Il Gazzettino della Farmacia

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Distribuzione gratuita - Anno 10 - n. 3/2012 - Maggio/Giugno

FONTE DI VITA CONSIGLI

Vitamine indispensabili

BENESSERE

Intolleranze alimentari



Sommario 2

SPECIALE

Curiamoci dell’acqua L’acqua è un bene indispensabile per la vita di uomini, animali e piante.

Fonte di vita da preservare

Noi stessi siamo acqua per il 70%. Dovremmo tutelarla in quanto risorsa scarsa

CONSIGLI

degli umani ha una sussistenza idrica precaria. Nello Speciale troverete di tutto

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Indispensabili per tutta la vita

APPROFONDIMENTO BENESSERE

Tempo di vacanze

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ANZIANI

Incontinenza proibita

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Salute a 4 zampe

Attenzione alle zecche

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BENESSERE

Intolleranze alimentari

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e di più, per mantenere il bilancio idrico dell’organismo. Bere di frequente è poi indispensabile alla mamma in gravidanza, come pure nell’allattamento. Quanto alla scelta tra acqua minerale o acqua del rubinetto, dipende dal gusto ma soprattutto dalle caratteristiche dell’acqua. Occorre, insomma, leggere

Trombofilia

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e preziosa, ma il pianeta è già in allarme: siamo sette miliardi e quasi un quarto

RISPONDE IL FARMACISTA

l’etichetta. L’Approfondimento riguarda la trombofilia, vale a dire l’ipercoagulazione del sangue, un fenomeno spesso ereditario che porta ad alto rischio di trombosi. Sul fronte anziani ragioniamo di incontinenza: in Italia ne sono afflitti quasi 3 milioni di uomini e di donne ma solo uno su dieci si rivolge al medico per affrontare il problema. Siamo prossimi alle vacanze e vale la pena di soffermarsi sui disturbi gastrointestinali del viaggiatore, a partire dalla “maledizione di Montezuma”. Seguite attentamente le avvertenze del nostro esperto. L’avvento della bella stagione vede le zecche uscire dal letargo invernale e cercare un ospite da parassitare. Prevenzione e controlli giornalieri sono utili a proteggere i nostri amici a quattro zampe, e spesso anche noi. Uno sguardo, infine, alle vitamine, indispensabili per la vita, che il nostro organismo non produce. Le troviamo nel cibo e negli integratori, di cui avvalerci con intelligenza, seguendo il consiglio dell’amico farmacista.

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Fonte di vita da preservare L’acqua è un bene primario, insidiato dalla scarsità e dalla dissennatezza di chi la sperpera a danno di chi ne è privo. Bere il giusto è un impegno per l’intero mondo occidentale. La necessità di un corretto bilancio idrico Dell’acqua si sa che è il bene fondamentale per la vita di uomini, animali e piante. Nutre le montagne e il mare, alimenta i cicli biologici più sofisticati e quelli più semplici. In passato la sua sacralità era sancita, i latini ne imponevano il rispetto, in quanto prezioso patrimonio pubblico. Oggi non è più così, il nostro modello di sviluppo vorrebbe farla diventare un bisogno (che si paga) rispetto a un diritto (inalienabile). Da qui il referendum del giugno scorso in Italia, quasi plebiscitario a favore dell’acqua pubblica. L’acqua è scarsa e preziosa, tanto che il Consiglio d’Europa già nel 1968 aveva promulgato la Carta Europea dell’Acqua e dal 1993 è nata, a opera delle Nazioni Unite, la giornata mondiale dell’acqua come occasione per sensibilizzare istituzioni e società civile su una emergenza mondiale e sulle possibili soluzioni per fronteggiarla.

Consumo triplicato Nel corso del ventesimo secolo, la popolazione mondiale si è triplicata mentre il consumo di acqua è aumentato di sei vol-

te. Secondo i dati FAO, il consumo mondiale di acqua raddoppierà nei prossimi vent’anni. Si stima che nel 2030, se saranno mantenuti gli attuali tassi di consumo d’acqua, cinque dei 7,9 miliardi di persone presenti sul nostro pianeta si troveranno in aree con acque non potabili o inappropriate per cucinare il cibo e per l’igiene personale. Gli esperti prevedono che per il 2025 il mondo inizierà a soffrirne in modo preoccupante sia a livello di equilibri ambientali che socioeconomici. La situazione attuale è già allarmante: siamo già sette miliardi sul pianeta e quasi un quarto di noi umani ha una sussistenza idrica precaria. Non a caso molti conflitti in atto nel mondo partono dall’acqua: non per sete di potere, semplicemente per la sete.

Siamo acqua per il 70% Poi c’è l’acqua che è in noi. Siamo acqua al 70% e abbiamo il dovere di mantenere il bilancio idrico del nostro organismo in perfetto equilibrio. Basta infatti perdere il 2-3% di acqua corporea per avvertire sensazione di fatica che si accompagna a ner-

Enormi differenze e iniquità Il Sud del mondo non ha da bere mentre l’emisfero Nord spreca l’acqua. I Paesi ricchi consumano l’80% delle risorse idriche mondiali. Un terzo dell’acqua che consumiamo si disperde nei tubi colabrodo, consumiamo poco di meno (250 litri al giorno) degli statunitensi. In Madagascar solo 10 litri. La siccità o la cattiva qualità dell’acqua in

Africa e in Asia fanno morire ogni anno 3 milioni di esseri umani per dissenteria, 1,5 milioni per malaria. Un umano su cinque non ha acqua potabile, ogni dieci secondi un bambino muore di sete. E le previsioni non sono incoraggianti: entro il 2100 le acque di superficie (il solo 3 per cento del totale delle acque del pianeta) saranno consumate.

vosismo. La disidratazione induce il collasso, può portare al decesso. A una persona adulta, in condizioni normali di temperatura, occorrono 2 litri e mezzo d’acqua al giorno. In piccola quantità provvede direttamente l’organismo, altri liquidi li assumiamo tramite gli alimenti. La gran parte, almeno 1 litro e mezzo, viene introdotta attraverso le bevande, soprattutto l’acqua. E qui cominciano, almeno da noi, i problemi.

