Il Grano - Coltivazione

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il grano

coltivazione Tecnica colturale Pasquale Montemurro

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coltivazione Tecnica colturale Introduzione AVVICENDAMENTO

A partire dai primi anni dopo la seconda guerra mondiale la tecnica di coltivazione del frumento, come quella di molte altre colture, ha subito profonde trasformazioni grazie soprattutto alla ricerca scientifica. Infatti i risultati della ricerca nel campo del miglioramento genetico e in quello dei mezzi tecnici hanno consentito lo sviluppo di varietà più produttive e la realizzazione di fertilizzanti migliori, di prodotti per la difesa più efficaci (diserbanti, insetticidi e fungicidi) e di macchine agricole più efficienti. Anche se il progresso è stato rilevante, si continua a tendere al raggiungimento di nuovi obiettivi volti allo studio e alla ricerca di metodi di coltivazione e protezione delle piante e al miglioramento della meccanizzazione, nell’ottica del risparmio energetico e della riduzione dell’impatto ambientale, tenendo nella dovuta considerazione gli aspetti qualitativi e di salubrità dei prodotti. Come per le altre colture, gli aspetti agronomici fondamentali che regolano la coltivazione del frumento riguardano la sua collocazione nell’avvicendamento, la preparazione del terreno di semina, la fertilizzazione e la difesa dai parassiti e dalle infestanti.

LAVORAZIONE DEL TERRENO

IRRIGAZIONE

TECNICA COLTURALE

CONCIMAZIONE

SEMINA

Componenti agronomiche della tecnica colturale

Avvicendamento

• Consiste nella programmazione della

successione delle colture che devono essere seminate o trapiantate sullo stesso appezzamento, in funzione del ruolo che le colture possono svolgere in termini di impatto sulla fertilità del terreno

Avvicendamento Fin dai primordi gli agricoltori hanno ben presto compreso come una stessa coltura producesse sempre di meno, qualora fosse coltivata per anni consecutivi sullo stesso terreno; tale fenomeno è stato poi denominato “stanchezza del terreno”. Gli antichi egizi furono tra i primi a notare la differente risposta produttiva, qualora sullo stesso appezzamento si alternassero colture diverse. Successivamente, gli ebrei cominciarono ad adottare la strategia, detta “maggese”, di lasciare riposare il terreno in sequenza biblica (descritta nella Sacra Scrittura), cioè un anno su sette; i greci pro-

• L’avvicendamento può essere di due

tipi: a) indefinito o libero, qualora la successione delle colture venga stabilita anno per anno; b) a ciclo chiuso o rotazione, nel caso in cui la successione delle colture sia stabilita a priori

Foto R. Angelini

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tecnica colturale seguirono tale pratica però senza una cronologia fissata a priori. Esistono riferimenti anche per l’epoca romana: nelle Georgiche sono descritte delle rotazioni con e senza maggese. Nel De re rustica, Columella osserva come “alcune specie servano a concimare e migliorare i campi, e altre invece li brucino e li esauriscano: li ingrassano il lupino, la fava, la veccia, la lenticchia e il pisello”. Un altro passo riferisce che “deve reputarsi avvenire anche per la fava e per gli altri legumi, da cui la terra pare essere ingrassata”. Durante il Medioevo, il problema della stanchezza del terreno fu molto sentito ed evitato con il “riposo pascolativo”, ossia permettendo al bestiame di pascolare, alimentandosi con l’erba che cresceva spontaneamente sugli appezzamenti non coltivati. Più tardi, nel VI secolo, gli agronomi Agostino Gallo e Tarello da Lonato recuperarono la rotazione agraria come metodo per migliorare e mantenere la produttività delle colture; ma è sull’onda di una vera e propria “rivoluzione agronomica”, dovuta all’acquisizione di esperienze maturate in Paesi più evoluti, che avviene l’ufficiale riconoscimento della positività dell’avvicendamento, attraverso la fondamentale esperienza, cominciata in Inghilterra nel 1730, con la “rotazione di Norfolk”: la successione quadriennale di determinate colture (rapa-orzo-trifoglio pratense-frumento) in anni consecutivi sullo stesso appezzamento. I risultati di tale esperienza, infatti, hanno individuato in modo scientifico come il frumento, coltivato dopo il trifoglio pratense, specie appartenente alla famiglia delle leguminose (dalla naturale capacità di fissare nelle proprie radici l’azoto atmosferico, rendendolo organico), fosse maggiormente produttivo grazie all’azoto organico rilasciato nel terreno dal trifoglio. Pertanto, con l’avvicendamento del frumento, così come di qualsiasi altra specie erbacea, generalmente si ottengono produzioni maggiori e di qualità migliore. Al contrario, praticando il “ringrano” o “ristoppio”, cioè la semina del grano sullo stesso appezzamento

RAPA

ORZO (+TRIFOGLIO)

FRUMENTO

TRIFOGLIO FAGIOLO Rotazione di Norfolk Foto R. Angelini

SET-ASIDE INDUSTRIALE

BIETOLA

BIETOLA

MAIS

FRUMENTO

MAIS

FRUMENTO

SOIA SORGO SOIA

GIRASOLE

Esempio di rotazione quadriennale

Esempio di rotazione quadriennale con “set aside” o colture alternative

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coltivazione per anni consecutivi, o addirittura la “monosuccessione”, cioè la semina esclusiva della medesima specie, le rese di granella si riducono progressivamente, sia per diminuzione della fertilità del terreno sia per problemi di carattere fitopatologico (maggiori attacchi di insetti, funghi, erbe infestanti, ecc.). A tale proposito si ricorda la “storica” sperimentazione iniziata nel 1842 e ancora in corso a Rothamsted (Inghilterra): i risultati di tale ricerca hanno dimostrato chiaramente come già al primo anno di ringrano la riduzione della produzione di granella fosse abbastanza evidente. Anche le prove sperimentali realizzate in Italia hanno in seguito evidenziato una diminuzione delle rese unitarie piuttosto importante e rapida nella coltura continua rispetto a quella avvicendata. Relativamente alla scelta delle colture da impiantare prima del grano, in Italia e in altri Paesi sono stati condotti numerosi esperimenti i cui risultati hanno consentito di definire da “rinnovo” la barbabietola da zucchero, la patata, il tabacco, il mais, il pomodoro e il girasole e “miglioratrici” la fava, il favino, il pisello, la veccia e l’erba medica. Il frumento ha, infatti, mostrato la sua buona attitudine a sfruttare la fertilità che le leguminose lasciano nel suolo grazie all’incremento del contenuto in azoto organico e all’importante capacità che tale famiglia di piante ha nell’ostacolare la nascita e la crescita delle malerbe; tuttavia l’apporto di concimi e le lavorazioni al terreno ricoprono indiscussa importanza. Per quanto concerne l’avvicendamento del grano con altri cereali, le esperienze condotte su mais e sorgo hanno evidenziato un effetto abbastanza favorevole sulla produttività del frumento, ma non della stessa entità raggiungibile con la semina di una coltura non cerealicola. Anche se il ringrano provoca effetti depressivi sulle rese di granella esistono tuttavia situazioni, quali quelle dei com-

Favino Foto R. Balestrazzi

Barbabietola

Foto R. Angelini

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tecnica colturale Effetto delle diverse successioni colturali sulle rese di frumento Successione colturale

Rese di granella (t/ha) Bologna

Foggia

Colture e avvicendamento

Frumento continuo

4,47

2,71

• “preparatrici”, dette anche “da

Mais-Frumento

5,63

-

Medica-Mais-Frumento

5,99

-

Bietola da zucchero-Frumento

-

3,07

Erbaio (misto di avena, veccia, favino, pisello)-Frumento

-

3,47

Erbaio (misto di avena, veccia, favino, pisello)-Frumento

-

3,19

Frumento-Frumento

-

2,77

rinnovo”, se lasciano il terreno più fertile grazie soprattutto alle cure (lavorazioni del terreno, fertilizzazione, diserbo, difesa dai parassiti, ecc.) praticate alla coltura

Rinnovo-frumento-erbaio-frumento

• “miglioratrici”, sono in genere specie leguminose che hanno la capacità di conferire una maggiore fertilità in virtù della capacità di fissare l’azoto nel terreno

Erbaio-frumento-frumento

• “depauperanti” o “liquidatrici”

prensori non irrigui delle nostre regioni meridionali e insulari, nelle quali il grano frequentemente succede a se stesso per più anni consecutivi, poiché altre colture non trovano condizioni ambientali ed economiche tali da consentirne una conveniente coltivazione. Nei comprensori cerealicoli di zone aride o semi-aride, risulta utile la tradizionale strategia di far precedere il frumento dal maggese. Dopo il maggese, infatti, il cereale trova il terreno con una carica inferiore di malerbe, una migliore disponibilità di elementi nutritivi derivanti dalla mineralizzazione della sostanza organica e una maggiore riserva di acqua, condizione che, nei climi aridi e semi-aridi, è adatta a rendere produttiva la coltivazione del grano nell’anno successivo. Ancora in riferimento al maggese, il “set aside” ha costituito negli anni Novanta, per moltissimi cerealicoltori, un’ottima opportunità, con il vantaggio dell’ottenimento dei contributi economici previsti dai regolamenti comunitari. Di un maggiore beneficio economico, poi, hanno usufruito le aziende cerealicole che hanno attuato il “set aside” con copertura vegetale artificiale, cioè con la semina di specie di copertura (cover crops), la cui utilità è stata quella di migliorare ulteriormente la fertilità del terreno. Per quanto riguarda le problematiche legate all’avvicendamento, le specie da seminare prima del frumento devono essere selezionate anche in funzione dell’epoca di raccolta, poiché questa può limitare il tempo necessario per la preparazione del letto di semina del frumento. Infatti, nei comprensori caratterizzati da un clima con frequenti piogge a fine estate e ad inizio autunno e in presenza di terreni argillosi o limosi, le colture estive con raccolta eseguita tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno (come per esempio il tabacco, il mais, il sorgo da granella, il riso e il girasole) possono rendere difficile la preparazione del terreno per la semina del frumento, a causa del compattamento del suolo bagnato in seguito al passaggio delle macchine.

o “sfruttanti”, se lasciano il terreno meno fertile dopo la loro coltivazione

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coltivazione Lavorazione del terreno Della biblica necessità di lavorare la terra (“il Signore Dio lo mandò via dal giardino di Eden, per lavorare il suolo donde era stato tratto” [Bibbia, Genesi, 1,23]), gli agricoltori si sono sempre resi conto. Nel secondo dei suoi libri dell’opera De re rustica, Columella sostiene che “coltivare non è altro che disgregare e fermentare la terra” e ancora “il campo sodo deve essere invece sottoposto a tante arature ripetute da essere ridotto in polvere”. Per poter procedere alla semina del frumento generalmente il terreno deve essere sottoposto a opportune lavorazioni; da poco più di un ventennio, però, è possibile eseguire anche la semina su sodo, cioè senza lavorare il terreno, grazie alla disponibilità di apposite seminatrici. Le lavorazioni del terreno servono, essenzialmente, a fare in modo che il seme venga accolto e messo in condizioni innanzitutto di germinare bene, quindi di fuoriuscire dal suolo (fase di emergenza) e permettere l’ottimale sviluppo della piantina. In altre parole, il terreno deve diventare il più ospitale possibile per la semente, deve essere garantita una porosità tale da permettere un buon trattenimento dell’acqua ed essere contemporaneamente consentita un’ottimale presenza e circolazione di gas quali ossigeno e anidride carbonica. Soprattutto a seconda della coltura che precede il frumento e delle condizioni climatiche e pedologiche, le lavorazioni del terreno differiscono in tipo, epoca e profondità e generalmente sono scelte sia in considerazione degli obiettivi economici, cioè la maggior riduzione possibile del numero di interventi necessari alla preparazione del letto di semina, sia per garantire la qualità della granella. In ogni caso, la scelta della lavorazione del terreno e della profondità a cui effettuarla, o quella di non lavorarlo affatto (semina su sodo), viene fatta di volta in volta a seconda delle necessità, che normalmente coincidono con l’interramento dei fertilizzanti minerali e organici, dei

Foto V. Bellettato

Aratura Foto V. Bellettato

Ripuntatura

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tecnica colturale residui colturali e con il miglioramento delle condizioni del terreno lasciate dalla coltura precedente (come ad esempio la cura di una superficie irregolare o compattata in seguito al passaggio delle macchine, l’eliminazione delle erbe infestanti, ecc.). Riguardo alla tipologia, le lavorazioni si distinguono essenzialmente in principali e secondarie. L’aratura è la lavorazione principale e più diffusa ancora oggi; la sua esecuzione avviene generalmente durante l’estate, a una profondità che nelle condizioni dell’Italia settentrionale e centrale varia tra 20 e 25 cm, mentre nel meridione oscilla tra 25 e 30 cm. In alcuni comprensori, allo scopo di correggere la struttura del terreno per favorire la regimazione idrica e l’aerazione del suolo, viene effettuata la lavorazione a due strati; in altre parole, si realizza prima una ripuntatura profonda 50-60 cm, utilizzando un ripuntatore, successivamente si ara a 25-30 cm. Le due operazioni possono essere eseguite contemporaneamente qualora si disponga di un araripuntatore. All’aratura seguono lavorazioni complementari come la frangizzollatura, l’erpicatura e la fresatura, che sono praticate con lo scopo di ottenere un letto di semina non zolloso, ben livellato, in cui il seme possa trovare le condizioni ottimali per germinare e la piantina per emergere dal terreno e crescere al meglio. In alcuni areali, si preferisce praticare la minima lavorazione (minimum tillage), cioè una lavorazione molto superficiale, a una profondità variabile tra 10 e 15 cm, il minimo indispensabile per creare uno strato di terreno lavorato adatto alla semina, alla buona germinazione delle cariossidi e all’ottimale emergenza delle piantine. La semina su terreno sodo, accennata in precedenza, ha potuto avere una discreta diffusione grazie alla disponibilità di seminatrici che hanno dato risultati apprezzabili, create proprio per poter deporre i semi in terreni non lavorati, specialmente in quelli sui quali era stata eseguita una lavorazione principale in preparazione alla coltura precedente (da rinnovo). Questo sistema è adatto alle se-

Foto V. Bellettato

Grano cresciuto su terreno non lavorato Foto V. Bellettato

Erpicatura Semina su sodo

Foto V. Bellettato

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coltivazione mine su terreni difficili, dopo colture raccolte tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, anche in condizioni di piogge frequenti. Inoltre, dal punto di vista economico è conveniente perché, non eseguendo alcuna lavorazione del terreno, le spese complessivamente affrontate per tale produzione sono senz’altro inferiori. La semina diretta non è però sempre consigliabile; la presenza sul terreno di residui vegetali di mais o di sorgo coltivati precedentemente potrebbe rappresentare per il frumento un importante fattore di rischio, poiché costituisce una significativa fonte di inoculo e di trasmissione di fusariosi, responsabili della contaminazione da micotossine della granella. Nel caso si scelga la semina su terreno non lavorato, è praticamente indispensabile eliminare le piante infestanti nate dopo la raccolta della coltura precedente, mediante un trattamento diserbante (pulizia del letto di semina).

La concimazione nella storia

• Columella già nel I secolo d.C. afferma, in uno dei dodici libri del De re rustica, che l’apporto abbondante di concimi è tra i fattori più importanti della fertilità del terreno, fissando in questa maniera uno dei cardini che aprì la strada dell’agricoltura alla concimazione chimica, iniziata diciassette secoli dopo da Justus von Liebig che studiò profusamente le caratteristiche del suolo

Concimazione La concimazione è sicuramente uno degli aspetti più importanti della tecnica colturale per l’ottenimento di apprezzabili rese unitarie di frumento duro e tenero. Come le altre piante, anche il frumento, per potersi accrescere e quindi produrre bene, necessita di elementi nutritivi che devono essere disponibili in determinate fasi e nella giusta quantità. A tale riguardo, innumerevoli sono le ricerche eseguite sulla nutrizione delle piante, in particolare del grano, che hanno evidenziato l’influenza della concimazione sulla disponibilità di elementi nutritivi, sulla produttività e sulle componenti qualitative della granella, proteine e amido in particolare.

Elementi fertilizzanti

• Macroelementi: azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio e zolfo

• Microelementi: zinco, manganese, rame, boro e molibdeno

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tecnica colturale Gli elementi nutritivi fondamentali alla vita delle piante sono normalmente classificati in “macro” e “microelementi”. Il primo gruppo, così chiamato perché comprende elementi necessari in quantità elevate, ma che generalmente non sono presenti nel terreno in quantità sufficiente, comprende l’azoto, il fosforo, il potassio, il calcio, il magnesio e lo zolfo; nel secondo gruppo, che include elementi necessari in quantità esigue normalmente presenti nel suolo, rientrano lo zinco, il manganese, il rame, il boro e il molibdeno. Nonostante ogni elemento nutritivo svolga un proprio ruolo nel determinare la crescita della pianta, quindi il conseguimento di una produzione quantitativamente e qualitativamente apprezzabile, l’azoto, il fosforo e il potassio sono ritenuti i più importanti e, pertanto, quelli normalmente oggetto della concimazione. Calcio, magnesio e zolfo, invece, sono meno rilevanti ai fini della fertilizzazione, in quanto non sono quasi mai carenti; inoltre questi elementi vengono spesso apportati dai concimi minerali comunemente usati. Per concimare in modo razionale è basilare tenere particolarmente in considerazione le caratteristiche del terreno, la precessione colturale, la varietà, la produzione attesa, l’andamento stagionale e il tempo di assorbimento degli elementi nutritivi. Relativamente al terreno, dalla sua analisi si possono ricavare informazioni sulla dotazione di nutrienti presenti, nella sostanza organica, una delle principali fonti di azoto, nonché dati sulla disponibilità di elementi minerali e sulla tessitura (rapporto percentuale tra argilla, limo e sabbia), che risulta particolarmente importante poiché influisce sull’entità e sul rilascio degli elementi nutritivi da parte del suolo. La conoscenza della coltura precedentemente praticata (rinnovo, miglioratrice, sfruttante) fornisce utili indicazioni sulla fertilità residua nel suolo. L’entità della produzione che si suppone di ottenere dipende dalla varietà prescelta, ma anche dalla stima degli elementi nutritivi che saranno asportati dal terreno e che devono pertanto essere anticipati con la fertilizzazione. Il frumento tenero, per esempio, asporta circa 180 unità di azoto per una produzione di 7 t di granella (al netto della paglia). In ogni caso, maggiori sono le produzioni e più alte saranno le esigenze nutritive. Per quanto concerne la pluviometria stagionale, questa influisce notevolmente sulla disponibilità degli elementi nutritivi per la coltura: se le piogge sono scarse i concimi non si sciolgono, mentre se sono eccessive questi subiscono un dilavamento troppo profondo nel terreno. La conoscenza dei fattori elencati e della loro azione in un determinato ambiente consente d’individuare la dose media indicativa di concime, che deve essere adattata di volta in volta attraverso l’osservazione diretta delle piante e/o attraverso moderni strumenti come lo SPAD, utile per la determinazione indiretta dell’azoto contenuto nelle foglie di una pianta viva. Durante la sua vita, la pianta assorbe i nutrienti in modo variabile; generalmente,

Concimi o fertilizzanti

• Sono sostanze, minerali od organiche,

di origine naturale o di sintesi, in grado di fornire alle piante uno o più elementi nutritivi

• In base al numero degli elementi

nutritivi che contengono, si dividono in: “semplici”, se hanno uno dei tre elementi principali (N, P o K); “composti”, se includono due o tre degli elementi principali (NP, NK, PK e NPK)

• Per titolo si intende la percentuale in

peso dell’elemento fertilizzante: l’azoto è espresso in N, il fosforo in P2O5 e il potassio in K2O

Asportazioni colturali di azoto, fosforo e potassio Rese di granella (t/ha)

