Gazzettino 06/16 v.05

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distribuzione gratuita anno 14 - n. 6/2016 Novembre / Dicembre

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FANTASIA DI MELOGRANO Speciale: Malattie reumatiche Benessere: PerchĂŠ parliamo? Approfondimento: Lo spirito del Natale Consigli: Allenare il pavimento pelvico


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distribuzione gratuita anno 14 - n. 6/2016 Novembre / Dicembre

speciale

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approfondimento

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consigli

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benessere

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ricette

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NON SOLTANTO INFIAMMAZIONI

LO SPIRITO DEL NATALE

FASTIDIOSE PERDITE IMPROVVISE

editoriale

sommario

Siamo ormai in pieno inverno ed è giusto rapportarsi con il freddo e i problemi che ne derivano. Si generalizza troppo spesso a riguardo, catalogando alla voce “reumatismi” una galassia di ben 150 malattie reumatiche, alcune delle quali rare e da non sottovalutare. In compagnia del Presidente della Società italiana di Reumatologia andiamo alla scoperta di queste manifestazioni, principalmente infiammatorie, a carico di articolazioni, legamenti, tendini, ossa o muscoli.

PARLIAMO QUINDI SIAMO

MELOGRANO: ELISIR DI LUNGA VITA

Bimestrale di informazione al pubblico della Cooperativa Farmaceutica Lecchese Anno 14, n° 6 Novembre/Dicembre 2016 Reg. Trib. Lecco N. 10/03 del 22/09/2003 Direttore responsabile Sergio Meda Comitato Scientifico dottor Paolo Borgarelli, dottoressa Valentina Guidi Collaboratori Laura Camanzi, Patrizia Mantoessi, Federico Meda, Federico Poli, Gianni Poli Coordinamento redazionale Hand&Made Milano - www.handemade.it Impaginazione De Marchi di De Marchi Simone - www.de-marchi.com Stampatore Gam Edit Srl – Italy, Via A. Moro, 8 - 24035 Curno (Bg) Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata Socio Effettivo

La stagione non facilità gli allenamenti all’aperto - anche se sono molto caldeggiati - quindi possiamo concentrarci su esercizi casalinghi, in cui basta un materassino per terra e tanta buona volontà. Quelli proposti dalla rubrica Consigli sono dedicati principalmente alle donne e hanno come obbiettivo rafforzare o ristabilire il cosiddetto pavimento pelvico, insieme di muscoli che con l’età e la gravidanza tendono a indebolirsi. L’Approfondimento è magico, come l’argomento di cui tratta, ovvero il Natale. Un po’ di storia, un ripasso di alcune tradizioni - più recenti di quanto si pensi - e alcuni ragionamenti sulla corsa ai regali sono una lettura interessante in attesa della vigilia. Il comparto dedicato al Benessere si concentra sulla parola, sul perché noi umani riusciamo a conversare. Pare sia una specificità della nostra specie, frutto dello stato evolutivo raggiunto. Tentiamo di riassumere quanto osservato dagli studiosi e che forse siamo abituati a dare per scontato. Infine le Ricette con il melograno come protagonista: fin dall’antichità simbolo di longevità, abbondanza e fertilità, il melograno ha avuto in tempi recenti la conferma di queste sue proprietà grazie a numerose indagini scientifiche che ne testimoniano capacità preventive e terapeutiche. Buona lettura. S.M.

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NON SOLTANTO INFIAMMAZIONI Quanto va sotto il nome di reumatismi in realtà è una galassia di 150 malattie reumatiche, di cui molte rare, che è bene non sottovalutare. Possono essere gravi e fortemente invalidanti, se trascurate o oggetto di diagnosi tardive

Le malattie articolari L’artrosi, la più comune delle patologie reumatiche, è una malattia di tipo degenerativo, mentre le artriti sono patologie a carattere infiammatorio. Seguono le malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, il lupus e la sclerodermia; a chiudere le malattie di origine dismetabolica, come la gotta, legata a un disturbo del ricambio. I costi che comportano, nel loro insieme, sono di tipo diretto, fanno riferimento alle terapie: ricoveri ospedalieri, indagini diagnostiche, farmaci, riabilitazione, terapia termale, assistenza domiciliare al malato reumatico in misura imponente e ampiamente valutata mentre per quelli indiretti, per le giornate di lavoro perse e le invalidità, si può intervenire con una stima.

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Nel linguaggio comune con il termine reumatismi s’intendono, erroneamente, problemi fisici di poco conto, acciacchi stagionali che colgono le articolazioni, procurando dolori più o meno intensi, di relativo impatto. Così non è, la realtà delle patologie reumatiche è molto complessa, si sostanzia in quasi 150 malattie, molte delle quali rare, che determinano conseguenze molto significative e importanti, a livello sanitario, sociale ed economico. Ci facciamo accompagnare in questa ricognizione dal professor Giovanni Minisola, Presidente della Società Italiana di Reumatologia, che offre la più efficace delle sintesi: «Le patologie reumatiche, pur molto diverse tra loro quanto a cause e manifestazioni, sono principalmente quelle infiammatorie - a carico di articolazioni, legamenti, tendini, ossa o muscoli, un buon esempio è l'artrite reumatoide - quelle degenerative come l’artrosi, e ancora quelle sistemiche, che possono interessare organi come cuore, polmoni, reni, occhi, pelle. Tutte le patologie possono avere un andamento acuto o cronico. Se non diagnosticate e curate precocemente possono portare alla perdita di funzionalità delle strutture infiammate».