Il dilemma dell’acqua Che cosa scegliere, l’acqua minerale o quella del rubinetto? Un dilemma che non affligge gente che pure ci somiglia. Quasi ovunque nei Paesi occidentali (Spagna, Germania, Stati Uniti, Inghilterra) si beve l’acqua “municipale” mentre noi italiani e in parte i francesi preferiamo l’acqua minerale, convinti che sia più sana e naturale. E persino più pura, sostengono alcuni, anche se nessun dato di scienza avvalora questa sensazione.


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Speciale

dell’acqua è che sia batteriologicamente pura, cioè priva di germi; ulteriormente deve essere incolore, priva di odori e sapori anomali, limpida e fresca, non deve contenere troppi sali minerali, deve essere priva di residui tossici: proprio per questo per alcune sostanze “indesiderabili” sono specificati i limiti massimi di presenza, sempre

molto al di sotto della soglia di nocività. In ogni caso ci sono differenze tra un’acqua e l’altra, anche solo per il tenore salino dal quale dipende il gusto. di Gianni Poli

Avvertenze in gravidanza

La legge parla chiaro Differenze la legge non ne fa, sancisce soltanto che l’acqua dev’essere potabile: per capirci, o l’acqua si può bere oppure non la si deve bere. Quindi il primo requisito

Gastrointestinale e Immunitaria

Chi aspetta un bimbo ha necessità di bere di più per tre motivi: sostenere l’aumentato flusso di sangue, costruire i tessuti del nascituro, formare il liquido amniotico. A partire dal terzo mese occorrono 1,5 – 2 litri in più di acqua al giorno e la necessità di liquidi aumenta con l’arrivo dell’estate (temperatura e umidità vanno contrastate). Bere di frequente è indispensabile alla mamma in attesa, come pure nell’allattamento quando la stessa produzione di latte comporta il consumo di acqua. Quanto alla scelta tra acqua minerale o acqua del rubinetto, dipende in parte dal gusto ma soprattutto dalle caratteristiche dell’acqua. Occorre insomma leggere l’etichetta, dove sono riportati i parametri utili. Anche i Comuni dichiarano la composizione

dell’acqua che erogano e spesso questa è migliore di molte in bottiglia vendute a caro prezzo (ma i dati si riferiscono all’acqua che esce dall’acquedotto, non al rubinetto di casa). I parametri da valutare sono il residuo fisso (150-200 mg/l), il pH (5,7-6,7), il bicarbonato (circa 100 mg/l), il calcio (circa 100 mg/l), i nitrati (max 10 mg/l), il sodio (max mg/l), ma rispetto a quello presente nell’acqua è molto più importante ridurre il consumo di salumi e formaggi. Quanto all’acqua in bottiglia, se liscia o frizzante, è solo un problema di gusto: l’aggiunta di anidride carbonica non ne modifica le proprietà. Le bollicine placano maggiormente lo stimolo della sete e, in gravidanza, aiutano a sopportare meglio le nausee del primo periodo.

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Indispensabili per tutta la vita

Il termine vitamine (dal tedesco Vitamin), ovvero “indispensabili per la vita” fu mantenuto anche quando si riconobbe che non tutte erano ammine (la classe chimica dei composti). Sono comunque sostanze indispensabili per l’organismo, che l’organismo non può produrre. Volendo definire esattamente le vitamine dal punto di vista biochimico sappiamo che sono sostanze che vanno assunte giornalmente in quantità indicate secondo RDA (razione giornaliera raccomandata) rispetto alle quali, volendo considerare il paziente nella sua individualità (età, stato di salute, stato di attività, concomitante assunzione di farmaci, segni e sintomi clinici, risultati di esami di laboratorio), sono lecite delle variazioni.

Sono classificate in due grandi categorie: liposolubili ed idrosolubili. Le idrosolubili, vitamina C e vitamine del gruppo B, sono assorbite a livello intestinale, e quando in eccesso, vengono escrete con le urine. Le liposolubili, insolubili in acqua hanno la proprietà di sciogliersi nei grassi, vitamina A, D, E, F, K. Sono digerite come i grassi e immagazzinate nel fegato. La vitamina E è accumulata invece nel tessuto adiposo. In eccesso possono dare problemi di accumulo e risultare tossiche. Vanno considerati diversi fattori esterni che sollecitano l’organismo facendolo entrare in carenza: pasti frettolosi, vita frenetica, cibi pronti, stati di convalescenza, gravidanza, allattamento, dieta vegetariana, invecchiamento.

