MFL 29 - Neo Romantico

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Neo RomaNtico

Romanticismo: movimento culturale del secolo XIX che, opponendosi a illuminismo e classicismo, esaltava la spontaneità della creazione individuale sulla ragione. Mai come in questo momento socio-culturale sono il sentimento, l’atmosfera, il pathos a prevalere su tutto. A guidare lo zeitgeist. E a questo mondo impalpabile di sensazioni, di passioni, di creatività folle e oltre regole è dedicato il nuovo numero di MFL - Magazine For Living, progetto editoriale studiato per raccontare un lifestyle di lusso. Dato per certo un vocabolario di alta qualità e di progettazione handmade, il design svela una maggiore libertà espressiva e un rinnovato coraggio di rischiare. Che si tratti di progettare un ambiente domestico o un mobile-scultura, uno spazio pubblico o un complemento di arredo. Ma sono tutte le arti visive a essere contagiate da una vena creativa irriverente e anticonformista. Dalla moda all’arte, dalla fotografia alla musica, passando per scultura e cinema. Nel segno di una passione ardente, figlia di un neo romanticismo 2.0. Stefano Roncato


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Sommario 16 18 e 19 20 a 23 24 e 25 26 28 30 e 31 32 34 36 38

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06. jEAn PAul GAulTIER. l’atelier parigino dello stilista in una foto di Michel Gibert dalla collezione jean Paul Gaultier per Roche Bobois Artwork: Giorgio Tentolini

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Evergreen/Organizzazione 2.0 di Camilla Gusti Follie/Irriverenti trasgressioni di Cristina Morozzi Atmosfere/Kiss me baby di Matteo Zampollo e Francesca Manuzzi Photography/Underwater decadence di Sasha Carnevali Sculpture/Burattini futuribili di Matteo Zampollo Art/Vermeer reloaded di Giuliana Di Paola Architecture/Remixing past & future di Alice Merli People/The stars are bourgeois di Francesca Manuzzi Music/ElectRomantic di Matteo Zampollo Cuisine/Food skyline made in Svezia di Francesca Manuzzi Book/Rock & royalty interiors di Sasha Carnevali Performance/Arcimboldo in versione XXL di Francesca Manuzzi Hospitality/Esotismo in riva al lago di Sasha Carnevali Living/Abitare l’arte di mr Fortuny di Alice Merli Events/Il Salone della speranza di Cristina Morozzi Objects/Nomadismo haute couture di Elisa Rossi Show/Le rose di mr Browne di Matteo Zampollo Fashion/Valentino’s renaissance di Elisa Rossi Esotismo borghese di Matteo Zampollo, foto Roberto Peregalli Design di corte di Cristina Morozzi, artwork Giorgio Tentolini Blurred girl servizio Stefano Roncato, foto Oskar Cecere Chambre blanche di Francesca Manuzzi, foto Birgitta Wolfgang Drejer/Sisters agency Neo Romantico di Cristina Morozzi, artwork Giorgio Tentolini Home sweet Home di Francesca Manuzzi, foto Magnus Mårding Pure nature servizio Stefano Roncato, foto Italo Gaspar Product/Assassini nati, Casanova, Attrazione fatale, Love story, Breve incontro, Bonnie & Clyde di Cristiano Vitali Story teller/Creare un futuro illuminato di Camilla Gusti


Le emozioni non vanno raccontate, vanno vissute.

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Nella foto, il Tao 10 di MisuraEmme

Evergreen

Organizzazione 2.0 Saper organizzare al meglio un arredo, può rivoluzionare la casa. E regalare soluzioni inedite. È il caso di Tao 10, il sistema componibile ideato da Mauro Lipparini per adattarsi ai living e moltiplicarne le funzioni. Derivato da Tao day, fiore all’occhiello di MisuraEmme, la nuova proposta rimane in linea con la strategia qualitativa e di marketing dell’azienda di Mariano Comense, puntando sulla coerenza stilistica del suo predecessore ed esaltandone i contenuti estetici e funzionali. Lo stile del designer toscano, basato su forme essenziali e linee chiare ed energiche, prende forma sulla struttura del nuovo pro-

getto e nella varietà di scelta nelle misure dei contenitori, sia base che pensili, che amplificano le possibilità di composizione evitando riduzioni. Spariscono le maniglie, grazie a frontali sporgenti delle facciate che facilitano l’apertura di cassetti. Tao 10 rispecchia la filosofia di MisuraEmme, incarnando la volontà di coniugare tradizione e avanguardia, riflettendo lo spirito di un’azienda saldamente legata alla sua storia e in costante evoluzione, con lo sguardo sempre proiettato a intercettare le nuove abitudini del vivere contemporaneo. Camilla Gusti

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Follie

Irriverenti trasgressioni

Vedere le cose come fossero aliene: è il mantra di una generazione di artigiani virtuosi, che giocano in bilico tra dissacrazione e trash. Riutilizzando l’esistente per creare qualcosa di inedito

Nicola Bolla è un medico torinese, specializzato in oculistica, lavora in ospedale e nel proprio studio. Non è solo dottor Jekyll, ma anche mister Hyde. Alla professione medica affianca un’intensa attività artistica con esposizioni in importanti gallerie italiane e internazionali, tra le quali la Sperone di Torino. Non si tratta di un hobby, ma di una vera e propria militanza nell’arte cui dedica genio e minuzioso lavoro manuale. Bolla è uno sculture figurativo che dà forma ad animali, quali tacchini, pappagalli, cerbiatti, pantere, ma anche a scheletri e teschi (nella foto a sinistra). Lo stupore che le sue opere suscitano, al di là della virtuosa lavorazione, dipende dalle materie che ha scelto di manipolare: minuti cristalli Swarovski e carte da gioco. Bolla moplastiche pantere, snelli cerbiatti, scheletri anatomicamente perfetti e li ricopre di minuscoli cristalli Swarovski, creando per le sue opere un manto lucente che sprigiona bagliori iridescenti. Mentre con le carte da gioco, come un prestidigitatore, crea pappagalli sul trespolo, gruppi di tacchini, sempre comunque pennuti. Assembla le carte con perizia, quasi fossero piume, riproducendo con esattezza la sagoma del volatile che, al posto degli sgargianti colori, sfoggia quadri, cuori, picche e fiori. Lavora sempre da solo, senza assistenti, appartiene al realismo figurativo, ma l’utilizzo di materiali estranei alla tradizionale pratica scultorea, lo preserva dal citazionismo, regalando alle sue opere un accento ironico e divertito. Il virtuosismo esecutivo lo apparenta, sebbene il suo percorso creativo sia solitario, a una nuova generazione di designer, soprattutto nordici, che hanno ritrovato il piacere d’essere artigiani, mettendosi alla prova con lavorazioni manuali per sublimare l’idea in esecuzioni virtuose. Ma dal lavoro di Bolla, oltre all’ indubbia perizia, traspare un vago gusto dello sberleffo. Che rende il suo repertorio inusuale e sorprendente, facendone, piuttosto, un erede dei surrealisti.

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Amber Cowan

Tra le artiste di punta della Galleria Heller di New York, Amber Cowan realizza prodigi di vetro. Le sue creazioni, ispirate alla natura, ne riproducono il rigoglio in complessi intrecci di foglie, pistilli e rami. Cowan non esalta la trasparenza e la leggerezza della materia vitrea, ma piuttosto la sua duttilità, quasi la modellasse a scalpello. I suoi intricati e aggrovigliati oggetti in vetro sono sordi e opachi, densi e stratificati. Sovente utilizza il vetro riciclato, come nel caso di questo centrotavola, realizzato con il vetro spesso delle bottiglie di vino (nella foto a sinistra). La sua abilità consiste nel restituire un afflato vitale ai suoi manufatti. Il fogliame del vassoio, traversato dalla luce, pare vibrante, quasi fosse mosso da un leggera brezza. Grazie alla lavorazione meticolosa, Cowan conferisce al vetro una nuova identità, meno astratta e più corposa. Rendendo plastica la sabbia silicica.

Ricky Swallow

Con la sua poltrona Come together, simile al Sacco di Zanotta, ma scolpita in legno, Ricky Swallow è uno degli straordinari protagonisti della mostra «Against the grain-Wood in contemporary art, design and craft», 90 opere di 70 creativi di varia provenienza in scena al Mad di New York fino a settembre. Al pari di molti altri manufatti in mostra, si tratta di un pezzo di bravura che dimostra come nel secolo del virtuale si moltiplichino le realizzazioni virtuose di designer e artisti che riscoprono gli antichi mestieri e il lavoro manuale per dare corpo alle loro visioni (nella foto a destra). Swallow ha scelto di modellare il legno, suggerendo un’idea di morbidezza, estranea alla materia lignea. Il teschio incastonato tra le pieghe, ulteriore esercizio virtuoso, conferisce alla composizione un’aura macabra e surreale che contribuisce a rendere conturbante la prodigiosa creazione lignea.

Seletti Toilet paper

È stata ufficialmente presentata al Salone del mobile di Milano 2013 la collezione di piatti e tovaglie nata dalla collaborazione tra il marchio di oggettistica Seletti e la rivista Toilet paper, il magazine di sole immagini di Maurizio Cattelan e Pier Paolo Ferrari. Humor nero tinto di colori pastello è la cifra stilistica di questo sconcertante servizio da tavola, destinato agli stomaci robusti. I motivi decorativi realistici sono dita mozzate, sturalavandini, un pesce ripieno di pietre preziose, cuori insanguinati, coltelli, cavalli da corsa, ferri di cavallo (nella foto a sinistra). I materiali sono volutamente poveri: latta per i piatti e incerato per le tovaglie. Stefano Seletti, spirito pop che ama sorprendere creando improbabili ibridazioni, è stato un fan della rivista sin dal primo numero e ha sempre pensato a come trasferire le inquietanti immagini del magazine sugli oggetti d’uso quotidiano. «Grazie a Seletti», ha spiegato Pier Paolo Ferrari, «alcune immagini sono riuscite, come da nostra ambizione, a diventare veri e propri oggetti. Speriamo di successo». a cura di Cristina Morozzi

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Leonardo DiCaprio (Jay Gatsby) e Carey Mulligan (Daisy Buchanan), con un abito speciale creato da Miuccia Prada, in un frame di The Great Gatsby di Baz Luhrmann. Courtesy of Warner Bros

Atmosfere

Kiss me baby C’è tutto lo splendore e la magnificenza del vero American dream. Gli scintillii, la ricchezza e la possibilità di farsi una vita come la si è sempre sognata. Ma c’è anche tutta la tragicità e il dramma. Le difficoltà. Il chiaro e lo scuro di un’America sincopata come il jazz di quegli anni. The Great Gatsby, il lavoro in uscita a maggio firmato Baz Luhrmann, riporta indietro di quasi un secolo pieno. Proprio dove il racconto di Francis Scott Fitzgerald ha inizio. I roaring twenties, talmente gloriosi che anche Hollywood ha faticato a pareggiare: cast stellare da Leonardo DiCaprio a Tobey Maguire fino a Carey Mulligan, un regista superlativo, il soundtrack affidato a Jay-Z. E poi i costumi della protagonista affidati al tocco di Miuccia Prada. Per far rivivere al meglio quella New York divisa in West ed East Egg, dove Jay Gatsby illude, prima se stesso e poi tutti gli altri, di poter non solo dipingere una vita a suo piacimento, ma anche riconquistare l’amore della sua vita, che vive esattamente di fronte alla sua lussureggiante villa. Una love story tragica, sofferta, passionale. «Non c’è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore». E nel cuore del Great Gatsby c’era forse troppo spazio. Matteo Zampollo

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Atmosfere

Il gioco di potere si ribalta: il giovane Antinoo sovrasta l’Imperatore magno Adriano. Quando «ogni uomo uccide ciò che ama», come recita Jeanne Moreau nel film Querelle di R. W. Fassbinder. Parole prestate a Francesco Vezzoli per descrivere la sua ultima opera, Self portrait as Hemperor Hadrian loving Antinous, durante la presentazione dell’opera in mostra all’Antiquarium del Canopo di Villa Adriana a Tivoli. L’opera s’inserisce nella ricerca dell’artista sulla cultura classica, affascinato in questo caso dal mistero che avvolge quest’amore, accompagnato da un delitto-suicidio storico. Tutt’oggi, infatti, non si sa se Antinoo sia stato vittima di un incidente o un caso di morte vicaria. I due busti, poggianti su plinti, raffigurano l’Antinoo in marmo di Carrara del XVIII secolo, copia di quello del Belvedere, e Adriano, realizzato nel 2012 in marmo statuario, e che rappresenta le fattezze di Vezzoli, in dialogo perpetuo con la storia.

