Bruno Munari. Grafica e psicopedagogia

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BRUNO MUNARI

Grafica e psicopedagogia


Politecnico di Milano FacoltĂ di Design della Comunicazione Corso di Storia delle Comunicazioni Visive

Crespi Claudia Matricola ******


ABSTRACT INTRODUTTIVO Modernità e divertimento animano la fantasia e la geniale progettualità di uno dei più importanti designer del Novecento: Bruno Munari. Attraverso questa tesina verranno ripercorsi i tratti salienti della sua vita, soffermandosi sulle influenze che hanno guidato i suo lavoro ma da cui poi si distacca per rendere unici i suoi progetti. Saranno analizzati i due campi in cui l’artisti si è distinto maggiormente, la grafica e la psicopedagogia, per poi considerare come conclusione gli elementi comuni. La tesina si prefigge di essere non solo una semplice biografia, ma una presentazione dell’evoluzione del pensiero lungo tutta la vita di Munari: vengono infatti esaminati in modo esauriente non solo gli oggetti più importanti della sua produzione, ma anche la parte concettuale che fa loro da base.



SOMMARIO I MILLE VOLTI DI UN GENIO

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LA GRAFICA pag. 13 LA PSICOPEDAGOGIA pag. 23 LA FUSIONE pag. 36 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA pag. 41



I MILLE VOLTI DI UN GENIO «Un uomo che vive di ricordi, diventa vecchio. Uno che vive di progetti resta giovane».



I MILLE VOLTI DI UN GENIO L’ opera di Bruno Munari ha attraversato quasi interamente il ‘900, spaziando con disinvoltura tra molti campi differenti; per questo motivo è difficile commentare la sua opera complessivamente. Bruno Munari nasce a Milano nel 1907 ma trascorre la sua infanzia a Badia Polesine, influenzato dal fascino della natura e del mondo contadino, mostrando fin da subito una grande curiosità nello sperimentare. Trasferitosi a Milano appena ventenne, viane a contatto con il Secondo Futurismo: è con le idee di personaggi come Balla, Depero e Prampolini, che già in un manifesto pubblicato nel 1915 trattavano l’uso di materiali poveri, congegni meccanici e cinetismo, che Munari si trova in sintonia. Inizia quindi la sua attività di artista e

partecipa a diverse mostre futuriste, portando però sempre avanti parallelamente un lavoro retribuito, nel campo grafico, pubblicitario o editoriale e rendendosi così indipendente dalla preoccupazione di soddisfare il mercato dell’arte con le sue opere. Bruno Munari in un divertente foto d’epoca

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Negli anni ‘30 Munari mostra soprattutto grande curiosità nella sperimentazione di tecniche diverse, senza che ci sia nessuno stile in particolare a condizionarlo. Oltre ai già citati protagonisti del Secondo Futurismo, altre personalità dell’avanguardia europea influenzano Munari negli anni precedenti la Seconda guerra mondiale. Munari conosce infatti sia le esperienze astrattiste che il Bauhaus, i cui insegnanti sono dei punti di riferimento per le sue ricerche: Herbert Bayer nel campo della grafica, Albers per le proprietà dei materiali e il loro uso, Moholy-Nagy, per il problema della luce e del movimento. In generale con questi maestri del Bauhaus, Munari condivide l’idea dell’importanza dell’attività didattica, di provvedere ad un’educazione visuale del pubblico.

Un’altra figura legata al Bauhaus e successivamente anche alla Scuola di Ulm, con cui Munari ha elementi comuni è Max Bill: entrambi portano avanti una ricerca sul rapporto forma-funzione, rifiutano lo styling, cioè l’applicazione di uno stile estetico predefinito, e sostengono il Good design, gli oggetti ben progettati.

Esempi tratti dal libro Good Design, 1963


Durante questo periodo Munari lavora anche come grafico e pubblicitario, e nel 1930 apre uno studio di grafica in collaborazione con Riccardo Ricas. Firmano i loro lavori R+M e si presentano: «La nostra fantasia di artisti è a vostra disposizione per qualsiasi problema pubblicitario, specialmente per i più difficili». Negli anni successivi sarà intensa la sua collaborazione con le case editrici Einaudi, Bompiani ed Editori Riuniti. Nel 1932 a Milano apre la Galleria del Milione, che Munari frequenta e che gli dà la possibilità di conoscere e apprezzare l’opera di Mondrian, in cui scopre la totale valenza strutturale di tutti gli elementi. Un’altra influenza importante è infatti quella del Neoplasticismo, in particolare del già citato Piet

Mondrian che affascina Munari per la componente ritmica dei suoi quadri, l’equilibrio dinamico ottenuto con elementi formali che non esprimono altro se non se stessi.

Per riassumere il rapporto di Munari con le avanguardie possiamo dunque dire che, pur prendendo parte ad importanti movimenti dell’arte contemporanea, egli sia sopravvissuto a tutti i movimenti e periodi artistici ai quali ha partecipato perché ne ha filtrato le motivazioni più valide; egli compie una sintesi di elementi delle avanguardie: «Una ricostruzione futurista dell’universo passata attraverso una leggerissima ironia dadaista e piegata in senso progettuale dalla meditazione sull’esperienza del Bauhaus.»