Quasi un italiano su dieci Veniamo ai numeri, che sono impressionanti: si stima che di malattie reumatiche soffrano in Italia oltre 5 milioni e mezzo di persone, quindi quasi un connazionale su dieci e più di 300 milioni ne siano afflitti in tutto il mondo. Con queste spiacevoli conseguenze: «Le patologie reumatiche sono una causa molto frequente di invalidità. Se non si interviene con cure adeguate e nei tempi giusti, dopo dieci anni quasi la metà delle forme più severe determina una disabilità permanente. Sono malattie che possono incidere gravemente sulla qualità di vita e avere un grosso impatto sociale ed economico. Nel nostro Paese, ad esempio, si spendono ogni anno 5.000 miliardi per l'assistenza ai malati reumatici e ben 12.000 miliardi per l'invalidità che esse determinano». Oggi, tuttavia, grazie ai passi avanti compiuti dalla ricerca medica, la maggior parte delle malattie reumatiche si può trattare con efficacia: «La diagnosi precoce è fondamentale per impostare le terapie più appropriate. Per ottenere risultati soddisfacenti bisogna riconoscere le malattie reumatiche tempestivamente, prima che provochino i danni alle articolazioni e ai tessuti connettivi, a volte irreparabili, che ne caratterizzano le fasi tardive. Nel caso dell’artrite reumatoide, possono passare da uno a tre anni tra la comparsa dei sintomi e la diagnosi,

speciale I processi infiammatori più gravi I reumatismi infiammatori sono sicuramente i più gravi, perché legati a meccanismi autoimmunitari. L’infiammazione coglie le cellule del nostro sistema di difesa, i linfociti del sangue. Queste cellule invadono i tessuti interessati, in particolare la membrana sinoviale che riveste le articolazioni. Da qui la produzione di molecole infiammatorie, le citochine) che causano l’artrite, con possibili danni irreversibili dell’articolazione e dell’osso. Se le cellule invadono altri tessuti dell’organismo potremo avere quindi miositi se si infiamma il muscolo, pleuriti se è coinvolta la pleura, pericarditi se si infiamma il pericardio, nefriti se tocca al rene. Che cosa causi queste infiammazioni non è noto, al momento. Certamente la predisposizione genetica è un fattore importante, ma vi possono concorrere le infezioni, lo stress, in grado di scatenare singole malattie autoimmuni. Anche gli ormoni sessuali, in particolare gli estrogeni, possono favorire l’infiammazione, e questo determina la predominanza netta di questi reumatismi nel genere femminile. Possono esserne vittime soggetti di ogni età, dai giovanissimi agli anziani, ma la massima incidenza ricorre nel periodo fertile, quindi giovane adulto di uomini e donne. Non sono quindi forme legate alla vecchiaia o al freddo o a fattori ambientali particolari come spesso si pensa. Non sono forme ereditarie; c’è peraltro una maggiore predisposizione famigliare a essere ammalati, non necessariamente della stessa patologia.

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mentre nelle spondiloartriti si arriva addirittura a cinque anni di latenza. Per questo è molto utile la competenza del medico di base, che ha il compito delicato di definire le dimensioni del problema e decidere quando è il momento di rivolgersi a uno specialista reumatologo. L'informazione e la conoscenza sono indispensabili per affrontare la malattia, anche quando sembra più insidiosa, con la necessaria tranquillità e determinazione».

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Sintomi e prevenzione Quando si fa riferimento ai “doloretti” articolari, spesso sono figli del clima umido e del freddo, tanto che l’inverno indubbiamente li acuisce. Colpiscono spesso chi svolge una vita sedentaria, quindi debbono fare molta attenzione coloro che sostano troppo a lungo davanti al computer, e non adottano le opportune contromisure (basta muoversi e fare un giro in ufficio ogni mezz’ora). Evitando di chiamare in causa lo stile di vita più corretto, fatto di precetti spesso troppo difficili da seguire, è bene prendere in considerazione poche misure in prevenzione: un regime di vita sano, con attività fisica costante, no al tabacco e all’alcol, sì a un regime alimentare controllato, povero di proteine, grassi animali e soprattutto ricco di fibre e vitamine. Obesità e sovrappeso vanno contrastati ad evitare la comparsa di malattie reumatiche. Questi suggerimenti valgono anche in presenza di una malattia reumatica già manifesta. Quali sono i segnali che è bene annotare per rivolgersi senza indugi al reumatologo, al quale vi indirizzerà il vostro medico di base? In ogni caso di dolore a riposo, a volte notturno, associato a segnali ben evidenti di infiammazione articolare: il gonfiore delle mani e dei polsi, se perdura oltre tre settimane, associato a rigidità articolare mattutina, deve valere allarme. Nei più giovani è frequente un dolore lombare irradiato fino al ginocchio che aumenta durante la notte e si attenua con l'attività fisica, oppure uno sbiancamento delle dita delle mani dopo l'esposizione al freddo o alle emozioni. Sopra i 50 anni è invece frequente la comparsa improvvisa di dolore alle spalle, con difficoltà a pettinarsi o allacciare il reggiseno. Anche la difficoltà ad alzarsi da seduti in poltrona deve far riflettere per raccontarlo tempestivamente al medico, senza perdere tempo. di Gianni Poli

