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l’ulivo e l’olio
ricerca Germoplasma e varietà Tiziano Caruso, Antonio Rotundo, Luca Sebastiani
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Germoplasma e varietà Introduzione L’olivo è tra le specie da frutto coltivate da più tempo nel bacino del Mediterraneo ed è senz’altro tra le prime a essere stata domesticata. La specie è prevalentemente allogama, con un alto grado di etero-impollinazione che conduce a elevati livelli di eterozigosi e polimorfismo del DNA tra gli individui. Ancora oggi esiste una consistente quota della variabilità originaria, essendo stati, tutto sommato, assai limitati i fenomeni di erosione genetica specifica. L’Italia ha un patrimonio genetico straordinario, con cultivar che a volte hanno una valenza geografica talmente puntuale da essere diffuse nel territorio di un solo comune. Moltissime le sinonimie, in larga parte chiarite negli ultimi anni grazie ai metodi di discriminazione basati sull’analisi del DNA. La vastità del patrimonio genetico è forse la caratteristica più importante dell’olivicoltura italiana ed è su di essa che trovano fondamento le DOP che, numerose, sono proposte dall’Italia, consentendo di riconoscere la qualità dell’olio italiano. Alcuni dati rendono chiare le dimensioni del fenomeno varietale nell’olivicoltura italiana: 25 varietà, in Italia, coprono il 58% della superficie investita a olivo; in Spagna, un egual numero di varietà copre il 96% della superficie olivicola; 3 varietà in Grecia (Koroneiki, Kalamon, Mastodois) e 3 in Portogallo (Galega Vulgar, Cobrancosa, Cordovil de Serp) coprono più del 90% della superficie olivicola; il Marocco è sostanzialmente una regione monovarietale (Picholine Marocaine); in Tunisia 3 varietà (Chemlali de Sfax, Chetoui, Ouislati) coprono l’85% della superficie olivicola. È sulla ricchezza del suo patrimonio genetico che l’Italia deve fare affidamento nella diffusione dell’olivicoltura intensiva e superintensiva; è nella conservazione e valorizzazione
Grossa di Cassano
Olivicoltura intensiva nella valle del Belice (Sicilia)
Foto R. Angelini
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germoplasma e varietà
Grossa di Cassano
Bianchera
delle sue risorse genetiche che si dovrà cercare la soluzione a problemi di straordinaria importanza relativi alla produzione olearia e all’utilizzazione del territorio. Qui di seguito si descrivono le più importanti varietà coltivate di olivo, distinte per area geografica di produzione. Principali cultivar diffuse nell’olivicoltura dell’Italia settentrionale Bianchera Cultivar autoctona che costituisce circa il 70% del patrimonio olivicolo della provincia di Trieste; è diffusa anche negli impianti delle zone del Collio e dei Colli del Friuli dove raggiunge un 30%. La pianta è vigorosa e assurgente con chioma di media densità. I fiori sono autosterili, il frutto di medie dimensioni (2,5-3 g). In generale, negli areali di coltivazione di elezione, la maturazione è tardiva. La produttività è elevata e la resa in olio media. L’olio, fruttato intenso, ricco di polifenoli, mantiene un elevato standard qualitativo anche se ottenuto da olive raccolte con un grado di maturazione avanzato. La sensibilità alle gelate invernali è bassa, mentre quella all’occhio di pavone (Spilocaea oleagina) è elevata; media quella alla rogna (Pseudomonas syringae pv. savastanoi).
Bianchera
Casaliva La cultivar è diffusa nel Nord Italia, lungo il bacino del Garda. La pianta, vigorosa, può raggiungere altezze superiori ai 15 metri. La chioma è espansa. I fiori sono autofertili; bassa la percentuale di fiori con l’ovario abortito. Il frutto ha dimensioni medie. La maturazione è medio-precoce e scalare. La produttività è elevata e costante. La resa in olio è medio-alta. Il contenuto di acido
Casaliva
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ricerca oleico nell’olio è elevato, medio quello in polifenoli. La cultivar costituisce, insieme ad altre, la base varietale per le DOP Garda e Laghi lombardi. L’albero è sensibile alla rogna e all’occhio di pavone; medio-bassa la resistenza al freddo e allo stress idrico. Razzola Cultivar diffusa soprattutto in provincia di La Spezia. Le piante sono di medio-grandi dimensioni, con chioma semi-pendula e folta. Il frutto, ovoidale, ha peso medio. La maturazione è scalare e leggermente più tardiva rispetto a Frantoio. La produttività è buona e costante e la resa in olio elevata. La qualità dell’olio è ottima. La resistenza al freddo è medio-bassa, così come quella alla rogna. Taggiasca Diffusa in Liguria, soprattutto in provincia di Imperia, dove rappresenta oltre il 90% del patrimonio olivicolo. Il nome Taggiasca o Tagliasca molto probabilmente deriva dal nome della località (oggi Taggia in provincia di Imperia) omonima dove sorgeva l’abbazia benedettina di Santa Maria del Canneto. Secondo alcuni studiosi la Taggiasca è un clone della cultivar Frantoio; in effetti recenti studi condotti su base molecolare hanno dimostrato la stretta vicinanza genetica tra i genotipi Taggiasca, Frantoio e Lavagnina. I frutti sono utilizzati soprattutto per la produzione di oli ma non mancano gli impieghi come olive da mensa in salamoia. L’olio di Taggiasca costituisce almeno il 90% della DOP Olio Extravergine di Oliva Riviera Ligure, sottozona Riviera dei Fiori, e almeno il 50% di quello della sottozona Riviera del Ponente Savonese. L’albero è vigoroso, con chioma espansa e rami a portamento semipendulo. I fiori, autofertili, presentano bassa incidenza dell’aborto dell’ovario. Il frutto è di dimensioni medie. La produttività è buona e costante. La maturazione è scalare e tardiva. La resa in olio è elevata. La cultivar è sensibile all’occhio di pavone. La resistenza al freddo e allo stress idrico è bassa.
Razzola
Taggiasca
Principali cultivar diffuse nell’olivicoltura dell’Italia centrale Ascolana dura Coltivata occasionalmente in tutte le Marche, è originaria, come l’Ascolana tenera, della provincia di Ascoli Piceno. L’albero è di media vigoria, con portamento assurgente e chioma densa. La pianta entra in produzione abbastanza precocemente. Le drupe, ellissoidali, possono raggiungere facilmente grandi dimensioni (4-6 g). I fiori sono autosterili, con produttività bassa; la maturazione è tardiva e scalare; il rapporto polpa/nocciolo è elevato. Nell’areale di origine, nel caso di destinazione del prodotto al consumo diretto, la cultivar viene raccolta agli inizi di ottobre;
Taggiasca
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germoplasma e varietà
Ascolana dura
Ascolana dura
a novembre per la produzione di olio. La sensibilità al freddo è medio-bassa. Ascolana tenera La cultivar, originaria della provincia di Ascoli Piceno, si è diffusa sia in Italia sia all’estero. La pianta è molto vigorosa con portamento assurgente e chioma densa. L’aborto dell’ovario può superare il 60%. I frutti, ellissoidali, leggermente asimmetrici, hanno grandi dimensioni (8-10 g). I fiori sono autosterili. La produttività è elevata ma incostante. I frutti, di ottima qualità, sono caratterizzati da polpa molto tenera e da sapore e fragranza peculiari. Particolare attenzione deve essere dedicata alla raccolta per non danneggiare i frutti, destinati quasi esclusivamente alla produzione di olive verdi in salamoia. Nei frutti di maggiori dimensioni la polpa può rappresentare oltre il 90%. La resa in olio è medio-bassa; l’olio è di ottima qualità. La cultivar è poco sensibile al freddo.
Ascolana tenera
Canino La cultivar è diffusa nel Lazio, in particolare nella provincia di Viterbo, e raggiunge la massima concentrazione nei comuni di Canino, Arlena, Tuscania, Tarquinia e Vetralla. La pianta è vigorosa, con chioma espansa e branche assurgenti. I fiori, autosterili, possono essere fecondati dal polline di Frantoio o di Leccino. I frutti, di piccole dimensioni (circa 1 g), presentano maturazione tardiva e scalare. La produttività è elevata ma incostante. Il contenuto in olio dei frutti è medio-alto. L’olio, fruttato, ha gusto equilibrato, con sensazioni di amaro e piccante. La Canino è una delle varietà ammesse alla produzione dell’olio extravergine di oliva della DOP Canino.
Canino
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ricerca
Canino
Carboncella
La cultivar è piuttosto rustica e poco sensibile a rogna e occhio di pavone. La resistenza al freddo e allo stress idrico è medioalta. Carboncella Cultivar diffusa nelle province di Roma e di Rieti, l’areale di elezione è la Sabina; secondo alcuni studiosi si tratta di un clone di Moraiolo. È una delle cultivar previste dal disciplinare di produzione dell’olio extravergine di oliva della DOP Sabina. L’albero ha vigoria medio-bassa e la chioma compatta con ramificazioni assurgenti. La cultivar è autosterile; buoni impollinatori sono Leccino, Canino e Maurino. I fiori con ovario abortito sono mediamente il 25%. I frutti sono di dimensioni medio-piccole. La produttività è elevata e tendenzialmente costante. La resa in olio è medio-alta; il contenuto in acido oleico è elevato e quello in polifenoli medio. L’olio è di ottima qualità, dal gusto fruttato intenso. La cultivar è mediamente sensibile alla rogna e sensibile all’occhio di pavone. La resistenza allo stress idrico è alta, quella al freddo è invece medio-bassa.
Carboncella
Dolce Agogia Diffusa in Umbria sui colli del Trasimeno e nelle aree olivicole del territorio provinciale di Perugia. La fruttificazione è tardiva, media è la produttività. La sua diffusione è limitata alle aree olivicole dove la sua presenza è necessaria o prevista dal disciplinare della DOP Colli del Trasimeno. Albero di medio vigore, con portamento assurgente e chioma mediamente densa. I fiori, autosterili, raggiungono la piena antesi in epoca contemporanea a quelli di Leccino, Frantoio e Moraiolo. La percentuale di fiori con ovario abortito è elevata. La maturazione è precoce. La resa in olio è media; il contenuto in polifenoli è
Dolce Agogia
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germoplasma e varietà
Dolce agogia
Dritta
particolarmente elevato. La cultivar è poco sensibile a rogna e occhio di pavone. La resistenza al freddo è alta. Dritta Originaria dell’Abruzzo e tipica della provincia di Pescara. La pianta ha sviluppo mediamente vigoroso con portamento espanso. La cultivar è autosterile; l’aborto dell’ovario è modesto. I frutti, di forma ellittica, hanno dimensioni medio-piccole (2,5 g); la produzione è tendenzialmente costante. La resa in olio è medio-alta; ottima la qualità. La suscettibilità al freddo è media, mentre quella allo stress idrico è alta. La resistenza a occhio di pavone è mediobassa. Frantoio La cultivar è ampiamente diffusa in tutta la Toscana, ma anche in altre regioni dell’Italia centrale come l’Umbria, le Marche, il Lazio e l’Abruzzo. Piante di Frantoio sono state esportate in tutte le regioni olivicole del mondo, da quelle del bacino del Mediterraneo (Algeria, Tunisia, Marocco) a quelle australiane e del Nord e del Sud America, per giungere, più recentemente, anche in Cina. L’albero ha vigore medio-alto e la chioma si presenta densa e rigogliosa con molti rami fruttiferi lunghi e penduli. I fiori sono autofertili; l’aborto dell’ovario ha bassa incidenza. La pianta entra in produzione precocemente, ha produttività elevata e costante e presenta buone capacità di adattamento ai diversi ambienti olivicoli, caratteristiche queste che hanno reso famosa la cultivar in tutto il mondo. L’epoca di raccolta è medio-tardiva. La resa in olio è medio-alta e il contenuto in acido oleico elevato, così come quello di polifenoli totali, che conferiscono all’olio gusto spiccatamente fruttato e buona stabilità alla conservazione. La cultivar costituisce la base
Dritta
Frantoio
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ricerca produttiva delle DOP per la produzione di olio extravergine di oliva Chianti Classico e Terre di Siena e per l’IGP Olio Toscano. La cultivar è sensibile alla rogna e all’occhio di pavone; mediobassa la resistenza al freddo e allo stress idrico. Itrana La cultivar è utilizzata per la produzione di olive sia da olio sia da mensa. Di questa varietà sono state descritte diverse accessioni (Collenero, Passomacera e Vallequercia) in rapporto alle aree di coltivazione. La diffusione della cultivar è pressoché limitata al Lazio, soprattutto nella provincia di Latina (agro pontino) e in quella di Roma. La pianta è rustica, con vigore medio-alto, il portamento è assurgente e la chioma è densa. La percentuale di fiori con ovario abortito è media. I dati sulla sua biologia fiorale sono contraddittori, descritta come cultivar autosterile in alcuni lavori e come autofertile in altri. La fruttificazione è favorita dalla presenza, come impollinatori, di piante di Frantoio e di Leccino. La produttività è elevata anche se, a volte, alternante. L’entrata in produzione è media. La maturazione è scalare e tardiva; i frutti sono medio-grandi (3-6 g) e si prestano sia alla preparazione di olive nere (buon distacco della polpa dal nocciolo), sia all’estrazione dell’olio (contenuto medio). L’olio, di buona qualità, ha gusto dolce con sensazioni di pomodoro. Tale cultivar costituisce la base varietale dell’olio DOP Colline Pontine, nella quale tale cultivar costituisce la base varietale. La cultivar è mediamente sensibile a rogna e occhio di pavone. La resistenza al freddo e allo stress idrico è medio-alta.
Frantoio
Leccino La cultivar è originaria dell’Italia centrale, con molta probabilità della Toscana dove, in letteratura, se ne segnala la presenza già nel Settecento, nell’agro fiorentino. Oltre che in Toscana, la cultivar è presente in Umbria, Abruzzo, Lazio, Marche e Molise e, negli ultimi anni, la sua diffusione ha oltrepassato i confini nazionali per giungere nei Paesi del Nord Africa, in Australia, Argentina, Messico e negli Stati Uniti. L’albero presenta vigoria medio-alta, portamento espanso e chioma molto densa. I fiori sono autosterili; la fioritura è contemporanea a quella di Frantoio e Moraiolo. L’aborto dell’ovario è basso. I frutti, di medie dimensioni, maturano precocemente e in modo uniforme e trovano impiego prevalentemente per la produzione di olio. Nonostante il modesto rapporto polpa/nocciolo, nelle aree di elezione i frutti vengono anche utilizzati come olive da mensa. La resa in olio è medio-alta e la produttività della pianta è elevata e costante. L’olio ha elevato contenuto di acido oleico; medio quello di polifenoli. Dal punto di vista organolettico l’olio è mediamente fruttato. La pianta è sensibile a Verticillium dahliae, mentre
Itrana
Leccino
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germoplasma e varietà ha una buona tolleranza alla rogna e all’occhio di pavone. Buona la resistenza al freddo e media quella allo stress idrico. Maurino È una cultivar originaria della Toscana, molto diffusa in Lucchesia, anche se oggi è coltivata in tutta la regione come in altre zone dell’Italia centrale. La pianta ha vigore medio-basso e portamento pendulo; la chioma è densa. La fioritura è precoce; l’aborto dell’ovario ha scarsa incidenza (inferiore al 10%). I frutti sono piccoli (1,5-2 g) e la maturazione è medio-precoce e contemporanea. La produttività è buona e costante e la resa in olio è medio-alta. La suscettibilità all’occhio di pavone è medio-alta. Moraiolo È una cultivar diffusa nei principali areali olivicoli dell’Italia centrale e si ritiene originaria della Toscana, dove si trova diffusa soprattutto nelle province di Firenze, Arezzo, Grosseto e Siena. Altre regioni italiane dove si coltiva Moraiolo sono l’Umbria, le Marche e l’Abruzzo. Una certa diffusione della cultivar si è avuta anche in alcuni Paesi del Mediterraneo e nelle aree olivicole americane e australiane. L’albero ha bassa vigoria e portamento assurgente con chioma mediamente densa. La pianta fruttifica precocemente e la produzione è tendenzialmente costante. I fiori, secondo alcuni studiosi autosterili, presentano bassa incidenza di aborto dell’ovario. L’epoca di fioritura è concomitante con quella di Frantoio e di Leccino. Il frutto è di piccole dimensioni. La maturazione è tardiva. La resa in olio è elevata, così come il contenuto di acido oleico e di polifenoli nell’olio. L’olio è mediamente fruttato e nel complesso equilibrato. La cultivar è sensibile alla rogna e molto sensibile all’occhio di pavone. La resistenza al freddo è bassa mentre è buona quella allo stress idrico.
Maurino
Maurino
Moraiolo Moraiolo
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ricerca
Nostrale di Rigali Pendolino
Nostrale di Rigali Diffusa prevalentemente nella fascia pedemontana dei territori comunali di Nocera Umbra, Gualdo Tadino e Gubbio. L’albero, di modesto vigore, ha portamento espanso e chioma densa. La cultivar è autosterile e presenta aborto dell’ovario elevato. La fruttificazione è precoce e la produttività è buona e costante. Il frutto ha dimensioni medio-grandi (3,5-4 g), la maturazione è tardiva e compatta. La resa in olio è molto elevata; l’olio è di buona qualità con alti livelli di polifenoli totali. La pianta è resistente al freddo ma è sensibile alla rogna e all’occhio di pavone. Pendolino Cultivar autoctona del territorio della provincia di Firenze, è diffusa in tutte le zone olivicole della Toscana e dell’Italia centrale come impollinatore di Frantoio, Leccino e Moraiolo. La pianta è poco vigorosa e ha portamento tipicamente pendulo, aspetto che fanno apprezzare questa cultivar anche per scopi ornamentali. La chioma è mediamente folta ed espansa, con rami lunghi e penduli. La cultivar è autosterile; modesto l’aborto dell’ovario. Le drupe sono di piccole dimensioni (1,5 g circa) e raggiungono l’invaiatura precocemente e contemporaneamente. La produttività è buona e costante e il contenuto in olio dei frutti medio-alto. La suscettibilità al freddo medio-alta. La resistenza all’occhio di pavone e alla rogna è media.
Pendolino
Principali cultivar diffuse nell’olivicoltura dell’Italia meridionale Bella di Cerignola Coltivata quasi esclusivamente in agro di Cerignola, i frutti vengono largamente utilizzati per il consumo diretto. L’albero, poco vigoroso, con portamento espanso e chioma piuttosto densa, entra
Bella di Cerignola
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germoplasma e varietà in fruttificazione tardivamente. La percentuale di fiori con ovario abortito è elevata (38% circa). La cultivar, autosterile, trae vantaggio dalla presenza di piante delle cultivar Perenzana e Ogliarola barese, con le quali la fioritura è praticamente contemporanea. La maturazione dei frutti, di grosse dimensioni (9 g circa), è tardiva e scalare. La resa in olio è media (14%), così come il contenuto di acido oleico (67%), mentre quello di polifenoli totali è basso (100 ppm). Dal punto di vista organolettico gli oli di questa cultivar sono dolci, con sentore gradevole di erba fresca, toni piacevoli di mandorla e di pomodoro maturo. Caiazzana Particolarmente diffusa nel territorio dei comuni di Caserta e Capua. L’albero, piuttosto vigoroso, ha portamento assurgente con chioma raccolta e folta. Dal punto di vista della biologia fiorale la cultivar è autosterile. Le drupe, di dimensioni medio-grandi, maturano precocemente. Apprezzata per la produttività e per la costanza di produzione; i frutti, lavorati sia in verde sia in nero, possono essere destinati al consumo diretto; la polpa del frutto maturo assume la colorazione rossa. L’olio (la resa è decisamente bassa, 10% circa), fruttato di media intensità, è leggermente piccante; medio-basso il contenuto di acido oleico (59%) mentre apprezzabile (150 ppm) è il contenuto dei polifenoli totali. La pianta è resistente alla rogna e all’occhio di pavone.
Caiazzana
Carolea È la cultivar più estesamente coltivata in Calabria e raggiunge la massima concentrazione nel territorio compreso tra il versante ionico e le aree interne della provincia di Catanzaro. In effetti più che di una cultivar sembra che si tratti di una cultivar-popolazione della quale sono ben noti diversi genotipi. L’albero è mediamente vigoroso e presenta portamento assurgente. I fiori, autosterili,
Caiazzana
Carolea Carolea
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ricerca vengono fecondati dal polline di Nocellara messinese. La percentuale di fiori abortiti a volte supera il 20%. Il frutto, ellittico, di grosse dimensioni (il peso varia da 3 a oltre 5 g in funzione della carica delle piante), lavorato in verde o in nero è particolarmente apprezzato per il consumo diretto presso i principali mercati regionali. La maturazione, tardiva e scalare, espone la produzione a ripetuti attacchi della mosca. La resa in olio supera il 20%. Le olive, per la buona pezzatura, l’elevato rapporto polpa/nocciolo e le buone caratteristiche merceologiche, si prestano alla lavorazione in verde. L’albero tollera sia il freddo sia la siccità, mentre è sensibile all’occhio di pavone e alla tignola. L’olio estratto da olive raccolte alla maturazione commerciale contiene mediamente circa il 72% di acido oleico e 140 ppm di polifenoli. Carpellese
Carpellese Cultivar presente nel Salernitano, raggiunge la massima concentrazione negli oliveti dell’Alto Sele e dell’Alto Calore. L’albero, vigoroso, ha portamento tipicamente pendulo con chioma raccolta e folta. I fiori sono autosterili. La maturazione è tardiva. La resa in olio è medio-alta (20%), così come medio-alto è il contenuto di acido oleico (72%); medio-basso (130 ppm) quello di polifenoli. Gli oli estratti dai frutti di questa cultivar dal gusto dolce e mandorlato possono fregiarsi del marchio a DOP Colline salernitane. La pianta, piuttosto sensibile all’occhio di pavone, lo è meno alla rogna, alla siccità e alle basse temperature. Cassanese Coltivata in provincia di Cosenza, su tale cultivar si basa l’olivicoltura del territorio comunale di Cassano Jonico. L’albero, vigoroso,
Carpellese
Cassanese Cassanese
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germoplasma e varietà assurgente, con chioma densa, è sensibile alle basse temperature ma resistente al cicloconio; in suoli fertili e freschi mostra produzione costante. I fiori, autosterili, frequentemente (60-70%) presentano ovario abortito. La Cassanese è discretamente impollinata dalla Tondina, dalla Corniola e dalla Santomauro. I frutti, di dimensioni medio-grandi (3-4 g), oltre che per l’estrazione di olio, raggiunta la maturazione in nero, possono essere destinati al consumo diretto. La resa in olio, alla maturazione commerciale, è del 18-20%; l’olio presenta un contenuto di acido oleico del 73% circa e in polifenoli di 160 ppm circa. Cellina di Nardò Particolarmente diffusa nel versante meridionale della Puglia, è la cultivar di elezione del Salento, dove raggiunge la massima concentrazione nel territorio delle province di Brindisi, Lecce e Taranto. L’albero, molto vigoroso, con portamento assurgente e chioma densa ed espansa, fruttifica precocemente ma, una volta adulto, tende ad alternare. La percentuale di fiori con ovario abortito è decisamente bassa (7% circa). In condizioni di autoimpollinazione l’allegagione è modesta. La pianta fiorisce contemporaneamente alle cultivar Nociara e Ogliarola salentina, che possono essere pertanto consociate alla Cellina per assolvere alla funzione di impollinatori. La maturazione dei frutti, il cui peso medio è di circa 1,5 g, è tardiva e piuttosto scalare. La resa in olio è media (14% circa), così come il contenuto di acido oleico (69% circa); tendenzialmente basso quello di polifenoli totali (115 ppm). Con riferimento agli aspetti organolettici, l’olio, fruttato intenso, ha sensazioni di mandorla, pomodoro ed erba.