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Asportazioni (kg/ha) N

P

K

2,67

48,2

15,8

28,8

3,98

70,7

20,7

40,3

5,07

90,1

26,8

55,9

5,57

105,8

27,1

65,2

5,89

123,9

28,4

73,6

6,01

131,5

27,5

82,6


coltivazione raggiunge il suo massimo durante la fase della levata, al termine della quale è assunto non meno del 70-80% del fabbisogno totale. Alla luce di ciò, appare chiara l’importanza della scelta, del calcolo e della programmazione oculata del tipo di concime, delle dosi da impiegare e del momento della distribuzione. I fertilizzanti sono generalmente distribuiti sul terreno, mentre solo occasionalmente sono disciolti in acqua e applicati direttamente sulle foglie (concimazione fogliare). Tra i macroelementi, l’azoto e il fosforo sono considerati fondamentali e devono essere abitualmente distribuiti alle colture attraverso la fertilizzazione; in situazioni di terreno particolarmente carente, può inoltre risultare necessario l’impiego di concimi contenenti potassio. Concimazione azotata Qualora nelle piante di frumento l’elemento sia sufficientemente disponibile, si avranno effetti positivi sulla quantità e qualità della produzione, così come si nota nei dati riportati nelle tabelle. In particolare, tra gli effetti che il nutriente in questione determina dal punto di vista quantitativo si ricorda l’aumento dell’espansione fogliare, sulla quale agisce ritardando la senescenza, quindi sulla superficie fotosintetizzante, poiché induce un maggiore accestimento e migliora la fertilità della spiga. Tali aspetti si traducono normalmente in un aumento della produzione di granella; l’azoto produce, inoltre, un evidente innalzamento del contenuto proteico e delle ceneri. Nel caso si verifichi una carenza di azoto le piante manifestano visibili sintomi di ingiallimento e di forte riduzione della crescita; nel frumento duro, poi, molte delle cariossidi, invece di essere completamente vitree, si mostrano “bianconate”, cioè con macchie biancastre più o meno diffuse; tale difetto peggiora la qualità della semola. Considerato il fatto che l’azoto è indispen-

SPAD utilizzato per determinare il contenuto di azoto nella foglia

Azotofissazione

• La fissazione dell’azoto atmosferico

può essere operata da microrganismi terricoli, simbionti o no, con varie piante (leguminose)

Foto R. Angelini

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tecnica colturale sabile per l’ottenimento di elevate produzioni di qualità e che si trova nel terreno in quantità quasi sempre insufficiente a soddisfare il fabbisogno del frumento, l’apporto di tale elemento tramite la concimazione azotata è considerato di primaria importanza nella coltivazione. Le esigenze di azoto di una coltura di frumento sono di 2,4-2,8 kg per ogni quintale di granella prodotta (compresa la relativa paglia). Tali esigenze devono poter essere soddisfatte durante tutto il periodo di assorbimento, specialmente da quando si forma il primo internodo poiché, durante tale fase, la carenza di azoto reca effetti dannosi in termini di resa in granella e di contenuto proteico. Il tipo di concime generalmente non ha grande influenza sulla produzione del grano, né dal punto di vista quantitativo né qualitativo. Attualmente il tipo maggiormente utilizzato è l’urea agricola, soprattutto per motivi economici (minor costo e titolo elevato), seguita dal nitrato ammonico. Alcuni cerealicoltori utilizzano anche il fosfato biammonico con il quale si distribuisce anche il fosforo. In alcune situazioni, però, è utile l’impiego di fertilizzanti azotati a lento effetto o “ritardanti”, come l’ureaformaldeide, proprio in virtù della proprietà di rilasciare l’azoto molto gradualmente. I casi

Confronto tra cariossidi sane (sopra) e cariossidi bianconate (sotto)

Concimi azotati

• In commercio sono presenti diversi

gruppi di concimi: - “nitrici”, molto solubili e prontamente assorbiti dall’apparato radicale, pertanto impiegati esclusivamente in copertura; - “ammoniacali”, nell’ambito dei quali il più utilizzato è il solfato ammonico, che possiedono un’azione leggermente più lenta rispetto ai concimi nitrici e sono distribuiti subito prima o durante la semina; - “nitrico-ammoniacali”, che hanno la peculiarità di comprendere le caratteristiche dei due gruppi precedenti, in quanto la quota di azoto sotto forma nitrica è immediatamente disponibile per la pianta, mentre quella ammoniacale costituisce una riserva utilizzabile successivamente, pertanto si impiegano quasi sempre in copertura; - “a lento effetto” o “ritardanti”, così chiamati perché rilasciano l’azoto molto lentamente e quindi sono particolarmente utili in condizioni di forte rischio di lisciviazione (areali molto piovosi); sono adatti a distribuzioni in preimpianto e in copertura

Foto R. Balestrazzi

Nitrato ammonico

Nitrato di calcio

Solfato ammonico

Urea granulare

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coltivazione in cui è consigliato un concime a lento effetto comprendono le zone a forte rischio di dilavamento per eccessiva piovosità e gli areali siccitosi, nei quali è molto probabile il fenomeno della stretta. Considerato però il costo elevato, questo tipo di concime è generalmente scelto dalle aziende agricole che usufruiscono di un apposito contributo economico comunitario, a condizione di non superare specificati livelli di concimazione azotata. Le dosi di azoto devono essere adeguatamente valutate, in quanto gli eccessi possono risultare dannosi per la produzione del frumento; quantità troppo elevate, infatti, causano una maggiore suscettibilità all’allettamento e ad alcune malattie dovute alla diminuzione della resistenza meccanica dei tessuti della pianta; inoltre possono provocare la stretta, per l’aumento della superficie traspirante. Riguardo alle dosi da distribuire, queste sono calcolate tenendo presente sia le esigenze della coltura citate in precedenza, sia importanti fattori quali la potenzialità produttiva della varietà scelta e l’ambiente di coltivazione. Nell’Italia settentrionale e centrale può ritenersi adatta una dose di azoto di 120-150 kg/ha, che può arrivare anche a 200 kg/ha, mentre in meridione, più caldo e arido, è consigliato un apporto inferiore, compreso tra 70 e 100 kg/ha. Poiché l’epoca di concimazione influenza in modo particolare il contenuto proteico delle cariossidi, la distribuzione dei concimi azotati viene programmata in modo da evitare in ogni momento carenze per la pianta, specialmente nelle fasi critiche di maggiore assorbimento. In appezzamenti poveri di azoto, i concimi in forma solida sono generalmente dati prima o alla semina, a spaglio o in modo localizzato, poi “in copertura” (con il grano già nato) ugualmente a spaglio. La localizzazione, normalmente in misura di 20-30 kg/ha di azoto, è preferibile a mezzo di una seminatrice munita di apposito apparato distributore. Lo spargimento in copertura della restante quota viene eseguito tra l’accestimento e la formazione del primo inter-

Influenza della concimazione azotata su alcune componenti della resa Dose di azoto (kg/ha)

Densità delle spighe (n./m2)

Spighette Cariossidi per spiga per spiga

0

432

19,6

27

50

545

19,8

28,2

100

561

20,1

29,4

150

597

20,1

29,3

200

621

20,2

29,3

250

640

20,3

29,3

Azoto

• Influenza la crescita e il rigoglio

vegetativo delle piante che a loro volta rispondono con una colorazione verde molto intensa

• Sono necessari 2,4-2,8 kg/ha di azoto per ogni quintale di granella

• Nel terreno è presente in forma

organica, ammoniacale e nitrica

• L’azoto organico costituisce circa il

50% della sostanza organica del suolo ed è formato da composti di origine animale e vegetale (residui colturali). L’azoto ammoniacale possiede una carica elettrica positiva (NH4+), perciò viene trattenuto dai componenti del terreno con carica elettrica negativa e non si disperde per dilavamento

Relazione tra azoto disponibile nel terreno, produzione e tenore proteico

• L’azoto nitrico (N03-) deriva da

Tenore proteico

varie trasformazioni della sostanza organica, dalla nitrificazione dell’azoto ammoniacale apportato dai concimi o direttamente dai fertilizzanti; possedendo una carica elettrica negativa, non viene trattenuto dai colloidi del terreno ed è perciò facilmente dilavabile

Indice qualitativo (test di sedimentazione) Produzione di granella

Azoto disponibile nel terreno

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tecnica colturale

Campo di grano allettato

nodo; in particolare, i fertilizzanti a lento effetto si prestano bene alla concimazione azotata nell’epoca dell’accestimento (gennaiofebbraio), periodo in cui le esigenze del frumento sono abbastanza limitate, ma protratte nel tempo. Nel caso di terreni non carenti di azoto o in suoli in cui tale elemento è a rischio di lisciviazione, la concimazione avviene totalmente in copertura. La distribuzione della quota principale, circa il 65-80%, dovrebbe avvenire alla metà o alla fine dell’accestimento, mentre la restante quota, meglio se di fertilizzanti azotati a pronto effetto, dovrebbe essere distribuita durante la levata e la botticella. Qualora non sia stato possibile apportare nutrienti azotati mediante concimi solidi in copertura, si può ricorrere a irrorazioni fogliari eseguite per esempio con soluzioni di urea, utilizzando comuni pompe irroratrici durante la fase che va dalla levata alla botticella.

Foto R. Balestrazzi

Curva di assorbimento dell’azoto nei vari stadi del frumento tenero 3° apporto fondamentale 40-70 kg/ha

Fosfato biammonico Foto R. Balestrazzi

4° apporto da valutare 0-40 kg/ha

2° apporto fondamentale 1° apporto 60-80 kg/ha da valutare 0-40 kg/ha

Spiga a 1 cm 1° foglia

2°-3° Inizio Accesti- Inizio foglia accesti- mento levata mento

Levata Botticella Spigatura Fioritura Nitrato potassico

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coltivazione Calcolo della dose totale di azoto Calcolo della dose di azoto

Fabbisogni del cereale

• La dose totale di unità d’azoto da

somministrare per ettaro viene calcolata tenendo conto del fabbisogno della coltura meno la disponibilità di azoto residuo nel suolo. Questo valore viene calcolato sommando i residui delle precedenti colture e l’azoto delle concimazioni organiche. Nella tabella a fianco è riportato un esempio di calcolo della concimazione azotata

4 Residui delle precedenti colture e dell’humus

1 Obiettivo produttivo × 2 Bisogni di azoto +

Dose di azoto Disponibilità = da somministrare del suolo U/ha

3 Azoto che resta nel terreno dopo la raccolta

+ 5 Azoto delle concimazioni organiche

Dose di azoto = da somministrare (unità/ha)

Esempio pratico di calcolo della concimazione azotata

Foto R. Balestrazzi

Obiettivo produttivo:

70 q/ha di grano tenero

Precedente colturale:

Mais

Contenuto di calcare nel terreno:

inferiore al 20%

Terreno:

ben preparato

Letame:

ogni 3 anni 300 q/ha

1 = 70 q/ha ×

4 = 40 U/ha

2 = 2,40

+

+

5 = 10 U/ha

3 = 30 U/ha

40 + 10 = 50

(70 × 2,40) + 30 = 198 = 198 Fabbisogni del cereale 198 –

50

= 50 Disponibilità del suolo

=

148 U/ha Dose di azoto da somministrare

La concimazione fogliare, infatti, eseguita miscelando fertilizzanti azotati con prodotti utili per la difesa (diserbanti, fungicidi), può contribuire positivamente all’ottenimento di apprezzabili rese quali-quantitative di frumento, in virtù della prontezza d’azione 106


tecnica colturale e dell’elevato assorbimento che avviene nella parte aerea delle piante. Ciò si traduce in una stabilizzazione e in un incremento delle rese e del tenore proteico delle cariossidi che risulta particolarmente importante per le varietà con caratteristiche molitorie di pregio.

Fosforo

• Svolge funzioni insostituibili poiché è

tra i costituenti delle lecitine e delle nucleoproteine che hanno un compito essenziale nella riproduzione delle cellule

Concimazione fosfatica Anche il fosforo svolge un ruolo rilevante su alcuni aspetti qualiquantitativi del frumento. Se è adeguatamente fruibile, rende le piante più resistenti alle malattie, influisce sulla precocità della coltura, incrementa il numero di spighe per unità di superficie e favorisce lo sviluppo e l’approfondimento dell’apparato radicale. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante nelle coltivazioni meridionali, poiché un apparato radicale più profondo utilizza al meglio le esigue disponibilità idriche, consentendo alle piante di cercare meglio l’acqua e di sfuggire o limitare i danni dovuti alla carenza idrica quali la “stretta”. La carenza del fosforo determina nelle piante un ritardo e un minore accrescimento e una stentata formazione di semi; le foglie, inoltre, a cominciare da quelle poste più in alto, possono assumere una pigmentazione antocianica. Il fosforo deve essere apportato al frumento tramite una razionale concimazione, anche perché risulta utile a ridurre gli effetti negativi dell’allettamento e dell’eventuale eccesso di azoto. La necessità di fosforo deve essere soddisfatta durante tutti gli stadi vegetativi, ma soprattutto durante la fase di accestimento e durante la levata; infatti, in quest’ultimo stadio vegetativo viene assorbita la quota maggiore, corrispondente al 70-75% del fabbisogno totale. Per la produzione di un quintale di granella e della relativa paglia, le piante di grano necessitano di una quantità di fosforo, espresso in anidride fosforica (P2O5), pari a 1,4-1,6 kg/ha. Un tipo di concime fosfatico molto usato dai cerealicoltori è il fosfato biammonico, perché questa formulazione consente di distribuire contemporaneamente anche l’azoto. Nei casi in cui non è neces-

• Sono necessari 1,4-1,6 kg/ha di fosforo per ogni quintale di granella

• È presente nel terreno in diverse forme, allo stato sia organico sia inorganico

• Nella forma organica si rinviene, oltre

che nella sostanza organica, anche nell’humus e in composti quali la fitina, gli acidi nucleici, i nucleotidi e le lecitine. Non essendo assimilabile tal quale dalle piante deve essere prima trasformato

• Il fosforo inorganico è presente nel terreno in forme prevalentemente insolubili, quindi difficilmente disponibili per le piante

• Il più importante concime fosfatico è

il perfosfato, vi sono poi il perfosfato concentrato e di ossa, il superfosfato triplo (triplape), i fosfati di ammonio, le scorie Thomas e i termofosfati

107


coltivazione saria l’applicazione di azoto al momento della semina (terreni abbastanza dotati), normalmente viene usato il perfosfato minerale, eccetto nei terreni acidi dove viene preferito l’impiego delle scorie Thomas. Anche se l’influenza della concimazione fosfatica è in generale meno marcata rispetto a quella azotata, tuttavia la dose di concime da distribuire alla coltura si differenzia grosso modo in funzione degli stessi fattori già indicati per la concimazione azotata. In particolare, nella determinazione della dose ottimale, i fattori climatici ricoprono una notevole importanza, seguiti dalle caratteristiche genetiche della varietà coltivata e dalla conoscenza del contenuto in fosforo del terreno. Pertanto, tenendo in considerazione anche le quantità di fosforo asportate dal grano per unità di produzione, la dose di fosforo espressa in P2O5, pari a 50-70 kg/ha, normalmente risulta essere adeguata anche per mantenere nel tempo una dotazione sufficiente dell’elemento nutritivo nel terreno. A differenza di quanto succede con l’azoto, un eventuale eccesso dell’elemento nel terreno non ha conseguenze sulle rese di prodotto. Come per i concimi azotati, anche la distribuzione di quelli fosfatici viene pianificata in modo tale da permettere una costante disponibilità del nutriente per il grano. A differenza dell’azoto, il fosforo viene dato esclusivamente prima o al momento della semina e mai in copertura. Quando i terreni risultano essere molto poveri, viene preferita la distribuzione a spaglio prima dell’aratura in modo da arricchire tutto lo strato interessato dal futuro apparato radicale. Nel caso di terreni dotati di fosforo il concime viene invece sparso e interrato durante i lavori di affinamento del terreno in preparazione alla semina, in modo che le radici delle giovani piantine possano usufruirne facilmente, o ancor meglio se localizzato vicino alle cariossidi, ricorrendo ad apposite seminatrici spandiconcime.

Foto R. Balestrazzi

Scorie Thomas

Perfosfato minerale

Foto R. Balestrazzi

Perfosfato triplo Spandiconcime

108


tecnica colturale

Concimazione potassica Il potassio aumenta la resistenza del frumento all’allettamento e ad alcune avversità. Tuttavia, le carenze nella pianta si manifestano con un’alterazione del colore delle foglie, che tendono a divenire rossastre all’apice e ai margini del lembo e ad essiccare in una zona più o meno estesa dell’apice fogliare, in funzione dell’entità della carenza. Come accennato in precedenza, i terreni italiani dispongono di un contenuto di potassio normalmente sufficiente a soddisfare le esigenze del frumento; tra l’altro, questo cereale non ha elevate esigenze in potassio, quindi non è generalmente necessario apportarlo, risultando utile l’impiego solo nel caso di appezzamenti particolarmente carenti. Come il fosforo, anche il potassio contribuisce a limitare l’allettamento delle piante. Per produrre un quintale di granella e la relativa paglia il grano asporta dal terreno una quantità di potassio, espressa in ossido (K2O), pari a 2,5-3 kg/ha. La maggior parte di potassio viene apportata durante la fase della levata, mentre il massimo asporto dalle piante viene raggiunto a 30-40 giorni dalla maturazione. Poiché i vari concimi potassici disponibili non si differenziano significativamente per l’azione che hanno sul frumento, la scelta del tipo da utilizzare non ricopre grande importanza. Comunque, i concimi potassici più utilizzati sono il cloruro e il solfato potassico; quest’ultimo è preferito nei comprensori cerealicoli aridi o caratterizzati da terreni salini per il suo minore indice di salinità. Nella determinazione delle dosi di potassio da distribuire alla coltura, è necessario tenere in considerazione alcuni fattori già visti per la concimazione azotata, tra i quali la determinazione del contenuto del nutriente nel terreno e la varietà scelta. Di conseguenza, in base anche ai quantitativi asportati dal terreno per unità di

Potassio

• Tra i ruoli più importanti all’interno

delle piante si ricordano: la regolazione del ricambio idrico, la partecipazione attiva al metabolismo degli zuccheri, la regolazione della sintesi proteica e l’azione sulla divisione cellulare

• Nel suolo si trova allo stato naturale

(nei silicati), organico e come elemento apportato tramite la concimazione organica e minerale

• I concimi più diffusi sono il cloruro e

il solfato potassico; quest’ultimo viene preferito per la presenza dello zolfo e per lo scarso contenuto di cloro che riduce l’assorbimento dell’azoto

• Sono necessari 2,5-3 kg/ha di potassio per ogni quintale di granella

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coltivazione granella e paglia prodotte, normalmente risulta essere adeguata una dose di concime di 100-150 kg/ha, espressa come K2O. Come per i concimi fosfatici, la distribuzione dei fertilizzanti potassici avviene sempre sul campo e a spaglio; la fase di spargimento corrisponde al momento dei lavori di affinamento del terreno, alla preparazione del letto di semina al fine di creare le condizioni adatte affinché le radici delle piantine possano giovarsene prontamente.