La dieta se varia e bilanciata dovrebbe fornirne le quantità più adatte, ma è ormai evidente che per errori nella scelta e nella cottura dei cibi, la difficoltà di disporre di alimenti ricchi di vitamine è quasi un’utopia. L’industria alimentare e farmaceutica ha messo a punti diversi formulazioni contenenti una o più vitamine. Ma come scegliere? Lo si può fare assumendo un multivitaminico e forse non si sbaglia in uno stato di convalescenza, dopo una malattia in cui l’organismo sottoposto a stress ha bisogno di risollevarsi, oppure possiamo scegliere una sola o poche vitamine che risultano necessarie in particolari fasi della vita, pensiamo alla vitamina K e alla vitamina D somministrate ai neonati nelle prime settimane di vita, o all’acido folico (vitamina


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Consigli

Le idrosolubili, vitamina C e vitamine del gruppo B, sono assorbite a livello intestinale, e quando in eccesso, vengono escrete con le urine. Le liposolubili, insolubili in acqua hanno la proprietà di sciogliersi nei grassi, vitamina A, D, E, F, K. Sono digerite come i grassi e immagazzinate nel fegato. B9) consigliata in gravidanza per prevenire la spina bifida nel nascituro. Se non sono del tutto definiti i reali fabbisogni vitaminici in gravidanza si sa che carenze di vitamina E, vitamina C, niacina (vitamina B3) e acido folico possono creare malformazioni senza per altro eccedere con la vitamina A che può risultare teratogena. Lo stato nutrizionale della mamma diventa fondamentale anche in allattamento e per quanto il latte materno sia un alimento completo di nutrienti e fattori protettivi per il sistema immunitario il contenuto in vitamine dipende molto dalla dalla sua alimentazione. Il colostro, il primo liquido prodotto dalle ghiandole mammarie di tutti i mammiferi per alcuni giorni dopo la nascita, assunto dal neonato nelle prime ore di vita gli consente di dotarsi di sistema immunitario e di attivare tutte le funzioni metaboliche perché è un alimento ricco di immunoglobuline, anticorpi del sistema immunitario, e fattori nutrizionali (vitamine,minerali, pro-

teine). Disponibile in forme ad uso orale viene utilizzato in acuto, nelle diarree, e in prevenzione perché la maggior parte dei microrganismi patogeni esercitano la loro azione aderendo alle pareti della mucosa intestinale. è in grado di aumentare le difese diminuendo la suscettibilità nei confronti di malattie virali e batteriche. In caso di diete dimagranti o nei vegetariani l’assunzione di vitamine diventa invece un’integrazione atta a evitare carenze, poiché molte vitamine sono presenti esclusivamente o in misura più abbondante in alimenti di origine animale (alcune vitamine del gruppo B). Negli sportivi l’utilità di assumerle nasce dalle stress ossidatìvo cui va incontro l’organismo sottoposto a intensa attività fisica, che libera una quantità elevata di radicali liberi. Alcune vitamine in particolare hanno un’azione antiossidante: vitamina A, C E. Negli adulti, soggetti impegnati nel lavoro e con una vita sociale intensa, l’integrazio-

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ne vitaminica può essere utile per mantenere una buona forma fisica e ridurre difficoltà di concentrazione, affaticamento e stanchezza a fine giornata. In questi casi, ma non solo, parlando di soggetti in buona salute, per favorire un rapido recupero non è sempre necessaria l’assunzione in dosi massicce. Può essere sufficiente riequilibrare, il metabolismo risponde anche a basse dosi e a seconda delle necessità individuali si possono utilizzare anche rimedi in diluizione omeopatica per compensare le carenze dovute a fattori esterni o costituzionali. Nell’anziano un certo rallentamento delle attività fisiologiche si traduce in una difficoltà di concentrazione, perdita di memoria, diminuzione dell’attenzione e del ritmo sonno-veglia, peggiorati da carenze nutrizionali o a diete monotone. Sono disponibili rimedi attivi a livello cellulare, d’organo e di tessuto associabili a oligoelementi e vitamine omeopatizzate impiegati con lo scopo di recuperare, sostenere e stimolare una funzionalità e garantire una vita il più possibile serena, non dimentichiamo che alcune vitamine hanno riflessi positivi sull’umore. di Patrizia Mantoessi, farmacista a Monza

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Approfondimento TROMBOFILIA

Anomalia poco nota Fenomeno opposto all’emofilia, si tratta dell’ipercoagulazione del sangue spesso causata da alterazioni ereditarie della coagulazione. Purtroppo provoca un alto rischio di trombosi a cura di Jean Pierre Candido, Specialista in Chirurgia Generale e Responsabile del raggruppamento di Chirurgia Generale alla Casa di Cura “Sedes Sapientiae”


La trombofilia è un’anomalia della coagulazione del sangue che provoca un alto rischio di trombosi. Desiderando comprendere al meglio il problema, partiamo dalla sua patologia opposta, chiamata emofilia, di più facile comprensione. L’emofilia è una malattia ereditaria che colpisce quasi esclusivamente i maschi e si manifesta con episodi di sanguinamenti di lieve o grave entità, spesso responsabili del decesso del paziente: il sangue sgorga, senza fermarsi né coagularsi. La trombofilia invece, è l’opposto dell’emofilia; infatti il problema sta nel sangue che si ipercoagula in modo anomalo a causa di alterazioni ereditarie della coagulazione. Questo problema porta la persona che ne è affetta a lamentare frequenti episodi di trombosi a causa dei grumi che si formano all’interno dei vasi.

vasi polmonari, responsabile nel 3% dei casi di brutali arresti cardiaci. Se invece il coagulo coinvolgerà un’arteria, provocherà un ictus, responsabile ad esempio di una paralisi dell’emicorpo (emiparesi). Se il coagulo si frammenta e si distacca, l’embolo conseguente bloccherà il vaso corrispondente privandolo dell’erogazione del sangue, con le conseguenze che seguono: • ischemia (che potrà evolvere verso la gangrena), quando il problema è localizzato ad un arto; • ictus: quando il problema interessa un vaso del cervello.

