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cultura e natura

L’aggressività. Aspetti positivi e negativi sulla vita dei bambini. di Enza Palombo

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er quel che concerne il temine aggressività, questi deriva dal termine latino aggredior che significa “avanzare verso”. Quindi è legato al concetto di movimento. Anche “aggressione” e “aggredire” hanno la stessa radice, ma nella nostra lingua hanno assunto il valore di “attacco violento”, di offesa che danneggia qualcun’altro. Si comprende, quindi, come da un differente utilizzo di termini simili abbiano avuto origine interpretazioni ambigue del comportamento detto “aggressivo”. In questo modo, i termini simili sfumano l’uno nell’altro, come se fossero sinonimi, tutti accomunati dalla lotta per il potere e la sopravvivenza, cui ci costringe anche la nostra società i cui valori si riassumono spesso nel principio secondo cui “il pesce grosso mangia il pesce piccolo”. Per fortuna valori quali la dignità, il rispetto dell’altro, la solidarietà, l’aiuto reciproco senza tornaconto esistono! Dal punto di vista psicologico l’aggressività è considerata una manifestazione positiva, una componente fondamentale della personalità, nel senso che un bambino che ha dell’aggressività è un bambino che si espone, che ha rapporti con altri bambini e che rivolge la parola alle persone senza problemi legati all’inibizione eccessiva. L’aggressività, dunque, potrebbe entrare in gioco quando ci muoviamo dal nostro ambito personale per incontrare gli altri. I meccanismi biologici dell’aggressività sono innati e sono fisiologicamente funzionali al programma genetico di conservazione e di difesa dell’individuo e della specie.

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L’aggressività è il motore della competitività che può essere positiva o negativa: è positiva quando è finalizzata al confronto e non alla prevaricazione delle idee degli altri. E’ negativa quando si usano mezzi indiretti e subdoli o violenze di vario tipo per imporre le proprie idee e i propri modelli senza integrare quelli altrui. Nei bambini l’aggressività è una modalità comunicativa e di crescita che si trasforma ed evolve in relazione alle tappe evolutive dello sviluppo e pertanto deve essere valutata in relazione all’età. L’aggressività, quando non è controllata volitivamente, può degenerare in comportamenti patologici non finalizzati all’evoluzione dell’individuo. Per aggressività nei bambini si intende una modalità di comportamento distruttiva per il bambino e le persone che gli stanno intorno che si può manifestare attraverso comportamenti quali: picchiare i compagni, picchiare i genitori, reagire con scatti di ira, a volta incontrollabile, ad ogni “no” o ad ogni “critica”…. Oltre a questo il comportamento aggressivo comprende una vasta gamma di condotte quali: esplosioni d’ira, aggressione fisica, risse, minacce e tentativi di far male agli altri, crudeltà verso gli animali, inclinazione ad appiccare incendi, distruzione intenzionale delle cose (proprie e altrui), atti di vandalismo. Le prime condotte chiaramente aggressive cominciano alla fine del secondo anno e durante il terzo, mentre prima si manifestano soltanto reazioni di violenta agitazione, fino a che il bambino non ottiene ciò che

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cultura e natura vuole. Verso i 2-3 anni, il bambino adotta spesso un comportamento oppositivo, a volte collerico, nei confronti dei bambini della sua età, e talvolta anche in famiglia assume atteggiamenti aggressivi verso genitori e adulti. Verso i quattro anni queste reazioni sfumano e il bambino esprime la sua aggressività verbalmente, non più solo a gesti. Tra i comportamenti problematici che portano ad una diagnosi di aggressività i più comuni sono: atti autolesionistici, ipersensorialità, iperattività, reazioni emozionali eccessive, aggressività verbale. LE CAUSE Possono provocare condotte aggressive patologiche anche diverse condizioni mediche generali quali: neoplasie del sistema nervoso centrale, trauma cranico, malattie cerebro-vascolari, epilessia, affezioni infettive con coinvolgimento del snc (sistema nervoso centrale), affezioni endocrine, affezioni autoimmuni con coinvolgimento del snc, condizioni tossiche croniche. La ricerca in questo campo ha dimostrato che alla base dell’aumentato rischio di comportamenti violenti nei bambini vi è tutta una serie complessa di interazione di fattori che comprendono: storia personale di comportamenti aggressivi o violenti; esperienze pregresse come vittima di abusi fisici e/o sessuali; esposizione reiterata alla violenza domestica e sociale; gravi esperienze di frustrazione (cc.dd. abuso psicologico); genitore con problemi giudiziari (carcerazione); genitori alcoolisti o tossicodipendenti; famiglie composte da un solo genitore; fattori genetici (ereditarietà familiare); basso quoziente intellettivo (nel caso di condotte aggressive continuate); scarsa capacità di espressione verbale e di autocontrollo, legata ad un disturbo dell’attenzione e ad impulsività (vedi sotto); schemi di attaccamento di tipo insicuro; esposizione alla violenza trasmessa dai media (tv, film, videogiochi, ecc.); combinazione di condizioni familiari svantaggiate (povertà, grave deprivazione, conflitti coniugali, mancanza di un genitore, disoccupazione, assenza della famiglia allargata); lesioni o epilessia del lobo temporale.