Collage per la rivista “L’ala d’Italia” firmato R+M, 1936

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Nel primo dopoguerra Munari sarà tra i fondatori del Movimento di Arte Concreta (MAC), nato anche grazie all’influenza di artisti stranieri come Max Bill venuti in Italia proprio per organizzare una rassegna di questo tipo di arte. Il termine “concreto” è una precisazione dell’Astrattismo, un termine che polemicamente indicava la concretezza dei mezzi visivi dell’arte astratta (colore, luce, linee…). C’è in questo movimento un’idea precisa di come gli artisti debbano usare i mezzi del proprio tempo, assumere la tecnologia per trarne qualcosa di positivo. Le macchine diventano arte e mezzo per fare arte, vanno riscoperte, studiate e utilizzate per comunicare Questo movimento, che voleva riproporre il concetto di sintesi delle arti attraverso la cultura razional-

ista, avviò Munari verso l’industrial design, campo a cui si dedicherà negli anni ‘60. La sua attività già multiforme diventa dunque in questi anni ancora più ramificata ed ecco che, alla domanda spesso posta dai critici che hanno bisogno di un’etichetta per inquadrarlo, Munari risponde col titolo di uno dei suoi libri: Artista e designer.

Fin dall’inizio nell’opera di Munari si trovano alcune caratteristiche che rimarranno costanti nel suo lavoro. Una di queste è l’ironia (che si rifà a quella di Duchamp), elemento sempre presente a fare da contraltare a ciò che è appena stato affermato, che completa ma mette anche in discussione, fa sorridere e allo stesso tempo riflettere e ci invita ad andare oltre i risultati ottenuti.

Artista e designer, Bruno Munari, 1971


Convinto che l’unica costante della realtà sia il cambiamento, invece di fissarsi su idee preconcette, Munari segue una logica organica, vitale, di mutazione. Ecco allora l’interesse per la natura, i suoi principi interni e la sua coerenza formale che egli cerca di trasportare nella progettazione per ottenere così una nuova forma di natura, generata dall’industria. Non si imitano dunque le forme, bensì quei principi costitutivi che negli elementi naturali producono esempi di buon design: è il caso dell’arancia o dei piselli che Munari descrive sotto il titolo Good design attraverso l’uso del linguaggio tecnico, in quanto oggetti progettati dalla natura con una grande coerenza formale. Nascono così oggetti progettati per modificarsi, assumere i cambia-

menti apportati dal tempo, dal caso e dall’utilizzo, proprio come un albero cresce influenzato dai fenomeni naturali. Questo interesse per la logica interna, la struttura delle cose, porta Munari ad una ricerca che punta sempre all’essenziale, ad eliminare tutto ciò che non è necessario. La ricerca della semplicità lo porta da un lato a desacralizzare l’opera d’arte e dall’altro a ridurre l’oggetto progettato a ciò che risponde ad una determinate funzione, attraverso una ricerca e un metodo rigorosi. Si desacralizza al tempo stesso anche la figura dell’artista: scende dunque dal piedistallo per diventare un operatore visuale impegnato nei concreti problemi estetici del quotidiano. Il designer invece non si occupa di

pezzi unici e non ha categorie artistiche nelle quali catalogare la sua produzione. Per lui qualunque problema ha la stessa importanza. Mentre l’artista, se deve progettare un oggetto d’uso lo fa nel suo stile, il designer non ha stile alcuno e la forma finale dei suoi oggetti è il risultato logico di una progettazione che si propone di risolvere nel modo ottimale tutte le componenti di un problema progettuale. Munari rifiuta lo stile perché è l’aggiunta di qualcosa che non è necessario all’oggetto: il Compasso d’oro a ignoti, non a caso sottolinea l’ottimo design di oggetti d’uso senza la firma dei loro progettisti.

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Nel 1962 l’azienda italiana Olivetti sponsorizza la prima mostra di arte programmata; Munari spera che da qui nascano le condizioni per il lancio di una nuova figura d’artista che sappia colmare il distacco tra la ricerca visiva ed il pubblico. 10

E’ di questo periodo la realizzazione dei multipli, oggetti progettati col metodo del design di ricerca: si tratta di prodotti industriali, a basso prezzo, che devono contribuire ad allargare la conoscenza di nozioni di percezione, ottica e topologia, e quindi di cultura visiva ad un pubblico più vasto. L’oggetto quindi non ha una forma unica e una posizione definita ma le ha tutte, tutte quelle che conosciamo per averle sperimentate e le altre che non abbiamo ancora scoperte.

Dagli anni Sessanta Munari si rivolgerà soprattutto ai bambini, individui non ancora formati sui quali è possibile operare un’educazione visuale, progettando per loro libri (attività a cui si era dedicato già negli anni Quaranta) e giocattoli. Nel 1953 vince il Compasso d’Oro per la realizzazione di un pupazzo in gommapiuma armata non rigida, Zizì.

Scimmietta Zizì, 1952

Nei suoi progetti egli tiene conto di tutti i sensi del bambino: i giocattoli e giochi da lui realizzati sono spesso “non finiti”, perché devono essere completati e modificati da chi li usa per una partecipazione attiva.


Nel secondo dopoguerra lavorerà inoltre per molte importanti case editrici rivedendo l’impostazione grafica di diverse collane. Proprio il libro è un altro grande capitolo del suo lavoro, anche in questo caso sotto il segno della sperimentazione: dai libri illeggibili fino ai prelibri, Munari cerca di capire fin dove è possibile arrivare nella ricerca di una comunicazione visiva, tattile ma non verbale, che utilizzi tutti i mezzi editoriali (tipografia, cartotecnica, legatoria, ecc). Un ulteriore passo avanti nella ludopedagogia, la pedagogia attraverso il gioco, è compiuto da Munari con l’organizzazione di laboratori per bambini: grande passo avanti testimoniato dal fatto che questi laboratori per bambini sono oggi operativi in diverse parti del mondo.