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L’opera Self-portrait as Emperor Hadrian Loving Antinous di Francesco Vezzoli andata in mostra nel corso del 2012 all’Antiquarium del Canopo di Villa Adriana a Tivoli. Photo Sebastiano Pellion di Persano. Courtesy Francesco Vezzoli e Galleria Franco Noero, Torino


Un’opera di Theodora Allen tratta dal libro 49 Paintings by Theodora Allen editato da Hedi Slimane per Saint Laurent

Classe 1985. Al secondo anno dell’Mfa alla Ucla e nessuna galleria alle spalle. Theodora Allen, a soli 28 anni, può già vantare la sensibilità per un’estetica pre-raffaelita, non facile per il popolo young. E una collaborazione con quel gran genio di Hedi Slimane. La mente artistica di Saint Laurent ha infatti scelto il lavoro dell’artista e in occasione del suo ultimo show donna fallwinter 2013/14 ha allegato all’invito il bookalbum 49 Paintings by Theodora Allen. Nel libro i dipinti dell’artista sono giustapposti a fotografie notturne e nebulose, per enfatizzare l’atmosfera romantica. Affascinata dalla controcultura bohèmienne del XIX e XX secolo, dai pre-raffaeliti, dall’art and crafts californiano, fino ai cantautori del Laurel canyon di fine anni 60, unisce figure e oggetti di momenti culturali differenti per perderne il collocamento storico e gonfiare il piano intimo ed emozionale dell’immagine pittorica, rendendola attuale. Francesca Manuzzi


Photography

Underwater decadence

Un relitto al largo di Barbados. E la corte di Marie Antoinette in una crasi impossibile, studiata da Andreas Franke Non tutti i vernissage sono fatti per essere visitati con una brochure e un aperitivo in mano. Per quello di «The Stavronikita project» servono maschera, pinne e bombole da immersione. Fino al 10 maggio, gli appassionati di scuba diving e di fotografia potranno visionare le 12 opere realizzate dall’austriaco Andreas Franke usando come sfondo proprio il relitto della Stavronikita, una nave da carico colata a picco 20 anni fa al largo di Barbados. Il 46enne Franke, considerato dall’Archivio Luerzer uno dei 200 migliori fotografi del mondo, è un subacqueo professionista che esplorando il reef artificiale che si è creato con gli anni intorno alla nave greca ha sentito che lo scenario che aveva davanti: «Era come un paesaggio che avesse lasciato cadere il suo velo, vanitoso e vezzoso… come se la Stavronikita richiedesse uno specchio per mostrare la vita brulicante di coralli, spugne, conchiglie e pesci di ogni tipo che continuava ad animarla». Per l’artista viennese è stata immediata l’associazione mentale con l’estetica e la filosofia di vita rococò, la sua decadenza, il suo snobismo e la sua stravagante prodigalità. E tenendo fede al suo stile fatto di elaborate messinscene, che mescolando realtà e fantasia creano visioni e concetti inaspettati, Franke ha fotografato nel suo studio dei tableaux che hanno richiesto il lavoro di 30 persone tra modelle e modelli, agghindati, con il supporto di truccatori e parrucchieri, in costumi affittati dal teatro locale. Le immagini risultate da questi photo-shoot sono poi state sovrimpresse con un lungo e raffinato processo di post produzione a una serie di scatti presi dentro e intorno al relitto. Le opere sono state poi chiuse in teche di vetro e attaccate con calamite sulle murate della stessa nave che gli aveva già fatto da scenografia. In tutto, ci sono voluti tre mesi e 45 persone per ultimare il progetto. Le tecnologie più avanzate sono l’alleato ideale delle opere di Franke. «Oggi», ha spiegato, «abbiamo possibilità inimmaginabili solo pochi anni fa e questo apre la strada dell’immaginazione e della creatività. Con le mie foto dei relitti sommersi desidero attirare lo spettatore in scene mistificate del passato, giocando in uno spazio fittizio. È un lavoro che rivela molto di me. Nella mia fotografia», ha poi concluso, «cerco di costruire dei mondi illusori che vadano ben oltre la superficialità del business dell’avdertising. Ogni dettaglio fa parte di una produzione molto precisa. Nel momento in cui comincio a scattare tutto diventa chiaro: il concetto, la realizzazione, anche la post produzione. È solo l’interpretazione dell’immagine che lascio agli spettatori». A mostra finita, le stampe originali semicorrose dall’umidità del mare saranno esposte sulla terra ferma, mentre le copie possono essere ordinate su thesinkingworld.bigcartel.com. Sasha Carnevali

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Una delle opere di Franke tratta da ÂŤThe Stavronikita projectÂť


Sculpture

Burattini futuribili Un corpo nuovo. Un tronco che assume forme antropomorfe. Una scultura che definisce dei rapporti tutti nuovi nella dialettica tra uomo e natura. Nasce dalla tradizione della sua terra il lavoro di Aron Demetz. Stabilitosi in Val Gardena, da dove fa il pendolare per la cattedra di scultura all’Accademia delle belle arti di Carrara, il 40enne scultore ha preso in prestito il retaggio proprio dell’Alto Adige, come le incisioni del legno, che nella zona delle Dolomiti erano già praticate nel 600. Riadattandole con un linguaggio tutto nuovo. Ha infuso di spiritualità e di sacralità le sue opere, donando forme senza tempo. L’estetica contemporanea che si schianta in un clash atemporale con le tradizioni di una volta. Nuovo e vecchio, futuro e passato sono in un rapporto continuo. L’albero e la figura umana, simboli di vitalità, vengono quasi mummificati, richiamando immediatamente il suo opposto, una natura in decomposizione. Ne nascono sculture che paiono in divenire, anche grazie al lavoro di ricerca che Demetz ha continuato a fare nel corso degli anni. Oltre al legno, sapientemente lavorato come materia prima, l’artista ha aggiunto ai suoi ultimi lavori nuovi materiali e nuove tipologie di trattamento, che hanno contribuito a dare una nuova vitalità alle sue opere. Fogli lucidi di alluminio e argento, resina fatta colare sopra, o addirittura all’interno delle ferite dei corpi, contribuiscono a regalare un’attitude differente alle sue creazioni. Non più semplici personaggi contemporanei congelati in ritratti iperrealistici, ma esseri mutaforma, dotati di vita propria. Che si muovono in esibizioni sempre più apprezzate non solo in Italia, ma anche nell’area Mitteleuropea, facendo di Demetz uno dei nomi più promettenti del panorama scultoreo italiano. Matteo Zampollo Nella foto, due opere della serie Advanced minorities di Aron Demetz

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ph. Michele Poli

A.D.


Art

Vermeer reloaded

La ragazza con l’orecchino di perla si prepara un tè con indosso il suo turbante. Sì, ma anche jeans e ballerine. Mentre la Giovane donna ritratta in primo piano da Petrus Christi ora si mostra a figura intera per sfoggiare il suo miniabito di Prada. La dolce Madonna del Granduca di Raffaello veste sempre di rosso e blu, come vuole l’iconografia classica, ma rossi sono i leggings e blu è un top con scollo all’americana. Mentre Anna di Clevès, quarta moglie di Enrico VIII, sbuca dal ritratto ufficiale di Holbein e a gambe incrociate esibisce sfrontata il suo seno nudo. Sono solo alcuni degli esempi del ciclo Digital Paintings di Dorothee Golz, un progetto che ha lanciato nel 2005. «Sono sempre stata interessata alla fusione di elementi che appartengono a sfere differenti», ha spiegato la giovane artista tedesca, di stanza a Vienna, «a mix di medium diversi, come appunto la pittura degli old masters e la fotografia». Non a caso gli autori più citati sono i fiamminghi e Vermeer in prima linea. «La sua pittura aveva una qualità per così dire fotorealistica non solo per l’uso della luce ma anche per la scelta del soggetto. La ragazza con l’orecchino di perle, per esempio, sembra colta proprio nel momento in cui qualcuno la sta chiamando. Il risultato è una fotografia che finge di essere un dipinto di Vermeer proprio come i suoi dipinti sembrano un’istantanea». Così i volti di quei capolavori sono montati in un contesto contemporaneo dove tutto, però, dalla postura ai dettagli della scena ricordano la composizione di un quadro tradizionale. Una composizione in cui nulla è lasciato al caso. Dagli outfit delle modelle agli oggetti scelti per il set, dalla baguette di Fendi al braccio della fanciulla di Petrus Christi alla teiera Alessi Bombé tra le mani della ragazza di Vermeer. Giuliana Di Paola L’opera The pearl earring (2009) di Dorothee Golz



Architecture


La facciata dell’ex convento Sant Francesc a Santpedor in Spagna. (Photo Jordi Surroca)

Remixing past & future Un ex convento del Settecento rinato grazie a un intervento futuribile, space Questo il progetto dello spagnolo David Closes per lo storico Sant Francesc Nel rustico villaggio catalano di Santpedor si racconta di una rinascita della materia. Situata a 75 chilometri da Barcellona, la sagoma monumentale del convento di Sant Francesc racchiude in sé ancora tutta la sua storia, grazie a una sapienza artigianale unita a una mano contemporanea. Costruito nel XVIII secolo dai frati francescani, il complesso è riuscito a salvare la chiesa e parte delle mura perimetrali dalla demolizione avvenuta nel 2000. Il progressivo deterioramento della costruzione col passare del tempo è diventato però un punto di forza per David Closes, in grado di scolpire un ponte tra passato e futuro. L’architetto spagnolo, classe 1967 e alla guida di uno studio con sede a Manresa, interviene sulla cattedrale per il suo recupero dal 2003 al 2011, trasformandola in un auditorium e in una struttura culturale multifunzionale. Al centro della sua filosofia, l’obiettivo di abolire un’attività di ricostruzione in virtù di una fortificazione del tessuto storico e della sue ferite. Dal crollo parziale della copertura sono nate fonti di illuminazione naturale, che sono state temprate da un ampio lucernario costruito sul lato nord dell’abside, che svela anche la vista del campanile. La navata interna ha poi conservato tutta la sua unità spaziale. L’intervento studiato da Closes ha infatti interessato maggiormente la parte esterna. Incastonati nella facciata, nuovi volumi dall’anima futuristica denunciano un codice contemporaneo accanto a quello antico. Qui l’ibrido dei linguaggi diventa più che mai chiaro: i profili squadrati del monumento raccolgono il movimento misurato dell’innesto architettonico a vetrate, pur distinguendosi perfettamente nella loro dimensione cronologica. Una freschezza geometrica che continua nel percorso sinuoso e circolare articolato in un insieme di rampe e scalinate funzionali, che consentono l’accesso ai piani alti della chiesa. Un passo nella modernità che ha saputo raccontare, in modo definito, l’eredità romantica e decadente di questa cattedrale che oggi è in grado di rinascere a una nuova vita. A questo intervento di recupero, che ha mantenuto anche le dimensioni originali degli spazi, seguirà inoltre in futuro una seconda fase che abbraccerà un archivio storico situato nei piani superiori del lato meridionale della basilica. Un luogo polivalente, una chiesa primitiva e un museo. Simbolo concreto di una rinascita che parte dalle origini. Alice Merli

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Tilda Swinton nel video The stars (are out tonight) di David Bowie

People

The stars are bourgeois Icona vs icona. Capelli corti sia l’uno sia l’altra. Alti e magri. Con lineamenti del viso estremamente simili. Maestri dell’androginia. Di quell’impressionismo in cui lei è un lui e lui è una lei, rimanendo definiti come i personaggi più sexy degli ultimi decenni. Con i suddetti punti di convergenza, non era difficile ipotizzare che David Bowie e Tilda Swinton sarebbero diventati un tutt’uno. Nel video di The stars (are out tonight), l’ultima fatica del cantante tratta dall’album The Next Day e diretto dalla fotografa e regista Floria Sigismondi, fingono proprio d’essere marito e moglie. In un’atmosfera pale, di toni pastello, che lascia presagire la tipica situazione da Mulino bianco. Vivono vestiti di abiti sempre matchati: coat a uovo super per bene rosa battesimo per lei e trench beige pallido per lui, negli stessi toni dei marshmallows del supermercato dove fanno abitualmente la spesa; poi, pull giallo la Swinton e cardigan mostarda per la sua versione maschile e così via. In un ambiente da upper class anglofona, simile a quello del cinema indipendente in cui si ritrova a vivere Chloë Sevigny nel cult movie di Werner Herzog My Son, My Son, What Have Ye Done. Tra moquette turchesi, pareti verdi o di tappezzeria damascata, un mix di design 60s e déco, il racconto corre sul filo del rasoio di benessere e malattia, in una condivisione maniacale per la per-

fezione, che sfocia nello stalking, quasi a strillare le sempre maggiori invasioni della privacy 2.0. Le mura di casa dinventano una scatola in cui proteggersi. Stessa scatola emulata dalla teca in cui la Swinton ha vissuto per un’intera giornata, a beneficio del progetto The Maybe. Otto ore come opera d’arte vivente prestata per un’installazione still life, che verrà ripresentata altre sei volte durante l’anno in differenti aree del Moma-Museum of modern art di New York. L’attrice aveva già realizzato il tutto alla Serpentine gallery di Londra nel 1995 attraendo un pubblico di 22 mila visitatori e ricevendo la nomination per il Turner prize. Ed ecco l’ennesimo punto in comune con la carriera del Duca bianco. Anche Bowie, infatti, è in mostra al Victoria & Albert di Londra da fine marzo con «David Bowie is», exhibition monografica con più di 300 opere, tra pezzi d’arte, fotografie, film, set design, carteggi con testi di canzoni scritti a mano e 60 costumi di scena. Per finire, ulteriore intreccio tra i due, il discorso di presentazione della mostra tenuto dalla Swinton in assenza di Bowie, che ha descritto il suo rapporto con l’immagine dell’artista, definendolo: «Come un parente stretto, un cugino immaginario di primo grado, rossiccio, ossuto, pallido e rosato». Parola di star. Francesca Manuzzi

