d’arte». Francesca Manuzzi

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Urban

Nella foto qui sotto, il graffito di Hendrik Beikirch a Busan

Asian graffiti in versione XXL Un murales enorme. Anzi, Sua Altezza il murales. Con i suoi 70 metri di superficie coperta in altezza, va a piazzarsi nell’Olimpo dei record mondiali come uno dei più alti graffiti wordwide. Primato sicuramente raggiunto in Asia, piazza che non aveva mai visto niente di simile prima d’ora. Degna di nota anche la location. Il gigantesco graffito, realizzato dall’artista teutonico classe 1974 Hendrik Beikirch, si trova infatti a Busan, la seconda città della Corea del Sud dopo Seoul, proprio di fronte al complesso di building Haeundae 1 Park progettato dall’archistar Daniel Libeskind. Le due opere hanno preso vita contemporaneamente, perché, si sa, i costruttori asiatici impiegano 15 giorni per costruire un edificio di 30 pia-

ni (un esempio pratico è il T30 hotel eretto alla velocità della luce dalla Broad sustainable building nella città di Hunan, ndr), contro i 15 anni delle opere progettate dagli occidentali. Beikirch ha dipinto il suo pescatore in black and white degli anni 60, personaggio simbolico nella cultura coreana, proprio sull’edificio del mercato del pesce e dell’unione dei pescatori. Il fisherman indossa grossi guanti in silicone per raffigurare quella porzione significativa della popolazione rimasta legata alla cultura ancestrale, senza essere intaccata dal boom economico. Duro lavoro, scandito anche dalla frase dipinta ai piedi del graffito: «Dove non c’è lotta, non c’è forza». Francesca Manuzzi

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Projects

Bangkok cartoon university Op art e cromatismi flashy. Manga generation e aree mutanti. Grazie al lavoro di Supermachine studio nasce un progetto pilota esportabile worldwide. Per rendere young & funny l’università thailandese. Tra pois e divertissement da fumetto Aula professori eliminata. Lounge per studenti pronta all’uso. Nell’era delle discussioni sulle condizioni di classi, librerie e zone relax delle università worldwide, la lampadina arriva proprio dall’Estremo Oriente. Nel momento storico in cui internet e social network facilitano l’apprendimento e allargano la possibilità di cultura, le scuole e i college sono costretti ad aggiustare il tiro, per rendersi luoghi più appetibili. E la lounge aka Imagine lounge della Bangkok universi-

ty della città è un progetto pilota davvero lungimirante studiato da Supermachine studio. Posizionata tra la libreria multi-tematica e l’auditorium, offre agli studenti una youngsters’ ecology, una dimensione di relax ipervisivo. Dove regnano i colori fluo, l’arte optical e cartoony; uno spazio in cui poter fare filò o leggere nella reading cave al piano terra. Le cui ramificazioni si aprono in stanze cocoon per piccoli gruppi di tutoring, come per ampie discussioni. Sullo

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Nelle foto di queste pagine, gli interni della lounge della Bangkok university nel Rangsit campus a Bangkok, progettata dal thailandese Supermachine studio (photo courtesy of Wison Tungthunya)

stesso piano troneggia il Big sofa, un gigantesco divano in unità separabili come pixel. Tutti gli elementi che arredano i mille metri quadrati sono stati studiati da Thai Obayashi, Hawaii 50 e Keen Interior per essere il più flessibili possibile, permettendo la massima manipolazione. Il piano superiore è dedicato ai break. Con due capanne, una polka-dot fucsia con il karaoke, l’altra, una sala di registrazione/musicale interamente realizzata in legno, trasformabile in piccolo auditorium. Poi, un tavolo da biliardo extra-long, un ping ping table rotondo, l’angolo lap dance con tanto di palo, un banco make-up e l’area kungfu. I due piani della lounge sono completamente interconnessi da un sistema di oblò e periscopi, oltre alle scale che emulano una grossa libreria ricca di manga giapponesi. Senza dimenticare quella a chiocciola, camuffata dentro al panda gigante, anche lui passibile di cambiamenti. Perché gli studenti, ogni sei mesi, potranno customizzare/decidere il nuovo soggetto. Francesca Manuzzi


Un frame del video Gangnam style di Psy

Music

Nuovo K-pop planetario Un nuovo genere musicale, il K-pop, dove K sta per Korean. E un video virale per farne schizzare la popolarità alle stelle. È il Gangnam style, singolo firmato dal rapper sudcoreano Park Jae-Sang, alias Psy, lanciato sul web in estate e primo estratto dal progetto discografico dal titolo PSY 6 (Six Rules), Part 1, a etichetta Schoolboy records per Europa e Usa e Yg entertainment per sud Corea. Un vero fenomeno mediatico, che in pochi mesi ha superato i 700 milioni di visualizzazioni su YouTube, piazzandosi al primo posto come video più visto del suo genere e al secondo come video più visto di sempre, con oltre 4,5 milioni di «I like» cliccati, degni del Guinness world record. Premio come best video agli Mtv Europe music awards 2012 e in vetta alle classifiche musicali in più di 30 paesi tra cui Australia, Francia, Germania, Sud Corea e Inghilterra. Un successo che il Ministero della cultura sudcoreano ha deciso di riconoscere con la medaglia dell’Ordine di Okgwan per avere accresciuto l’interesse mondiale nei confronti del paese. Il titolo della canzone, neologismo coreano, si riferisce infatti al lifestyle del Gangnam

district di Seoul, paragonato al lussuoso quartiere californiano di Beverly Hills, e acclamato dal cantante con una buona dose di sense of humor al passo di una cavalcata equina, compresa di redini e lazzo immaginari. Performance perfetta per essere imitata e parodiata all over the world da personaggi come Katy Perry, Nelly Furtado e Britney Spears. Incoronato anche da Madonna, che l’ha voluto con lei sul palco, dal primo ministro britannico David Cameron, dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon e da Ai Weiwei, archistar dissidente che l’ha utilizzata per denunciare la persecuzione del regime cinese. Ma non solo, perché migliaia di utenti di Facebook e Twitter si sono riuniti in flash mob danzanti: da Seoul a Milano fino a Parigi portando a raccolta tra i 15 e i 20 mila partecipanti, fino ai 30 mila dello scorso novembre di Piazza del Popolo a Roma, dove si è assistito a un music mob con smartphone sincronizzati tramite un’applicazione che permette di riprodurre all’unisono la stessa traccia. Just born to spawn. Elisa Rossi

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una fantastica invenzione di caran d’ache


Museum

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Welcome to comics city Trentaduemila metri quadrati e 92 milioni di euro. Per creare una sorta di Universal studios in versione comics. Per dare una casa a Gundam, Saint Seiya e Astro boy. Fumetti a perdita d’occhio per il Ccam-China comic and animation museum. Pupazzetti che dalla carta prendono vita ed entrano in uno spazio dalla façade a effetto vaso Ming. Hangzhou, a Sudest di Shanghai, rivendica il primato di città dell’entertainment (ospita dal 2005 il China international comic and animation festival, ndr) e s’arricchirà di un immenso complesso museale, progettato intorno allo speech balloon, il segno grafico del fumetto, ma in 3D. Il progetto, affidato al collettivo Mvrdv (che comprende il Kossman.deJong di Amsterdam, il locale Zhubo architectural & engineering design, l’Arup engineers e il JongeMeesters graphic design), inizierà a prendere vita dalla fine del