Munari muore poi a Milano il 30 settembre 1998. Bruno Munari alle prese con un suo artefatto

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Nell’impossibilità di dare una definizione univoca del personaggio e delle sue opere, impossibilità da tanti critici riconosciuta e da lui stesso ironicamente giocata come carta vincente, si può arrivare a stabilire almeno un punto certo: Bruno Munari è stato un grande maestro del vedere. Maestro, non solo per l’altissima qualità del suo fare, ma proprio, in senso letterale, per il suo aver voluto, in maniera semplice, insegnare a scoprire le infinite dimensioni della visualità. Questo ci spinge ad esaminare in modo accurato alcuni dei campi in cui Munari ha sfruttato al meglio il suo genio: Grafica e Psicopedagia.


LA GRAFICA ÂŤIl designer grafico opera senza preconcetti limitativi e senza esclusione di mezzi; le sue ricerche visive lo portano a provare tutti gli strumenti tecnici e tutte le combinazioni possibili allo scopo di raggiungere quella particolare immagine, quella e non altra, che risulti piĂš idonea alla ricerca che si deve fareÂť.



LA GRAFICA Il dilemma principale di Munari sta nel “caratterizzare” l’immagine, sia questa un manifesto o un’intera campagna pubblicitaria. Non bisogna prendere un stile e applicarlo a caso, è necessaria una certa coerenza tra forma e prodotto, tra colore e prodotto. Occorre una ricerca visiva in base alle caratteristiche psicologiche del prodotto e trovare quelle immagini, quel modo per rappresentare le figure, quei colore e quelle tecniche più coerenti. Il tutto affinché la comunicazione sia il più immediata e il più precisa possibile. Ripercorriamo i passaggi concettuali operati da Munari al fine di dare delle semplici ma chiare regole per operare nel campo della grafica. Munari inizia la sua riflessione dall’elemento base della comunicazione visiva, la lettera…

Non solo ogni lettera che compone una parola ha una sua precisa forma, ma l’insieme delle lettere che compongono la parola, danno anche una forma globale che risulta quella della parola stessa. Leggendo una parola si riconosce immediatamente la sua differenza formale rispetto ad altre parole: le linee dritte o inclinate, le curve, gli spazi bianchi tra una lettera e l’altra, tutto concorre a dare la forma globale.

Esempio tratto dal libro Arte come mestiere,1966

Conoscere la forma delle parole e studiarne le possibilità comunicative formali, può essere molto utile per il designer grafico nel caso di progettazione di avvisi o segnali visti di fretta, rapidamente, e la cui comprensione deve essere quindi immediata. 13


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Da qui risulta facile arrivare all’esistenza, per Munari, di un “tempo di lettura” per ogni testo. Anche questo è un campo dove può operare il designer grafico, dove la scelta dei caratteri e gli spazi vengono calcolati in base a un preciso effetto. Non sarebbe giusto, come invece si fa abitualmente, usare lo stesso carattere tipografico per testi poetici e per relazioni di consiglio. Una lettura veloce avviene quando il carattere tipografico è semplice e molto chiaro, gli spazi dono calcolati con precisione ottica, lo spazio attorno alla parola è sufficiente per isolarla dalle altre che si trovano attorno e il colore della parola e del fondo non sono complementari. Non a caso, anche i futuristi hanno composto le loro tavole parolibere tenendo presente questo fatto.

In sostanza, un bravo designer grafico potrebbe anche comporre un testo con diversi tempi di lettura secondo il senso del discorso, come fa esattamente una persona quando parla, e come si fa, in parte, con la punteggiatura.

Esempio tratto dal libro Arte come mestiere,1966


Dalla sua collaborazione con la studio Boggeri consegue la riflessione su un altro argomento interessante per un designer grafico: due immagini in una. Questo deriva dall’illustrazione fatta dallo Studio per la propaganda di accessori di gomma per autoveicoli. Non tutti vedono altre immagini in una, oppure non tutti vedono nello stesso modo; dipende dalla natura delle immagini e dalla natura delle persone perché ognuno vede solo quello che già conosce. Il problema delle due immagini in una (o anche di più immagini simultanee) è da considerare, da parte del designer grafico, nel caso di informazione visiva concentrata ed è progettabile secondo regole abbastanza precise. Queste doppie immagini possono, inoltre, essere evidenti o nascoste.

Si può costruire un’ immagine con il suggerimento di un’altra immagine, appena accennato in qualche forma, in modo che non si sveli subito ma che lasci qualche dubbio nella mente del prossimo,funzioni nel subconscio e possa avere un effetto più duraturo poiché all’osservatore risulta una sua immagine personale che lui ha scoperto nella prima immagine evidente a tutti.

Studio per la propaganda di accessori di gomma per autoveicoli, Studio Boggeri

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Passando al vero e proprio design grafico, Munari si dedica al manifesto, contraddicendo i vecchi pubblicitari che erano convinti che un manifesto dovesse staccarsi nettamente dagli altri, balzare fuori, colpire il passante e violentarlo. E la stessa cosa valeva per ognuno dei manifesti che gli stavano vicini sul muro. Le ricerche visive invece ci insegnano, attraverso Munari, che basterebbe usare un certo colore insolito, una forma diversa, dare un’informazione esatta e immediata per informare il passante, senza violentarlo, senza sprecare tanto denaro per l’effetto “quantità”. Esiste uno schema di manifesto al quale spesso i grafici fanno riferimento, per l’efficacia visiva, ed è la bandiera giapponese: un disco rosso in campo bianco. Questo schema ha molta efficacia visiva in quanto il

campo bianco isola e stacca il disco da tutto ciò che lo circonda, da qualunque tipo di manifesto, e perché il disco è una figura dalla quale l’occhio non si stacca facilmente.