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James Blake nel video di Overgrown

Music

ElectRomantic Ci si potrebbe perdere in una sequenza infinita di definizioni che iniziano con post e nu. Ma il problema è che non si arriverebbe da nessuna parte. Perché la musica di James Blake sfugge a quasi tutto quello che c’è di razionale. Arrivare a 25 anni alla consacrazione definitiva è una cosa da pochi, ma questo gigante (non solo musicalmente, vista l’altezza) della nuova generazione brit ce l’ha fatta. A inizio aprile è uscito il suo secondo lavoro in studio, Overgrown. Dopo che il primo, omonimo, si era ben piazzato nelle classifiche e nei cuori di un mare di affezionati. Le atmosfere fumose, vagamente gloomy dei suoni di Blake, si appiccicano ai cuori. La costruzione, pezzo dopo pezzo, del nuovo album rivela qualcosa di nuovo, un approccio più maturo, completo. Lontano dal binomio piano-voce che caratterizzava il primo capitolo, ora si passa a uno studio più complesso del suono. A una sorta di orchestra elettronica che definisce un r&b apocalittico. Sensuale, ma in senso non necessariamente positivo. Ha un lato oscuro forte, incredibilmente intimo, che

abbraccia chi lo ascolta con il suo canto delicato. Con lui nell’album pochi nomi, ma estremamente importanti: Rza, storico membro del Wu tang clan, e Brian Eno, coautore di Digital lion, uno dei primi pezzi rilasciati che aveva scosso anche le fibre elettroniche della rete. Con lui, altre tracce lasciano il segno: Retrograde, il primissimo singolo estratto, catchy quanto basta per ampliare la base di pubblico, originale quanto basta per non far storcere il naso ai fan di lungo corso. O ancora Every day I run, con i suoi bassi sofisticati, o i beat disco-house di Voyeur. Un disco che parla. C’è poco da fare. Overgrown è un tuffo al cuore continuo. Una scarica di emozioni digitali, dark. «I don’t wanna be a star, but a stone on the shore», racconta in falsetto James Blake all’inizio della traccia. Nessuna brillantezza, ma i toni scuri della spiaggia di notte. Un percorso che parla di una vita intera. Che anche se non è stata vissuta in diretta, può essere sentita terribilmente vicina. Matteo Zampollo

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Cuisine

Nella foto sotto, lo still-life di Atelier food ideato dallo studio Pjadad e scattato da Henrik Petersson

Food skyline made in Svezia Calvinismo vs Italo Calvino. Nasce così il ristorante-laboratorio scandinavo Atelier food, nato dalla mente del top chef Stefan Eriksson. Con un sito web dalla homepage che strilla un passo di Sotto il sole giaguaro dello scrittore del ‘900 italiano, a celare una storia che ha avuto origine fatalmente il 12/12/2012 al numero 12 di Fredsgatan, all’interno dell’Accademia di belle arti di Stoccolma. Cibo e Bostik sociologico. È tutto questo Atelier food, che come stendardo sceglie uno skyline ortofrutticolo ideato dall’agenzia Pjadad dell’art director Petter Johansson e scattata da Henrik Petersson. Un maxi still-life ortogonale, cesellato con riga e squadra, per edificare una città dai building di primizie, poco invisibile e molto tangibile. Con assiepa-

ti cubetti di rapa rossa, zucca e patate. Sezioni di cipolle, mele, verza, cavolo cappuccio e chi più ne ha più ne metta. In un trionfo di geometria ultra precisa colorata, che riassume il concept di Atelier food. Che è prima di tutto collante sociale, ideato ad hoc per cementare rapporti umani. Social e food. Per un laboratorio culinario sperimentale, che chiama a interlacciare il lavoro di chef con artisti, designer, ricercatori ed esperti di comunicazione e business sotto il cappello comune di workshop, show-cooking con a cuore sostenibilità, energia, cultura e sviluppo urbano. Dove perfino gli appunti alle pareti del ristorante fungono da materia architettonica per la comunità. Francesca Manuzzi

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Una veduta d’insieme del Folly de Grandeur curato da Nicky Haslam’s

Book

Rock & royalty interiors

Nicky Haslam’s Folly de Grandeur: Romance and Revival in an English country house, appena pubblicato dalla casa inglese Jacqui Small, è uno splendido coffe table book in puro genere house porn: seducentemente fotografato da Simon Upton, illustra la storia e la vita del casino di caccia settecentesco già appartenuto a John Fowler (il decoratore d’interni a cui si deve «Lo stile english country house») che il celebre designer Nicky Haslam affitta dal 1978 dal National trust. Attraverso le 220 pagine che compongono il libro, Haslam guida il lettore stanza per stanza, cuscino per cuscino, apparecchiatura per apparecchiatura, raccontando di come si sia perdutamente innamorato e preso cura della sua casa di campagna. Circondato da un grande giardino con bordure fiorite, siepi, alberi secolari e

un lago che durante i weekend tengono molto occupato l’entusiasta padrone, l’edificio in mattoni rossi vanta una facciata in stile revival giacobita, ed è strutturato su due piani. Numerose statue punteggiano i vialetti del parco, mentre in casa mezzi busti e ritratti ad olio creano una galleria: «Di attori sempre pronti ad entrare in scena». Haslam, che si divide tra Londra e la sua adorata folly architettonica nello Hampshire, è noto per il suo stile eclettico e ricercato senza essere snob, che lui definisce con modestia un «hodgepodge», un’accozzaglia di regali, piccole manie, reperti fortunati, grandi investimenti. Tanto che tra i suoi clienti ci sono: Mick Jagger, Bryan Ferry, Ringo Starr, Rupert Everett e la regina del Brunei. Sasha Carnevali

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photo: www.studioventuno.eu

www.ceramicaflaminia.it Volo/Alessio Pinto, One/Mori e Ludovica+Roberto Palomba, Two/Giulio Cappellini


L’opera Four seasons (after Arcimboldo) di Philip Haas al New York botanical garden. Courtesy Philip Haas

Performance

Arcimboldo in versione XXL

Una potatura colossale. Torna l’effige di Philip Haas, sotto le mentite spoglie di un nuovo Edward mani di forbice. Pronto a creare cespugli 3D, sovradimensionati. Non emulando animali fiabeschi come il personaggio di Tim Burton, bensì coniando le Quattro stagioni dell’Arcimboldo. L’allegoria Rinascimentale italiana, dopo aver soggiornato in Piazza del Duomo a Milano nel 2011, piomberà dal 18 maggio al 27 ottobre di quest’anno al Giardino botanico di New York con l’intero quartetto di stagioni. Microcosmi antropomorfi, giganti da quattro metri e mezzo, che sembrano vivi come Mr. Potato, il giocattolo tubero dai tratti somatici intercambiabili o le abnormi palle cattura oggetti del videogioco nipponico Katamari Damacy. Una sorta di crasi siglata 1500, tra una nuova era d’addiction al crudismo e la disposofobia, la celebre patologia dell’accumulo. Tronchi nodosi, radici, grovigli di rami, piccole foglie e ortaggi simulano il portrait dell’Inverno, posto di fronte all’Autunno, coiffato con rami di salice, pere e mele, melograno, funghi e fichi. Tutti i prodotti della stagione, così

come avviene con il contraltare caldo. Con petali di rosa, boccioli, corolle, un bouquet rigoglioso di iris, gigli e aquilegia, poi bacche di belladonna e collane di margherite che fioriscono sul busto della Primavera. E l’Estate, esattamente come nel dipinto originale custodito al Louvre e unico a essere stato siglato dall’Arcimboldo, apparirà completamente adornata da frutta e verdura. Dalle ciliegie alle pesche, fino a cetrioli, melanzane e spighe di grano. «Ciò che mi affascina è l’idea della metamorfosi. Con Four seasons (after Arcimboldo) ho ricontestualizzato il classico Rinascimentale, ingigantendo, alterando la prospettiva del fruitore», ha spiegato Haas, che con un colpo di bacchetta magica, qualche effetto speciale hollywoodiano, che ricorda il cult movie Un ponte per Terabithia e un’attitudine all’architettura di giardini trasforma dipinti bidimensionali in sculture. Poste in un quadro simmetrico nel cortile dell’Enid A. Haupt conservatory, le sculture si fissano tra loro, in un dialogo tra i soggetti e visitatori. Francesca Manuzzi

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design PAOLO CAPPELLO

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Hospitality

Esotismo in riva al lago A Orta sorge una perla di architettura moresca, una reggia dell’hôtellerie deluxe: è Villa Crespi, riportata a nuova vita dalla mano dello chef Antonino Cannavacciuolo È nata quasi 135 anni fa come pegno d’amore di un industriale lombardo per sua moglie, e oggi viene tenuta in vita e coccolata da uno chef napoletano… per amore della moglie. È un’autentica storia da romanzo quella di Villa Crespi, che si staglia sulle rive del Lago d’Orta, tra Piemonte e Lombardia, un’aculeata folie moresca con tanto di torre-minareto in pieno contrasto con il dolce paesaggio lacustre. La volle l’Agnelli del cotone, Cristoforo Benigno Crespi, che nel 1879 acquistò un terreno a Orta San Giulio per edificarvi la casa delle vacanze estive per la famiglia; innamorato dell’architettura che aveva imparato a conoscere nei suoi viaggi d’affari in Nord Africa e Medio Oriente, chiese all’architetto e decoratore Angelo Colla, nello stesso periodo impegnato in vari incarichi di prestigio a Milano, di progettare per lui Villa Pia e condurne il cantiere che richiese 18 anni di lavori e una squadra di operai reclutati direttamente nei paesi arabi. Come sempre accade con le costruzioni del periodo tra ‘800 e ‘900 in stile eclettico, l’edificio è impossessato da un parossistico ma affascinante horror vacui: dentro e fuori e da terra a tetto dei suoi tre piani, è completamente coperto di decorazioni che, pur sembrando boiserie, al tatto si scopre essere state eseguite in stucco a stampo dipinto a mano secondo la tradizione dei paesi islamici e dell’Andalusia. Per le colonne del vestibo-


A sinistra, l’ingresso di Villa Crespi, istoriato da decorazioni moresche. Nelle altre immagini in basso, il Relais & Châteaux sul lago d’Orta e alcuni interni dell’hotel

lo, della veranda, della scalinata e delle finestre sono stati usati invece marmi pregiati come il giallastro broccatello di Spagna, il rosso di Francia, il verde di Polcevera, il rosso di Levanto, la pietra lumachella di Svezia e preziosi diaspri siciliani. I pavimenti sono impreziositi da eleganti seminati veneziani e parquet che compongono motivi geometricofloreali. Dopo il dilapidamento dei beni della famiglia Crespi da parte di uno dei figli del signor Cristoforo Benigno, la villa fu comprata dai Marchesi Fracassi Ratti Mentone di Torre Rossano (tra i loro ospiti più frequenti, il futuro re Umberto di Savoia) e successivamente messa all’asta con molti dei suoi mobili. Se oggi tutti i colori, i motivi e gli intarsi dell’edificio sono ancora vividamente conservati lo si deve alla cura e ai restauri del celebre chef Antonino Cannavacciuolo (la cui impeccabile cucina è pronta per la terza stella Michelin), che 13 anni fa ha preso in gestione la villa dal management che nel 1990 l’aveva già trasformata in hotel, e che l’ha reso una perla della catena Relais & Châteaux. «Sono arrivato sul lago durante l’alluvione del ’94: dal treno vedevo tutto allagato… l’intera zona sembrava una risaia», ha ricordato il solare chef napoletano. «Dove sono finito?, mi sono chiesto, giurandomi di restare al massimo sei mesi nell’hotel a cinque stelle dove volevo imparare a trattare i pesci di acqua dolce. Ma ho subito incontrato Cinzia, la rovina della vita mia, e quei sei mesi sono già diventati 18 anni». Aveva infatti solo 23 anni ed era da poco fidanzato con questa bionda bellezza locale quando gli fu offerto di prendere in consegna Villa Crespi, una sfida che, come dice lui, un capricorno e un ariete non potevano non accettare. Il rapporto con un edificio dalla personalità così marcata? «All’inizio una tragedia!. Era talmente bello che io sparivo: i piatti e l’apparecchiatura non potevano competere, chi si sedeva a tavola restava a naso in su a guardare i decori. Ma questo ci ha stimolati a migliorare ogni giorno. Ora quello che serviamo stupisce gli ospiti quanto il soffitto». Sasha Carnevali