Un rendering del Ccam-China comic and animation museum

2012, sotto forma di otto palloni interconnessi per 13mila metri di expo, oltre a una serie di isole verdi, un’agorà pubblica e 25 mila metri dedicati al festival annuale. Una piattaforma dove l’uomo gravita in una realtà virtuale, ad alto profilo sostenibile: l’aerodinamicità dei building permette infatti la termodinamica adiabatica e il risparmio energetico. Il visitatore potrà così toccare con mano le tecniche d’animazione, come il blue screen, la stop motion e il disegno di anime. Gli spazi, oltre al padiglione principale che ospita la collezione permanente articolata in ordine cronologico in una struttura elicoidale, comprendono lobby, area educazione, tre cinema con 1.111 sedute, ristorante e libreria. La chicca? Il gigantesco zootropio 3D, cilindro per l’illusione ottica del’animazione, ma in versione teatro. Francesca Manuzzi



Fitness

Aerobica meets Tai chi

Provate a immaginare i cortili di Mirafiori alle otto di mattino. La Fiat ha appena aperto i cancelli. Il cielo è grigio, il freddo inizia a essere pungente e una coltre di nebbia rende tutto un po’ offuscato. Gli operai, ancora assonnati, si mettono in semicerchio e gli altoparlanti iniziano a diffondere una musica cadenzata. E con la prima nota tutti iniziano a muoversi all’unisono per la ginnastica del mattino. Qui finisce l’immaginazione, perché una cosa del genere da noi scatenerebbe un’ondata di ironia e una sequenza impressionante di certificati medici e ritardi. Dall’altra parte del mondo invece, in Giappone, questa pratica è reale e quotidiana. Si chiama Rajio taiso (ginnastica alla radio) e ogni giorno catalizza a sé orecchie e muscoli di milioni di persone nelle fabbriche e negli uffici, ma anche in scuole e parchi. E in pochi minuti, ne bastano anche solo tre, secondo i dogmi del Sol levante, il morale dei dipendenti è rafforzato, la salute migliorata e l’adrenalina entrata in circolo permette di affrontare al meglio la giornata in catena di montaggio o seduti a una scrivania. Nata nel 1928 per commemorare l’incoronazione dell’imperatore Hirohito, la Rajio taiso in realtà non è figlia della tradizione giapponese, ma un fenomeno importato dagli Stati Uniti, dove la Metropolitan life insurance co. usava alcuni spazi radiofonici per trasmettere musica da ginnastica nelle più grandi metropoli del paese con lo scopo di ridurre incidenti e infortuni sul lavoro. Da allora la radio statale NHK iniziò a trasmettere ininterrottamente la nenia per 30 minuti al giorno a partire dalle 6,30 del mattino. E col passare del tempo, quegli esercizi che si rifacevano al Taikyokuken, la versione nipponica del Tai chi chuan, si sono modernizzati, attingendo dall’Occidente i tempi dell’aerobica. Per un mix and match che da noi forse è improponibile, ma che in Estremo oriente pare funzionare decisamente bene. Fabio Gibellino Nelle foto a destra, alcuni frame di un tutorial di Rajio taiso

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www.kostaboda.com

L’arte del vetro Kosta Boda alla Biennale di Venezia

Kosta Boda presenta la mostra NINE ROOMS che ospita oltre 60 opere di Bertil Vallien, maestro svedese del vetro d’arte. L’esposizione è allestita presso Palazzo Cavalli Franchetti a Venezia e testimonia cinquant’anni di creatività di un artista che rappresenta il meglio della produzione di Kosta Boda, vetreria svedese fondata nel 1742. Nel cuore delle foreste nasce la passione per esplorare la possibilità di realizzare opere in vetro con tecniche innovative, la cui originalità è riconosciuta in tutto il mondo. In occasione della mostra veneziana, Morandin home Art, negozio e galleria espositiva di Treviso, ospita l’extension KOSTA BODA from SAND _to SPIRIT, evento che espone le opere dei più importanti maestri svedesi, realizzate presso la Manifattura Kosta Boda. Distributore per l’Italia: Messulam S.p.A. Via Rovigno 13, 20125 Milano - tel. +39 02.283851

Morandin home Art ha creato uno spazio permanente dove è possibile acquistare le opere realizzate da Kosta Boda.

Per informazioni: Morandin home Art Via Palestro, 50 - 31100 Treviso www.morandinregali.com - tel. +39 0422 543651


Jewel

Un’immagine della collezione Holy mountain di Ambush design

Designed for superstars Street e hi-fashion. Ormai è un’accoppiata che non stupisce nessuno. Da Louis Vuitton in poi, in tanti hanno aperto le porte delle dorate maison ai linguaggi che vengono dalla strada, definendo nuove frontiere e regalando alla couture una popolarità più orizzontale. Un po’ meno frequente è quando il cambiamento arriva dal basso. Quando, per esempio, un rapper e sua moglie si mettono a disegnare gioielli che arrivano a conquistare copertine, luxury mall e popstar. Certo, il fatto che questo nasca in Giappone, dove la street culture è ad altissimo tasso fashion (il marchio A bathing ape, il gioiellino di Nigo, è un esempio su tutti, ndr), rende le cose un pochino più facili. Ma stupisce comunque la storia di Verbal e di sua moglie Yoon. In arte Ambush design. Lui, rapper sud-coreano di discreto successo in patria e con un buon seguito anche in Giappone. Lei, così innamorata di lui da lasciare gli Usa per volare a Tokyo e lanciarsi assieme in un’avventura crea-

tiva incredibilmente visionaria. Perché questo è Ambush design, un laboratorio stilistico acido e ipervisivo. Al motto di «Anything goes», il duo sforna dal 2004 (con il nome di Antonio Murphy & Astro, linea più ricercata, a cui seguirà Ambush nel 2008) gioielli al confine tra il pop e il kitsch. Che hanno spezzato i cuori delle star di tutto il mondo, da Rihanna a Lady Gaga fino a Marc Jacobs. L’ultima fatica targata Ambush design è la collezione Holy mountain, ispirata dall’omonimo film di Alejandro Jodorowsky: come nella pellicola, si sprecano i simbolismi e i rimandi religiosi, mescolati però in un turbinio di colori lisergici e pop. Che si uniscono a occhi, piramidi e graffiti, vocabolario di ispirazioni surreali per quelli che vengono usati come nuovi bling bling dall’ondata di rapper contemporanei. Quelli che, da Kanye West in giù, hanno lasciato a casa i baggy jeans per diventare delle vere e proprie icone di stile. Matteo Zampollo

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La collezionista Ning Lau tra alcuni dei suoi oggetti

People

Il mio scrigno del tesoro Tre magazzini cocoon per custodire un patrimonio gigante. Fatto di oggetti, di moda e non, che appartengono alla super collezionista Ning Lau, ai vertici di Joyce. Una scatola dei sogni fashionista, iniziata: «Quando avevo sei anni, mettendo insieme piccoli e semplici pezzi» Un amore speciale per la moda e una dedizione innata verso il collezionismo. È assecondando queste due passioni che Ning Lau, nata e cresciuta a Hong Kong e attuale vice president of marketing, communications and creative del gruppo Joyce, ha costruito il suo privato e prezioso

archivio fashion (ma non solo), consacrato in un volume dal titolo iconico My treasures, oggi distribuito nei principali concept stores internazionali da Colette a 10 Corso Como, da Opening ceremony a Dover street market. «Ho iniziato a collezionare piccoli, semplici oggetti sin dall’in-