Cellina di Nardò
Cellina di Nardò
Coratina La cultivar è particolarmente diffusa nelle aree olivicole che si estendono tra i territori comunali di Andria e Barletta. L’albero, mediamente vigoroso e con portamento espanso, inizia a fruttificare abbastanza precocemente. I fiori sono autosterili e impollinati dalle cultivar Cellina di Nardò e Ogliarola barese, con fioritura contemporanea. La percentuale di fiori con ovario abortito è bassa (12% circa). La maturazione dei frutti, il cui peso medio è di circa 3 g, è tardiva e scalare. La resa in olio è tendenzialmente alta (20% circa), così come il contenuto di acido oleico (78% circa) e di polifenoli totali (270 ppm). L’olio, fruttato intenso, con sentore di oliva acerba, piccante e amaro, ha sensazioni di foglia e di carciofo.
Coratina
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Coratina Dolce di Rossano
Dolce di Rossano Diffusa nel Cosentino, raggiunge la massima concentrazione nei territori comunali di Rossano e di Corigliano; è presente anche nel versante settentrionale della provincia di Crotone. L’albero, molto vigoroso, con portamento assurgente, sensibile al cicloconio, spiccatamente alternante, mostra bassa plasticità di adattamento, per cui viene sconsigliata la diffusione della cultivar al di fuori dell’areale di elezione. I fiori sono autosterili; la percentuale di ovari abortiti è di circa il 10-15%. I frutti, di forma sferica, di modeste dimensioni, con maturazione tardiva e scalare, sono spesso oggetto di ripetuti attacchi della mosca. L’olio, dolce, fruttato tenue, ha medio contenuto di acido oleico e di polifenoli. Faresana È la cultivar più diffusa nell’areale del Pollino. La pianta, vigorosa, con portamento assurgente, ha chioma tendenzialmente densa; media la resistenza alla rogna e all’occhio di pavone. La fruttificazione è precoce, abbondante ma spiccatamente alternante. La fioritura è intermedia; i fiori sono autosterili. I frutti, di grossa pezzatura (5 g circa), con maturazione medio-tardiva, oltre che per l’estrazione di olio possono essere utilizzati per il consumo diretto, in verde o in nero, essiccati. La resa in olio è media (20% circa), il contenuto di acido oleico (76%) è elevato; medio-alto quello dei polifenoli totali (220 ppm). L’olio, fruttato medio-intenso, ha gusto gradevolmente amaro e piccante.
Faresana
Grossa di Gerace Diffusa nel versante ionico delle aree olivicole che ricadono nella provincia di Reggio Calabria, l’areale di elezione si estende tra i territori comunali di Monasterace e Brancaleone.
Faresana
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germoplasma e varietà L’albero, di elevata vigoria e tendenzialmente assurgente, è sensibile alle basse temperature, mentre mostra di tollerare la siccità e di ben adattarsi anche a suoli poco fertili; abbastanza tollerante all’occhio di pavone. È cultivar poco plastica in termini di esigenze ambientali. I frutti, di modeste dimensioni (2-2,5 g), presentano maturazione piuttosto tardiva. Sia acido oleico sia polifenoli raggiungono nell’olio concentrazioni medio-basse, rispettivamente 63% e 110 ppm; dal punto di vista organolettico l’olio, tendenzialmente dolce, non presenta alcuna peculiarità. Maiatica di Ferrandina È la principale cultivar lucana, raggiunge la massima concentrazione colturale nel Medio Agri-Basento, nelle colline materane e nelle aree olivicole pedemontane del Pollino. L’albero è vigoroso con portamento assurgente e chioma tendenzialmente folta. La fruttificazione è precoce ma alternante. La fioritura è precoce; elevata la percentuale di fiori abortiti. La cultivar è autofertile; l’allegagione viene però favorita dall’impollinazione incrociata. I frutti, medio-grandi (4 g circa), oltre che per l’estrazione dell’olio vengono utilizzati per la preparazione di olive nere essiccate e destinate al consumo diretto. La maturazione è medio-tardiva. La resa in olio è medio-alta (20%); il contenuto di acido oleico è piuttosto elevato (74%) mentre quello di polifenoli totali è tendenzialmente basso (120 ppm). Dal punto di vista organolettico l’olio, fruttato medio-leggero, di tipo maturo, presenta un buon gusto amaro e piccante.
Grossa di Gerace
Ogliarola barese Presente soprattutto nel versante Nord-orientale del territorio di Bari, dove è anche nota con il nome di Cima di Bitonto, dal comune nel quale la cultivar è particolarmente diffusa.
Maiatica di Ferrandina
Maiatica di Ferrandina Ogliarola barese o Cima di Bitonto
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ricerca L’albero, piuttosto vigoroso, con portamento assurgente e con chioma espansa e tendenzialmente densa, fruttifica precocemente ma è spiccatamente alternante. La cultivar, autosterile, allega abbondantemente solo in seguito a impollinazione incrociata che, tra le cultivar principali, può certamente essere garantita dalla Coratina, con fioritura contemporanea. Irrilevante (inferiore al 3%) la percentuale di fiori con ovario abortito. La maturazione dei frutti, il cui peso medio è di 2,5 g circa, è tardiva e scalare. La fruttificazione è precoce e la produzione è alternante. La resa in olio è media (17%), così come il contenuto in acido oleico (71% circa), mentre quello in polifenoli è tendenzialmente basso (100 ppm). L’olio, fruttato intenso, piccante, ha note di mandorla, di pomodoro e di mela. Ogliarola salentina
Ogliarola salentina È la cultivar maggiormente diffusa in Puglia tanto che, secondo accurate stime, insiste su una superficie di circa 130.000 ettari. La cultivar è estesamente coltivata nelle aree meridionali della regione e in particolare nei distretti olivicoli che ricadono nelle province di Lecce, Taranto e Brindisi. L’albero, molto vigoroso, con portamento espanso e chioma densa, fruttifica precocemente ma, una volta raggiunta la piena maturità, mostra produzione spiccatamente alternante. La cultivar è autosterile, per cui la produzione può essere garantita solamente dalla presenza negli impianti di altre cultivar tra le quali la Cellina di Nardò che, tra le principali cultivar pugliesi, fiorisce contemporaneamente all’Ogliarola salentina. La percentuale di fiori con ovario abortito è medio-bassa (15% circa). La maturazione dei frutti, di piccole dimensioni (1,3 g), è tardiva e scalare. La resa in olio è media (18%); il contenuto di acido oleico (64%) è tendenzialmente basso; medio quello dei polifenoli (135 ppm). L’olio, fruttato medio, piccante, amaro, ha sentore di mandorla.
Ogliarola del Vulture
Ogliarola del Vulture Diffusa nell’omonimo areale olivicolo, la pianta, mediamente vigorosa, con portamento espanso e chioma mediamente densa, è suscettibile alla rogna, meno all’occhio di pavone. La fruttificazione, precoce, abbondante, è tendenzialmente alternante. I fiori sono autosterili. I frutti, di pezzatura medio-piccola (2,5 g) con maturazione medio-tardiva, hanno resa in olio del 18% circa. Medio-alto (73%) il contenuto dell’olio in acido oleico e in polifenoli (220 ppm). L’olio, fruttato medio, ha gusto inizialmente dolce, con piccante persistente e amaro leggero.
Ogliarola del Vulture
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Olivo da olio Olivo da olio
Olivo da olio o Minucciola Principale cultivar dell’olivicoltura della Penisola Sorrentina (NA), dove valorizza i suoli terrazzati che dalla bassa collina degradano verso il mare. L’albero, di vigoria medio-elevata, ha portamento assurgente e chioma espansa e folta. I fiori sono autosterili. La cultivar è particolarmente apprezzata per la produttività e l’elevata resa in olio (20-22% circa). Gli oli hanno sapore decisamente dolce con note di amaro e piccante e piacevoli sfumature speziate, con retrogusto di mandorla verde. L’olio è mediamente (65% circa) dotato di acido oleico e di polifenoli totali. Nell’olio DOP Penisola Sorrentina la presenza di questa cultivar non deve essere inferiore al 65%. La pianta è poco sensibile alla rogna e resistente all’occhio di pavone.
Ortice
Ortice Cultivar tipica del Beneventano. L’albero, di medio vigore, ha portamento assurgente e chioma folta ed espansa. I fiori sono autosterili; la fruttificazione è alternante. La maturazione è tardiva. I frutti, di dimensioni medio-grosse, conciati in verde, vengono destinati al consumo diretto. La resa in olio è media (16% circa). Dal punto di vista qualitativo l’olio si contraddistingue per le ottime caratteristiche organolettiche. Il contenuto di acido oleico è medio (67%), così come la dotazione di polifenoli totali (140 ppm). La pianta è sensibile alla rogna e all’occhio di pavone, così come alle basse temperature e alla siccità. Ottobratica Cultivar-popolazione particolarmente diffusa nell’olivicoltura del Reggino, raggiunge la massima concentrazione nella Piana di Gioia Tauro, dove si contraddistingue per le considerevoli dimensioni delle piante. Larga parte (40% circa) dei fiori, autosterili, pre-
Ortice
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ricerca senta ovario abortito. I frutti, di piccole dimensioni (1,5 g), maturano molto scalarmente e tardivamente. La cultivar, spiccatamente alternante, è abbastanza resistente all’occhio di pavone; i frutti vanno soggetti ad attacchi di lebbra. Il contenuto di acido oleico e di polifenoli è medio-basso; le caratteristiche qualitative dell’olio sono ritenute, nel complesso, mediocri, soprattutto quando gli oli vengono estratti da olive raccolte dopo la fine del mese di novembre. Alla maturazione commerciale la resa in olio si aggira intorno al 16%; il contenuto di acido oleico è di circa il 72%; di 145 ppm quello dei polifenoli totali. Perenzana La cultivar è soprattutto diffusa nel versante nord-occidentale della provincia di Foggia. L’albero, di modesto vigore, con portamento espanso e chioma mediamente folta, entra in produzione con qualche anno di ritardo rispetto alle altre principali cultivar pugliesi. La fruttificazione di questa cultivar, autosterile, può essere garantita dalla presenza nell’oliveto di piante di Coratina che fioriscono contemporaneamente. La percentuale di fiori con ovario abortito è decisamente elevata (40% circa). La maturazione dei frutti, il cui peso medio è di 3 g circa, è contemporanea e avviene in epoca intermedia. La resa in olio è medio-bassa, così come il contenuto di acido oleico (67%) e quello di polifenoli. Dal punto di vista organolettico, l’olio ha fruttato medio con note di mandorla e di mela.
Ottobratica
Pisciottana La cultivar raggiunge la massima concentrazione colturale nel Basso Cilento, nei territori comunali compresi tra Agropoli e Sapri
Perenzana
Pisciottana Perenzana
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germoplasma e varietà (SA). Nel Salernitano, la Pisciottana è la seconda cultivar per diffusione, dopo la Rotondella. L’albero, vigoroso, ha portamento assurgente e chioma folta. I frutti sono di dimensioni medio-piccole. I fiori sono autosterili. La cultivar, apprezzata per la produttività negli anni di carica, è però spiccatamente alternante. La maturazione è intermedia e scalare. La resa in olio è medio-alta (20%). L’olio, tendenzialmente dolce, ha contenuto medio-alto di acido oleico (69%) mentre è decisamente elevato (250 ppm) quello di polifenoli totali. La cultivar, assieme ad altre, costituisce la base varietale degli oli della DOP Cilento. La pianta è sensibile all’occhio di pavone, mentre è resistente alla rogna. Ravece È una delle principali cultivar dell’Irpinia (AV). L’albero, di media vigoria, ha portamento assurgente e presenta chioma densa. I fiori sono autosterili. La produzione è costante; tardiva la maturazione. La cultivar è molto apprezzata per la produttività e per le caratteristiche organolettiche dell’olio. La resa in olio è media (15-16%); medio-alto il contenuto in acido oleico (69%). L’olio, fruttato intenso, ha gusto armonico di amaro e di piccante e sentore erbaceo. Elevato (300 ppm) il contenuto di polifenoli totali. La pianta è sensibile alle basse temperature; poco sensibile alla rogna e resistente all’occhio di pavone.
Ravece
Rotondella È la principale cultivar della provincia di Salerno; il nome deriva dalla forma sferica del frutto. L’albero, mediamente vigoroso e con portamento assurgente, ha fiori autosterili. I frutti sono di medie dimensioni e maturano precocemente. La cultivar è molto apprezzata per l’elevata produttività, nonostante la spiccata alternanza. Elevata anche la resa in olio (23%). Il contenuto di acido oleico è medio-elevato (70%), medio quello di polifenoli totali (200 ppm). L’olio, dolce, mandorlato, ha delicate note di amaro e piccante. La cultivar, assieme ad altre, costituisce la base varietale della DOP Colline salernitane. La pianta, mediamente sensibile alla rogna, è resistente all’occhio di pavone e alla siccità.
Ravece
Sinopolese Così come l’Ottobratica, anche questa cultivar è particolarmente diffusa nella Piana di Gioia Tauro. Le piante, vigorose e assurgenti possono raggiungere altezze considerevoli (25 m). I fiori sono autosterili; i frutti, di dimensioni medio-piccole, presentano maturazione tardiva e scalare e possono essere trattenuti sulla pianta fino ai mesi primaverili. La cultivar, spiccatamente alter-
Rotondella
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ricerca nante, tollera le basse temperature, mentre è sensibile all’occhio di pavone. Il contenuto di acido oleico e di polifenoli è medio. Alcuni studiosi sconsigliano l’ulteriore diffusione di questa cultivar per le modeste caratteristiche agronomiche complessive e per le mediocri caratteristiche qualitative degli oli, soprattutto quando estratti da partite di olive raccolte tardivamente, ovvero oltre metà dicembre. La resa in olio mostra marcate variazioni annuali (12-19%) in rapporto all’andamento climatico e alle tecniche colturali. Il contenuto di acido oleico è elevato (circa il 76%); 140 ppm i polifenoli totali. Tonda Cultivar presente in provincia di Crotone e nel versante nordorientale della provincia di Catanzaro. La pianta, di medio vigore, sensibile alla rogna e al cicloconio, produce ad anni alterni. I fiori sono autosterili e un’elevata percentuale di essi (circa il 40%) presenta ovario abortito. I frutti, sferoidali, di dimensioni mediograndi (3-5 g) e con buon rapporto polpa/nocciolo, maturano tardivamente; per le caratteristiche carpologiche complessive le drupe si prestano alla concia in verde.
Sinopolese
Principali cultivar diffuse nell’olivicoltura dell’Italia insulare Biancolilla Con tale denominazione viene indicata una cultivar-popolazione nell’ambito della quale è stata accertata l’esistenza di numerosi genotipi (circa 6), accomunati dalla caratteristica attitudine del frutto a virare dal verde intenso al verde molto pallido con l’approssimarsi dell’invaiatura (“sbiancamento”), per poi assumere la colorazione rosso-violacea all’invaiatura. Diffusa in gran parte degli impianti olivicoli della Sicilia occidentale, la Biancolilla è presente anche nell’olivicoltura della Sicilia sud-orientale. Gli oli ottenuti dai frutti di tale cultivar-popolazione, in purezza o in blend con altri, sono previsti nei disciplinari di produzione delle DOP Valli Trapanesi e Val di Mazara. La Biancolilla di Caltabellotta o Buscionetto, più diffusamente coltivata rispetto agli altri genotipi, è stata assunta, nell’ambito della cultivar-popolazione, come standard di riferimento per l’avvio del sistema di qualificazione vivaistica delle piante. Albero di modesto vigore, con portamento assurgente, presenta rami piuttosto flessibili che negli anni di carica (la cultivar è spiccatamente alternante), sotto il peso della fruttificazione, si piegano facendo assume alla chioma un portamento procumbente. Autosterile, viene impollinata da Nocellara del Belice, Giarraffa e Ogliarola messinese. L’elevata allegagione dei fiori, anche all’interno della stessa mignola, si manifesta con le tipiche infruttescenze a grappolo. Non presenta particolari
Biancolilla
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germoplasma e varietà problemi di moltiplicazione per autoradicazione sia per talea sia in vitro. Il frutto, di medie dimensioni, ha attacco peduncolare sufficientemente forte da non dare luogo a evidenti fenomeni di cascole pre-raccolta. La cultivar, a maturazione intermedia (l’epoca ottimale di raccolta, lungo la fascia costiera meridionale della Sicilia, cade tra la terza e la quarta settimana di ottobre), mostra un’elevata produttività, una breve fase improduttiva e una discreta resistenza al freddo. La resa in olio è mediamente bassa (11-13%). Gli oli, con contenuto di acido oleico medio-basso, dal punto di vista sensoriale risultano dolci per la modesta presenza di polifenoli totali, per cui possono essere utilizzati subito dopo la molitura. Dal punto di vista più squisitamente organolettico, gli oli presentano fruttato amaro e piccante, con sentori di mandorla e, non di rado, carciofo e pomodoro.
Biancolilla
Bosana È la principale cultivar della Sardegna, particolarmente diffusa negli impianti che ricadono nel territorio della provincia di Nuoro; nel versante meridionale della Sardegna la cultivar è abbondantemente rappresentata solamente nel territorio del Medio Campidano. In effetti, più che di una cultivar con la denominazione di Bosana, viene indicata una cultivar-popolazione della quale non è ancora stata completamente esplorata la biodiversità. Anche se i fiori sono parzialmente autofertili, la fruttificazione viene favorita dalla presenza di impollinatori; media la percentuale di fiori con ovario abortito. L’albero, mediamente vigoroso, con portamento mediamente espanso e con chioma mediamente densa, entra precocemente in produzione e, se ben gestito dal punto di vista colturale, fruttifica ogni anno. I frutti, di media pezzatura (3 g circa), oltre che per l’estrazione di olio, conciati in verde e, soprattutto, in nero, risultano particolarmente apprezzati sui mercati regionali per il consumo diretto. La resa in olio è tendenzialmente elevata; ottima la qualità dell’olio ottenuto da olive appena invaiate. La maturazione è piuttosto tardiva e tendenzialmente compatta. La composizione chimica dell’olio si distingue per il contenuto di acido oleico medio-alto (70%) e per la buona presenza di polifenoli totali (150 ppm). Dal punto di vista organolettico, l’olio ha sapore fruttato dolce, con marcate note di amaro e piccante e con sentore di carciofo. La pianta è molto sensibile all’occhio di pavone, patologia che può determinare intensi fenomeni di filloptosi nelle aree olivicole con alto tasso di umidità ambientale; scarsa è invece la sensibilità alla rogna.
Bosana
Bosana
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ricerca Cerasuola Il nome deriva dalla forma (che richiama quella di una ciliegia) e dalla colorazione che il frutto assume alla piena invaiatura (rossoviolaceo). Cultivar caratterizzante i distretti olivicoli di confine tra la provincia di Palermo e quella di Trapani, la si ritrova, con un’elevata incidenza, anche nel territorio comunale di Sciacca (AG). La cultivar, assieme ad altre, costituisce la base varietale degli oli a DOP Val di Mazara e Valli trapanesi. L’albero è molto vigoroso e presenta portamento assurgente che, a differenza della Biancolilla, mantiene anche negli anni di abbondante fruttificazione, poiché i rami fruttiferi sono robusti e poco flessibili. Per le suddette caratteristiche la vegetazione si rinnova sufficientemente anche negli anni di carica per cui la cultivar, soprattutto negli ambienti più siccitosi, è meno alternante rispetto a molte altre. Poiché le antere della Cerasuola non differenziano polline (la cultivar è androsterile), è buona norma intercalare negli impianti alberi di almeno un paio di altre cultivar; buoni impollinatori sono Biancolilla, Nocellara del Belice e Giarraffa. La cultivar si moltiplica facilmente sia per talea sia per innesto. Estremamente sensibile alla rogna e, negli ambienti con alto tasso di umidità atmosferica, anche all’occhio di pavone, la cultivar è abbastanza resistente alla siccità. La maturazione inizia con un paio di settimane di ritardo rispetto alla Biancolilla. La resa in olio varia tra il 15 e il 22%. In rapporto all’elevato contenuto in acido oleico e di polifenoli, gli oli di Cerasuola, correttamente conservati, mantengono le relative proprietà organolettiche e nutraceutiche per lungo tempo. Alla valutazione organolettica l’olio è fruttato medio, amaro e piccante medio-intenso, con sentori di erba tagliata, mandorla e foglie di pomodoro.
Cerasuola
Cerasuola
Nera di Gonnos Si tratta di una cultivar la cui diffusione è limitata ad alcuni distretti olivicoli che ricadono nel territorio della provincia di Cagliari, e più in particolare nel territorio comunale di Gonnosfanadiga. L’albero, che nel paesaggio olivicolo si distingue per il particolare colore verde scuro delle foglie, è mediamente vigoroso, con portamento mediamente assurgente e con chioma molto densa. I fiori, parzialmente autofertili, sono poco soggetti all’aborto dell’ovario. Le produzioni, spesso modeste e incostanti negli anni, riscuotono particolare successo commerciale presso i principali mercati della regione. I frutti, di grosse dimensioni, dopo concia in verde, in salamoia “al naturale”, vengono in genere destinati al consumo diretto. La resa in olio è media. La pianta tollera la rogna ma è mediamente sensibile all’occhio di pavone.
Nera di Gonnos
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germoplasma e varietà Nera di Oliena Coltivata in provincia di Nuoro, la culla di elezione di questa cultivar è il territorio comunale di Oliena. L’albero, mediamente vigoroso, con portamento mediamente espanso e chioma densa, è piuttosto rustico e resistente alle basse temperature. La produzione è media. I fiori, autofertili, presentano scarsa incidenza dell’aborto del l’ovario. I frutti, di grossa pezzatura, con elevato rapporto polpa/nocciolo, a maturazione tardiva, vengono per lo più destinati all’estrazione di olio e, a livello familiare, per il consumo diretto. La resa in olio è media; buona la qualità. Nocellara del Belice Rinomata per la produzione di olive da tavola, la Nocellara del Belice deve il suo nome alla forma del frutto (sferica) e all’areale di origine: la Valle del Belice. L’albero, di medio vigore, ha portamento espanso e chioma tendenzialmente folta. I fiori sono autosterili; buoni impollina tori sono Biancolilla, Giarraffa e Ogliarola messinese. La Nocellara si moltiplica facilmente per autoradicazione, sia per talea sia in vitro. Sottoposta a irrigazione e a potatura annuale, la cultivar manifesta una bassa alternanza di produzione. Quando destinata all’estrazione di olio, la Nocellara viene raccolta 2-3 settimane dopo la Biancolilla e la Cerasuola. Sensibile alla rogna e al cicloconio, soprattutto in irriguo, alla margaronia e alla tignola; in relazione alle dimensioni del frutto e allo spessore della polpa, è molto suscettibile agli attacchi di mosca. La cultivar è più sensibile di altre alla siccità, aspetto molto verosimilmente legato alla frondosità della chioma e all’elevato spessore del mesocarpo, che richiede grandi quantitativi di acqua per mantenere turgide le cellule. Il frutto, sferico, di grosse dimensioni (mediamente 7 giorni), presenta elevato rapporto polpa/nocciolo e si presta molto bene alla trasformazione in verde. Gli oli, molto apprezzati sui mercati dei prodotti di eccellenza, presentano, soprattutto quelli estratti da olive raccolte per la concia in verde, un fruttato di oliva intenso con una punta piacevole di amaro e piccante. La resa in olio oscilla tra il 12 e il 16%. La cultivar contribuisce alla produzione di oli a DOP Valle del Belice e Valli trapanesi e dell’oliva da tavola a DOP Nocellara del Belice. Dal punto di vista sensoriale gli oli presentano fruttato medio-intenso, amaro e piccante medio-intenso con sentori di carciofo, pomodoro e mandorla.