Al contrario del triangolo, del quadrato e dei poligoni in generale che possiedono diverse possibilità di fuga dello sguardo, un cerchio non ha punte o angoli di fuga e l’occhio è costretto a girare dentro al disco fisso fino a staccarsene con uno strappo. Un errore è invece il comporre un manifesto tagliando la superficie in parti diverse come colore e come interesse. Un manifesto così fatto si mimetizza con gli altri perché ogni parte nella quale è tagliato dalla composizione, si collega vivamente al manifesto vicino per cui, alle volte, succedono delle strane informazioni che oltre a confondere il pubblico, annullano l’efficacia del messaggio.

Manifesto a bandiera cinese


Per ovviare a questo problema, è possibile progettare, quando le esigenze lo permettono, dei manifesti come se fossero dei motivi di carte da parati, manifesti senza limiti ma che, una volta combinati e affissi sui muri, diventano un unico manifesto grande quanto si vuole. Uno di questi esempi è il manifesto Campari. Affisso accoppiato sulle pareti della metropolitana, è difficile stabilire se si tratti di un manifesto solo o due o più. Il fondo rosso li unisce, il motivo della parola tagliata e ricomposta forma un gioco visivo continuo, le diverse dimensioni del nome danno effetti di profondità e l’occhio scorre volentieri verso ogni direzione attratto da questi giochi di combinazioni.

Manifesto Campari, 1964

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Questo tipo di manifesto raggiunge la sua efficacia d’informazione anche se intravisto parzialmente, se qualcuno ne copre una parte o se visto velocemente. Le due zone verticali al limite destro e sinistro di un manifesto sono quindi zone da considerare particolarmente: possono servire come zona neutra per staccare il manifesto dagli altri oppure come zona calcolata per combinazioni moltiplicanti. Per quel che riguarda l’aspetto grafico-editoriale, Munari dice che “La copertina di un libro è un piccolo manifesto e ha lo scopo di comunicare all’osservatore che, in quel libro, c’è qualcosa di interessante per lui. Tutte le copertine di tutti i libri dovrebbero avere questo scopo, e non solo questo, ma anche di dis-

tinguersi in mezzo a tutte le copertine di libri allineati nella stessa vetrina e in qualunque altra vetrina...” Per valutare l’impatto che la sua opera di progettazione ha avuto sull’immagine della cultura in Italia, si possono prendere in esame le sue collaborazioni con diverse case editrici. Per cominciare, l’editore Einaudi: Munari ridisegna la veste grafica della collana.

Egli sostituisce la copertina colorata con una sovracoperta bianca attraversata da strisce rosse orizzontali, con la fotografia in bianco e nero dell’autore; queste strisce rosse sono pensate come un binario che “gira” attorno al volume evidenziando il titolo, anch’esso cambiato nello stile nel corpo del carattere, e la casa editrice.


Negli anni Settanta Bruno Munari continua la sua rivoluzione visiva ripercorribile attraverso l’immagine di collane simboliche. La grafica della collana “Politecnico Biblioteca”, inizialmente curata da Albe Steiner, subisce un notevole cambiamento: alla copertina con illustrazione a tutta pagina, dai titoli a caratteri aggraziati si sostituisce la

Collana Nuova Universale Einaudi, 1964

Collana Nuovo Politecnico, 1965

copertina bianca dove viene collocato un quadrato rosso che si posiziona ad altezza variabile in rapporto al titolo, quest’ultimo composto da caratteri senza grazie e in grassetto. Anche il nome della collana stessa si trasforma in “Nuovo Politecnico” per porre l’accento sul profondo cambiamento.

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Un altro esempio di profondo cambiamento attuato da Munari è la progettazione grafica della collana “Piccola Biblioteca Einaudi”. La copertina di questa collana si colloca come simbolo della unitarietà grafica della casa editrice. In essa compare per la prima volta la “gabbia” di quadrati modulari in-

Collana Piccola Biblioteca Einaudi, 1965

scritti nel formato rettangolare del libro che ancora oggi rappresentano l’elemento simbolico di molte collane Einaudi.


Troviamo un esempio di altre pubblicazioni per la quali Munari ha curato l’insieme dell’assetto graficoeditoriale con le collaborazioni per gli Almanacchi Bompiani nei quali l’artista propone soluzioni visive parallele alle espressioni letterarie;

le Forchette, queste “mani senza pollice” che gesticolano, ammoniscono, chiedono, si scusano, muovono i rebbi imitando i gesti delle dita, attuando un nuovo tipo di comunicazione;

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Forchette parlanti, 1958

Almanacco Letterario Bompiani,1966


Esempi delle immagini contenute nel Supplemento al dizionario italiano

il Supplemento al Dizionario Italiano, previsto da Munari come un’appendice al dizionario della lingua italiana fatto per immagini, facendo risaltare l’efficacia e l’ironia di molti “nostri” modi di parlare, senza parole. 22

Supplemento al dizionario italiano, 1958


LA PSICOPEDAGOGIA «Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé per tutta la vita, vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare».



LA PSICOPEDAGOGIA «I bambini di oggi sono gli adulti di domani», ripeteva spesso Munari, affermando che i suo studio più importante riguarda la pedagogia. Ma perché tanto interesse per il mondo dell’infanzia? «Non potendo cambiare gli adulti, ho scelto di lavorare sui bambini perché ne crescano di migliori. E’ una strategia rivoluzionaria quella di lavorare sui e con i bambini come futuri uomini». Il suo sogno era quello di promuovere una società fatta di uomini creativi e non ripetitivi. Di fondamentale importanza per lo sviluppo del suo pensiero è il legame con Gianni Rodari, molto attento anche lui al mondo dell’infanzia e alla necessità di fornire ai lettori, con le parole e con le immagini, una nuova e diversa sensibilità nel guardare le cose.