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I farmaci d’elezione Per il trattamento delle malattie reumatiche i farmaci più frequentemente adottati sono gli antinfiammatori (i Fans), il cortisone, gli antidolorifici e quelli che modificano il decorso della malattia (la classe dei DMARDs, detti anche “farmaci di fondo”). I “farmaci biologici” sono i più efficaci nel trattamento dell’artrite reumatoide, dell’artrite psoriasica e delle spondiloartriti, unitamente alla terapia riabilitativa. Frutto della ricerca biotecnologica, i farmaci biologici o “anti-TNFalfa” bersagliano il processo infiammatorio, neutralizzando le molecole responsabili del danno articolare e consentendo al malato il recupero delle capacità lavorative e occupazionali. Con un netto miglioramento della sua qualità di vita. Oltre ai farmaci si prescrive normalmente attività fisica regolare, alimentazione bilanciata, riduzione dei fattori di stress, riposo e protezione solare. Gli interventi chirurgici si rendono necessari quando la malattia danneggia un’articolazione, come nel caso dell’artrite isolata o associata a connettivite.


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approfondimento

LO SPIRITO DEL NATALE

FESTA DI SPERANZA O EMBLEMA DEL CONSUMISMO?

Il Natale è un festa di origini pagane, celebrata ormai da diversi millenni, che corrisponde grosso modo al ciclo dei Saturnali, (da Saturno dio delle sementi e dell’agricoltura). Un periodo, in epoca romana, simile al Carnevale, quindi dedicato a sfrenate licenze, rovesciamenti gerarchici, abolizione della distinzione tra libero e schiavo che si concludeva con il sacrificio di un giovane soldato dopo essersi dato al piacere per trenta giorni. Seguiva i Saturnali la festa dei Sigillaria, in cui i nostri avi si scambiavano doni, riempivano d’edera le abitazioni e organizzavano piccole feste. Un capodanno, insomma. È innegabile sia una festa, il Natale, legata anticamente al sole - in quei giorni infatti si celebra il solstizio di inverno (da sol, sole e stare, fermarsi: segna infatti la fine del declino della luce, annunciandone la rinascita) - e, solo in seguito, alla nascita di tutte le divinità orientali. Il Natale come lo festeggiamo oggi, quindi il 25 dicembre, giorno della nascita di Cristo, si diffonde a Roma solo dopo il IV secolo

d.C. Acquista progressivamente importanza, si imbastardisce durante il Medioevo e, brevi periodi a parte, il Natale supera i secoli bui e le varie riforme e controriforme pressoché intatto. A cavallo tra XVIII e XIX secolo, infine, inizia a diventare quello che interpretiamo ogni anno, ovvero una festa completa di presepe, di albero e celebrazione della famiglia.

«Ci sono persone che vi diranno che il Natale per loro non è più quello di una volta, che ogni Natale che passa ha visto svanire o dissolversi qualche speranza che coltivavano. Non fate che il giorno più lieto dei 365 sia un momento di tristi ricordi, ma avvicinate la poltrona alla fiamma del caminetto, riempitevi il bicchiere, unitevi al coro», Charles Dickens 9


Santa Claus «In molti si affrettano a spiegare sia un’invenzione a stelle e strisce, importata dagli americani nel dopoguerra, al pari di tante altre mercanzie», ci spiega Maurizio Tatarella, antropologo e storico, «in realtà Babbo Natale è sì un simbolo del consumismo ma è la sublimazione di origini culturali multiple: olandesi, francesi, tedesche, russe, spagnole, inglesi, polacche. Mette insieme i francesi Père Janvier (papà Gennaio) e Tante Arie, il belga san Martino, il tedesco Weihnachtsmann (l’Uomo di Natale), la nostra Santa Lucia e il celeberrimo San Nicola, da cui deriva la denominazione Santa Claus». San Nicola è uno dei santi più popolari del calendario, è patrono degli scolari, dei marinai e dei battellieri. Nasce, pare, in Turchia (all’epoca Licia) intorno al 270, è vescovo di Mira nel 312. Popolare in Francia (è patrono della regione della Lorena), in Olanda, in Grecia, in Turchia, in Russia, le sue reliquie sono state traslate a Bari (di cui è santo patrono) nel 1087, per via dell’invasione dei Mori. Secondo le leggende è autore di miracoli sui bambini e per questo è spesso rappresentato nel gesto di recare o consegnare dei doni. Con la riforma protestante (XVI

