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distribuzione gratuita anno 14 - n. 5/2016 Settembre / Ottobre

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IN ATTESA DELL'INVERNO Consigli: Quanto dormono i bambini Approfondimento: Essere ipocondriaci Benessere: Come funziona il nostro scheletro? Ricette: Una pera al giorno


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distribuzione gratuita anno 14 - n. 5/2016 Settembre / Ottobre

sommario

editoriale Cercate di volervi bene

IN FORMA PER L’INVERNO

speciale

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approfondimento

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In forma per l’inverno più che un invito è un IPOCONDRIA: accorato appello, nel rispetto delle indicazioni NOI, MALATI IMMAGINARI dell’Organizzazione mondiale della sanità che chiede a ciascuno di noi di muoversi per 150 consigli minuti a settimana, lungo tutto l’anno, di buona VADEMECUM DEL SONNO lena ma senza strafare, per prevenire guai seri in futuro, tutti correlati a sovrappeso e obesità. benessere Di qui alcuni accorgimenti e precauzioni per LO SCHELETRO È UNA RISORSA affrontare senza timori freddo e pioggia: innanzitutto sconfiggere la pigrizia e la Sindrome De ricette pressiva Stagionale scegliendo lo sport che fa al UNA PERA AL GIORNO... caso vostro – la corsa, la bici, il ballo se lo preferite – coprendovi per non incorrere nei malanni di stagione, facilmente contrastabili con una corretta alimentazione che si orienta su cibi sani, ricchi di vitamina C.

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Bimestrale di informazione al pubblico della Cooperativa Farmaceutica Lecchese Anno 14, n° 4 Luglio/Agosto 2016 Reg. Trib. Lecco N. 10/03 del 22/09/2003 Direttore responsabile Sergio Meda

Comitato Scientifico dottor Paolo Borgarelli, dottoressa Valentina Guidi Collaboratori Laura Camanzi, Patrizia Mantoessi, Federico Meda, Federico Poli, Gianni Poli Coordinamento redazionale Hand&Made Milano - www.handemade.it Impaginazione De Marchi di De Marchi Simone - www.de-marchi.com Stampatore Gam Edit Srl – Italy, Via A. Moro, 8 - 24035 Curno (Bg) Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata Socio Effettivo

Chi per una volta non si è cullato in una malattia immaginaria, attribuendosi infauste conseguenze? Può succedere, è umano. Ma chi è terrorizzato da tutte le malattie, come può essere aiutato a guarire da una patologia ossessiva? Con la psicoterapia, alla quale purtroppo l’ipocondriaco spesso si sottrae. Consigli per il sonno, dalla primissima infanzia all’adolescenza. Peccato che genitori e figli abbiano difficolta a rispettare le indicazioni dei ricercatori e dei pediatri. Ossa e muscoli: facciamoci caso perché sono l’architrave del nostro organismo. E teniamoli nella giusta considerazione. A chiudere i benefici effetti delle pere, un concentrato di salute per tutte le età. S.M.

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IN FORMA PER L’INVERNO Alcuni accorgimenti e precauzioni per affrontare agguerriti la brutta stagione, con il freddo e la pioggia che incombono. Per mantenervi in forma fisica e contrastare i malanni del periodo l’esercizio fisico moderato è uno dei moniti dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) per combattere tutti i guai che potrebbero intervenire in futuro: obesità, sindrome metabolica, patologie cardiovascolari. Cercate, insomma, di volervi bene

L’Organizzazione mondiale della Sanità prescrive - per tutto l’anno, per gli adulti in buona salute - una razione di 150 minuti settimanali di attività fisica a livello moderato oppure 75 minuti a livello intenso. Sembrano raccomandazioni di facile attuazione, ma così non è perché è difficile contrastare la sedentarietà, una malattia globale, un problema davvero planetario. Per questo è divenuto categorico l’impegno a incentivare l’esercizio fisico moderato, utile a mantenere il peso sotto controllo e a prevenire malattie cardiovascolari e degenerative come il diabete e alcuni tumori, i cui costi socio sanitari sono divenuti insostenibili in tutto il mondo. 
L’inverno propone ulteriori due buoni motivi per muoversi: le giornate più corte e la luce solare ridotta favoriscono i disturbi dell’umore e alcune forme di depressio-

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ne. Nulla di meglio che proporre l’attività fisica visto che l’umore lo migliora. E poi ci sono le temperature che si abbassano: mantenere un buon livello di attività fisica quando fa freddo è utile per rafforzare il sistema immunitario e combattere i malanni di stagione, i raffreddori e l’influenza.

