LA FOTOGRAFIA PERFORMATIVA I TABLEAUX VIVANTS e LE PERFORMANCE
Politecnico di Milano corso di laurea in Design della Comunicazione A.A. 2018/19 corso di Storia dell’Arte Contemporanea e linguaggi della comunicazione visiva Claudia Giannotti 870933
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02 P. L. Pierson — Virginia Oldoini
Julia Margaret Cameron p. 10
p. 6
03 Cindy Sherman p. 14
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L’arte concettuale degli anni 60 e 70 p. 20
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05 Harry Shunk — Janos Kender
Babette Mangolte
p. 22
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p. 28
07 Franco Vaccari p. 32
Oleg Kulik p. 36
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Uno dei primi lavori di performance fotografica sotto forma di tableau vivant fu quello del fotografo Pierre Louis Pierson con Virginia Oldoini, meglio conosciuta come la Contessa di Castiglione. L’Oldoini, già nota per i suoi estrosi travestimenti durante le feste alla corte dell’imperatore Napoleone III, creò una serie di personaggi, alcuni molto conosciuti nell’immaginario collettivo, altri meno, ma di eguale impatto visivo. Era Pierson a riprodurre fedelmente le performance della contessa che contribuiva fornendo indicazioni precise sugli ingrandimenti, la ripresa dei dettagli, le angolazioni dell’apparecchio fotografico.
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P. L. Pierson —Virginia Oldoini
Pierre-Louis Pierson, Scherzo di Follia, Contessa Virginia Oldoini di Castiglione, 1863–66 7
Pierre-Louis Pierson, Lady Macbeth, Contessa Virginia Oldoini di Castiglione, 1856-57 8
P. L. Pierson —Virginia Oldoini
Pierre-Louis Pierson, L’eremita di Passy, Contessa Virginia Oldoini di Castiglione, 1863 9
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In quegli stessi anni, i primi processi fotografici (come il dagherrotipo e il talbotipo) erano stati sostituiti da tecniche più moderne (negativo su lastra al collodio). La fotografia non ha ancora un aspetto artistico, i fotografi sono soprattutto uomini e lavorano prettamente su commissione di un cliente. In generale, vi è una continua ricerca di trasmettere su un rettangolo di carta la realtà, così com’è, senza interpretazioni (salvo qualche eccezione alla regola, ricordando Hippolyte Bayard). Nello stesso periodo, in Gran Bretagna, Julia Margaret Cameron riceve in regalo da sua figlia una macchina fotografica. Smantella il pollaio e crea la sua “Glass House”, un laboratorio con camera oscura. Tecnicamente la Cameron era considerata carente, al contrario invece della suo gusto compositivo e della scelta dei soggetti: i suoi scatti ricordavano infatti i quadri dei pittori preraffaelliti (a lei contemporanei). I soggetti preferiti erano bambini e adolescenti, che ben rappresentavano l’idealizzazione dell’innocenza e della purezza, grazie a drappi, ali, corone, fiori, pose e sguardi particolari. Le sue fotografie sono volontariamente sfuocate, ombrose e spesso ovali. I critici non apprezzarono ciò, considerandolo quasi un segno di scarso utilizzo della macchina fotografica, ma la Cameron seppe difendersi spiegando che la fotografia non dovrebbe essere un mero procedimento meccanico ma uno strumento per interpretare la visione del mondo che ognuno ha. I suoi scatti più famosi sono trasposizioni di personaggi della letteratura e della mitologia, che danno vita a piccole pieces teatrali casalinghe.
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Julia Margaret Cameron
Julia Margaret Cameron, I Wait, Rachel Gurney, 1872 11
Julia Margaret Cameron, La separazione di Lancillotto e Ginevra, Andrew Hichens e May Prinsep, 1874 12
Julia Margaret Cameron
Julia Margaret Cameron, The Passing of King Arthur, (Illustration from ‘’Idylls of the King’’ by Alfred Tennyson), 1874 13
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Cindy Sherman, Untitled Film Still #84 stampa alla gelatina d’argento, 1978-79 14
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Sulla scia dei temi dell’apparenza e dell’identità, occorre ricordare l’indagine (fotografica) svolta da Cindy Sherman, su aspetti più interiori dell’io, come il genere. La Sherman inventa una serie di personaggi protagonisti della serie antologica Untitled Film Still, una serie di fotogrammi raffiguranti alcuni dei ruoli standard della donna. Obiettivo del lavoro è rivelare come la donna sia stereotipata nella società contemporanea. Le pose della Sherman sono vere e proprie performance molto simili a scene cinematografiche, la donna infatti, proprio come in un film, non rivolge mai lo sguardo verso la macchina fotografica; indossa sempre “maschere” diverse, creando così ruoli multipli.