Obiettivo della concimazione

• L’obiettivo della concimazione è

quello di fornire alla coltura, per tutta la durata del suo ciclo, la piena disponibilità di azoto, fosforo e potassio, in modo particolare nei “momenti chiave” dello sviluppo, quando la richiesta del frumento è molto forte

Ripartizione dei fabbisogni di N, P, K 240 225

• L’esatto uso di questi elementi è, senza

K2O

200

dubbio, uno dei fattori agronomici a cui bisogna dedicare la più ampia attenzione

N

175

kg/ha

150 125 100 P2O5

75 50 25 2° nodo Inizio vegetazione

Epoche di intervento per la concimazione del frumento

Presemina: azoto, fosforo e potassio

Accestimento: azoto

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Fine accestimento

Fioritura

Spigatura

Levata-botticella: azoto

Maturità


tecnica colturale Semina Prima di procedere alla semina, il cerealicoltore deve provvedere alla scelta della varietà (o cultivar) di frumento più adatta alle proprie esigenze produttive; per godere del massimo delle garanzie è bene che la semente non sia ricavata da frumento prodotto in azienda, bensì commerciale e acquistato presso una ditta sementiera. Oltre a essere certificata, la semente deve presentarsi in ottimo stato fitosanitario, pertanto non deve essere contaminata da organi di propagazione di patogeni (funghi del genere Fusarium e Septoria, carie, carbone, ecc.). Generalmente, la semente viene trattata con prodotti fungicidi, cioè viene “conciata” allo scopo di difendere i germinelli e le piantine nelle prime fasi del loro sviluppo. Normalmente, le condizioni climatiche italiane sono tali da permettere la semina durante la stagione autunnale. In particolare, nel settentrione tale periodo inizia nella seconda decade di ottobre, nell’Italia centrale coincide con la prima decade di novembre, mentre in meridione e nelle isole comincia tra la seconda e la terza decade di novembre. Il completamento dovrebbe avvenire entro ottobre nel settentrione, entro fine novembre nell’Italia centrale e non più tardi della metà di dicembre negli ambienti meridionali e nelle isole. Solo nel caso di condizioni climatiche avverse, la semina viene fatta a fine inverno o all’inizio della pri-

Semente conciata

Foto R. Angelini

Densità ottimale di semina Semina

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coltivazione mavera (semine marzuole); le condizioni che portano a scegliere la semina primaverile possono essere un autunno molto siccitoso (spesso in meridione) in cui non si è potuto preparare il terreno, o un’eccessiva piovosità che (come può accadere nel centro-nord) ha provocato asfissia radicale e vanificato la semina effettuata in precedenza. Le varietà da utilizzare per la semina primaverile devono essere obbligatoriamente di tipo “alternativo”, cioè in grado di fiorire, quindi di produrre cariossidi, senza il bisogno di vegetare durante un periodo freddo, come è invece necessario per le varietà “non alternative”. L’epoca di semina viene scelta anche in funzione della precocità delle varietà: quelle tardive sono seminate prima di quelle precoci. Per potere calcolare la quantità di semente da impiegare per ettaro di terreno è necessario innanzitutto pianificare la densità di piante che si vuole ottenere in campo (numero di piante o meglio di spighe per metro quadro); in seguito è necessario calcolare la dose di seme in base al peso medio delle cariossidi, tenendo presenti tutti i fattori da cui dipende la germinabilità in campo. Pertanto, allo scopo di avere una buona densità di piante, viene preferita una quantità di semente maggiore rispetto a quella necessaria in condizioni ottimali, nel caso si verifichino condizioni sfavorevoli alla germinazione dei semi e all’emergenza delle piantine. Un terreno non opportunamente preparato (eccessiva zollosità), un insufficiente tenore di umidità del terreno, la presenza di insetti terricoli responsabili di diradamenti delle piante in fase di nascita o di emergenza e l’utilizzo di semi con bassa germinabilità rappresentano fattori sfavorevoli. Soltanto se il terreno è fertile e c’è una sufficiente disponibilità di acqua durante la coltivazione, si consiglia di optare per una densità di piante più elevata, maggiormente favorevole all’otte-

Foto R. Angelini

Sod seeding su stoppie Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Particolare di sod seeding

Semina diretta (sod seeding)

• La semina diretta è resa possibile con seminatrici specifiche munite di contemporanea presenza di fresa e seminatrice classica

• È possibile sui terreni senza

compattamenti creati dal passaggio delle attrezzature e in assenza di residui colturali che possono essere stati precedentemente raccolti o trinciati

Difformità di semina

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tecnica colturale nimento di alte rese. Il numero di piante per m2 non deve però essere eccessivo, in quanto la coltura avrebbe una produttività inferiore e sarebbe più soggetta sia a carenze idriche nella fase di maturazione sia all’allettamento, a causa dei culmi più soggetti a una minore resistenza meccanica. Negli areali caratterizzati da buone condizioni climatiche e pedologiche, una densità di semina di 400-500 cariossidi per m2 permette di avere un numero di piante tale da consentire l’ottenimento di una quantità di spighe variabile tra 600 e 700 per m2, indice di probabili produzioni elevate. In definitiva, la quantità di semente che generalmente viene impiegata in condizioni normali varia da 160 kg/ha nelle regioni meridionali a 180 kg/ha nell’Italia settentrionale; la dose di semente raggiunge i 230-250 kg/ha nel caso in cui la semina venga fatta in condizioni difficili di terreno e/o tardivamente. La semina viene comunemente eseguita a una profondità variabile tra 2 e 3 cm; se avviene troppo in profondità la fuoriuscita delle piantine dal terreno tende a procedere con difficoltà, mentre se è troppo superficiale, le cariossidi si possono trovare nelle condizioni di non germinare per scarsa umidità del terreno, e sarebbero maggiormente esposte a essere mangiate dagli uccelli. Attualmente la maggioranza dei cerealicoltori semina a file (o righe) con l’impiego di seminatrici, non più a spaglio come in passato. Le file possono essere semplici, distanti normalmente tra 15 e 18 cm, oppure binate, riunite in coppie (bine), con una distanza tra le due file della bina (12-15 cm) minore di quella tra le bine (25-30 cm). Nei terreni soffici o asciutti, dopo la semina viene effettuata una leggera rullatura allo scopo di far aderire meglio le cariossidi al terreno; in tal modo risultano favoriti l’assorbimento dell’acqua da parte del seme e la germinazione.

Semina Principali aspetti da considerare:

• epoca • densità • profondità • modalità di esecuzione • scelta e concia della semente

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coltivazione Irrigazione Come tutte le specie vegetali, anche il frumento richiede un adeguato apporto idrico per produrre bene. Una piovosità idonea e ben distribuita per tutto il ciclo colturale del frumento consente l’ottenimento di rese abbondanti e di qualità. Qualora si verifichino periodi di carenza idrica prolungata le piante ne possono risentire al punto tale da non essere in grado di arrivare alla spigatura e alla produzione di cariossidi. I periodi critici in cui la scarsità d’acqua è particolarmente dannosa sono due: germinazione ed emergenza; infatti, la scarsità idrica può determinare una densità di piante così bassa da non permettere una produzione soddisfacente, anche nel caso in cui la situazione dovesse migliorare nelle successive fasi di crescita. Tuttavia, anche durante la levata, l’inizio e la fine della spigatura-fioritura e la fase del riempimento della cariosside, situazioni di grave stress idrico, causano un decadimento sensibile della produttività della coltura, in termini di qualità e di quantità. In particolare, la granella ottenuta appare striminzita e produce meno farina, se è grano tenero, e meno semola, se è duro. Il frumento, essendo una coltura in grado di produrre normalmente nelle aree caratterizzate da un clima temperato, non viene in genere irrigato. Pertanto, solamente negli ambienti italiani aridi e sub-aridi e in generale in qualsiasi altro areale di coltivazione in cui si verifichi un’annata particolarmente siccitosa, la coltura può essere aiutata effettuando una o più irri-

Confronto tra cariossidi sane (sopra) e cariossidi striminzite a causa della “stretta” (sotto)

Irrigazione con Ranger

Foto R. Angelini

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tecnica colturale gazioni definite “di soccorso”. In ogni caso, quando si temono e/o si vogliono evitare danni da stress idrico, è molto utile eseguire la misura strumentale dell’umidità nel terreno: l’intervento irriguo si rende necessario quando l’acqua disponibile nel terreno (quella che le piante sono in grado di assorbire dal suolo) è al di sotto del 40-50%. Nelle zone poco piovose, la risposta della coltura all’irrigazione è quasi sempre molto buona, in termini di quantità e qualità della produzione. Raccolta Il periodo di raccolta del frumento varia in primo luogo in relazione alla latitudine e all’altitudine e dipende, inoltre, dall’andamento climatico, dalle caratteristiche pedologiche e dalla durata del ciclo biologico delle differenti varietà. Nell’emisfero boreale la raccolta del frumento in semina autunnale avviene nel periodo fine maggio-settembre, mentre in quello australe ha luogo nel periodo ottobre-gennaio. In Italia la trebbiatura inizia in genere a fine maggio nelle aree più calde dell’Italia meridionale e insulare, per poi proseguire nella seconda metà di giugno nell’Italia centrale e terminare a fine giugno-inizio luglio nelle regioni settentrionali. La raccolta ha inizio in corrispondenza della piena maturazione delle spighe, con cariossidi aventi un’umidità di circa il 13%, in modo che possa conservarsi senza necessità di ricorrere a una essiccazione del prodotto.

Raccolta della paglia in rotoballe

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il grano

coltivazione Parassiti animali Aldo Pollini

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Parassiti animali Introduzione

Infestazioni di insetti

• Le infestazioni di taluni insetti possono

Il frumento è colpito da diverse specie di insetti che possono attaccare la coltura in campo, la produzione stoccata in magazzino e i suoi derivati. Le infestazioni in campo di taluni insetti riescono a ridurre significativamente la resa produttiva; altre specie (per esempio le cimici), pur non causando apprezzabili perdite produttive, compromettono le caratteristiche qualitative del grano e, conseguentemente, delle farine, rendendole inadatte alla panificazione e alla pastificazione. Dopo la raccolta, durante il periodo di stoccaggio in magazzino, il grano è esposto agli attacchi di diversi insetti che, se non adeguatamente contenuti, causano perdite produttive e, inquinandolo con i loro resti, determinano scadimenti merceologici molto importanti.

ridurre significativamente la resa produttiva oppure compromettere la conservabilità e le caratteristiche qualitative della granella

• È stato stimato che le perdite causate

da insetti nei soli Paesi in via di sviluppo risultano pari a un importo in dollari necessario ad alimentare, con granaglie e legumi, ben 170.000.000 di persone

Tignola del culmo e della spiga (Ochsenheimeria bisontella) Si tratta di un lepidottero appartenente alla piccola famiglia Ochsenheimeriidae che si riscontra sempre più di frequente nelle coltivazioni di frumento dell’Emilia-Romagna, della Toscana e delle Marche. L’insetto si sviluppa anche su graminacee spontanee. La larva attacca la parte terminale della spiga e, penetrando all’interno delle spighette, divora le cariossidi neoformate. Successivamente scende fra la guaina fogliare e penetra nella parte distale del culmo, minando la parte midollare. In seguito all’attacco è distrutta la parte terminale della spiga e, per le erosioni compiute sulla porzione distale del culmo nascosta dalla guaina fogliare, l’intera spiga avvizzisce e dissecca.

Spighe danneggiate dalla tignola del culmo Larva di tignola

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parassiti animali Le notizie sul comportamento dell’insetto sono ancora note solo in parte. Lo svernamento avviene allo stato larvale sulle radici del frumento e, probabilmente, anche di altre graminacee spontanee. Nella fase di levata-spigatura la larva sale sulla parte aerea e penetra nelle spighette poste all’apice della spiga per poi penetrare, più tardi, nella parte terminale del culmo. Completato lo sviluppo, la larva matura scende nel terreno per compiere la metamorfosi e dare origine ad adulti alla fine di giugno o più tardi. Considerata l’epoca di sfarfallamento e quella di semina del frumento, si ritiene che le larve si sviluppino sulle piante avventizie di frumento, nate dai semi lasciati in campo durante la trebbiatura, e su graminacee spontanee. Le infestazioni sono favorite dal ristoppio del frumento in quanto le larve sopravvissute sulle piante avventizie riescono a trasferirsi agevolmente su quelle di frumento.

Tignola del culmo e della spiga

• Le larve danneggiano le cariossidi

neoformate nella parte terminale della spiga e minano la parte distale del culmo

• I danni sono maggiori nelle colture in ristoppio

• Questo insetto si sviluppa anche

su graminacee spontanee e compie una sola generazione all’anno

Mosche minatrici (Agromyza ambigua e A. mobilis) e mosca frit (Oscinella frit) Sono piccole specie di mosche comuni in tutta l’Europa e presenti anche nelle coltivazioni cerealicole italiane. Le larve di A. ambigua e A. mobilis scavano mine nella parte distale delle foglie; quelle della prima scavano mine individuali che poi confluiscono per formare un’ampia mina ampollosa che contiene fino a una dozzina di larve; le mine di A. mobilis sono invece occupate da 2 o al massimo 4 larve. Le larve di O. frit si insediano nella parte centrale della pianta causando il disseccamento della foglia centrale. Le piantine con 1-2 foglie muoiono; quelle con 3-4 foglie, perdendo l’asse centrale, reagiscono ed emettono culmi secondari, con conseguenti ritardi nello sviluppo delle piante e perdite di produzione; le piante con 5-6 foglie subiscono danni limitati in quanto interessano i germogli laterali. All’epoca della spigatura le Larva di mosca minatrice

Mosche minatrici

• Le mosche minatrici compiono una sola generazione all’anno e trascorrono un lungo periodo con pupari in diapausa estiva e invernale

• Le larve scavano mine che interessano la parte distale del lembo fogliare

• All’interno delle mine si sviluppano da un paio a una dozzina di larve

Pianta attaccata da mosca frit

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coltivazione larve penetrano nelle spighette per divorarne il fiore e la cariosside in formazione. Le due mosche minatrici compiono una sola generazione l’anno e svernano con pupari nel terreno. Gli adulti compaiono tra la fine di marzo e la metà di aprile e le femmine depongono le uova inserendole entro i tessuti della parte distale delle foglie. Le larve completano lo sviluppo nel volgere di una settimana per poi fuoriuscire dalle foglie minate e impuparsi nel terreno. La mosca frit compie più generazioni all’anno, con il primo volo di adulti in aprile-maggio e larve della prima generazione che danneggiano la foglia centrale. Le larve della seconda generazione si sviluppano danneggiando le spighette. In luglio-agosto si ha un terzo volo di adulti e le larve della terza generazione attaccano le piante avventizie di grano nate nelle stoppie o quelle di graminacee infestanti cresciute in mezzo ad altre colture. Con la lavorazione del terreno, le larve di O. frit presenti sulle piante avventizie di frumento e sulle graminacee infestanti rimangono nel terreno per poi attaccare le piantine di frumento.

Mosca frit

• La mosca frit compie più generazioni

con popolazioni larvali che si rendono dannose soprattutto sulle piantine nate da semine precoci

• Le larve causano il disseccamento

della foglia centrale per cui le piante con 1-2 foglie muoiono, mentre quelle con 3-4 foglie reagiscono formando culmi secondari

• Alla spigatura le larve penetrano nelle spighette per divorarne il fiore e la cariosside

Lema (Oulema melanopus) La lema è diffusa su un’ampia area geografica comprendente gran parte dell’Europa, la Siberia centro-meridionale, il Caucaso e l’Africa settentrionale. In Italia è comune in tutte le coltivazioni di cereali. L’insetto vive non solo sul frumento, ma anche sugli altri cereali, su graminacee spontanee e foraggere. Adulti e larve danneggiano le foglie, sulle quali compiono erosioni longitudinali rispettando l’epidermide superiore e le nervature. Danneggiate sono soprattutto le foglie poste nella parte terminale del culmo, per cui la loro attività fotosintetica è penalizzata con conseguenti ripercussioni negative sulla resa produttiva. L’insetto sverna con adulti riparati alla superficie del suolo e fuoriesce in

Lema

• Nelle coltivazioni del centro Europa le infestazioni possono portare a notevoli perdite produttive che possono arrivare al 50%

• L’insetto è comune in tutte le aree cerealicole italiane

• Vive su diverse specie coltivate come

frumento, orzo e avena, ma anche a carico di altre graminacee spontanee e foraggere

• Compie una sola generazione all’anno e sverna allo stato adulto

• Sulle foglie vengono compiute erosioni

longitudinali che rispettano le nervature e l’epidermide della pagina fogliare superiore Adulti di lema

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parassiti animali primavera per poi deporre le uova sulla pagina inferiore delle foglie, incollandole in modo isolato o a coppie lungo gli spazi compresi fra le nervature. Il periodo di ovodeposizione si prolunga per un mese e mezzo, fino alla fine di maggio e oltre. Le larve, ricoperte di muco ed escrementi verdastri, si nutrono sul lato inferiore delle foglie e a completo sviluppo abbandonano la parte aerea della pianta per interrarsi e compiere la metamorfosi. I nuovi adulti compaiono in piena estate e fino all’autunno si nutrono su piante avventizie di cereali, graminacee spontanee e foraggere, quindi si riparano per superare l’inverno.

Foto R. Angelini

Cimici (Aelia rostrata, Eurygaster maura) Le due principali specie di cimici che attaccano il frumento sono A. rostrata ed E. maura. La prima è diffusa in gran parte dell’Europa, tranne l’estremo nord, nell’Asia occidentale e nel Nordafrica. La seconda cimice è diffusa in tutta l’Europa meridionale, nel bacino del Mediterraneo e in Asia Minore. In Italia sono presenti ovunque, anche se le maggiori popolazioni sono state riscontrate in Sicilia e nelle regioni settentrionali. In queste ultime è predominante E. maura. Adulti e forme giovanili pungono culmo, foglie e spighe, ma è su queste ultime che causano danni. Le foglie sbiancano nella parte posta distalmente alle punture e si ripiegano a uncino; sul culmo compaiono strozzature e necrosi dei tessuti. Le punture compiute sul rachide delle spighe causano l’aborto delle spighette sovrastanti; quelle compiute sulle spighette raggiungono le cariossidi causandone lo striminzimento. La saliva iniettata nelle cariossidi durante la fase di maturazione cerosa riesce a demolire le sostanze proteiche, per cui diminuisce la percentuale proteica della granella. Con appena il 5% delle cariossidi punte dalle cimici si otten-

Foglie danneggiate da lema

Cimici

• Le cimici pungono tutte le porzioni aeree della pianta

• I danni possono essere qualitativi,

in quanto le cariossidi punte forniscono farine di pessima qualità, oppure quantitativi, a seguito dell’aborto dei fiori e della riduzione di peso delle cariossidi

Ovature di Eurygaster maura Forme adulte di Eurygaster maura

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coltivazione gono farine di pessima qualità, non idonee alla panificazione né alla produzione di paste alimentari. Entrambe le specie compiono una sola generazione all’anno e trascorrono la stagione avversa con adulti interrati o nascosti alla superficie del suolo, in mezzo alle foglie secche, alla base dei cespugli e in altri luoghi riparati. Essi fuoriescono all’inizio della primavera e raggiungono le coltivazioni di frumento, coprendo talora ragguardevoli distanze se favoriti dal vento. All’inizio di maggio avvengono gli accoppiamenti, seguiti dalla deposizione delle uova. Queste vengono deposte in gruppi sulla pagina inferiore delle foglie, a volte sulle spighe. Le ovature di E. maura comprendono 14 elementi di colore verde disposti su 2-3 file, mentre quelle di A. rostrata sono composte di 12 unità di colore testaceo. I nuovi adulti compaiono verso la metà di giugno e alla trebbiatura si rinvengono spesso in mezzo alla granella. Afidi (Schizaphis graminum, Sitobion avenae, Rhopalosiphum padi, Metopolophium dirhodum) S. graminum, S. avenae sono diffusi in tutti gli areali di coltivazione del frumento; R. padi, di origine paleartica, è pressoché cosmopolita, mentre M. dirhodum è a diffusione olartica. Nelle coltivazioni italiane predominano S. avenae e R. padi. Le perdite produttive causate dagli afidi possono rivelarsi ingenti potendo interessare il 7-30% della produzione. Per S. avenae sono comuni perdite del 7% circa con infestazioni di appena 9-10 afidi per spiga. Perdite ingenti, riguardanti talora quasi l’intera produzione, sono registrate in Africa e in America in seguito a forti infestazioni di S. graminum. Gli afidi sono inoltre dannosi come vettori di virus (nanismo giallo dell’orzo = Barley yellow dwarf virus). Importanti attacchi autunnali da parte di R. padi avvengono nei campi realizzati in successione al mais, sul quale l’afide è riuscito a svilupparsi nel corso della stagione vegetativa. Le infestazioni sono

Adulto di Aelia rostrata Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Spiga infestata da afidi

Afidi

• Gli afidi, comunemente noti come

“pidocchi”, possono causare elevate perdite produttive, fino al 30% della produzione

• Rhopalosiphum padi è temibile

soprattutto come vettore del virus del nanismo giallo dell’orzo (Barley yellow dwarf virus) Particolare di una colonia di afidi

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parassiti animali favorite dalla primavera fresca e umida e dalla presenza di graminacee spontanee nella coltivazione o nei fossi e nelle cavedagne, che funzionano in tal modo come fonti d’infestazione. Gli afidi infestano anche altri cereali (orzo, avena, segale) e graminacee spontanee (festuca, avena selvatica). Essi si riscontrano nelle coltivazioni fin dall’autunno. S. avenae e S. graminum svernano con uova, ma se non fa troppo freddo riescono a superare l’inverno con forme attere localizzate sulla parte aerea; R. padi sverna su Prunus padus con uova durevoli, per poi migrare in primavera sui cereali. Dove manca il suddetto ospite, questo afide sopravvive in inverno con forme attere in grado di sopportare temperature fino a –10 °C, mentre con temperature più basse si ripara in mezzo alle radici. M. dirhodum, assai meno comune delle altre specie, svolge la prima parte del ciclo su alcune specie di rosa, sulle quali sverna con uova resistenti ai rigori invernali, per poi migrare su cereali (frumento, orzo, avena) e graminacee spontanee (avena selvatica, bromo, loglio, festuca, falaride, erba mazzolina, poa ecc.). Le maggiori popolazioni afidiche si riscontrano durante la spigatura, quando soprattutto S. avenae invade preferibilmente le spighe.