Il freddo non va temuto Chi è in salute non ha particolari problemi ad allenarsi all’aperto quando fa freddo, pur con le dovute accortezze nel vestirsi e nel gestirsi. Maggiore attenzione va riservata ai bambini che possono correre e muoversi anche al fred-


do, sapendo che tendono a disperdere più velocemente il calore corporeo rispetto agli adulti: Perciò a raffreddarsi con maggiore facilità. Mai tenerli all’aperto troppo a lungo.
Chi ha qualche problema, soprattutto a livello cardiovascolare, deve confrontarsi con il medico, per concordare il tipo di attività fisica da praticare a basse temperature.

Muoversi tre volte per settimana

In ogni caso vale il principio che basta mezz’ora di attività fisica costante per tre volte a settimana (non attività frenetiche nel solo week end) per rendere più efficiente il cuore, abbassare la pressione sanguigna e aumentare il colesterolo buono. Muoversi aiuta a mantenere efficiente il cervello e modella il corpo, oltre a recare beneficio alla sfera sessuale, stimolando il desiderio.

Le scelte da privilegiare Le scelte vanno operate in base all’età e all’efficienza fisica: dai venticinque ai quaranta anni qualsiasi attività sportiva è opportuna. Oltre i 40 anni, a maggior ragione se si è stati a lungo inattivi, si può iniziare con passeggiate a piedi o in bicicletta. Bene anche l’acqua gym. In palestra suggeriti il pilates, lo yoga e il Thai Chi. Quanto alle scelte da privilegiare, per essere in forma d’inverno, non ci sono controindicazioni per chi ama l’attività all’aria aperta, sia che si scelga la camminata di buon passo, la corsa a piedi senza esagerare, la bicicletta per tracciati in sicurezza. La bicicletta, non dimentichiamolo, consente grande libertà di movimento, quando la stanchezza si fa sentire si può rientrare rapidamente a casa. La corsa quando le temperature scendono è addirittura agevolata. All’aperto l’unica attenzione va rivolta alle condizioni climatiche sfavorevoli: vento e pioggia possono rovinare le vostre uscite, su strada o al parco. E non fate attività fisica su terreno ghiacciato, il rischio di scivolare e di procurarsi una frattura vi deve suggerire accortezza.

speciale Attività indoor per obiettivi Diverso il caso delle attività al coperto: quando arriva l’ora di andare in palestra molte persone trovano ogni scusa possibile per rinviare. «Per vincere ogni resistenza» dice Marisa Muzio, psicologa dello sport «bisogna darsi un metodo ed essere fieri dei risultati; stabilire degli obiettivi ragionevoli e crearsi una routine sportiva, fissando giorni e ore da rispettare. Rispettando il proprio corpo: quando si è stanchi, s’interrompe, non ha senso strafare». Anche ballare due volte alla settimana è assimilato a una sana attività sportiva. E va ricordato che lo sport è un antidepressivo naturale: dopo venti minuti di attività si ha il rilascio di endorfine. Un altro precetto utile: fare attività fisica la sera, prima di recarsi a dormire, non è una buona idea perché sotto sforzo il corpo rilascia ormoni che stimolano lo stato di vigilanza e questo interferisce con il sonno.

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speciale

Il pieno di vitamina C Argomento cruciale nel periodo autunno-inverno e la vitamina C, l’acido ascorbico, un composto architrave della salute, in quanto regola molte funzioni dell’organismo, in particolare l’assorbimento del ferro e la produzione del collagene. La vitamina C, contenuta in molti alimenti, ha un solo difetto: è facilmente deperibile e molto sensibile alla luce. Purtroppo gran parte dei suoi effetti si perdono durante la cottura. Non a caso i nutrizionisti invitano calorosamente a mangiare frutta e verdura cruda e a bere spremute e centrifugati freschi, immediatamente dopo la loro preparazione. Ulteriore precauzione, frutta e verdura vanno conservati in luoghi chiusi e non esposti alla luce diretta. La vitamina C è importante per prevenire influenza e raffreddori durante l’autunno-inverno, proprio quando ne assumiamo di meno attraverso gli alimenti che ne sono ricchi. Passi per i pomodori, non certo di stagione, ma li si può utilmente sostituire con i cavoli, i broccoli, le verdure a foglia larga e i legumi, verdure tipicamente invernali. Di contro si incrementa la disponibilità di vitamina C attraverso la frutta di stagione, in primo luogo gli agrumi, il kiwi, la papaya.