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Living

Abitare l’arte di mr Fortuny Pamela Babey ha creato una maison raffinata nel cuore di San Francisco, rivestendola con le iconiche stampe dell’artista iberico-veneziano e distillando, in ogni ambiente, un profumo di elegante esotismo e di romanticismo old style Decorare un vecchio mondo e nuove case per generazioni. Un’eredità avvolta nella sontuosa arte del tessuto di Mariano Fortuny y Madrazo che si conserva ancora oggi nelle magiche dimore storiche e negli appartamenti metropolitani di San Francisco. Arroccata su un lato della Russian hill, la casa della designer californiana Pamela Babey rende omaggio al savoir faire del celebre artista veneziano, pittore, fotografo, collezionista e disegnatore di abiti che, per i suoi tessuti, ha raccolto il fascino dei motif ornamentali per reinterpretarlo in uno stile decorativo moderno. Ed è qui che la contemporaneità di una città in movimento raccoglie il linguaggio creativo del maestro, a partire dai disegni nati dai preziosi velluti del Rinascimento fino ai tessuti rubati alle antiche culture esotiche. Ogni centimetro di spazio della maison è occupato da ogni genere di oggetti, posizionati in un ordine meticoloso: quadri, opere d’arte, libri e abat jour fanno da cornice alle regali trame, protagoniste assolute. Spalmate sulle pareti, abbracciate a cuscini, cucite nelle sedie e nei divani. O pronte a deliziare un pranzo sulle tovaglie. Un pezzo di storia cucita agli inizi del ‘900 nell’azienda Fortuny, nata sulle spoglie di un antico convento nell’isola della Giudecca a Venezia, è oggi celebrata nel libro appena uscito Fortuny interiors realizzato da Brian Coleman. Babey colleziona frammenti di questo mondo grazie all’amicizia coltivata con la contessa Elsie Lee Gozzi (la cui famiglia realizzò i tessuti Fortuny fino al 1998, ndr), che incontrò a metà degli anni Settanta a San Francisco. Da allora la designer ha iniziato a usare Fortuny su quasi ogni progetto, a partire dalla sua casa vacanze alle Hawaii, dove ha utilizzato la fresca e nitida linea di

Tapa, un primitivo motivo polinesiano, fino alla residenza in California. Costruita su due piani, la dimora di San Francisco custodisce come uno scrigno segreto souvenir, ricordi di viaggi e progetti da tutto il mondo. I maggiori interventi sono stati fatti per correggere l’estensione dell’appartamento. Per ampliare visivamente le piccole stanze, una facciata è stata specchiata, mentre è stato rimosso un muro tra il salotto e la cucina per illuminare lo spazio in un secondo momento con due grandi vetrate affacciate a sud. Qui la parete risplende del sole della California grazie a una tappezzeria Fortuny, trovata dalla disegnatrice in una delle sue numerose visite a Venezia: Lucrezia gioca elegantemente tra le nuance yellow and white. Al centro,

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Living una seconda decorazione ispirata alla storica Swan house di Atlanta incornicia le finestre. Nella parte sottostante, invece, un sofà dorme dolcemente in Uccelli, un sottile tessuto tinto di bianco e chiaro di luna, corredato da un mix di cuscini dedicati al relax. Una ricchezza di linguaggi vive unita a dettagli semplici: la tappezzeria è fissata con chiodi squadrati in acciaio disposti uniformemente lungo i bordi per un look estremamente misurato. Un rifugio accogliente e intimo, una via Lattea tempestata di un vissuto personale in grado di collegare la maestria di un secolo a un appeal urbano e moderno. All’interno dell’appartamento, la poltrona boudoir è invece rivestita di Festoni, un’altra stampa dell’azienda a ghirlande floreali di fine ‘800: regna circondata da vasi luccicanti in vetro veneziano, ciotole, souvenir e dipinti a olio, mentre i soffici cuscini avvolti in

fodere istoriate zuccherano il salone studiato dall’architetto tedesco Mies van der Rohe. Nella zona da pranzo, che si affaccia sulla terrazza, un tavolo al centro è poi sovrastato da un chandelier multicolore fuxia e turchino. Qui l’oro delle sedie barocche fiorentine del 1950 è stato attenuato nalle sfumature argentate di Delfino, una stampa 600esca effetto Luigi XIII, mentre Malmaison ha striato d’avorio i cuscini della panca sul lato opposto. Atmosfere dal XVII secolo anche nella chambre à coucher, situata al piano inferiore: Caravaggio, dal nome del celebre pittore italiano, ha rivestito l’intera parete di motivi ornamentali oro e avorio, in delicato contrasto con Veneziano, un motif blue et blanc che decora la gonna del letto sotto la candida trapunta. Una grazia su misura, minuziosa e individuale, scaldata dalla palette californiana che fonde i ricordi di buoni amici e di viaggi esotici. Le creazioni pregiate di

Fortuny sono diventate nel tempo uniche nel loro genere, così come la tunica Delphos o lo scialle Knossos nella storia della moda. Oggi rinascono nella fabbrica di Mickey e Maury Riad nella laguna, grazie alle stesse tecniche di produzione e alle macchine inventate dal suo creatore. E ai medesimi disegni, tipologie di cotone egiziano e tinture derivanti da sostanze organiche, con aggiunte di metalli per creare colorazioni luminose e ammantate di oro. Alice Merli Nelle immagini di questa pagina e in apertura di servizio, la casa della designer Pamela Babey a San Francisco. Foto di Erik Kvalsvik tratte da Fortuny interiors di Brian Coleman

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Konstantin Grcic al lavoro nel suo atelier

Events

Il Salone della speranza

Il grande evento milanese dedicato a design e arredamento è stato, ancora una volta, la vetrina variopinta della creatività internazionale. Ospitando novità abitative e nuovi progetti dai quattro angoli del mondo, dal Brasile alla Cina fino all’Africa 2013, un Salone del mobile di Milano che guarda al futuro, concentrato sulla sua originaria missione: arredi, illuminazione e complementi di design. Sin dalla presentazione, lo scorso mese di febbraio all’ultimo piano del nuovo grattacielo Unicredit in piazza Gae Aulenti a Milano, avveniristico progetto firmato da Cesar Pelli, il Salone ha parlato il linguaggio del progetto. Invece di ospitare attori e ginnasti, a intrattenere il folto pubblico internazionale, il nuovo presidente del Cosmit, l’ente organizzatore dei Saloni, Claudio Luti, ha chiamato i progettisti, indiscussi protagonisti della settimana del design milanese. Antonio Citterio, Piero Lissoni e Patricia Urquiola hanno sottolineato come la settimana del mobile sia una occasione unica per tutta la città che diviene crocevia internazionale. Hanno posto l’accento sulla energia positiva che circola liberamente, sulle sorprese offerte dai creativi che giungono da ogni parte del mondo per mettere nella vetrina più importante a livello internazionale i loro prodotti e i loro esperimenti. Il grande architetto francese Jean Nouvel, ospite d’onore, ha raccontato la sua visione dell’ufficio del domani, basata sulla riconversione: case che diventano uffici e viceversa, mobili da ufficio che

si mescolano liberamente a quelli domestici per una progressiva normalizzazione dello spazio di lavoro. Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha parlato del mondo che abiteremo, invitando a guardare al futuro senza perdere la memoria. Nonostante la crisi, i numeri dicono che il Salone internazionale del mobile di Milano resiste alle sue insidie: 1.950 espositori alla fiera di Rho Pero, 700 giovani designer al salone Satellite, oltre 400 eventi sparsi per la città. Alle zone di Tortona, Ventura Lambrate e Brera, si è aggiunta quest’anno una zona ibrida nella china town di Milano, Fuori Salone Sarpi bridge, un ponte tra creatività italiana e cinese. A differenza di quella della moda chiusa nelle sale sfilate, l’energia del design è diffusa e contagiosa. La maggior parte delle vetrine del centro ha ospitato eventi all’insegna del design e delle contaminazioni tra moda e arredamento. Da Ferragamo era ospite l’artista-designer israeliano Ron Gilad che ha debuttato a Milano, collaborando con Flos, diventando in breve tempo uno dei creativi più gettonati. Sergio Rossi ha promosso a Palazzo Crespi in corso Venezia una mostra omaggio a Gabriella Crespi, protagonista storica del design milanese. Allo studio Pari-

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Events

sotto una miniserie di gioielli scultura in argento e smalto ha siglato un prezioso incontro tra moda e design. The Haas brothers hanno firmato un progetto speciale per Versace home. Mentre Jean Nouvel ha esordito nella moda firmando Pure, una capsule collection di sneakers per Ruco line che è stata disseminata in città: negli store milanesi di Ruco line in via della Spiga e in corso di Porta Ticinese, da 10 Corso Como, da Antonia, da Excelsior, allo spazio Rossana Orlandi, alla Pinacoteca di Brera e infine anche in Fiera al Salone dell’ufficio. Camper ha invitato il duo anglo indiano Doshi Levine a firmare una capsule collection di calzature e ad allestire scenograficamente il flagship store di via Montenapoleone. Prada ha ospitato nel suo showroom di via Fogazzaro i nuovi progetti Knoll firmati da Rem Koolhaas. Mentre Marni nel suo showroom di viale Umbria ha proposto inedite varianti di colore delle sue 100 sedie intrecciate, realizzate in Colombia da un gruppo di ex detenuti. Da Zara in corso Vittorio Emanuele l’artista israeliana Hagar Fletcher

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A destra, il Nervous chandelier di Baccarat. Nelle altre immagini, da sinistra: la lampada Stelle filanti dell’Atelier Oï per Venini, un tavolo di Discipline by Nendo, la poltrona Dalia di Cappellini firmata da Marcel Wanders, il divano Canasta di B&B, la panca Track di Living divani, il letto Corallo di Edra creato dai fratelli Campana, una lampada di Philippe Malouin e il tavolino Element di Tokujin Yoshioka per Desalto

ha trasformato 2 mila sacchetti di plastica in opere d’arte. Grande scintillio di cristalli a Palazzo Morando, dove Baccarat ha presentato nuovi progetti d’illuminazione firmati da un manipolo di designer internazionali d’eccezione: Fernando e Humberto Campana, Louise Campbell, Jean Marc Gady, James De Givenchy, Jaime Hayon, Arik Levy, Philippe Nigro e Philippe Starck. Sempre in tema di lampadari va segnalato il debutto di una nuova azienda specializzata in vetro, con sede a Venezia e Londra, Wonderglas, che ha proposto le sue meraviglie luminose all’Istituto dei ciechi in via Vivaio. La rivista Interni con il suo evento Ibryde Architecture&Design ha occupato, non solo i chiostri della Università Statale, ma anche l’orto botanico in Brera, dove è stata protagonista Umbria jazz con un concerto all’imbrunire. Il Salone del mobile non ha dimenticato neppure la bellezza: Nivea ha allestito un temporary shop in Zona Tortona e al Superstudio più lo studio Giovannoni ha progettato per Maletti, azienda specializzata in forniture per parrucchieri,

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Events

Sotto, la sedia Vegetal di Vitra. A sinistra, dall’alto, alcune proposte di Moroso, Jaime Hayon e la collezione Gardenias creata per BD Barcelona design, la poltrona Raphia di Casamania e lo sgabello Stool 60 di Artek disegnato da Tom Dixon

uno spazio coiffure perfettamente funzionante. Alla Triennale, occupata in ogni suo angolo, si è inaugurata la sesta edizione del Museo del Design curata da Pier Luigi Nicolin, con allestimento di Pierluigi Cerri; in scena «La Sindrome dell’influenza», una mostra sulle origini del design italiano (aziende e designer) raccontato da interpretazioni metaforiche firmate da progettisti contemporanei. La Rinascente ha presentato creazioni e visioni di sognatori africani, a cura di Beatrice Galilée. Un progetto multidisciplinare, che ribadisce la volontà del department store italiano di porsi come incubatore e diffusore della creatività internazionale. Creatività internazionale è stata la nota distintiva: a Milano per il Salone 2013, nonostante i venti di crisi, sono arrivati con mostre collettive dal Brasile, da Singapore, dal Belgio, dall’Inghilterra, dalla Francia, dall’Olanda, dalla Cina, dall’Africa. E, anche quest’anno, il Salone del mobile di Milano si è confermato occasione privilegiata per conoscere le varie sfumature della creatività internazionale. Cristina Morozzi

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La Swing chair di Patricia Urquiola creata per la serie Objets nomades di Louis Vuitton