Per completare questa spiegazione, immaginate che nel sangue esista una bilancia; su un piatto abbiamo un’attività pro coagulante, mentre nell’altro un’attività anti coagulante. La bilancia deve essere perfettamente in equilibrio; infatti, se una delle due attività predomina, il sangue del paziente coagulerà troppo (trombofilia) o fluidificherà in eccesso (emofilia).

Flebiti, trombosi e flebo trombosi sono le espressioni più frequenti, rivelatrici della trombofilia. In questi casi la trombosi coinvolge una vena (flebo) e si manifesta prevalentemente a livello degli arti inferiori, laddove le pressioni venose sono alte e le condizioni locali (immobilità prolungata, ingessature, varicosità, interventi chirurgici recenti, post partum, ecc.) possono essere sfavorevoli allo scorrimento del sangue. Le flebo trombosi possono coinvolgere la circolazione principale dell’arto inferiore (vene profonde), provocando cosi una triade di sintomi tipici: dolore, gonfiore, arrossamento della gamba. Se la trombosi coinvolge una vena superficiale (safena o collaterali) i sintomi sono diversi poiché si tratta di un arrossamento doloroso con indurimento e calore sul tragitto della vena colpita.

Che cosa sono le trombosi? La trombosi è la formazione di uno o più coaguli di sangue all’interno di vasi venosi o arteriosi, formanti masse solide composte da tutti gli elementi contenuti nel sangue (globuli bianchi, rossi, piastrine, fibrina, ecc.), somiglianti a ”sanguinacci” , detti”trombi”. Questi ultimi possono anche aderire alle pareti senza occludere i vasi o ostruirli completamente. Quando questi coaguli si formano l’evoluzione della malattia trombotica può essere drammatica . Il trombo (grumo di sangue) se coinvolge una vena può staccarsi, migrando nella corrente venosa fino a provocare un’ostruzione dei

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Trombofilia: sintomi rivelatori

Le possibili cause Esistono due tipi di trombofilia: la prima, ereditaria (o congenita); la seconda, acquisita.


Approfondimento

TROMBOFILIA

• Trombofilia ereditaria: in questo caso la mutazione dei geni modifica la bilancia che permette al sangue di non essere mai troppo fluido o mai troppo coagulato. Le due mutazioni più frequenti sono da attribuire a geni che portano a una sovrattività del fattore V (Leiden) o del fattore protrombina. Queste forme ereditarie possono essere anche la conseguenza di una deficienza di fattori anticoagulanti (deficienza in antitrombina III, proteina C, proteina S). Esistono altre forme rare come la mutazione del fattore XIII o del fibrinogeno. • Trombofilia acquisita: un’estrema varietà di condizioni può provocare stati trombotici. Per facilitare la comprensione di questo fenomeno, immaginate che il sangue presenti una fluidità conseguente alla quantità di cellule (globuli bianchi, rossi, piastrine) e sostanze (proteine, zuccheri, grassi…) contenute in esso in proporzioni variabili. Modificandosi le proporzioni delle sostanze sopraddette, varierà la fluidità; questo potrà creare un problema di ipercoagulabilità (formazione di trombi). Si spiega quindi come mai certe malattie come il cancro, sindromi mieloproliferative (eccessiva produzione di globuli rossi), trombocitosi (eccesso di piastrine), creano un stato di ipercoagulabilità. Le metastasi, malattie autoimmuni (Lupus, sclerodermia) favoriscono i conflitti cellulari all’interno dell’organismo generando l’alterazione della bilancia coagulativa e provocando così le trombosi. Ricorderemo anche l’aumento del rischio trombotico durante la gravidanza e per l’obesità. Infine esiste un parallelismo fra i livelli d’omocisteina e le trombosi che possono dipendere dai livelli di vitamine B6, B12, o dell’acido folico.

L’uso di ormoni femminili estrogeni Gli estrogeni utilizzati sia come anticoncezionali sia nella terapia ormonale sostitutiva della menopausa, aumentano (da due a sei volte)

il rischio di trombosi venosa. Essa dipende da molti fattori come: la concentrazione; il tipo di estrogeno; i fattori trombofìlici presenti. Gli estroprogestativi di terza generazione sono più a rischio di trombosi. Vorrei insistere sul problema maggiore al quale si espongono le donne nell’associare estrogeni e fumo. Il rischio d’ictus aumenta del 25%, senza contare il rischio d’infarto e di trombosi anche in età giovane. In uno studio recente su 680 donne affette da ictus cerebrale, più del 70% usava ormoni e/o fumava.

Quali i test per la diagnosi Dopo l’indagine (l’anamnesi storica, anche familiare) associata all’esame clinico ed Ecodoppleristico completo, alla ricerca di localizzazione occulta, chiederemo specifici esami ematologici, mirati sia alla ricerca di mutazioni genetiche, sia alla presenza di anticorpi circolanti; esami che possono poi essere approfonditi, nei casi di pazienti con familiarità sospetta (aborti spontanei, parenti di primo grado affetti da trombosi), o nel caso di trombofilie secondarie. In caso di positività, l’estensione degli esami sarà allargata a tutta la discendenza.

Il trattamento della trombofilia Se la malattia è responsabile d’episodi ricorrenti, in grado di mettere a rischio la vita del paziente, si renderà indispensabile un trattamento anticoagulante permanente. Se la trombofilia è acquisita, ne tratteremo le cause. Come punto finale, insisterei sulla prevenzione del rischio di trombosi, chiedendo una maggiore attenzione nell’uso degli estrogeni, soprattutto allargando la richiesta dei test ematologici trombofìlici e vietando la prescrizione di trattamenti estrogeni a chi fuma.