Nera di Oliena
Nocellara del Belice
Nocellara etnea Diffusamente rappresentata negli oliveti della Sicilia centro-orientale, la cultivar raggiunge la massima concentrazione nel territorio della provincia di Catania, in particolare nelle aree olivetate sulle
Nocellara del Belice
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ricerca
Nocellara etnea Nocellara etnea
pendici dell’Etna. In relazione al marcato vigore e al portamento assurgente, nella Piana di Catania, piante di Nocellara etnea vengono utilizzate per costituire barriere frangivento a protezione degli agrumeti. A differenza della Nocellara del Belice quella etnea presenta frutto ellissoidale, con elevato rapporto polpa/nocciolo; il nocciolo, liscio, si distacca facilmente e completamente dalla polpa che è croccante. Per il complesso delle suddette caratteristiche, i frutti della Nocellara etnea, conciati in verde, vengono destinati al consumo diretto. La cultivar, autosterile, produce abbondantemente nelle aree di elezione, dove, oltre a piante di cultivar minori, sono ben rappresentate la Moresca e la Tonda Iblea. Recalcitrante alla radicazione in mist, mostra una maggiore facilità alla moltiplicazione in vitro. L’albero è poco suscettibile alla rogna e all’occhio di pavone. La maturazione è piuttosto tardiva e precede solo di un paio di settimane quella della Nocellara del Belice. La resa in olio è medio-bassa (13-15%) e l’olio si caratterizza per il fruttato di media intensità, l’amaro e il piccante medio, a volte intenso, con sentori di cardo e di carciofo. La cultivar è base varietale della DOP Monte Etna.
Moresca
Moresca Diffusamente coltivata nei territori delle province di Ragusa, Enna e Catania, la cultivar, a maturazione precoce e scalare (metà settembre-fine ottobre), produce frutti di dimensioni medio-grandi, con modesta forza di attacco peduncolare, fattori che, nel loro complesso, sono causa di sensibile perdita di prodotto per la suscettività ad attacchi precoci di mosca e per cascola pre-raccolta. I frutti, conciati in nero e in verde, trovano sbocco presso i principali mercati dell’isola. La cultivar, autosterile, produce regolarmente in presenza di piante di Biancolilla, Tonda Iblea e Nocellara etnea. L’albero, media-
Moresca
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germoplasma e varietà mente vigoroso, ha portamento espanso. La resa in olio è mediobassa e l’olio presenta un modesto contenuto di acido oleico. L’olio presenta fruttato leggero, amaro e piccante leggero-medio, con sentori di mandorla e, a volte, di frutta matura. La cultivar viene annoverata nel disciplinare di produzione degli oli a DOP Monti Iblei e Colline ennesi. Ogliarola messinese È una delle cultivar più rappresentate nell’olivicoltura siciliana. Considerata la variabilità pedologica e climatica del vasto areale di coltivazione, è molto probabile che si tratti di una cultivar popolazione e che notevole sia la diversità genetica dei genotipi che vengono identificati con questa denominazione. La cultivar si riscontra infatti sia nei comprensori olivicoli prossimi al mare sia in aree olivetate marginali. Sui Monti Nebrodi e sui Peloritani, la cultivar è diffusa fino ad altitudini di circa 800 m s.l.m., dove spesso si sostituisce alle essenze da bosco, assolvendo alle funzioni tipiche di tale comunità vegetale: difesa del territorio dal dissesto idrogeologico, caratterizzazione del paesaggio, ricovero e fonte di alimenti per la fauna selvatica. L’albero, di medio vigore, ha portamento espanso; i rami più giovani sono tendenzialmente penduli. La cultivar, autosterile, produce regolarmente in presenza di piante di Biancolilla, Giarraffa e Santagatese. I frutti, di dimensioni medio-grandi, con elevato rapporto polpa/nocciolo, oltre che all’estrazione di olio possono essere destinati al consumo diretto, sia in verde sia in nero, soprattutto per la preparazione di passuluni, un prodotto tipico delle produzioni olivicole siciliane. La resa in olio si aggira intorno al 15%. L’olio, nell’ambito del panorama varietale siciliano, si contraddistingue per l’elevato valore nutraceutico, per l’alto contenuto di acido oleico (circa il 78%) e di polifenoli (oltre 250 ppm) e, dal punto di vista organolettico, per il fruttato medio, l’amaro e piccante medio, con sentori di mandorla e, a volte, di erba e di carciofo. La cultivar è una delle varietà di base per la produzione degli oli a DOP Val di Mazara e Valdemone.
Ogliarola messinese
Ogliarola messinese
Pizz’e carroga Coltivata per lo più nel territorio della provincia di Cagliari, i frutti di tale cultivar, lavorati in verde, in salamoia, sono particolarmente apprezzati nei mercati regionali per il consumo diretto. Decisamente minore è invece il successo di questa cultivar per l’estrazione dell’olio, a motivo della bassa resa e delle modeste caratteristiche organolettiche che, peraltro, decadono nel volgere di pochi mesi di conservazione. L’albero, mediamente vigoroso, con portamento espanso e con chioma rada, manifesta incostanza di produzione ed è particolarmente sensibile all’occhio di pavone e alla rogna.
Pizz’e carroga
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ricerca I fiori, autofertili, hanno bassa incidenza dell’aborto dell’ovario. I frutti, di grosse dimensioni, maturano precocemente. Santagatese Diffusamente rappresentata nelle principali aree olivicole della fascia tirrenica della Sicilia nord-orientale, la cultivar raggiunge la massima concentrazione nel Messinese, nel territorio comunale di Sant’Agata di Militello. L’albero, oltre che per il vigore e il portamento particolarmente assurgente, si distingue facilmente anche per la spiccata differenza di colore tra la pagina superiore (verde intenso) e inferiore (grigio chiaro) della foglia, aspetto che conferisce alla chioma particolari effetti cromatici nelle giornate ventose, fenomeno che caratterizza molto le aree olivicole destinate alla coltivazione di questa cultivar. Per il particolare habitus vegetativo, la Santagatese è stata spesso utilizzata per costitui re barriere frangivento a protezione soprattutto delle piante di limone, particolarmente sensibili ai danni da vento. La cultivar, autosterile, non mostra alcun problema di allegagione in presenza di piante di Ogliarola messinese. La resa in olio è piuttosto elevata. L’olio, contraddistinto da un medio contenuto di acido oleico e di polifenoli totali, ha gusto fruttato medio-intenso, amaro medio, piccante leggero e sentori di pomodoro, carciofo ed erba.
Pizz’e carroga
Semidiana Cultivar di origine autoctona estesamente coltivata nella provincia di Oristano, ma che per le pregevoli caratteristiche agronomiche complessive, in particolare per la precoce e costante fruttificazione, per le buone caratteristiche qualitative dell’olio e per la discreta tolleranza ai principali stress abiotici e biotici, sta riscuotendo un certo interesse colturale al fine della costituzione di nuovi impianti nelle maggiori aree olivicole dell’isola.
Santagatese
Santagatese Semidiana
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germoplasma e varietà L’albero, tendenzialmente vigoroso, ha portamento mediamente espanso e chioma di media densità. I fiori, autofertili, presentano una bassa incidenza dell’aborto del l’ovario. I frutti, di elevate dimensioni, maturano tardivamente e mostrano una resa in olio non elevata. Dal punto di vista organolettico, l’olio ha fruttato medio e ben armonizzato con sentori di amaro e piccante. Tonda di Cagliari Il successo di questa cultivar, che raggiunge la massima concentrazione nella provincia di Cagliari, è determinato dalla possibilità di utilizzare i frutti per l’estrazione di olio e per il consumo diretto. Conciati allo stadio di maturazione verde, in salamoia, i frutti sono particolarmente apprezzati per le pregevoli caratteristiche organolettiche che riescono a mantenere a lungo, durante il periodo di conservazione. L’albero, molto vigoroso, con portamento tendenzialmente assurgente e con chioma molto densa, entra in fruttificazione con un certo ritardo. I fiori, autofertili, presentano bassa incidenza dell’aborto dell’ovario. I frutti, di forma ovoidale, con peso medio-elevato, maturano precocemente e in modo abbastanza uniforme; il rapporto polpa/ nocciolo è elevato, mentre la resa in olio è media. La pianta è piuttosto sensibile all’occhio di pavone, mentre sembra abbastanza resistente alla rogna.
Tonda di Cagliari
Tonda di Cagliari
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ricerca Terza grande Coltivata in appezzamenti di modesta estensione in provincia di Cagliari, bacino di elezione è l’area di Monte Linas. L’albero è mediamente vigoroso, con portamento tendenzialmente espanso, e presenta chioma piuttosto densa. La produttività è media, così come media è la costanza di produzione. I fiori sono autofertili. I frutti, di grandi dimensioni, vengono prevalentemente destinati al consumo diretto. L’olio si distingue per le apprezzabili caratteristiche organolettiche e per l’elevato contenuto di acido oleico. La pianta è mediamente sensibile alle principali avversità parassitarie. Tonda Iblea Nonostante il nome evochi la sfericità del frutto, questa cultivar produce drupe ellissoidali. L’albero è molto vigoroso e con portamento assurgente; i fiori sono autosterili; la fruttificazione viene garantita dalla presenza, negli impianti, di alberi delle cultivar Nocellara etnea, Biancolilla e Moresca, che assolvono alla funzione di impollinatori. Piante franche di piede possono essere agevolmente ottenute sia in serra mist sia in vitro. La cultivar è rinomata per la qualità dell’olio (dolce, armonico), certamente tra i più blasonati fra i monovarietali prodotti in Italia. Nelle annate di scarica cospicui quantitativi di frutti maturi vengono destinati alla produzione di olive nere per il consumo diretto.
Tonda Iblea
Tonda Iblea
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germoplasma e varietà La cultivar, assieme ad altre, costituisce la base varietale degli oli DOP Monti Iblei. Dal punto di vista organolettico l’olio presenta fruttato medio-intenso; amaro e piccante medio, a volte intenso; sentori talvolta intensi di foglia di pomodoro. Tonda di Villacidro Cultivar-popolazione diffusamente rappresentata nei principali comprensori olivicoli della Sardegna, raggiunge la massima concentrazione colturale negli oliveti del Cagliaritano e in particolare negli impianti che ricadono nel territorio comunale di Villacidro. L’albero, di medio vigore, con portamento espanso e chioma molto densa, tollera le basse temperature. L’alternanza di produzione è media. I fiori sono autofertili e mediamente soggetti all’aborto dell’ovario. Ai fini della fruttificazione la cultivar si avvantaggia dell’impollinazione incrociata. I frutti, medio-grandi (5 g circa), maturano piuttosto tardi (anche a marzo nelle are più fredde) ma in modo omogeneo, tanto che alla piena maturazione buona parte di essi presenta colorazione uniformemente nera. I frutti, soprattutto quelli più grossi, oltre che per l’estrazione dell’olio vengono utilizzati, su scala regionale, per il consumo diretto. La resa in olio è media; l’olio, di sapore fruttato medio, ha retrogusto amaro e piccante medio. La pianta, piuttosto rustica, può valorizzare ambienti siccitosi e suoli di modesta fertilità agronomica. Media la sensibilità della pianta alla rogna e all’occhio di pavone.
Tonda di Villacidro
Panoramica di oliveti e vigneti a Suvereto (LI)
Foto R. Angelini
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l’ulivo e l’olio
ricerca Innovazioni in olivicoltura Paolo Inglese, Franco Famiani, Enzo Perri
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Innovazioni in olivicoltura Introduzione L’attività di ricerca nel settore olivicolo-oleario, analogamente a quella dell’intero comparto agricolo, ha avuto un notevole sviluppo a partire dagli anni seguenti la Seconda guerra mondiale a oggi, a opera, soprattutto, delle Università e degli Istituti di ricerca del CNR e del Ministero dell’Agricoltura, in particolare di quelli specificamente dedicati allo studio dell’olivicoltura e dell’elaiotecnica. Quest’attività ha permesso la definizione di modelli e tecniche di gestione che permettono il raggiungimento di elevati standard produttivi, in termini sia di quantità sia di qualità del prodotto, la meccanizzazione della gran parte delle operazioni colturali e la riduzione al minimo degli effetti negativi del processo produttivo sull’ambiente (sostenibilità ambientale). Ha consentito, inoltre, di sviluppare il concetto di qualità dell’olio in modo da valorizzarne sia le caratteristiche organolettiche sia quelle nutrizionali-salutistiche. L’olivicoltura ha abbandonato la coltura promiscua, ha goduto di un intenso lavoro in campo vivaistico con l’affermazione, accanto all’innesto, della moltiplicazione per talea semilegnosa, è stata oggetto di un’elevata intensificazione e meccanizzazione delle tecniche colturali, ha vissuto diversi tentativi, non sempre di successo, di innovazione dei modelli di impianto, fino alla definizione del modello intensivo e alla recente proposta del modello superintensivo, caratterizzato da elevate densità di piantagione e breve durata degli oliveti. Infine, anche se non è stata oggetto di un’incisiva innovazione sul piano varietale, almeno in termini di nuove varietà prodotte e utilizzate nei nuovi impianti, è stata al centro di un’intensa attività di studio sul germoplasma olivicolo, che ha consentito di definire l’ampiezza e le caratteristiche gene-
Giovane oliveto superintensivo in Sicilia (1667 piante/ha)
Scuotitore da tronco e telaio intercettatore per la raccolta meccanica delle olive montati su una trattrice Giovane oliveto intensivo in Umbria (400 piante/ha)
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innovazioni in olivicoltura tiche, agronomiche e qualitative dell’olio della maggior parte delle varietà presenti in Italia, oggi in numerosi casi valorizzate dal riconoscimento di diverse DOP e IGP in tutte le regioni olivicole del Paese e dal loro utilizzo per la produzione di oli monovarietali o di miscele dichiarate (blend). Modelli di impianto Nella maggior parte delle situazioni rilevabili nei Paesi in cui si coltiva l’olivo, le sperimentazioni effettuate hanno evidenziato che i migliori risultati si ottengono con un numero di piante per ettaro compreso tra 200 e 400, a seconda delle condizioni ambientali e delle cultivar utilizzate. Queste densità di piantagione, se confrontate con quelle di altre specie arboree da frutto (per es. melo e pero) sono da considerare basse; ciò è da mettere in relazione al fatto che in olivicoltura, in generale, non si dispone ancora di portinnesti e/o varietà utilizzabili su larga scala caratterizzati da basso vigore. In Italia, a tali densità di piantagione, è stato definito un modello di coltivazione intensiva (olivicoltura intensiva), che va bene in zone di pianura o di collina con pendenze massime inferiori al 20%. Tale sistema è caratterizzato dall’utilizzo di piante autoradicate o innestate, certificate, disposte con distanze regolari, allevate generalmente a vaso (spesso con forma non troppo vincolata geometricamente [vaso libero], che permette una più semplice gestione della chioma), con un tronco alto 1-1,2 m e con branche principali con un angolo di inclinazione sul tronco relativamente stretto (intorno a 35° rispetto alla verticale), in maniera da essere adatte alla raccolta meccanica con scuotitori da tronco dotati di telaio intercettatore. Gli oliveti intensivi, grazie ai ridotti interventi di potatura nella fase di allevamento e alla razionale tecnica di coltivazione applicata (in particolare irrigazione e concimazione),
Oliveto intensivo in Puglia (Salento), costituito da piante allevate a vaso “libero” delle cultivar Cellina di Nardò, Ogliarola salentina e Nociara
Oliveto intensivo in Umbria, costituito da piante allevate a vaso delle cultivar Frantoio e Leccino
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ricerca entrano in produzione al 3°-4° anno e consentono nella fase adulta, da 7-10 anni dopo l’impianto, rese in olive variabili dalle 4-6 alle 8-13 t/ha, in dipendenza soprattutto delle condizioni pedoclimatiche e dell’applicazione più o meno intensa dell’irrigazione. Si tratta di un’olivicoltura in grado di dare elevate produzioni e oli di alta qualità con costi relativamente contenuti. Nel corso degli anni, ci sono stati dei tentativi per lo sviluppo di nuovi modelli di impianto basati sull’adozione di nuove forme di allevamento, tra cui si ricordano il vaso cespugliato e il monocono. Il primo, proposto da Morettini dopo la gelata del 1956, ottenuto ponendo a dimora 3 olivi all’estremità di un triangolo equilatero di 1 m di lato e allevando gli stessi in maniera da avere un’unica chioma (vaso policaule), o derivante dal taglio al ciocco di piante danneggiate dalle gelate e dall’allevamento di 3-4 polloni, è rimasto confinato al Centro Italia in oliveti ricostituiti a seguito di gelate. Oggi non è di interesse per la realizzazione di nuovi impianti a causa dei problemi che presenta per il controllo delle erbe infestanti nella zona compresa fra le piante e, soprattutto, per l’utilizzo di scuotitori da tronco per l’esecuzione della raccolta. Il monocono, che deve il nome al fatto che la vegetazione è distribuita su un unico asse verticale (fusto) con lunghezza delle ramificazioni laterali decrescente dalla base all’apice della pianta, cosicché la chioma assume una forma assimilabile a un cono, è stato proposto con forza negli anni ’80 del XX secolo perché ritenuto idoneo per la meccanizzazione della potatura e della raccolta (con scuotitori da tronco) e per l’aumento delle densità di piantagione (impiegato spesso con distanze tra le piante di 6×3 m), ma non ha avuto l’affermazione che ci si aspettava. Ciò è probabilmente dipeso dalle difficoltà che in numerosi casi si sono avute per mantenere la chioma efficiente: la vegetazione spesso tende ad allargarsi e svilupparsi verso l’alto eccessivamente, con conseguente progressivo ombreggiamento delle porzioni interne e basali della chioma, che determina la necessità di eseguire energiche potature che portano facilmente a squilibri vegeto-produttivi, soprattutto quando tale forma è utilizzata con varietà vigorose e/o in condizioni pedo-climatiche che esaltano l’accrescimento vegetativo degli alberi. A partire dai primi anni ’90, in Spagna, è stato sviluppato un nuovo modello di impianto, caratterizzato dall’utilizzo di un elevato numero di piante/ha (1500-2500) appartenenti a varietà a sviluppo contenuto (limitato vigore), che consente alte produzioni a partire dal 3° anno dall’impianto e di eseguire la raccolta con macchine scavallatrici, che permettono di ridurre enormemente i tempi per l’esecuzione di questa pratica (3-4 h/ha) e quindi i costi. Si tratta di un sistema che ha destato un grandissimo interesse per i grandi vantaggi che potrebbe consentire in termini, soprattutto, di riduzione dei costi e di fabbisogno di manodopera, quest’ultima sempre più difficile da reperire, ma sono ancora poche le speri-
Oliveto in Umbria, con piante allevate a vaso cespugliato
Oliveto in Umbria, con piante allevate a monocono
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innovazioni in olivicoltura mentazioni condotte per la sua valutazione e quelle che riportano maggiori dati si riferiscono a impianti di 7 anni di età, quindi ancora relativamente giovani. La maggior parte dei lavori sperimentali è stata effettuata in Spagna e ha riguardato poche cultivar, principalmente l’Arbequina, l’Arbosana e la Koroneiki (e dei loro cloni), che attualmente sono indicate come le migliori per il modello superintensivo. Pertanto, è necessario effettuare ulteriori ricerche per avere indicazioni definitive sulla validità di questo sistema di coltivazione. Al di là delle problematiche, tutte ancora aperte, sulla durata degli impianti (si ipotizzano 15-20 anni) e sulla loro sostenibilità economica e ambientale, per l’Italia assume particolare importanza valutare se e in che misura il sistema superintensivo sia utilizzabile tenendo conto della grande eterogeneità territoriale che caratterizza il Paese e dell’esigenza di salvaguardare il patrimonio varietale, che è anche un patrimonio culturale dell’agricoltura e della gastronomia italiana. In altre parole, occorre verificare se il modello superintensivo sia compatibile con la valorizzazione della produzione italiana, basata sull’elevata qualità e sulla differenziazione degli oli ottenibili dall’ampio e diversificato germoplasma olivicolo disponibile. In ciò potrebbe assumere molta importanza la selezione di portinnesti nanizzanti e l’individuazione delle varietà italiane più adatte al sistema superintensivo (con riguardo soprattutto a quelle caratterizzate da limitato vigore). Questa è una delle sfide più importanti che la ricerca dovrà affrontare nel prossimo futuro. A riguardo, è interessante constatare che in Italia, negli ultimi 6-7 anni, sono stati realizzati impianti sperimentali in numerose regioni, quali Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto, utilizzando, accanto alle cultivar Arbosana, Arbequina e Koroneiki, anche diverse varietà italiane, sia prodotte dal miglioramento genetico (FS-17, Don Carlo, Urano), sia tradizionali impiegando anche quelle minori carat-
Oliveto superintensivo in Sicilia
Oliveto superintensivo in Lazio
587
ricerca terizzate da limitato vigore (per es. Borgiona, Cassanese, Dolce di Rossano, Frantoio, Gentile di Anghiari, Grignan, Leccino, Maurino, Moraiolo, Nocellara messinese, Ortice, Piantone di Falerone, Piantone di Mogliano, Roggianella, Rosciola, Rosciola Colli Esini, Tondina ecc.), che nei prossimi anni forniranno utili indicazioni sulle possibilità di impiego degli impianti superintensivi in Italia. Riguardo all’adattabilità del sistema alle eterogenee condizioni ambientali italiane, va considerato che gli oliveti superintensivi presentano esigenze quali: terreni pianeggianti o in leggera pendenza, buone disponibilità idriche per l’irrigazione, limitati rischi di gelate, bassa umidità atmosferica, che spesso non sono facili da soddisfare. In relazione all’impatto del sistema sull’ambiente e alla sua adattabilità ai diversi metodi di coltivazione, va considerato che gli impianti superintensivi sono più suscettibili ai patogeni e ai fitofagi e quindi necessitano di numerosi trattamenti antiparassitari, richiedono un’intensa applicazione dell’irrigazione e della concimazione e, pertanto, hanno un impatto sull’ambiente più alto di quello del sistema di coltivazione intensivo e non si prestano all’applicazione di metodi di coltivazione altamente ecocompatibili come quello biologico. Varietà e qualità dell’olio La pressione selettiva esercitata dagli olivicoltori e le notevoli differenze pedo-climatiche rilevabili negli ambienti in cui l’olivo si è sviluppato hanno determinato, nel corso dei secoli, l’origine e la diffusione nel mondo di oltre 1200 varietà, che rappresentano un’ampia base per la scelta varietale. Ciò ha spinto verso la conduzione di molte ricerche con lo scopo di caratterizzare il patrimonio olivicolo esistente, prendendo in considerazione le caratteristiche morfologiche, biologiche e agronomiche delle piante e, soprattutto nell’ultimo decennio, anche gli attributi qualitativi degli
Giovani piante in un oliveto superintensivo
Abbondante fruttificazione in giovani piante delle cultivar Arbequina (a sinistra) e Koroneiki (a destra)
588