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secolo) nei paesi germanici sarà sostituito dal Weihnachtsmann, mentre con la Controriforma, come portatore dei regali nei paesi cattolici si afferma Gesù Bambino. Ma se nelle regioni protestanti luterane San Nicola viene espulso, tra i calvinisti continua a essere celebrato e sono in tanti gli studiosi a ritenere che siano proprio loro, i calvinisti olandesi, a esportarne il “culto” nel continente americano. «A rendere verosimile questa storia ci pensa il romanzo “Knickerbocker’s History”, racconto di Washington Irving di inizio Ottocento che narra le peripezie di un equipaggio olandese che nel XVII secolo lascia Amsterdam per l’America», continua Tatarella, «A bordo c’è - ovviamente una statua di San Nicola (Sinter Klaas in olandese, ndr) e, dopo un naufragio, uno dei marinai incontra in sogno il santo che gli chiede di fondare una città per accogliere tutti gli emigrati olandesi in un luogo ben preciso - ovviamente si tratta dell’isola di Manhattan. In cambio Sinter Klaas sarebbe tornato a trovarli ogni anno su un carro celeste, consegnando i doni per i bambini attraverso i camini delle case». Il discorso del santo termina con un gesto che, all’epoca del racconto, era l’equivalente della strizzatina dell’occhio: posa un dito sul proprio


approfondimento

LO SPIRITO DEL NATALE naso, tramandato dall’iconografia commerciale e cinematografica ancora oggi come tipico di Babbo Natale. «Il racconto ebbe un successo insperato, con Sinter Klaas che veniva dipinto come un anziano olandese con la barba, i knickerbockers (pantaloni al ginocchio e a sbuffo) e la pipa: era nato il Santa Claus che conosciamo oggi». Sull’onda dell’opera di Irving è la poesia dedicata ai nipoti di Clement Clarke Moore, “A Visit from St. Nicholas” (“Visita di San Nicola”) che passerà poi alla storia per via dell’incipit “The Night Before Christmas” (“La notte prima di Natale”). Per la prima volta si descrive la Vigilia di Natale: cena in famiglia, i bambini lasciano le calze attaccate al camino per ricevere i doni di Babbo Natale, rappresentato con una barba bianca, le guance rosse, il naso color ciliegia e vestito con una pelliccia, il quale giunge nella casa a bordo di una slitta e scende dal camino con un grande sacco in spalla. Anche le renne vengono alla ribalta: sono otto e hanno i seguenti nomi: Dasher, Dancer, Prancer, Vixen, Comet, Cupid, Donder e Blitzen. La chiusura della poesiola di Moore è poi qualcosa di istituzionalizzato, negli Stati Uniti come in Europa: “Happy Christmas to all, and to all a good night”, ovvero “Buon Natale a tutti e a tutti buona notte!”

all’ingiustizia sociale - risalgono a quest’epoca in cui la Regina Vittoria è “madre impeccabile e moglie perfetta” e che con la sua morale invita al matrimonio e non agli eccessi, cosa assai diffusa tra i sovrani precedenti. «Ovviamente non basta un monarca o un sentimento diffuso per creare una tradizione», ci spiega l’antropologo, «ci vuole un cantore, un mediatore che risponde a Charles Dickens e al suo “Canto di Natale” (“A Christmas Carol”), apparso per la prima volta nel 1843. È la storia, arcinota, di uno spilorcio, il signor Scrooge e del suo impiegato, Bob Cratchit. Protagonisti anche gli spiriti del Natale, quello del passato, del presente e del futuro, quest’ultimo responsabile della conversione di Scrooge da persona che odia profondamente il Natale a grande sostenitore dello spirito di questa festa. Al di là della tematica fondante - festeggiare tutti insieme basta a rendere felici - è impressionante il successo raggiunto da questa novella di Dickens. L’anno successivo alla prima edizione, a Londra si mettevano in scena nove versioni teatrali diverse, seguitamente l’autore iniziò una serie di letture pubbliche che lo portarono a leggere “Canto di Natale” di fronte a oltre duemila operai a Birmingham, a essere applaudito nel giardino dell'ambasciata inglese a Parigi o in visita a Windsor per una “privata” in favore della regina Vittoria».

Lo spirito del Natale si deve a Dickens

Christmas shopping

«La forma odierna della celebrazione familiare del Natale», ci spiega Tatarella, «la dobbiamo all’Inghilterra vittoriana e all’America di Roosevelt. La nascente borghesia di queste due società - una inglese, una americana - si impadronisce della festa per esaltare i propri valori: la famiglia, il successo economico e sociale». Solo nella seconda parte dell’Ottocento, infatti, si inizia a vivere il Natale come una festa in famiglia, prima era un qualcosa di squisitamente aristocratico. La stessa attenzione per i bambini o per le opere caritatevoli - un rimedio momentaneo

«Non pensate che la carità rappresentata da Dickens o che contraddistingue la società borghese vittoriana a cavallo di Ottocento e Novecento adesso sia svanita», puntualizza Tatarella, «Le cartoline natalizie delle organizzazioni umanitarie non hanno lo stesso significato? Augurare Buon Natale e Buon anno significa ricordare i doveri nel prossimo nei confronti della famiglia e dei poveri». Nonostante i valori, comunque, viene da rispondere al quesito del titolo: “perché il Natale si è trasformato in una festa consumista, oggetto di un sistematico sfruttamento