Objects

Nomadismo haute couture Sì, viaggiare. È una nuova: «Invitation au voyage» quella avanzata da Louis Vuitton e dai suoi Objets nomades. Presentata in esclusiva lo scorso dicembre durante Design/Miami e approdata a Milano in occasione dell’ultima edizione del Salone del mobile, la collezione d’autore rappresenta il debutto per la maison nel mondo dell’arredamento haut de gamme. Edizioni limitate o prototipi sperimentali senza stagione, la serie degli oggetti nomadi comprende attualmente 16 proposte, e rappresenta un omaggio alla tradizione degli Special orders Louis Vuitton, gli esclusivi bauli da viaggio prodotti rigorosamente su ordinazione. A reinventare l’arte del viaggio, tema da sempre legato saldamente all’heritage della griffe, sono stati chiamati alcuni tra i designer più affermati della scena internazionale. Tutti insieme a immaginare pezzi d’arredo ripiegabili e travel accessories realizzati in materiali nobili, dal cuoio nomade al pellame haute maroquinerie fino ai legni pregiati provenienti dagli atelier del marchio. Incurante del ritmo delle stagioni, il progetto continuerà a crescere nei prossimi mesi organicamente, rispecchiando l’anima Louis Vuitton a fianco di designer affermati e altri emergenti che incontrerà sul suo percorso. Al suo esordio,

ecco che prende vita un cantico di arrivi e partenze, per generare nuove visioni sulla poetica del viaggio. Tra cui uno scrittoio con struttura in acero firmato Christian Liaigre, per chi al piacere dello scrivere non sa rinunciare mai. O lo sgabello geometrico ispirato agli origami dell’Atelier OÏ. Piuttosto che la Bell lamp di Edward Barber e Jay Osgerby in vetro smerigliato e soffiato a bocca, passando attraverso le Lunettes de sommeil di Constance Guisset, piccoli occhiali foderati in cuoio sagomato per farsi strada nei propri sogni. Fino ad arrivare al cabinet de voyage, un armadio prodotto in soli 12 esemplari ideato dai fratelli Fernando e Humberto Campana. Senza dimentcare l’Amaca di Atelier OÏ, creata utilizzando uno speciale cuoio elastico e accessori placcati in oro, o la Swing chair di Patricia Urquiola, un dondolo di pelle intrecciata, con dettagli in cuoio e sedute colorate, ispirato alle forme di una borsa. Non resta che mettersi in cammino, alla ricerca dei singoli pezzi: la collezione sarà infatti in vendita in sei boutique Louis Vuitton in tutto il mondo, ovvero Tokyo Omotesando, Singapore Marina Bay Sands, Taipei 101, London new Bond Street, Paris Champs-Elysée e New York Soho. Elisa Rossi

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Show

Le rose di mr Browne

Quelle scarlatte che avvolgono i corpi deformati delle donne; quelle che vengono lasciate ai piedi di corpi maschili ormai senza vita. Il designer americano porta in scena un défilé-performance, avvolto da un’atmosfera struggente, cupa e drammatica Passano e guardano. Si muovono romantiche in una foresta incantata, con lo sguardo velato da un attimo di compassione. Depongono rose rosse ai piedi di corpi inermi. E se ne vanno. Forme scultoree, silhouette surreali, deformate da uno studio delle proporzioni iperbolico. Contornate da altre forme. Quelle senza forze di una serie di modelli, legati da nastri scarlatti su letti immacolati. È un confronto tra corpi quello di Thom Browne. Lo stilista newyorchese ha messo in mostra una sfilata-performance dalla dialettica surreale. Sullo sfondo una foresta di sempreverdi e betulle bianche, spruzzate di neve. Tra gli alberi, i letti in ferro dove giacciono i modelli. Con una corona di spine in testa e bendati da una fascia rossa. Rossa come i bozzoli fiorati, i cespugli sangugni che avvolgono veneri dai lineamenti couture. «Il rosso sangue delle rose mi ha fatto pensare a una crocifissione. Allora dovevo capire come incorporarla nello show», ha raccontato il designer. E sono proprio le rose l’unica eccezione permessa ai toni di grigio spalmati su tutti i capi. La collezione in scena è uno studio di silhouette e proporzioni, surreali, gargantuesche. Che accentuano le linee più forti, caratterizzate dalle box shoulder e dalla vita stretta. Sagome estreme, sostenute da uno strato supplementare di gazar di seta per creare un effetto più rigido. La ricerca di mr Browne continua in direzione dell’estremo. Come da qualche stagione, le linee mostruose sono parte caratterizzante delle sue collezioni. Una serie di show enigmatici, concettuali, ai confini dell’arte moderna: che nascondono un mistero voluto dallo stesso Browne. «Tutti devono avere la propria idea, la propria interpretazione. Voglio scatenare una reazione. Quello che la gente pensa del mio show è una parte del gioco che conduco». Matteo Zampollo


Lo show fall-winter 2013/14 immaginato da Thom Browne


Fashion

Valentino’s renaissance

«Siamo innamorati dell’alta moda; è un grande patrimonio di artigianalità italiana da difendere», hanno detto Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, anime creative della maison Un romanticismo bucolico. Che cita Marie Antoinette e contamina lo spirito della corte francese con un retrogusto rurale e primitivo. Sono figure eteree quelle che si muovono delicate nell’atelier dell’alta moda di Valentino. Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli hanno ripensato il lusso della corte parigina, mitigato da un velo primaverile, da una patina agreste figlia della lettura degli scritti di JeanJacques Rousseau. «In questa collezione abbiamo cercato di dipingere un ritratto intimo e personale di Marie Antoinette a Versailles, di mitigare gli eccessi con un ritorno a una certa naturalità nelle forme e nei decori che potesse sposare la nostra femminilità», hanno spiegato. «Abbiamo lavorato molto sui materiali e sull’anima di questa stagione. Sui cotoni che tradizionalmente non si usano per la couture e sui fiori delle stampe. Per raccontare una donna dalla delicatezza virginale ma dall’attitudine decisa. La purezza di questa stagione è nelle forme, semplici ed elementari». Decorate da volute, intrecci e ghirigori che dipingono sull’abito i cancelli barocchi di corte o i labirinti di giardini segreti. Per mise istoriate da budellini mignon di seta che si rincorrono su crinoline nuvola (ne sono serviti 800 metri per decorare l’abito nella foto che ha richiesto oltre 500 ore di lavoro, ndr). «Siamo innamorati dell’alta moda; è un grande patrimonio di artigianalità italiana attraverso cui stiamo cercando di raccontare la nostra visione», ha concluso il duo creativo. «Couture non significa ostentazione ma creare un’estetica vera e indossabile. Contemporanea». Elisa Rossi Un abito Valentino haute couture p/e 2013 Servizio, Elisa Rossi - Foto, Mirko Iannace/Sharpen studio Models, Wang ManJing - Grooming, Lee Xiaozhou Location, China world hotel/Pechino

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Nella foto, una stanza della casa andalusa, con armadi istoriati da mappe geografiche del Seicento e vista sulla grande camera da letto, decorata in bianco e blu

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borghese esotismo Testo Matteo Zampollo Foto Roberto Peregalli

Un lusso sussurrato, che gioca con l’heritage tradizionale. Creando atmosfere uniche, speciali e figlie di un abitare romanticamente italiano. Questa la firma di Laura Sartori Rimini e Roberto Peregalli, che con il loro tocco hanno regalato un’anima storica a una casa nel cuore dell’Andalusia

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Lavorano fianco a fianco da oltre vent’anni, trasformando lo Studio Peregalli in sinonimo di abitare haut de gamme, raffinatamente borghese. E scegliendo con cura i lavori, hanno portato la loro firma a essere una delle eccellenze del vivere italiano. Laura Sartori Rimini e Roberto Peregalli formano insieme una coppia dalla creatività eccezionale, nel senso di rappresentare un’eccezione nel panorama degli studi di architettura e decorazione d’interni. «Sembra che sia sempre stato lì», questo dichiarano essere il complimento più gradito nell’introduzione al loro volume L’invenzione del passato edito in Italia da Bompiani. E all’interno del loro studio, la casa dove è cresciuto Peregalli, oggi trasformata in tempio di lavoro, carico di oggetti, fotografie, plastici, quadri, modellini e tutto quanto possa servire da ispirazione e da guida per i loro progetti, si muovono con affiatamento e con profondo rispetto reciproco. Due teste separate, ognuna con la propria visione, che spesso si scontrano. «Creando un contraddittorio,


In questa pagina, sopra: la grande biblioteca della casa andalusa e un particolare dell’ingresso dove troneggia un grande quadro religioso; sotto, una stanza-spogliatoio con pareti effetto libreria. Nella pagina accanto, dall’alto: una parete in legno decorata con piatti in ceramica e una veduta d’insieme della sala da pranzo

visto che siamo diversi anche di carattere», ha spiegato Laura Sartori Rimini, «ma che alla fine aiuta ad arrivare a un risultato ottimale, che è l’unione di due pensieri». Un’unione nata grazie all’architetto Renzo Mongiardino, mentore di entrambi, che ha inidirizzato Peregalli verso studi filosofici, per poter svolgere al meglio questa professione. Da allora, la fine degli anni 80, i due si rispettano e si ascoltano di continuo, soprattutto per la prima fase, che entrambi definiscono come la più complicata: quella che porta, cioè, alla selezione dei lavori da accettare, dettati più che altro dall’identità di visione con il committente, che deve avere, con le parole di Roberto Peregalli: «La pazienza e l’amore di lavorare con lo studio». Ci vuole tempo e passione, le stesse che le due menti dello studio non smettono un attimo di mettere in tutto quello che curano, in qualsiasi parte del mondo si trovino, per qualsiasi progetto stiano lavorando. «La nostra è un’opera quasi dietro le quinte. Non vogliamo che il nostro lavoro sia riconosci-

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Nell’immagine a lato, il grande salone rettangolare con camino e divani burgundy. Fil rouge dell’ambiente, le maioliche portoghesi, le classiche azulejos, che si rincorrono alle pareti. Contrapposte a monumentali potiches bianche e blu

bile a prima vista», ha aggiunto Roberto Peregalli. «La cura dei dettagli che mettiamo è quasi maniacale: quando si osserva da vicino, ci si rende conto che tutto è studiato, pensato, disegnato con un’idea. E questo accade quando dobbiamo affrontare qualsiasi cosa, dai progetti urbani per Milano agli allestimenti per le mostre, dai ristoranti ai lavori all’estero. Ogni volta c’è qualcosa di nuovo, una sfida. Che si rivela sempre interessante», ha aggiunto Sartori Rimini. E molte sono le sfide all’estero, visto che al momento il mercato oltreconfine è decisamente più recettivo. «Ma non abbiamo molti rapporti con i nuovi ricchi come Russia o Cina», ha analizzato Peregalli, «il nostro è un lusso molto discreto, che punta a creare un’atmosfera precisa, più che a essere evidente. Per questo è lontano da alcune culture, che invece puntano più all’abbondanza e alla profusione». Un gusto più vicino all’Europa, dove lo studio lavora con più facilità. Più spesso ridando vita a un luogo, talvolta invece costruendo da zero una realtà. Come è accaduto per un’abitazione nel cuore dell’Andalusia, dove lo studio si è ritrovato a costruire da zero qualcosa che non tradisse l’identità locale. «Il nostro timore maggiore era che il lavoro potesse diventare una villa fuori contesto», ha poi raccontato Peregalli, «perché il Sud iberico ha una tradizione di contaminazione, anche derivante dall’Italia, ma filtrata attraverso l’alfabeto spagnolo antico». Un’impresa non facile, quella di mimetizzarsi, di creare quell’effetto di «Essere sempre stata lì». Un timore che resiste anche con l’avanzare dei lavori. «Questo tipo di case, finché sono tutte grigie con l’intonaco nuovo ti chiedi se possano arrivare ad avere credibilità. Il risultato finale? La gente si chiedeva perché avessero costruito delle case attorno a quella fatta da noi, che sembrava la più antica». Un effetto creato con le passione e

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In basso, la copertina del libro L’invenzione del passato, di Laura Sartori Rimini e Roberto Peregalli, edito in Italia da Bompiani

Interni e Architetture dello

Studio Peregalli

L’Invenzione del Passato

L’Invenzione del Passato

Interni e Architetture dello Studio Peregalli

Laura Sartori Rimini Roberto Peregalli

L’Invenzione del Passato Interni e Architetture dello

Studio Peregalli

Laura Sartori Rimini e Roberto Peregalli Prefazione di Hamish Bowles La capacità di creare in un luogo le tracce di un passato immaginario: è questo il segreto che ha reso unici e noti nel mondo i progetti dello Studio Peregalli. Laura Sartori Rimini e Roberto Peregalli – maestri dell’illusione – inventano ambienti in cui si respira il fascino sottile della memoria, sia quando costruiscono nuovi edifici che sembrano esistere da sempre, sia quando reinventano luoghi già esistenti o realizzano allestimenti museali, architetture fantastiche e scenografie teatrali. L’Invenzione del Passato raccoglie per la prima volta in un libro i progetti pubblici e privati dello Studio, organizzati per spazi architettonici – facciate, ingressi, salotti, biblioteche e altro. Luoghi carichi di ricordi e sensazioni che sono il risultato di un’attenzione estrema ai dettagli e mostrano, attraverso il lavoro sapiente degli artigiani mescolato agli objets trouvés d’antiquariato e ai pezzi unici provenienti dalle aste internazionali, un’eleganza rigorosa animata da un’immaginazione senza limiti. Il libro, in cui gli autori raccontano il loro modo di pensare la casa, è illustrato da numerose fotografie di progetti realizzati e arricchito da disegni, bozzetti e modellini, che documentano l’appassionata ricerca di una misura dell’abitare in un mondo distratto da esaltazioni effimere.