L’alimentazione più salutare Nonostante in autunno-inverno ci siano meno alimenti di stagione rispetto all’estate, il periodo annota una serie di cibi che aiutano in maniera

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sorprendente la salute: I chicchi di melograno e il succo che se ne trae sono ricchi di antiossidanti, ben più di altri succhi di frutta, tanto che c’è chi suggerisce di bere 250 ml di succo al giorno per eliminare i radicali liberi che causano l’invecchiamento cellulare e limitare il colesterolo cattivo, che contribuisce alla formazione di placche nelle arterie. Tutti gli agrumi, tra cui limoni, lime, arance e pompelmi, portano un po’ di sole nel grigio dell’inverno, stagione in cui svettano per i loro apporti di vitamina C (mezza arancia offre più del 100% del fabbisogno giornaliero individuale). Le verdure a foglia verde scura come cavoli, broccoli e broccoletti sono ricche di vitamine A, C e K. Le patate sono un alimento completo con diverse componenti benefiche. Sono, infatti, una fonte eccellente di due vitamine, la C e la B6, che forniscono rispettivamente il 25% e il 29% del nostro fabbisogno quotidiano. Le molte varietà di zucche invernali sono una miniera di benessere: una porzione di zucca cotta ha poche calorie (circa 80), ma un alto contenuto sia di vitamina A (con il 214 % del valore giornaliero raccomandato) e di vitamina C (33%), oltre ad essere una buona fonte di vitamine B6 e K, potassio e acido folico.

Non dimenticare di bere Anche con temperature fredde mai dimenticare di idratarsi, per reintegrare i sali minerali che il sudore disperde. Idratarsi prima, durante e dopo l’esercizio fisico. L’acqua disseta, senza aggiunta di zuccheri, e va preferita alle bevande energetiche.
Niente alcool che riscalda in maniera illusoria, dopo pochissimo si avverte più freddo di prima. Oltretutto l’alcol annebbia i riflessi, compromette la lucidità. In montagna un grappino va bevuto a fine giornata, al sicuro in un rifugio. di Federico Poli


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approfondimento

IPOCONDRIA

NOI, MALATI IMMAGINARI Chiunque, per una volta almeno, si è attribuito una malattia in base a un sintomo preoccupante. Dall’autodiagnosi, sempre impropria, ci ha distolto un medico, confortandoci con il suo sapere. Chi soffre di ipocondria addebita uno o più sintomi a malattie sempre presunte e non c’è medico che gli possa togliere mille paure. Vediamo in dettaglio questa sindrome che spesso diventa ossessiva di Sergio Meda

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Quasi tutti, nella logica sbrigativa dell’autodiagnosi, almeno in un’occasione siamo stati tentati dall’idea che un sintomo che avvertivamo potesse nascondere una malattia ben più grave. Per fortuna un medico, a nostra scelta - ma qualsiasi professionista avrebbe onorato il suo compito di diagnosta - ha provveduto a cancellare le nostre paure, a scacciare quei fastidiosi fantasmi dalla nostra mente, dimostrando - dati alla mano - che i nostri timori erano infondati. Gli ipocondriaci, meglio noti come malati immaginari, dei medici non si fidano. Continuano ad annotare, in maniera ossessiva, sintomi che li riguardano (stipsi, sudori freddi ingiustificati, battito cardiaco alterato, o semplici dolori muscolari) e li attribuiscono a chissà quali patologie, di cui hanno letto o anche soltanto sentito parlare. Come accennato, non si rivolgono al medico di cui hanno scarsissima fiducia, soprattutto non sopportano che dopo accurata visita e la prescrizione di esami, tutti risultati negativi, dal professionista in camice (ma anche il farmacista non va esente, è un amico che può diventare un antagonista) arrivi puntuale la frase «guardi che lei sta benissimo» o, peggio, «lei è sano come un pesce». Così si

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macerano nelle loro ossessioni, attribuendosi patologie ingiustificate, in forza dei disagi che avvertono, spesso banali e che non nascondono altri guai.