Foto R. Angelini

Aspetto di una coltura infestata da afidi

Zabro gobbo

Zabro gobbo (Zabrus tenebrioides) Lo zabro è diffuso in gran parte dell’Europa ed è presente in tutte le aree cerealicole italiane, soprattutto nelle coltivazioni collinari delle regioni settentrionali. Le larve vivono nel terreno e, risalendo nella loro galleria che sfocia in superficie vicino ai culmi, afferrano le foglie e le tirano fino all’apertura della suddetta per poi divorarne il parenchima, lasciando intatte le sole nervature e formando, con i resti sfilacciati, un groviglio alla base dei culmi stessi. I danni più evidenti si notano in primavera, periodo durante il quale le larve della terza età sono particolarmente voraci. Gli adulti riescono ad arrampicarsi lungo il culmo e di notte raggiungono le spighe, nutrendosi delle

• L’insetto compare con saltuarie infestazioni, soprattutto nelle coltivazioni collinari

• Gli adulti, di colore nero con forma

convessa (da cui il nome zabro gobbo), attaccano le spighe divorando le cariossidi lattee

• Le larve divorano in parte le foglie più basse formando con i resti sfilacciati dei caratteristici grovigli alla base del culmo

Curiosità Nel vecchio libro Degli insetti in erba e in spiga si fa menzione di fortissime infestazioni avvenute intorno al 1830 in coltivazioni delle province settentrionali emiliane. In tale libro si apprende che gli adulti dell’insetto si accumulavano a migliaia nelle scoline e alla loro raccolta provvedeva uno stuolo di ragazzini compensati con un pasto giornaliero e una retribuzione in denaro corrispondente al numero d’insetti raccolto Adulto di zabro gobbo

Larva di zabro gobbo

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coltivazione cariossidi nello stadio di maturazione lattea. Ora le infestazioni sono assai meno frequenti, con popolazioni notevolmente più basse rispetto al passato. L’insetto compie una sola generazione all’anno con adulti che, in funzione delle condizioni ambientali, compaiono tra la fine di maggio e quella di giugno. Essi si nutrono delle cariossidi immature delle spighe del frumento e raggiunta la maturità depongono le uova nel terreno. Le larve, nate in autunno, vivono all’interno di gallerie che si approfondiscono fino a 5 cm nel terreno. Esse risalgono poi verso la superficie per afferrare le foglie e trascinarle all’imboccatura della galleria e nutrirsene; continuano l’attività anche in inverno per poi intensificarla durante la primavera, al raggiungimento della terza età di sviluppo. A maturità compiono la metamorfosi nel terreno per poi dare i nuovi adulti. Cecidomia equestre (Haplodiplosis marginata) Si tratta di un piccolo dittero cecidomide noto in Italia da oltre 70 anni e diffuso in gran parte dell’Europa, soprattutto in quella centro-occidentale. Più di recente, importanti attacchi furono riscontrati circa un trentennio fa in Emilia-Romagna; da allora l’insetto è comparso occasionalmente e con infestazioni di scarso interesse. L’insetto, noto anche come H. equestris, attacca il frumento e gli altri cereali (orzo, avena, segale). Le larve vivono, in gruppi, fra la guaina e il culmo. In seguito alla loro attività determinano, sulle porzioni del culmo in cui si sono insediate, la formazione di caratteristiche depressioni a “sella”. In seguito all’attacco, i danni maggiori si riscontrano nelle colture ristoppiate e ancor più in quelle ripetute per tre anni consecutivi. La cecidomia compie una sola generazione all’anno.

Matassina di foglie alla base di un cespo attaccato da zabro gobbo

Cecidomia equestre

• Vive prevalentemente a spese

del frumento e di una graminacea spontanea (Agropyrum repens), più raramente dell’orzo e della segale

• Le larve determinano lungo

gli internodi del culmo tipiche depressioni a “sella”

Curiosità La cecidomia ha originato nell’anteguerra infestazioni di notevole intensità, tanto che la parte di aia interna alla bica (volgarmente “barco”) diveniva rossa in seguito alla miriade di larve fuoriuscite dai covoni Larve di cecidomia equestre

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parassiti animali Gli adulti, lunghi appena 3-5 mm, compaiono nel periodo aprile-giugno e depongono gruppi di uova, comprendenti fino a una quarantina di elementi, alla base delle ultime foglie. Le larvettine neonate scivolano fra la guaina e il culmo e iniziano a nutrirsi, causando la reazione dei tessuti del culmo e la formazione di una depressione longitudinale nella quale è alloggiata la larva. Ciascun internodo può ospitare diverse decine di larve con conseguente formazione di altrettante “selle”. Raggiunta la maturità, le larve risalgono verso la base della foglia per abbandonare la pianta e lasciarsi cadere al suolo dove, a qualche centimetro di profondità, formano una celletta e trascorrono un lungo periodo in diapausa, attendendo la primavera per impuparsi. È tuttavia frequente un prolungamento della diapausa per cui le larve attendono più di due anni prima di compiere la metamorfosi. Tentredine fogliare (Dolerus gonager) Si tratta di un imenottero tentredinide che si riscontra occasionalmente nelle coltivazioni. Le larve vivono aggrappate lungo il bordo delle foglie terminali, sul quale compiono erosioni; vivono isolate e sono presenti nelle coltivazioni con basse popolazioni. I danni arrecati rivestono scarso interesse economico in quanto non incidono sulla produttività delle piante. Gli adulti, quasi interamente neri e lunghi 10-15 mm, compaiono in aprile-maggio. Le femmine depongono le uova in modo isolato, inserendole entro i tessuti fogliari. Le larve, lunghe fino a 2 cm, si sviluppano divorando il lembo fogliare. Raggiunta la maturità in giugno, si interrano fino a una trentina di centimetri di profondità, chiudendosi all’interno di una celletta terrosa, e trascorrono un lungo periodo in diapausa per poi compiere la metamorfosi all’inizio della primavera.

Culmo con depressioni a sella prodotte dalle larve di cecidomia equestre

Tentredine fogliare

• La tentredine si riscontra

occasionalmente nelle coltivazioni, nelle quali è presente con un ridotto numero di larve viventi isolate

• Le larve compiono caratteristiche

erosioni sul margine delle foglie apicali della pianta

• I danni tuttavia non incidono

significativamente sulla produttività della coltura

• L’insetto compie una sola generazione all’anno

Larva di tentredine

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coltivazione Gli insetti del grano immagazzinato Diversi insetti sono specializzati nel danneggiare la granella immagazzinata. Sulle cariossidi già attaccate dai suddetti e su quelle spezzate per cause meccaniche si insediano poi insetti detriticoli. In seguito all’infestazione, la massa del cereale si inumidisce e si riscalda, favorendo lo sviluppo di muffe produttrici di micotossine. Diverse specie continuano a svilupparsi dopo la macinazione del grano su farine, semole e prodotti trasformati (paste e biscotti). I resti degli insetti finiscono poi per inquinare le farine e i relativi derivati (pane, paste e biscotti). Fra i principali insetti che infestano le derrate immagazzinate si segnalano: tra i coleotteri, Sitophilus granarius e S. oryzae (calandre), Rhyzopertha dominica (cappuccino), Tenebroides mauritanicus (struggigrano) e Trogoderma granarium (trogoderma dei cereali); tra i lepidotteri, Sitotroga cerealella (vera tignola del grano), Nemapogon (= Tinea) granella (falsa tignola del grano), Plodia interpunctella (tignola fasciata).

Infestazioni in magazzino

• Il grano stoccato in magazzino subisce gli attacchi da parte di numerose specie di insetti, alcune delle quali danneggiano i prodotti derivati

• Alcuni insetti iniziano la loro attività

già in campo (es. tignola vera del grano) proseguendola poi sul grano in magazzino; altre specie vivono all’interno dei locali di conservazione per poi attaccare il cereale immagazzinato

• Il cereale immagazzinato subisce

Calandre (Sitophilus granarius e S. oryzae) sono dei curculionidi distinguibili per le loro dimensioni (3-5 mm per S. granarius, 2-3 per S. oryzae) e per la punteggiatura del pronoto (punti rotondi infossati e fitti in S. oryzae, ellittici e radi in S. granarius). Gli adulti vivono a lungo (fino a 12-14 mesi per S. granarius) e depongono le uova dentro fori compiuti con il rostro nelle cariossidi. La larva si sviluppa divorando la parte interna delle suddette, entro le quali compie la metamorfosi per formare il nuovo adulto che poi fuoriesce aprendosi un foro. Nei nostri ambienti compiono diverse generazioni all’anno (2-3 per S. granarius, 3-4 per S. oryzae) con accavallamento dei diversi stadi di sviluppo. La temperatura ottimale per lo sviluppo è intorno ai 30 °C per S. granarius e ai 28 °C per S. oryzae. Sotto i 12-15 °C e oltre i 31 °C per S. granarius e i 34 °C per S. oryzae la riproduzione non avviene.

perdite di peso e in seguito all’aumento del grado di umidità e al riscaldamento della massa si sviluppano muffe produttrici di micotossine

• I resti degli insetti inquinano farine

e semole e finiscono talora nei prodotti trasformati (pane, paste, biscotti)

Foto R. Balestrazzi

Adulto di calandra

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parassiti animali Cappuccino (Rhyzopertha dominica) è un bostrichide originario dell’Asia tropicale, che attaccava preferibilmente i legnami e che è divenuto poi l’insetto più distruttivo dei cereali da granella. Le femmine ovidepongono sia all’interno che all’esterno delle cariossidi, mentre lo sviluppo post-embrionale viene completato all’interno di queste. La cariosside viene totalmente svuotata. In un anno compie 4-5 generazioni, che trovano condizioni favorevoli di sviluppo intorno a 34 °C. Struggigrano (Tenebroides mauritanicus), appartenente alla famiglia Ostomatidae, è un coleottero di origine africana divenuto cosmopolita. Gli adulti si nutrono abitualmente di altri insetti delle derrate e più raramente compiono qualche rosicatura sul cereale, nel qual caso la fecondità delle femmine subisce una notevole diminuzione. Gli adulti vivono a lungo, talora anche un paio d’anni, durante i quali la femmina riesce a deporre fino a un migliaio d’uova. Le larve, nonostante riescano ad attaccare anche cariossidi integre, prediligono quelle già spezzate o danneggiate da altri insetti.

Adulto di cappuccino

Trogoderma dei cereali (Trogoderma granarium) è un coleottero dermestide le cui larve hanno il corpo interamente ricoperto di setole. Le larve sono le maggiori responsabili dei danni in quanto gli adulti si alimentano di detriti vari o comunque di cariossidi già attaccate dalle prime. Quelle appena nate si alimentano sulle cariossidi già interessate da lesioni, mentre nelle età successive compiono profonde erosioni su quelle integre. Il ciclo dell’insetto è fortemente influenzato dalle condizioni ambientali. Con temperature ottimali intorno ai 33 °C sono richiesti 30-40 giorni, ma in ambienti freddi il ciclo si allunga notevolmente, fino a 10 mesi. Vera tignola del grano (Sitotroga cerealella) è un lepidottero gelechide i cui adulti compaiono in maggio e depongono le uova sulle spighe. La larva neonata penetra nelle cariossidi dal solco o dall’apice piumato e divora dapprima l’embrione, per poi attaccare la massa amidacea, lasciando integro il solo tegumento esterno della cariosside. A maturità fuoriesce aprendosi un netto foro circolare per poi incrisalidarsi entro un rado bozzolo sericeo. Sul grano immagazzinato si svolgono altre generazioni, la cui durata è influenzata dall’età della granella (su grano vecchio si allunga sensibilmente, fino a un anno), dalla temperatura (quella ottimale è intorno ai 25-28 °C) e dall’umidità del cereale (il 10% è il limite di sviluppo). In seguito all’attacco il grano subisce forti perdite di peso e un notevole scadimento qualitativo. Nella massa infestata trova poi favorevoli condizioni di sviluppo l’acaro Pediculoides ventricosus, predatore delle larve del lepidottero, in grado di causare fastidiose dermatiti al personale addetto alla movimentazione del cereale.

Adulto di struggigrano

Larve di trogoderma dei cereali

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coltivazione Falsa tignola del grano (Nemapogon = Tinea granella) è un lepidottero tineide che attacca non solo i cereali, ma anche i prodotti trasformati e una svariata gamma di substrati di origine vegetale e animale (pannelli d’estrazione, legumi, frutta secca, funghi essiccati, farine di latte, croste di formaggi, ecc.). Sul grano immagazzinato le larve si nutrono della parte esterna della cariosside, divorandone il germe e la massa amidacea. Le cariossidi vengono legate da fili sericei, tanto che la superficie della massa infestata assume un aspetto biancastro e spugnoso. Compie 1-4 generazioni all’anno, in funzione delle condizioni ambientali e del substrato, con cicli che nelle condizioni più favorevoli richiedono almeno una quarantina di giorni e che si allungano notevolmente in quelle sfavorevoli. Tignola fasciata (Plodia interpunctella) è un lepidottero che si sviluppa su svariate derrate, caratterizzato da adulti con le metà prossimali delle ali color rame lucente. Le larve compiono erosioni sulla parte esterna dei semi, legandone alcuni con fili sericei per formare nicchie in cui si annidano. L’attacco si svolge alla superficie della massa del cereale, sulla quale le larve formano una notevole quantità di fili sericei. L’insetto compie più generazioni all’anno (2-4), con cicli di circa un mese con temperature ottimali comprese tra 18 e 34 °C.

Adulto di falsa tignola del grano

Difesa dai parassiti animali Per il contenimento in campo delle infestazioni di diversi insetti e per limitare efficacemente i relativi danni, vengono normalmente attuati interventi di carattere agronomico quali: rotazione della coltura, lavorazione del terreno, semine anticipate o ritardate e soppressione delle infestanti attraverso la pratica del diserbo. Per esempio attraverso le concimazioni possono essere contenute le infestazioni, seppur ormai sporadiche, della cecidomia del culmo e della tignola del culmo e della spiga. Con la lavorazione del terreno e il diserbo è possibile eliminare graminacee spontanee possibili ospiti di alcuni insetti (per es. Oscinella frit, Oulema me-

Difesa insetticida in campo

• Gli interventi agronomici assumono

una particolare importanza per il contenimento delle infestazioni di alcune specie di insetti

• Durante la fase di coltivazione possono essere necessari interventi insetticidi per limitare i danni causati dagli attacchi di alcuni insetti (per esempio afidi e cimici)

• Eventuali interventi insetticidi devono essere eseguiti con preparati poco tossici, a basso impatto ambientale e privi di rischi di residualità sulla produzione

Adulto di tignola fasciata

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parassiti animali lanopus, ecc.). La semina anticipata favorisce gli attacchi del virus del nanismo giallo dell’orzo trasmesso dagli afidi, mentre con la semina ritardata l’emergenza delle piantine avviene quando sono terminati i rischi di attacco da parte delle larve di O. frit. I trattamenti insetticidi sono realizzati occasionalmente in spigatura per contenere gli attacchi degli afidi e, soprattutto, delle cimici, le cui infestazioni sono sempre più diffuse in numerose coltivazioni. Per questi interventi si ricorre di norma all’impiego di preparati (per esempio piretroidi) che subiscono una rapida degradazione e non lasciano residui alla trebbiatura. La protezione del cereale in magazzino dagli attacchi degli insetti è necessaria dato il lungo periodo di conservazione della granella. I silos e i magazzini per la conservazione devono essere innanzitutto correttamente puliti, onde evitare che insetti già presenti finiscano per infestare il grano, e dotati di adeguate protezioni atte a impedire l’entrata di insetti dall’esterno. È inoltre indispensabile che il cereale immagazzinato sia assolutamente sano. L’eventuale disinfestazione dei cereali può essere eseguita nebulizzando la granella all’atto dell’immagazzinamento con specifici preparati (grain protectans). In alternativa si può intervenire, alla fine delle operazioni d’immagazzinamento, distribuendo compresse che liberano nell’ambiente, adeguatamente sigillato, sostanze fumiganti (per esempio fosfina gassosa). In entrambi i casi, con l’apertura dei locali in cui è avvenuta la disinfestazione e la successiva movimentazione dei cereali trattati, i residui dei prodotti impiegati non destano preoccupazioni da un punto di vista tossicologico. Tecniche nuove per la conservazione, peraltro con costi decisamente più elevati in quanto presuppongono la disponibilità di locali di stoccaggio con adeguate caratteristiche, sono rappresentate da: refrigerazione, conservazione con azoto, conservazione con anidride carbonica.

Protezione in magazzino

• Il raccolto immagazzinato va

necessariamente protetto dagli attacchi degli “insetti delle derrate”, in grado di causare elevate perdite di peso di granella nonché uno scadimento qualitativo e igienico-sanitario del cereale e dei suoi derivati

• I locali di conservazione devono essere adeguati e accuratamente disinfestati prima di introdurre cereali sani

• Se necessario può essere prevista

la disinfestazione del frumento immagazzinato con specifici preparati chimici

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il grano

coltivazione Malattie Vittorio Rossi

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Malattie Introduzione La coltura del grano è interessata dall’attacco di numerosi microrganismi responsabili di varie malattie, note fin dai tempi antichi e verosimilmente iniziate con la domesticazione dei grani selvatici. Violente carestie innescate dalle malattie del frumento hanno poi percorso la storia, determinando anche migrazioni di popoli e sconvolgimenti sociali. È proprio in occasione di uno di questi eventi che, nella seconda metà del XVIII secolo, le malattie delle piante iniziarono a essere indagate con un approccio scientifico. Fino ad allora, infatti, aveva prevalso la credenza che esse fossero frutto di un castigo divino, pur essendo noto fin dai tempi di Teofrasto (IV secolo a.C.) che la collera divina, per prodursi, aveva bisogno di porzioni di terreno, di calore, di umidità e, soprattutto, di nebbia. I principali parassiti del grano sono funghi microscopici, mentre i batteri rivestono un ruolo secondario. Si tratta di organismi che, non essendo capaci di sintetizzare le sostanze nutritive necessarie per la propria crescita e riproduzione, le sottraggono alla pianta ospite. Anche i virus possono infettare il grano, penetrando nelle sue cellule e moltiplicandosi in gran numero. Per raggiungere i loro scopi questi parassiti provocano alterazioni di rilievo nella pianta, che divengono visibili sotto forma di sintomi di malattia. In alcuni casi, questi sono così specifici che permettono una identificazione immediata del parassita che li ha causati; in altri casi, è necessario ricorrere ad analisi di laboratorio per effettuare una diagnosi corretta. Le alterazioni indotte dall’aggressione parassitaria, inoltre, determinano perdite di produzione: le piante possono crescere stentatamente, produrre meno cariossidi, e in alcuni casi possono anche morire. I parassiti inoltre possono interferire con gli aspetti qualitativi del prodotto, modificando per esempio la composizione organolettica, oppure alterando il colore. Microrganismi fungini che colpiscono la spiga possono infine produrre micotossine altamente temibili; queste contaminano la granella e i suoi derivati e sono tossiche per l’uomo e gli animali in allevamento. Per lo sviluppo di malattie infettive è necessario che si verifichino condizioni particolari: innanzitutto gli agenti patogeni devono essere presenti in popolazioni molto numerose, inoltre la pianta deve essere recettiva e le condizioni ambientali favorevoli. In un ecosistema naturale queste condizioni si verificano saltuariamente, perché le piante sono rustiche e dotate di strumenti naturali di resistenza, e hanno normalmente bassi livelli di aggregazione spaziale. In questa situazione, si crea un equilibrio fra la pianta e

Malattie nella storia

• Le avversità del grano hanno avuto

ruoli da protagoniste nella storia dell’uomo: nell’antichità esse erano molto temute perché causa di carestie e venivano considerate castighi divini

• Solamente nella seconda metà del XVIII secolo le malattie delle piante iniziano a essere indagate con un approccio scientifico

Danni da malattie

• I maggiori danni alla coltivazione sono causati da funghi microscopici che aggrediscono la pianta per nutrirsi e riprodursi

• Lo sviluppo di malattie è favorito

dalla presenza di popolazioni numerose di patogeni, da un’elevata recettività della pianta e dalla presenza di favorevoli condizioni ambientali

• Passando da un ecosistema naturale

a un agrosistema, le condizioni diventano più favorevoli per lo sviluppo dei parassiti

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malattie il parassita che permette la sopravvivenza di entrambi. La specializzazione e l’intensificazione colturale dei moderni agrosistemi hanno determinato la rottura di questo equilibrio. Vaste aree geografiche sono densamente coltivate con un’unica specie vegetale e, spesso, con una o poche varietà, peraltro fortemente ingentilite da una selezione finalizzata a ridurre la rusticità e accrescere la resa produttiva. Queste piante, inoltre, vengono coltivate in modo intensivo, così che le condizioni ambientali diventano più favorevoli allo sviluppo dei parassiti: elevate densità di semina, concimazioni spinte e irrigazione aumentano la fittezza della coltura e ostacolano la circolazione dell’aria, aumentando in tal modo l’umidità e la temperatura.