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commerciale?” «Tutto ha origine nei grandi magazzini americani, come Macy’s», chiarisce Tatarella, «i quali iniziano a produrre beni all’ingrosso, pubblicizzandoli durante l’autunno e che assumono l’accezione di doni tipicamente natalizi, con tanto di carte da imballaggio dedicate. Nascono quindi i “regali di Natale”, con una forza evocatrice inalterata negli anni. Babbo Natale è lo strillone, è la divinità pagana del commercio. Può pubblicizzare tutto e tutti e se la Coca-Cola riesce nell’impresa di cambiargli perfino colore (la pelliccia passa dal verde al rosso nel corso degli anni Trenta), il paesino di Rovaniemi, in Lapponia (Finlandia) si professa - senza alcun titolo ovviamente - paese di Babbo Natale. Non solo, la regione francese dell’Alsazia, per ragioni di marketing, si considera il territorio d’elezione per tramandare l’originale spirito natalizio. Solo perché sono stati fra i primi a proporre i mercatini a dicembre. Tutto falso, ovviamente». O verosimile: negli ultimi trant’anni si è andati a caccia di riti, tradizioni, usanze pagane che si perdevano nella notte dei tempi, si sono associate ricorrenze, rivalutate celebrazioni, mettendole tutte sotto lo stesso cappello, quello del Natale. «La capacità di imporsi di questa festa è straordinaria, trasforma tutto – e in poco tempo – in tradizione. Pensate alla cena della vigilia: il menu sembra qualcosa di ancestrale ma da quante generazioni possiamo permetterci, a livello economico e di approvvigionamento, queste prelibatezze esotiche? Abbiamo perfino santificato gli avanzi!». In ogni caso il Natale è festa riconosciuta dai più: nelle statistiche oscilla sempre tra l’80 e il 90% di apprezzamento e non conosce crisi. «Un’altra vittoria del Natale è la “credenza” in Babbo Natale. Per molto tempo si è cercato di contrastare questa menzogna, alcuni colleghi sbandieravano casi di alienazione o deficit nella

struttura psicologica del bambino. In realtà permette di desacralizzare i genitori e aiuta a sviluppare la fantasia dei piccoli, l’apprendimento di qualcosa che inizialmente si è in grado di accettare come vera al 100%, seguitamente come presunta ma verosimile, infine impossibile per i tanti perché che solo un bambino si ingegna di formulare nel periodo elementare. In questo si sono anche espressi i sociologi e i pedagoghi: la “credenza” in Babbo Natale è molto positiva»

Gli inconvenienti del Natale Bellissima festa, senza dubbio. L’atmosfera che si respira a Natale è incomparabile alle altre feste, più o meno religiose, del resto dell’anno. Ma ci sono i vantaggi e gli svantaggi in questa celebrazione dei vincoli sociali: «chi è povero o ha difficoltà nei rapporti umani non ama questo periodo e cerca di evitarlo», spiega Tatarella, «Purtroppo anche lo scambio dei regali ha le sue regole e i suoi doveri: sono il simbolo, la prova delle proprie possibilità economiche ma anche - nella numerosità - della propria ricchezza a livello relazionale. Il principio di reciprocità è complicato da superare e può creare imbarazzi. E che una festa piena di affetto sia allo stesso tempo portatrice di tensioni e, talvolta, insofferenza è difficile da accettare. Purtroppo “è il pensiero che conta” è un formula abusata ma che è difficile da mettere in atto: non si è liberi di fare regali di soldi a gente più anziana, regali più importanti a persone fuori dalla cerchia familiare, evitare di farli a un coniuge o compagno senza che sia una decisione condivisa. Il problema, oltre che di convenzioni, dovrebbe essere di ordine etico: spesso il 26 di dicembre iniziano i saldi e capita di realizzare il Natale come una corsa impazzita a uno shopping senza senso che però non riusciamo a evitare. Dovremmo tornare al concetto di “strenna”», conclude Tatarella, «cioè dei “doni di buon augurio”. Essere meno vincolati dal fare un regalo “importante” o “inutile”, trovare una via di mezzo che possa soddisfare chi lo fa e lo riceve senza mettere insieme troppe componenti “emotive”». di Federico Poli

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Il giusto mix di vitamine B per aiutare le normali difese immunitarie di tuo figlio.

L’autunno è per antonomasia la “stagione della ripresa”: non solo della scuola e delle attività sportive, ma anche dei focolai di malattie da raffreddamento di cui l’influenza è la massima espressione. Il sistema immunitario, per reagire prontamente alle aggressioni esterne, necessita di alcuni nutrienti come le vitamine del gruppo B che non sempre sono presenti a livelli ottimali nell’organismo. Per questo c’è Be-Total che, da oltre 60 anni, grazie al giusto mix di vitamine B, aiuta le normali difese immunitarie del tuo bambino.