Ogni sintomo è… buono Nei casi peggiori avvertono ogni genere di sintomo. Gli ipocondriaci sono tra i più assidui frequentatori di internet, dove trovano di tutto e di più (anche molte corbellerie) ma in passato sfogliavano febbrilmente le enciclopedie mediche per la famiglia. Non per tranquillizzarsi, semplicemente per avvalorare le loro fantasie (quelle sì, malate). Attenzione a ironizzare sulle paure di chi teme per la propria salute, non prendete mai in giro chi si preoccupa per un sintomo impropriamente associato a una patologia sconvolgente o al solo timore di esserne vittima, soprattutto non dite mai a un ipocondriaco, «non pensavo che una persona intelligente come te potesse essere preda di paure immotivate». Per molto


approfondimento

IPOCONDRIA

meno si possono guastare amicizie, rapporti consolidati, affetti. Abbiate insomma rispetto di chi ha ingiustificata paura delle malattie, comportatevi come di fronte a una persona superstiziosa, la cui razionalità si perde di fronte a un gatto nero, a uno specchio infranto, alla saliera da non passare mai di mano in mano.

Ne siamo tutti esposti L’ipocondria, prima di diventare una vera e propria patologia psichiatrica, è una sindrome che può colpire chiunque di noi, in forma episodica, legata a stress o qualche evento che ci induce apprensione. La vita ne riserva in ogni stagione. Diventa patologica nei casi estremi, tanto che si può leggere per quello che è: una patofobia, cioè la paura delle malattie (nessuna esclusa). L’ipocondria colpisce indistintamente uomini e donne, nell’antichità si pensava collegata alle malattie della fascia addominale: spesso gli ipocondriaci scambiano comuni dolori intercostali per imminenti devastanti infarti del miocardio.

Contrattempi e disguidi L’ipocondria ha, nell’esperienza comune, una storia piena di contrattempi e disguidi. Chi ne soffre parla di un continuo “andare per medici”, con frustrazioni e risentimento reciproci.
Chi ha paura delle malattie spesso reputa di non ricevere cure appropriate, e comunque si oppone strenuamente all’invito di rivolgersi ai servizi psichiatrici. Anche le ripetute procedure diagnostiche, talvolta rischiose e particolarmente costose, possono minare il rapporto medico-paziente. Sul fronte dei camici, viste

Le terapie possibili Non poche le forme di psicoterapia messe in atto per combattere la sindrome ipocondriaca. Quella più efficace, nell’esperienza dei terapeuti, che si sviluppa in tempi sufficientemente brevi, è la psicoterapia “cognitivo-comportamentale“. Si attua con incontri settimanali in cui il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del problema e, insieme al terapeuta, si concentra sull’apprendimento di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali, finalizzati a spezzare i circoli viziosi dell‘ipocondria.
In generale la cura è comunque difficoltosa perché i soggetti non sono mai convinti che la causa del loro disagio sia esclusivamente a livello psicologico. La psicoterapia funziona quando la persona ossessionata dalle malattie almeno in parte capisce che le sue preoccupazioni sono eccessive e infondate. La cura con farmaci dell’ipocondria, supposto che il soggetto accetti di assumerne senza temere di farsi ulteriore danno all’organismo, si basa sugli antidepressivi, sia triciclici che SSRI. Quest’ultima classe presenta, rispetto alle precedenti, una maggiore maneggevolezza e minori effetti collaterali.
Dato che l’ipocondria viene spesso assimilata al disturbo ossessivo-compulsivo, considerando le preoccupazioni del paziente come delle ossessioni di malattia, la terapia farmacologica rispecchia le linee guida per tale disturbo, con alti dosaggi di antidepressivi ad azione serotoninergica assunti per periodi prolungati.
Nelle forme lievi la prescrizione di sole benzodiazepine può essere sufficiente, ma ottiene l’effetto momentaneo di placare l’ansia.

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le lamentele multiple, senza una chiara base fisica, dei soggetti ipocondriaci, c’è il rischio che da parte del medico emergano valutazioni frettolose, superficiali, con sottostima, in alcuni casi, di effettive problematiche mediche.

Ricadute nelle relazioni Vi sono diversi gradi d’ipocondria, più o meno marcati a secondo degli effetti collaterali dettati dalla condizione della persona. In molti casi è come una necessità di spostare l’attenzione da una malattia conclamata, da un profondo mutamento della condizione sociale - la perdita del posto di lavoro, il pensionamento - per attirare su di sé attenzioni e rassicurazioni. Una sorta d’involontaria richiesta di aiuto in presenza di una problematica subita o non pienamente accettata. Chi ne soffre si allarma anche leggendo di una malattia o sentendone parlare, se viene a conoscenza di un familiare o di persona nota del circostante che la patisce Insomma, la paura delle malattie diventa una proiezione della propria immagine, un fatto quasi identitario, un argomento abituale di conversazione, una risposta (molto particolare) allo stress che la vita determina. Di fatto una difesa. La vita di relazione ne risente:

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in famiglia l’ipocondriaco pretende attenzione massima, è quasi dispotico nelle sue richieste; sul lavoro le preoccupazioni, sempre in aumento, possono causare numerose assenze per malattie diagnosticate di persona, mai da un medico.
In non pochi casi la morte di qualche persona cara ingenera la fobia delle malattie.