PATOGENO

OSPITE

AMBIENTE

INTENSITÀ DELLA

MALATTIA

Mal bianco (Blumeria graminis) Questa malattia deve il suo nome al fatto che tutte le parti verdi della pianta di grano vanno ricoprendosi di una muffa biancastra, generalmente in forma di colonie tondeggianti isolate che col tempo appaiono punteggiate da corpiccioli sferici nerastri grandi come una capocchia di spillo. La malattia può colpire le piantine già in autunno, ma più spesso compare alla fine dell’inverno e progredisce con l’avanzare della stagione; essa colpisce dapprima le foglie basali, quindi quelle superiori e, man mano che vengono emesse dalle guaine, le spighe. L’attacco parassitario sottrae alla pianta le sostanze elaborate e la presenza della muffa riduce le capacità fotosintetiche dei tessuti verdi, causandone un precoce ingiallimento e disseccamento. Tutto ciò si traduce in una diminuzione della produzione di granella e in uno scadimento della sua qualità. La progressione del mal bianco è dovuta al ripetersi, nel corso della stagione, degli eventi infettivi sostenuti da un fungillo le cui caratteristiche ben si prestano a esemplificare la strategia di vita di vari funghi parassiti delle piante. Il ciclo comincia quando una spora giunge sulla superficie di un organo vegetale recettivo, per esempio una foglia. Qui la spora germina emettendo un piccolo tubetto germinativo che inizia ad allungarsi e a ramificarsi, formando un fitto intreccio di organi microscopici filiformi, chiamati ife. In vari punti, queste ife formano vescicole con una specie di stiletto che perfora la superficie della foglia, entra nelle cellule dell’epidermide e si rigonfia fino a formare un organo speciale, detto austorio. Questo ha la funzione di sottrarre alle cellule le sostanze nutritive che vanno così ad alimentare le ife, che a loro volta si accrescono in superficie fino a diventare visibili anche a occhio nudo sotto forma di muffa biancastra. Le ife formano anche altre strutture, ovvero piccoli piedistalli su cui si originano, in lunghe catenelle, nuove spore dette conidi. Si tratta di spore vegetative, tutte con gli stessi caratteri genetici che, prodotte a milioni, si diffondono nell’aria e causano nuove infezioni. Questo

DANNI ALLA PRODUZIONE Interazione tra i principali fattori che influenzano l’intensità di una malattia

Infezioni di oidio

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coltivazione ciclo si ripete fino a stagione avanzata, quando le ife formano gli organi sessuali maschili e femminili, la cui unione porta alla formazione di spore sessuate, dette ascospore, che hanno caratteri genetici ricombinati. Ciò avviene entro il corpicciolo nerastro citato in precedenza, il cui nome scientifico è cleistotecio, dal greco “nozze chiuse”. I cleistoteci sono resistenti alle condizioni avverse e hanno la funzione di conservare il fungo in assenza del grano. Il fungo descritto ha due nomi botanici: Oidium monilioides nella forma vegetativa e Blumeria (sinonimo Erysiphe) graminis in quella sessuata. La prima forma diffonde il fungo nell’ambiente durante i periodi favorevoli; la seconda conserva la specie nei periodi avversi e assicura la variabilità genetica necessaria al continuo processo di adattamento all’ambiente e alla pianta ospite. Foto I. Ponti

Sporificazione di mal bianco vista a forte ingrandimento

Mal bianco

• Il mal bianco, noto anche come oidio, è un esempio interessante delle strategie di vita di molti funghi parassiti delle piante

Attacco di oidio su spiga

• Questa malattia è causata da un fungo microscopico che ricopre di una fitta muffa bianca tutte le parti verdi della pianta

Cleistoteci di B. graminis immersi nel feltro miceliare

Ruggini (Puccinia striiformis, P. recondita, P. graminis) Già ai tempi dei Romani erano ben noti gli effetti devastanti della ruggine sui cereali: Virgilio, nel primo libro delle Georgiche scrive: mox et frumentis labor additus, ut mala culmos esset robigo segnisque horreret in aruis carduus (ben presto anche ai campi di frumento si aggiunse la malattia, tanto che la dannosa “ruggine” si mangiava le spighe e il cardo improduttivo pungeva nei campi). Questa malattia era così temuta che fin dal 700 a.C., sotto Numa Pompilio, si venerava Robigo, la divinità che proteggeva il grano dalla ruggine, e a lei si dedicava una festa, la Robigalia, che si celebrava il 7° giorno delle Calende di Maggio (25 aprile) - perché è circa in quel periodo che la ruggine può attaccare le piante - in un bosco sacro al quarto miglio della via Claudia. I partecipanti al rito, vestiti di bianco e in corteo, e il sacerdote del dio Quirino (il flamen Quirinalis) chiedevano che la

• La malattia compare generalmente alla fine dell’inverno e progredisce con l’avanzare della stagione

• La presenza precoce di oidio causa

un rallentamento vegetativo dovuto alla riduzione dell’attività fotosintetica

• Tra levata e spigatura si hanno i danni

maggiori, a causa di un peggioramento qualitativo e quantitativo nella produzione di granella

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malattie divinità risparmiasse le messi, offrivano incenso e vino e infine sacrificavano una pecora e un cane. Queste feste sono poi passate nella tradizione cristiana con il nome di Rogazioni, aventi appunto lo scopo, nella primavera avanzata, di innalzare preghiere perché le messi venissero risparmiate e si evitassero così le carestie. Nella Bibbia infatti le carestie venivano interpretate come un castigo di Dio, il quale aveva ammonito che, se l’uomo non l’avesse ascoltato, avrebbe patito la distruzione dei raccolti e dei frutti della sua terra. Nel secondo capitolo del libro di Aggeo la promessa di prosperità agricola recita così: “Ora, pensate, da oggi e per l’avvenire: prima che si cominciasse a porre pietra sopra pietra nel tempio del Signore, come andavano le vostre cose? Si andava a un mucchio da cui si attendevano venti misure di grano e ce n’erano dieci; si andava a un tino da cinquanta barili e ce n’erano venti. Io vi ho colpiti con la ruggine, con il carbonchio e con la grandine in tutti i lavori delle vostre mani, ma voi non siete ritornati a me – Parola del Signore”. Il primo tentativo di dare una spiegazione scientifica alla ruggine fu di Galileo Galilei, il quale attribuì le pustole causate da questa malattia a bruciature provocate dai raggi solari concentrati da gocce di rugiada. Fra il 1764 e il 1767, il delicato equilibrio sul quale si fondava il sistema agricolo del Granducato di Toscana fu sconvolto da una prolungata e gravissima carestia causata da una serie di eventi meteorici che favorirono l’insorgenza della ruggine del grano. In particolare, nel 1766, la ruggine distrusse tre quarti della produzione del cereale, i generi alimentari di prima necessità scarseggiarono e raggiunsero prezzi elevatissimi, con gravi ripercussioni sull’economia del Granducato e sulla condizione generale del Paese, che fu pervaso da gravi epidemie. Nel 1767, venne pubblicato a Firenze, l’Alimurgia o sia il modo per rendere meno gravi le carestie proposto per il sollievo dei poveri, di Giovanni Targioni Tozzetti (1712-1783), studioso di primo piano nella Toscana del tempo. Nello stesso anno apparvero a Lucca le Osservazioni sopra la ruggine del grano, opera di Felice Fontana (1730-1805). Questo studioso scoprì che la ruggine era costituita da “una selvetta di piantine parassite, che si nutriscono a spese del grano” e ne fornì un’accurata ed estesa descrizione morfologica. Le due opere innescarono un’aspra polemica sul metodo scientifico, nonostante pervenissero alla medesima conclusione relativamente alla natura della polvere che infestava il grano. La polemica verteva proprio sull’indirizzo di filosofia sperimentale: da un lato il ponderoso volume colmo di citazioni ed erudizione storica del Targioni Tozzetti, redatto secondo lo stile che dominava ancora tra gli studiosi fiorentini, dall’altro l’indagine essenziale e pertanto più immediatamente utile del Fontana. Nonostante le osservazioni fornite da questi due studiosi mettessero in evidenza che la ruggine del grano rappresentava

Pustole di ruggine bruna, nera e gialla

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coltivazione un’entità parassitaria distinta, la teoria della generazione spontanea prevalse a lungo e i funghi trovati in associazione con i tessuti vegetali ammalati furono ritenuti anormali strutture della pianta. La prima prova sperimentale di parassitismo risale al lavoro di Prévost (1807) su un’altra malattia del grano: la carie. Egli studiò la germinazione delle spore del fungo, applicando le spore stesse alle cariossidi prima della semina, e riuscì a seguire lo sviluppo e la diffusione del fungo nella pianta sino alla fruttificazione, contenente le stesse spore di partenza inoculate sulla cariosside. Le forme di ruggine che interessano il grano sono tre e vengono distinte sulla base della diversa colorazione e disposizione delle pustole; diversi sono anche l’epoca di comparsa e il grado di pericolosità. La ruggine gialla è la più precoce. È chiamata anche ruggine striata per la particolare disposizione delle pustole, che sono piccole, allungate, di colore giallo-aranciato, raggruppate in modo regolare in strisce longitudinali ininterrotte. Essa interessa prevalentemente le foglie e, in misura minore, le spighe. La ruggine bruna forma sulle foglie pustole di colore bruno-rossiccio, rotondeggianti, di circa 1-2 mm di ampiezza e distribuite in modo irregolare sul lembo. La ruggine nera, detta anche ruggine lineare e ruggine dello stelo, è la più pericolosa e compare tardivamente, quando le piante si avviano a maturazione; interessa principalmente le guaine fogliari e il culmo, dove forma pustole allungate, di circa 2-3 cm, disposte in file parallele alle nervature. In caso di gravi attacchi, la capacità della pianta di effettuare la fotosintesi diminuisce, mentre aumenta in modo rilevante il consumo di acqua, che evapora attraverso le lacerazioni dell’epidermide, così da disseccare la pianta prematuramente; ciò porta a riduzioni drastiche della produzione di granella. I funghi che causano la ruggine appartengono al genere Puccinia, con le specie P. striiformis (ruggine gialla), P. recondita (ruggine bruna) e P. graminis (ruggine nera). Si tratta di funghi molto specializzati, dotati di una notevole complessità biologica e di molteplici tipi di spore, ciascuna delle quali assolve a specifici compiti per il completamento del ciclo vitale. Le teleutospore conservano il fungo fra l’estate e la successiva primavera, le basidiospore infettano un ospite intermedio, che per P. graminis è il Berberis vulgaris o crespino, gli spermazi assicurano la ricombinazione genetica dei caratteri, le ecidiospore portano l’infezione dal crespino al grano, mentre le uredospore che si formano nelle pustole ripetono i cicli infettivi su questa pianta ospite.

Ruggini

• Il nome volgare della ruggine deriva

dal fatto che su foglie, culmi e spighe di grano compaiono piccole pustole colorate di aspetto polverulento, costituite da spore che, formatesi in massa sotto l’epidermide, esercitano una pressione che porta a lacerare l’epidermide stessa

Foto R. Angelini

Attacco di ruggine gialla

Malattie del piede (Microdochium nivale, Bipolaris sorokiniana, Fusarium spp.) Con il termine “mal del piede” si definisce una sindrome complessa, causata da varie specie di funghi che, insieme o in successio-

Sintomi di ruggine bruna

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malattie ne, infettano le radici e la parte basale del culmo di grano. Alcuni di questi funghi causano imbrunimenti diffusi nei nodi e negli internodi fin dalle prime fasi di crescita delle piante. Tra le specie fungine responsabili si possono citare, in ordine d’importanza, M. nivale, B. sorokiniana (sinonimo di Helmintosporium sativum), F. culmorum, F. graminearum e altre specie di Fusarium. Altri funghi, meno frequenti, causano sintomi più specifici. Le piante attaccate precocemente possono morire o avere sviluppo stentato e accestimento ridotto; con infezioni più tardive le piante arrivano a produrre le spighe, ma queste possono seccare precocemente nel corso della maturazione assumendo il tipico aspetto di “spighe bianche”. Il mal del piede è malattia tipica dei ristoppi, ossia delle colture di grano che seguono il grano o un altro cereale, e dei terreni pesanti o mal lavorati. Questi funghi infatti si diffondono e si conservano prevalentemente nel suolo, e sono in genere favoriti dal persistere di condizioni che debilitano le piante.

Foto R. Angelini

Attacco di ruggine nera

Seccume fogliare (Septoria tritici, Stagonospora nodorum) Con il termine di seccume fogliare si individua una sindrome che colpisce abbastanza comunemente il grano, ma che causa gravi perdite di produzione solo saltuariamente, quando l’apparato fogliare risulta gravemente compromesso. Si manifesta con la comparsa di aree di tessuto secco, di colore dal grigio al bruno, sul culmo, sulle foglie o sulle glume, spesso contornate da un alone giallastro. Con il tempo queste aree crescono in numero e dimensione fino a confluire in ampie zone di secco; con clima umido e piovoso esse si possono ricoprire di una fitta punteggiatura nera, costi-

Malattie del piede

• La sindrome del mal del piede è

causata da varie specie di funghi che, insieme o in successione, infettano le radici e la parte basale del culmo

• È una patologia tipica delle colture in ristoppio e dei terreni pesanti e mal gestiti

Foto I. Ponti

Imbrunimenti causati da B. sorokiniana Attacco di mal del piede su giovani piante

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coltivazione tuita da corpiccioli nerastri immersi nel tessuto della foglia (il cui nome scientifico è picnidi), dove si accrescono moltissime spore che vengono poi espulse entro una mucillagine di colore beige o rosato. Fra i funghi responsabili di questa sindrome si possono citare Septoria tritici e Stagonospora (sinonimo Septoria) nodorum; la prima predilige le foglie e la seconda anche le glume del frumento. Oltre a questi seccumi, le foglie del grano possono presentare maculature di colore variabile dal grigio al bruno-nocciola al nerastro, spesso precedute o contornate da aloni giallastri. Questi sintomi, di minore importanza, sono causati da fungilli quali Alternaria triticina, Pyrenophora (sinonimo Helminthosporium) triticirepentis, Rynchosporium secalis, Bipolaris sorokiniana (sinonimo Helminthosporium sativum) e altre specie di Helminthosporium, Ascochyta graminicola, Phaeoseptoria vermiformis. In molti casi i sintomi sono così atipici da richiedere specifiche analisi di laboratorio per poter effettuare una diagnosi corretta.

Seccume fogliare

• Gli agenti responsabili del seccume

fogliare appartengono prevalentemente alle specie del genere Septoria

• Il seccume fogliare può compromettere in modo serio l’apparato fogliare della pianta; in questi casi determina perdite rilevanti di prodotto

• Anche altri sintomi, causati da specie di funghi diverse, quali maculature di varia forma e colore, possono compromettere l’apparato fogliare del grano

Carbone (Ustilago tritici) Con il nome di carbone si definisce un gruppo di malattie del grano, e di altri cereali, così chiamate fin dall’antichità per il loro carattere più saliente, che doveva apparire assai misterioso: si tratta della progressiva scomparsa, durante la maturazione della spiga, dei chicchi che vengono completamente sostituiti da una polvere nera come la fuliggine, che viene allontanata dal vento. Al momento della raccolta delle spighe non rimane che il rachide cosparso di polvere nera, con qualche residuo delle spighette. Era quindi facile pensare, come detto nella parte introduttiva, a un castigo divino, che bruciava e carbonizzava le messi. In realtà, la spiga è già completamente invasa dal parassita al momento della sua fuoriuscita dalla guaina fogliare ed è costituita da spighette atrofiche e deformate che portano corpi nerastri (chiamati sori) di dimensioni simili a quelle delle cariossidi. I sori sono formati da un ammasso polverulento di spore nerastre, avvolte da una sottile guaina che ben presto si lacera liberando le spore, le quali si diffondono o rimangono in parte aderenti ai residui della spiga. Gli agenti responsabili dei carboni sono funghi appartenenti al genere Ustilago, molto simili dal punto di vista botanico a quelli responsabili delle carie. Sul grano è presente la specie U. tritici, agente del cosiddetto “carbone volante”. Si tratta di un fungo capace di trascorrere tutta la sua vita entro la pianta di grano. Esso infetta la pianta al momento della fioritura grazie alle spore prodotte sulle spighe malate, si localizza nei semi in via di formazione e vi rimane quiescente fino al momento della loro germinazione; da questo momento il fungo asseconda la crescita della nuova pianta e ne invade la spiga fin da quando inizia a formarsi.

Sintomi su foglia e spiga da S. nodorum

Carbone

• Nelle piante di frumento colpite

i chicchi vengono completamente sostituiti da una polvere nerastra così che le spighe appaiono come carbonizzate

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malattie Carie (Tilletia caries, T. foetida, Neovossia indica) Con il nome di carie (sinonimi carbonella, carbonchio, volpe o golpe) viene designata una malattia molto antica, per quanto manchino prove certe del fatto che le devastazioni delle messi descritte nell’antichità corrispondano esattamente, per i loro caratteri, a quelli della carie, noti e descritti solo nel 1730, a seguito di gravi infezioni in Francia e in Italia. I sintomi della carie sono visibili solo sulle spighe e richiedono un attento esame: le spighette appaiono più larghe del normale, con glume divaricate che lasciano intravedere il chicco cariato. Il seme è anomalo, più grosso e corto, di colore scuro, e viene normalmente denominato “falsa cariosside”. La sua parte esterna è fragile e si rompe facilmente, mentre quella interna è nerastra e costituita da una polvere finissima, formata da spore fungine, di aspetto untuoso e con odore sgradevole di pesce fradicio. Durante le operazioni di trebbiatura le false cariossidi si rompono, le spore si liberano e vanno a depositarsi sui semi sani, perpetuando in questo modo la malattia. Le carie sono particolarmente dannose in quanto, oltre a compromettere la produzione di granella, contaminano il raccolto con le spore che, come detto, conferiscono un odore sgradevole. La carie è causata da funghi microscopici appartenenti ai generi Tilletia e Neovossia, che differiscono fra loro per caratteri microscopici delle spore. In Italia sono diffuse la T. caries e la T. foetida, mentre è assente la N. indica. Quest’ultima specie, molto dannosa, è presente in altre zone cerealicole del mondo, come per esempio l’America centrale; è per questo motivo che

Sintomi precoci di carbone

Carie

• Le piante colpite dalla carie producono chicchi di aspetto anomalo, con la parte esterna sottile e fragile, e quella interna costituita da una polvere finissima nerastra

• Durante la raccolta del frumento

le false cariossidi si rompono liberando le spore che vanno a depositarsi sui semi sani

• Le partite di grano provenienti

da alcuni Paesi vengono sottoposte a rigorosi controlli onde evitare l’introduzione in Europa di nuove carie, molto pericolose per le coltivazioni autoctone

Raffronto tra una spiga sana e una infetta da carie

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coltivazione tutte le partite di grano provenienti da questi paesi vengono sottoposte a rigorosi controlli fitosanitari alle frontiere (per esempio nei porti) e, se trovate infette, distrutte o rifiutate. Fusariosi della spiga (Fusarium spp., Microdochium spp.) La fusariosi della spiga (detta anche scabbia) è oggi una delle principali e più dannose malattie del frumento in tutte le aree cerealicole del mondo: in caso di gravi infezioni l’effetto sulla produttività può essere devastante. Si tratta di una malattia nota da tempo, che ha assunto grande diffusione e importanza solo a partire dalla fine del secolo scorso, in seguito al diffondersi di pratiche colturali che la avvantaggiano. Essa causa il disseccamento prematuro delle spighette, che appaiono sbiancate rispetto alla parte sana della spiga che rimane di colore verde. Con l’avanzare della maturazione questi sintomi tendono ovviamente ad attenuarsi fino a essere del tutto mascherati dal normale disseccamento delle spighe mature. Se il clima si mantiene umido a lungo, compaiono sulle glume cuscinetti di spore colorate, dal salmone all’arancio. Alla trebbiatura le cariossidi appaiono striminzite e di colore grigiastro o rosato; ciò comporta un marcato peggioramento delle caratteristiche qualitative e limita l’impiego della granella nella panificazione e in altre trasformazioni agroalimentari. La fusariosi è una malattia molto complessa, causata da numerose specie fungine dei generi Fusarium e Microdochium; quelle prevalenti in Italia sono F. graminearum, F. culmorum, F. avenaceum, F. poae e M. nivale. La complessità eziologica spiega la grande diffusione della malattia, come pure la sua variabilità geografica e stagionale. L’aspetto che rende di gran-