innovazioni in olivicoltura oli. Tali studi hanno permesso di evidenziare diversità nell’accrescimento vegetativo (vigore e habitus di sviluppo), nella biologia fiorale (autofertilità/autosterilità), nell’abbondanza e costanza di produzione, nelle caratteristiche dei frutti (resistenza al distacco, dimensioni, durezza della polpa, pigmentazione, rapporto polpa/ nocciolo, contenuto in olio), nella resistenza a stress abiotici (siccità, salinità, alte e basse temperature) e biotici (sensibilità a occhio di pavone, verticilliosi ecc.) e nella qualità dell’olio. Il lavoro svolto sull’olio è molto importante, in quanto, negli ultimi anni, una delle strategie di valorizzazione del prodotto italiano è legata proprio alla sua differenziazione (innovazione di prodotto/ tipicità) sulla base delle sue caratteristiche organolettiche e nutrizionali-salutistiche che, oltre che dall’ambiente e dalle tecniche di coltivazione e di estrazione dell’olio, dipendono fortemente dalla cultivar. In effetti, le diverse varietà possono mostrare delle differenze di composizione degli oli molto ampie. Negli ultimi anni, il concetto di qualità ha subito una notevole evoluzione. La qualità non può essere considerata solo come “l’insieme delle caratteristiche di un prodotto in grado di soddisfare le esigenze espresse e non espresse del consumatore” (norme ISO). La qualità orientata dal giudizio del consumatore è un concetto complesso e multidimensionale, che comprende fattori soggetti600 500 400 300 200
0
Coratina Ogliarola leccese Ogliarola barese Cima di Melfi Nociara Peranzana Nocellara del Belice Ogliarola messinese Cerasuola Tonda Iblea Nocellara etnea Biancolilla Carolea Ottobratica Grossa di Gerace Tonda di Strongoli Dolce di Rossano Agristigna Tondina Sinopolese
100
Particolare dei frutti delle cultivar Frantoio (in alto), Leccino (al centro) e Moraiolo (in basso)
Contenuto in sostanze fenoliche totali di oli estratti da diverse varietà di olivo del Sud Italia coltivate in un campo collezione: si noti la grande variabilità dovuta alla cultivar (media annate 1999/2000 e 2000/2001)
589
ricerca vi e oggettivi, flessibili e dinamici nel tempo. L’identificazione dei parametri qualitativi rilevanti per il consumatore e il trasferimento delle sue percezioni in attributi di qualità del prodotto è certamente molto importante per la produzione, la commercializzazione e il marketing, ma nella valutazione della qualità di un olio non si può prescindere dal concetto di qualità oggettiva, anch’esso poliedrico, ma misurabile, verificabile e rispondente a predeterminati standard ideali. Infatti, la qualità oggettiva di un olio extravergine d’oliva è un insieme di qualità, funzione delle sue caratteristiche merceologiche, igienico-sanitarie, sensoriali, nutrizionali-salutistiche, e, in futuro, si spera farmacologiche, considerato che negli ultimi anni sono state ottenute le prime evidenze circa la presenza nell’olio d’oliva di sostanze dotate di attività biologiche benefiche, come l’oleocantale, che è un composto che ha le stesse proprietà antinfiammatorie dell’ibuprofene e quindi ha effetti protettivi nei confronti dell’organismo umano. La qualità oggettiva oggi considerata è frutto di un’evoluzione durante la quale alla qualità merceologica, connessa alla genuinità del prodotto, che è alla base della classificazione degli oli di oliva in extravergine, vergine, lampante ecc., si sono aggiunte la qualità igienico-sanitaria (sicurezza), che riguarda l’assenza di sostanze contaminanti, la qualità sensoriale (edonistica), che fa riferimento all’aroma, al gusto e al colore (dati soprattutto dagli attributi organolettici di fruttato, amaro/dolce, piccante, speziato, floreale ecc., dei quali sono responsabili i composti aromatici, le sostanze fenoliche e i pigmenti contenuti nell’olio) e la qualità nutrizionalesalutistica, connessa soprattutto alla composizione in acidi grassi e al contenuto in sostanze antiossidanti, quali caroteni, tocoferoli (vitamina E) e, soprattutto, composti fenolici. Questi ultimi sono presenti solo nell’olio di oliva, mentre i caroteni e i tocoferoli si possono trovare anche in altri oli vegetali o grassi animali. Le sostanze fenoliche hanno anche effetti indiretti sulla qualità proteggendo l’olio dall’ossidazione e aumentando la sua conservabilità. Riguardo agli aspetti nutrizionali e salutistici, si sta registrando un forte aumento di interesse da parte dei consumatori nei confronti di sostanze contenute nelle olive e nei loro derivati che esplicano un’attività biologica benefica nell’organismo umano, soprattutto a livello di mantenimento del benessere, di rallentamento dell’invecchiamento e di prevenzione di malattie. Le attività biologiche svolte dai composti fenolici potrebbero consentire all’olio di oliva di assumere anche la dignità di alimento funzionale, cioè di prodotto che ha proprietà benefiche sulla salute. Data l’importanza delle caratteristiche sensoriali e nutrizionalisalutistiche degli oli, sono state effettuate numerose ricerche per identificare i composti responsabili di tali caratteristiche, che sono anche alla base dell’eventuale tipicità dell’olio. La tecnica più utilizzata per l’identificazione nell’olio dei composti volatili responsabili dell’aroma e delle sostanze dotate di attività antiossidanti e
Fenoli dell’oliva e dell’olio di oliva
• Le sostanze fenoliche, idrofile, degli
oli vergini di oliva sono le molecole sulle quali oggi si concentra il maggiore interesse dal punto di vista salutistico. La maggior parte di esse deriva dall’oleuropeina, un glucoside secoiridoide o-difenolico, o dal suo omologo: il ligustroside. Esse comprendono, in particolare, o-difenoli e fenoli come il 3,4- diidrossifeniletanolo e il 4-idrossifeniletanolo, la forma aldeidica dell’acido elenolico legata al 3,4-diidrossifeniletanolo, la forma aldeidica dell’acido elenolico legata al 4-idrossifeniletanolo, nota anche come oleocantale, caratterizzato da notevole attività antinfiammatoria. Infine, l’olio vergine d’oliva contiene anche alcuni lignani, come il (+)-1acetossipinoresinolo, il (+)-pinoresinolo e il (+)-1-idrossipinoresinolo, e piccole quantità della stessa oleuropeina
Particolare dei frutti della cultivar Nociaria, coltivata in Puglia
590
innovazioni in olivicoltura biologiche è la spettrometria di massa: spettrometri interfacciati a gascromatografi per l’analisi dei composti volatili e a cromatografi liquidi per la determinazione dei fenoli e delle vitamine. Ultimamente, per l’olio, accanto all’aumento della richiesta di un prodotto di qualità e magari differenziato, è incrementata la domanda di sicurezza con particolare riferimento alle caratteristiche dichiarate in etichetta, al processo attraverso cui è stato ottenuto il prodotto e alla provenienza. Finora, questa sicurezza è stata data soprattutto attraverso vie documentali (rintracciabilità), ma si stanno conducendo ricerche per definire metodi e marker analitici che permettano dei controlli diretti sul prodotto. In relazione alle possibilità di differenziazione della produzione, è da considerare che l’Italia presenta una situazione più favorevole degli altri Paesi olivicoli. Infatti, la notevole eterogeneità del terri-
Attività biologiche dei fenoli presenti nelle olive e negli oli di oliva
• I fenoli di origine vegetale possiedono
un ampio spettro di attività biologiche, importanti per la salute umana. Malgrado ciò, poco è ancora noto sulle proprietà dei composti fenolici presenti nelle olive e negli oli d’oliva. Mentre nell’antichità era nota l’attività ipotensiva e antimicrobica degli estratti delle foglie d’olivo, recentemente l’interesse nei confronti di questi composti scaturisce dal fatto che essi possiedono notevoli capacità antiossidanti, tali da svolgere sicuramente un effetto protettivo e preventivo nei confronti delle diverse patologie associate allo stress ossidativo, come l’aterosclerosi, alcune forme di cancro e i fenomeni di tipo infiammatorio
Strutture chimiche di alcuni fenoli e orto-difenoli presenti nell’olio vergine di oliva 2’
R
7’ 1’
8’
3’
HO
O’
4’
O 7
5’ 6
COOCH3 4
R
Oleuropeina
1 OH
Ligustroside
2
H
3
5 9
10
Composto
1
6’
O O
8
O
1’
4’
OH
2’
OH
3’
HO R
CH2OH
5’
OH
Composto
R
Idrossitirosolo 3 OH Tirosolo
HO 2’
R
8’
3’
HO
4’
Dialdeide dell’acido elenolico legata al 3,4-diidrossifeniletanolo
O
Oleocantale
7
5’ 6
5 OH H 6
H
H
4 3
5 9
10
H
R R′
Composto
7’ 1’
O’
4
1
O
8
Particolare dei frutti della cultivar Cellina di Nardò, coltivata in Puglia
O
591
ricerca torio nazionale e l’elevato numero di varietà di olivo presenti creano le condizioni per una decisa differenziazione della produzione (DOP, IGP, oli monovarietali, oli ad alto valore nutrizionale, miscele dichiarate, olio biologico ecc.), anche all’interno delle singole regioni in cui la coltivazione dell’olivo è importante. Recentemente, sono stati condotti numerosi studi volti a caratterizzare con tecniche molecolari le diverse varietà di olivo. L’uso di marcatori molecolari è molto utile per il riconoscimento varietale e per la risoluzione dei numerosi casi di sinonimia e omonimia che caratterizzano il patrimonio olivicolo.
Varietà di olivo coltivate nei più importanti Paesi olivicoli Paese
Varietà totali (n.)
Principali varietà coltivate
Incidenza % delle principali varietà coltivate
Spagna
272
Picual, Cornicabra, Hojiblanca, Manzanilla de Sevilla, Arbequina, Morisca de Badajoz, Empeltre, Manzanilla Cacereña, Lechin de Sevilla, Picudo, Lechin de Granada, Verdial de Badajoz, Morrut, Sevillenca, Villalonga, Castellana, Farga, Verdial de Huevar, Blanqueta, Gordal Sevillana, Verdial de Velez-Malaga, Aloreña, Changlot Real, Alfafara
24 varietà coprono circa il 96% della superficie totale destinata all’olivicoltura. Le 3 principali cultivar coprono circa il 63% della superficie totale
Italia
538
Coratina, Ogliarola salentina, Cellina di Nardò, Carolea, Frantoio, Leccino, Ogliarola barese, Moraiolo, Bosana, Cima di Mola, Dolce di Rossano, Ogliarola messinese, Ottobratica, Sinopolese, Nocellara del Belice, Canino, Carboncella, Itrana, Moresca, Rotondella, Taggiasca, Tondina, Grossa di Gerace, Nocellara etnea
24 varietà coprono circa il 58% della superficie totale destinata all’olivicoltura. Le prime 3 cultivar riportate coprono circa il 19% della superficie totale. Oltre alle 24 riportate, altre 100 varietà coprono, ognuna, una quota variabile dallo 0,1 allo 0,9% della superficie totale
Grecia
52
Koroneiki, Kalamon (Kalamata), Mastoidis
3 varietà coprono circa il 90% della superficie totale destinata all’olivicoltura. La Koroneiki da sola copre circa il 55% della superficie totale
Portogallo
24
Galega Vulgar, Cobrancosa, Cordovil de Serpa
3 varietà coprono circa il 96% della superficie totale destinata all’olivicoltura. La Galega Vulgar da sola copre circa l’80% della superficie totale
Tunisia
44
Chemlali de Sfax, Chetoui
2 varietà coprono circa il 95% della superficie totale destinata all’olivicoltura. La Chemlali de Sfax da sola copre circa il 60% della superficie totale
Marocco
6
Picholine Marocaine
1 varietà copre circa il 97% della superficie totale destinata all’olivicoltura
Algeria
36
Chemlal de Kabylie, Sigoise, Limli, Azeradj
4 varietà coprono circa il 70% della superficie totale destinata all’olivicoltura. Le prime due riportate coprono il 50-55% della superficie totale
Turchia
80
Memecik, Ayvalik, Gemlik
3 varietà coprono circa il 75% della superficie totale destinata all’olivicoltura. La Memecik da sola copre circa il 45% della superficie totale
Siria
> 70
Zaity, Sorani, Doebli, Khodeiri, Kaissy
5 varietà coprono circa il 90% della superficie totale destinata all’olivicoltura. Le prime due riportate coprono circa il 63% della superficie totale
Fonte: rielaborazione da Pannelli (2005)
592
innovazioni in olivicoltura Miglioramento genetico e vivaismo Il miglioramento genetico, reso difficoltoso dalla lunga fase di giovanilità dei semenzali e dall’elevata eterozigosi della specie ha dato finora risultati molto limitati nella creazione di nuove varietà. Quelle che sono state proposte dai costitutori hanno spesso deluso le aspettative, risultando prive di caratteristiche veramente migliorative rispetto alle varietà tradizionali. Gli aspetti su cui si è concentrato il miglioramento genetico sono stati la produttività (precoce entrata in produzione delle piante ed elevata resa in olio delle olive), l’autofertilità, la limitata vigoria e l’habitus di sviluppo compatto delle piante, la resistenza ad avversità abiotiche e biotiche, la pezzatura e il rapporto polpa/nocciolo delle olive. Recentemente, un certo interesse è stato assunto dalle nuove varietà FS-17 e Urano prodotte in Italia, che per il loro limitato vigore sono utilizzate per essere provate negli oliveti superintensivi. Il miglioramento genetico ha dato risultati molto limitati anche per la produzione di portinnesti. Con lo sviluppo della biologia molecolare, dalla seconda metà degli anni ’80, sono state condotte ricerche utilizzando la tecnica della trasformazione genetica che sembra una via interessante per il futuro, magari in abbinamento all’uso di tecniche tradizionali di miglioramento genetico (selezione clonale, incrocio, mutagenesi), per la creazione di nuove varietà e di portinnesti e per correggere eventuali difetti nelle cultivar già diffuse. A livello vivaistico sono stati fatti notevoli progressi definendo degli efficienti protocolli per la moltiplicazione delle piante per talea semilegnosa e per innesto. Inoltre, sono state sviluppate efficienti procedure anche per la micropropagazione. Tuttavia, ulteriori studi potrebbero essere utili per migliorare l’efficienza della produzione vivaistica attraverso una fine ottimizzazione di tutte le fasi e il ricorso all’impiego delle micorrize, per l’ottenimento delle piantine pronte per la messa a dimora, dando particolare importanza alla produzione di materiale esente da patogeni e in particolare da virus e quindi certificato. Il perseguimento di strategie di differenziazione della produzione determina la necessità di allargare l’offerta varietale dei vivai, includendo anche le varietà minori più interessanti. A tale riguardo, sarebbero auspicabili ulteriori studi volti a valutare la risposta delle diverse varietà ai differenti sistemi di propagazione e a mettere a punto specifici aggiustamenti in caso di difficoltà.
Talee semilegnose prima e dopo la radicazione
Tecnica colturale L’innovazione della gestione della pianta e dell’oliveto è frutto di numerose ricerche che hanno riguardato sia la biologia e fisiologia della pianta, sia l’interazione di essa con l’ambiente e le tecniche colturali. Numerosissimi sono stati gli studi condotti con l’obiettivo di ottimizzare le diverse pratiche colturali in termini di efficacia nel promuovere l’accrescimento e la produttività delle piante, di raggiungimento di elevati standard qualitativi, di salvaguardia ambientale e di riduzione dei costi di produzione.
Micropropagazione dell’olivo: vaso con germogli al termine della fase di proliferazione in vitro e particolare
593
ricerca Nel corso degli ultimi decenni, la salubrità delle produzioni e la minimizzazione dell’impatto della coltivazione sull’ambiente hanno assunto grande importanza, tanto da spingere la ricerca e il mondo operativo alla definizione di forme di produzione, quali l’integrata e la biologica, che prevedono, rispettivamente, la riduzione o l’eliminazione dell’impiego di sostanze chimiche di sintesi nel ciclo produttivo. Nella gestione del suolo, accanto al mantenimento delle tradizionali lavorazioni negli ambienti siccitosi soprattutto in terreni pianeggianti, si è assistito a un crescente impiego dell’inerbimento per i numerosi vantaggi che questo presenta rispetto alle lavorazioni: consente di mantenere o incrementare il livello di sostanza organica del terreno, influisce in maniera positiva sull’instaurarsi di un equilibrio tra gli insetti nocivi e i loro nemici naturali (che nel cotico erboso possono riprodursi e trovare rifugio e alimentazione), rappresenta una protezione contro l’erosione, riduce il compattamento del suolo causato dalla circolazione dei mezzi meccanici, agevola l’esecuzione della raccolta e della potatura, permette lo sviluppo, anche negli strati superficiali di terreno, dell’apparato radicale degli olivi, riduce la perdita di elementi nutritivi, in particolare dell’azoto per lisciviazione (determinando minori rischi di inquinamento delle falde acquifere), determina una migliore distribuzione/ disponibilità degli elementi nutritivi nel profilo del terreno. Inoltre, se costituito in quota significativa da leguminose, può fornire azoto. Il principale svantaggio dell’inerbimento è rappresentato dalla competizione idrica tra il prato e gli olivi. La diffusione dell’irrigazione ha contribuito ad aumentare l’applicazione dell’inerbimento. L’inerbimento temporaneo nel periodo autunno-primaverile con graminacee e leguminose (per es. orzo + favino o veccia) o con sole leguminose per eseguire il sovescio in primavera rappresenta una pratica importante per la fertilizzazione degli oliveti biologici.
Oliveto con irrigazione a goccia con tubazione gocciolante sospesa
Oliveto intensivo con gestione del suolo mediante inerbimento
594
innovazioni in olivicoltura Sono state messe a punto strategie per un utilizzo più sicuro dei diserbanti. In particolare, sono stati individuati gli erbicidi che presentano un minore impatto sull’ambiente, perché sono meno soggetti ad accumularsi nel terreno o a essere lisciviati, e sono state definite delle modalità di applicazione che ne riducono la pericolosità: somministrazione solo lungo la fila e rispetto di soglie in termini di quantità massima dei diversi principi attivi che può essere somministrata annualmente nell’unità di superficie. Per i diserbanti si impone una continua attività sperimentale per lo sviluppo e la valutazione di nuovi principi attivi. Riguardo all’irrigazione, molta importanza è stata data alla messa a punto di procedure e parametri (per es. coefficienti colturali) per la determinazione delle quantità di acqua da apportare alla coltura in funzione dell’ambiente e delle condizioni colturali. Il sistema di distribuzione a microportata (a goccia o a microspruzzo) è risultato essere quello che permette un più efficiente utilizzo della risorsa acqua in termini sia produttivi sia ambientali. Numerose ricerche hanno evidenziato che l’irrigazione è una delle pratiche che più influenza la qualità dell’olio (contenuto in sostanze fenoliche, colore, caratteristiche organolettiche ecc.), tanto che si è iniziato a parlare di “irrigazione qualitativa”, cioè dell’uso di questa pratica per migliorare/differenziare le caratteristiche qualitative del prodotto. Interessanti sono i risultati ottenuti in recenti ricerche sull’utilizzo del deficit idrico controllato nell’applicare l’irrigazione, con lo scopo di ridurre le quantità di acqua da somministrare senza avere, rispetto alle tesi pienamente irrigate, significativi effetti negativi sulla produzione in termini sia quantitativi sia qualitativi. Ulteriori sperimentazioni, volte a una più capillare definizione dei coefficienti colturali e delle possibilità di applicazione del deficit idrico controllato nelle diverse regioni olivicole italiane, sarebbero molto utili per l’ottimizzazione dell’uso dell’acqua, risorsa sempre più scarsa e preziosa. Diversi studi hanno riguardato anche la valutazione delle possibilità di impiego di acque non convenzionali, quali acque salmastre, reflui urbani trattati ecc. Negli ultimi anni ha assunto un certo interesse la subirrigazione (Subsurface Drip Irrigation, SDI), cioè l’apporto idrico mediante tubazioni interrate, che permettono di minimizzare le perdite di acqua per evaporazione, di fornire acqua direttamente a livello delle radici e di non ostacolare in nessun modo l’utilizzazione delle macchine nell’oliveto. Tale sistema ha acquisito interesse grazie all’evoluzione tecnologica che ha portato a disporre di macchine per l’interramento delle ali gocciolanti, di erogatori dotati di dispositivi che evitano la penetrazione delle radici al loro interno e la conseguente occlusione, di sistemi di filtrazione sempre più efficienti, di meccanismi automatici di pulizia dell’impianto. Gli studi sulla fertilizzazione hanno per lo più riguardato la definizione dei fabbisogni dei diversi elementi nutritivi e gli effetti di questa pratica sull’accrescimento delle piante e sulla quantità di
Oliveto con irrigazione a goccia con linea gocciolante stesa a terra
Foto R. Angelini
Oliveto con ala gocciolante
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ricerca prodotto ottenibile. Alcune indicazioni sono state rese disponibili per somministrare gli elementi nutritivi insieme all’irrigazione, fertirrigazione, in maniera da creare sinergie tra l’acqua e gli elementi nutritivi somministrati. A tale riguardo, ulteriori studi sono necessari per ottimizzare tale tecnica nelle diverse aree olivicole in funzione delle condizioni ambientali e colturali. Poche informazioni sono disponibili sugli effetti della fertilizzazione sulla qualità dell’olio. Negli ultimi anni, una significativa attività di ricerca è stata fatta sull’uso agronomico delle acque di vegetazione e delle sanse, sia tal quali sia dopo compostaggio, per valutarne l’utilità come fertilizzanti e per definirne le modalità ottimali di utilizzo. I risultati sinora ottenuti indicano che questa è una via perseguibile e interessante. La potatura dopo la raccolta è la pratica più onerosa. Nonostante ciò, non molti sono gli studi sinora fatti per agevolare/meccanizzare questa tecnica colturale. L’utilizzazione di attrezzature agevolatrici (forbici, troncarami e seghe anche su aste per raggiungere le parti più alte delle chiome), per lo più azionate pneumaticamente (sono ora disponibili anche attrezzature elettriche), può consentire riduzioni dei tempi per l’esecuzione della potatura fino al 40-50%. Le prove di meccanizzazione integrale (con barre falcianti o con organi di taglio a moto rotativo – dischi) hanno dato risultati promettenti e hanno evidenziato la necessità di applicare degli schemi in cui siano previsti anche interventi di potatura manuale/agevolata, per evitare alcuni inconvenienti che l’esclusivo uso di potatrici meccaniche può arrecare (per es. formazione di uno spesso strato di vegetazione nella parte esterna della chioma – effetto siepe, sviluppo di vigorosi succhioni nelle parti interne della vegetazione ecc.). Sono state fatte anche prove per valutare diversi turni e intensità di potatura, che hanno evidenziato che, in
Potatura agevolata. L’operatore indossa dispositivi di protezione individuale (casco, occhiali, guanti ecc.)
Potatrice per l’esecuzione della potatura meccanica Olivi allevati a vaso subito dopo la potatura
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innovazioni in olivicoltura diversi casi, si applica un’intensità di potatura eccessiva, la quale determina una produzione inferiore a quella potenziale. Poche informazioni sono disponibili sull’influenza della potatura sulla qualità del prodotto. Il materiale di potatura in passato veniva raccolto tal quale e utilizzato come combustibile. Oggi è consigliata la trinciatura in loco, in maniera da fornire sostanza organica all’oliveto. In alternativa, sono state sviluppate delle macchine per la raccolta e la lavorazione di tali residui, che consentono la realizzazione di “balle” di materiale tal quale, a forma di parallelepipedo, o di cubetti o tronchetti fatti con il materiale preventivamente trinciato, che possono essere utilizzati come combustibile, anche in piccole centrali per la produzione di energia. Per quanto riguarda la difesa da malattie e insetti dannosi, è stata condotta una notevole attività di ricerca che ha consentito per le avversità più pericolose (mosca, cocciniglia, tignola, occhio di pavone ecc.) di mettere a punto efficienti tecniche di monitoraggio e di stabilire delle soglie di intervento. Inoltre, sforzi sono stati fatti per l’individuazione/produzione di principi attivi meno tossici e per lo sviluppo di tecniche di difesa biologiche. Nel caso di oliveti biologici, per il controllo della mosca, buoni risultati sono stati ottenuti effettuando la cattura massale con trappole attract and kill o utilizzando sostanze ad azione repellente (caolino, rame). Diversi studi sono anche stati effettuati per determinare i fattori alla base della differente suscettibilità varietale alle avversità biotiche: le cultivar con alti contenuti di oleuropeina nella polpa dei frutti e nelle foglie sembrano essere meno suscettibili alla mosca e all’occhio di pavone, rispettivamente. Le varietà che hanno una bassa resistenza alle gelate sembrano essere più suscettibili all’attacco della rogna.