Cindy Sherman, Untitled Film Still #52 stampa alla gelatina d’argento, 1978-79 16
Cindy Sherman
Cindy Sherman, Untitled Film Still #35, Untitled Film Still #13 stampa alla gelatina d’argento, 1978-79 17
Cindy Sherman, Untitled Film Still #58, Untitled Film Still #21 stampa alla gelatina d’argento, 1978-79 18
Cindy Sherman
Cindy Sherman, grazie alla forte teatralità e drammaticità dei suoi sguardi, crea un gioco con lo spettatore e con la sua creatività interpretativa. Casalinghe, vamp, giovani romantiche: lo spettatore può immaginare qualsiasi storia per ogni singolo scatto. Ad accentuare l’espressività contribuiscono la luce e l’inquadratura studiata, dove la protagonista rivolge lo sguardo ad un fuoricampo immaginario, che l’osservatore non può conoscere.
Cindy Sherman, Untitled Film Still #11, stampa alla gelatina d’argento, 1978-79 19
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Per comprendere l’approccio degli artisti a questa seconda tipologia di fotografia performativa, occorre rivolgere lo sguardo all’arte concettuale diffusasi a partire dalla metà degli anni 60 del novecento, quando la fotografia divenne uno strumento atto a garantire la divulgazione delle opere d’arte. Lo stile ma soprattutto le motivazioni di questa fotografia, erano totalmente estranee alla fotografia di quel periodo (i reportage, la pop art, la fotografia di moda, l’astrattismo a colori di Franco Fontana, eccetera), veniva meno l’abilità, il senso artistico della foto in sè, lo scatto “d’autore”, per lasciare spazio unicamente all’oggetto fotografato.
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Piero Manzoni, Merda d’Artista, 1961 21
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La sostanziale differenza tra la fotografia d’arte concettuale e la fotografia di performance sta proprio nel suo ruolo: non è un semplice documento ma il prodotto finale dell’evento; gli artisti creano la performance affinchè possa essere immortalata. È molto interessante il lavoro di Harry Shunk e János Kender: un duo fotografico che, a partire dagli anni ’60, collaborò con alcuni degli artisti più influenti del periodo. La collaborazione con Yves Klein è tra le più durature e proficue. Una delle opere più importanti frutto della collaborazione con Klein, è sicuramente il fotomontaggio Le Saut dans le vide, dove viene inscenato un salto nel vuoto dal tetto di una casa.
Harry Shunk e János Kender, Yves Klein, Le Saut dans le vide, Fontenay-aux-Roses, Francia, 1960. 22
23 Harry Shunk — János Kender
Negli anni seguenti il sodalizio tra Shunk e Kender e l’artista si fa sempre più interessante e il team di fotografi viene invitato a documentare la prima dimostrazione di quelli che Klein definisce pennelli viventi, una performance dove corpi nudi di donne vengono usati come pennelli nell’applicazione di pittura su canvas. In Anthropometry la fotografia ha il compito di enfatizzare l’elaborata messa in scena della performance, nella quale la pittura diventa un atto teatrale.
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Harry Shunk — János Kender
Un altro lavoro interessante è sicuramente quello del 1971, quando il curatore Willoughby Sharp invita ventisette artisti alla creazione di varie performance al molo 18 nel centro di New York. Shunk e Kender ricevono l’incarico di documentare l’intera serie: nascono così diverse collaborazioni con artisti John Baldessari, Dan Graham e William Wegman.