Munari, quando illustra i testi di Rodari, accentua il lato fantastico e non puramente descrittivo delle azioni e delle dinamiche narrative messe in campo, soprattutto attraverso la creazione di spaesamenti e situazioni fantastiche. Ad esempio, in Filastrocche in cielo e in terra, emerge proprio la capacità di Munari di essere leggero ma fulminante, di stupire costantemente e di giocare con pochi segni cromatici, che diventano la trama e l’eco delle parole.

Filastrocche in cielo e in terra, 1960

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Come per Rodari la scrittura è testimonianza di libertà, così per Munari il segno è invenzione efficace, libera e irriverente nei confronti delle convenzioni. L’accostamento, anche casuale, di forme o parole fa volare lontani con l’immaginazione e, se tutto può essere proposto sotto forma di gioco, la creatività, nell’impiego delle parole di Rodari e delle immagini per Munari, non è fine a se stessa, ma svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo autonomo del pensiero. Entrambi condividono l’opinione che la creatività necessiti di un’intelligenza elastica, una mente libera da preconcetti d’ogni genere, pronta a modificare le proprie opinioni quando se ne presenta una “più giusta”, in quanto la creatività si forma e si trasforma continuamente.

Nel 1974 Munari scrive l’articolo Proposta di una scuola di design che comincia dall’asilo, nel quale evidenzia l’importanza di ricercare le costanti delle attività di progettazione, fra le quali la metodologia, la creatività e l’autocritica, indispensabili per formare individui con una particolare mentalità di tipo progettuale, che sappiano risolvere i propri problemi autonomamente e senza condizionamenti. Per fare ciò, sottolinea Munari, i bambini devono poter sperimentare in modo graduale strumenti e regole, manipolare materiali, affinare la capacità di osservare e memorizzare nuovi dati, scambiare le proprie esperienze con quelle altrui, in un clima che non favorisca la competitività. econdo Munari non si può stabilire un confine

preciso tra fantasia e creatività, in quanto i prodotti di entrambe nascono da relazioni che il pensiero stabilisce con ciò che già conosce. È evidente che non si possono intrecciare relazioni tra ciò che non si conosce: un individuo di cultura limitata non potrà avere una fantasia molto fervida.


“Se vogliamo che il bambino diventi una persona creativa, dotata di fantasia sviluppata e non soffocata dobbiamo fare in modo che memorizzi più dati possibili, nei limiti delle sue possibilità, per permettergli di fare più relazioni possibili, per permettergli di risolvere i propri problemi ogni volta che se ne presentano” [Fantasia]. La creatività va insegnata e stimolata attraverso il processo educativo: consegnando al bambino gli strumenti indispensabili per la sua conoscenza e utili per attivare il pensiero divergente. Rapportarsi ai bambini non significa tradurre per loro la realtà banalizzandola, sottovalutando le loro potenzialità conoscitive, quanto piuttosto spiegare loro, mediante i mezzi più consoni, concetti anche comp-

lessi. Nel perseguire il suo obiettivo, egli procede con leggerezza, facendo tesoro delle possibilità offerte dall’invenzione, nella convinzione che la “sospensione”, il non dire tutto, stimoli ulteriormente la fantasia. E proprio l’invenzione diventa fondamentale quando si vuole osteggiare il conformismo. Bruno Munari riprende un’idea già considerata precedentemente scrivendo ed illustrando, con tecniche diverse, le avventure di Cappuccetto Giallo e Cappuccetto Verde, che verranno riunite nel 1981 nella raccolta Cappuccetto Rosso, Verde, Giallo, Blu e Bianco.

Cappuccetto Verde e Cappuccetto Giallo, 1981

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Sono storie nuove, che riprendono quella già conosciuta, ma vi si allontanano introducendo nuovi elementi. Munari, per far crollare definitivamente lo stereotipo e lasciare al lettore la libertà dell’immaginazione, inventa la storia di Cappuccetto Bianco, ma, da abile illustratore quale egli è, lascia le pagine completamente bianche; solo in una pagina centrale del racconto troviamo due cerchi azzurri contornati da un sottile bordo dello stesso colore: sono gli occhi della bambina, ma possono rappresentare anche qualcos’altro se il lettore si lascia trasportare dalla fantasia.

Occhi azzurri in Cappuccatto Bianco, 1981


Bruno Munari, che nel corso della sua attività rivolta ai bambini ha cercato di comunicare con le immagini, arrivando ad eliminare progressivamente le parti testuali dai suoi libri dedicati all’infanzia (come in Nella nebbia di Milano e nei Prelibri), da questo momento si dirige verso un nuovo sentiero: l’abbandono dell’immagine che può trasformarsi in stereotipo interpretativo.

Dopo questa raccolta Munari non realizza più libri illustrati, ma progetta libri con l’intento di annullare lo stereotipo figurativo, allargando le possibilità di rappresentazione. E’ evidente in Munari il passaggio dalla comunicazione visiva, univoca ed immediatamente comprensibile, alla complessità e all’ampiezza del linguaggio pittorico. Ad esempio, in Disegnare il sole, Munari propone tanti modi diversi per rappresentare il sole, sollecitando chi legge e osserva le sue molteplici realizzazioni grafiche a inventare nuove rappresentazioni dell’oggetto preso in considerazione. Stimola a guardare in modo non superficiale la realtà, ad allargare le proprie conoscenze, per uscire dallo stereotipo e riportare nell’espressione la freschezza

dell’osservare e dell’immaginare, in modo che lo stereotipo diventi uno tra tante possibilità di rappresentazione, ma non l’unico.