SEGNALI DI ALLARME Per quanto riguarda i segnali d’allarme, occorre porre attenzione ai seguenti atteggiamenti nei bambini, perché sono spesso precursori di comportamenti apertamente violenti: rabbia intensa, perdita frequente del controllo con esplosioni d’ira, facile irritabilità, grande impulsività, sensibilità alla frustrazione. ALTERAZIONI NEUROBIOLOGICHE Le alterazioni neurobiologiche che sono state individuate utilizzando tecniche di brain imaging in persone affette da sintomatologie aggressive sono: diminuzione nel metabolismo dei lobi frontali e prefrontali,(PET) (funzioni cerebrali legate alla volitività, progettazione, autodeterminazione, perseveranza), ipotrofia del corpo calloso, asimmetrie del nucleo caudato. Le alterazioni neurobiologiche dimostrano come un deficit della volitività e una mancanza di sinergismo tra i due emisferi cerebrali possano essere la causa prima del disturbo. COME INTERVENIRE? Ad un sentimento aggressivo, che evolutivamente può essere normale, oggi si sente sempre più spesso parlare in termini di aggressività, prepotenza, di violenza, di abusi, di sopraffazione, di massacri, di estinzione… .. A comunicarlo quasi sempre sono i media tramite la cronaca, i documentari oppure i film. Ma allora quelle dei bambini sono solo reazioni aggressive volte ad affermarsi - e di paura - volte a blocco - o piuttosto sono reazioni al fatto di sentirsi, costantemente e impercettibilmente aggrediti? E da chi? Le manifestazioni delle condotte aggressive possono essere molteplici ma alla base di tali condotte vi è una conflittualità tra la ricerca di armonia da parte del bambino e ciò che ha subito come disarmonia per condizionamento. Alcuni comportamenti apparentemente asociali non sono altro che la difesa da tutto ciò che disarmonizza il bambino. Per condizionamento si intende l’adattamento imposto al bambino alle nostre regole, ai nostri modelli mentali, ai nostri comportamenti escludendo nel bambino la possibilità di scegliere ciò che è giusto e utile per la sua crescita e ciò che è sbagliato. Genitori e insegnanti dovrebbero dare la giusta importanza ai comportamenti aggressivi nei bambini identificando il problema che il bambino sta vivendo ponendo particolare attenzione ed ascolto al suo vissuto. Un’azione educativa adeguata dovrebbe intervenire a monte e preventivamente per stimolare il

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cultura e natura bambino a verificare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato nel suo comportamento. Imporre al bambino regole e nozioni fine a se stesse lo dissociano dalla realtà oggettiva. Prendiamo l’esempio del bambino che picchia i compagni, o addirittura i genitori. Questi dovrà imparare a rispettare i genitori e gli altri, non tanto per il principio: “non si deve fare”, poiché per un bambino che soffre questo non vuol dire nulla. Occorre fargli capire il perché dimostrandogli che con altre strategie di comportamento i problemi si possono risolvere con conseguenze positive per la propria vita con gli altri. Per aiutare il bambino a conoscere e a controllare la propria aggressività occorre in pratica: non colpevolizzare, non giudicare o fare critiche negative sul comportamento errato del bambino, non rispondere con minacce o punizioni (questo costituisce un rinforzo negativo al suo comportamento) ma aiutare il bambino a rasserenarsi, a calmarsi e a ritrovare il rispetto di sé. E’ importante inoltre aiutare il bambino ad esprimere rabbia e frustrazione in modi più appropriati, provando a verbalizzarne le cause. Occorre dare coscienza al bambino delle proprie azioni portandolo ad accettare le conseguenze, senza mai penalizzare la sua dignità (ad es. far capire al bambino che si può sbagliare, l’importante è capire l’errore e le sue conseguenze ed andare avanti). Ecco che, se per un genitore educare un figlio è già difficile, diventa un’ impresa ancora più ardua se lasciamo che informazioni non costruttive quali la svalutazione di se stessi e delle proprie capacità, l’attaccamento al denaro, la ricerca di potere sugli altri, la prevaricazione, interferiscano sulla loro crescita con la conseguente perdita di fiducia in sé stessi e nei propri genitori. Aiutare il bambino a riconoscersi in se stesso e nei propri valori può avere un impatto profondo nel suo futuro migliorando l’immagine che ha di sé ed il senso di autostima. L’esperienza dei clinici ed altri esperti indica inoltre che è necessario modificare quelli che possono essere “esempi” di condotte violente in famiglia, ossia procedere alla riduzione dell’esposizione del bambino alla violenza tra le mura domestiche. Secondariamente, il bambino va meno esposto a informazioni che rendono conto della violenza sociale e, ultimo ma non meno importante, va assolutamente considerato il ruolo dei media, tv e videogames in testa: ore e ore di

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passiva esposizione a programmi o giochi violenti conducono facilmente i bambini (e non solo) alla violenza attivamente agita.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: De Leo G., 2002, “La devianza minorile”, Ed. Carocci, Roma LOSITO G. , “Il potere dei media”, Ed. Carocci, Roma, 1998, pp. 102-108 Monografia “Le condotte aggressive metodologie di intervento educativo e preventivo” – C.I.S. - Il Cervello e l’integrazione delle Scienze, 2002, Ed. A. D.E.-C.E.U., n. 40, II° semestre, Roma

Enza Palombo, Psicologa, docente in corsi e seminari per le attività di formazione e aggiornamento in campo psicologico con particolare attenzione all’età evolutiva e all’adolescenza. Membro del Comitato Esecutivo dell’Associazione Internazionale I.P.V.- Ius Primi Viri con Statuto Consultivo presso l’ECOSOC dell’ONU. + enzapalombo@libero.it

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