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People

fanzia, da quando avevo più o meno sei anni. Ma allora non avevo nemmeno ben chiaro quello che stessi facendo», ha raccontato Ning Lau. Poi è arrivata la moda, diventata un lavoro ma soprattutto una grande passione da coltivare e, appunto, collezionare. Nei tre magazzini affittati appositamente per conservare «in maniera sistematica e ragionata» questo ricco patrimonio, Ning Lau ha raccolto pezzi eccezionali di Dries Van Noten e Maison Martin Margiela, oltre a una preziosa collezione di Kelly di Hermès e una selezione di scarpe da fare invidia a qualsiasi donna. Un patrimonio raccolto in un libro-album. «Per poterlo condividere con gli altri. La gente tende a trovare molte scuse per non fare le cose, come l’incapacità di farle o la mancanza di tempo… Ma se a capo di tutto c’è la passione, le forze vengono da sé. Così è successo con questo libro». E Ning Lau è riuscita a pubblicarlo con il contributo di un team creativo di Hong Kong, con la stessa determinazione e

meticolosità dimostrata nel raccogliere gli oggetti. Ma cosa ha guidato le sue scelte? «Ogni creazione di Dries Van Noten rappresenta per me un pezzo d’arte. Amo la sua capacità di traslare riferimenti all’arte etnica nella moda, la sua spiccata abilità tecnica e le silhouette innovative dei suoi capi. Ma soprattutto apprezzo Van Noten come persona. Lo considero molto elegante e autentico», ha spiegato Lau, «per quanto riguarda Margiela, invece, si tratta del brand che probabilmente mi ha ispirato di più nell’orientare la mia carriera verso il marketing... ho studiato fashion design all’università. Sono stata colpita dal modo in cui Margiela è stato concepito come brand, con uno spirito quasi religioso, indipendentemente dalle pure logiche di vendita di un capo». E poi la grande passione per la Kelly di Hermès, legata a un anedotto speciale. «Ho avuto la mia prima borsa simile alla Kelly in regalo da mio marito», ha proseguito, «era una Herbag in canvas. Mi sono

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innamorata di questa forma ed è allora che ho iniziato a collezionare vere Kelly. Per me è stata un’esperienza eccezionale poter visitare, quando ero fashion editor, il museo Hermès in rue St. Honoré a Parigi e ripercorrere la storia di questa maison». Non è stato un designer specifico ad aver guidato le scelte di Ning Lau in merito alle scarpe. Ma una certa ossessione. «Normalmente compro solo pump. Non mi piace che si vedano le dita dei piedi, ritengo che siano una parte molto personale del corpo. Per questo non ho mai preso in considerazione scarpe che lasciassero libera la punta dei piedi. E le uso abitualmente. Molti dei pezzi che ho acquistato sono infatti senza tempo, non sono legati a trend specifici. Sono i miei tesori». Tesori di una collezione che continua a crescere, anche se oggi si sviluppa: «In maniera più razionale. Non compro più sconsideratamente ma con ponderazione», ha concluso, «e ho iniziato a fare bambole, a mio parere l’alta evoluzione del collezionismo». Chiara Bottoni Nelle foto di queste pagine in alto, da sinistra: le collezioni di Kelly Hermès, di abiti Maison Martin Margiela, bambole e capi Dries Van Noten. A lato, un mix di fiori e la cover del libro di Ning Lau


tai Recuperare l’estetica della Cina tradizionale e riadattarla espositivo-abitativo creato da Cys asdo, racconta la cultura


ipei

antique history

in un building modernista a Taiwan. The Heritage, spazio architettonica dell’Ex Celeste impero. In una galleria di cubi design Testo Matteo Zampollo - Foto KM Lee


La storia rocambolesca di Taiwan non può che andare a braccetto con quella, forse anche più complessa, della Cina. Conosciuta fino alla metà del secolo scorso come Formosa, è diventata isola rifugio per il Kuomintang dopo che il partito di Mao ebbe il sopravvento nel governo della Cina. Da allora, Taiwan cerca sempre più di restare indipendente e di avere un proprio peso specifico, cosa che ufficialmente le verrebbe anche riconosciuto, ma che il governo della Repubblica popolare cinese non riconosce. Ma al di là degli screzi politici, Taiwan deve alla Cina la sua storia, dopo essere stata terra di conquiste per buona parte dei secoli passati. Come il suo antico nome suggerisce, l’influenza europea, in generale, è stata una delle più importanti per l’isola. Ma le sue radici, soprattutto quelle culturali, sono legate a doppio filo con l’Ex Celeste impero. Anche per queste premesse, Taiwan e la sua capitale pro-tempore, Taipei, sono diventate una vera e propria fucina di creatività, tra architettura e design. Tanto da sviluppare una sorta di città parallela, che si basa su strutture mobili e temporanee ai confini della legalità, create esclusivamente per dare sfogo a improvvisi istinti design, spesso scontrandosi con i piani regolatori ufficiali. In questa culla di creatività, forse anche inaspettata, trova spazio The Heritage. Un po’ studio, un po’ abitazione, un ibrido indefinito che scorre in mezzo alla natura. Costruito su un terreno irregolare, su una serie di colline a pochi chilometri da Taipei, il progetto The Heritage racchiude nel suo nome tutto quello che questa struttura rappresenta. L’eredità, il peso di una storia importante e piena di ispirazioni, con radici che affondano nella notte dei tempi. Un po’ abitazione, un po’ casa vendite, il lavoro messo a punto dallo studio Cys asdo, uno dei maggiori rappresentanti dell’architettura orientale, è una summa di tradizioni e novità. Tante novità. Intanto, quella di

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In queste pagine, da sinistra, una veduta del corridoio e un vano dedicato al design cinese; in basso, uno scorcio con vista sull’esterno, il giadino dal setting orientale e una zona riunioni. In apertura di servizio, una veduta dell’esterno di The Heritage a Taipei


A lato, un dettaglio della costruzione. A destra, una piccola galleria d’arte e una veduta della zona bar. In basso, l’esterno di The Heritage a Taipei

non pensare l’edificio come una struttura sola. Anzi, creare tante piccole unità, ognuna con una propria funzione e una propria personalità. Come se un’esplosione avesse diviso tutte le parti classiche, per trasformarle in cubi indipendenti. Ognuno con una funzione differente, ognuno collegato da una maschera esterna che avvolge tutta la struttura. Ma che, ovviamente, non si limita ad avere una funzione tecnica, ma anche una estetica. Lascia intravvedere gli interni che meritano di essere visti, nasconde gli spazi privati o quelli di semplice servizio. Crea piccoli anfratti, giardini segreti riempiti da piante verdi. In questo modo, ogni spazio, pieno o vuoto che sia, può creare un modo di rapportarsi differente con le zone esterne. Mantenendo l’aspetto esteriore unitario, mimetizzando gli spazi cubici, evolvendoli a una nuova forma, più armonica e meno rigida. E definendo una dialettica continua di contrasti, di strutture piene e vuote, che si ritrova anche nella parte interna di The Heritage. Per sottolineare lo spirito della cultura cinese, con radici ben piantate anche a Taiwan, sono stati installati alcuni elementi storici per creare un’architettura di tipo nativo. L’utilizzo del legno, del bambù, i richiami ai colori caldi, le porte scorrevoli prese in prestito dalle pagode e la struttura a barca della casa. E non solo, lo spazio viene suddiviso ispirandosi alle scatole cinesi. L’Estremo oriente, i ricordi della tradizione che vengono fagocitati e ribaltati. Riassunti dentro quattro mura. Nello studio trova posto anche una micro galleria d’arte e una zona bar. Per offrire ai visitatori non solo un luogo per concludere i loro affari, ma soprattutto la possibilità di vivere un’esperienza totalizzante e ad altissimo impatto emozionale.