Particolare di spiga infetta da carie

Fusariosi della spiga

• La fusariosi è una malattia antica,

di grande attualità per la sua recrudescenza e per le implicazioni di carattere sanitario ad essa legate

• A livello delle cariossidi infette

il patogeno produce spesso abbondanti quantità di micotossine, sostanze tossiche per uomo e animali

• Le cariossidi colpite da Fusarium

spp. appaiono striminzite e di colore grigiastro o rosato; ciò provoca un peggioramento delle loro caratteristiche qualitative e di panificazione

• Fusarium spp. causa il disseccamento

prematuro delle spighette, che appaiono sbiancate rispetto alla parte sana della spiga, che rimane di colore verde

• In condizioni ambientali favorevoli, sulla spiga possono comparire cuscinetti di spore colorate, dal salmone all’arancio

Sintomi di fusariosi su spighe di grano

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malattie de attualità questa malattia è la presenza di micotossine nelle cariossidi infette: nivalenolo, zearalenone, tossina T-2, moniliformina sono tutte micotossine legate alla fusariosi della spiga, anche se la più importante è il deossinivalenolo, comunemente noto come DON o vomitotossina. Le micotossine sono sostanze chimiche di origine naturale, prodotte da alcuni funghi nel corso della loro invasione all’interno dei tessuti della pianta ospite, dotate di spiccata tossicità acuta e cronica nei confronti dell’uomo e degli animali in allevamento. Il DON, per esempio, comporta infiammazione della pelle, diarrea, vomito, emorragie e disordini nervosi di vario genere mediati dal sistema nervoso centrale. Questa problematica non è nuova, tanto che importanti fenomeni epidemici del passato vengono oggi in parte attribuiti al consumo di derrate alimentari contaminate da micotossine. Matossian, nel suo Poisons of the Past Molds, Epidemics, and History del 1989, ha rilevato che fra il XIV ed il XVIII secolo le grandi pandemie che percorsero l’Europa erano associate a periodi con clima molto umido, estremamente favorevole allo sviluppo di muffe responsabili della produzione di varie micotossine sui cereali. Per esempio, nei due anni precedenti la pandemia che colpì l’Europa fra il 1348 e il 1350, il clima era stato estremamente piovoso, freddo, umido, i raccolti scarsi e di cattiva qualità; la granella, inoltre, a causa delle poche giornate soleggiate, non si era essiccata adeguatamente. Matossian ha quindi ipotizzato che fosse la qualità degli alimenti derivati dai cereali, più che la loro quantità, a giocare un ruolo di rilievo. È stata anche formulata un’ipotesi suggestiva, ossia che la decima piaga d’Egitto riportata nella Bibbia, libro dell’Esodo, ma anche in papiri egiziani fra cui quello intitolato Gli ammonimenti di Ipuwer, sia da imputare al consumo di riserve di cereali stivati in primitivi granai-sili fortemente contaminati da micotossine. La piaga avrebbe colpito solo i primogeniti egizi, i primi a essere nutriti in tempo di carestia, e gli animali più forti, dominanti nella mandria, i primi a cibarsi dei mangimi. Il fatto che gli ebrei sfuggirono a questa sorte potrebbe essere spiegato con le abitudini di questo popolo, dedito soprattutto alla pastorizia, che aveva un regime alimentare diverso da quello degli egiziani. È nota la crescente attenzione verso la qualità e la sicurezza degli alimenti che pone oggi in primo piano il problema rappresentato dalle micotossine, tanto che esistono leggi e norme che fissano i livelli della loro presenza nelle produzioni e nei trasformati allo scopo di limitare i danni alla salute umana. L’accumulo delle micotossine ha luogo prevalentemente in campo, nella fase di coltivazione, e può modificarsi nelle successive fasi di raccolta, stoccaggio e trasformazione: il problema coinvolge quindi l’intera filiera produttiva.

Particolare di una infezione da fusariosi

Sporificazione di Fusarium spp. su spiga vista a forte ingrandimento

Curiosità Le infezioni di fusariosi alle spighe del grano sembrano avere contribuito alla decima piaga d’Egitto riportata nella Bibbia, imputata del consumo di riserve di cereali fortemente contaminati da micotossine

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coltivazione Mal dello sclerozio (Claviceps purpurea) Questa malattia, nota anche come “segale cornuta” o “ergot” (= sprone del gallo, in francese), è nota fin dall’antichità; nell’ultimo secolo essa è comparsa in modo sporadico in Europa, tanto da diventare una curiosità fitopatologica, ma negli ultimi anni ha subito una inspiegabile recrudescenza. Il nome comune di questa malattia deriva dal fatto che alcune cariossidi sono sostituite da corpi duri e bruno-nerastri ben visibili sulle spighe, chiamati sclerozi. Questi sono organi fungini costituiti da un fitto intreccio di ife, con una parte esterna resistente e pigmentata; essi hanno forma ovale o allungata “a corno” e dimensione variabile. Gli sclerozi si formano a seguito dell’infezione fungina che avviene prima della loro comparsa, a carico degli ovari, al momento dell’apertura dei fiori. Gli sclerozi contengono varie sostanze chimiche appartenenti al gruppo degli alcaloidi, alle quali sono imputabili diversi effetti tossici. Le principali sostanze sono ergometrina, ergotamina, ergosina, ergocristina, ergocriptina ed ergocornina. La quantità e il tipo di alcaloidi variano da ceppo a ceppo del fungo, a seconda della pianta e della regione geografica. Gli alcaloidi dell’ergot producono effetti tossici nell’uomo e in tutte le specie animali, ma anche effetti allucinogeni qualora vengano confezionati alimenti con grani contaminati. Gli effetti allucinogeni dell’ergot erano già conosciuti dagli Assiri, che in una tavoletta del 500 a.C. fanno menzione di una “pustola nociva della spina di grano”. Greci e Romani avevano escluso la segale dalla loro alimentazione come un “graveolente prodotto”. Sindromi di ergotismo sembrano già essere descritte nelle Georgiche di Virgilio e nel De rerum naturae di Lucrezio Caro, che parla di ignis sacer. Nell’Europa medievale il pane fatto di segale contaminata provocava insolite intossicazioni di massa, con conseguenze mortali per migliaia di persone. Il morbo (chiamato ergotismo o “fuoco di Sant’Antonio”) si presentava in due forme: Ergotismus gangraenosus, caratterizzato da vasocostrizione e

Foto I. Ponti

Sclerozio di Claviceps purpurea

Mal dello sclerozio

• Gli sclerozi contengono svariate

sostanze chimiche tossiche, responsabili di gravi danni all’uomo e agli animali che si cibano di alimenti ottenuti con grani infetti

• Gli effetti nocivi delle sostanze prodotte dall’agente del mal dello sclerozio sono noti fin dall’antichità: i Greci ne sfruttavano le proprietà allucinogene per provocare visioni in cerimonie sacre

• Gravi epidemie di ergotismo hanno

Foto I. Ponti

pervaso l’Europa nel Medioevo e fino alla metà del ’900, periodo dell’ultimo caso documentato di intossicazione sull’uomo

• A metà del ’500 inizia l’uso medico

dell’ergot, nel campo dell’ostetricia

• A metà del ’900 viene scoperto

casualmente un derivato di un composto che si trova nell’ergot, noto come LSD

Sclerozi mescolati a semi di grano

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malattie occlusione vascolare fino alla cancrena delle estremità, e Ergotismus convulsivus, con sintomi nervoconvulsivi di tipo epilettico. Risalgono all’857, e si trovano negli annali dell’Abbazia di Xanten, le prime notizie di intossicazioni collettive attribuite certamente a farine di cereali contaminate. Tristemente famose, per la loro gravità ed estensione, sono le epidemie che si verificarono nel X e XI secolo in Germania, in Inghilterra e in Francia: l’intossicazione che colpì la zona di Aquitania nel 994 provocò la morte di 40.000 persone. Durante una di queste epidemie si racconta che Ugo Capeto raccogliesse gli infermi nella chiesa di Notre Dame a Parigi e li nutrisse a proprie spese e che un certo Gastone, gentiluomo del Delfinato, dopo la insperata guarigione del figlio dal fuoco di Sant’Antonio, fondasse l’ordine degli Antonisti, incaricati di assistere e curare questo tipo di ammalati che, nell’ignoranza delle vere cause, venivano giudicati in preda a possessione satanica per la componente neurotossica della sindrome. Nel 1095 Urbano II confermò poi l’Ordine dei Frati di S. Antonio, i quali avevano proprio il preciso compito di soccorrere i colpiti da ergotismo. Era quindi frequente che gli ammalati si recassero in pellegrinaggio a Padova, da Sant’Antonio, per chiedere la grazia. Durante il tragitto, cambiando luoghi e quindi alimentazione, avveniva spesso una “miracolosa” guarigione attribuita al Santo ma che in realtà era dovuta al cambiamento di dieta. L’ultimo caso di intossicazione documentato in Europa risale al 1951, nella città francese di Pont-Saint-Esprit, dove oltre duecento persone furono affette da allucinazioni, sonnolenza e altri disturbi per aver mangiato pane contaminato, e cinque di esse morirono. Durante le epidemie di ergotismo fu osservato un aumento delle contrazioni uterine nelle donne gravide e così l’ergot iniziò a essere usato nella pratica ostetrica in forma polverulenta con il nome di pulvis ad partum. Il suo uso medico viene citato nel 1582, all’interno del Krauterbuch (libro delle erbe) del medico tedesco Adam Lonitzer, ma solo nel 1808 esso viene ufficializzato, grazie all’americano John Stearns nel suo Medical Respository of New York. In seguito ne venne però fermato l’uso, in quanto un dosaggio sbagliato poteva provocare spasmi uterini. Nella prima metà del 1900, un chimico svizzero dell’industria farmaceutica Sandoz di Basilea, Albert Hofmann, iniziò a lavorare sugli alcaloidi della segale cornuta alla ricerca di nuovi farmaci per il sistema circolatorio. Egli entrò incidentalmente in contatto con la molecola dietilamide dell’acido lisergico, un derivato dell’acido lisergico che si trova nell’ergot, universalmente noto come LSD, e ne valutò gli effetti; nacque così uno dei più potenti allucinogeni conosciuti dall’uomo. Nel 1949 la Sandoz commercializza il prodotto iscrivendolo nei prontuari tra i tranquillanti e i barbiturici usati nella terapia psichiatrica, fino a quando queste sostanze divennero illegali.

Spiga danneggiata dal mal dello sclerozio

Curiosità Nella Grecia antica si faceva un uso rituale degli sclerozi di C. purpurea all’interno di cerimonie dedicate a Demetra, divinità simbolo di fecondità agraria (il nome viene da De Meter, dove De sta per “gea”, ossia la Grande Madre Terra), conosciute come Mysteria di Eleusi, dal nome della città dell’Attica dove avevano luogo. L’ergot sarebbe stato l’ingrediente base di una bevanda sacra chiamata kikeon, che permetteva agli iniziati di avere visioni

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coltivazione Nerume (Alternaria spp., Stemphylium spp., Epicoccum spp., Cladosporium spp.) Con il termine di nerume si intende un’affezione abbastanza diffusa nelle colture di grano al termine del ciclo vitale, soprattutto se allettate dal vento o indebolite da precedenti attacchi parassitari, in concomitanza di periodi molto umidi, con frequenti piovaschi o nebbie mattutine. Le spighe e le foglie vengono ricoperte da una muffetta nerastra e disseccano più rapidamente del normale. Questa muffa è formata dalle colonie e dalla grande quantità di spore prodotte da funghi microscopici capaci di crescere sui tessuti vegetali come deboli parassiti o anche come saprofiti. Si tratta di specie appartenenti ai generi Alternaria, Stemphylium, Epicoccum e Cladosporium, tutti caratterizzati da ife e spore con pigmentazione bruno nerastra.

Foto I. Ponti

Volpatura (Bipolaris sorokiniana, Alternaria alternata) Con il termine di volpatura si definisce un’alterazione cromatica delle cariossidi di grano. Nei casi meno gravi è coinvolto solo l’apice, in cui si trova l’embrione, che assume una colorazione bruno-nerastra; tuttavia l’imbrunimento può estendersi anche al solco ventrale e giungere a interessare l’intera superficie. Questa alterazione interessa solo i tegumenti, i tessuti più superficiali della cariosside. La volpatura ha origine nel corso della maturazione, ma si rende evidente solo al momento della trebbiatura. È causata dall’infezione da parte di alcuni micromiceti molto diffusi nei campi di grano, fra cui spiccano per importanza B. sorokiniana (sinonimo Helmintosporium sativum) e A. alternata, tutti caratterizzati dall’avere ife e spore di colore bruno-nerastro. La malattia non causa perdite di prodotto, ma ne riduce la qualità tecnologica, soprattutto per il grano duro destinato alla pastificazione. Infatti, la semola ottenuta dalle cariossidi volpate risulta

Esito di nerume su spiga

Volpatura

• Patologia causata dall’infezione

da parte di diverse specie di micromiceti, fra cui spiccano per importanza Bipolaris sorokiniana e Alternaria alternata

• La volpatura consiste

nell’imbrunimento dei tessuti più esterni del chicco di grano, che si rende evidente solo dopo la trebbiatura

• La malattia determina un’alterazione

dell’uniforme colorazione della semola ottenuta con le cariossidi infette e conseguentemente della pasta

Cariossidi infette da volpatura

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malattie cosparsa di piccoli residui brunastri e, di conseguenza, la pasta non ha la colorazione gialla e uniforme richiesta dal mercato. Alterazioni dei cereali in magazzino

Funghi nei silos Durante lo stoccaggio della granella nei silos si verifica una progressiva sostituzione della micoflora tipica del campo, in cui predominano le specie citate a proposito del nerume e della fusariosi, con una più adatta alle specifiche condizioni, di cui fanno parte i generi Penicillium e Aspergillus. Questi funghi sono molto comuni nell’ambiente e ampiamente diffusi; tollerano i bassi livelli di umidità che i chicchi trebbiati possono assumere se non perfettamente conservati (15-17%), e possono quindi colonizzare senza che si manifestino segni esteriori di deterioramento. Le specie di maggiore interesse sono A. ochraceus, A. niger e P. viridicatum in quanto produttrici di ocratossina A (OTA), una sostanza tossica a livello dei reni e del fegato, con proprietà immunorepressive e cancerogene.

• Nei silos si assiste a un cambiamento della micoflora, con prevalenza di funghi adatti alle condizioni di conservazione

• Tra i funghi più rappresentativi che

colpiscono la granella immagazzinata ricordiamo i generi Penicillium e Aspergillus

• Alcuni di questi funghi possono

produrre l’ocratossina, sostanza tossica per l’uomo

Virosi Le virosi, come detto, hanno importanza secondaria rispetto alle malattie di origine fungina. Ciò è da imputare al fatto che queste malattie hanno una diffusione molto più limitata e non certo a una minore capacità di danneggiare le piante e di ridurne le potenzialità produttive. Le malattie virali, infatti, a causa della capacità dei virus di modificare il funzionamento delle cellule vegetali e di alterare i meccanismi che regolano il normale sviluppo dei tessuti, causano sintomi molto evidenti e perdite di produzione molto ingenti. Le piante colpite dai virus della “striatura fusiforme” e del “mosaico comune” (noti rispettivamente con le sigle WSSMV e SBWMV) hanno sviluppo molto stentato, fino alla morte, e formano chiazze ben visibili nel campo, anche per la presenza di una colorazione giallastra diffusa, dovuta alla presenza sulle foglie di piccole aree allungate di colore giallo che, alternate ai tessuti verdi, conferiscono un tipico aspetto a mosaico. Il sintomo a mosaico è presente anche nelle foglie e talvolta nelle guaine delle piante colpite da “mosaico striato” e da “nanismo” (siglati con WSMV e WDV, rispettivamente), ma in questi casi gli ingiallimenti vanno a formare delle lunghe striature che decorrono parallele alle nervature delle foglie. Le piante infette da WDV rimangono inoltre nane e non formano le spighe oppure queste sono atrofizzate. I virus che attaccano i vegetali, così come alcuni virus dell’uomo, non sono in grado di mantenersi infettivi nell’ambiente e per questo motivo utilizzano dei vettori per trasmettersi da una pianta infetta a una sana. Così, i primi due virus citati utilizzano funghi parassiti delle radici del grano che vivono nel terreno, mentre gli altri due sfruttano insetti che si nutrono a spese delle parti verdi della pianta.

Manifestazione di virosi in campo

Virosi del frumento

• Le malattie virali hanno una diffusione limitata e per questo motivo hanno minore importanza rispetto alle malattie fungine. Nondimeno, sono potenzialmente in grado di causare ingenti perdite

• I virus non sono stabili nell’ambiente e per questo utilizzano vettori per trasmettersi da una pianta all’altra

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coltivazione Difesa dalle malattie L’uomo ha da sempre cercato di proteggere le coltivazioni di grano dall’attacco dei parassiti. I mezzi utilizzati a questo scopo hanno ovviamente subito profonde evoluzioni nel tempo. Così come le malattie erano considerate dagli antichi interventi divini, anche i metodi messi in atto per combatterle si rifacevano a pratiche mistiche e misteriose. Gli autori georgici latini riportano varie pratiche terapeutiche attuate dagli agricoltori del tempo, come la scalzatura, la rincalzatura, l’erpicatura e l’arieggiamento delle radici. Plinio consiglia di spuntare con la falce i seminati di grano troppo rigogliosi allo scopo di favorire l’arieggiamento. Le prime notizie relative all’impiego di prodotti chimici contro i parassiti risalgono al XVII secolo, quando venivano forniti suggerimenti per il controllo delle carie del grano con il cloruro di sodio. È però con il XVIII secolo che la “chimica” entra a pieno titolo nella terapia vegetale. La Francia gioca un ruolo di primo piano in questa fase, grazie all’istituzione di premi a favore degli scienziati che avessero risolto i gravi problemi fitopatologici che a quel tempo affliggevano i seminativi. Uno di questi premi fu attribuito a Tillet nel 1755 dalla Reale Accademia di Francia per i suoi studi sulla carie del grano. Per ovviare al pericolo delle ricette che fanno uso dell’arsenico, sono state poi introdotte ricette a base di tartrato di rame o di solfato di rame per trattare a umido le cariossidi di grano prima della semina e, il secondo composto, anche per distribuzioni sulle colture. Veniva così introdotto il rame in fitoiatria, il cui impiego dura tuttora. A quel tempo, l’efficacia del rame, e in generale dei vari composti chimici utilizzati per difendere le piante, derivava da osservazioni empiriche e prescindeva dalla conoscenza di come esso esercitasse la sua azione. Fu poi Benedict Prévost che accertò e dimostrò che il rame agisce direttamente sui microrganismi che causano le malattie.