Trappola a feromoni per il monitoraggio della mosca dell’olivo
Pressatura del materiale di potatura da utilizzare come combustibile
597
ricerca
Raccolta meccanica con scuotitore da tronco dotato di telaio intercettatore in un oliveto intensivo
Passi in avanti sono stati fatti anche nella lotta alla verticilliosi. Una remissione dei sintomi della malattia, con le piante che tornano a mostrare un buono stato vegeto-produttivo, è stata osservata applicando trattamenti endoterapici a base di fosetyl-alluminio; siccome l’impiego su vasta scala di questa tecnica è molto costoso, si sta valutando la possibilità di somministrare tale composto con trattamenti fogliari. La raccolta è l’operazione più onerosa della coltivazione dell’olivo. Infatti, può arrivare a incidere fino al 50-80% sul ricavo ottenibile dalla coltura. Inoltre, è una pratica che, in funzione dell’epoca e delle modalità di esecuzione, ha una notevole influenza sulle caratteristiche qualitative dell’olio (durante la maturazione delle olive si hanno modificazioni del colore, della composizione acidica, del contenuto in sostanze fenoliche, delle caratteristiche organolettiche). È per questi motivi che questa tecnica colturale è stata oggetto di numerose ricerche sia per l’individuazione dell’epoca ottimale di raccolta per ottenere la massima quantità e/o qualità sia per la sua meccanizzazione. Notevoli sono stati i progressi conseguiti. Per numerose cultivar e ambienti sono disponibili indicazioni per scegliere l’epoca di raccolta in funzione della quantità e della qualità del prodotto. In dipendenza dell’ampiezza dell’azienda e della struttura ed età degli oliveti sono state progettate e messe a punto diverse tipologie di macchine che possono essere utilizzate. In aziende di medio-elevate dimensioni e con oliveti di tipo intensivo, cioè localizzati in terreni in pianura o con pendenze non eccessivamente elevate (< 20%), produttivi e costituiti da piante di cultivar con frutti di buona pezzatura disposte con sesto regolare, gli scuotitori da tronco sono le macchine più efficienti e sono stati realizzati modelli dotati anche di telai intercettatori che consentono una meccanizzazione integrale. In aziende in cui sono presenti oliveti costituiti da piante di grandi dimensioni (altezza maggiore
Raccolta agevolata con sferzatore elettrico in un oliveto tradizionale in Umbria, costituito da piante allevate a vaso cespugliato della cultivar Moraiolo
Raccolta agevolata con pettine pneumatico
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innovazioni in olivicoltura
Foto P. Toscano
Raccolta con un bacchiatore meccanico in un oliveto tradizionale in Puglia (Salento), costituito da piante di elevate dimensioni delle cultivar Cellina di Nardò e Ogliarola salentina
di 5-6 m), che non sono idonee per l’utilizzo degli scuotitori, le macchine più adatte per la loro raccolta sono rappresentate dai bacchiatori meccanici. Infine, in aziende di piccole dimensioni, con oliveti sia tradizionali, cioè localizzati in terreni con notevole pendenza e/o costituiti da piante disposte con sesto irregolare, vecchie, policauli, con produzioni spesso non elevate, sia intensivi, se l’altezza degli alberi è contenuta (inferiore a 4-5 m), possono essere impiegate con convenienza delle macchine agevolatrici. Queste ultime possono essere utilizzate anche in aziende di grandi dimensioni, con oliveti tradizionali, non adatti all’uso degli scuotitori, caratterizzati da piante di altezza limitata. Sono state realizzate anche macchine per la raccolta in continuo, rappresentate da vendemmiatrici modificate per effettuare la raccolta in oliveti superintensivi. Sono allo studio anche macchine per eseguire la raccolta, in continuo, in impianti intensivi. Negli ultimi anni, ha assunto sempre più rilievo la multifunzionalità che spesso gli oliveti hanno, cioè lo svolgimento, per la collocazione in collina, per l’età secolare e le dimensioni delle piante, per l’ubicazione in aree o in vicinanza di città di interesse turistico, di funzioni ambientali, monumentali, paesaggistiche in aggiunta a quella produttiva. Ciò deve essere tenuto presente nella conduzione di studi riguardanti la definizione della migliore tecnica colturale da applicare.
Macchina semovente raccoglitrice in continuo innovativa per pareti produttive
Post-raccolta ed estrazione dell’olio L’eliminazione o la forte riduzione (1-2 giorni) della conservazione delle olive prima della loro lavorazione e l’utilizzo di cassette o cassoni in materiale plastico fessurato (che permette il passaggio dell’aria) per il trasporto e l’eventuale conservazione delle stesse hanno consentito un grande miglioramento della qualità dell’olio.
Macchina semovente scavallatrice per la raccolta in continuo delle olive in oliveti superintensivi
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ricerca La fase di trasformazione è stata oggetto di una notevole attività di ricerca, che ha permesso di aumentare fortemente la quantità e, soprattutto, la qualità dell’olio estratto, attraverso l’introduzione di innovazioni nella tecnologia utilizzata per la lavorazione delle olive (per es. nuovi frangitori, quali quello a denti o a dischi e quello a coltelli; nuove centrifughe a due fasi per l’estrazione dell’olio dalle paste, che possono operare senza aggiunta d’acqua, o a tre fasi di nuova generazione, che necessitano di una bassa quantità di acqua di addizione ecc.) e la definizione per ogni fase di lavorazione (frangitura, gramolatura, estrazione dell’olio, separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione) di efficienti condizioni operative (in termini di temperatura, tempo di lavorazione, uso di atmosfera d’azoto per ridurre/evitare il contatto delle paste con l’ossigeno durante la gramolatura ecc.). Tra le attività di ricerca svolte negli ultimi anni, una certa importanza è stata data allo studio dell’influenza della composizione dell’atmosfera a contatto con la pasta di olive durante la gramolatura, in particolare della concentrazione di ossigeno, sul contenuto in composti fenolici e sulla formazione di sostanze aromatiche. In tali studi sono state utilizzate gramole con coperchi, che permettono di evitare gli scambi gassosi con l’esterno o di sostituire l’aria nello spazio tra la pasta e il coperchio con azoto. La riduzione o l’eliminazione dell’ossigeno riduce i fenomeni ossidativi a carico delle sostanze fenoliche e quindi diminuisce la perdita di questi composti che, pertanto, rimangono più abbondanti nell’olio. Però l’assenza dell’ossigeno può comportare una riduzione dell’attività enzimatica (della lipossigenasi) connessa alla formazione dei composti volatili (aldeidi, alcoli saturi e insaturi a C6 e C9) responsabili dell’aroma dell’olio. L’uso dell’azoto per sostituire l’aria sopra la pasta durante la gramolatura può consentire di regolare il tempo di contatto tra la pasta e l’aria e, se ben gestito, può permettere di migliorare il contenuto di sostanze fenoliche senza avere negative conseguenze sull’aroma dell’olio. La cultivar e il grado di maturazione delle olive influenzano la scelta dei tempi di contatto tra la pasta e l’aria. Sono in corso studi per ottimizzare la concentrazione di ossigeno nella gramola tramite sistemi elettronici, con lo scopo di meglio preservare il patrimonio fenolico endogeno delle olive e, allo stesso tempo, garantire un ottimale sviluppo delle reazioni ossidative responsabili della formazione delle sostanze a impatto aromatico. Un altro filone importante di ricerca ha riguardato la tecnologia della denocciolatura, che consiste nell’eliminare il nocciolo con all’interno i semi, in quanto in questi ultimi sono presenti degli enzimi che favoriscono processi ossidativi che portano alla riduzione del contenuto di composti fenolici negli oli. È importante sottolineare che la fase di trasformazione ha fondamentale importanza nel salvaguardare la qualità ottenuta in campo e che, se opportunamente utilizzata, può permettere/con-
Cassette in materiale plastico fessurato per la collocazione delle olive dopo la raccolta, il trasporto e l’eventuale stoccaggio prima della trasformazione Foto G. Romagnuolo
Prime fasi della lavorazione delle olive
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innovazioni in olivicoltura tribuire a differenziare il prodotto finale (per es. gli oli ottenuti da paste denocciolate sono differenti da quelli ottenuti da paste non denocciolate, l’uso di gramole con coperchio e l’eventuale impiego di azoto consentono di modificare il contenuto in sostanze fenoliche e aromatiche degli oli ecc.). Per la fase di conservazione dell’olio sono state stabilite le condizioni ambientali (T 12-15 °C; limitato contatto con l’aria tenendo i contenitori colmi, meglio sostituire l’aria con un gas inerte come l’azoto; assenza di luce) e le tipologie di contenitori (acciaio inox) che consentono un ottimale stoccaggio del prodotto. Negli ultimi anni sono state anche avviate ricerche con lo scopo di valorizzare i sottoprodotti dell’industria olearia attraverso l’utilizzo zootecnico delle sanse denocciolate e il recupero di sostanze fenoliche dalle acque di vegetazione. Nel primo caso, sono stati applicati dei trattamenti enzimatici ad attività depolimerizzante alle sanse denocciolate per aumentarne la digeribilità. Ciò ha consentito di ottenere un prodotto che, oltre a un alto contenuto in composti fenolici e in grassi (costituiti per lo più da acidi grassi monoinsaturi), ha maggiori livelli di fibra solubile rispetto alla sansa di partenza e quindi ha interessanti potenzialità per un uso zootecnico. Per quanto riguarda le acque di vegetazione, è stato visto che l’utilizzo di un sistema di concentrazione su membrana, che prevede l’uso di ultrafiltrazione e osmosi inversa, permette di ottenere un concentrato fenolico particolarmente ricco di sostanze biologicamente attive e un permeato, ottenuto dall’osmosi inversa, con caratteristiche fisico-chimiche tali che ne permettono il riutilizzo nel sistema di estrazione. Rimane, al di là di ogni altra considerazione, la necessità di sviluppare sistemi e metodiche di analisi capaci di identificare e smascherare le frodi olearie più sofisticate in maniera certa ed efficace.
Gramola con coperchi che permette di evitare gli scambi gassosi con l’esterno o di sostituire l’aria tra il coperchio e la pasta ottenuta dalla frangitura delle olive con azoto
Trasferimento delle conoscenze/innovazioni acquisite Nel suo complesso, l’attività di ricerca svolta in olivicoltura ha permesso la definizione del modello di coltivazione “olivicoltura intensiva”. Si tratta, come visto, di un sistema in grado di dare elevate produzioni e oli di alta qualità con costi relativamente contenuti ma, nonostante ciò, in Italia, finora, non ha avuto la diffusione che ci si aspettava. In effetti, il tasso di rinnovamento degli impianti, stimabile dal numero di piante commercializzate, è piuttosto basso (1-1,5% o meno, considerando che parte delle piante acquistate è stata utilizzata per l’esecuzione di infittimenti soprattutto al Sud). Diverse le cause di questa situazione: il regime di integrazione comunitaria che forse ha soprattutto stimolato il mantenimento dell’esistente, la limitata ampiezza aziendale (elevata frammentazione fondiaria e imprenditoriale, con una superficie media olivetata per azienda pari a circa 1 ha contro i 5 ha delle aziende spagnole), le caratteristiche orografiche dei terreni e climatiche che in diverse zone sono difficili, la mancanza di un
Contenitori in acciaio inox per stoccaggio/ conservazione dell’olio
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ricerca piano/programma olivicolo nazionale ecc. Pertanto, in Italia permane un’elevata presenza di oliveti “tradizionali”, caratterizzati da pendenze del terreno relativamente elevate, sesti irregolari, densità inadeguate, piante vecchie, a volte grandi, policauli e spesso poco produttive (ci sono numerosi impianti, soprattutto in Puglia, Calabria e Sicilia, che per l’età delle piante sono definiti secolari), dove il trasferimento delle innovazioni ha soprattutto riguardato: la meccanizzazione della raccolta, con attrezzature agevolatrici o con bacchiatori meccanici (talvolta anche con scuotitori applicati alle branche), quando eseguita dall’albero, o con macchine raccattatrici quando eseguita da terra; la facilitazione della potatura (con attrezzature agevolatrici); la razionalizzazione della gestione del suolo, della fertilizzazione e della difesa; l’applicazione dell’irrigazione a microportata; il miglioramento della qualità dell’olio attraverso una più razionale scelta dell’epoca e della modalità di raccolta. Miglioramenti sono stati perseguiti anche attraverso l’esecuzione di infittimenti. Tuttavia, le condizioni strutturali degli oliveti “tradizionali” spesso penalizzano fortemente gli interventi volti ad aumentare le rese e/o a ridurre gli oneri di coltivazione. Va tenuto presente che gli oliveti “tradizionali” in diversi casi svolgono importanti funzioni, ambientale, paesaggistica, storica, monumentale (per es. oliveti collinari soprattutto in alcune zone del Centro-Nord Italia e secolari/monumentali soprattutto in alcune aree del Sud) che devono essere considerate. In generale, passi in avanti nell’applicazione dell’irrigazione a microportata, della meccanizzazione della potatura e, soprattutto, della raccolta sono stati fatti: attualmente, l’irrigazione è applicata a circa il 32% degli oliveti, la meccanizzazione della potatura riguarda circa il 17% degli impianti e la meccanizzazione della raccolta è applicata a circa il 54% degli oliveti (su circa il 32% con attrezzature agevolatrici e su circa il 22% con scuotitori da tronco).
Oliveto tradizionale in Puglia in cui è stata introdotta l’irrigazione a microportata
Oliveto tradizionale in Puglia sottoposto a infittimento
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innovazioni in olivicoltura Una certa diffusione è stata registrata per il metodo di coltivazione biologico, che è arrivato a interessare circa il 10% della superficie olivetata italiana, che è la percentuale più alta fra tutti i Paesi in cui l’olivo è coltivato. Tuttavia, va detto che ciò, oltre a essere conseguenza dell’alta vocazionalità all’olivo di certi ambienti, della disponibilità di varietà resistenti alle principali avversità e dello sviluppo di buoni schemi di coltivazione, è stato anche il frutto dei sostegni finanziari dell’Ue di cui tale sistema di coltivazione ha potuto disporre. La valorizzazione dell’olio attraverso strategie di innovazione di prodotto è una strada che è stata perseguita in tutte le condizioni, con oliveti sia intensivi sia tradizionali. Tuttavia, la segmentazione delle produzioni attraverso la produzione di oli DOP ha finora interessato una quantità di prodotto molto limitata. Probabilmente, ciò è dovuto al fatto che ancora molti consumatori non sono pienamente consapevoli del significato della DOP e delle garanzie connesse a questo sistema di certificazione e al fatto che spesso, per poter dare la possibilità di includere la gran parte della produzione ottenuta nell’area oggetto della DOP, gli oli non hanno quella forte, precisa e riconoscibile identità, che ci si potrebbe aspettare e che giustificherebbe il maggior prezzo chiesto a confronto anche di ottimi extravergini standard. Non meno ha pesato, in molti casi, la profonda mancanza di organizzazione dei produttori che dovrebbe precedere e non seguire l’istituzione di un sistema di valorizzazione e certificazione. Il sistema di coltivazione superintensivo, a livello mondiale, ha interessato circa 35.000 ha, gran parte dei quali concentrati in Spagna. In Italia gli impianti realizzati sono pochi e in diversi casi si tratta di oliveti sperimentali realizzati e/o seguiti da Istituzioni di ricerca per valutare la validità del sistema. In generale, il trasferimento delle conoscenze e delle innovazioni riguardanti la qualità dell’olio ha finora principalmente riguardato gli operatori e i tecnici del settore olivicolo-oleario e gli appassionati di olivicoltura e di olio d’oliva. Tuttavia, si sta assistendo a un crescente miglioramento del trasferimento di queste conoscenze ai consumatori, grazie, da un lato, alla notevole sen-
Oliveto tradizionale in Umbria, con piante vecchie e/o policauli (vaso cespugliato derivante da taglio al ciocco a seguito di danni da gelo) Foto G. Romagnuolo
Olivi nel Gargano
Superficie (ha) degli oliveti superintensivi nel mondo Paesi mediterranei
Altri Paesi
Spagna
20.000
Cile
3500
Tunisia
3000
California
3500
Portogallo
2000
Argentina
1500
Francia
800
Australia
200
Marocco
250
Sudafrica
100
Oliveto tradizionale in Puglia, in cui la raccolta è eseguita con un bacchiatore meccanico nelle parti medio-alte della chioma e con attrezzature agevolatrici nelle parti basse
Fonte: Loreti (2007)
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ricerca sibilità dell’opinione pubblica ai temi della qualità, della salute, della sicurezza alimentare e della tracciabilità e, dall’altro, al sempre maggiore impegno degli olivicoltori, dei frantoiani, degli industriali, dei confezionatori e delle associazioni di categoria nel promuovere il prodotto. Anche i numerosi corsi per assaggiatori d’olio hanno contribuito al diffondersi della conoscenza e dell’apprezzamento delle caratteristiche qualitative dell’olio. In effetti sta crescendo in maniera significativa il numero di persone che conoscono le principali attività biologiche benefiche dei fenoli e delle vitamine presenti nelle olive e nell’olio e il ruolo di questi composti nel determinare le caratteristiche sensoriali e la conservabilità degli oli. Pure il recente dibattito in sede europea sull’importanza dell’origine delle olive da trasformare e degli oli ha contribuito a diffondere tali tematiche nell’opinione pubblica, che è sempre più interessata alla tipicità e alla provenienza del prodotto. Anche il settore della trasformazione (elaiotecnica) ha svolto il proprio ruolo per il miglioramento della qualità degli oli di oliva. Si è assistito, infatti, a una progressiva sostituzione dei frantoi a presse con quelli a ciclo continuo, in grado di assicurare più facilmente la salvaguardia della qualità del prodotto. Inoltre, in funzione del prodotto da trasformare e dell’obiettivo produttivo, si stanno introducendo gli schemi più rispondenti in termini di attrezzature utilizzate (per es. frangitore a martelli o a coltelli o combinazione molazza-frangitore a martelli, impiego della denocciolatrice ecc.) e di condizioni operative (per es. numero di giri/minuto del frangitore, durata della gramolatura e controllo in questa fase della temperatura e dell’esposizione all’aria delle paste ecc.). Il trasferimento delle conoscenze e delle innovazioni al mondo operativo è stato negli ultimi anni facilitato da progetti di sperimentazione sviluppati d’intesa con i Servizi di Sviluppo Agricolo e/o delle Agenzie Regionali sia nella fase di concepimento del progetto sia, soprattutto, nella fase di divulgazione e trasferimento dei risultati ottenuti alle imprese.
Oliveti collinari intorno alla città di Trevi in Umbria, che svolgono anche funzione ambientale e paesaggistica
Linee di sviluppo dell’olivicoltura in Italia Per l’Italia, si intravedono diverse linee di sviluppo dell’olivicoltura che dovranno convivere e per le quali la ricerca dovrà continuare a fornire un utile supporto. La prima riguarda il rinnovamento degli impianti. Considerando la struttura dell’olivicoltura italiana, la fine del regime di integrazione comunitaria alla produzione dopo il 2013 e la situazione del settore olivicolo-oleario a livello internazionale, che fa presumere ulteriori aumenti dei consumi di olio e incrementi della capacità produttiva di diversi Paesi, anche di quelli in cui l’olivicoltura è stata introdotta recentemente, con conseguente accentuazione del grado di competizione sui mercati, il rinnovamento del settore olivicolo italiano è improcrastinabile. Ciò dovrebbe essere fatto puntando soprattutto sulla diffusione dell’olivicoltura intensiva e sulla
Oliveto secolare in Puglia, costituito da piante monumentali
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innovazioni in olivicoltura valorizzazione della grande eterogeneità territoriale e varietale che caratterizza l’Italia che, consentendo il raggiungimento di elevati standard qualitativi e grandi possibilità di differenziamento del prodotto, rappresenta un punto di forza importante della nostra olivicoltura. In effetti, al momento attuale, il sistema di coltivazione intensivo è applicabile, con aggiustamenti che riguardano la densità di impianto e la tecnica colturale, in tutte le aree olivicole, con praticamente tutte le varietà utilizzabili nelle diverse realtà, senza presentare, se l’ambiente è giusto e sono fatte adeguate scelte colturali, particolari limitazioni anche all’applicazione dei metodi di coltivazione più eco-compatibili (per es. quello biologico). In questa linea rientra anche la sperimentazione di nuove macchine per la raccolta in continuo delle olive, adatte agli oliveti intensivi italiani che non si prestano all’azione delle scavallatrici derivanti da modificazioni delle macchine vendemmiatrici. Si tratta di macchine di nuova concezione, che potrebbero permettere di ridurre ulteriormente i costi di raccolta rispetto agli scuotitori da tronco provvisti di intercettatore a ombrello rovescio. La seconda linea di sviluppo riguarda l’olivicoltura tradizionale, che svolge importantissime funzioni ambientali, storiche, biologiche (biodiversità), paesaggistiche e/o monumentali, per la quale sarà importante definirne i confini, limitandola alle sole aree in cui tali funzioni assumono realmente carattere fondamentale e non sarebbe possibile svolgerle con nuovi impianti, ottimizzarne la gestione e trovare il modo di “compensare” gli olivicoltori che, mantenendo tali oliveti, forniscono un servizio alla collettività, che deve in qualche modo e in qualche misura farsene carico. Infatti, tali situazioni possono reggersi da sole solo in casi particolari in cui la produzione presenta un’elevata tipicità e/o il contesto evoca sensazioni che permettono una significativa valorizzazione del prodotto in termini di prezzo. In tale ambito, l’esempio della regione Puglia è emblematico, se si considera che la Legge Regionale 4 giugno 2007, n. 14, ha lo scopo di tutelare e valorizzare il paesaggio degli olivi monumentali di questa regione. La terza linea riguarda la necessità di valutare il nuovo sistema superintensivo per definirne i reali spazi di applicabilità alla situazione italiana. Ciò dovrebbe essere fatto mediante un’azione coordinata delle diverse strutture di ricerca pubblica che operano in Italia, in maniera da evitare una polverizzazione di metodi e criteri di analisi che renderebbe più difficile l’interpretazione dei risultati ottenuti. Nella valutazione va considerato che tale sistema non necessariamente deve riguardare l’intero Paese, ma potrebbe essere limitato alle situazioni in cui le condizioni ambientali sono rispondenti al modello superintensivo e in cui l’obiettivo produttivo è l’ottenimento di un extravergine di qualità standard a basso costo. Quindi si potrebbe anche pensare a una situazione in cui il sistema intensivo e quello superintensivo potrebbero convivere, con guadagni per il settore olivo-olio in termini di flessibilità.
Nuovi oliveti in Umbria realizzati con le principali varietà diffuse nella regione (Frantoio, Leccino e Moraiolo)
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l’ulivo e l’olio
ricerca Controllo di qualità Giovanni Lercker, Alessandra Bendini, Lorenzo Cerretani
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Controllo di qualità Concetto di qualità Il concetto di qualità è piuttosto complesso, costituito cioè da molti aspetti diversi che contribuiscono con pesi differenti, in relazione all’uso del termine “qualità”. In prima approssimazione sono quattro gli aspetti principali. –L a qualità igienica o la sicurezza di un prodotto alimentare è al primo posto nelle scelte di tutti i parametri della produzione agroalimentare: tuttavia, come è immediato ricordare a causa dei recenti inconvenienti verificati per alcuni tipi di carne e per il vino, non può essere considerata automatica, come dovrebbe essere. –L a qualità nutrizionale di un prodotto alimentare viene spesso considerata attraverso le comunicazioni promozionali delle aziende di produzione, che pubblicizzano il proprio prodotto sfruttando anche questo aspetto, anche se altrettanto frequentemente sottovalutata dal consumatore privo di un’adeguata istruzione a riguardo. La recente legislazione relativa alle specifiche nutrizionali e salutistiche sulle indicazioni che possono essere poste nelle etichette dei prodotti alimentari (Reg. CE n. 1924 del 2006 pubblicato sulla gazzetta ufficiale EU il 18/01/2007), in vigore dal luglio 2007, ha inserito le dovute restrizioni, utili allo scopo di normare i messaggi. –L a qualità edonistica di un prodotto alimentare ha forte presa sul consumatore e, purtroppo, è spesso trainante negli acquisti e quindi è obiettivo primario della produzione di alimenti, più di ogni altro aspetto della qualità. L’accettazione di un prodotto alimentare, condizionata da alcuni fattori dei quali l’aspetto edonistico è il principale, è ritenuta dalle aziende produttive più importante di qualsiasi altro parametro per le scelte di produzione. Si acquista
Principali aspetti che concorrono a formare la qualità di un alimento
• Qualità igienico-sanitaria • Qualità nutrizionale • Qualità edonistica • Qualità socio-culturale • Qualità d’uso e di servizio
Lavaggio delle olive
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controllo di qualità molto di più quello che piace, senza far considerazioni di altro tipo e, anche in questo caso, l’educazione alimentare sarebbe importante. – La qualità socio-culturale è quella che lega il consumatore alle sue tradizioni e alle sue origini, che sono fortissime anche in fatto di alimenti. È ben noto come sia importante per l’uomo il legame con il paese di origine, ravvivato spesso solo attraverso il rito del cibo: certe preparazioni o determinati piatti vengono “religiosamente” tramandati dagli emigrati ai loro figli nelle nuove nazioni, così come gli immigrati in un determinato Paese fanno fiorire le imprese che producono i loro cibi tradizionali. I prodotti tipici sono la definizione della tradizione e la loro elevata accettazione è il segno di un certo piacere del consumatore nel ritorno al passato, come legame con la tradizione. È anche qualità socio-culturale quella che viene di solito attribuita al cibo consumato in piacevole compagnia, che per questo appare migliore di quello che realmente sarebbe in un consumo solitario.