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sopra: Disegnare il Sole, 1980 a lato: Nella nebbia di Milano,1968


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Munari ripeteva: “ognuno vede ciò che sa” [Arte come mestiere], intendendo che ognuno associa ciò che vede alle proprie conoscenze; allargando le conoscenze, si vede di più e si comprende meglio la realtà, nella convinzione che non esistano verità assolute, ma regole da apprendere e da utilizzare creativamente. L’attenzione riservata da Munari alle multiformi possibilità rappresentative dei bambini era sorta già alcuni anni prima, durante la sua collaborazione con Giovanni Belgrano. Belgrano è un insegnante orientato verso nuove strategie didattiche e ritiene la sperimentazione dei mezzi di comunicazione innovativi un ottimo strumento d’indagine della realtà da utilizzare insieme ai bambini. Negli anni egli porta avanti degli

studi con lo scopo di testare nuove proposte didattiche in un’ottica di rinnovamento della scuola dell’infanzia ed elementare. Grazie a queste ricerche sperimentali, nasce la sua collaborazione con

Munari, al fine di progettare giochi didattici rivolti ai bambini. Insieme realizzano diversi giochi tra cui Carte da gioco, composto da una serie di figure che il bambino deve riordinare seguendo la successione

Due diverse visioni delle Carte da Gioco, 1980


temporale, e Più e Meno, costituito da cartoncini bianchi e cartoncini forati, fogli di plastica trasparente e carte semitrasparenti, sulle quali è stampata l’immagine di una possibile composizione ideale; queste im-

Più e meno, 1970

magini possono essere combinate per sovrapposizione: l’idea di base è l’infinita possibilità di comporre storie e luoghi sovrapponendo le immagini fornite senza una sequenza preordinata, permettendo ogni volta

di realizzare un’originale composizione. È il bambino che, utilizzando la fantasia, diventa protagonista del gioco, in quanto decide la storia, la inventa, la crea scegliendo gli elementi che più si adattano a ciò che vuole raccontare. Si tratta di giochi che danno risposta alle esigenze creative del bambino e ai suoi desideri di scoperta, la quale diventa più facile se si lascia al bambino la possibilità di avere nel gioco una partecipazione attiva, fisica e autonoma. Anche Munari, come Belgrado, si dichiara contrario ai metodi didattici rigidi, proponendo nel 1968 un “insegnamento dinamico” [Design e comunicazione visiva] nel quale sia previsto un programma di base continuamente modificabile dagli interessi

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che emergono durante lo svolgimento delle attività. L’insegnante, afferma Munari, deve avere l’elasticità e la prontezza di preparare lezioni coerenti con le necessità che si presentano di volta in volta. Riferendosi in modo specifico alla comunicazione visiva, sostiene più volte che sono le tecniche che possono essere insegnate, non l’arte: l’arte c’è o non c’è. Ciò che è fondamentale è dare la possibilità a chiunque di sperimentare le tecniche e gli strumenti utilizzati nell’arte. Con questi presupposti Bruno Munari, insieme a Giovanni Belgrano e al figlio Alberto, psicologo e collaboratore del Centro di Epistemologia “Jean Piaget” di Ginevra, progettano il primo laboratorio Giocare con l’arte presso la Pinacoteca di

Brera nel 1977 . Dopo quarant’anni trascorsi tra arte e design, che lo hanno portato alla notorietà, Bruno Munari dedica l’ultimo periodo della sua attività non a consacrare il proprio successo, ma a quell’attività di “serie B”, che è la progettazione dei Laboratori Giocare con l’arte. La metodologia utilizzata nei laboratori Giocare con l’arte è rivolta alla comprensione di tecniche e strumenti, alla manipolazione di materiali attraverso cui il bambino diventi protagonista attivo nella scoperta di regole, limiti e possibilità degli strumenti e delle caratteristiche peculiari dei materiali stessi. Munari è attratto dalla naturale curiosità del bambino ed è su questo tratto caratteristico che basa la sua

metodologia: comprendere le caratteristiche fondamentali della comunicazione visiva mediante azioni che stimolino la curiosità del bambino, in cui l’educatore e lo stesso artista siano di supporto all’autonoma attività di comprensione. Il principio didattico dei laboratori Giocare con l’arte è: “non dire cosa fare, ma come fare”; il bambino è invitato ad esplorare e sperimentare le componenti che portano alla realizzazione dell’opera d’arte, comprenderne le peculiarità e rielaborare l’esperienza nella realizzazione di una personale composizione, osservando le realizzazioni dei compagni e condividendo con loro le scoperte, in un rapporto di collaborazione e di ricerca. Stimolare la creatività, per Munari, significa dare la libertà al bambino


di esprimere la propria soggettività, cioè adottare strategie didattiche che non coincidono certo con un semplice lasciar fare, ma con il potenziamento di un “fare” legato all’apprendimento pratico di strumenti e tecniche specifiche. La libertà è nell’utilizzo delle conoscenze, nella scelta tra più alternative. Il bambino, secondo Munari, attua una conoscenza del mondo plurisensoriale. Per questo motivo, egli per primo idea nel 1949 dei libri plurisensoriali, che assecondano appunto questa visione dell’infanzia. Si tratta dei Libri Illeggibili, da cui discendono poi i Prelibri, entrambi pensati e progettati per bambini che, attraverso stimoli visivi, tattili, sonori,

termici e materici, sono aiutati e stimolati ad immaginare, fantasticare e ad essere creativi. Ma come già accennato, tra tutti i sensi, il tatto è quello maggiormente usato, completa una sensazione visiva e auditiva, dà altre informazioni utili alla conoscenza di tutto ciò che ci circonda.