Ricetta contro la ruggine

• Nel 1782 il giudice Chomerau de

Chanvalon formulò una ricetta per preservare il grano dalla ruggine: “Per sei mine di grano, ognuna del peso di sessantasei libbre, sistemate in mucchio a forma di pan di zucchero, versate in una caldaia dodici pinte di acqua nella quale farete sciogliere una quantità di calce viva sufficiente a ottenere una sospensione un po’ densa. Mettete la caldaia sul fuoco e agitate: quando la sospensione sarà vicina all’ebollizione, introducete, voltando la testa dall’altra parte, dell’allume vetroso finemente molito e dell’arsenico. Continuate ad agitare e quando l’acqua sarà prossima all’ebollizione, portate la caldaia vicino al mucchio di grano. Tenete a portata di mano un recipiente con dodici pinte di acqua e innaffiate il vostro grano con l’acqua di calce: ogni tanto, soprattutto all’inizio, gettate acqua nella caldaia, agitando bene. Quando il grano sarà ben inumidito, rimuovetelo tre o quattro volte, il più rapidamente possibile. Poi copritelo bene; dopo tre o quattro ore si può utilizzarlo. Non vi è alcun pericolo per colui che effettua la semina: nondimeno è opportuno che sia attento e che non si porti le mani agli occhi e alla bocca. Io prego vivamente i signori parroci che diano loro appoggio ai parrocchiani affinché abbiano la possibilità di procurarsi l’arsenico, anche se i signori parrocci dovessero procurarlo essi stessi e di farlo adoperare in loro presenza. C’è di mezzo il loro interesse”

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malattie I criteri che guidano la protezione della coltura nella moderna agricoltura fanno riferimento ai principi della produzione integrata, sostenibile o ecocompatibile. Si tratta di un approccio in cui l’intero itinerario colturale è finalizzato a ridurre il rischio che le malattie si sviluppino in forma epidemica, in modo da intervenire con gli agrofarmaci solo quando necessario, scegliendo accuratamente i momenti in cui trattare e le molecole più efficaci e di minor impatto sull’ambiente, sull’operatore agricolo e sul consumatore. In questo contesto assumono un ruolo determinante l’uso di varietà di grano dotate di resistenza naturale (ossia genetica) nei confronti dei parassiti, come pure il ricorso a tecniche di coltivazione finalizzate a “irrobustire” la pianta e a far sì che le condizioni ambientali all’interno della coltura siano sfavorevoli allo sviluppo dei parassiti. Le precessioni colturali, le lavorazioni del suolo, le concimazioni, le semine e ancora altre tecniche divengono così parte integrante della protezione della coltura dai parassiti. Nondimeno, si rendono talvolta necessari interventi specifici con agrofarmaci. Largamente diffusa è la tecnica della concia del seme, che prevede la distribuzione di fungicidi sul seme prima che questo venga posto a dimora nel suolo. Lo scopo è quello di fornire alla giovane pianta una protezione contro i parassiti legati al seme o che si trovano

Difesa nella storia

• Fin dall’antichità l’uomo ha tentato

di proteggere le proprie coltivazioni dai parassiti: in testi latini sono riportati vari consigli su pratiche agricole per contenere alcune malattie del frumento

• Fra il XVII e il XVIII secolo inizia

e si diffonde l’impiego dei composti chimici per la difesa delle colture

• Nel 1807 Prévost dimostrò l’efficacia

della concia per immersione del seme contro la carie, effettuata mantenendo, per parecchie ore, le cariossidi in una soluzione allo 0,5% di solfato di rame e successiva aspersione di latte di calce per neutralizzare l’acidità del solfato di rame

Momenti di comparsa delle malattie nelle diverse fasi di crescita

Mal del piede Mal bianco Ruggine gialla Ruggine bruna Ruggine nera Fusariosi della spiga Septoriosi Carbone Carie Virosi

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coltivazione nel terreno (come per esempio carie, carboni e agenti di mal del piede), oppure contro quelli capaci di aggredirla per via aerea nelle prime fasi del suo sviluppo fuori terra.

Strategie di difesa

• La difesa integrata mira oggi

Effetto dei fattori agronomici su diverse malattie

a proteggere le colture facendo ricorso a varietà di grano naturalmente resistenti ai parassiti e a pratiche agronomiche, limitando l’uso degli agrofarmaci ai casi di reale necessità

Fattori agronomici Corretta Varietà Concia del Epoca Investimento Concimazione Malattie rotazione resistenti seme con di ridotto azotata fungine fungicidi semina equilibrata specifici ritardata

• Con la concia si cerca di proteggere

il seme e la piantina da parassiti legati al seme o presenti nel terreno

Mal del piede

• I trattamenti con fungicidi sulla

Ruggini

vegetazione hanno lo scopo di proteggere la coltura dai patogeni che aggrediscono le foglie e la spiga

Oidio Septoriosi Effetto

Nullo

Medio

Buono

Ottimo

Nel periodo compreso fra l’emissione delle spighe e la fine dell’antesi si rende talvolta necessario un trattamento fungicida sulla vegetazione per proteggere la coltura da ruggini, mal bianco o fusariosi della spiga. Per valutare la necessità di effettuare questo trattamento si prendono in considerazione soglie, ossia livelli di gravità al di sopra dei quali è economicamente conveniente trattare, in quanto le probabili perdite di produzione sarebbero superiori ai costi del trattamento. Per esempio, la soglia per il mal bianco è pari alla presenza di almeno dieci colonie fungine sulle ultime foglie della pianta al momento della spigatura. In alternativa, si utilizzano modelli matematici capaci di calcolare indici di rischio, elaborando in modo automatico i dati raccolti da apposite stazioni agrometeorologiche.

Grano conciato

144


malattie Concia del seme La necessità di coniugare l’efficacia verso i parassiti con il rispetto per l’ambiente e la salute degli operatori e dei consumatori ha portato alla messa a punto di una valida e sicura tecnologia di difesa delle colture: la concia del seme. È sufficiente così una dose di sostanza attiva relativamente bassa per consentire una difesa efficace della coltura; non è più necessario trattare l’intera superficie del terreno, ma solo la semente che equivale a circa 200 m2 ogni ettaro nel caso dei cereali, o addirittura 60 m2 nel caso del mais o della barbabietola da zucchero. L’applicazione della sostanza attiva sul seme viene eseguita industrialmente con specifiche attrezzature e in ambiente appositamente predisposto. L’impiego della concia industriale della semente, come mezzo di protezione delle piante, presenta numerosi effetti positivi, sia per la salute dell’operatore agricolo sia per l’ambiente. I principali vantaggi della concia del seme rispetto al trattamento della coltura in vegetazione consistono nella: - riduzione della quantità di principio attivo (ossia della componente di agrofarmaco che svolge l’azione insetticida o fungicida) impiegata per unità di superficie, nonché l’area complessivamente trattata; - mancata dispersione di prodotto, con notevole beneficio per l’ambiente; - prontezza d’azione nei riguardi dei diversi parassiti animali e vegetali in quanto il prodotto, applicato direttamente al seme, viene assorbito dalla pianta già nella fase di germinazione; fficacia selettiva nei confronti dei soli agenti parassiti. -e

Patogeni dei cereali trasmessi attraverso le sementi Tilletia caries Tilletia foetida Leptosphaeria nodorum (= Septoria nodorum)

1

Septoria tritici

Cochliobolus sativus (= Helminthosporium sativus)

Concia industriale delle sementi

Pyrenophora graminae

Pyrenophora teres Ustilago nuda f. sp. tritici

Fusarium spp.

4 3 2

5

Cariosside vestita 1 Palea inferiore (gluma)

2 Pericarpo

4 Endosperma

5 Embrione

3 Strato aleuronico

Particolare di un impianto di concia

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il grano

coltivazione Erbe selvatiche Pasquale Viggiani

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Erbe selvatiche Introduzione Circa 200 specie di erbe selvatiche popolano i campi di frumento in tutta Italia. Ognuna di esse ha una storia da raccontare, scritta nei nomi che le accompagnano; per ognuna di esse si potrebbe trovare un uso terapeutico, alimentare o paesaggistico, ma tutte sono ospiti indesiderati dei campi di frumento perché entrano in competizione con le piante di grano sottraendo loro acqua ed elementi nutritivi o danneggiandole in altro modo. Solo una decina di queste specie è particolarmente aggressiva perché diffusa con una certa concentrazione in tutta la penisola, mentre un’altra ventina danneggia le colture nelle diverse regioni. La maggioranza delle specie soffre della competizione di quelle più agguerrite che non lasciano loro lo spazio sufficiente per poter sopravvivere. La specie più presente in assoluto è il papavero, seguito dalla veronica e dall’avena. Seguono il caglio e il poligono aviculare, poi il loietto e la fumaria, quindi il poligono convolvolo, la senape selvatica e la mordigallina. Queste e altre sono descritte di seguito, con l’indicazione del nome italiano (in neretto), di quello latino (tra parentesi in corsivo, a volte seguito dalla notazione “spp.” che indica una specie indeterminata), e della loro diffusione nelle regioni granicole più significative (sulle cartine a lato del testo non sono considerate la Valle d’Aosta, la Liguria e il Trentino Alto Adige). Tutte le erbe sono riunite in due gruppi: graminacee e dicotiledoni. Le graminacee appartengono alla stessa famiglia botanica del grano (Graminacee o Poacee); sono dette anche erbe “a foglia stretta” perché hanno le foglie nastriformi affusolate, simili a quelle del grano. Le dicotiledoni sono così chiamate perché i loro semi racchiudono una piantina in miniatura munita di due minuscole foglioline chiamate cotiledoni; queste erbe, appartenenti a famiglie botaniche diverse, sono anche dette “a foglia larga”. Graminacee e dicotiledoni sono di seguito descritte separatamente in ordine di importanza.

Foto R. Angelini

Graminacee Avena (Avena spp.) è un’infestante conosciuta da migliaia di anni (sono stati trovati semi di avena in diversi insediamenti europei dell’Età del bronzo e altri, risalenti circa al 7000 a.C.); il nome, molto usato dagli antichi romani, pare derivi dal sanscrito “avasa” e ne sottolinea l’uso sotto forma di foraggio (indicato particolarmente per gli ovini). Le specie sono riconducibili quasi esclusivamente all’avena maggiore o rossa (Avena sterilis) e a piccoli insediamenti di avena selvatica (Avena fatua) al nord 146


erbe selvatiche (specialmente tra Bologna e Rovigo) e di avena barbata (Avena barbata) prevalente in Sicilia e Sardegna.

Diffusione di avena in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Avena

Loietto (Lolium multiflorum), come l’avena appartiene alla stessa famiglia botanica del grano (Graminacee o Poacee), costituiva l’essenza principale delle marcite lombarde, cioè di quei prati coltivati su appezzamenti sistemati con due ali spioventi (come un tetto) sulle quali veniva fatto scorrere uno strato d’acqua proveniente da un fossetto centrale sopraelevato rispetto alle ali. Quando nasce nei campi di grano è considerato una pianta infestante ed è diffuso in tutta l’Italia. In qualche zona del sud si trovano anche il loglio rigido (Lolium rigidum) e, specialmente al nord, il loglio comune (Lolium perenne), che viene spesso coltivato per ricavare foraggio.

Diffusione di loietto in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza Loietto

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coltivazione Coda di volpe (Alopecurus myosuroides). Il nome di questa specie si riferisce alla forma della sua infiorescenza, del tutto simile a una coda di volpe (come si arguisce da Alopecurus), anche se risulta più sottile di questa e più simile alla coda di un topo (myosuroides). È molto diffusa nel nord Italia dove rappresenta l’infestante più frequente; la sua presenza diminuisce man mano che dal nord si procede verso il centro e il sud.

Diffusione di coda di volpe in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza Coda di volpe

Fienarola (Poa spp.) era, secondo gli antichi greci, l’erba per eccellenza (Poa = erba); il nome italiano mette in risalto l’ottima attitudine di questa pianta a essere trasformata in fieno per gli animali, tanto che le specie che troviamo come infestanti del grano sono anche coltivate per produrre foraggio. La specie più diffusa è la fienarola comune o spannocchina (Poa trivialis); sono però molto presenti anche la fienarola dei prati (Poa pratensis) e la fienarola annuale (Poa annua).

Diffusione di fienarola in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza Fienarola

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erbe selvatiche Scagliola (Phalaris spp.). Il nome latino di questa erba si riferisce alla lucentezza (phaleròs = lucente) delle glumette, le due scagliette che avvolgono la cariosside. Tra le specie di scagliola che vivono in Italia si trovano nei campi di frumento: la scagliola sterile (Phalaris paradoxa), la scagliola cangiante (Phalaris brachystachys) e la scagliola minore (Phalaris minor). Il nome latino della prima specie deriva dal greco e vuol dire “sorprendente, strano” (= paradoxus) e si riferisce al suo comportamento di crescita che è diverso rispetto a quello delle altre scagliole. Una delle caratteristiche particolari si evince dal nome comune italiano che evidenzia il fatto che gran parte delle spighette prodotte sono sterili, contrariamente alle altre scagliole che producono prevalentemente spighette fertili. La scagliola è diffusa specialmente in meridione e nelle isole maggiori; il suo areale di diffusione comprende però anche il centro Italia e lambisce il nord fino alla provincia di Bologna, ma non comprende, attualmente, le altre regioni settentrionali. Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Diffusione di scagliola in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Diffusione di forasacchi in Italia

Scagliola cangiante

Scagliola minore

Scagliola sterile

Forasacchi (Bromus spp.) è chiamato così perché le sue cariossidi, con i rivestimenti particolarmente affusolati e appuntiti, forano la iuta con cui sono fabbricati i sacchi per il trasporto della granella di frumento. Il nome scientifico deriva dal greco “nutrimento” ed è il termine con il quale gli antichi indicavano l’avena (evidentemente confondevano le due erbe). La specie più diffusa nei campi italiani è il forasacco rosso (Bromus sterilis); altre specie infestanti sono: forasacco peloso (Bromus hordeaceus), forasacco allungato (Bromus commutatus), forasacco dei campi (Bromus arvensis) e forasacco di gussone (Bromus gussonei). Queste erbe si trovano specialmente lungo i fossi e i bordi dei campi ma, da qualche tempo, si stanno diffondendo anche in Italia nei campi di grano, tanto che, in alcune zone, ostacolano

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

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coltivazione tenacemente la crescita del grano, come avviene ormai da molti anni nelle coltivazioni del centro-nord Europa. Foto R. Angelini

Diffusione di cappellini dei campi in Italia

Forasacchi

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Cappellini dei campi (Apera spica-venti). È diffusa come infestante del grano quasi esclusivamente nelle province di Cuneo e Torino, ma questa erba si trova, per lo più lungo i fossi e le strade, anche in altre regioni italiane. I rametti esili e le spighette minute delle sue pannocchie giustificano il suo nome comune italiano, mentre il suo brulicare al vento è sottolineato nel nome scientifico (spica-venti). Foto R. Angelini

Cappellini dei campi

Dicotiledoni Papavero, della famiglia delle Papaveracee, deve il nome a una parola celtica equivalente a “pappa” (in passato, veniva usato anche in alcune zone d’Italia per preparare un infuso da mescolare alla pappa dei bambini per tenerli tranquilli e farli addormentare).

Infestazione di papavero

150


erbe selvatiche È celebrato nella mitologia (una ghirlanda di papaveri ornava il capo di Cerere, dea latina delle messi) e nell’arte (è famoso un dipinto di Claude Monet), ma è anche ospite indesiderato dei campi di grano: se ne annoverano cinque specie; la più insistente, specialmente nel nord del Paese (Lombardia in particolare), è il rosolaccio (Papaver rhoeas), così chiamato per essere vagamente simile a una rosa di campo. La sua presenza diminuisce, pur rappresentando un problema, al centro sulla costa adriatica, quindi nelle regioni tirreniche, nel sud e in Sicilia, per indebolirsi decisamente nei campi della Sardegna.

Diffusione di papavero in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Papavero

Veronica, il cui nome è dedicato a Santa Veronica, porta fiorellini cerulei iridescenti che si trovano nei campi di grano; se ne annoverano essenzialmente due specie: la veronica comune (Veronica persica) e la veronica a foglie d’edera (Veronica hederifolia). Nelle regioni del nord prevale la prima specie, al sud la seconda;

Diffusione di veronica in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza Veronica

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coltivazione nell’Italia centrale, nelle zone tirreniche e in Umbria, le due specie si equivalgono mentre nelle Marche e in Abruzzo prevale la veronica a foglie d’edera. Queste piante appartengono alla famiglia delle Scrofulariacee, così chiamata perché comprende alcune specie che in passato erano usate per curare una malattia ghiandolare, la scrofola.

Diffusione di caglio o attaccaveste in Italia

Caglio o attaccaveste (Galium aparine), dai piccoli fiori bianchi, è una delle infestanti più dannose dei campi di grano; le piante spinulose si attaccano ai vestiti, giustificando uno dei suoi nomi volgari (i semi sono palline scure che d’estate in campagna si attaccano alle calze), e imbrigliano le piante di grano costituendo con esse grovigli inestricabili che ostacolano le operazioni di raccolta del cereale. Il primo nome comune italiano si riferisce invece all’uso che ne facevano gli antichi pastori greci, che lo impiegavano per far cagliare il latte: il termine Galium deriva dal greco gala = latte. Il caglio coriandolino (Galium tricornutum) è simile all’attaccaveste e si trova maggiormente nel meridione. Entrambe le specie fanno parte delle Rubiacee, famiglia che annovera la Rubia tintoria, dalla quale in passato si otteneva un colorante rosso che serviva per tingere i tessuti.

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Foto R. Angelini

Diffusione di poligono degli uccellini in Italia

Caglio o attaccaveste

Poligono degli uccellini (Polygonum aviculare). È il tipico rappresentante della famiglia delle Poligonacee, così chiamata perché le piante hanno fusti nodosi, a volte piegati come ginocchia (poly = molte, gony = ginocchia); è tra i più diffusi ospiti indesiderati dei campi di grano. Pare che gli uccellini siano ghiotti dei semi prodotti da questa specie; questo fatto è sottolineato nel nome volgare e in quello scientifico (aviculare). Questa erba, dai piccolissimi fiori bianco-rosati, ha fusti prostrati sul terreno e si trova in particolare nei campi di grano del centro-sud Italia, specialmente in Sardegna.

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

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erbe selvatiche Foto R. Angelini

Diffusione di poligono convolvolo in Italia

Poligono degli uccellini

Poligono convolvolo (Fallopia convolvulus), come la specie precedente, è una Poligonacea, ma differisce da essa per avere un fusto, con foglie a forma di asta o di cuore, che si avviticchia alle piante di frumento avvolgendole (da qui il nome “convolvolo”). La sua diffusione nei campi di grano decresce dal nord al sud della penisola, fino quasi ad annullarsi nelle isole.

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Foto R. Angelini

Diffusione di vilucchio comune in Italia

Poligono convolvolo

Vilucchio comune (Convolvulus arvensis), appartiene alle Convolvulacee; questa erba, negli stadi giovanili quando i fiori non sono ancora apparsi, somiglia molto alla specie precedente, ma produce grandi fiori imbutiformi bianco-rosati e rizomi sotterranei, assenti nell’altra specie. I suoi fusti non sono nodosi, ma imbrigliano le piante di grano avvolgendole e formando con esse folte matasse inestricabili che ostacolano fortemente la raccolta del cereale. È particolarmente abbondante nelle regioni centrali, ma molto frequente praticamente ovunque.

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

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coltivazione Foto R. Angelini

Diffusione di fumaria in Italia

Vilucchio comune

Fumaria (Fumaria officinalis). L’etimologia del nome di questa Papaveracea pare si riferisca al fatto che, bruciando le piante, si sprigiona un fumo che induce lacrimazione e contribuisce a mantenere sani e puliti gli occhi. Il nome però potrebbe anche derivare dal fatto che la pianta adulta, nel suo complesso, per la forma e le piccole dimensioni delle foglie, da lontano appare come una nuvoletta di fumo, oppure deriva dalle esalazioni fumose sprigionate dalle radici appena estratte dal terreno. Queste piante, dai fiorellini rosa di forma particolare, sono fra le più accanite commensali del frumento, specialmente nel centro-sud della penisola.

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Foto R. Angelini

Diffusione di mordigallina in Italia

Fumaria

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Mordigallina (Stellaria media) si trova in tutta l’Italia, con diffusione alterna, ma è particolarmente abbondante nelle regioni settentrionali e scarseggia nelle isole maggiori. La forma a stella dei fiorellini bianchi giustifica il nome latino di questa specie, mentre il nome volgare italiano si riferisce al fat154


erbe selvatiche to che le galline e altri volatili si cibano volentieri dei semi e della pianta intera. Appartiene alla famiglia delle Cariofillacee, che prende il nome dall’aggettivo specifico che, in greco, indica il garofano (Dianthus caryophylli), anch’esso appartenente alla stessa famiglia.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Particolare del fiore di mordigallina

Mordigallina

Senape selvatica (Sinapis arvensis) fino a qualche decennio fa era raccolta per essere utilizzata come verdura; attualmente rappresenta una delle più dannose infestanti del grano, specialmente in Sicilia, dove intere colline ne sono ricoperte. La sua diffusione rimane massiccia fino all’Italia centrale e diminuisce di intensità verso il nord. È la tipica rappresentante della famiglia delle Crucifere, così chiamate per avere i quattro petali del fiore disposti a croce e, come le altre componenti di questa famiglia, emana un caratteristico odore di rapa, se si sfregano le foglie fra le dita.

Diffusione di senape selvatica in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza Senape selvatica

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coltivazione Cardo campestre o stoppione (Cirsium arvense). Queste piante, come le quattro che seguono, appartengono alla famiglia delle Composite. Rappresenta una delle erbe selvatiche più diffuse che crescevano nei campi di grano fino agli anni ’50 del secolo scorso; da allora la messa a punto di efficaci strategie di diserbo ne ha fatto diminuire sensibilmente la presenza; rimane però una componente importante della flora infestante del frumento, specialmente nelle regioni centrali della penisola. Il nome latino deriva da una parola greca (kirsós) che indica le varici e sottolinea l’uso terapeutico che ne facevano i popoli antichi, per curare queste alterazioni. Il nome volgare italiano si riferisce, invece, alla spinosità delle foglie e al fatto che anche dopo la raccolta del grano la specie rimane evidente sulle stoppie.