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Benessere

Vacanze a rischio Come prevenire la “maledizione di montezuma” e i disturbi gastrointestinali del viaggiatore

Anche durante le tanto agognate e meritate vacanze, le infezioni sono sempre in agguato e rischiano di tramutarsi in nausee, dissenteria, coliche e altre patologie intestinali difficilmente gestibili durante una vacanza, per non parlare dei casi più gravi che richiedono addirittura il ricovero in ospedale. Si tratta di un processo noto a medici e ricercatori che vede protagonisti alcuni batteri, principalmente l’Escherichia coli enterotossigenico (ETEC), che contaminano cibi non ben cotti e soprattutto bevande e vengono assunti dagli ignari turisti. Le popolazioni locali sono di norma immuni perchè questi microrganismi vengono tollerati dal sistema immunitario dell’ospite e tale tolleranza viene trasmessa a livello genetico. Questo non accade ai viaggiatori il cui sistema immunitario non è in grado di rispondere correttamente al contagio, e si manifestano così queste spiacevoli patologie. Questo complesso di sintomi (soprattutto legati all’apparato digerente) prende il suggestivo nome di “maledizione di Montezuma” dal nome del sovrano azteco che guidò, nella prima metà del 1500, la lotta ai conquistadores spagnoli , il quale per la sua fama di stregone ed esperto nelle arti divinatorie legò il proprio nome a maledizioni e sortilegi.

CIFRE DA CAPOGIRO Questa “maledizione” interessa, ogni anno, almeno un milione di italiani,specialmente coloro che si recano in vacanza in paesi in via di sviluppo, in particolare Africa, Sudamerica o paesi Orientali, dove spesso i turisti finiscono per essere colpiti da fastidiosi problemi intestinali, diarrea e disidratazione. Le regole d’oro da seguire sono semplici: non bere acqua corrente, non mangiare

verdure, se non ben cotte, gelati, ghiaccio, e tantomeno carni non perfettamente cucinate. E ancora, evitare di acquistare cibo da venditori ambulanti, bere solo acqua in bottiglia, preferibilmente gassata (che difficilmente può essere contraffatta), o se si ha a disposizione solamente l’acqua del rubinetto, è vivamente consigliato bollirla prima di berla. Anche il latte va sempre bollito, per debellare i virus che sono all’origine del 70% delle diarree del viaggiatore (mentre il restante 30% è dovuto generalmente a protozoi, come l’ameba). Se malgrado tutti questi accorgimenti Montezuma si accanisce, e si verificano comunque problemi intestinali, occorre affidarsi a farmaci che è bene portarsi in valigia in ogni viaggio. Tra questi, un rimedio naturale ed efficace è rappresentato dagli innovativi fermenti lisati fisiologici, che aiutano a prevenire la diarrea del viaggiatore, favoriscono l’equilibrio della flora batterica fisiologica e stimolano il sistema immunitario a livello gastrointestinale, riuscendo a contrastare le diarree nell’arco di 24 ore. In questo modo si sostiene il corretto equilibrio della flora intestinale, scongiurando i disturbi del viaggiatore senza correre il rischio di “stoppare” il problema intestinale cadendo nel problema opposto, cioè la stipsi. Per favorire le funzioni digestive, il ritmo e la peristalsi intestinale, inoltre, è utile assumere un corretto apporto di Vitamine e Sali minerali, integrando l’alimentazione con principi attivi vegetali , come la Curcuma e lo Zenzero, capaci di sostenere le funzioni digestive e la depurazione di fegato e reni (Verga d’oro e Cardo Mariano). di Federico Poli

Viaggiare non è uno scherzo, prudenza e prevenzione possono aiutarci ad evitare i disturbi gastrointestinali, senza compromettere il buon esito di vacanze e viaggi di lavoro


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Incontinenza proibita Secondo una recente ricerca epidemiologica inglese (The Lancet 2007) a livello mondiale, circa il 25% delle donne e il 10% degli uomini soffrono di questa patologia (in Italia quasi 3 milioni) ma solo 1 su 10 si rivolge al medico per cercare di risolvere il problema

Per poter dare una migliore spiegazione di cos’è l’incontinenza, definiamo prima di tutto cosa sia la continenza. Una persona continente è in grado di fare 4 cose: avvertire la necessità di urinare e defecare, identificare un luogo appropriato; raggiungere il luogo appropriato; trattenere l’urina e le feci fino a che non raggiunge tale luogo. Se una di queste condizioni non si realizza, la persona è o rischia di diventare incontinente. Partico-

Un pacemaker per fare la pipì La Neuromodulazione sacrale può migliorare la qualità di vita, eliminando o riducendo notevolmente l’handicap di essere incontinenti. Si tratta di un sistema costituito da un piccolo neurostimolatore impiantabile molto simile a un pacemaker, un elettrodo e un telecomando. Il congegno è inserito in una tasca sottocutanea appositamente creata nella parte superiore della natica. L’elettrodo, invece,

è un sottile filo metallico che conduce deboli impulsi elettrici ai nervi che controllano gli organi e i muscoli deputati a controllare lo stimolo urinario. L’impianto avviene con un intervento mininvasivo effettuato in anestesia locale. Prima dell’impianto definitivo, viene effettuato un test di stimolazione. Se durante questo periodo di prova il paziente ottiene i benefici sperati, si procede con l’impian-

to definitivo. La fase di prova permette al medico di impostare al meglio il dispositivo in modo che risponda il più possibile alle esigenze specifiche del paziente. La Neuromodulazione sacrale, intervento coperto dal Servizio sanitario nazionale, può essere valida alternativa alla terapia farmacologica tradizionale quando questa non risulta sufficiente o soddisfacente per il paziente.