b a r rientale o c c o

Imperatrici ammantate di nero crepuscolare. Preziosismi estremi e arabeschi dorati. Per dipingere il ritratto di raffinate concubine, immaginate nel cuore di Pechino e di una Cina imperiale, opulenta e fascinosa. Popolata da guerrieri e dragoni, da fate e streghe overdressed, figlie di Tin Hau, dea madre del cielo e del mare. Per una storia raccontata attraverso i ricordi evocativi di leggende antiche

Foto Chen Man/Madame Figaro/Volpe images


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A lato, da sinistra: coat brodée e pantaloni Prada, pull in lurex Louis Vuitton, orecchini Crézus, collier e anello Burma, broche sui pantaloni Dary’s; coat in vinile e abito ricamato Dior, collier Delfina Delettrez, anelli Dary’s e pochette metallica Lanvin. In apertura, a sinistra: camicia American vintage, gilet ricamato A.F. Vandevorst, pantaloni Comptoir des cotonniers, occhiali Ray-ban e anelli Mawi e Burma; a destra, abito in mousseline Gucci, acconciatura gioiello Dolce & Gabbana e orecchini Buccellati

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Da sinistra: giacca doppiopetto in astrakan Salvatore Ferragamo, lungo abito in pizzo Kookai, collier tribale Sergio Rossi, bracciali Louis Vuitton, guanti Dior e stivaletti couture Giuseppe Zanotti design; abito corto ricamato Fausto Puglisi, orecchini Burma e decolletĂŠs nere Gianvito Rossi.


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Nella foto, da sinistra: tuta pantalone in seta Paul & Joe, collier Poggi, spilla Ben-Amun e anelli CrÊzus; abito in neoprene ricamato Lanvin, collier metallico Roberto Cavalli, occhiali Versace e guanti Maison Martin Margiela Servizio a cura di Agnès Poulle; hair & make-up David Tian; location Aman at Summer place di Pechino (www.amanresort.com)



at home with Ai Weiwei Una guesthouse d’artista, nata dall’incontro tra le visioni minimaliste del creativo cinese e la maestria progettuale degli svizzeri di HHF architects. In un gioco di rimandi tra arte e architettura, che prende vita sulle colline dello stato di New York Testo Matteo Zampollo - Foto Iwan Baan

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Due collezionisti d’arte, con una passione sfrenata per i lavori concettuali e battaglieri di Ai Weiwei. Oltre che con una serie di legami importanti, che li spingono a voler restare anonimi. Non deve essere stato facile arrivare a chiamare lo stesso paladino creativo dei diritti umani per progettare la propria casa. Ma questo è proprio ciò che è successo a una coppia arty della Columbia county, che ha deciso di spostarsi sei anni fa un po’ più a sud, sulle colline dello Stato di New York, a due ore di macchina da Manhattan. Forse per cercare un po’ di quiete, forse anche per realizzare i propri sogni e regalarsi una abitazione che diventasse parte della loro stessa collezione. Così sono iniziati i primi contatti: in primis con lo studio svizzero HHF architects-Herlach Hartmann Frommenwiler, poi con l’artista cinese. Due nomi che avevano già lavorato insieme, in più di un’occasione. Non ultima, la creazione di uno dei 17 padiglioni che occupano il Jinhua architecture park, nella provincia dello Zhejiang, progettato proprio da Weiwei. Ma dopo aver visto la loro Tsai residence completata, hanno deciso di fare un passo in più. Perché non poter accogliere anche i loro ospiti in uno spazio dal tasso artistico elevatissimo? Già, perché la casa in questione, in realtà, è soltanto la guesthouse, una parte staccata, destinata a essere occupata da chi viene a trovare la coppia. Di costruzione più recente rispetto all’abitazione principale, la guest house è situata in posizione decentrata. Una collina scoscesa, parte dei 40 acri di terreno di proprietà della coppia. La casa degli ospiti ha una pianta a Y smussata, sopraelevata. All’interno, la quintessenza del minimalismo. La mano e la testa di Ai Weiwei traspaiono in ogni singolo dettaglio, anche se l’artista non ha potuto partecipare ai lavori direttamente.

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Nelle foto di queste pagine, gli interni essenziali dell’abitazione, tra ingresso, stanza da letto, sala relax e uno scorcio dell’area giorno (nella pagina accanto, in alto a sinistra) con le Zodiac heads progettate da Ai Weiwei. In apertura, l’ingresso della guesthouse creata da Ai Weiwei insieme con HHF architects

Nominato di recente dalla rivista ArtReview al terzo posto tra le persone più influenti del mondo dell’arte, fino al 22 giugno scorso Weiwei era in regime di libertà a raggio ridotto e sotto tutela. L’esistenza del creativo orientale dal 2009 in poi è stata minata da continui scontri con le autorità governative. Il suo blog, dal quale spesso aveva attaccato la linea del governo cinese, era stato chiuso e due anni dopo Weiwei è stato arrestato per opposizione al regime. Durante i suoi 81 giorni di prigionia, in un luogo segreto e senza alcun contatto con l’esterno, il mondo dell’arte si è mobilitato, chidendone la liberazione, con numerose raccolte firme e petizioni on line, alcune promosse anche dall’Italia. Anche grazie a queste pressioni, Ai Weiwei è stato liberato il 22 giugno 2011, dovendo però subire un altro anno di regime di libertà vigilata. Così, gran parte del lavoro sulla guesthouse americana è stato fatto a distanza. Ma lo studio HHF architects, già autore della Tsai residence, ha intriso dello stesso stile anche questa seconda espansione. Semplice ma gonfia di personalità, un piano rialzato, una palafitta contemporanea. Esterno e interno sono in continuo contrasto: l’acciaio Cor-ten dell’esterno, ruvido e volutamente imperfetto, postindustriale, si scontra con il legno delle zone interne, lucido e di fattura ricercata. Poche stanze, quelle necessarie per passare qualche notte ospiti della coppia. Un bagno, una kitchenette, uno studio e una stanza da letto. Oltre a una micro-galleria che viene utilizzata come spazio personale per esporre le proprie ultime acquisizioni. Pochissimi muri, forme indefinite, molti spazi aperti. Luce, il più possibile naturale, che filtra dalle ample vetrate. E una straordinaria continuità con l’ambiente circostante. Soprattutto nella stagione autunnale: il


In alto e sotto, due immagini suggestive dell’esterno della casa adagiata tra gli alberi sulle colline dello stato di New York

Cor-ten rossastro che ricopre la guesthouse si confonde con le foglie caduche delle foreste delle colline di New York. Questo rappresenta un segno distintivo del lavoro di HHF architects: la loro filosofia è infatti quella di utilizzare ciò che già esiste nella zona come fonte di ispirazione del proprio lavoro. Di più, la firma svizzera vede ogni commissione un’opportunità di sviluppare nuovi linguaggi architettonici, cercando di tradurre proprio gli ambienti naturali in spazi abitativi. Con l’approvazione finale di Ai Weiwei che, nonostante le difficoltà legate alla sua condanna,

ha seguito gran parte del progetto artistico della casa. Oltre che essere presente all’interno della casa attraverso quattro Zodiac heads: rappresentazioni dei dodici segni dello zodiaco cinese, sono tra le sue sculture più famose e sono ancora in tour per tutto il mondo fino al 2014. I collezionisti possiedono una copia dell’intera linea. E ne hanno poste quattro che campeggiano fiere all’interno degli spazi della zona giorno. A fare la guardia a questa esplosione di creatività, caduta come un meteorite negli spazi verdi dello stato di New York.