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FASTIDIOSE PERDITE IMPROVVISE Scopriamo come rinforzare o ristabilire il pavimento pelvico, insieme di muscoli che una serie di eventi al femminile - dal parto alla gravidanza, dalla menopausa al normale invecchiamento - tendono a indebolire Iniziamo dall’ABC, spiegando approfonditamente quali muscoli compongono il cosiddetto pavimento pelvico. Si tratta dell’elevatore dell’ano e del pubo coggigeo, due muscoli collegati da una membrana di tessuto che forma una sorta di amaca tra osso pubico e coccige chiamata pavimento della cavità pelvica. I due muscoli citati circondano l’uretra, la vagina e il retto e ne determinano il controllo insieme ai muscoli sfinterici. Oltre a gestire l’apparato urinario e escretore, i muscoli pelvici sono responsabili della difesa degli stessi durante gli aumenti della pressione addominale dettati da sforzi ed esercizi fisici. Il problema è che se non sono abbastanza allenati, o indeboliti, l’uretra rischia di abbassarsi causando delle possibili perdite. Episodi che possono essere solo saltuari o molto frequenti ma di certo spiacevoli e non sempre facili da gestire a livello psicologico da parte della donna. Per fortuna nella gran

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parte dei casi è un problema transitorio che regredisce in poco tempo se trattato correttamente e con attenzione. Infatti il pavimento pelvico è allenabile (non tutti i fasci di muscoli, infatti, sono attivabili volontariamente) con una serie di esercizi che vi riportiamo in queste pagine attraverso illustrazioni realizzate da www.dedicatoame.it. La loro corretta esecuzione consente di contrarre la muscolatura perineale senza coinvolgere il resto dei muscoli dell’area, come glutei, cosce. Questo è il primo passo per individuare il pavimento pelvico, cosa tutt’altro che facile: secondo alcune statistiche, solo 2/3 delle donne è in grado di identificarlo e sollecitarlo correttamente. Ovviamente se il fai da te non si rivela efficace, figure come il ginecologo, l’urologo, le ostetriche o i fisioterapisti possono aiutarvi a individuare esattamente la muscolatura da attivare.


Chi ne beneficia? Gravidanza e post-partum sono i periodi di maggior stress per il muscolo pelvico e sono caratterizzati da perdite improvvise, dettate da modificazioni posturali, aumento del peso, crescita graduale del feto che interessa gli organi circostanti. Se la diagnosi indica una sofferenza nell’area pelvica è bene seguire un’alimentazione ricca di fibre, limitare il consumo di caffè e tè e - appunto - occuparsi della rieducazione vescicale con questi semplici esercizi messi a punto da Arnold Kegel, Professore di Ginecologia statunitense, inventore del manometro che prende il suo nome (detto anche perineale: misura la forza delle contrazioni volontarie dei tessuti pelvici) e tra i primi a studiare efficacemente la muscolatura pelvica.

Regole Per eseguire al meglio questi esercizi è importante effettuare contrazioni della durata di 10” intervallati da pause di uguale lunghezza, 3 le sessioni al giorno per 10 ripetizioni. A causa della tipologia di lavoro muscolare utile per sollecitare il pavimento pelvico non ha al-

Consigli cun significato eseguire gli esercizi mediante brevi, repentine e brusche contrazioni: infatti la principale attività di questa muscolatura, quella per cui va rinforzata, è quella di mantenere un adeguato stato di tono in modo da opporsi alla pressione sulla vescica, al fine di evitare problemi di “tenuta” e conseguenti perdite improvvise. È comunque bene ricordare che anche il sovra-esercizio va assolutamente evitato perché l'affaticamento muscolare può aumentare le perdite. Inoltre mai effettuare gli esercizi durante la minzione (con interruzione e ripresa del flusso dell’urina): sul lungo periodo può indebolire la muscolatura e - a causa di un incompleto svuotamento della vescica - aumentare il rischio di incidenza di infezioni delle vie urinarie. di Federico Meda

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PARLIAMO QUINDI SIAMO Cosa ci rende umani e ci differenzia dalle altre specie animali? Un’ulteriore risposta dagli studiosi del linguaggio Siamo umani perché sappiamo parlare e più ancora siamo capaci di conversare. Non tanto e non solo perché abbiamo un cervello e un cuore, organi che per altro condividiamo con migliaia di specie, ma per questa abilità di dialogo e di interazione con gli altri. Un’abilità conseguita anche grazie a particolari stimoli che nel tempo ci hanno portato a questo stadio evolutivo. Proviamo a riassumere quanto osservato dagli studiosi e che forse siamo abituati a dare per scontato: il primo elemento a favore della risposta data alla domanda è che il cervello nel corso dei secoli è diventato più grande e più efficiente andando incontro a particolari modifiche. Per esempio alcune delle asimmetrie creatisi nei due emisferi cerebrali sono uniche nella nostra specie e riguardano proprio aree del linguaggio. Infatti non è tanto il numero dei neuroni presenti nella corteccia, lo strato più esterno del cervello preposto alle fun-

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benessere zioni superiori come memoria, attenzione, pensiero, linguaggio, coscienza, che ci distingue dalle altre specie, quanto la complessità di un sistema rivoluzionario come il linguaggio. Nel 2014 per altro un gruppo di ricercatori ha dimostrato che la corteccia di una specie di delfino contiene 37 miliardi di neuroni rispetto ai nostri 23 miliardi. Quindi non sembra proprio una questione di dimensioni o numero di neuroni a fare la differenza. In molte specie si osservano sistemi di comunica-


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zione che hanno però solo il valore di richiamo e di informazione, per esempio per avvisare di un imminente pericolo o per annunciare l’inizio della stagione degli accoppiamenti.