Laura Sartori Rimini Roberto Peregalli

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In questa pagina, a destra: la stanza di disimpegno con vista su cucina; nella pagina a fianco, la scala a chiocciola in legno bianco che decora la camera con il trionfale letto a baldacchino

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la dedizione solita, oltre a un lavoro di ricerca sul campo importante. «Quando riusciamo a trovarlo, utilizziamo tantissimo materiale di recupero», ha precisato Sartori Rimini. «Vecchi marmi, pavimenti d’epoca. Andiamo a fare ricerche appena possiamo, anche se è sempre più difficile trovare qualcosa di utilizzabile. Siamo convinti che questo aiuti a dare un sapore, un’atmosfera alle nostre case. Ma senza risultare evidente. Anche nell’abitazione andalusa abbiamo unito i lavori creati ad hoc dai nostri esperti con i pavimenti d’epoca locali e anche con piastrelle di artigianato portoghese. Ma non è mai sottolineato: è tutto volto a creare un’amalgama finale, un colpo d’occhio d’insieme». Un’atmosfera, vera parola chiave del lavoro dell’accoppiata. «La nostra idea è di fare delle case che durino», ha continua Sartori Rimini, «siamo abbastanza contrari al concetto delle mode, ma proponiamo invece un prodotto su misura per il cliente. C’è troppa velocità ora, si cambiano e ridisegnano case con lo stesso ritmo dei vestiti.

All’interno di una casa devono coesistere ricordi personali, affetti. Deve crescere con te, non devi sentire la necessità di cambiarla perché ti sei stufato». Case che vivono insieme ai loro proprietari, che non vengano cambiate troppo in fretta. «Secondo me bisogna difendere un certo artigianato, una certa tradizione. Se poi sparisce tutto diventa seriale e il passato diventa una roba un po’ da museo», ha concluso Peregalli, che rivolge un occhio anche al Salone internazionale del mobile appena concluso. «Sono tutti in cerca di chi crea le cose più grandi, più alte, più spaziose. Ma si sta perdendo di vista il bisogno primario, quello della tradizione dell’abitare. Sarebbe importante riportare sotto i riflettori non solo gli estremi, le stranezze, le sculture, ma anche la normalità dell’abitare». Proprio quella tradizione autentica, l’effetto di assoluta autenticità che caratterizza il lavoro dello studio Peregalli. E che giustifica in pieno il loro inserimento tra le eccellenze del vivere italiano. Orgogliosamente da esportazione.

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Design di corte Romantiche atmosfere rococò. Riferimenti a un codice di arredo antico, ma trasportato nel contemporaneo. In un percorso dissacrante che unisce il moderno estremo a regole di realizzazione handmade, ai confini dell’artigianalitĂ . Per un nuovo che profuma di atelier a cura di Cristina Morozzi - artwork Giorgio Tentolini


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Fratelli Boffi

Good Vibration, mobile contenitore, con decorazione intagliata ed effetto oscillatorio. Design Ferruccio Laviani


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Baxter

Sorrento, divano dalle dimensioni giganti e ad alta morbidezza, offerta da grandi cuscini


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Marni

Una delle 100 sedie, nate da un progetto charity. Create da ex detenuti colombiani, hanno una struttura in ferro e un intreccio in filo di plastica


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Fabbian

F23 Stick, lampada da terra composta da moduli realizzati in legno grezzo. Design Matali Crasset


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Poltrona Frau

Bolero, tavolo lineare e geometrico con struttura a effetto trapezio. Design Roberto Lazzeroni


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Citco

Tavoli in edizione limitata, di forma organica, disponibili in marmo bianco di Colevano o in nero Marquina. Design Zaha Hadid


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Wonderglass

Flow, lampadario in delicato vetro soffiato. Design Nao Tamura


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Ramun

Amuleto, lampada da tavolo a led costituita da tre cerchi in acrilico colorato. Design Atelier Mendini


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Moroso

Bikini Island, divano effetto isola di relax, dove sedere, riposare, lavorare. Design Werner Aisslinger


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Edra

Cabana letto, letto matrimoniale con baldacchino in fili di rafia sintetica. Design Fernando e Humberto Campana


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Fiam

Tangram, specchio da parete composto da un puzzle di specchi tagliati al vivo. Design Nicola De Ponti


Blurredgirl Fioriture rigogliose. Poi, sfocature e distorsioni. Le figure sono fuori registro, duplicate come in una casa degli specchi. In un controluce sovraesposto, che rimanda alle atmosfere fiabesche di Paolo Roversi e alla fotografia simbolica e crepuscolare di Floria Sigismondi Servizio di Stefano Roncato Foto Oskar Cecere



In questa pagina, abito Stella Jean. Nella pagina a fianco, top e tailleur pantalone dall’archivio Costume national; scarpe Prada. In apertura, abito Gucci; scarpe Prada


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Nella foto, abito Missoni. Nella pagina accanto, look Prada

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Nella foto, look Andrea Incontri. Nella pagina a fianco, soprabito Trussardi; top a fascia in pelle e pants dall’archivio Costume national


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Nella foto, look Miu miu. Nella pagina a fianco, outift Marni; scarpe Prada. HANNO COLLABORATO Francesca Manuzzi ed Elisa Rossi (moda), Emanuele Camisassa (photo assistant) GROOMING Bonnie @ greenappleitalia.com MODEL Karolijn Zomer @ Img THANKS TO Riccardo Grassi showroom

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In questa pagina, abito Missoni e pantaloni Costume national. Nella pagina a fianco, abito con broche gioiello Miu miu

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chambre blanche Testo Francesca Manuzzi Foto Birgitta Wolfgang Drejer/ Sisters Agency

Il nero profondo s’incasella con boiserie a perdita d’occhio e opere d’arte. Patrick Gilles e Dorothée Boissier hanno pensato la loro abitazione parigina mirando a un essenzialismo rilassante e semplice. Per ricreare atmosfere di design custom made, dal sapore romantico


U

n ascensore di inizio ’900 porta al quarto piano. Le gigantesche porte si aprono e a dare il benvenuto in casa Gilles-Boissier c’è l’arte fotografica di Nadav Kander, con una maxi-immagine di donna appoggiata alla consolle in ingresso, su cui pende la lampada a sospensione Plein soleil, che porta la loro effige. Da una prima occhiata veloce, i 300 metri quadrati di casa danno l’impressione di una nuvola di stucco, con ai piedi listoni di legno naturale. In realtà è realmente un tout court di bianco ottico, ma ottenuto con boiserie e camini originali, della Parigi per bene, interrotti da accenni neri, extra bold e affilati come coltelli, di cornici e ritratti d’autore in black & white. Questo il layout della casa, très en vogue e sapientemente furbished, grazie al know-how dei suoi abi-

tanti. Patrick Gilles e Dorothée Boissier lo fanno di mestiere. Negli ultimi 15 anni hanno curato varie boutique Moncler in giro per il globo, oltre a hotel, abitazioni private, i ristoranti Hakkasan di Istanbul, Miami e Dubai, il Maison Bouloud di Beijing e Budakkan a New York. E il criterio è un dictat costante: fotografia in mix a design d’oggi e dettagli originali preservati, con una buona dose di scorza minimalista e un fondo di essenzialismo poetico iper rilassato. Così nella loro professione, quanto nel privato, nell’abitazione di uno sconosciuto, come nella casa nel centro di Parigi che ospita anche i loro due figli. Le finestre a tutta parete bagnano di luce gli spazi, sovraesponendo le alte pannellature e le porte parlanti dai décor bourgeois, background perfetto per i pezzi che soggiornano in

Dall’alto, in senso orario, il salotto con sofa M52, la scultura di Christian Astuguevieille e una fotografia di Kate Moss realizzata da Albert Watson; la camera da letto con camino e opere di Astuguevieille; la cucina con mobili Luigi XVI; la libreria adibita a sala da pranzo. In apertura, il salone dell’abitazione

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casa, concepiti dal duo, acquistati ai flea market worldwide o scultorei e frutto della mente dei migliori artisti, in un’atmosfera dall’opulenza chirurgica. «Ogni pezzo di arredamento è stato pensato ad hoc per l’appartamento, esattamente come accade per la cura degli interni su commissione, ogni singolo dettaglio è unico, come lo é il cliente», ha spiegato la Boissier. Il fil rouge tra gli ambienti rimangono l’arte e la fotografia, con opere in ogni stanza dell’abitazione. Dalla Kate Moss di Albert Watson che campeggia nella zona living ai portrait di Nadav Kander, artisti prediletti dalla coppia. Così come le sculture surrealiste partorite dalla mente di Christian Astuguevieille e da Joseph Monin, zio di Gilles. Ambiente studiato in toto dal duo, invece, è la cucina, organizzata nella camera degli ospiti

e viceversa trasformando i vecchi locali in master bedroom. «Volevamo preservare l’atmosfera intima, gli stucchi, in modo da ottenere una sorta di soggiorno, piuttosto che una cucina. Vogliamo che le cose non appaiano per quello che realmente sono, abbiamo lavorato principalmente sui contrasti», ha proseguito la coppia. Per l’appunto, il frigorifero scompare nelpensile di un legno differente dalla base della cucina, tavolo e sedie sono minimal, ma con gambe ricurve alla Luigi XVI e alle pareti vivono dipinti impressionisti. E sempre per lo stesso principio tutto appare infinitamente curato e da casa d’architetto. Ma l’attenzione maniacale all’essenziale è pensata soprattutto per permettere ai bimbi di correre da una camera all’altra. Da bravi genitori progettisti.

Nella foto, l’ingresso dell’appartamento dei Boissier, tra minimalismo e tardo romanticismo racconta il carattere professionale di Gilles et Boissier. Panca custom made dal duo, così come le tende in lino, la lampada a sospensione Plain soleil e la consolle che mette in scena l’arte fotografica di Nadav Kander

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xyco m m

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COLLEZIONE CINQUANTA. MOD. 066 ORO SATINATO, 1954.

CINQUANTA

www.e nr i co c a ssi n a. i t

T 0039 031 787100

M A D E BY © O F F I C I N E M E C C A N I C H E P O R R O


lasvit

Jar, lampade in vetro soffiato, in colori cangianti. Design Arik Levy

b&b italia

Andy, divano con soluzione angolare. Design Antonio Citterio

frag

Perseo, pouf poligonale. Design Philippe Bestenheimer

dimensione danza Piroutte, vaso in vetro. Design Matteo Zorzenoni

nodus

Regata storica, tappeto in lana annodato a mano. Design Luca Nichetto

brunello cucinelli

Serie di cuscini in cashmere con lavorazione a coste e in velluto

calligaris

Division, libreria a muro con elementi colorati

Neo Romantico

living divani

Mate, appendiabiti/portaoggetti in metallo. Design Annalisa Dominoni e Benedetto Quaquaro


mdf italia

Mamba, mensola in Cristalplant con finitura gialla. Design Victor Vasilevic

venini

Osmosi, lampada in marmo e vetro soffiato. Design Emanuel Babled

oluce

Kin, lampada a sospensione con finitura metallizzata. Design Francesco Rota

discipline

Clip, portacandele in metallo. Design Nendo

flos

New lamp, lampada da tavolo in ottone. Design Ron Gilad

il giardino di legno

Infinity, sedia con struttura in metallo e seduta in rete

misuraemme Gaudì, tavolo in legno. Design Ferruccio Laviani

Difficile, quasi impossibile, tratteggiare una tendenza stagionale. Troppi e contraddittori sono i segnali. Si può, piuttosto, accennare a un sentimento epocale che, in qualche misura, fa riferimento alle

jesse

Plateau, credenza con ante laccate color amaranto e top in legno di rovere

tematiche romantiche, azzardando il riemergere di un nuovo romanticismo che non ha niente a che vedere con la degenerazione del termine, utilizzato, a torto, per indicare melensi sentimentalismi. Quando

sul futuro gravano le nubi dell’incertezza, quando la strada verso il progresso si fa in salita, la ragione vacilla e si scopre inadeguata alla comprensione della complessità del mondo. Sorge allora un sentire

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altrimenti che si esplica nelle forme della narrazione e della poesia e che si nutre di sentimenti, più che di ragione, disponibile ad accogliere il difforme, il vago, il magico, e l’indicibile. In questo modo altro di


schiffini

Pampa, cucina componibile con finitura in legno. Design Alfredo Haberli

il giardino di legno Tavolo in legno a doghe con gambe in metallo

moroso

WishBone, sedia in legno impilabile. Design Patricia Urquiola

baxter

Industrielle, contenitore in metallo traforato

Neo Romantico


danese

Due, plafoniera con corpo in alluminio anodizzato. Design Carlotta de Bevilacqua

argenteria schiavon

whirlpool

Three, alzata portafrutta in argento

Vertigo, frigo con cantina refrigerante

segis

Teddyboys, tavolini in plastica. Bartoli design

guardare la realtà, rispetto all’idealismo hegeliano, risiede l’origine del romanticismo con i suoi caratteri crepuscolari e misterici. È in riferimento alla vera natura del romanticismo che si può ipotizzare oggi un suo

ritorno. Per questo possono dirsi genericamente romantiche molte creazioni contemporanee. Non in senso stilistico, ma esistenziale, poiché non esistono nei manufatti odierni analogie formali con quelli

di epoca romantica. Simile risulta infatti la disposizione di molti designer contemporanei ad abbandonare il linguaggio esatto della disciplina classica e a prendere le distanze dai vincoli funzionali per abbrac-

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ciare un eloquio poetico/narrativo, capace di descrivere le luci e le ombre di una realtà complessa che sfugge ad una comprensione razionale. In mancanza di dati certi e di previsioni attendibili si manifesta


martinelli luce

Minipipistrello, lampada da comodino. Design Gae Aulenti

flou

Nathalie, letto nella versione aggiornata. Design Vico Magistretti

altreforme

Pace, tavolo basso con struttura in ottone e piano in vetro

frette at home

Copriletto e cuscini jacquard della serie Edmond

Neo Romantico


axo light Cieling light, lampada sawaya&moroni a sospensione con interno

Torq, tavolino basso con struttura dorato.e Design in metallo piani inKarim vetro.Rashid Design Daniel Libeskind

flexform colé Poltroncina

Abbracci, in legno Paravento/separé in legno massello. Design e tessuto. Design Lorenz Kaz Antonio Citterio

misuraemme

Opera, poltroncina con struttura avvolgente e rivestimento in pelle. Design Mauro Lipparini

un’attitudine personale ad esporsi all’indeterminatezza, tipica del romanticismo. Ne deriva una varietà di espressioni, difficilmente ascrivibili ad una unica corrente formale. Non ci sono movimenti, né scuole di

pensiero. Ciascuno segue il proprio sentire e si adopera ad esprimere in modo personale ed originale la propria visione. Paradossalmente si potrebbe dire che tante sono le tendenze, quanti sono i designer.