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for the way it's made. Chef Touch è un rivoluzionario sistema per la cottura sottovuoto a bassa temperatura, unico e delicato. Mantiene integre le proprietà organolettiche degli alimenti, la loro naturale umidità e ne accentua il sapore e gli aromi. Un alleato perfetto anche per la conservazione ottimale del cibo. Macchina per il sottovuoto, forno a vapore e abbattitore di temperatura. Con Chef Touch abilità, passione e creatività si uniscono a unicità, professionalità e design per cene da veri chef anche a casa propria. Realizziamo l’eccellenza. Condividiamo. Facciamo qualcosa di speciale insieme. www.kitchenaid.it



Asianfever Rinchiusi in una scatola cinese che svela una febbre oriental, pronta a contagiare la moda occidentale. Tigri, grafismi tattoo e dragoni contagiano la primavera 2013. Mescolando acuti urban-street a un heritage rigoroso, ritratto in una natura sintetica

Servizio e Foto Stefano Roncato

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Bomber Costume national-Toiletpaper, pantaloni e scarpe Costume national homme. A lato, kimono e accessori Versace, pantaloni Costume national homme, tank top vintage In apertura di servizio, abiti e accessori Kenzo dalla fall-winter 2012/13 e skateboard vintage

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A destra, total look Emilio Pucci, scarpe Kenzo e skateboard vintage Photo consultant: Michele De Andreis. Hanno collaborato: Francesca Manuzzi (moda) e Alberto Lapenna (photo assistant). Grooming: Nadine Musacchio. Models: Blake Johansson, David Auguscik, Italo Souza e Joachim Gram @ Independent men. Location: GlassHouse thanks to Costume national

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ChinaExpress La dinastia Ming e lo charme dell’Ex Celeste Impero contaminano l’arredo più ricercato. Fra estetica aristocratica e linguaggio contemporaneo. Per creazioni sopra le righe, dai dettagli kitsch e dall’attitude volitiva. Simboli di un Oriente sempre più estremo a cura di Cristina Morozzi - artwork Giorgio Tentolini


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Fratelli Boffi

Mobile-contenitore della serie I classici, con base intagliata a mano e rifinita in foglia d’oro invecchiata. Design Ferruccio Laviani


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David Gill galleries

Pond, tavolo in resina nei colori della giada cinese. Design Gaetano Pesce


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Moroso

Hidden dragon, divano imbottito dalle proporzioni futuribili. Design Zhang Ke


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Contrasts gallery

Seduta in legno Xian, tiratura in soli 30 esemplari. Design Shao Fan


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Francesco Meda

Consolle della serie Orme Cinesi, costruita assemblando alluminio ed elementi di recupero di vecchi mobili cinesi


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XO

Mi Ming, poltroncina in plastica trasparente con schienale rosso; riproduzione della classica sedia cinese Ming. Design Philippe Starck


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Alessi

Clouds root, coppia di vassoi in acciaio inox con finitura a specchio. Design Wan Shu


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Adele-C

Day bed, Sommier imbottito con struttura in metallo e piedini in acciaio verniciato. Design Ron Gilad


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Naihanli&co

Mobile in legno di recupero e pieghevole, parte della serie The Crates


dina


astia imperiale Tre palazzi dell’era Ming rivoluzionati per creare un nuovo albergo. Succede a Zhouzhuang, antica città della Cina meridionale affacciata sul mare, che ospita uno degli hotel più esclusivi del Paese: un mix di modernità e classici della cultura orientale Testo Matteo Zampollo - Foto Derryck Menere


Sopra, una delle 20 suite dell’albergo; in basso, una veduta dall’esterno della hall. In apertura, l’overview della corte interna del Blossom hill hotel

Se la chiamano la Venezia d’Oriente, un motivo ci sarà. Forse la sua storia di più di 900 anni, forse il suo stile e la struttura, ancora la stessa, del borgo originario. Oppure per le sue case residenziali, conservate nella loro bellezza originaria. Zhouzhuang è una piccola perla di storia e di tradizioni cinesi: affacciata sul mare e percorsa da oltre 30 canali, è forse uno dei luoghi che meglio riflette la tradizione imperiale cinese e che meglio racconta la sua millenaria storia. E proprio da tre diversi edifici, risalenti alla dinastia Ming, è sorta una perla di design contemporaneo, vero segno dei tempi che cambiano anche nei luoghi più autentici della vastissima Repubblica Popolare Cinese. Due piani che ospitano oltre 2.500 metri quadrati di lusso senza tempo. Una ristrutturazione sapiente, condotta dal Dariel studio capeggiato da Thomas Dariel, ha donato una nuova anima al luogo. Un certosino lavoro di preparazione durato sei mesi, che ha permesso ai tre edifici di essere messi in piano, regolati e allineati. Pronti a fondersi in un’unica unità haut de gamme. Ovviamente, conservando la struttura portante, dal valore praticamente inestimabile. Una richiesta precisa, visto che il Blossom hill hotel, un albergo boutique con 20 suite, avrebbe dovuto incarnare la storia stessa della città di Zhouzhuang, oltre che riflettere la storia del popolo cinese. Proprio per rispettare il più possibile questi dettami, Dariel ha elaborato il concetto di: «Un vero e proprio viaggio sensoriale attraverso le

varie stagioni», ha spiegato. E per il suo lavoro si è ispirato alle 24 stagioni del calendario solare tradizionale cinese. Fedele al mondo spirituale che caratterizza questa cultura, Dariel ha studiato l’esposizione solare delle varie stanze fondendo, per ognuna di esse, la luce naturale del sole con arredi e colori, oltre a simbologie studiate appositamente per descrivere un momento diverso del ciclico rincorrersi delle stagioni. Fil rouge, ideogrammi incisi come parte di una cura maniacale per far emanare autenticità da ogni singolo dettaglio. Non solo, un lavoro di preservazione, ma che tende a enfatizzare certi aspetti, con l’inserimento di vasi, soprammobili e dettagli di arredo che accentuano l’eredità storica del luogo. Spiritualità, tradizione, ma anche ricercatezza contemporanea. Così trova il suo spazio anche il moderno design, declinato però, in pieno accordo con l’eco di derivazione Ming che si respirano nel palazzo. L’hotel trova il suo punto di forza proprio in questa fusione, volta a creare un’esperienza totalizzante, all’insegna non di un lusso sfrenato e banale, ma: «Di una dimensione couture di grande delicatezza e rarità», ha aggiunto il designer. Anche le numerose stampe fotografiche rappresentano un vero e proprio tributo alla sapienza artigiana e artistica cinese. Non solo un luogo in cui stare, ma un viaggio nell’anima più vera della città. Attraverso la storia millenaria di un popolo, vista attraverso gli occhi della modernità occidentale.

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Sopra, la zona ristorante decorata nei toni del verde giada. In basso, a sinistra, il bar con dettagli di design francese e un particolare dell’arredamento


lema

Zig Zag, libreria con moduli in legno laccato, variamente componibili. Design Nendo

piazzetta

HT760T, stufa a legna in acciaio verniciato a fuoco, Alufer e ghisa.

galerie gosserez

Lampada da terra, con struttura in metallo e diffusore in tessuto trapuntato. Design Piergil Fourquie

AsianCult


la murrina

Lampada a sospensione in vetro di Murano. Design Simone Micheli

flexform

Abbracci, poltroncina in legno massello. Design Antonio Citterio

b&b italia

melvin anderson

Papilio, divano a due posti con alto schienale. Design Naoto Fukaswa

Vaso in vetro. Autoproduzione

sawaya&moroni

Torq, tavolino basso con struttura in metallo e piani in vetro. Design Daniel Libeskind