Stime, non dati reali Non esiste un registro degli ipocondriaci, ma la pratica medica suggerisce che i sintomi dell’ipocondria colgano tra il quattro e il 9% della popolazione italiana. Non ci sono limiti all’età di esordio della sindrome, ma è opinione generale che il debutto avvenga nella prima età adulta. A seguire, il decorso è solitamente cronico, con situazioni altalenanti, periodicamente accentuate, e talvolta c’è completa remissione. Un possibile equivoco è rappresentato dal disturbo ossessivo-compulsivo da contaminazione, spesso scambiato per ipocondria. Va invece distinto perché è caratterizzato non tanto dal timore di avere una malattia, ma dalla paura eccessiva e irrazionale di ammalarsi o di far ammalare altri per contagio.


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VADEMECUM DEL SONNO Sono usciti nuovi parametri per calcolare quante ore di sonno servono ai più piccoli per riposarsi e crescere al meglio. Ecco le linee guida divise per età Perché è importante dormire? Durante il sonno il corpo e la mente del bambino si riprende dalla giornata, dalle fatiche che comporta la crescita, l’apprendimento, lo sviluppo della memoria. È un momento importante che nei primi mesi di vita è composto da fasi veglia-sonno molto brevi che poi, nei mesi successivi, si raggruppano in un periodo di sonno più lungo (la notte) e alcuni più veloci durante il giorno (sonnellino pomeridiano, ad esempio). Con la crescita le ore necessarie diminuiscono ma è solo con l’adolescenza che si stabilizzano quasi come quelle di un adulto. Purtroppo i pediatri di tutto il mondo registrano problematiche comuni ai bambini di ogni età: dormono troppo poco o troppo tardi e il sonno è spesso disturbato. Il che si traduce in disturbi non da poco: si inizia con attacchi di nervosismo e difficoltà a mantenere la concentrazione e si arriva a problemi seri come l’aumento del rischio di obesità, diabete, depressione e, addirittura, autolesionismo.

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Consigli Da 4 mesi a 1 anno I bambini dormono mediamente tra le 12 e le 16 ore di sonno giornaliere. È importante creare un piccolo rituale per l’addormentamento, fatto di canzoni, basso tono della voce, abbassamento delle luci. In caso di risveglio improvviso è bene non recarsi alla culla immediatamente ma cercare di tranquillizzare il piccolo con la voce o, successivamente, con un massaggio.

Tra 1 e 2 anni Le ore calano leggermente, da 12-16 si passa a 11-14 quotidiane. È un momento di cambiamenti, in cui il bambino prende coscienza del distacco dai genitori durante la notte. Coccole, favole,


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un po’ di tempo accanto al letto aiuteranno a farlo addormentare serenamente. Durante il rituale pre addormentamento, che ormai prevederà anche il lavaggio dei denti, è bene non proporre attività troppo eccitanti: i bambini hanno iniziato a produrre adrenalina, ormone che ostacola il sonno.

Età prescolare Minimo 10 ore, fino a un massimo di 13. Ecco quanto devono dormire i bambini che vanno all’asilo. Trucchi e consigli? I bambini devono andare a letto a orari fissi, indicativamente entro le 22, ed essere svegliati sempre alla stessa ora. Possibilmente anche nei week-end. Il problema, in questa fase, è la presunta autonomia del bambino: i genitori, sbagliando, si convincono che i figli possono essere gestiti secondo le loro convenienze, in realtà è ancora il contrario. Solo un ciclo sonno-veglia regolare e continuo garantisce una crescita sana e allontana lo spettro dei disturbi del riposo.

Età scolare Con le elementari i bambini si abitueranno normalmente a dormire di meno. Circa 9-12 ore giorno. Le nuovi abitudini, i carichi di lavoro potrebbero creare qualche problema, soprattutto in fase di addormentamento. Si tratta di una fase che si stabilizzerà presto. Considerazione banale ma, visti i tempi, obbligatoria: evitate di far utilizzare ai vostri figli televisioni, device e computer nelle ore precedenti l’addormentamento. Non favoriscono la transizione veglia-sonno. Inoltre, cercate di individuare delle aree specifiche per le singole attività: la scrivania per i compiti, il salotto per il disegno, il divano per la musica, cercando di lasciare il letto solo per il riposo e non per attività varie.