Terreno Composizione Clima Acqua
Olivo Varietà Coltivazione Raccolta Conservazione
Qualità degli oli alimentari Gli oli e i grassi sono deteriorabili e possono essere ottenuti da fonti naturali, che non sempre si trovano in condizioni di conservazione e di qualità ottimali. In particolare si possono osservare oli e grassi ossidati fin dal momento di estrazione dalla matrice, dalla quale si ottengono, per cui vengono sottoposti a processi di raffinazione in modo da essere resi commestibili. La raffinazione delle sostanze grasse opera una concreta eliminazione di diverse sostanze ossidate, soprattutto quelle polari e quelle volatili, ma non riesce a evitare una parte residua ossidata che, permanendo nel prodotto a fine lavorazione, ne determinerà il successivo tempo di conservazione (shelf life). Oltre a ciò, l’eliminazione delle sostanze polari o volatili impoverisce la componente grassa dei suoi importanti componenti minori, interessanti per gli aspetti nutrizionali, tra i quali sono spesso presenti anche composti antiossidanti. Pertanto, la conservabilità (serbevolezza) è un parametro di qualità di una sostanza grassa, a parità di tutti gli eventuali parametri di qualità associati ai prodotti alimentari.
Olive Frangitura Gramolatura Separazione dell’olio Centrifugazione (Filtrazione)
Olio Conservazione Confezionamento Distribuzione
Oli ottenuti dalla lavorazione delle olive Gli oli provenienti dalla lavorazione delle olive sono apprezzati da numerosissimi consumatori. Tuttavia, se si chiede a diverse persone di assaggiare oli di provenienza differente, la preferenza cade tendenzialmente su uno solo ovvero su quello più simile agli oli abitualmente consumati e/o prodotti nelle loro zone di origine. In altre parole, il legame fra l’abitudine alimentare della regione o della zona d’origine del consumatore e la valutazione soggettiva della qualità è molto forte, più che per molti altri aspetti tradizionali. Le caratteristiche degli oli prodotti nelle numerosissime zone vocate all’olivicoltura sono condizionate da molteplici fattori, primo dei
Consumo
Filiera produttiva e caratteristiche di qualità degli oli di oliva
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ricerca quali è il sistema di abitudini colturali e di quelle legate alla lavorazione delle olive raccolte. Si consumano preferibilmente, quindi, oli che sono prodotti secondo la tradizione delle proprie zone di origine, caratteristica, questa, che risulta molto variabile in un Paese come l’Italia. Nel caso degli oli d’oliva, il concetto di qualità è poco definibile sulla base del gusto che, per le ragioni esposte, è particolarmente variabile. Allora, per definire le caratteristiche di qualità degli oli vergini è necessario rifarsi ad altri parametri di valutazione. Se consideriamo l’olio ottenuto dalle olive come una “conserva” di olive, così come il formaggio lo è del latte, i salumi della carne e, forse, il vino dell’uva, le confetture delle frutta e via dicendo, allora ci si aspetta che l’olio ricordi le caratteristiche della materia prima oliva. Essendo numerose le cultivar di olive con caratteristiche organolettiche molto differenti, in corrispondenza vi saranno molti tipi di oli diversi pur tutti potenzialmente di buona qualità. Oltre a ciò, l’olio dovrebbe mantenere queste caratteristiche per periodi prolungati, almeno un anno, in relazione alla produzione annuale. Rispetto a tutti gli altri oli, gli oli vergini d’oliva possiedono marcate proprietà organolettiche, carenti o addirittura assenti nelle altre sostanze grasse, a causa delle pratiche tecnologiche di produzione. In virtù di ciò sono sempre più apprezzati in cucina per la loro capacità di rendere più appetitosi molti cibi e pertanto risultano più diffusi nei consumi. Per tradizione culturale e per la particolare struttura del territorio italiano, le zone di produzione delle olive e la localizzazione dei corrispondenti frantoi sono molto frammentate, portando di conseguenza a una miriade di prodotti differenti, seppure molti siano di elevata qualità individuale. Le caratteristiche riconducibili alle singole cultivar che danno luogo alle differenze sensoriali degli oli di diversa provenienza sono riscontrabili anche dai consumatori in relazione ai propri gusti, ma molto spesso nelle produzioni a carattere industriale questo fatto non è considerato un pregio bensì un difetto. Infatti, la costanza delle caratteristiche di un prodotto, anche per quelli di tipo non alimentare, è la prima prerogativa che esso deve possedere per essere commercializzato: con proprietà ottime, buone o mediocri, spesso non importa, basta che sia costante. Naturalmente, nel caso di agroalimenti, è più facile garantire negli anni la costanza di una qualità mediocre piuttosto che quella di una qualità ottimale, spesso dipendente dagli andamenti climatici, per cui la tendenza è quella di orientarsi verso la mediocrità, facendo miscele in modo da rendere il più possibile uguale e costante il prodotto. Tutto ciò è anche conseguente a un largo consumo di tali prodotti che mediamente rende il consumatore non in grado di distinguere le differenze organolettiche. Produrre bene, oggi, non è sufficiente e, in generale, ha costi di lavorazione superiori alle produzioni meno curate, per cui si evidenzia una diffusa tendenza verso le produzioni meno qualificate e meno onerose.
Oli di oliva
• Gli oli provenienti dalla lavorazione
delle olive rappresentano uno dei più antichi alimenti. Insieme all’albero di olivo essi sono infatti noti da millenni e, anche se nel tempo hanno avuto qualche altro impiego oltre a quello alimentare, per esempio come unguento per gli atleti, come fonte di illuminazione e di riscaldamento, oggi sono usati praticamente solo come condimento o come mezzo di cottura
Composizione e qualità
• Negli ultimi decenni si sono verificati
profondi cambiamenti nella conoscenza degli aspetti nutrizionali dell’olio di oliva, tanto da considerarlo alla base della cosiddetta “dieta mediterranea” e quindi ricco di importanti principi nutrizionali indispensabili, quali gli acidi grassi monoinsaturi e gli acidi grassi essenziali, e di particolari componenti della dieta, utili alla conservazione nel tempo delle caratteristiche dell’olio stesso e, forse, anche al mantenimento della salute, quali gli antiossidanti
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controllo di qualità Composizione e qualità Per comprendere meglio quanto detto, è necessario fare un passo indietro e considerare la struttura dell’oliva, la sua composizione e come l’olio vi si trova contenuto. Oltre a ciò si deve ricordare quello che accade durante la maturazione del frutto e nelle fasi successive della raccolta e della trasformazione. Evoluzione dei componenti dell’oliva durante la maturazione Nel corso della maturazione del frutto si nota l’evoluzione sia degli acidi grassi sia di alcuni costituenti minori e la percentuale di olio, rispetto alla sostanza secca, aumenta di pari passo con l’invaiatura, mentre parallelamente diminuisce il contenuto d’acqua. Dopo tale stadio, l’aumento assoluto dell’olio si fa sempre più tenue, fino ad annullarsi. Ne consegue uno stato sempre più critico per la conservazione, verificandosi problemi di inacidimento per intervento delle lipasi e un irrancidimento per effetto delle lipossidasi, che si liberano dalle cellule della polpa delle olive ormai entrate nella fase di supermaturazione. A questo punto, merita un accenno il fatto che, alla maturazione fisiologica dell’oliva, l’80% dell’olio è contenuto nello spazio intracellulare della drupa, collocato in una struttura detta vacuolare (olio disponibile o libero); la parte rimanente, pari a circa il 15-20%, è invece distribuita nella struttura citoplasmatica (olio legato). Il primo, facilmente estraibile, è nettamente separato dal contenuto citoplasmatico mediante barriere (le pareti cellulari) che impediscono lo scambio con gli enzimi contenuti nelle cellule.
Formazione di gocce di olio in cellule di: A) Don Carlo; B) Fs17 (Caceres M.E. et al., dati non pubblicati). In B) intorno alla goccia ingrandita appare l’involucro di contenimento, che libererà la goccia quando sarà frantumato per una qualsiasi azione meccanica (schiacciatura, raggrinzimento, ferita ecc.)
Maturazione e raccolta La drupa di olivo accresce con la maturazione il suo contenuto di olio (inolizione o inoliazione della drupa) fino a un valore massimo, oltre il quale non va, anzi tende a decrescere leggermente
Da sinistra a destra: olive verdi, olive poco invaiate, olive molto invaiate
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ricerca con il tempo durante la prosecuzione della sovramaturazione. La maturazione “tecnologica” delle drupe si ottiene in momenti stagionali caratteristici delle cultivar, ma un po’ differenti dall’una all’altra, in relazione anche all’andamento climatico dell’annata. I sistemi di raccolta possono rappresentare una delle principali cause di produzione di oli scadenti. L’ammaccatura della drupa provoca rotture delle membrane dei vacuoli di olio, favorendo il contatto enzimi-olio, per cui il tempo che intercorre fra raccolta e lavorazione delle olive diviene determinante per la qualità futura dell’olio prodotto. Attese prolungate per la trasformazione delle olive in frantoio aggravano ulteriormente la perdita della futura qualità dell’olio. Tecnologia e qualità Le pratiche tecnologiche rappresentano altre fasi critiche rispetto alla capacità di conservazione dell’olio. Infatti, le scelte operative possono intervenire direttamente sull’aumento o diminuzione del contenuto di sostanze antiossidanti dell’olio. Il contatto olio-pasta di olive porta alla formazione di buona parte dell’aroma, ma provoca anche un calo dei fenoli antiossidanti, quando eccessivamente prolungato. Esiste una specie di compromesso che è necessario trovare fra caratteristiche organolettiche e stabilità (o serbevolezza) futura dell’olio, oltre l’importantissimo parametro della resa in olio. Tale compromesso corrisponde a un intervallo di tempo ottimale, che può essere più o meno ampio, in relazione alle condizioni di temperatura e di lavorazione e in funzione delle caratteristiche delle olive (sanità, integrità, patrimonio di antiossidanti ecc). Per questi aspetti la denocciolatura delle drupe, prima della trasformazione, renderebbe più lenti tutti i processi enzimatici, consentendo un più ampio intervallo di tempo per ottimizzare le caratteristiche dell’olio, senza rinunciare alla produzione di aromi e, soprattutto, alla massima resa. Tale effetto è da attribuirsi alla maggiore attività degli enzimi della mandorla, rispetto a quelli contenuti nella polpa. Elevati contenuti di antiossidanti (fenoli e polifenoli, tocoferoli) rendono più ampio tale intervallo rendendo meno rischiosa nel tempo la conservazione dell’olio.
Olive che presentano una varietà di colorazioni dovute a differenti livelli di invaiatura (colorazione superficiale), come accade in prossimità del momento ottimale della maturazione tecnologica delle drupe
Accumulo di olive per alimentare grossi frantoi (lavorazione industriale) in attesa di trasformazione, in “montagne” di 7-9 metri di altezza
Frangitura delle olive Anche in questa operazione, la violenza del sistema di frangitura provoca una maggiore rottura delle già piccole goccioline che, riducendosi ulteriormente di diametro, richiederanno tempi più lunghi di gramolatura della pasta di oliva per potersi unire fino a raggiungere le dimensioni sufficienti per la loro estrazione dalla pasta (≥ 30 µm). Questa operazione di aggregazione delle goccioline di olio può creare problemi nella lavorazione delle olive scarse in fenoli, perché il contatto olio-pasta in parte riduce il contenuto di composti fenolici dell’olio, per effetto delle ossi-
Fuoriuscita di olio dai cumuli di olive in attesa della lavorazione
610
controllo di qualità dazioni enzimatiche. Tuttavia, anche i sistemi di frangitura intervengono sul patrimonio fenolico dell’olio determinandone una maggiore estrazione all’aumentare della violenza del sistema di frangitura. Il sistema tradizionale a molazze è sicuramente poco violento e, operando contemporaneamente una specie di gramolatura della pasta, permette spesso di evitare quest’ultima fase di lavorazione. Il mulino a martelli, particolarmente adottato dagli impianti continui di lavorazione delle olive, produce una violenta frangitura che comporta uno sminuzzamento delle goccioline di olio, richiedendo tempi lunghi di gramolatura per consentire la coalescenza delle gocce d’olio fino a raggiungere il valore di soglia (maggiore di circa 30 µm) che permette il loro defluire dalla pasta nel separatore. Inoltre, qualcuno sostiene che il forte calore rapidamente prodotto dal mulino provochi un incremento delle velocità di alcune reazioni enzimatiche. Esistono anche altri frangitori continui che sono considerati meno violenti di quello a martelli, quali il mulino a dischi dentati e a cono. Gli oli che si ottengono con gli impianti continui sono un po’ differenti da quelli prodotti con l’impianto classico, essendo più profumati, meno dolci e più sgarbati a causa di una maggiore dissoluzione di polifenoli e di un maggiore tempo di contatto olio-pasta di olive, che porta a un’attività enzimatica la quale origina i componenti volatili.
Tecnologia e qualità
• Nei grossi frantoi industriali,
le olive in attesa di essere lavorate sono accumulate in montagne alte diversi metri, alla cui base accade frequentemente di notare liquidi, tra i quali vi è dell’olio, a dimostrazione dello schiacciamento delle olive per il peso di quelle superiori. È inevitabile che in queste condizioni di stoccaggio delle drupe si verifichino fermentazioni e surriscaldamenti nella parte più interna del cumulo, con conseguente formazione più o meno intensa di difetti organolettici (riscaldo e avvinato)
Gramolatura della pasta Questa fase è indispensabile anche per la genesi della maggior parte degli aromi caratteristici degli oli d’oliva che, in condizioni ottimali, sono proprio quelli che più condizioneranno la valu-
Schema semplificato degli effetti del frangitore violento sulle piccole gocce di olio della polpa di oliva
Frangitori delle olive
• Frangitore a molazze, composto da due
≈ 30 μm
ruote di granito (molazze), un basamento rotondo di granito o di ghisa (macello) e un’alzatina di metallo
FRANGITURA
• Frangitore a martelli aperto, considerato il più drastico per la molitura delle olive, può essere costruito con i martelli fissi o mobili
• Frangitore a dischi dentati, meno violento di quello a martelli
• Frangitore a cono, meno violento
GRAMOLATURA
di quello a martelli
≥ 30 μm
611
ricerca tazione organolettica (olfattiva e gustativa retronasale). Infatti, attraverso una serie di reazioni enzimatiche, note come il “ciclo della lipossigenasi”, che partono dalla produzione di particolari idroperossidi, il contatto olio-pasta incrementa la formazione di diversi componenti volatili, in proporzioni quantitative particolari. Tuttavia, i meccanismi perossidativi iniziali sono in grado di promuovere una serie di trasformazioni chimiche collaterali di tipo ossidativo, tra cui la distruzione dei polifenoli più labili. Da una parte con quest’ultimo effetto si ottiene un affinamento delle caratteristiche organolettiche, con diminuzione del gusto amaro, piccante e astringente, dall’altra si riduce il patrimonio degli antiossidanti contenuti nell’olio (acquisiti dalla pasta): questi effetti saranno condizionanti del tempo di conservazione dell’olio, una volta separato dalla pasta. Olive ricche in fenoli e polifenoli possono subire una gramolatura più prolungata, in quanto questi rimarranno sempre in concentrazione sufficiente per la conservazione futura dell’olio, mentre olive povere in antiossidanti sono destinate alla produzione di oli instabili nel tempo. Separazione dell’olio La separazione dell’olio dalla pasta dovrebbe essere condotta con il sistema meno alterante, cioè con l’apparecchiatura che influenzi il meno possibile le caratteristiche dell’olio e la sua futura stabilità.
Pressa tradizionale in fase di spremitura
Formazione di alcune componenti dell’aroma (ciclo della lipossigenasi) Lipidi della drupa di oliva Acil idrolasi
Acido linoleico
Acido linoleico Lipossigenasi
9-idroperossido
13-idroperossido
13-idroperossido
9-idroperossido Cis-3: trans-2-enal isomerasi
Idroperossido liasi Esanale
Cis-3-esenale
Trans-2-esenale
Esanolo
Cis-3-esenolo
Trans-2-esenolo
Acetato d’esile
Cis-3-esenil acetato
Trans-2-esenil acetato
Alcol deidrogenasi NADH
NADH
Alcol acil transferasi Acetil CoA
612
controllo di qualità Per quest’ultimo aspetto, si dovrebbe impiegare il mezzo più rapido di separazione dell’olio dalla pasta, in quanto capace di ridurre al minimo l’ulteriore contatto olio-pasta. Lo stato di sovramaturazione delle olive, la mancanza d’integrità fisica, il raggrinzimento, l’ammuffimento e la fermentazione delle drupe (riscaldo) portano inevitabilmente a valori d’acidità più elevati di quelli accettati per gli oli extravergini.
Conservazione dell’olio
• Conservare un prodotto alimentare
è uno dei principali desideri dell’uomo ed è un obiettivo vecchio quanto il mondo. La conservazione ottimale di un alimento parte dal presupposto che le caratteristiche organolettiche non si modifichino in maniera negativa, nel tempo di conservazione. Questo presupposto porta a considerare la conservabilità (serbevolezza) di un olio una sua caratteristica di qualità
Conservazione e qualità La conservazione di un olio dipende dalla sua “storia”, che parte dalla produzione in campo fino alle condizioni di trasformazione e di conservazione. La qualità della materia prima, le scelte tecnologiche nella sua trasformazione, il confezionamento e le condizioni di conservazione sono i principali parametri da prendere in considerazione nella valutazione dei limiti di conservazione. Le sostanze grasse si degradano principalmente attraverso due possibili reazioni chimiche: l’ossidazione e l’idrolisi. Ossidazione delle sostanze grasse I prodotti che si ottengono dall’ossidazione delle sostanze grasse sono sgradevoli dal punto di vista organolettico e, talvolta, anche per gli aspetti nutrizionali. L’ossidazione può essere catalizzata da diversi agenti chimici (perossidi, metalli di transizione) e chimicofisici (calore, radiazioni a elevata energia, fotossidazione), ma può anche essere dovuta a determinati enzimi (ossidasici e perossidasici). In tutti i casi è necessaria la presenza dell’ossigeno. Antiossidanti e antiossidazione L’azione di un antiossidante è dipendente dalla temperatura. Anche in base ai risultati di vari tipi di test accelerati non esiste alcuna correlazione tra le qualità di conservazione di una sostanza grassa e il tipo di sapori e odori sgradevoli emanati a un certo momento dell’ossidazione. In altre parole, non è ancora stata individuata la correlazione fra la conservazione in condizioni normali e le indicazioni dei test di invecchiamento accelerato. Ciò si verifica quando si usano tecniche cromatografiche o test sensoriali per determinare l’insorgere dell’odore di rancido.
Incidenza dei materiali di confezionamento sulla stabilità ossidativa
Confezionamento Il tipo di confezionamento usato per le sostanze grasse ha un effetto assai pronunciato sulla shelf life del prodotto. L’obiettivo è quello di mantenere il livello di qualità del prodotto per il più lungo periodo di tempo possibile. Il tempo di permanenza, il livello e il tipo dell’antiossidante aggiunto (quando gli antiossidanti siano aggiunti) e l’atmosfera all’interno del contenitore sono fattori che condizionano la scelta finale del contenitore stesso. La luce è tra le varie cause dell’avvio del processo di ossidazione, generando reazioni che portano al deterioramento del prodotto. 613
Materiale del contenitore
Stabilità (mesi)
Metallo
>24
Vetro ambrato
ca 18
Vetro chiaro
12-16
PVC
9-12
HDPE
3-8
ricerca Caratteristiche dei materiali di confezionamento, in relazione a umidità e ossigeno
Foto Agrilinea
Materiale
O2a
H2Ob
Lucec UV
Lucec visibile
Economicità relativa
Metallo
0
0
0%
0%
1,4
Vetro ambrato
0
0
3%
3-65%
1
Vetro chiaro
0
90%
90%
1
Nitrile copolimeri (acrilonitrile/ acrilato di metile)
0,9
5
ca 90% ca 90%
1,2
PET orientato (tereftalato di polietilene)
10
1
ca 90% ca 90%
1
PVC (cloruro di polivinile)
16
2,5
ca 90% ca 90%
1
HDPE (High Density PolyEthylene)
110
0,5
31%
57%
0,8-0,9
Velocità di trasmissione dell’ossigeno = cm3/100 inches2/atm/24 ore a 73 °F 50% RH Velocità di trasmissione del vapore = cm3/100 inches2/atm/24 ore a 100 °F 90% RH c La trasmissione della luce è la percentuale della luce che passa attraverso uno spessore standard a
b
I sensibilizzatori, come la clorofilla, possono avere un ruolo importante nel promuovere la fotossidazione. La sorgente di luce può essere artificiale, per incandescenza o per fluorescenza, o solare. La conservazione, intesa come tempo di vita o “vita di scaffale” del prodotto alimentare (shelf life) è un’altra considerazione da farsi per la scelta finale del contenitore.
Pasta di olive
Fattori che incidono sulla conservazione degli oli di oliva
Idrolisi delle sostanze grasse Il meccanismo d’idrolisi delle sostanze grasse porta alla liberazione di acidi grassi, con conseguente ulteriore inacidimento. Dato che l’acidità libera è capace di catalizzare l’idrolisi stessa, l’inacidimento provoca un ulteriore inacidimento, causando un andamento esponenziale nel tempo. L’acidità libera è un buon parametro della qualità di un olio e in particolare della qualità della materia prima, l’oliva, in quanto le caratteristiche negative delle olive da trasformare porteranno a valori non trascurabili di acidità dell’olio a fine lavorazione. È stato dimostrato che gli acidi liberi provocano un’accelerazione della degradazione ossidativa a causa dell’azione dei gruppi carbossilici sugli idroperossidi degli acidi grassi, che vengono così decomposti con produzione di radicali. L’acidità rende più breve la conservazione dell’olio, per l’effetto idrolitico promotore dell’azione ossidante.