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Anziani

COME CURARLA L’incontinenza femminile ha diverse possibilità di soluzione. Per ridurre o eliminare l’urgenza di andare in bagno e quindi la conseguente incontinenza esistono oggi sul mercato dei farmaci, ottenibili solo con la ricetta del proprio medico curante, che riducono la contrattilità vescicale alzandone sia la soglia di sensibilità al riempimento sia la capacità di riempimento. Si tratta dei farmaci antimuscarinici, compresse orali che hanno un effetto positivo sulla riduzione del problema. Diverse le cure, invece, per l’incontinenza da sforzo: in assenza di evidenti prolassi e quando il problema non è costituito da un’insufficienza sfinterica, esiste la possibilità di un trattamento riabilitativo del piano attraverso il rinforzo dei muscoli dell’area pelvica, quelli cioè che sostengono gli organi interni. Il trattamento consiste nel compimento di alcuni esercizi fisici, o in alternativa nell’impiego di elettrostimolazioni.

In caso di un prolasso modesto, invece, oggi la medicina permette di usufruire di una chirurgia vaginale mini-invasiva che consente una rapida guarigione dal problema con una dimissione dall’ospedale del paziente il giorno successivo all’intervento stesso. Diverso, invece, è l’atteggiamento terapeutico quando ci si trova di fronte a un’incontinenza da insufficienza sfinterica: in questi casi diviene indicato l’uso di sostanze volumizzanti che, iniettate per via endoscopica nell’uretra sfinterica, consentono di recuperare la funzione occludente dello sfintere stesso a riposo.

Recentemente, infine, è stato immesso nel mercato un nuovo farmaco (Duloxetina) che consente una riduzione, se non la guarigione, dell’incontinenza urinaria grazie ad un aumento del tono muscolare del piano perineale. Anche questo è un farmaco, già disponibile in Italia, che va assunto con cautela e solo dietro stretta prescrizione specialistica. di Alvise Mamprin, in collaborazione con Antonello Siracusano Clinica Urologica Università di Sassari

Tre i tipi Urinaria da urgenza Viene definita come una perdita involontaria di urina associata ad uno stimolo impellente allo svuotamento della vescica. Pertanto, se una persona con uno stimolo impellente non riesce a raggiungere il bagno in tempo (e a volte il tempo di preavviso può essere molto breve), svuoterà la vescica, anche completamente, ovunque si trovi. Se le contrazioni della vescica instabile si verificano durante la notte, la persona può bagnare il letto durante il sonno. Urinaria da sforzo La muscolatura del pavimento pelvico e dello sfintere interno nell’individuo continente sono sufficientemente forti da

mantenere l’uretra chiusa mentre la vescica si riempie. Se la pressione intra-addominale aumenta improvvisamente, ad esempio tossendo, ridendo, saltando, correndo, eccetera, aumenta anche la pressione nella vescica: fino a quando la pressione uretrale rimane maggiore di quella vescicale, la continenza è preservata, altrimenti l’urina fuoriesce. Sindrome urgenza-frequenza Si manifesta sia nell’uomo sia nella donna, ed è caratterizzata dalla necessità di urinare frequentemente (più di 8 volte nelle 24 ore) senza che vi sia un aumento della produzione di urina (poliachiuria intensa).

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Aut. Min. Sal. del 09/05/2011

larmente a rischio sono gli anziani, le donne che hanno avuto quattro o più figli e/o travagli lunghi e difficili, i disabili sia come effetto diretto della loro condizione sia come effetto secondario della loro mobilità ridotta. Sebbene entrambi i sessi in qualsiasi periodo della vita possano soffrire di incontinenza, le donne hanno una probabilità molto più alta degli uomini e tendono ad incontrare il problema più precocemente.


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Attenzione alle zecche Con l’inizio della bella stagione le zecche abbandonano lo stato di letargo invernale e si avviano alla ricerca di un ospite da parassitare. Prevenzione e controlli giornalieri sono le armi per proteggere i nostri amici a quattro zampe, e spesso anche noi Le zecche sono parassiti che si attaccano alla pelle per succhiare il sangue. Vivono sul terreno, nell’erba, ai margini dei boschi, sui sentieri, tra i cespugli, vicino ai corsi d’acqua: praticamente dovunque. Si appostano all’estremità delle piante, aspettando il passaggio di un animale o di un uomo. Grazie all’anidride carbonica emessa e al calore dell’organismo, questi acari avvertono la presenza di un eventuale ospite e vi si insediano. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Virano. «Sulla scelta del soggetto da “attaccare” le zecche non sono molto selettive: il “malcapitato” può essere un animale selvatico, come un cervo o uno scoiattolo, uno di allevamento, ma anche i nostri animali domestici possono essere colpiti. Una volta salite sul soggetto da parassitare si muovono alla ricerca di un punto adatto a soddisfare il loro pasto di sangue. Conficcano il rostro (apparato boccale) nella cute e cominciano a succhiare il sangue. Il morso è generalmente indolore perché in questo passaggio emettono una sostanza contenente principi anestetici. Generalmente rimangono come parassiti nell’organismo dell’ospite per un periodo che varia tra i 2 e i 7 giorni, poi si lasciano cadere spontaneamente. La loro attività è massima, nei Paesi a clima temperato, nel periodo compreso tra maggio e ottobre. Bisogna premettere però che se la zecca non è infetta, cosa che non è così frequente come si possa pensare, non può trasmettere malattie al soggetto che ne viene colpito. Le conseguenze sono dunque di solito facilmente risolvibili: l’animale, se particolarmente sensibile, avrà al massimo una reazione locale nella zona del morso. Diverso è il caso in cui la zecca sia infetta, e molte sono le malattie, anche pericolose, di cui può essere veicolo». Cosa fare allora per proteggere il nostro cane? «La prevenzione è sempre l’arma