Laboratori plurisensoriali

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Possiamo vedere come successivamente Munari si apra ai sensi e in particolare al senso del tatto facendolo diventare la base per diversi laboratorio; uno tra i tanti, quello di Trieste: organizzato durante una mostra di Bruno Munari allo Studio d’Arte Nadia Bassanese nell’ottobre 1984, il laboratorio funzionava ogni giorno per tutta la durata della mostra. Sul pavimento di legno di una delle sale dello Studio, era disposto un recinto quadrato, al centro della sala, pieno di ritagli di materiali molto diversi al tatto. I bambini si sedevano su una fila di poltroncine di tela, si toglievano le scarpe e ascoltavano l’operatore addetto(o Munari o l’operatrice che era di volta in volta la maestra oppure qualche persona che voleva partecipare all’esperimento) il quale spiegava ai

bambini che cosa si poteva fare in quel luogo, diceva ai bambini di toccarsi il viso, la maglia, la suola delle scarpe ecc. E poi i bambini andavano dentro il recinto a scoprire delle cose da toccare. Ne trovavano di ogni tipo, combinavano i massimi contrasti o le minime differenze, e appendevano il loro oggetto così composto alle pareti dell’ambiente.

Munari gioca e guida i bambini nel corso dei laboratori


Per farci un’idea un pò più completa prendiamo in esame un laboratorio plurisensoriale: il Lab-Lib. Si tratta di uno spazio dove, dice Bruno Munari, “adulti e bambini possono manipolare molti materiali con diverse caratteristiche (materiche, cromatiche, termiche, di peso, di forma, di struttura) e combinarle assieme in due o più pezzi, per formare qualcosa che non si sa che cos’è”. Inoltre questa operazione è da fare senza pensare prima che cosa si vuol fare, ma lasciandosi suggestionare dale varie qualità dei materiali, delle forme, dei colori, del peso e del tatto, nel modo più libero possible, lasciandosi andare come quando si ascolta la musica. Questo laboratorio è stato sperimentato per la prima volta al Museo Pecci di Prato nel giugno del 1992;

è stato allestito come un mercato merci: su un grande tavolo-bancarella erano disposti i vari materiali. Su alcune mensole, in bella vista, il pubblico poteva osservare esempi di piccole costruzioni per scoprire “come si fa” a mettere insieme alcuni materiali. 33

Bambini che sperimentano giocando con i sensi


Durante lo svolgersi del laboratorio Munari da soltanto delle brevi indicazioni: “oggi siete invitati a fare senza pensare, a costruire qualcosa che non sis a che cos’è, ma che dopo si rivela come l’inizio di un oggetto curioso che stimola la fantasia”. 34

Munari dimostra la sua immensa passione per i bambini


LA FUSIONE «C’è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri».



LA FUSIONE Per entrare nel mondo di un bambino bisogna almeno sedersi per terra, non disturbare il bambino nelle sue occupazioni e lasciare che si accorga della vostra presenza. Allora sarà lui a prendere contatto con voi e voi, che (essendo più adulto e se non siete invecchiato invano) siete più intelligente, potrete capire le sue esigenze, i suoi interessi che non sono soltanto pappa e cacca; egli cerca di capire il mondo in cui vive, cammina a tastoni, con esperienze diverse, sempre chiuso e interessato a conoscere tutto. È ovvio che ci sono fatti e avvenimenti che il bambino non conosce perché non li ha mai sperimentati e quindi non li capirà neppure. Egli fingerà di capire o sarà colpito dai colori dei vestiti o dall’odore della carta stampata, ma non sarà certamente

molto interessato. Così il bambino non sarà nemmeno interessato al lucco di certe edizioni, alla stampa preziosa, al libro caro, alle illustrazioni poco chiare o alle figure non intere. Gli editori invece pensano che i bambini non comprino libri e che, giustamente, li comprino i grandi, i quali regalano libri non tanto per interessarli a qualcosa, quanto per fare bella figura con i genitori e quindi il libro sarà costoso, le illustrazioni a tanti colori non importa anche se brutte perché tanto il bambino non capisce, è povero tontolino; l’importante è che sia un oggetto vistoso. Un buon libro per bambini, con belle figure espressive, con una storia giusta, stampato senza lusso, non avrebbe successo presso certi genitori, mentre sarebbe certamente

molto gradito ai bambini. Un buon libro per bambini (dai tre ai nove anni) dovrebbe avere una storia molto elementare e mostrare figure intere, a colori, molto chiare e precise. I bambini sono dei formidabili osservatori e si accorgono di tante cose che gli adulti spesso non notano (“in un mio libro,dove ho sperimentato anche le possibilità comunicative dei diversi tipi di carte, c’è, nel primo capitolo di carta nera, un gatto che si sporge nella pagina seguente. Molti adulti non hanno notato questo fatto curioso.”)