Da tempo gli artisti cinesi contemporanei occupano, da protagonisti, la scena dell’arte internazionale. Basti pensare a Chen Zen e alla sua emozionante installazione sonora

contrasts gallery

Vase coffee table, tavolino con supporti in vetro policromo, in serie limitata. Design XYZ

alla Biennale di Venezia nel 1999, o a Cai Guoqiang e alla sua esplosiva mostra al Guggenheim di New York nel 2008. Mentre nel design, eccetto Shao Fan, sino a due anni

fa non erano emersi nomi di rilievo. Va ad Alberto Alessi il merito di avere, per primo, ufficializzato una collaborazione tra la sua azienda e una ĂŠquipe di giovani designer

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cinesi, coordinati da Gary Chang, che ha prodotto Unforbidden city, una prima collezione di accessori per la tavola. Aperta la diga, l’onda cinese ha iniziato a dilagare. A ruo-


varenna

Artex, cucina componibile in legno laccato lucido ferro e rovere. Design CR&S Varenna

arclinea

Convivium, cucina componibile con ante e piani in acciaio inox

living divani

Bolle, piccolo tavolino composto da piani cilindrici con gambe in acciaio. Design Nathan Yong

AsianCult


bulthaup

Madia in legno della serie B2, dotata di attrezzature interne specializzate

seletti

Hybrid, piatti in porcellana contaminazione tra decori occidentali e orientali

panzeri

Ralph, lampada a sospensione in alluminio, ottone e rattan sintetico. Design Team Design

david gill galleries

Ming, vaso in ceramica ispirato ai classici cinesi. Design Fredrikson&Stallard

b&b italia

desalto

Holm, sedia con supporto in metallo e scocca in polipropilene. Design Piergiorgio Cazzaniga

ta Moroso ha proposto, al Salone del mobile 2012, una installazione del designer cinese Zang Ke. Sempre durante l’ultimo Salone del mobile, nell’ambito di Meet design, iniziati-

va della casa editrice Rizzoli, vari erano i designer cinesi in mostra allo spazio Ansaldo. Nel libretto rosso, pubblicato da Alessi come catalogo della prima collezione pensata

Tobi-Ishi, tavolo rotondo trattato con «bolacca» di cemento per effetto granito. Design Edward Barber e Jay Osgerby

da designer cinesi, Gary Chang si interrogava se valga la pena sottolineare le differenze tra le due culture, o se invece convenga indagare le somiglianze. Non è facile

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dare risposte: il design occidentale è adulto, quello cinese è giovane, senza ingombranti maestri alle spalle, senza ponderosi apparati teorici di riferimento. Vive una invidiabile


roche bobois

Teapot grouping, lampada a sospensione con diffusori a forma di teiera in porcellana bone china

orrefors

Flute da champagne e bicchiere da acqua in cristallo nero. Sono firmati dallo stilista Karl Lagerfeld

giorgetti

Dia, mobile buffet in legno massiccio di noce Canaletto e pelle. Design Chi Wing

AsianCult

ceccotti

Cambrè, tavolo in tondino di ferro e vetro. Design Marco Mangili&Mirco Sala Tenna


misuraemme atelier

AR1, carrello bar in tubolare di acciaio, con ruote raggiate in acciaio cromato con gomme rigide. Pezzo storico numerato

baxter

Maxime, credenza in legno, con ante rivestite in pelle. Design Roberto Lazzeroni

alias

Elle, seduta in alluminio verniciato e poliuretano Tech, rivestito in tessuto. Design Eugeni Quitllet

living divani

pearl lam galleries

Serie di tavolini Rabbit&Tortoise, con struttura in metallo e piano di forma irregolare. Design Junya Ishigami

condizione di libertà. Ed è questa la forza del nascente design cinese secondo Pearl Lam, titolare della galleria Contrast a Shanghai e a Londra, la prima a proporre de-

Salsiera in porcellana bone China. Design Peter Ting, serie limitata

sign artistico cinese. È il non avere parametri che stimola la creatività. Chi decide di abbandonare la via delle copie, che appartiene alla cultura tradizionale cinese, ha davanti

una pagina bianca. Può quindi inventare, contando sulla capacità manifatturiera cinese e su una tradizione di capolavori preziosi e virtuosi che non ha eguali. E poiché, come

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sostiene Chang: «Siamo nell’epoca della indeterminatezza», appaiono emblematici i lavori di Shao Fan, un pioniere del design artistico, che costruisce sedie ibride, contaminando


tisettanta

Centopercento Underline, armadio con ante a battente. Design Tisettanta Design Lab

foscarini

Doll, table lamp in vetro di Murano. Design Joanna Vautrin

nilufar giorgetti

Syn, comodino in noce canaletto con inserti in pelle. Design Chi Wing Lo

AsianCult

Sgabello in metallo, d’ispirazione cinese, in serie limitata. Design Massimiliano Locatelli


luceplan

Lady Costanza, lampada da terra con stelo flessibile. Design Paolo Rizzato

pearl lam galleries Peacock, letto in legno dipinto, con testiera decorata da penne di pavone. Design XYZ

baxter

Nepal, poltroncina con rivestimento in fibra acrilica. Design Paola Navone

tradizione orientale e occidentale. I suoi lavori sono collage di culture che ben rappresentano l’attuale melting pot. Analogo l’atteggiamento di Francesco Meda, cresciuto

alla severa scuola del noto padre Alberto Meda. Folgorato sulla via della Cina dalla possibilità di intersecare le due culture, ha dato vita al progetto Ombre cinesi per la

galleria Shoeni art Gallery di Hong Kong. Coadiuvato da abili artigiani cinesi ha contaminato la tecnologia del tubo curvato (Bauhaus), simbolo dell’industrializzazione occidentale,

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nascente negli anni 30, con elementi della millenaria sedia con braccioli cinese. Shao Fan e Francesco Meda possono servire da indicatori di tendenza per chi voglia arreda-


panzeri

Agave, lampada con diffusore rivestito da lamelle di metallo piegato. Design Diego Chilò

glas italia

Leon Battista, specchiera a forma di sfondato prospettico. Design Laudani&Romanelli

windfall

Lula, mini sospensione in cristallo sfaccettato

devon&devon

Wide Blues, consolle in metallo e finiture in nikel lucido, con vasche in ceramica

dedar

Pouf in corda con cintura in passamaneria colorata. Design Stephen Burks

flaminia

Oval, vasca in Pietraluce. Design Giulio Cappellini

AsianCult


effegibi

Auki, sauna in legno canadese dotata di cromoterapia e illuminazione a led

devon&devon Dancer,vetrinetta in legno e vetro fumĂŠ

gan rugs

Aram, tavolino basso con tessitura metallica. Design Nendo

flexform

Air, dormeuse con struttura in metallo nichelato e rivestimento in cuoio. Design Antonio Citterio

re la propria casa, guardando a oriente. Il segreto per essere attuali non è di percorrere la strada delle cineserie, recuperabili negli empori di import/export, ma contaminare,

abbinando puro design occidentale con esempi del nascente design cinese. Oppure andare alla ricerca di pezzi creati in Occidente, ispirati alla tradizione cinese. Agli inizi

degli anni 30, quando dilagò in Europa la moda delle chinoiserie, per essere di tendenza bastava esibire sulle credenze una coppia di vasi cinesi. Oggi basta portare

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in tavola un vassoio di acciaio lucidato a specchio della collezione Unforbidden city di Alessi. testi e setting Cristina Morozzi artwork Giorgio Tentolini



Arty in shanghai Alle spalle tre generazioni legate a doppio filo con il mondo dell’arte e un futuro che parla il linguaggio della Cina. Elisabeth de Brabant, grazie alla sua casa-galleria creata nel cuore della città, sta diventando la sacerdotessa della nuova estetica contemporanea orientale Testo Matteo Zampollo