migliore. Una buona profilassi con prodotti antiparassitari che proteggono da pulci e zecche mette questo parassita nelle condizioni di non attaccarsi. Collari, spray, prodotti spot on o bagni medicanti si equivalgono nell’efficacia. Per la frequenza e la durata dei trattamenti bisogna attenersi scrupolosamente alle indicazioni riportate su ogni prodotto, tenendo conto però che nessuno può essere efficace al 100%. Animali che vivono in zone particolarmente infestate, che sono soliti tuffarsi nei torrenti o che vengono lavati spesso, potrebbero essere comunque parassitati». Potenziare l’effetto di tali prodotti utilizzandoli in quantità maggiori può dare più protezione? «Il fai da te è sempre sconsigliato. Utilizzare più prodotti antiparassitari

contemporaneamente senza il consiglio del veterinario potrebbe essere controproducente. Prodotti che sembrano diversi, ma che hanno le stesse molecole e gli stessi principi attivi, se usati insieme, innalzerebbero il livello di tossicità per l’animale. Il veterinario di fiducia saprà suggerire, a seconda dei casi e dello stile di vita, la soluzione più adatta. Quello che si può e si deve fare ogni giorno è controllare la cute del proprio cane, soprattutto al rientro da gite e passeggiate, con particolare attenzione alle zone più a rischio, come gli spazi interdigitali (perché le zecche risalgono dal terreno), le orecchie (in particolar modo per le razze con le orecchie lunghe), la testa e il collo». E se la prevenzione non è stata sufficiente e sul nostro amico a quattro zampe troviamo una zecca? «Bisogna rimuoverla al più presto e mai a mani nude: usare delle pinzette, meglio se con la punta ricurva e, nel caso se ne fosse sprovvisti, usare le mani, avendo cura di proteggersi con un paio di guanti usa e getta. Afferrare la zecca nel punto più vicino alla cute e tirare delicatamente verso l’alto. Una volta staccata la zecca è importante non schiacciarla nell’ambiente

Un problema anche per l’uomo Il morso della zecca non è di per sé pericoloso per l’uomo, i rischi sanitari dipendono invece dalla possibilità di contrarre infezioni trasmesse da questi animali in qualità di vettori. Perché la zecca possa provocare conseguenze è necessario che resti attaccata alla pelle almeno per 36-48 ore, e solitamente ci si accorge molto prima. Al di sotto di questo lasso di tempo le probabilità di infezione sono molto basse, e anche quando resta attaccata a lungo il rischio di infezioni è piuttosto raro. È bene sottolineare che la puntura di zecca non significa automaticamente infezione o malattia: perché la zecca trasmetta malattie deve a sua volta essere infetta, cosa che è tutt’altro che frequente, anche se la percentuale di zecche infette varia da regione a regione. In ogni caso se si viene punti queste sono le mosse da seguire: 1. Estrarre la zecca con le mani o con una

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pinzetta tirando delicatamente verso l’alto se il rostro rimane conficcato nella pelle, come spesso capita, estrarlo aiutandosi con un ago sterile da siringa disinfettare la parte colpita, possibilmente con disinfettanti non colorati, per evitare di “mascherare” l’insorgere di rossore segnare sul calendario la data dell’estrazione e tenere controllata la parte per i successivi 40 giorni e ai primi segni di eritema rivolgersi al medico facendo presente l’accaduto iniziare una terapia antibiotica preventiva è non solo inutile, ma spesso anche controproducente: un’eventuale infezione sarebbe così più difficile da riconoscere. Un’infezione va curata solo ad avvenuto riconoscimento e con appropriata terapia antibiotica


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Salute a 4 zampe

per non infestarlo, ma possibilmente eliminarla bruciandola. Bisogna poi disinfettare il punto in cui l’animale è stato colpito e controllare nelle settimane successive che non si arrossi. Spesso il rostro della zecca rimane nella cute e si formano così dei nodulini reattivi sottocutanei che, in linea di massima, non sono indicativi di infezioni e spariscono nel giro di pochi giorni. Se si notano segni di malessere nell’animale è bene però portarlo

dal veterinario, facendo presente l’avvenuta puntura di zecca. Un esame del sangue potrà escludere o verificare la presenza di infezioni; si procederà così con una terapia adeguata». Fino ad ora abbiamo parlato di cani, ma i gatti sono “esenti” da questo fastidioso parassita? «I gatti, a mio avviso, sono un po’ meno ricettivi rispetto ai cani, ma questo non vuol dire che non possano venirne at-

taccati. Per la loro prevenzione è bene però usare solo prodotti appositamente registrati per i gatti, perché rispetto ai cani sono più sensibili alle molecole antiparassitarie, molte delle quali possono risultare tossiche per loro». di Laura Camanzi, in collaborazione con la dr.ssa Vilma Virano

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Benessere

Intolleranze e allergie alimentari, perché?