Goatskin, cabinet con struttura in legno zebrano e ante in pelle di capra

Oggi c’è maggior libertà espressiva e più coraggio di rischiare. Pare che la nuova generazione di designer, liberata dalla soggezione dei maestri, stia, finalmente, dando libero sfogo alle proprie fantasie, conta-

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fendi casa

minando, ibridando e compiendo incursioni in vari territori geografici e in diversi intervalli epocali. Per questo sul palcoscenico del design c’è di tutto e il suo contrario. Utilizzando le canoniche classificazioni,


kartell by laufen

Scaffalatura trasparente. Design Ludovica e Roberto Palomba.

lasvit

Labyrint, lampada a sospensione in vetro soffiato, design Arik Levy

frette

Set di asciugamani in spugna della Couture collection

visionnaire

ceramica flaminia

Sedia a sdraio con finiture in ottone

Linea bagno Mono. Design Patrick Nourget

kartell

Sparkl, sgabello in Pma, materiale dotato di texture luminosa. Design Tokujin Yoshioka

che risultano sempre meno pertinenti, poiché neppure i più rigorosi avvertono ormai l’esigenza d’essere ortodossi, si può dire che perdura il minimalismo, che resistono l’organicismo e la streamline, che avanza l’ibrido, che è in ascesa la rivisita-

zione del classico. Non mancano gli effetti speciali. È da segnalare il ritorno a tipologie trascurate, come i paraventi i separé. Nel campo degli imbottiti sono da segnalare modelli e configurazioni che diventano veri e propri «exsistens minimun»,

isole morbide super attrezzate, dove stare in relax, ma anche lavorare. Sono sempre in auge i lampadari, speciali e lucenti, simili a cascate, che convivono pacificamente con luci più tecniche. E poiché non si può parlare di uno stile dominante,

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ma di tanti, ne consegue che la casa sarà eclettica e che arredare diventerà una sorta di gioco, dove tutte le mosse sono permesse. Poche regole e molta fantasia. testi e setting Cristina Morozzi artwork Giorgio Tentolini


www.facebook.com/Riflessisrl

idee per la mia casa | riflessisrl.it

SEGNO

Credenza in rovere poro aperto bianco. SMALL

Tavolo allungabile con base conica in acciaio e piano in legno laccato bianco opaco.

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Lampada in alluminio martellato.

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Il bagno da vivere.

Scarabeo Vince 2013 con Bucket

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Ceramica italiana.


home sweet home

Testo Francesca Manuzzi - Foto Magnus Mårding

Calda e accogliente, romanticamente bourgeois. Come una casa. Lo svela il nome di Ett Hem, l’hotel svedese editato dall’architetto Fredrik Dahlberg in una sorta di family house, dalle atmosfere tipicamente scandinave

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A sinistra e in apertura, due suite dell’Ett Hem. A destra, dall’alto, una veduta dell’esterno dell’edificio e le zone living dedicate al relax

B

envenuti a casa Ett Hem. Il nome e gli spazi sussurrano lo stesso gentil pensiero. Perché, inserendo le parole Ett ed Hem in un blandissimo dizionario online per la traduzione dallo svedese all’italiano, il risultato è semplice: «una casa». Che porta con sé corporate e filosofia dell’hotel di Stoccolma ripensato dalla designer britannica Ilse Crawford di Studioilse. Jeanette Mix, proprietaria del building sorto a Sköldungagatan all’inizio del Ventesimo secolo per opera dell’architetto Fredrik Dahlberg, non desiderava un luxury hotel. Un normale hotel è un luogo passivo, che esiste nonostante non ci siano ospiti. Ett Hem sarebbe dovuto diventare uno spazio in cui respirare e toccare con mano il lusso di concedersi tempo, sentirsi a casa, come membri di una famiglia allargata, comodi come ospiti nell’abitazione di amici di vecchia data, coccolati da elementi luxury, à la svedish maniera. Nelle 12 tra camere e suite di differenti dimensioni, che si snodano per i corridoi dell’antico edificio in cui il ritmo è scandito dalle boiserie onnipresenti, campeggiano antiche stufe di maiolica, letti a baldacchino, oggetti di rafia e sedie in midollino e pelle, in cui i toni caramello, tortora e cioccolato si fondono alle righe marinière e all’op art, tra opere di pittura e design eccellenti. Per un luogo caldo, dentro come fuori, posto nel Lärkstan district, tra le case di mattoni rossi bruniti e i comignoli aguzzi verde rame, come vogliono le migliori fiabe locali e vicino al Gamla Stan,

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Nelle foto a sinistra, dall’alto, la sala da pranzo dove troneggia il grande tavolo ellittico e uno dei bagni con vasca in marmo. Nella pagina accanto, il raffinato giardino d’inverno

la città vecchia, il palazzo Reale e il Vasa Museum. L’edificio, eretto dal principio per un ufficiale governativo e la moglie, si sdoppia in un bipolarismo estetico d’altissima gamma. Il regno maschile, dalle camere con pannellature in legno scuro e robusto, in ognuna delle quali risiedono frigo bar in ottone, bagni in marmo e arredi bespoke, era originariamente destinato alle occasioni di vita pubblica che la casa doveva ospitare. Poi, l’anima docile, femminile, posta al secondo livello della maison, dedicata alla sfera del privato, che evoca il bianco estivo e la leggerezza degli interni tradizionali scandinavi, con spazi familiari illuminati dalla luce soffusa del sole, in cui albergano oggetti d’antiquariato, una buona dose di furniture tattili, tessuti e tocchi heritage provenienti da tutta la Svezia e legati all’estetica della collezionista eclettica Karin Larsson, compagna del celebre acquarellista di fine ‘800 Carl Larsson e a cui l’originale regina della casa si era ispirata per organizzare gli ambienti. Tutto pronto a scaldare il cuore. Dal momento in cui si solca la soglia, salendo i gradini, fino a trovarsi di fronte al camino acceso con fiori recisi di fresco appoggiati sul tavolino d’ingresso, tutto è casa. Così come il giardino interno, un luogo segreto, con un’ampia serra in vetro, ideale per le colazioni, come per organizzare party estemporanei la sera. Chiaramente, come in una vera casa, non esistono ristoranti precostruiti all’Ett Hem. Gli ospiti possono servirsi autonomamente il vino, scegliendolo dal frigo, così come rovistare tra gli scaffali della cucina per procacciarsi snack di produzione locale, che cambiano come cambia la stagione, e consumarli intorno al grande tavolo ellittico della sala da pranzo. Rimane a discrezione dell’ospite scegliere di quali servizi usufruire, perché Ett Hem vive con i suoi ospiti, per cingerli con il tepore di un abbraccio. Il full service assicura la possibilità di realizzazione di cene formali, private e addirittura pic nic, sempre seguendo i propri ritmi e necessità. All’Ett Hem si può accendere e spegnere la televisione da soli, prendere la macchina in prestito, sprofondare nei divani della zona living davanti al crepitio del camino, leggere i volumi d’ogni genere custoditi nella libreria di casa o portare il cane a passeggio per per le vie dello Sturplan district o al vicino Vanadislunden park. Ett Hem è lusso allo stato puro, non un luxury hotel, uno spazio per il benessere principalmente dello spirito, ma che non tralascia il Wellness con la W maiuscola, che sfocia in una piccola Spa, con sauna, palestra e relaxing room. Massima libertà anche per la prenotazione. Gli ospiti possono, infatti, decidere di soggiornare in una camera, così come affittare un piano o l’interno edificio.

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PureNature Nel verde rigoglioso dei parchi del Brasile si muovono corpi agili e scultorei. Moderni adoni con una fisicitĂ ispirata agli atleti della Magna Grecia. Vestiti di fregi barocchi, in contrasto con una vegetazione passionale Servizio Stefano Roncato Foto Italo Gaspar

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In queste pagine e in apertura di servizio: slip in jersey Versace underwear e parigamba in Lycra Versace beachwear Photo assistant: Mot Santos. Models: Tiago Bariqueli, Chesmman Medeiros, Nicolai Fritzen e Joel Burger @ Elian Gallardo model

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in ediCola Con MF Dal 2008 a oggI marIa grazIa chIurI e pIerpaolo pIccIolI hanno rIDato un'anIma alla maIson valentIno. scrIvenDo un capItolo DI granDe raffInatezza, eleganza couture e successo DI busIness. rIspettanDo l'ereDItà DI monsIeur garavanI

women fall-winter 2013/14 interview

trend

hit list

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Fendi Calvin Klein Céline Tom Ford Prada GivenChy lanvin louis vuiTTon dolCe & Gabbana n°21 Jil sander dries van noTen marC JaCobs miu miu alexander mCQueen

Il primo e unico magazine che racconta la moda In diretta è un progetto

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Nella foto, Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli assieme a modelle con look a-i 2013/14 firmati Valentino

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Magazine For Fashion

Dal 2008 a oggi maria grazia Chiuri e pierpaolo piCCioli hanno riDato un'anima alla maison valentino. sCrivenDo un Capitolo Di granDe raffinatezza, eleganza Couture e suCCesso Di business. rispettanDo l'ereDitĂ Di monsieur garavani



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Assassini nati

Dettagli appuntiti, vagamente hard-core, tra fiamme e spine. La sanguinaria storia d’amore tra i coniugi Knox è l’occasione per scoprire arredi crudi, di ispirazione 90s

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06-DOMODINAMICA. Scuba, divano in scocca di policarbonato rossa. 07-NODUS. Barbed wire, tappeto annodato a mano a soggetto filo spinato. 08-MOROSO SUCCESSFUL LIVING FROM DIESEL. Piston, tavolino basso in cemento. 09-NUBE. Zip, poltroncina rivestita con tessuto fantasia. ricerca di Cristiano Vitali

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Il 700 veneziano del seduttore per antonomasia, svelato attraverso l’obiettivo di Federico Fellini. Volutamente rétro, l’arredamento assume forme sontuose e seducenti 01-VISIONNAIRE. Rhodium, letto singolo a forma di barca. 02-PATINA. Vicenza armoire, armadio-credenza in legno decorato e dipinto a mano. 03-BUCCELLATI. Anemone, piattino svuotatasche in argento lavorato. 04-LA MURRINA. Corolla, lampadario in vetro colorato soffiato a mano.

05-CERAMICA FLAMINIA. Doppiozero, lavabo in ceramica bianca a forma di tortiera. 06-SAINT LOUIS. Théorème, serie di cinque bicchieri in cristallo, bordati oro. 07-MINEHEART. Grey bookcase, carta da parati a serigrafia libri effetto vintage su scaffale. ricerca di Cristiano Vitali

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Attrazione fatale

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Michael Douglas e Glenn Close nella loro travagliata love story dai toni pulp. Che si traduce in un arredo crudo ed essenziale, ricco di dettagli freddi e metallici 01-IVV. Dream, calice in cristallo con la coppa tinta in nero. 02-MARSOTTO EDIZIONI. Connoisseur, portabottiglie in marmo free standing. 03-FLEXFORM. Day bed, lettino-divano con separè e lati apribili. 04-KNINDUSTRIE. KnPro, pentola in

vetro borosilicato con cestini multiuso. 05-TECNOGAS. Next grand, cucina industriale a sei fuochi. 06-SIA. Coccodrillo scultura. 07-JANNELLI&VOLPI. Asciugamano da bagno in cotone a nido d’ape con disegno effetto rasoio da barba. ricerca di Cristiano Vitali

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LE NOTIZIE, I PERSONAGGI E I TREND CHE HANNO SCRITTO LA STORIA DEL FASHION SYSTEM IN 300 COPERTINE

in edicola con


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Love Story

Atmosfere dagli Usa dei 70s, per raccontare una storia d’amore travagliata. Tinte pastello e piccoli accenni di modernariato, che svelano forme addolcite e sinuose

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01-EDG. Scultura di cane in ceramica a forma di palloncini gonfiati. 02-WEDGWOOD. Butterfly bloom, piattino in porcellana decorata. 03-VITRA. Turbine, orologio da parete a forma di stella. 04-GIFT COMPANY. Cornice da parete composta da sei piccole cornici assemblate assieme.