Avere una famiglia alle spalle che da tre generazioni è tra le più importanti del mondo arty di New York può avere tantissimi pro. Ma anche dei contro che a volte si fa finta di non vedere. E crescere volendo diventare anche meglio dei propri familiari non deve essere un’impresa facile. Anche perché, tra i beneficiari della famiglia risultano quasi tutti i pezzi grossi del gotha dell’arte newyorkese e non: dal Moma alla Tate gallery, fino al Victoria&Albert di Londra. Ma è questa la mission di Elisabeth de Brabant. Partita da New York, ha studiato alla Columbia university per poi trasferirsi a Londra e frequentare un master alla Central St. Martin’s. Qui ha capito che il suo futuro non doveva essere quello di artista, ma quello di esperta d’arte. Che il suo occhio era migliore del suo tratto. E che aveva un talento speciale per riconoscere chi poteva sfondare in un mondo così complicato come quello dell’arte contemporanea. Dopo essersi trasferita in Cina, affascinata dal movimento artistico orientale e spinta anche dagli impegni

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A destra e in apertura di servizio, due interni della Shang Fang garden villa, casa-galleria creata da Elisabeth de Brabant nel cuore storico di Shanghai

lavorativi del marito, ha iniziato a collezionare alcuni pezzi degli artisti più importanti. Ma soprattutto di quelli che ancora dovevano formarsi del tutto. Così il suo lavoro è diventato un po’ complicato da inquadrare. «Non mi piacciono le definizioni classiche», ha spiegato de Brabant, «non voglio essere definita un art dealer o una gallerista. Penso che l’arte sia qualcosa di molto più alto, che abbia dei collegamenti con la società. Al di là del valore economico dei singoli pezzi, che, purtroppo, è diventato il metro di misura di molte gallerie». E così ha deciso di aprire la sua galleria, situtata nel centro di Shanghai. Numerosi sono gli artisti cinesi o in qualche modo connessi con la Cina che hanno partecipato alle esposizioni in questi anni: ultimi, in ordine di tempo, Hung Liu, Li Lei, Leng Hong, Shan Sa, Xiong Qin e Wang Xiaoben, protagonisti dell’exhibition «Perspective», aperta sino a fine 2012. Ma per avere una zona più discreta, ha trasformato di conseguenza anche la sua casa. Facendola diventare uno spazio espositivo domestico. A Shanghai tutti la conoscono come la Shang Fang garden villa. Uno dei nuovi centri nevralgici dell’arte orientale, nella quale Elisabeth de Brabant ospita spesso esposizioni private e cocktail per i nomi più in vista dell’arte mondiale. Che si ritrovano tra le mura di questa casa per osservare creazioni esclusive di numerosi artisti. La casa è una creazione degli anni 30 che è stata poi modernizzata e restaurata nel 2004 dagli architetti inglesi James Saywell e Wilfrid Wong. L’abitazione si trova su un’area privata, lontana dal traffico soffocante di Shanghai ed è fornita di un lussureggiante giardino e da una spaziosa terrazza al secondo piano. Potrebbe essere facilmente identificata come la dimora ideale per una socialite del mondo dell’arte. Esattamente quello che Elisabeth de Brabant sta diventando: la nuova sacerdotessa dell’arte contemporanea in Cina.

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Product 02-moustache

01-tisettanta

2046

Hong Kong secondo la pellicola di Wong Kar-wai: una camera d’hotel, robotica e wireless, sensuale e nostalgica. Tra cristalli e acciaio, colori bold e siderali

03-alias

01-TISETTANTA. Nodo, tavolo con base Shanghai game e piano in cristallo. 02-MOUSTACHE. Plan, vaso in ardesia con fori portafiori e ramoscelli. 03-ALIAS. ManzĂš, poltrona rivestita in pelle con base girevole a razze. 04-MULTIGEXPERIENCE. Nodone, seduta in poliuretano attorcigliato. 05-GENEVA. Mobile Home Theatre 2.0 wireless, con airplay e radio DAB.

06-DESALTO. Italia, tavolino a forma di sezione di trave con numero di serie. 07-BACCARAT. Variations, vaso in cristallo. Design Patricia Urquiola. 08-ARTEMIDE. Shogun, lampada con base serigrafata a righe e paralume a rete. Design Ettore Sottsass. 09-EGO. Sipario, armadio in legno ondulato e maniglie in metallo. ricerca di Cristiano Vitali

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02-cattelan italia

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03-abici

L’amore è una cosa meravigliosa La storia di una coppia contrastata e combattuta Che vive nella Hong Kong negli anni 50, tra paraventi d’altri tempi, spostamenti veloci in bici ed echi maoisti 01-VENINI. Tris di vasi in vetro soffiato e colorato dalla collezione Fazzoletti. 02-CATTELAN ITALIA. Estoril, libreria in legno tinto giallo. 03-ABICI. Camporella, bici da donna tinta in colore verde. 04-MORELATO. Biedermeier, tavolo ovale allungabile. 05-DIVANI & DIVANI BY NATUZZI.

Marlene, poltrona dalla schienale alto rivestita in velluto giallo. 06-HOME MADE. Statuetta in porcellana di Mao Tse-tung. 07-B&B ITALIA. Papilio, sedia in tessuto con chiusura a zip sul retro. 08-MISHA. Paravento rivestito con seta dipinta a mano. Soggetto QK1. ricerca di Cristiano Vitali

06-home made

05-divani & divani by natuzzi

07-b&b italia

08-misha


01-morelato

Product

02-doimo decor

A simple life 03-luceplan

Una vita fatta di cose umili. Quella da cui viene attratto il giovane Roger Leung del film di Ann Hui. Una vita tradotta in forme semplici, legni naturali e colori caldi

04-villeroy & boch

01-MORELATO. Malibu, credenza in legno a due antine. 02-DOIMO DECOR. BantĂš, cestini, ciotole e sottovasi in cellulosa. 03-LUCEPLAN. Costanza, lampada da terra con paralume in materiale plastico e base metallica. 04-VILLEROY & BOCH. Numa, vaso in vetro colorato. 05-IKEA. Karlstad, divano angolare

rivestito in tessuto. 06-ALESSI. Piatto fondo con bordo sagomato della linea Dressed. Design Marcel Wanders. 07-IKEA. PS 2012, tavolo con le estremitĂ estensibili. 08-LIVING DIVANI. Gruppo di sedie Family Chair in metallo con seduta in rete. Design Junya Ishigami. ricerca di Cristiano Vitali

05-ikea

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Addio mia concubina 01-sambonet 04-la murrina

Tra Mandarin oriental e la prima al teatro dell’Opera di Beijing, nel celebre dramma anni 90: piccoli touch da cinema, per svelare l’anima barocca della Cina antica 01-SAMBONET. Elite, caffettiera in acciaio inox argentato. 02-EDRA. Scrigno, cassettiera rivestita di frammenti di specchio giallo. 03-EGO. Nappa, tavolo con base a forma di nappa e piano in cristallo. 04-LA MURRINA. Rossini, lampadario a nove braccia in vetro soffiato decorato con rose portalumi. 05-BAXTER. Chester moon, divano in

pelle capitonné. Design Paola Navone. 06-FLEXFORM. Guscio, poltroncina in pelle con basamento in legno. 07-PATINA. Padova, sedia in legno lavorato e dipinto, con seduta in tessuto intrecciato. 08-GIOVANNI RASPINI. Margherite, coppia di candelabri in argento lavorati a mano. ricerca di Cristiano Vitali