Adolescenza Periodo particolare, non solo per il sonno. Si può dormire meno (anche solo 8 ore) ma non è consigliabile: è comunque un periodo di transizione molto forte e un adeguato riposo può solo risolvere i piccoli traumi dettati da una nuova quotidianità, fatta di nuove scuole, nuove amicizie e un cambiamento fisico sempre più evidente. Sono proprio i mutamenti ormonali a cambiare il ritmo sonno-veglia: ci si stanca più lentamente, si tende ad addormentarsi più tardi. E, parlando di fattori esterni, si inizia a bere caffè, assaggiare al-

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Consigli col, magari fumare qualche sigaretta. Tutte attività nemiche del sonno e del buon riposo alla pari di smartphone, videogames, musica ad alto volume. E dello stesso studio: durante il pomeriggio la mente è più fresca e reattiva. La sera, invece, non è un buon momento per sollecitare le sinapsi e si rischia solo di raccogliere pochi frutto e rubarsi ore di sonno preziose. di Federico Meda, in collaborazione con Serena Sardelli, pediatra a Bologna

Durante il sonno il corpo e la mente del bambino si riprende dalla giornata, dalle fatiche che comporta la crescita, l’apprendimento, lo sviluppo della memoria.

In sintesi • 1-2 mesi: 10 > 18 ore in modo irregolare • 3-11 mesi: 12 > 14 ore (con vari sonnellini) • 1-3 anni: 12 > 14 ore al giorno (con un solo sonnellino 1>3) • 3-5 anni: 11 > 13 ore al giorno • 5-12 anni: 10 > 11 ore a notte • Dai 12 anni: 9 ore a notte


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LO SCHELETRO È UNA RISORSA Lo scheletro, composto da 206 ossa, e l’apparato muscolare, che conta 650 muscoli, sono le strutture che rispettivamente ci sostengono e che ci consentono i movimenti. A differenza delle ossa che si modificano nel tempo e diminuiscono di numero, nasciamo infatti con 350 ossa che si saldano tra loro nel corso dell’infanzia, i muscoli non variano in termini di numero, ma possono tuttalpiù aumentare con l’esercizio fisico come è ben visibile negli atleti. Lo scheletro rappresenta il 20% del peso corporeo e oltre a svolgere funzioni di sostegno e di movimento avvolge e protegge anche gli organi interni, basta pensare alla gabbia toracica che circonda cuore e polmoni o al cranio che protegge il cervello. Oltre a funzioni per così dire statiche lo scheletro è paragonabile ad un laboratorio in continua attività in cui avvengono continue modificazioni che può anche resistere per molto tempo dopo la morte di un individuo, le ossa possono infatti andare incontro ad un processo di pietrificazio-

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benessere ne. Inoltre i componenti base delle ossa, i cristalli di idrossiapatite, che le rendono dure e resistenti, rappresentano una riserva di calcio e fosforo, fondamentali per i muscoli e il sistema nervoso. L’osso infatti va incontro ad un continuo rimodellamento, un processo durante il quale vengono liberate le sostanza di cui è composto. È un processo incessante, durante la vita cambiamo completamente lo scheletro almeno 10 volte. Avviene più rapidamente in gioventù, mentre rallenta con il passare degli anni, ma si verifica anche in caso di eventi traumatici, come le fratture, successivamente ai quali si attivano processi di rige-


nerazione e riparazione. Il rimodellamento inizia per l’azione degli osteociti che, come dei sensori, rilevano le richieste di calcio e fosforo da parte dell’organismo anche secondarie a piccolissime deformazioni. Quando è il momento opportuno gli osteociti attivano gli osteoclasti, cellule capaci di demolire l’osso che poi lasciano lo spazio all’intervento degli osteoblasti che secernono collagene su cui vengono depositati nuovi cristalli di idrossiapatite con cui si completa il processo di ricostruzione.