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In alto, Harry Shunk e János Kender per Dan Graham, Pier 18; nella pagina accanto, Harry Shunk e János Kender per John Baldessari, Toy Ship Allignment; Harry Shunk e János Kender per William Wegman, Pier 18 Bowling; stampe alla gelatina d’argento, 1971 26
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Tra i “compiti” della fotografia performativa c’è quello di rappresentare un momento particolare, unico e irrepetibile. A tal proposito, sono un ottimo esempio gli esperimenti frutto della collaborazione tra la fotografa Babette Mangolte e l’artista Trisha Brown. 28
Babette Mangolte
Babette Mangolte, Trisha Brown, Roof Piece, Broadway 1602, New York, stampa alla gelatina d’argento, 1973 29
In Roof Piece, spiegò l’artista, non c’era nessun posto dal quale si potesse ammirare la performance, l’opera finale quindi acquisisce grande valore, essendo la sola e unica testimonianza della danza cosidetta “site-specific”. Le immagini in bianco e nero accentuano la relazione tra i sinuosi corpi dei danzatori e la severa architettura della città circostante. In Woman walking down a ladder, invece, l’obiettivo della Mangolte cattura la Brown che, grazie all’aiuto di diverse corde nascoste, sembra sfidare la gravità, camminando verticalmente.
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Babette Mangolte
Babette Mangolte, Trisha Brown, Woman walking down a ladder, stampe alla gelatina d’argento, 1973 31
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Franco Vaccari
Franco Vaccari, Esposizione in tempo reale n.4. Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, Biennale di Venezia , 1972 33
L’artista modenese Franco Vaccari, racconta, in un’intervista del 2007, l’ Esposizione in tempo reale n.4, uno dei suoi lavori che più hanno riscosso successo:«[...] ho esposto una cabina Photomatic (una di quelle cabine per fototessere che si trovano nelle grandi città) ed una scritta in quattro lingue che incitava il visitatore a lasciare una traccia fotografica del proprio passaggio. Io mi sono limitato ad innescare il processo facendo la prima photostrip, il giorno dell’inaugurazione; poi non sono più intervenuto. Alla fine dell’esposizione le strip accumulate erano oltre 6000». Vaccari rappresenta un altro esempio di come la fotografia performativa abbia innumerevoli declinazioni: in questo caso l’ambiente che accoglie l’esposizione non è più solo uno spazio espositivo ma parte stessa dell’opera; il pubblico viene direttamente coinvolto a compiere delle azioni delle quali non è tanto importante conoscerne l’esito quanto più lo sviluppo delle relazioni tra opera e fruitore e tra i fruitori stessi.
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Franco Vaccari
Franco Vaccari, Esposizione in tempo reale n.4. Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, Biennale di Venezia , 1972 35
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L’artista ucraino Oleg Kulik ha creato nel corso dello sviluppo della propria poetica una sorta di alter-ego rappresentato appunto dalla figura del cane: questo per poter inscenare al meglio le proteste animaliste delle quali si fa porta voce (la sua non è solo una performance artistica ma un vero proprio stile di vita, tanto che ha istituito il Partito degli animali). In I bite America and America bites me, Kulik, si fa rinchiudere per due settimane in una finta cella con l’intenzione di denunciare la crisi della società americana contemporanea. Family of the Future è una serie di fotografie che riflette su quello che potrebbe essere il rapporto tra l’uomo e l’animale se entrambi si comportassero e vivessero allo stesso modo. Le fotografie della serie scattate in bianco e nero sono stampate e incorniciate come piccoli ritratti di famiglia ed esposte in una stanza con mobili di dimensioni più piccole del normale così che per utilizzarli ci si deve mettere a quattro zampe
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Oleg Kulik
Oleg Kulik, I bite America, installazione di 23 fotografie, c-print su alluminio, 1997 37
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Oleg Kulik
Oleg Kulik, Family of the future, 1997 39
Sitografia ArtNoise: www.artnoise.it; Wikipedia: www.wikipedia.com; ItchySilk: http://www.itchysilk.com; www.storiediarte.wordpress.com; The Broad: www.thebroad.org; Cult Frame: www.cultframe.com; The Collection | MoMa: www.moma.org/collection; Pack Galleria d’arte: http://www.galleriapack.com;
In copertina: Yves Klein, Anthropometry, 1960