08-giovanni raspini

05-baxter

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Fashion

Story teller

Cinquant’anni illuminati

«Bisogna sempre guardare avanti, ma qualche volta bisogna fermarsi e prendere atto di quello che si è costruito», ha detto Piero Gandini, anima di Flos. Che celebra il suo anniversario tra innovazione e mondo digitale «Bisogna sempre guardare avanti ma, a volte, c’è bisogno di fermarsi e volgere lo sguardo indietro, per prendere atto di quanto si è costruito fino a questo momento e poter proseguire con piena consapevolezza». Con queste parole Piero Gandini, presidente e ceo di Flos spa, celebra un anno di festeggiamenti in occasione del 50° anniversario della propria azienda. La realtà di Merano da 128 milioni di euro e leader nel settore dell’illuminazione residenziale e architetturale, infatti, si è impegnata in un progetto ambizioso per raccontare mezzo secolo di genialità ideando, insieme al fotografo artista Ramak Fazel, un’applicazione multimediale per iPad che permette un tour virtuale attraverso la storia e il percorso creativo di Flos. Ad affiancare l’iniziativa anche due importanti novità nel settore tecnologico come l’accordo siglato con Bio-on per la riedizione di lampade, come la Miss Sissi di Philippe Starck o Piani dei fratelli Ronan ed Erwan

Bouroullec fino a oggi realizzate in materiale plastico, nel nuovo bio-polimero PHAs, biodegradabile in acqua al 100%. Senza dimenticare la produzione in O-Led della lampada Light Photon di Philippe Starck, realizzata per l’anniversario in soli 500 esemplari. Con una crescita dei ricavi del 15,8% rispetto al 2010, Flos, adesso, punta a implementare ancora di più i propri asset come la sperimentazione e l’impulso alla ricerca, nel rispetto della libertà creativa ma soprattutto seguendo un concetto d’innovazione capace di non perdere quel senso poetico dell’operare con la luce che ha sempre contraddistinto il marchio. Così come ha raccontato Gandini in questa intervista. Domanda. In occasione dei vostri 50 anni potevate creare un libro-album e avete invece scelto di fare un’applicazione... come mai? Risposta. L’idea di ripercorrere la storia di Flos è stata di mia madre. Ha messo in piedi in totale autonomia

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un suo team di persone, creato softwares, trovato immagini, dati e fatti, oltre 5 mila documenti che sono stati scansionati e archiviati, dal primo all’ultimo. Come raccoglierli? La prima idea classica è stata un libro, ma nonostante quest’ultimo dia la possibilità di inserire belle immagini e dei bei testi, ci sembrava uno strumento un po’ retorico e consueto. L’ideale era qualcosa che riuscisse a trasferire non solo il fascino sensoriale degli oggetti storici, ma anche le emozioni e le passioni evocate da quegli stessi. Abbiamo, quindi, deciso di trasferire questo patrimonio di informazioni e di immagini in qualcosa che potesse ben rappresentare ciò che siamo. Volevamo che chiunque, a costo zero, potesse usufruirne in una sorta di viaggio attraverso Flos. Ci è sembrato che un’applicazione per strumenti digitali fosse lo strumento più idoneo per rappresentare chi siamo, come siamo nati e come saremo, anche con un tocco di poesia e di humor. D. In che contesto si inserisce il nuovo progetto dedicato al nuovo bio-polimero PHAS. Da un’azienda di lampade ci si potrebbe aspettare più un lavoro sui consumi che sulla biodegradabilità... come mai vi siete mossi in questa direzione?

R. Il contesto sociale del progetto PHAS biodegradabile è legato al fatto che oggi non si può prescindere dal tema ambientale. Flos, a tale proposito, si è mossa in due differenti direzioni. La prima, l’acquisizione in Belgio del brevetto del materiale Under-cover, totalmente cradleto-cradle, che ci ha consentito di sviluppare la nostra collezione Soft architecture. La seconda, la scoperta dell’azienda italiana Bio-On e della capacità di conciliare la tecnologia PHAS con l’industrializzazione. Bio-On ha la capacità di progettare il futuro attraverso soluzioni presenti e Flos è una realtà dedita per natura all’innovazione, pronta ad assumersi sempre le proprie responsabilità. Iniziare a lavorare insieme è stata uno step automatico, quasi naturale. Già dal 2014 cominceremo a realizzare plastiche totalmente ecompatibili che non traggono nulla dall’agricoltura, in quanto creati con degli scarti, e che renderanno tutto più contemporaneo e interessante. D. Come mai avete scelto una creazione di Philippe Starck come simbolo celebrativo di Flos? R. Dopo Achille Castiglioni, Philippe Starck è il designer con cui collaboriamo da più anni; la sua genialità e la sua creatività hanno contribu-


Story teller ito in modo fondamentale a formare la nostra azienda. Ci sembrava giusto che fosse questo grande maestro a fare eventualmente un pezzo celebrativo. D. Quali sono, secondo voi, traguardi fondamentali che hanno segnato la storia di flos? R. I traguardi fondamentali della storia Flos sono tanti, come tutte le storie complesse fatte da tante persone in tanti anni e in tante parti del mondo. Potrei citare i bei prodotti, i premi, la crescita aziendale, la penetrazione nei mercati, sono tutte cose «sante» secondo i criteri del successo imprenditoriale ma penso che la cosa più importante sia stata farsi riconoscere per questa sua capacità di rischiare, di essere sempre all’avanguardia. Che non faccia del rispetto e della fama del proprio marchio una sedia comoda su cui sedersi in modo stabile ma un trampolino per continuare a poter usufruire delle proprie capacità, delle proprie idee, dei propri sforzi per contribuire a un’evoluzione culturale in modo avventuroso e generoso. Credo e spero che la nostra azienda sia riuscita nel lavoro di sempre, dagli anni 60 ad oggi, a trasferire questo messaggio di grande impegno, di grande coraggio, di grande generosità. D. I cinquanta sono arrivati. Quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati per i prossimi anni? R. Consolidare gli importanti risultati che stiamo avendo. Essere ancora più specifici nel saper organizzare la crescita per settori. Questo non significa che l’azienda non terrà una libera interpretazione del design e che diventerà marketing oriented, ma implementare la capacità organizzativa in modo da saper vendere in modo più professionale e organizzato l’interpretazione di concetto luminoso e di design. D. Il 2012 è stato un anno particolarmente difficile per l’Italia ma anche per il mercato in generale. Come pensate di affrontare il 2013? Qual è la strategia che pensate di attuare per il mercato domestico? R. La distribuzione italiana si è trovata un po’ sorpresa dalla recessione e deve saper affrontare in modo più mirato il futuro. Anche la distribuzione deve selezionare chi resta e chi no. E resterà chi avrà più strategia, più creatività, ma anche più organizzazione e professionalità. La nostra strategia sarà il supporto: supportare quella distribuzione seria, sia tradizionale che digitale, che mette in campo professionalità e idee a lungo termine e con essa costruire un nuovo modo di vendere ai consumatori. D. Quali sono i mercati su cui state puntando maggiormente e quelli che ritenete per voi essere un asset strategico nei prossimi anni? R. Stiamo puntando su tutti i mercati. Abbiamo una buona concentrazione sull’Europa, quasi il 70%. Dobbiamo quindi incrementare le cifre al di fuori dell’Europa ma abbiamo gli Usa in importante crescita, il Nord America che, pur non essendo un nuovo mercato, ci può dare ancora grandi soddisfazioni. Siamo già cresciuti tanto e i nostri negozi vanno bene, ottime le attività di contracting e il rapporto con la distribuzione, anche attraverso internet. Ma pensiamo si possa raggiungere anche molto altro. E ovviamente, i mercati di Cina, Russia e India, nuove economie con grande sensibilità che riteniamo vadano assolutamente assecondate e seguite. Camilla Gusti

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