Plasticità fisica A parte gli eventi traumatici, come le fratture, che rappresentano un’emergenza, questo continuo rinnovamento garantisce all’organismo non solo l’approvvigionamento dei minerali di cui ha bisogno, ma gli consente anche di adeguare la struttura che di sostegno al lavoro che svolgiamo e cosa non meno importante di riparare anche le microfratture, quelle invisibili ad occhio nudo, che si formano anche senza particolari incidenti, ma minacciano la resistenza dell’intera struttura. Non è cosa da poco se pensiamo a tutte le sollecitazioni a cui il corpo è costantemente sottoposto. Questa plasticità fisica è una caratteristica tipica anche di molti tessuti biologici, del cervello e non solo, grazie alla quale essi riescono ad adattarsi agli stimoli che provengono dall’ambiente circostante. La demolizione e la ricostruzione sono influenzate anche dalle condizioni fisiche (stato di salute) e dallo stile di vita. L’attività fisica stimola gli osteoblasti e irrobustisce le ossa, per contro la sedentarietà predispone all’osteoporosi e alla rottura, per questo motivo si raccomanda ormai da anni alle persone anziane di mantenersi in attività, non sono escluse le altre fasce di età anche perché noi siamo e saremo quello che facciamo al nostro corpo. Lo conferma un recente studio condotto dalle Università di Cambridge e della Pennsylvania secondo il quale eventi che hanno modificato il nostro modo di vivere hanno profondamente influenzato le strutture di sostegno. I ricercatori ritengono che la robustezza delle ossa si è notevolmente ridotta passando da un’esistenza nomade e faticosa come cacciatori e raccoglitori ad una esistenza come agricoltori stanziali. Nonostante non sia quest’ultima un’attività sedentaria ha rappresentato un cambiamento epocale compreso da un punto di vista antropologico solo di recente.

Oltre alle funzioni sopra ricordate gli osteociti dialogano costantemente con intestino, reni e tiroide regolando così le concentrazioni di calcio e fosforo nel sangue. Gli osteoclasti sono invece in relazione con organi e sistemi apparentemente molto distanti come il sistema immunitario. Le cellule che demoliscono l’osso deriverebbero infatti da elementi del sistema immunitario, i monociti, il cui compito è attaccare agenti potenzialmente pericolosi come virus e batteri. Gli osteoclasti, secondo altri studi, si attivano, proprio come i monociti, anche in caso di infiammazione, primo stadio di ogni malattia, aiuterebbero quindi a combattere le malattie stimolando i globuli bianchi a produrre anticorpi. Non hanno ancora del tutto una spiegazione alcune funzioni dello scheletro quali l’influenza sulla fertilità maschile e sulla gestione degli zuccheri da parte dell’organismo. quello che si è osservato e che le ossa producono l’osteocalcina che come un ormone modula l’attività di altri organi, in particolare nei testicoli regola la produzione di testosterone e quindi degli spermatozoi, nel pancreas favorisce la sintesi di insulina e quindi regola gli zuccheri nel sangue. Sembrerebbe quindi che anche le ossa si comportino come ghiandole ma gli studi sono all’inizio e molte cose restano da chiarire. di Patrizia Mantoessi, farmacista a Monza

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UNA PERA AL GIORNO….

La sua origine non è localizzata con precisione e diverse sono le zone del mondo in cui se ne riscontrano le tracce: dall’Europa al Nord Africa, fino all’Asia più orientale. Stiamo parlando della pera, frutto dell’autunno per eccellenza. Ne esistono più di 4000 varietà, che si distinguono per colore, forma, grandezza e si adattano non solo a ogni gusto, ma anche a ogni bisogno in cucina, dall’aperitivo al dolce. La William, per esempio, dalla buccia sottile e la polpa succosa, è perfetta per la produzione di succhi e centrifugati; la Decana, dolce, gustosa e compatta, ben si presta alla cottura; la Abate, zuccherina e aromatica, e la Kaiser, appena granulosa e leggermente acidula, sono ottime accostate ai formaggi, anche quelli più saporiti. Questi frutti raggiungono la maturazione in genere tra luglio e ottobre, ma si conservano bene e sono disponibili quasi tutto l’anno; i mesi in cui sono difficilmente reperibili sono quelli compresi tra maggio e giugno.