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15 multimediale per celebrare 15 anni di storia tra moda e finanza in italiano e in cinese

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15 anni raccontati in 300 cover per analizzare gli eventi, i fatti, i protagonisti e i brand che hanno scritto la

1 - Gli shooting_on line dal 12 aprile 2 - La moda_on line dal 30 aprile 3 - La cronologia_on line dal 14 maggio 4 - I protagonisti_on line dal 30 maggio 5 - Le analisi del settore_on line dal 18 giugno

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03-sia

02-seletti

Product

Breve incontro

Avvengono in rigoroso black & white gli incontri fugaci di Laura e Alec. La stessa cromia si trasferisce sugli arredi, riprendendo le forme semplici di metĂ Novecento

06-baxter

04-venini

01-IKEA. Ă„lmsta, sedia in fibre naturali tinta di nero. 02-SELETTI. Trip cartoon, armadio tinto bianco con i profili sottolineati da pennellature nere. 03-SIA. Candela per ambienti a profumazione naturale. 04-VENINI. Pulegoso, vaso in vetro soffiato a mano. 05-MINOTTI. Prince, poltrona con ba-

05-minotti

se in metallo rivestita in tessuto tartan bianco e nero. 06-BAXTER. Benao, lampada da terra con corpo in legno e diffusore in tessuto. 07-ALESSI. CrissCross, contenitore intrecciato multiuso in lega metallica. 08-ESTABLISHED & SONS. Wrongwoods, credenza serigrafata a effetto venature di legno. ricerca di Cristiano Vitali

07-alessi

08-established & sons


PROGETTI Oltre il design Longtime design Alessia Gasperi

CùCùRùKù design Riccardo Paolino e Matteo Fusi tavolini, porta ombrelli, tutti rigorosamente Made in Italy e progettati da grandi architetti e designer di fama internazionale: Gaetano Pesce, Gian Franco Frattini, Joe Colombo, Giulio Iacchetti, Matteo Ragni, Maurizio Duranti, Karim Rashid, Asps Studio che segue anche l’art direction, e il giovane multidisciplinare Studio Kuadra sono solo alcuni dei nomi che collaborano con Progetti.

Ceraunavolta design Alberto Sala

P

rogetti è un’azienda dinamica e vitale che da oltre 30 anni pe n sa, studia e realizza complementi d’arredo e oggetti per la casa e l’ufficio. Design curato nei minimi dettagli, elevata qualità, innovazione formale e funzionale sono alla base dei suoi prodotti: orologi da parete, contemporanei cucù, appendiabiti,

La ricerca della massima qualità, dalla scelta dei materiali alla lavorazione, il design contemporaneo e mai scontato, le tecniche di produzione semi artigianali, unite alla lunga esperienza nel settore e al rispetto dell’ambiente, hanno portato Progetti al raggiungimento di una notorietà internazionale permettendole di essere presente in moltissime aree del mondo. Le creazioni di Progetti, realizzate in legno, metallo, plastiche e altri materiali, senza vincoli di lavorazione o tecnologia, lasciando così grande libertà di azione, sono pensate per soddisfare il gusto più esigente, attento all’esclusività e ai particolari, ma anche le aspettative di un pubblico più ampio e giovane, sensibile alle novità, ai materiali naturali ed ecologici, al design semplice ed emozionale. Progetti è, quindi, una delle principali aziende protagoniste del Made in Italy, premiata non solo dai risultati

commerciali ma anche dal riconoscimento da parte di importanti enti: il MoMA di New York e San Francisco hanno inserito nel proprio catalogo alcuni orologi, vari prodotti sono stati esposti alla mostra ‘Il palazzo della Farnesina e le sue collezioni’ tenutasi all’Ara Pacis di Roma e sono stati inseriti nella collezione permanente Farnesina Design. Già ad inizio 2013 Progetti conferma la sua leadership presentando oggetti accattivanti e dal design esclusivo che stanno avendo un riscontro positivo da parte degli operatori di settore provenienti da tutto il mondo che hanno apprezzato le realizzazioni di designer affermati e giovani talenti. Dopo Macef a Milano e Ambiente a Francoforte, Progetti espone a iSaloni prodotti dal forte impatto estetico, veri e propri complementi d’arredo per colorare e arricchire casa e ufficio. Seguendo le linee guida di questo anno, l’azienda punta su nuovi materiali, tonalità accese, stile giovane, vivace, che ‘fa la differenza’. Progetti ama innovare ed innovarsi, essere una fucina di idee; ama sfidarsi per ripensare con originalità e allegria oggetti semplici e quotidiani, senza che perdano la loro principale funzione.

www.iProgetti.eu info@iProgetti.eu

Tutti i dati e le informazioni contenuti nel presente Focus sono stati forniti dall’Azienda che ne garantisce correttezza e veridicità, a soli fini informativi.


Product

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02-lene bjerre

03-rapsel

Bonnie & Clyde

I due amanti-gangster più famosi della cronaca, in una retrospettiva ispirata agli anni 30, con dettagli vintage, materiali used e tessuti effetto sparatoria 01-DIALMA BROWN. Sedia in legno tinto dalla foggia tipicamente Usa. 02-LENE BJERRE. Orologio da parete a forma di orologio da taschino. 03-RAPSEL. Amarcord, rubinetto da parete in ottone satinato. 04-CASAMANIA. Chariot, carrello per vivande in legno e metallo. 05-ALESSI. Dressed, piatto in ceramica, sagomato e decorato a rilievo.

04-casamania

06-L’ABBATE. Salon, divano con schienale a foggia asimmetrica. 07-LUCEPLAN. Hope, lampada composta da una serie di lenti. 08-SIA. Lampada da tavolo con diffusore orientabile. 09-USUALS. Caraffa con serigrafia di paesaggio fiammingo e inserto a sagoma di elicottero. ricerca di Cristiano Vitali

07-luceplan

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09-usuals

01-dialma brown


Story teller

Creare un futuro illuminato «Siamo promotori di una vera e propria cultura della luce, fatta di innovazione e ricerca, design e cultura, architettura e territorio, per una luce migliore», ha detto Adolfo Guzzini che guida una realtà, iGuzzini, vero gioiello del made in Italy

«Better light for a better life». Questa la filosofia che dal 1959, anno della sua fondazione a Recanati, contraddistingue iGuzzini. Un tratto che si traduce nella costante ricerca di una qualità a 360 gradi, che trova espressione non soltanto nella produzione di oggetti che illuminano, quanto nella creazione di una regia luminosa in grado di migliorare la qualità dell’ambiente. Proposte dal sapore design e progettate per integrarsi totalmente nei tanti luoghi del vivere quotidiano come nelle più diverse architetture, consapevoli del ruolo che la luce è in grado di giocare nella lettura degli spazi. Ora la nuova sfida del big player da 185 milioni di euro di fatturato è quella di rafforzare la presenza e la leadership in Europa e consolidare i mercati extra europei, che rappresentano il 71% del proprio turnover. Mantenendo saldi quei valori guida come l’innovazione, la ricerca, la cultura e il design che da sempre la consacrano come prima azienda italiana del settore illuminotecnico. Cosi come ha raccontato in questa intervista Adolfo Guzzini, presidente di iGuzzini illuminazione

Domanda. Secondo lei, quali sono state le recenti innovazioni che hanno caratterizzato il mercato del settore luce? Risposta. Sicuramente l’adozione dei Led, che diventeranno la principale sorgente applicata, da qui ai prossimi cinque anni, sostituendo l’80% delle sorgenti tradizionali. Il trend che le aziende top players perseguiranno è quello di aumentare sempre di più l’efficienza energetica e la qualità della luce. D. Quali sono le tecnologie che state sviluppando o che tendete utilizzare per il progetto di risparmio energetico? R. Led e sistemi di controllo. L’obiettivo è quello non di ridurre l’uso della luce ma di utilizzarla in modo progettato, negli esterni ma anche negli interni, attraverso un’applicazione corretta e intelligente. L’uso intelligente della luce migliora la qualità dell’ambiente e allo stesso tempo riduce il consumo di energia, soprattutto se si utilizzano le tecnologie a disposizione per migliorare l’efficienza dell’impianto: il primo passo è quello di una corretta progettazione illuminotecnica degli impianti perché, ovviamente, oltre alle

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Da sinistra, Adolfo Guzzini, numero uno de iGuzzini, e alcune lampade progettate dall’azienda da 185 milioni di ricavi

sorgenti luminose e agli apparecchi di illuminazione, un ruolo fondamentale è svolto dal loro gusto e dalla loro gestione. iGuzzini predispone una serie di apparecchi, altamente performanti, che combinano le più recenti tecnologie. Oggi si può scegliere la qualità di luce che si vuole e la si può modulare all’occorrenza D. Come è articolato il progetto di luce biodinamica? R. Per noi la ricerca dell’applicazione della luce attraverso i laboratori è da sempre stato un elemento guida. Nel 1988 abbiamo iniziato la ricerca Sivra in collaborazione con il Lighting Research Center di Troy, nello stato di New York, per studiare l’influenza dell’illuminazione artificiale sul benessere psico-fisiologico delle persone negli ambienti confinati, privi cioè di contatti con l’illuminazione naturale: questo ci ha consentito di verificare come le persone reagivano negli spazi privi di luce naturale. Da questa ricerca è nato il primo prodotto a luce biodinamica, con un’illuminazione variabile controllata elettronicamente modulabile a diverse latitudini del mondo e nei diversi momenti della giornata a cielo coperto come a pieno sole. È stato un brevetto che ci ha consentito di mantenere una leadership riconosciuta di livello internazionale. D. Quando parlate di inquinamento luminoso quali sono le tecniche che avete studiato per ridurre questo fenomeno? R. Abbiamo studiato delle particolari ottiche schermate, molto precise e performanti, in grado di indirizzare la luce solo dove è necessario, evitando il fastidioso fenomeno della dispersione della luce e dell’abbagliamento luminoso,

tanto negli esterni quanto negli interni. La luce risulta essere più puntuale e circoscritta alle esigenze. Il tema dell’inquinamento luminoso è a noi caro, tanto che già nel 1993, per primi in Europa, iniziammo una campagna pubblicitaria per diffondere il problema e sensibilizzare all’uso di una luce corretta. D. Quali sono le novità che avete presentato al Salone del mobile 2013? R. La presenza iGuzzini durante la Design week milanese si sviluppa ormai da anni fuori dalla fiera: abbiamo privilegiato un approccio culturale per diffondere la «Cultura della luce» iGuzzini, non attraverso la presentazione di prodotti novità quanto con la creazione di regie e scenografie luminose applicate a installazioni e architetture dipanate nella città. Quest’ anno abbiamo illuminato nove delle installazioni del circuito di «Hybrid architecture & design», l’evento organizzato da Interni all’interno dell’Università Statale di Milano, mettendo la nostra luce a disposizione delle opere dei grandi architetti e designer coinvolti. D. Qual è la filosofia dell’azienda? R. Potremmo sintetizzarla in «Better light for a better life»: il concetto centrale è quello della necessità di perseguire quel miglioramento che dal progetto di illuminazione arriva a influire sulla qualità dell’ambiente per migliorare la qualità della vita di chi ci vive. Noi siamo promotori di una vera e propria cultura della luce, fatta da una serie di valori guida perseguiti e rinnovati nel tempo con costanza e determinazione: innovazione e ricerca, risorse umane e formazione, design e cultura, architettura e territorio, internazionalità e comunicazione, per una luce migliore. D. Com’è andato il 2012? E quali sono le previsioni 2013? R. Il fatturato 2012 è stato di 185 milioni di euro mantenendoci stabili rispetto all’anno precedente. Un grosso risultato se si pensa che il settore dell’illuminazione ha perso dal 10 al 20%. Per noi l’Italia ha avuto un calo del 9%, ma è stato compensato da un incremento sull’estero, con un’esportazione del 71%. Per il 2013 pensiamo di presidiare l’Italia e prevediamo delle crescite all’estero, grazie all’entrata di importanti progetti ancora top secret che dovrebbero maturare. D. Quali sono gli obiettivi per i prossimi anni? R. Rafforzare la leadership in Europa e consolidare i mercati extra europei dove siamo già attivi nella fascia alta e medio-alta, grazie a 16 filiali e una capillare rete di vendita. D. Quali sono i mercati su cui state puntando? R. Il Medio Oriente, il Far East e gli Usa che abbiamo già penetrato aprendo delle filiali iGuzzini ma che hanno ancora ampio margine di crescita. D. Qual è il prodotto che vi rispecchia di più tra tutti quelli che sono stati realizzati da iGuzzini in questi anni? R. Tutti. In tutti i nostri prodotti convivono design e tecnologia, frutto di ricerca e di innovazione anno dopo anno. D. Come fate convivere tradizione e innovazione? R. Più che di tradizione, parlerei di cultura d’impresa che coesiste con l’innovazione. II nostro Dna affonda le proprie radici nel design, nella qualità, nella ricerca, nel valore del fattore umano, nella consapevolezza di operare, in ogni singolo passaggio, per arrivare a quel «Better light for a better life», che da sempre contraddistingue iGuzzini. Camilla Gusti

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