Secondo le linee guida di INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) e EAACI (Accademia Europea di Allergologia e Immunologia Clinica) - enti che hanno definito la classificazione delle reazioni avverse agli alimenti e indagato in modo scientifico le cause di incremento delle reazioni avverse agli alimenti - le condizioni ambientali, gli stili di vita, la riduzione dell’allattamento al seno e l’aggiunta di conservanti ai cibi sono tra i fattori responsabili delle reazioni avverse agli alimenti. La classificazione delle reazioni da alimenti si basa sul diverso meccanismo biologico coinvolto e individua: 1) reazioni non tossiche cui appartengono allergie e intolleranze alimentari legate alla suscettibilità individuale e indipendenti dalla dose ingerita 2) reazioni tossiche come le intossicazioni alimentari e le tossinfezioni alimentari, che dipendono dalla dose ingerita ma non dalla sensibilità individuale.

FACCIAMO CHIAREZZA L’allergia alimentare è una sensibilità individuale accentuata nei confronti di una o

più sostanze alimentari che stimolano una risposta abnorme del Sistema immunitario, riscontrabile nel giro di pochi minuti, più raramente entro qualche ora. L’intolleranza è, invece, una reazione avversa al cibo che si manifesta dopo qualche ora o dopo qualche giorno di assunzione ripetuta di un alimento. Quando sospettare e indagare su un’intolleranza alimentare? I sintomi connessi all’allergia sono percepiti in modo diretto con rapporto causa-effetto, nelle intolleranze questo rapporto è invece meno diretto e si può manifestare in modo estremamente vario: meteorismo, sensazione di pesantezza, dolori addominali, tosse, difficoltà di respirazione, eruzioni cutanee, cefalea, cistiti e candidosi, dolori articolari, gonfiore delle palpebre. Alcuni segni clinici possono essere la ruvidità delle pelle, arrossamenti della pelle, febbre leggera persistente, avvicinamento a sintomi allergici in soggetti precedentemente non allergici. Alcuni esami del sangue sono utili per controllare il livello dei globuli bianchi, indicatore dello stato irritativo cronico a livello intestinale; l’analisi delle feci può servire sia per ricercare parassiti e sangue occulto sia per capire se vi sia mancata o parziale digestione di alcuni alimenti.

TRE SOTTOGRUPPI Le intolleranze sono classificate in tre sottogruppi: enzimatiche, farmacologiche e da cause sconosciute. Le prime sono causate dalla mancata o scarsa produzione di specifici enzimi indispensabili per metabolizzare e rendere assimilabili alcuni componenti alimentari (un esempio è l’intolleranza al lattosio o il favismo). L’assunzione di quantità elevate di alimenti contenenti sostanze farmacologicamente attive può essere causa di reazioni abnormi (un esempio è la feniletilamina presente in cibi fermentati, cioccolato e vino rosso, un altro è l’alcol etilico). Le ultime sono classificate come indefinite perché non è noto il meccanismo alla base un esempio è la reazione di intolleranza sviluppata da individui sensibili agli additivi utilizzati come conservanti, antiossidanti, coloranti, edulcoranti. Una possibilità di intervento sono le diete di esclusione che impongono di eliminare alcuni alimenti o gruppi di alimenti tutto sotto lo stretto controllo del medico allergologo, che sceglie a volte anche diete di rotazione per cui anche cibi sospettati di essere responsabili di reazioni di intolleranza possono essere gradualmente reintrodotti nell’alimentazione quotidiana. L’approccio attuale interpreta infatti l’allergia e l’intolleranza come una perdita di controllo da parte del sistema immunitario, e tende non solamente a lottare contro un singolo allergene (ritenuto la causa scatenante dei sintomi), ma a migliorare la capacità di adattamento del singolo individuo. Grazie quindi a nuove impostazioni alimentari si può recuperare la tolleranza alimentare e guarire le intolleranze. Nei casi di emergenza restano sempre a disposizione farmaci classici (antistaminici, cortisonici e adrenalina) per evitare e intervenire in caso di shock anafilattico. Rimedi naturali prevedono l’utilizzo di vitamina C, di oligoelementi come Zinco, Rame, Manganese, Litio, che sembrano in grado di contrastare la reazione allergica, e di Ribes Nigrum per l’azione cortison-like. di Patrizia Mantoessi, farmacista a Monza


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Risponde il Farmacista

Pillola del quinto giorno

Bimestrale di informazione al pubblico della Cooperativa Farmaceutica Lecchese Anno 10, n° 3 Maggio-Giugno 2012 Reg. Trib. Lecco N. 10/03 del 22/09/2003 Direttore responsabile Sergio Meda Comitato Scientifico dottor Paolo Borgarelli dottoressa Valentina Guidi Collaboratori Laura Camanzi, Alvise Mamprin, Patrizia Mantoessi, Federico Poli, Gianni Poli Coordinamento redazionale Hand&Made Milano

Dottore, ho saputo della vendita di una rivoluzionaria pillola del quinto giorno: si tratta di un nuovo metodo anticoncezionale? Chiariamolo, il farmaco in questione (EllaOne, venduto con ricetta medica non ripetibile) è un contraccettivo d’emergenza, non certo un metodo anticoncezionale. Tralasciando discorsi etici (o religiosi ovviamente), sull’opportunità o meno di intervenire in maniera così tardiva su una potenziale ovulazione, mi preme sottolineare che questa pillola va assunta - entro 120 ore, quindi 5 giorni - solamente in caso di rapporto sessuale non protetto o in caso di fallimento del metodo contraccettivo. EllaOne - parimenti alla famosa pillola “del giorno dopo” - è da considerarsi un metodo cosiddetto occasionale che - da foglietto illustrativo - “non deve mai sostituire il metodo anticoncezionale regolare”. Il mio consiglio, per chiunque si trovi nella condizione di dover acquistare farmaci contraccettivi, è di parlarne prima di tutto con il proprio medico e, in ogni caso, di confidarsi con il farmacista.

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