Siamo collaborativi La specie umana ha invece una comunicazione più strutturata che raggiunge il massimo livello nella conversazione e che presuppone l’assemblaggio mentale di ciò che diciamo e la condivisione con un'altra persona. Sembra che esistano regole universali per il dialogo fra esseri umani al di là delle struttura grammaticale e dell’ordine in cui si dispongono le parole. Diversi sono gli studi condotti dagli anni Settanta a oggi che, osservando persone di diverse culture durante le conversazioni di tutti i giorni, hanno cercato di capire l’essenza di ciò che ci rende umani cercando di cogliere i principi universali del linguaggio, denominatore comune di qualsiasi attività umana, al fine di capire il comportamento della specie. La prima osservazione fatta all’epoca fu la struttura ordinata delle conversazioni, per cui di solito parla una persona alla volta consentendo una fluida alternanza tra gli interlocutori. Si è pensato che questo fosse dovuto alla padronanza delle regole grammaticali per cui quando un pensiero ha un senso compiuto e la struttura grammaticale dell’enunciato è completa l’intervento dell’interlocutore si ritiene concluso e il turno può passare all’altra persona coinvolta nella conversazione. Nel 2006 altri studiosi registrano delle conversazioni spontanee tra amici che possono manipolare, modificano in un caso i toni di voce che vengono appiattiti e in un’altra versione lasciano invariati i toni e mascherano i contenuti. Le due versioni modificate e quella originale vengono sottoposte a degli ascoltatori. Il risultato è stato proprio che era prevedibile capire quando la conversazione sarebbe terminata in due casi, mentre quando le parole non venivano pronunciate, nel caso dei contenuti mascherati, gli ascoltatori avevano difficoltà a capire il dialogo. Quindi la grammatica è indispensabile per orientarsi e capire quando è il turno di parlare. L’altro aspetto è che noi umani ci aspettiamo la risposta e questa risposta deve essere rapida altrimenti lascia spazio a malintesi, interpretazioni e fraintendimenti. L’intervallo di tempo misurato in oltre 1500 casi in cui una persona cominciava a parlare dopo che l’altra aveva finito, senza che

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ci fosse un lungo silenzio e tanto meno una sovrapposizione delle voci, è stato in media di 200 millisecondi, meno di un battito di ciglia. Questo è valido per tutte le lingue? Una risposta è arrivata da uno studio del 2009, risultato di anni di ricerche, in cui gli studiosi hanno imparato lingue diverse e vissuto nei diversi continenti familiarizzando con gente e costumi diversi. I risultati osservati dopo migliaia di registrazioni sono assolutamente simili. Le persone evitano di parlare contemporaneamente e tra un intervento e l’altro passano sempre circa 200 millisecondi. L’arte di conversare è quindi un’impresa collaborativa per cui gli interlocutori si ascoltano, si preparano mentalmente ad intervenire pensando a ciò che vogliono dire rispettando delle regole di interazione sociale tra cui spicca il tempo della risposta. Inoltre in tutte le lingue si è osservato che le risposte positive arrivano sempre più in fretta di quelle negative e se l’intervallo di tempo tra domanda e risposta si allunga per quanto la risposta sia positiva l’esitazione fa pensare a un un minore entusiasmo. Quindi una pausa troppo lunga, che rompe il ritmo può cambiare il senso di una conversazione e aprire lo spazio a interpretazioni, diventando insieme alla alternanza degli interventi un aspetto importante della struttura del linguaggio. Un’altra importante caratteristica della comunicazione umana è la nostra naturale tendenza a chiedere chiarimenti. «Eh?», «Cosa?», «Come?» «Scusa?». Anche questo aspetto è stato indagato in studi condotti in diversi paesi di diversa lingua e ha rivelato che esiste, in tutte le lingue esaminate, una parola breve che suona come una domanda e costringe l’interlocutore a fermarsi, ripetere o parafrasare il concetto espresso. Propria questa necessità di chiarire ci rivela l’importanza sociale dello scambio verbale, della necessità tutta umana di fare chiarezza. Il linguaggio, amalgama delle relazioni sociali, è un aspetto di quella che viene indicata come intelligenza sociale per cui ci assumiamo una responsabilità di quel che diciamo e di come lo diciamo usando elementi linguistici comuni per instaurare rapporti o lavorare insieme. Oltre alla capacità di pensiero che genera il linguaggio è importante il modo in cui le frasi sono usate per comunicare, affinché possiamo dire ciò che vogliamo dire, ma allo stesso tempo vogliamo dire ciò che diciamo. di Patrizia Mantoessi, farmacista a Monza