• La conservazione delle sostanze grasse
è facilitata dalla presenza di sostanze antiossidanti; gli oli che provengono dalla lavorazione delle olive sono particolarmente stabili proprio per la presenza di antiossidanti. È possibile che si realizzi, o si tenda a raggiungere, un equilibrio nel tempo fra i polifenoli e i loro prodotti di ossidazione, già presenti o formati dal loro comportamento protettivo nei confronti degli acidi grassi. Tale equilibrio si oppone a una normale attività degli antiossidanti ancora integri che, in queste condizioni, tendono a non esercitare più la stessa azione protettiva
Come controllare obiettivamente la qualità degli oli di oliva In generale le condizioni sono delineate da varie normative nazionali e comunitarie. Infatti, stabilito che l’olio non debba contenere sostanze estranee alle olive (come per es. gli idrocarburi 614
controllo di qualità alogenati) e che non debba essere ottenuto con miscelazione o mezzi illeciti, non deve presentare livelli di difetti al di sopra di una certa entità (panel test). Chi produce oli direttamente dalle olive deve condurre pochi controlli: oltre alle caratteristiche organolettiche per rilevare eventuali difetti, dovrebbe verificare l’acidità e il valore dei perossidi (Numero di Perossidi, NP), poiché ancora oggi non si è in grado di tenere sempre sotto controllo le variabili che influenzano questi ultimi due parametri attraverso altre scelte ed è necessario classificare su tali valori la categoria commerciale. I soggetti che dovrebbero controllare a fondo l’olio, oltre alle strutture ufficiali preposte allo scopo, sono invece gli acquirenti, gli imbottigliatori e/o i commercianti, per assicurarsi della corretta dichiarazione posta o da porre in etichetta. Presenza e ruolo dell’acqua negli oli vergini di oliva L’acqua negli alimenti ha un ruolo fondamentale per la sua importanza nutrizionale e per la capacità di rendere molte matrici alimentari gradevoli e adatte al consumo, oltre a contribuire a mantenere nella condizione di soluti molti componenti altrimenti sgradevoli alla degustazione. Infatti, l’acqua si dispone all’interno dell’alimento aggregandosi a molti tipi di molecole, soprattutto macromolecole come carboidrati e proteine, contribuendo alle loro caratteristiche reologiche a noi note come piacevoli, come l’elasticità (delle proteine) e la morbidezza (della parte più interna dei prodotti da forno ecc.). Oltre a questo, è capace di sciogliere sali e sostanze organiche polari di piccola e media dimensione, favorendo la loro presenza in sistemi non adatti a contenere composti polari e stabilizzandoli in sospensioni, dispersioni e dispersioni colloidali. Negli oli alimentari sono stati rilevati quantitativi di acqua che vanno da 300 a 3000 ppm (mg/kg), quantitativi spesso ben al di sopra dei contenuti di saturazione (valutabili in 250-300 ppm, in assenza di componenti minori). La spiegazione di queste quantità è data dalle microgocce di acqua dispersa nell’olio, stabilizzata dall’aggregazione-dissoluzione di un gruppo di sostanze polari, idrosolubili e/o idrocompatibili che vanno da sali minerali, acidi liberi, digliceridi, fosfolipidi, fino a sostanze alcoliche e fenoliche. Si tratta di dispersione (fine emulsione o microemulsione) e non di sospensione, data l’impossibilità di separare con mezzi fisici l’acqua, insieme ai suoi componenti, dall’olio. La quantità di acqua che si trova dispersa negli oli vergini d’oliva è relativamente variabile in relazione alla tecnologia di estrazione e alla disponibilità di componenti minori che agiscono da surfattanti. Tale dispersione si configura come struttura micellare per il comportamento che la rende stabile e le micelle hanno una dimensione talmente piccola da non essere visibili a occhio nudo, negli oli filtrati (inferiore al micrometro e più vicina a 0,1 μm). Calore e freddo intensi operano una destabilizzazione della dispersione, anche se con meccanismi differenti, confermando che si tratta di una disper-
Interno di una gramola vuota. Sono visibili raggi e pale di avanzamento
Acqua e lipidi
• L’acqua negli alimenti esercita un
comportamento differente, in funzione della quantità presente, sull’ossidazione dei lipidi: a basse concentrazioni non può opporsi all’ossidazione, a elevate concentrazioni favorisce gli scambi molecolari promuovendo l’ossidazione, mentre a valori intermedi (tipico comportamento dei prodotti a umidità intermedia, IMF) ostacola la propagazione dei radicali liberi e lo sviluppo dell’ossidazione
615
ricerca sione metastabile, cioè le micelle sono quantitativamente al di sopra del contenuto d’acqua corrispondente alla saturazione. Al microscopio ottico (1600 ingrandimenti), nel caso di oli extravergini di oliva, si possono rilevare sia l’aspetto sia le dimensioni di tali micromicelle.
Azione organolettica dell’acqua
• Molto importante è l’azione
organolettica che l’acqua esercita nelle soluzioni acquose o in dispersioni nelle matrici idrofobe. La sensazione organolettica colta dal gusto e legata all’odore di un alimento è condizionata dalla presenza e dalla forma in cui si trova l’acqua nell’alimento. Il gusto viene captato dalla sequenza di contatti delle strutture molecolari presenti nell’alimento, modulata dalla loro collocazione nelle fasi acquosa e organica, privilegiando prima il contatto con quella acquosa in relazione al fatto che le papille gustative sono bagnate di acqua
Indicazioni per la conservazione degli oli vergini di oliva La composizione degli oli provenienti dalla lavorazione delle olive è stata studiata da molti gruppi di ricerca nazionali e internazionali. Tuttavia, rimangono ancora delle incognite sul comportamento dell’olio durante la conservazione, sulla complessità delle sensazioni relative all’analisi organolettica, sulla stabilità all’ossidazione in relazione alla presenza di antiossidanti di tipo fenolico e polifenolico e sulla possibilità di rivelare la presenza di alcune particolari frodi attualmente in uso. È noto che la stabilità di un olio che abbia subito un raffreddamento tale da solidificare, attraverso la graduale cristallizzazione dei gliceridi, quando fonderà di nuovo presenterà una minore stabilità alla conservazione. La conservazione dell’olio può avvenire a temperature basse oppure a quelle ambientali, spesso senza capire che non è casuale la serie di eventi che, in conseguenza, si possono verificare. Quando la temperatura scende al di sotto degli 8 °C, l’olio d’oliva tende a cristallizzare nei componenti trigliceridici: questo costringe tutte le sostanze minori, prima di solidificare, ad attendere che i trigliceridi diminuiscano, ammesso che le condizioni di temperatura lo permettano. Proprio per questa motivazione diversi componenti minori, in particolare quelli a struttura fenolica, tendono a separarsi dall’olio per una buona parte, in quanto le micromicelle in cui essi sono presenti in forma dispersa colloidale (in virtù dell’acqua in esso contenuta), in condizione metastabile, si avvicinano in maniera determinante, aggregandosi. I tentativi successivi di risolubilizzare queste aggregazioni, visibili in una specie di nuvola di nebbia pesante, una volta “scongelato” l’olio, sono vanificati dall’incapacità di sciogliere quelle quantità di componenti, dei quali l’olio è già saturo. L’olio, perdendo in tal modo una parte non trascurabile di antiossidanti – nella miglio-
Contenuto in acqua in oli diversi per tipologia e origine (mg/kg)
Uscita dell’olio e dell’acqua di vegetazione dal decanter
N. di campioni analizzati
Media
Minimo
Massimo
EVOO Italia
184
1238
500
3013
EVOO Spagna
31
912
432
1629
Olio di oliva
5
417
279
647
EVOO Italia, oli extravergini di oliva prodotti in Italia principalmente mediante sistemi continui a tre fasi; EVOO Spagna, oli extravergini di oliva prodotti in Spagna con sistemi continui a due fasi; Olio di oliva, secondo la definizione di legge del Reg. CE 1513/01
616
controllo di qualità re condizione di efficacia in fase dispersa – vede ridotta la sua serbevolezza originale. Oltre a ciò, l’aggregazione di componenti ricchi in acqua porterà nel tempo alla formazione delle sensazioni organolettiche sgradevoli, a causa di fermentazioni da parte di microrganismi. Per queste motivazioni, da sempre viene consigliato separare il solido di fondo dall’olio. Sensazioni organolettiche degli oli vergini La maggior parte dei componenti volatili è responsabile di molte note aromatiche, soprattutto di profumi, ma anche di alcuni odori particolari. Le sostanze fenoliche e polifenoliche, invece, sono – almeno molte di esse – responsabili dei sapori degli oli vergini. La presenza nei sistemi naturali, come gli oli vergini d’oliva ottenuti mediante tecnologie convenzionali, di acqua “tecnologica” costringe una parte di polifenoli a risiedere in micromicelle corrispondenti all’acqua dispersa. Queste sono stabilizzate proprio dalla serie di sostanze che si interfacciano (a causa della loro struttura molecolare con una parte polare e una poco polare sciolta nella fase oleosa) e ciò permette la repulsione tra le micelle in avvicinamento la stabilizzazione della dispersione corrispondente. Le sostanze che risiedono all’interno delle micromicelle sono percepite in maniera differente da quelle sciolte nell’olio; infatti, esse sono presenti in fasi chimico-fisiche differenti e per essere percepite al momento dell’assaggio devono venire a contatto con le papille gustative dell’apparato boccale, che sono coperte da un sistema acquoso. Questa situazione porta a “sentire” prima le sensazioni legate ai componenti idrocompatibili e poi, in un secondo momento, a quelli più idrofobi (retrogusto). Valutazione della qualità La serie dei parametri di qualità degli oli ottenuti dalle olive è riportata nel Regolamento CEE 2568/91 e successive modificazioni. Composti gliceridici L’analisi dei costituenti gliceridici è importante per vari aspetti: alcuni di essi sono caratterizzanti per la valutazione della qualità delle materie prime (digliceridi totali), alcuni lo sono per la rivelazione di frodi (2-monogliceridi), alcuni altri per la valutazione della freschezza (1,2-digliceridi/1,3-digliceridi) e altri ancora per la previsione della conservazione (trigliceridi ossidati). Dal punto di vista diagnostico, per il controllo della genuinità sono importanti gli acidi grassi, tanto da essere determinati come composizione da tutti coloro che esaminano le sostanze grasse alimentari.
Assaggiatrice professionista di olio d’oliva al lavoro. L’impiego del caratteristico bicchiere blu cobalto o ambrato è normato dal Reg. CEE 2568/91. Il colore del bicchiere maschera il colore dell’olio, in modo che non ci si lasci influenzare dalle eventuali tonalità dorate o verdi, che possono modificare il giudizio sensoriale portando a cercare nell’olio sentori più o meno maturi
Analisi dei diacilgliceroli (digliceridi) La quantità totale dei diacilgliceroli (DG) è in relazione al livello di idrolisi della sostanza grassa, sia a livello di materia prima sia, in617
ricerca crementata, durante la trasformazione. Attraverso l’idrolisi si forma anche acidità libera, normalmente misurata come parametro di qualità ma, nel caso di oli che vengano poi raffinati, rimangono come testimoni dell’inacidimento solo i digliceridi. Oggi sono possibili analisi che realizzano ottime separazioni basate sulla dimensione e sul grado di insaturazione totale del singolo digliceride, si è potuto mettere a punto un metodo di determinazione dei digliceridi per la misurazione anche degli 1,2-DG separatamente dagli 1,3-DG. Con tale possibilità analitica si è evidenziata l’importanza della determinazione del rapporto fra i due tipi di digliceridi nella valutazione della qualità degli oli di oliva. Tale rapporto diminuisce sempre di più in quanto gli 1,3-DG si incrementano, nel tempo di conservazione, per effetto idrolitico selettivo dei TG e per isomerizzazione degli 1,2-DG.
Genuinità e qualità
• Spesso la qualità di un olio ottenuto
dalle olive è confusa con la genuinità. Un olio che corrisponda a quello indicato in etichetta è genuino, ma non è automaticamente di qualità
• Nel caso degli oli da olive la genuinità
è molto importante, perché in tutte le altre sostanze grasse i prezzi sono abbastanza vicini da non rendere economicamente interessante la frode
Analisi dei monoacilgliceroli (monogliceridi) La determinazione della composizione degli acidi grassi presenti nella posizione centrale della glicerina, dopo degradazione con lipasi pancreatica dei trigliceridi di origine vegetale, è utile all’individuazione di sostanze grasse esterificate chimicamente. L’analisi diretta dei monogliceridi (come trimetilsilil derivati, TMS) nel lipolizzato ha permesso un notevole risparmio di tempo e una migliore misura a causa della diminuzione delle interferenze, spesso riscontrate per il metodo ufficiale di analisi precedente.
• La genuinità degli oli da olive
è controllabile impiegando le determinazioni analitiche previste per i parametri corrispondenti dal Reg. CEE 2568 del 1991 e successive modificazioni
Accettabilità e qualità
Analisi degli acidi grassi La determinazione degli acidi grassi è la più classica delle determinazioni gas cromatografiche: oggi si preferisce affrontare, oltre alla determinazione degli acidi grassi totali o di quelli relativi a particolari frazioni lipidiche, in diversi casi, anche la determinazione degli acidi grassi liberi. Nel caso della determinazione della composizione degli acidi grassi (sotto forma di esteri metilici) è stato ampiamente sfruttato l’impiego di colonne capillari polari, che forniscono la possibilità di separare abbastanza bene anche gli acidi grassi transisomeri, al punto da diventare un metodo della CE per il controllo della genuinità degli oli vergini (che non hanno subito raffinazione).
• L’accettabilità di un alimento
e quindi anche di un olio di oliva è determinata dalla risposta alla valutazione edonistica di consumatori non addestrati. I volumi di vendita di un olio sono influenzabili anche dai prezzi al consumo, non dipendendo solo dal livello di gradimento del prodotto
Gliceridici e qualità degli oli
• I maggiori costituenti di una sostanza
Determinazione della composizione degli acidi grassi La composizione degli acidi grassi consente di svelare le frodi più grossolane, in quanto è la determinazione che viene condotta più di frequente e, quindi, chi froda la conosce e ne rispetta le possibilità diagnostiche, operando frodi che non siano facilmente svelate da questa analisi. Tuttavia, nella determinazione della composizione degli acidi grassi è possibile valutare anche gli acidi grassi in configurazione trans, con particolare interesse per quelli monoinsaturi (monoeni). Tali isomeri trans sono la traccia di raffinazione degli oli e, quindi, la loro presenza è indice – come le determinazioni spettrofotometriche – di miscele con oli raffinati.
grassa alimentare sono composti di natura gliceridica: in particolare, normalmente, dominano i trigliceridi (triacilgliceroli) fino oltre al 95% circa, poi vi sono digliceridi (diacilgliceroli) fino al 2-4% e infine i monogliceridi (monoacilgliceroli)
618
controllo di qualità Determinazione dei componenti dell’insaponificabile (liberi e combinati) I componenti minori degli oli, soprattutto quelli della frazione insaponificabile, sono da sempre stati considerati molto informativi sulle miscele fraudolente degli oli d’oliva. I metodi più interessanti sono quelli basati sui componenti dell’insaponificabile liberi ed esterificati, determinati mediante analisi separate, con particolare riferimento per gli steroli. Questo metodo consente di rivelare piccole presenze di olio di nocciola, anche se sottoposto preventivamente a deodorazione spinta per eliminare i componenti liberi dell’insaponificabile (che di solito sono maggioritari). Oltre a ciò, la validità delle determinazioni sui componenti dell’insaponificabile sta nella capacità di indicare la presenza di determinati oli nelle miscele con oli d’oliva, anche in quantità relativamente piccole. La determinazione quali-quantitativa degli stereni, con particolare interesse per gli steradieni, è utile per svelare la miscela di oli raffinati negli oli vergini.
O CH2 O
O R’
C
O
C
R
C
R”
CH CH2 O
O Struttura dei triacilgliceroli (trigliceridi)
O CH2 O
Resistenza all’ossidazione forzata Fra i vari sistemi di valutazione della situazione ossidativa di una sostanza grassa, i test di resistenza a ossidazione accelerata o di resistenza al maltrattamento termo-ossidativo sembrano quelli più efficaci, anche se sono criticabili per numerosi aspetti. Lo scopo è quello di ottenere una misura obiettiva della sua qualità in relazione alla stabilità durante la conservazione. Sono disponibili alcune apparecchiature capaci di fornire un dato di stabilità molto utilizzato per caratterizzare una sostanza grassa e, in alcuni casi, diagnostico per capire l’influenza di alcuni parametri di produzione sulla qualità di un olio. Questa determinazione si riferisce a un aspetto della qualità intrinseca, che però non ha avuto ancora impieghi ufficiali.
HO
C
R
C
R”
CH CH2 O
O Struttura dei diacilgliceroli (digliceridi)
CH2 OH HO
Orto-difenoli La determinazione dei componenti con struttura molecolare di odifenoli ha lo scopo di qualificare la capacità antiossidante dell’olio e quindi la sua futura stabilità durante la conservazione. Pertanto, questa analisi ha caratteristiche simili a quella più empirica della resistenza all’ossidazione forzata, una determinazione utile a stabilire la qualità intrinseca dell’olio.
CH CH2 O
C
R”
O
Struttura dei monoacilgliceroli (monogliceridi)
Componenti volatili Le sostanze volatili costituiscono in generale i componenti odorosi di un alimento e, nel caso degli oli vergini d’oliva, sono di particolare importanza per il giudizio organolettico. La disponibilità di una metodica di analisi dei volatili degli oli vergini, oltre a consentire un controllo quali-quantitativo dei componenti responsabili di pregi e difetti percepibili all’olfatto è utile anche in un controllo anti-frode, in quanto permette il contemporaneo dosaggio del contenuto di composti benzenici e di idrocarburi alogenati.
O R
C
OH
Strutture degli acidi grassi: R è la catena idrocarburica e COOH è il gruppo carbossilico
619
l’ulivo e l’olio
ricerca Analisi sensoriali Tonino Zelinotti
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Analisi sensoriali La definizione classica della “qualità alimentare” di un prodotto è l’insieme delle caratteristiche o attributi individuabili, intrinseche o estrinseche, di un alimento in grado di soddisfare i bisogni psicofisiologici del consumatore e quindi significativo per determinare il grado di accettazione di un prodotto. Le più moderne correnti di pensiero hanno ampliato questa definizione delegando al consumatore la scelta dei cibi soprattutto sulla base dei suoi organi di senso e delle sue esperienze organolettiche nutrizionali. Appare subito evidente come si sia superata la convinzione che la qualità consistesse solo in un controllo delle caratteristiche chimiche, fisiche e microbiologiche e che per il controllo della qualità di un prodotto alimentare è imprescindibile ricorrere, salvo poche eccezioni, all’analisi sensoriale individuando tutti i particolari descrittori che la identifichino e la quantifichino. Questa tecnica si basa sull’elevata sensibilità dei sensi umani, scientificamente provata, che permette di individuare gli attributi di qualità facilmente percettibili dal consumatore mediante la semplice osservazione delle caratteristiche che interferiscono con gli organi di senso valutandone aspetto, colore, viscosità, dimensione o forma, pregi, difetti, sensazioni chinestetiche, sensazioni orali, gusto, odore. Queste proprietà, tuttavia, possono essere soggettivamente interpretate da distinti individui e, quindi, poco affidabili, soprattutto se considerate sotto l’aspetto tecnico-scientifico, dal momento che nessuno può garantire che i giudizi non siano viziati da certi fattori come le abitudini, le situazioni economiche e sociali, o, semplicemente, dalle inevitabili differenze psico-fisiologiche di ciascuna persona. È stato quindi necessario creare soluzioni che portino a valutazioni più sicure, indispensabili nell’ambito industriale, produttivo e commerciale ma soprattutto per lo sviluppo della ricerca scientifica, di quelle proprietà caratteristiche, sensorialmente percettibili che sono di fondamentale interesse, per essere quelle che il consumatore osserva e apprezza con maggiore facilità. La soluzione più polivalente e promettente è stata trovata nella metodologia sensoriale comunemente nota come panel test, consistente nel servirsi di persone come “campioni” dell’“universo dei consumatori”. Questi campioni, adeguatamente preparati e controllati, sono utilizzati come veri apparecchi di misura delle caratteristiche organolettiche che si vogliono valutare. Il metodo del panel test si fonda sull’applicazione alle prove sensorie di una serie di cognizioni psico-metriche e di tecniche statistiche che permettono di ottenere risultati che, per il loro livello di affidabilità e di obiettività, possono essere ammessi con gradi
Corteccia
Bulbo olfattivo Fossa nasale Percezione diretta Percezione retronasale Epitelio olfattivo Tratto olfattivo Percezione delle sensazioni
Addestramento degli assaggiatori
620
analisi sensoriali di sicurezza simili a quelli abitualmente in uso in altri campi della scienza e della tecnologia. A maggior ragione, se il numero di persone preso come campione è scelto bene, se si seguono le tecniche di lavoro in modo corretto, se l’impostazione della prova è quello giusto e il trattamento dei dati è quello dovuto dotandolo delle prerogative di precisione e di accuratezza e quindi di affidabilità, ovvero se si costituisce un panel analitico, la valutazione dei parametri individuati come “qualità” determinerà valori molto sicuri della risposta umana. Si otterrà, così, il valore più probabile con limite di errore noto, in in cui l’influenza personale dell’operatore è minimizzata e in linea con il criterio di definizione di una misura come oggetto. In base a tali premesse è ampiamente validata l’adozione del l’analisi sensoriale nella regolamentazione internazionale (Reg. to 2568/91 della Commissione europea e Norma Commerciale del Consiglio Oleicolo Internazionale) quale parametro di qualità indispensabile per definire, insieme ai parametri chimico-fisici, la classificazione, ai sensi della regolamentazione citata, degli oli d’oliva vergini intesi come “l’olio ottenuto dall’olivo soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici, in condizione che non causino alterazione dell’olio e che abbiano subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione ecc.”. Infatti gli oli di oliva vergini, e solo questi fra quelli riportati nella classificazione merceologica internazionale degli oli di oliva, come tutti gli altri oli vegetali, sono costituiti da una frazione gliceridica (98% circa) e da una frazione insaponificabile (2% circa). In questa frazione, fra i circa 250 composti chimici, è possibile individuare un numero relativamente grande di composti
Cabina di assaggio e strumentazione
Laboratorio di preparazione dei campioni per l’analisi sensoriale
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ricerca aromatici, che hanno un ruolo fondamentale dal punto di vista organolettico, dotati di una caratteristica comune quale quella di essere sufficientemente volatili. Questi composti appartengono a diverse classi come alcoli, esteri, chetoni, aldeidi, eteri, idrocarburi. Sono loro, insieme ai fenoli – definiti composti minori polari, derivanti da particolari sostanze presenti nelle olive che, in seguito a processi idrolitici, divengono parzialmente solubili anche nell’olio e la cui quantità è influenzata da vari fattori (grado di maturazione delle olive, aspetti agricolturali, tecnologia di estrazione) – che caratterizzano ed esaltano le peculiarità salutistiche, nutrizionali e sensoriali dell’olio di oliva vergine. Le sostanze fenoliche risultano, inoltre, particolarmente interessanti per gli aspetti salutistico-nutrizionali. Tra i componenti volatili, alcuni sono definiti “aromi originari” in quanto naturalmente presenti nell’olio; gli altri sono considerati “aromi di derivazione” in quanto si formano nel corso della lavorazione delle olive per effetto di meccanismi endogeni dovuti all’attivazione di enzimi come la lipossigenasi. Infatti, tra i più importanti prodotti delle lipossigenasi, enzimi della famiglia delle lipossidasi, ci sono alcoli ed esteri a sei atomi di carbonio, particolarmente importanti nella caratterizzazione degli oli vergini. La percezione congiunta di questi gruppi di composti aromatici attraverso l’olfatto, nota come flavor, permette di definire una “qualità sensoriale” dell’olio di oliva vergine, in base alla loro natura e intensità, e di stabilire un criterio a distinti livelli, favorevoli e sfavorevoli, che secondo la versione edonistica è riconducibile a due fondamentali categorie: pregi e difetti. In generale, pregi e
Sensazioni aromatiche
• Sensazioni aromatiche dirette
o retronasali: si evidenziano attraverso uno stimolo esterno che viene percepito da organelli, tradotto in un segnale elettrico e quindi inviato al cervello che lo decodifica e lo traduce in sensazione (trasduzione)
• Sensazioni olfattive: interessano
i neuroni, ubicati nella parte alta della cavità del naso, sulla membrana olfattiva, che, essendo in comunicazione anche con la parte posteriore della bocca, possono percepire gli odori per via diretta o retronasale
• Sensazioni gustative sono evidenziate
dai “bottoni gustativi” che si trovano diffusi su tutta la lingua e dove sono presenti le cellule gustative o ricettori che, sollecitate da molecole sapide e veicolate dalla saliva, inviano impulsi elettrici ai nervi gustativi attraverso neurotrasmettitori e a specifici centri del cervello
• Sensazioni retrolfattive qualitative sono legate alla percezione del piccante, bruciante e astringente. Il sistema di ricezione è localizzato a livello di terminazioni libere del nervo trigemino nella cavità orale, faringeo e anche nasale
• Sensazioni tattili-cinestetiche sono
legate al contatto di composti chimici dell’olio con la mucosa orale che hanno temperatura, viscosità e bagnabilità differenti e che esercitano una certa pressione o che possono provocare dolore o fastidio
Sala per il panel test
622
analisi sensoriali difetti dell’olio possono essere determinati, nelle varie fasi della filiera di produzione, da differenti fattori, quali: tipo di varietà di olivo coltivata (cultivar), area geografica di coltivazione, condizioni climatiche, grado di maturazione delle olive, tecnologia di raccolta, tempi e luoghi di conservazione delle olive, tecnologie di estrazione, condizioni di conservazione dell’olio, igiene e pulizia generali, tempo e temperatura di gramolazione e trattamenti alla pianta e al terreno. Sono, quindi, proprio queste percezioni sensoriali legate alla presenza nell’olio di composti volatili e fenolici che, singolarmente o sinergicamente fra loro, determinano, di volta in volta, sensazioni aromatiche olfattive dirette o retronasali, sensazioni gustative, sensazioni retrolfattive e sensazioni tattili-cinestetiche attraverso una risposta sensoriale corrispondente a un complesso di stimoli chimici, una risposta biologicamente e fisiologicamente compensata producendo ancora percezioni sensoriali più specifiche riconducibili a descrittori semantici sensorialmente percepibili (fruttato, erba, amaro, rancido, muffa ecc.). Purtuttavia, è necessario segnalare che gli organi di senso che funzionano da tramite per l’analisi sensoriale non sono gli unici responsabili della valutazione degli oli d’oliva vergini perché abitudini, fattori ambientali esterni, condizionamenti psicologici, nel momento in cui la percezione arriva al cervello, possono intervenire e, di conseguenza, influenzare la traduzione dello stimolo. L’insieme di queste sensazioni, codificate nel vocabolario corrente, come descrittori, quanto più sono descritte in modo corretto e completo, tanto meglio assicurano la possibilità di utilizzare il metodo internazionale di valutazione delle caratteristiche sensoriali degli oli d’oliva vergini panel test (all. XII del Reg.to (CE) n. 2568/91 e Criteri di qualità della Norma Commerciale del Consiglio Oleicolo Internazionale applicabile agli oli di oliva vergini) consentendo, così, di individuare la classe merceologica di appartenenza degli oli vergini d’oliva come oli di oliva extravergini, vergini e lampanti in funzione della presenza o meno degli attributi positivi (pregi) e negativi (difetti) e della loro intensità.