Diffusione di cardo campestre o stoppione in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Diffusione di cardo mariano in Italia

Cardo campestre o stoppione

Cardo mariano (Silybum marianum). Anch’esso una Composita, si riconosce per le tipiche foglie spinose e bianche (la leggenda racconta che in origine le foglie fossero completamente verdi e che, successivamente, si fossero macchiate di gocce di latte perse dalla Madonna durante la fuga in Egitto, mentre allattava il Divino fanciullo). È il tipico rappresentante della flora spontanea delle regioni meridionali, anche se recentemente si trova con insistenza sempre maggiore nei campi di frumento di alcune zone emiliane (province di Bologna e Ferrara). Questa specie, come la precedente, ha capolini formati da fiori tubulosi (con un tubo basale e con lacinie di petali alla sommità ricoperti di brattee spinose).

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

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erbe selvatiche Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Cardo mariano

Crisantemo giallo (Chrysanthemum coronarium) e crisantemo campestre (Chrysanthemum segetum) sono componenti importanti della famiglia delle Composite e della flora spontanea nell’areale che, partendo poco più a nord del 42° parallelo, dal Lazio al Molise, dal Tirreno all’Adriatico, si spinge fino alla Sicilia e alla Sardegna, caratterizzando il paesaggio primaverile delle campagne di questi luoghi in modo determinante ed esclusivo con i capolini di colore giallo-oro (in greco: chrysós = oro e ánthemon = fiori).

Cardo mariano. Caratteristiche nervature di colore bianco

Foto R. Angelini

Diffusione di crisantemo giallo in Italia

Crisantemo giallo

Camomilla comune (Matricaria chamomilla), il cui nome deriva dal concetto di “piccola pianta con odore di mela = camomilla che fa molto bene alle puerpere = Matricaria”, è ancora adesso coltivata e raccolta per ricavarne il tipico infuso. Si trova come pianta infestante del frumento principalmente nei campi del centro-nord. Come i crisantemi appartiene alla famiglia delle Composite e ha capolini con fiori di due tipi: tubulosi centrali e ligulati

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

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coltivazione nelle parti distali (con una ligula ben evidente alla sommità del tubo basale); in questo caso i centrali sono gialli e quelli periferici sono bianchi.

Diffusione di camomilla comune in Italia

Foto R. Angelini

Camomilla comune

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Fiordaliso (Centaurea spp.) è una Composita con capolini formati solo da fiori tubulosi e ricoperti da brattee spinulose. I botanici che li hanno descritti li hanno dedicati al centauro Chitone che, secondo quanto scrivono gli antichi poeti, era precettore di Achille e di altri eroi mitologici e li usava per curare le ferite dei suoi assistiti. Il fiordaliso ha fiori cerulei o gialli o rosati, e si trova frequentemente nei campi del Piemonte (Centaurea cyanus) e della Sicilia (Centaurea napifolia e altri).

Diffusione di fiordaliso in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Fiordaliso

Centonchio rosso (Anagallis arvensis) è una Primulacea il cui fiore campeggiava sullo scudo araldico della famigerata “Primula rossa”, Sir Percy Blakeney, eroe di un romanzo popolare ambien158


erbe selvatiche tato durante la Rivoluzione francese. È una pianta con portamento semiprostrato, foglie robuste e fusto a sezione quadrangolare. Pare che il fumo sprigionato dalle piante bruciate abbia proprietà esilaranti; il suo nome scientifico sottolinea questo fatto (dal greco anaghelào = rido). Si trova specialmente nelle colture del centro e delle isole maggiori; è presente anche una specie che produce fiori azzurri, il centonchio azzurro (Anagallis foemina). Foto R. Angelini

Centonchio rosso

Diffusione di centonchio rosso in Italia

Foto R. Angelini

Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza

Centonchio azzurro

Viola dei campi (Viola arvensis). Dà il nome a una intera famiglia: le Violacee. Pianta graziosa dai fiorellini ornamentali giallastri con sfumature violacee più o meno accentuate. Come infestante del grano ha una storia recente, infatti solo da qualche anno si è insediata nei campi, specialmente nelle regioni centrali del versante tirrenico. La sua diffusione aumenta sempre di più, tanto che in alcune zone, nonostante abbia un debole potenziale competitivo, rappresenta un discreto ostacolo alla produzione di granella.

Diffusione di viola dei campi in Italia

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Diffusione assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza Viola dei campi

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il grano

coltivazione Gestione delle malerbe Pasquale Montemurro

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coltivazione Gestione delle malerbe Introduzione

Le malerbe nella storia

• In una parabola (Matteo 13,24-25)

Il concetto di malerba o erba infestante è relativo; infatti vi sono definizioni diverse a riguardo. Secondo la European Weed Research Society (Società Europea di Malerbologia), “infestante è qualunque specie di pianta che interferisce con gli obiettivi e le esigenze umane”. Un’altra definizione è la seguente: le piante infestanti sono “piante adattate ad ambienti antropogeni, dove interferiscono con le attività, la salute e i desideri degli uomini”. Un’altra maniera di definire le malerbe è quella secondo la quale sono “piante la cui utilità non è stata ancora scoperta”. Quest’ultimo modo è abbastanza razionale se si pensa che la ricerca di nuove piante alimentari si concentra oggi su specie che si comportano da malerbe in molte parti del mondo e che la stessa specie può essere considerata malerba in una parte del globo e pianta utile in un’altra, come testimoniano gli esempi di Cynodon dactylon (L.) Pers. (malerba, foraggera, pianta tessile) e Avena fatua (malerba, foraggera e un tempo anche pianta alimentare). Infine, una definizione più agronomica è quella di “pianta che nasce dove non dovrebbe” e soprattutto che è “in grado di diminuire il potenziale quali-quantitativo delle colture”. Delle circa 200.000 specie di piante diffuse nel mondo, sono considerate responsabili di azioni negative nei confronti delle colture solo 250; di queste, il 68% circa rientra in 12 famiglie botaniche e in particolare poco meno del 40% sono graminacee e composite.

si legge che “il Regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo; ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò”

• Nelle Georgiche si ritrovano frasi come: “... inutile domina il loglio (zizzania) e la sterile avena”, “... alta si sporge la felce nemica dell’aratro”, “... ogni anno bisogna per tre-quattro volte sarchiare il terreno”

• Nel De re rustica si afferma “a me

sembra l’indicazione di un’agricoltura povera il permettere alle erbacce di crescere fra le colture, poiché i raccolti diminuiscono fortemente” Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Zizzania Cynodon dactylon

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Avena fatua


gestione delle malerbe Danni da malerbe I danni determinati dalle erbe infestanti sono dovuti essenzialmente alla competizione e, talvolta, all’allelopatia. Riguardo alla competizione, questa è la maniera più classica che le malerbe hanno per provocare un danneggiamento della coltura: in pratica, queste sottraggono uno o più fattori produttivi quali l’acqua, la luce, gli elementi nutritivi e lo spazio vitale al grano; di conseguenza il frumento finisce per vedere appunto diminuita più o meno consistentemente la propria potenzialità produttiva e qualitativa. Relativamente al fattore acqua, le infestanti riducono le riserve di umidità del suolo e aumentano la possibilità di stress da siccità; la Sinapis arvensis (senape selvatica), per esempio, è capace di traspirare, e quindi di sottrarre acqua dal terreno, quattro volte più del grano.

Malerbe più diffuse in Italia

• Le specie di malerbe del grano

solitamente vengono distinte in graminacee o a foglia stretta e dicotiledoni o a foglia larga

• Tra le graminacee si ritrovano

frequentemente l’avena selvatica (Avena sterilis), il loglio maggiore (Lolium multiflorum), la coda di volpe (Alopecurus myosuroides) e le scagliole (Phalaris spp.)

Foto R. Angelini

• Tra le dicotiledoni le più diffuse sono

la senape selvatica (Sinapis arvensis), il papavero (Papaver rhoeas), la camomilla (Matricaria chamomilla), l’attaccaveste (Galium aparine), la fumaria comune (Fumaria officinalis), il centonchio comune (Stellaria media) e la veronica dei campi (Veronica hederifolia)

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Competizione tra grano e infestanti

La luce, sottratta alla coltura da una cospicua presenza di infestanti, invece, influenza, oltre che il tasso di crescita, anche l’altezza delle piante, che si presentano eziolate e con culmi, di diametro minore, più suscettibili all’allettamento. L’allelopatia, invece, consiste nel fatto che alcune specie di malerbe sono in grado di produrre e diffondere nel terreno delle sostanze denominate appunto allelopatiche, in grado di influenzare negativamente le piante di grano, riducendone l’accrescimento e la produttività. Tra le specie di malerbe capaci di danneggiare il grano mediante l’allelopatia, vi sono l’Agrostemma githago (gittaione comune) e la Portulaca oleracea (porcellana comune). Da segnalare infine che la presenza di malerbe può contribuire direttamente o indirettamente alla formazione di sostanze tossiche, denominate micotossine, prodotte da vari patogeni fungini. L’entità dei danni dipende, oltre che dalle malerbe che invadono i seminati di grano, dall’entità della loro infestazione.

Sinapis arvensis

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coltivazione Oltre ai danni quantitativi, la presenza di erbe infestanti nel frumento può determinare effetti negativi sulla qualità della produzione, influenzando in maniera più o meno rilevante una o più delle caratteristiche merceologiche della granella. I danni qualitativi più frequenti sono: - la produzione di cariossidi striminzite, che presentano un minore peso ettolitrico e di conseguenza una resa alla macinazione più bassa. In altre parole, alla molitura si ricava un minore quantitativo di semola e di farina, rispettivamente per il grano duro e tenero; - il peggioramento dei prodotti sfarinati, in particolare se l’infestazione è costituita da Picris echioides (aspraggine volgare) e/o da Thlaspi arvensis (erba storna comune). I loro semi potrebbero infatti essere moliti insieme alle cariossidi di frumento, con la conseguenza che sia la farina sia la semola assumerebbero un sapore amaro inaccettabile, rendendo la produzione non commerciabile; - la formazione di sostanze tossiche per la salute umana. Per esempio sui semi di Alopecurus myosuroides, detta coda di volpe, si possono formare gli sclerozi della Claviceps purpurea, che contengono alcaloidi, quali ergotossina, ergotamina ed ergometrina, in grado di provocare gravi disturbi al sistema nervoso e a quello circolatorio. Inoltre, la presenza di erbe infestanti può favorire lo sviluppo di funghi patogeni, quali Aspergillus e Penicillium, in grado di produrre micotossine, come l’ocratossina, contaminanti della granella; - l’inquinamento delle sementi. Alcune specie infestanti possono inquinare la semente di grano, avendo caratteristiche morfologiche e ponderali simili (stessa grandezza e peso dei semi di grano), fino al punto di rendere non più commerciabile la semente stessa.

Foto R. Angelini

Capsule e semi di gittaione comune Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Thlaspi arvensis Foto R. Angelini

Particolare del fiore di Picris echioides Infestazione di Alopecurus myosuroides

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gestione delle malerbe Controllo delle malerbe I metodi che permettono di eliminare o almeno di limitare lo sviluppo delle erbe infestanti nelle colture possono essere distinti in preventivi e diretti. Rientrano tra i metodi preventivi tutti quelli che consentono da un lato di evitare la proliferazione delle malerbe e di diminuirne la possibilità di invadere la coltivazione, e dall’altro di fare in modo che la coltura si sviluppi rapidamente e uniformemente e possa crescere in maniera ottimale. Tali metodi sono praticati ai fini di togliere spazio vitale alle infestanti e di ridurne le capacità di estrinsecare la competizione. Le normali pratiche colturali che si utilizzano nella coltivazione vengono attuate nell’ottica di limitare lo sviluppo delle infestanti e nel contempo porre le piante del grano in condizione di vegetare il meglio possibile. In particolare, devono essere opportunamente gestiti l’avvicendamento colturale (rotazione), le lavorazioni del terreno, la scelta della varietà e la dose di seme da impiegare.

Controllo delle malerbe

• L’intervento del diserbo è finalizzato a limitare gli effetti negativi della competizione delle malerbe nei confronti del frumento

• I metodi che permettono di eliminare o almeno di limitare lo sviluppo delle erbe infestanti nelle colture possono essere distinti in preventivi e diretti

Effetti dell’avvicendamento sulla infestazione potenziale di malerbe (dato rilevato dopo 13 anni)

Avvicendamento colturale. La scelta della sequenza delle colture costituisce uno degli accorgimenti principali per evitare l’instaurarsi di un’abbondante infestazione di malerbe nel frumento. L’importanza dell’avvicendamento per il controllo delle infestanti risiede, quindi, nella possibilità di inserire in rotazione altre specie di piante coltivate in differenti periodi o sottoposte a diverse tecniche di diserbo (per es. barbabietola da zucchero e patata) o di tipo “rinettante”, cioè caratterizzate da crescita veloce, taglia elevata e una vegetazione rigogliosa, come per esempio il mais e il sorgo, che ostacolano fortemente la crescita e la disseminazione delle malerbe. Praticando un corretto avvicendamento diminuisce nel terreno la carica di semi o di altri organi riproduttivi delle malerbe, diminuendo in tal modo la carica Foto R. Angelini

Campo di patata

Foto R. Angelini

Avvicendamento colturale

Totale semi (n./m²)

Frumento in monosuccessione

9156

Frumento + mais

7251

Bietola + frumento + frumento

2769

Effetto della precessione sulla densità di infestanti nel frumento

Coltivazione di mais

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Precessione colturale

Densità di infestanti (n./m²)

Barbabietola

35,9

Girasole

33,6

Mais

46,1

Soia

26,3


coltivazione potenziale d’infestazione o seed bank. Diversi studi dimostrano chiaramente come la carica di semi infestanti diminuisca sensibilmente nel caso sia posta in rotazione al grano la barbabietola rispetto al ristoppio.

Metodi preventivi I principali metodi preventivi o agronomici utilizzati per il contenimento delle malerbe sono:

Lavorazioni del terreno. La modalità e la profondità di lavorazione del terreno modificano in maniera più o meno rilevante la distribuzione dei semi delle infestanti lungo il profilo del terreno e, pertanto, influenzano il livello di inerbimento che si può ritrovare in un seminato di frumento.

• avvicendamento colturale • lavorazione del terreno • scelta della varietà • densità di semina

Scelta della varietà. Il livello di inerbimento che può instaurarsi in un campo di frumento è in funzione anche della cultivar seminata; diverse ricerche, infatti, hanno evidenziato come, mediante un’opportuna scelta della varietà, diventi possibile ridurre anche in modo piuttosto sensibile l’infestazione delle malerbe e di riflesso la competizione. Tale azione di contenimento è dovuta in particolare alla capacità che talune varietà hanno di “chiudere” più rapidamente, nonché a un più alto numero di spighe formate (maggiore indice di accestimento) e alla taglia più elevata.

Metodi diretti I principali metodi diretti utilizzati per il contenimento delle malerbe sono:

Dose di seme. Per quanto attiene la quantità unitaria di seme da utilizzare, questa dovrebbe essere la più elevata possibile, compatibilmente con le esigenze della varietà; in tal modo, infatti, si può contenere in misura abbastanza significativa sia la densità di infestazione sia lo sviluppo delle malerbe. Specifiche ricerche hanno evidenziato che impiegando una dose più alta di seme di frumento, si osservava, al momento della raccolta, una presenza di avena selvatica inferiore.

• falsa semina • diserbo meccanico • diserbo chimico

Foto R. Angelini

Effetto della densità di semina sullo sviluppo di avena

Confronto di erbicidi su avena

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gestione delle malerbe Metodi diretti sono tutti quelli che intervengono direttamente sullo sviluppo della flora infestante: falsa semina, diserbo meccanico e diserbo chimico.

Foto R. Balestrazzi

Falsa semina. Consiste nel preparare accuratamente il terreno come se si dovesse seminare, ma in anticipo rispetto all’epoca normale, generalmente 40-50 giorni prima, in modo che nasca una parte delle erbe infestanti che avrebbe dovuto inserirsi nel campo di grano. Successivamente, poco prima di eseguire la semina, le malerbe vengono eliminate meccanicamente, mediante un’erpicatura superficiale, o ricorrendo a un erbicida. Diserbo meccanico. Il grano viene diserbato meccanicamente mediante l’erpicatura, eseguita utilizzando un erpice, che può essere di tipo a denti e strigliatore. È un’operazione che permette in molti casi un soddisfacente controllo della flora infestante o almeno aiuta a contenerne lo sviluppo. L’erpicatura riesce in particolare a contenere le infestanti annuali, soprattutto ai primi stadi di sviluppo o ancor meglio, di plantula.

Erpicatura

Diserbo chimico. Viene realizzato applicando sostanze chimiche diserbanti, o erbicidi. La loro applicazione avviene normalmente mediante barre irroratrici. La scelta del diserbante da usare viene effettuata soprattutto in base: - alla selettività, in quanto vi sono erbicidi che rispettano o no il grano, rispettivamente definiti come “selettivi” e “non selettivi o totali”; - allo spettro d’azione, che deve essere tale da controllare le specie infestanti previste, già emerse o che emergeranno. A tal fine

Trattamento diserbante su frumento

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coltivazione Foto R. Angelini

Efficacia di un graminicida su poa

gli erbicidi vengono distinti in “a largo spettro”, efficaci sia su graminacee (a foglia stretta) sia su dicotiledoni (a foglia larga), o “specifici” in grado di controllare una o poche specie infestanti (dicotiledonicidi e graminicidi); - al momento di applicazione, che può essere in pre-semina, in pre-emergenza e in post-emergenza del frumento; - all’azione erbicida, che può essere di tipo “disseccante” (per contatto), “antigerminello” (attiva per assorbimento da parte dei germinelli) o “sistemica”, (traslocabile attraverso la linfa delle piante previo assorbimento radicale o fogliare). Nel caso un solo diserbante non sia in grado di controllare tutte le infestanti, si ricorre a miscele costituite da due o più principi attivi; - ai vincoli dettati dai disciplinari di produzione integrata.

Effetto dell’epoca di intervento del diserbo sulla produzione espressa in q/ha (Covarelli, Università di Perugia)

Foto R. Angelini

Momento ottimale per il diserbo

• Numerosi studi hanno dimostrato che l’epoca ideale per l’esecuzione del diserbo è quella compresa tra l’inizio accestimento e il 1° nodo in levata

• Intervenire in questo periodo significa massimizzare il potenziale produttivo della coltura e, di riflesso, il reddito

• Ogni giorno di ritardo nell’eliminazione delle malerbe può causare perdite fino all’1% di produzione

“Passaggi” del diserbo in post-emergenza

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gestione delle malerbe Pre-semina. Viene eseguita prima della semina del grano con prodotti non selettivi (disseccanti o sistemici) i quali, una volta assorbiti dalle foglie, agiscono in un tempo più o meno breve (da 2-3 a una decina di giorni). Si ricorre a questo intervento nel caso sia adottata la tecnica della falsa semina, o si intervenga su sodo. Alla pre-semina si ricorre anche nel caso in cui vi sia un ritardo nella semina, per esempio per piogge abbondanti e ripetute.

Riduzione dell’impatto ambientale

Pre-emergenza. Il trattamento avviene dopo la semina del grano e prima della sua nascita. In questo tipo di applicazione vengono di norma utilizzati erbicidi a largo spettro d’azione, di tipo antigerminello o sistemico per assorbimento radicale, in modo da impedire l’emergenza delle malerbe. Questa applicazione sta perdendo importanza per molteplici ragioni.

Scelta dell’erbicida e del momento dell’intervento

POSTEMERGENZA

Post-emergenza. Gli erbicidi sono distribuiti sulla coltura in atto e su infestanti già nate, in un periodo compreso tra l’inizio dell’accestimento e la levata del grano. La scelta di intervenire posticipatamente è quella oggi preferita nel diserbo del frumento, in quanto l’intervento è mirato e giustificato dalla presenza delle infestanti. Per questo tipo di intervento sono impiegati diserbanti sistemici per assorbimento fogliare, utilizzando un erbicida ad ampio spettro, o miscele costituite da un graminicida e un dicotiledonicida.

Affidabilità in sistemi di coltivazione su sodo o con lavorazione ridotta

Controllo delle infestanti difficili

Vantaggi del diserbo post-emergenza

Momenti di intervento nel diserbo del grano

Semina

Emergenza

Pre-emergenza residuale

Tre foglie

Inizio accestimento

Pieno accestimento

Alcune infestanti graminacee e dicotiledoni (esclusi Galium, avena, ecc…)

Infestanti graminacee

Post-emergenza Graminicidi specifici Infestanti dicotiledoni

Infestanti graminacee e dicotiledoni compreso Galium

Post-emergenza (cross-spectrum)

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Post-emergenza Dicotiedonicidi specifici

Fine levata


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