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MELOGRANO: ELISIR DI LUNGA VITA Considerato fin dall’antichità simbolo di longevità, abbondanza e fertilità, il melograno ha avuto in tempi recenti la conferma di queste sue proprietà grazie a numerose indagini scientifiche che ne testimoniano capacità preventive e terapeutiche. Passando in rassegna esperimenti e studi sembra che non ci sia niente che questo frutto non sia in grado di fare: aiuta a dimagrire e a combattere i gonfiori, agisce in modo benefico sul sistema cardiovascolare, migliora la pelle, l’umore e la salute dei denti, solo per dirne alcuni. Molto diffuso e apprezzato fino all'Ottocento, il suo consumo è andato via via riducendosi probabilmente a causa della difficoltà con cui si riescono a estrarre i chicchi - fino a rivivere un nuovo momento di gloria negli ultimi anni, grazie alle decantate, e ormai accertate, proprietà preventive e terapeutiche. Originario dell’Asia centrale, il melograno si presenta in moltissime varietà, che si suddividono in zuccherine, agrodolci e acide. In ogni frutto sono contenuti dai 200 ai 1500 semi, detti arilli, circondati da una polpa traslucida, dolce e leggermente acidula, che vira dal bianco al rosso

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ricette rubino a seconda della varietà e del grado di maturazione. In essi abbondano vitamine e folati, buona è anche la dose di minerali, ma ciò che rende davvero prezioso questo frutto è l’altissima concentrazione di polifenoli, e il perché sia necessario assicurarsi un buon apporto di queste preziose sostanze attraverso l’alimentazione ce lo spiega Giovanni Seveso, specialista in Scienza dell’alimentazione e dietetica. «Gli antiossidanti svolgono numerose e importanti funzioni che aiutano a salvaguardare la nostra salute da patologie e disturbi; agiscono sull’eccessiva produzione di radicali liberi - dovuti a invecchiamento, fumo, stress, inquinamento e dieta sregolata - inibendola e proteggendo le cellule da processi infiammatori e degenerati-


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vi che possono sfociare in diverse malattie. Per dare un’idea di quanti fitonutrienti di questo tipo siano presenti nel melograno si può fare riferimento al test ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity), che consente di misurare l’azione antiossidante dei diversi alimenti. Per contrastare i danni ossidativi si consiglia di assumere almeno 2000 Unità Orac/die e con 100 g di succo di melograno se ne assimilano fino a 6000 Unità Orac/die: un valore così elevato tanto da considerare questo frutto più medicina che un alimento!». Il potenziale antiossidante del melograno è superiore a quello del tè verde e del vino rosso, e per questo negli ultimi anni è divenuto oggetto di un grande numero di studi con risultati di notevole interesse pratico. «È stato dimostrato che il consumo di questo frutto porta ad avere benefici su tutto l’apparato cardiovascolare: fungendo da anticoagulante naturale contrasta l’ispessimento delle arterie e la formazione di placche aterosclerotiche, abbassando i livelli di colesterolo cattivo (LDL) e regolarizzando l’afflusso della pressione sanguigna». Ma non è solo il cuore a beneficiarne: studi in vivo e in vitro hanno mostrato un effetto protettivo nei confronti di diverse forme tumorali, dal seno alla prostata, dal colon al polmone. «Un risultato importante di questi studi, che sono tutti allo stadio preliminare va detto, è stato quello di mettere in evidenza che l’effetto del succo risulta essere maggiore di quello delle singole sostanze purificate, un dato che sottolinea l’effetto sinergico della grande quantità di composti presenti nel frutto, ognuno dei quali probabilmente agisce a livelli diversi contribuendo ad un risultato complessivo decisamente maggiore di quello che si otterrebbe sommando le singole parti».

In chicchi o succo? Resta da capire se sia meglio mangiarne i chicchi oppure assumerne il succo. «Mangiando gli arilli si assume una maggiore quantità di fibre alimentari idrosolubili; se poi li si mastica fino a rompere il piccolo seme legnoso al di sotto della polpa si rendono maggiormente assorbibili anche gli acidi oleico, linoleico e lipoico. Il consumo al naturale è sconsigliato solo a chi soffre di malattia diverticolare per l’eccessiva presenza di fibra, ma basterà ricavare il succo dal frutto con un semplice spremiagrumi per beneficiarne degli effetti positivi senza incorrere in possibili

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disturbi. Il succo, oltre a essere più facilmente fruibile, aumenta l’effetto antiossidante, dal momento che nella fase di spremitura si agisce anche sui tannini presenti nella membrana bianca e nella parte interna della buccia. Non sarà però dolce come i chicchi però proprio per questo motivo. È bene ricordare inoltre che il succo si altera in fretta e che pertanto va consumato immediatamente dopo la spremitura». Al naturale o spremuto in un bicchiere questo frutto non dovrebbe mai mancare sulle nostre tavole. di Laura Camanzi

Plumcake al melograno Un dolce ricco di vitamina C, perfetto a merenda o a colazione per affrontare con energia il freddo dell’inverno. Ecco gli ingredienti: 1800 g di farina, 60 g di fecola, 140 g di zucchero, 2 uova, 250 g di yogurt bianco, 1 melograno, 1 bustina di lievito, un pizzico di sale Montare in una ciotola le uova con lo zucchero. Aggiungere pian piano la farina setacciata, il lievito, il pizzico di sale e lo yogurt. Spremere il melograno con un semplice spremiagrumi, raccoglierne il succo e versarlo insieme agli altri ingredienti. Imburrare e infarinare uno stampo da plumcake, versare il composto e cuocere in forno a 160° per circa 45 minuti.



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