Un concentrato di salute per tutte le età La pera è un frutto talmente diffuso e comune da essere a volte poco considerato per le sue qualità; invece ha moltissime proprietà benefiche da non sottovalutare ed è la frutta giusta per

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ricette prepararsi all’inverno. Ne abbiamo parlato con Giovanni Seveso, specialista in Scienza dell’alimentazione e dietetica. «Concentrato di fosforo, potassio, calcio e magnesio, la pera aiuta intestino, ossa, cervello e circolazione sanguigna, e un suo consumo regolare apporta notevoli vantaggi in termini di salute». Vediamo nello specifico quali sono questi benefici. «Essendo ricche di zuccheri semplici e facilmente digeribili, come il fruttosio, le pere sono adatte fin dallo svezzamento, oltre che in convalescenza e per gli anziani. Il glucosio, altro zucchero presente, dona una sferzata di energia immediata rendendole un buon integratore per gli sportivi, mentre l’alto contenuto di acido folico - che fornisce un importante contributo nello sviluppo del condotto neurale del feto - le rende quasi indispensabili in gravidanza. Per le persone che soffrono di anemia poi, un frutto come la pera può essere di grande aiuto: grazie al contenuto di rame e ferro, facilita e migliora l’assorbimento dei mi-


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nerali nell’organismo; in questo modo previene stanchezza, disfunzioni cognitive, debolezza muscolare e malfunzionamento degli organi. L’elevata concentrazione di potassio - minerale

che aiuta con i suoi effetti vasodilatatori il buon funzionamento del sistema nervoso, linfatico e dei reni - le rende utili per ridurre la pressione arteriosa, evitando la formazione di coaguli e riducendo così le probabilità di soffrire di arteriosclerosi, attacchi cardiaci o accidenti cerebrovascolari. Per questo la pera non dovrebbe mai mancare sulla tavola di chi soffre di ipertensione e di problemi di cuore».

Il vero potere? La buccia

Ravioli di ricotta di capra e pere Per la pasta: 300 g di farina, 3 uova, sale q.b. Per il ripieno: 2 pere, 300 g di ricotta di capra, un goccio di latte, tartufo nero da grattugiare, sale, pepe e parmigiano q.b. Preparate la pasta unendo su una spianatoia farina, uova e sale, avvolgete l’impasto nella pellicola per evitare che si secchi e lasciatelo riposare per mezz’ora a temperatura ambiente. Nel frattempo sbucciate le pere, tagliatele a piccoli dadini e fatele rosolare in una padella con una noce di burro. Ammorbidite la ricotta di capra con un goccio di latte e mescolate fino ad ottenere un composto liscio e omogeneo, unite infine le pere e lasciate raffreddare il tutto. Tirate la pasta sottile e preparate dei quadrotti che riempirete con il composto ottenuto. Chiudete bene i vostri ravioli e cuoceteli in abbondante acqua salata per qualche minuto. Scolateli e fateli saltare in una padella con un po’ di burro; servite con scaglie di tartufo nero, pere e parmiginao. Una variante di questi ravioli si può ottenere sostituendo la ricotta con il gorgonzola e il tartufo con un trito di noci.

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Le pere contengono molta fibra: ne basterebbero due al giorno per coprire oltre il 30% del fabbisogno stimato, ma bisogna ricordare che la maggior parte della fibra si trova nella buccia; quindi meglio scegliere frutti provenienti da agricoltura biologica, lavarli bene e consumarli nella loro interezza. Tra l’altro mangiare il frutto senza sbucciarlo permette di sfruttarne un altro vantaggio: l’effetto anticolesterolemico. «La pectina contenuta nella buccia», precisa Seveso, «forma uno strato vischioso nell’intestino che si lega al colesterolo LDL - quello “cattivo” - e ne facilita l’eliminazione attraverso le feci. Vi è inoltre un altro tipo di fibra nella pera, la lignina, che è in grado di assorbire molta acqua, facilitando il passaggio delle feci nell’intestino e aiutando a regolarizzarne le funzioni. Questo meccanismo non solo aiuta a ridurre la probabilità di insorgenza di emorroidi, ma apporta benefici in caso di diverticolite e infiammazioni, e pare riduca il rischio di insorgenza di tumore al colon. Recenti studi hanno, infatti, dimostrato che la buccia della pera contiene almeno il triplo dei fitonutrienti rispetto alla polpa, e che in essi siano presenti flavonoidi dalle proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e acidi cinnamici, dei quali sono al vaglio le potenziali proprietà anti-tumorali». Non è facile individuare le controindicazioni delle pere. Si tratta, infatti, di un frutto altamente benefico per il corpo, ricco e versatile. Tuttavia, soprattutto quando si parla di abusi, qualche effetto collaterale spunta fuori. Ad esempio, il fatto che possieda delle proprietà lassative, che la rendono adatta in caso di stipsi, ma non più problematica per chi soffre invece di dissenteria. di Laura Camanzi, in collaborazione con Giovanni Seveso, nutrizionista



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