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Progettare libri per bambini è una grande responsabilità, la società del prossimo futuro è composta da adulti che oggi sono bambini; quello che resterà impresso nella loro mente oggi, formerà il loro carattere domani. Un buon libro per bambini può preparare un bambino a tutto ciò che conduce a un buon comportamento sociale, non nel senso dell’obbedienza cieca e assoluta dei superiori e al timore delle autorità anche se fasulle; bensì al rispetto della propria personalità e a quella degli altri, al lavoro di gruppo per risolvere problemi comuni, allo sviluppo del proprio pensiero, alla possibilità di prendere delle decisioni, all’educazione estetica. Bruno Munari si assume a pieno la responsabilità di progettare libri per bambini e riesce a portar a ter-

mine questo compito nel migliore dei modi: molteplici e diversi sono i volumi che riportano il suo nome in copertina. Definiamo per cominciare i Prelibri già citati nel capitolo precedente: sono libri-oggetto, senza parole, per bambini che ancora non sanno leggere, ma che sono li presenti con tutti i sensi, curiosi, con la voglia di scoprire cose nuove e di fare le cose che fanno i grandi.

Esempi di Prelibri, 1980


Sono libri “illeggibili”, ma con diversi tipi di stimoli e sorprese che coinvolgono i bambini spingendoli ad immaginare, giocare, essere creativi. I primi Libri illeggibili, da cui discendono poi i Prelibri, sono nati negli anni ’40 dalla sperimentazione di tutte le possibilità tecniche della tipografia, della cartotecnica e della legatoria. In essi il racconto “è ottenuto attraverso le componenti strutturali del libro come oggetto, autonomo, concreto, non più semplice contenitore di idee letterarie”.

I Libri illeggibili scaturiscono anche dall’esperienza dell’artista con i Futuristi, con i quail aveva già collaborato negli anni ‘30 progettando le copertine e l’impaginazione di alcuni “libri di latta”.

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Diversi esempi di Libri Illeggibili, 1949


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I Prelibri, in particolare quelli tattili, sono dunque frutto delle esperienze culturali e artistiche associate a un’attenta osservazione e frequentazione dei bambini e a una profonda conoscenza della psicologia infantile. Si tratta di dodici piccoli libri, di carte, cartone, cartoncino, legno, panno spugna friselina, plastica trasparente, ognuno rilegato in modo diverso, per bambini di età prescolare.

Altri esempi di Libri Illeggibili, 1949

Per conoscere meglio il genio di Munari non si possono non considerare gli artefatti nati dalla sua collaborazione con Rodari. Come testimoniano tutti i libri illustrati, la loro collaborazione ha svolto un ruolo prezioso nella cultura italiana e la genialità di questi due autori ha dato impulso alla letteratura infantile. Se è vero che i testi di Rodari possiedono una forza indipendentemente dalle illustrazioni, così come a loro volta le immagini di Munari hanno valore intrinseco, l’accostamento del loro rispettivo linguaggio verbale e visivo favorisce un processo osmotico che ne accresce ulteriormente il valore. Munari, artista, designer, illustratore e scrittore egli stesso, ha saputo valorizzare con le sue immagini la grandezza dello scrittore di Omegna


per il quale ha sempre dimostrato grande stima. È forse nel libro Il Pianeta degli alberi di Natale dove si esprime con maggiore forza la complementarietà tra registro verbale e iconico dei due maestri nel rendere lo spiazzamento di matrice dadaista-surrealista. Varie ed ingegnose sono le trovate munariane che contribuiscono ad ampliare le possibilità di lettura del testo.

In La torta in cielo le trentacinque illustrazioni mostrano un’ulteriore sfaccettatura del lavoro di Munari illustratore: qui le figure, pur assolvendo ad una funzione descrittiva, terminano per situare i vari personaggi in una dimensione fantastica parallela a quella del plot. Le vicende sono accompagnate da una carrellata di volti, tema a cui Munari nel

Il Pianeta degli alberi di Natale, 1962 La Torta in cielo, 1966 Guardiamoci neglio cchi, 1969

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1969 ha dedicato un proprio libro illustrato Guardiamoci negli occhi. Munari mostra in quanti modi e con quanti mezzi tecnici è possibile inventare sempre nuove varianti nella descrizione di una faccia vista frontalmente, e al tempo stesso invita a stupirsi di fronte all’inatteso e a ricercare forme alternative agli stereotipi nella convinzione che la fantasia non ha limiti.


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Il Gioco dei quattro cantoni è l’ultimo libro illustrato da Munari per Rodari. Qui il tono del testo, che caratterizza l’opera matura dello scrittore, sembra riflettersi nella scelta iconografica attuata da Munari. L’uso ironico che Rodari fa della parola in questo racconto, è stato detto, si addice ad un lettore adulto rispetto a quello rintracciabile nei precedenti libri. Risulta chiaro che Munari non avrebbe potuto tributare omaggio più efficace alla magia delle parole di Rodari.

Libro Letto, 1993

Di notevole importanza c’è poi un libro particolare, il Libro Letto: un libro da abbracciare, un letto da sfogliare e leggere,e poi ancpra. Quello che potrebbe sembrare un paradosso, è in realtà il punto di arrivo di una ricerca infinita sul tema del libro(non solo per bambini), qui in forma di cuscini con frammenti di racconti annessi.

Il Gioco dei quattro cantoni, 1982


BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA



BIBLIOGRAFIA Arte come mestiere Bruno Munari , Economica Laterza 2005. Artista e designer Bruno Munari , Economica Laterza 2004. Fantasia Bruno Munari, Universale Laterza 2006. Da cosa nasce cosa Bruno Munari, Economica Laterza 2004. I Laboratori tattili Bruno Munari, Corraini 2004 Bruno Munari Finessi Beppe e Meneguzzo Marco, Silvana 2008 Giocare con tatto. Per una educazione plurisensoriale secondo il metodo Bruno Munari Beba Restelli, Le Comete 2011

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SITOGRAFIA http://www.brunomunari.it/ http://www.munart.org/ http://digilander.libero.it/sitographics/imagini_munari.htm http://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Munari 42


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