Bottoni sulla base della lingua
Amaro
Papille vallate Papille foliate
Acido
Salato Dolce
Papille filiformi
Papille fungiformi
Zone di percezione sensoriale della lingua e relative papille
Fattori della percezione sensoriale
• La risposta sensoriale è determinata da
fattori diversi che entrano in gioco nella formula generale di ogni valutazione sensoriale: R = f(E,S) dove: R = risposta sensoriale; E = stimolo; S = fattori psico-fisiologici
Classificazione dell’olio secondo i risultati del panel test extra (mediana fruttato > 0, mediana difetti = 0) vergine (mediana fruttato > 0, mediana difetti ≤ 3,5)
• L’obiettivo dell’analisi è quello di rendere
lampante (mediana difetti ≥ 3,5 oppure la mediana dei difetti è ≤ 3,5 e la mediana del fruttato = 0)
S il più trascurabile possibile e far sì che R = f(E) + cost
Per i Paesi non comunitari è in vigore anche la classificazione dell’olio come corrente (mediana dei difetti ≥ 2,5 e < 6, oppure la mediana dei difetti è ≤ 2,5 e la mediana del fruttato è = 0) e il lampante sarà quello con la mediana dei difetti > 6
623
ricerca Le regole dell’assaggio, per garantire la riproducibilità e la ripetibilità dei risultati, sono riportate nel metodo del panel test e prevede una procedura basata su questa successione di passaggi elaborata sulla scorta dei Doc/T.20 n. 4, 5, 6, 14 e 15 (Risoluzione 21/95-V/2007 del 16 dicembre 2007): – normalizzazione delle condizioni di assaggio (sala panel, cabine di assaggio “ad hoc”, bicchieri, accessori a disposizione degli assaggiatori); – controllo dei fattori umani; – tecnica di assaggio (valutazione olfattiva, valutazione gustativa, trascrizione sul foglio di profilo delle intensità riscontrate dagli assaggiatori per gli attributi positivi e/o negativi ripresi nel vocabolario specifico riportato nel metodo); – elaborazione, da parte del capo panel, dei dati riportati sui fogli di profilo dagli assaggiatori, mediante un programma informatico che permetta di determinare la mediana di ciascun attributo con la verifica della bontà dei risultati con il coefficiente di variazione % robusto (CVR%) < 20; – elaborazione del profilo dell’olio esaminato; – classificazione merceologica dell’olio esaminato.
Individuazione dell’aroma dell’olio di oliva Sono stati fatti vari tentativi per individuare nell’aroma dell’olio di oliva quali sostanze siano responsabili dell’aroma, ma:
• nessuna delle sostanze identificate,
da sola, può rendere conto di tutto il complesso delle sensazioni, sfumature, impressioni che costituiscono l’aroma dell’olio di oliva
• i coefficienti di risposta dei rivelatori
strumentali non corrispondono ai coefficienti di percezione della sensibilità umana, per cui sostanze rivelate in tracce all’analisi chimica possono avere una forte incidenza sull’olfatto e viceversa
• le soglie di sensibilità delle membrane
Foglio di profilo FOGLIO DI PROFILO (a uso dell’assaggiatore)
olfattive possono essere diversissime da sostanza a sostanza, in dipendenza della specificità e del numero di ricettori della membrana atti a rivelarli
(Ad uso dell’assaggiatore) INTENSITÀ
• miscele di composti possono dar
PERCEZIONE DEI DIFETTI: Riscaldo/morchia
luogo a sensazioni organolettiche completamente differenti da quelle dei singoli componenti, quando siano saggiati singolarmente
Muffa/umidità Avvinato-inacetitoacido-agro
• analizzando oli provenienti da diverse
varietà di olive, si è evidenziato come i rapporti relativi tra i vari componenti (picchi) di un aromagramma possono essere differenti, corrispondenti alle diverse sfumature di “fruttato” che caratterizzano gli oli di diversa provenienza
Metallico Rancido Altri (quali) PERCEZIONE DEGLI ATTRIBUTI POSITIVI: Fruttato Amaro
Verde
Maturo
Piccante Nome dell’assaggiatore:
624
Codice del campione: Data:
analisi sensoriali A tutt’oggi è molto difficile valutare con uno strumento chimicofisico ogni singolo componente che partecipa a formare le infinite tonalità aromatiche di un olio d’oliva vergine e quindi è fondamentale affidarsi all’analisi sensoriale. Solo questa ci permette di distinguere prodotti che le determinazioni analitiche possono decretare identici e quindi rappresenta un giusto comportamento del quadro chimico-analitico di un olio d’oliva vergine. Per quanto riguarda, infine, il vocabolario da utilizzare per la valutazione organolettica riportato nella normativa internazionale (Unione europea e Consiglio Oleicolo Internazionale), la sua ultima versione è stata ufficializzata dal COI con la Risoluzione del 2007 (Doc. T/20/COI n. 15 Rev. 2) e ripresa dalla Commissione europea nel Reg.to (CE) n. 640/08, ultimo in materia. In questo Reg.to viene innalzato il limite della mediana dei difetti, per l’olio di oliva vergine, da 2,5 a 3,5, e viene conferita al capo panel la possibilità di certificare, con una terminologia opzionale, la valutazione sensoriale di fruttato, amaro e piccante in base a intervalli di intensità e di utilizzare altri due attributi (equilibrato e dolce) soddisfacendo, così, i termini previsti all’art. 5 del Reg.to (CE) n. 1019/02 in materia di etichettatura del prodotto finito rendendola più accattivante per il consumatore. L’amaro è da attribuire all’abbondanza di composti fenolici come i flavonoidi, i secoiridoidi e i derivati dell’acido benzoico e cinnamico. Tipica sostanza amara è l’oleuropeina, che per idrolisi libera l’idrossitirosolo, componente fenolico tipico. I composti responsabili dell’attributo piccante sono strutture oleosidiche semplici e complesse che ricordano l’effetto esercitato dal pepe e dal peperoncino.
Attributi positivi dell’olio di oliva
• Fruttato: insieme delle sensazioni
olfattive e caratteristiche dell’olio ottenuto da frutti freschi e sani, verdi o maturi, percepite per via diretta o retronasale
• Fruttato verde: quando le sensazioni olfattive ricordano frutti verdi, caratteristiche di olio da frutti verdi
• Fruttato maturo: quando le sensazioni olfattive ricordano frutti maturi, caratteristiche di olio da frutti verdi e maturi
• Amaro: sapore caratteristico di olio
ottenuto da olive verdi o olive appena invaiate
• Piccante: sensazione tattile pungente
di oli ottenuti all’inizio della campagna principalmente da olive ancora verdi
Per ciascuno dei suddetti attributi può essere usato il termine:
• Intenso: quando la mediana è superiore a6
• Medio: quando la mediana è compresa fra 3 e 6
• Leggero: quando la mediana è inferiore a3
• Equilibrato: olio in cui non si riscontra un insufficiente bilanciamento ma è equilibrata la sensazione olfattivogustativa e la sensazione tattile e la mediana degli attributi amaro e/o pungente è di due punti maggiore della mediana del fruttato
• Dolce: quando la mediana degli attributi amaro e piccante è ≤ 2
Sala per il panel test
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ricerca Attributi positivi per oli vergini DOP e IGP Sensazioni aromatiche olfattive dirette o retronasali
Relazione fra componenti e aroma Composto
Sensazione
3-Esenolo Esenale 2-Esenale 3-Esenale Etilmetilbutirrato 3-Esenilacetato Etilcicloesanoato Decadienale 2-Nonenale 4-Metossi-2metilbutandiolo
Foglia, verde
Acerbo: sensazione olfattiva complessa che richiama l’odore tipico dei frutti prima della maturità Agrumi: sensazione olfattiva che richiama quella degli agrumi (limone, arancia, bergamotto, mandarino e pompelmo) Camomilla: sensazione olfattiva che richiama quella del fiore della camomilla Carciofo: sensazione olfattiva del carciofo Erba: sensazione olfattiva tipica dell’erba fresca appena tagliata Erbe aromatiche: sensazione olfattiva che richiama quella delle erbe aromatiche Eucalipto: sensazione olfattiva tipica della foglia dell’Eucalyptus Fiori: sensazione olfattiva complessa che richiama in generale l’odore dei fiori, denominato anche floreale Foglia di fico: sensazione olfattiva tipica della foglia del fico Foglia di olivo: sensazione olfattiva che richiama l’odore della foglia di olivo fresca Frutta esotica: sensazione olfattiva che richiama gli odori propri della frutta esotica (ananas, banana, frutto della passione, mango, papaia ecc.) Fruttato maturo: sensazione olfattiva tipica di oli ottenuti da olive in piena maturità Fruttato verde: sensazione olfattiva tipica di oli ottenuti da olive raccolte, prima o durante l’invaiatura Frutti rossi: sensazione olfattiva tipica dei frutti del sottobosco (mora, lampone, mirtillo, ribes nero e ribes) Mandorla: sensazione olfattiva che richiama le mandorle fresche Mela: sensazione olfattiva che richiama l’odore delle mele fresche Noce: sensazione olfattiva tipica del gheriglio delle noci Pepe verde: sensazione olfattiva tipica dei grani di pepe verde Peperone: sensazione olfattiva che richiama il peperone rosso o verde fresco Pera: sensazione olfattiva tipica della pera fresca Pinolo: sensazione olfattiva che richiama l’odore del pinolo fresco Pomodoro: sensazione olfattiva tipica della foglia del pomodoro Vaniglia: sensazione tipica della vaniglia secca naturale in polvere o in guaina, diversa dalla sensazione della vanillina
Verde, grasso, amaro Verde, mela Fruttato Fruttato Fruttato Fritto Grasso Ribes
Attributi negativi dell’olio di oliva
• Riscaldo/morchia: flavor caratteristico
dell’olio ottenuto da olive ammassate o stoccate che hanno sofferto un avanzato grado di fermentazione anaerobica o dell’olio rimasto in contatto con i fanghi di decantazione sotterranei o aerei che hanno subito anche un processo di fermentazione anaerobica
• Muffa-umidità: flavor caratteristico
dell’olio ottenuto da frutti nei quali si sono sviluppati abbondanti funghi e lieviti per essere rimasti ammassati per molti giorni in ambienti umidi
Sensazioni gustative Amaro: sapore caratteristico ottenuto da olive verdi o invaiate; definisce il sapore elementare associato a soluzioni acquose di sostanze come la chinina e la caffeina Dolce: sensazione “gustativo-cinestetica” complessa caratteristica dell’olio ottenuto da olive che hanno raggiunto la completa maturità
• Avvinato-inacetito-acido-agro: flavor
caratteristico di alcuni oli che ricorda quello del vino o dell’aceto. È dovuto fondamentalmente a un processo fermentativo delle olive o dei residui delle paste di olive lasciate pressate su stuoie non lavate correttamente che porta alla formazione di acido acetico, acetato di etile ed etanolo (segue)
Sensazione retrolfattiva qualitativa Persistenza retrolfattiva: durata delle sensazioni retrolfattive residue, dopo aver espulso dalla cavità orale il sorso di olio d’oliva Sensazioni tattili o cinestetiche Fluidità: caratteristiche cinestetiche dello stato reologico dell’olio, il cui complesso è capace di stimolare i recettori meccanici della cavità orale Piccante: sensazione tattile pungente caratteristica di oli prodotti all’inizio della campagna, principalmente da olive ancora verdi
626
analisi sensoriali In generale le sensazioni di amaro e piccante sono correlate alla presenza di sostanze di tipo fenolico, diffusissime nel mondo vegetale e quindi anche nelle olive. Sono contenute in queste in quantità variabili di ppm, decrescente con il progredire della maturazione delle olive. Per gli oli d’oliva vergini a denominazione d’origine protetta (DOP) e a indicazione geografica protetta (IGP), per il momento solo nella Norma Commerciale del COI (Risoluzione 2/93-IV/05 del 18.11.2005), è riportata un’altra serie di attributi positivi ripresi in un metodo da utilizzare come strumento uniforme per la valutazione e l’armonizzazione delle procedure destinate a tali oli al fine di individuare meglio il loro profilo sensoriale caratteristico per evidenziare ed esaltare la loro tipicità. Gli attributi negativi possono essere causati da cattiva coltivazione, raccolta e conservazione delle olive raccolte, da una scorretta tecnologia di estrazione dell’olio e, infine, da un’errata conservazione dell’olio. Hanno tutti un’origine biochimica per azione, a carico delle diverse classi di componenti chimici presenti nelle olive e nell’olio di lieviti, enzimi ecc.
(continua)
• Metallico: flavor che ricorda il metallo.
È caratteristico dell’olio mantenuto a lungo in contatto con superfici metalliche durante i procedimenti di macinatura, gramolatura, pressione o stoccaggio
• Rancido: flavor degli oli che hanno subito un processo ossidativo
• Cotto o stracotto: flavor caratteristico dell’olio, dovuto a eccessivo e/o prolungato riscaldamento durante l’ottenimento, specialmente durante la termo-impastatura, se avviene in condizioni termiche inadatte
• Fieno-legno: flavor caratteristico
di alcuni oli provenienti da olive secche
• Grossolano: sensazione orale/tattile densa
Cause di aromi sgradevoli negli oli Grassi Proteine
Carboidrati
e pastosa prodotta da alcuni oli vecchi
Muffa (Penicillium, Aspergillus) Rancido (ossidazione) Aminoacidi
• Lubrificanti: flavor dell’olio che ricorda il gasolio, il grasso o l’olio minerale
Riscaldo (Clostridium, Pseudomonas) Cotto (temperatura)
Fermentazione alcolica
Avvinato (lieviti) Inacetito (Acetobacter)
Fermentazione butirrica
Morchia (Clostridium)
Zuccheri
• Salamoia: flavor dell’olio estratto da olive conservate in salamoia
• Sparto: flavor caratteristico dell’olio
ottenuto da olive pressate in fiscoli nuovi di sparto. Esso può essere diverso se il fiscolo è fatto con sparto verde o con sparto secco
• Terra: flavor dell’olio ottenuto da olive
raccolte con terra o infangate e non lavate
• Verme: flavor dell’olio ottenuto da olive fortemente colpite da larve di mosca dell’olivo (Bactrocera oleae)
• Cetriolo: flavor che si produce
caratteristicamente nell’olio durante un condizionamento ermetico prolungato, particolarmente in lattine, che è attribuito alla formazione di 2,6-nonadienale
• Legno secco: flavor caratteristico dell’olio estratto da olive che hanno subito un processo di congelamento sull’albero
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l’ulivo e l’olio
ricerca Analisi NMR Marco Chiarini, Luisa Mannina
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Analisi NMR Introduzione Una delle cose più affascinanti della spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) è la sua complessità, che può essere allo stesso tempo fonte di stimolo intellettuale alla comprensione e motivo di frustrazione per coloro che vogliano comprendere e utilizzare a fondo questa tecnica analitica. Fortunatamente, come molte altre tecniche fisiche di analisi utilizzate per lo studio di sistemi biologici, l’NMR può essere utilizzato in modo empirico, per esempio semplicemente seguendo le variazioni spettrali dovute alle alterazioni di alcuni parametri sperimentali. Anche se per alcune applicazioni NMR l’approccio allo strumento può essere fruttuoso anche ignorando completamente i principi che lo sottendono, per una migliore comprensione dei risultati ottenuti, e per sapere quali informazioni si possono ricavare dalla tecnica NMR, è essenziale conoscerne i principi. Il fenomeno della risonanza magnetica nucleare può essere descritto molto semplicemente come l’assorbimento di energia da parte di un campione immerso in un campo magnetico e irraggiato con onde elettromagnetiche alla frequenza appropriata (generalmente onde radio). La frequenza della radiazione da utilizzare dipende
Magia del nucleo
• È affascinante pensare che utilizzando
solo pochi componenti elettronici e un magnete sia possibile osservare dei nuclei atomici in un pezzo di cera o in una goccia d’acqua; tutto il suo incanto ci è descritto in maniera poetica da Purcell nella sua conferenza per il conferimento del premio Nobel nel 1952: “I remember, in the winter of our first experiments (…) looking on snow with new eyes. There the snow lay around my doorstep – great heaps of protons quietly precessing in the earth’s magnetic field. To see the world for a moment as something rich and strange is the private reward of many a discovery”
Foto R. Angelini
Utilizzo della risonanza magnetica nucleare (NMR)
• Durante i dieci lustri trascorsi dalle
prime misure, l’NMR è diventato un potentissimo strumento fisico di investigazione della materia • L’ampiezza del suo campo di utilizzo è sconcertante, esso copre un numero sorprendente di oggetti di studio come l’encefalo, le ossa, le cellule, la ceramica, i composti chimici organici e inorganici, il cioccolato, i cristalli liquidi, i gas polarizzati, la struttura delle proteine, i superconduttori, le zeoliti, il circolo sanguigno, i polimeri, i composti chimici naturali, la geologia, i colloidi, i processi di trasformazione alimentare, l’analisi degli alimenti, i dipinti, i metalli, le membrane, la navigazione giroscopica, il legno, le transizioni di fasi, le piante, i punti quantici, i ghiacci antartici, il suolo, il cemento, l’olio, la pasta ecc.
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analisi NMR
Intensità (totale digliceridi)
da tre parametri: il tipo di nucleo (1H, 13C, 31P, 14N, 15N ecc.), l’intensità del campo magnetico in cui i nuclei sono immersi e l’intorno chimico del nucleo stesso. L’omogeneità dell’intensità del campo magnetico è fondamentale per la risonanza NMR ad alta risoluzione (esso non deve variare più di 10 ppb nell’intero volume del campione), mentre una sua variazione controllata (utilizzando bobine di filo conduttore che possano generare campi magnetici meno intensi di quello principale) è alla base di altre tecniche di risonanza nucleare come MRI (risonanza nucleare di imaging) o misure di diffusione. Inoltre la misura del tempo necessario ai nuclei per dissipare l’energia assorbita può essere utilizzata per ricavare informazioni sui processi dinamici che avvengono nel campione. Risonanza magnetica nucleare nell’olio di oliva Di seguito è proposto un confronto tra le analisi convenzionali e l’informazione che si può ottenere con la tecnica NMR.
100 90 80 70 60 50 40 30 20
0
2
4
6
8 10 12 14 16
Acidità libera (% acido oleico) Correlazione tra acidità libera misurata con le metodica tradizionale e la quantità di digliceridi ottenuta dallo spettro 1H NMR
Acidità libera Una delle analisi convenzionali più conosciute è la misura dell’acidità libera ottenuta con metodi chimici tradizionali. Lo spettro 1H di un olio di oliva non permette di ottenere questa informazione direttamente, ma è possibile ricavare una misura indiretta dell’acidità misurando la quantità di digliceridi presenti. Lo spettro 1H di un olio di oliva mostra le risonanze delle catene in posizione sn 1,2 e sn 1,3 del glicerolo a 3,639 e 3,994 ppm rispettivamente. La quantità totale di digliceridi e il rapporto 1,2/1,3 sono strettamente correlati alla qualità e alla freschezza del prodotto; infatti oli vecchi o conservati male (definiti anche lampanti se l’acidità libera è molto elevata o sono presenti difetti organolettici) hanno una quantità di digliceridi molto elevata rispetto agli oli extravergini ben conservati e con un rapporto 1,2/1,3 basso. Va sottolineato, infatti, che con il tempo gli 1,2-digliceridi sempre presenti nell’olio extravergine si trasformano per trasposizione in 1,3-digliceridi.
Foto Bruker BioSpin
Spettro 1H
Analisi degli acidi grassi Una delle analisi convenzionali più importanti è la determinazione del profilo degli acidi grassi effettuato mediante gas cromatografia. La gas cromatografia permette di ottenere la quantità di ogni acido grasso presente nell’olio; un tipico gas cromatogramma dà la composizione in acidi grassi in termini di C14:0, C16:0, C16:1, C17:0, C17:1, C18:0, C18:1, C18:2, C18:3, C20:0, C20:1, C22:0, C24:0. Questo tipo di analisi così dettagliata non può essere effettuata tramite la spettroscopia 1H NMR. Infatti, a causa della sovrapposizione dei segnali, nello spettro 1H NMR è possibile distinguere solo le classi di acidi grassi, ovvero gli acidi grassi con 0, 1, 2 o 3 doppi legami.
• Dallo spettro di risonanza del protone
si possono ottenere informazioni sul tipo di composti chimici presenti nell’olio e sulle loro quantità relative, dal momento che la posizione dei picchi di assorbimento è correlata alla natura molecolare della sostanza e le intensità dei segnali sono proporzionali alle concentrazioni
629
ricerca Espansione della zona a campi alti di uno spettro 1H NMR di un olio di oliva
β-sitosterolo
0,66 0,65 0,64 0,63 0,62 0,61 0,60 0,59 ppm
15 14 13 12 11 10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
ppm
Informazioni importanti sulla distribuzione degli acidi grassi sullo scheletro del glicerolo possono essere ottenute attraverso la spettroscopia 13C NMR. Il metodo riconosciuto dal regolamento comunitario per la determinazione della distribuzione delle catene è un metodo enzimatico molto laborioso e non molto accurato. È importante sottolineare che la gas cromatografia fornisce la completa composizione in acidi grassi ma non dà alcuna informazione sulla distribuzione delle catene grasse sul glicerolo. Quindi le due tecniche, GC e NMR, devono essere considerate complementari e non alternative.
28
12
1
9
10
2
5
3
HO
11 CH 19 3 H
4
H3C21 20 CH 18 3 13
7
H 16
14 8
H
17
CH 29 3
24
22 23
Analisi degli steroli Le analisi convenzionali degli steroli previste dalla normativa europea sono effettuate tramite la gas cromatografia. Lo spettro protonico permette di avere informazioni sugli steroli grazie alla presenza della risonanza del CH3 in posizione 18 della struttura molecolare degli steroli, sempre in una regione spettrale molto stretta (0,6-0,7 ppm) ed esente da sovrapposizioni di altre risonanze. In un qualunque olio vegetale è possibile osservare questa utile piccola regione spettrale e quindi ottenere informazioni sulla composizione sterolica. Mentre in oli extravergini di oliva è presente solo il β-sitosterolo, uno sterolo “buono”, in oli di semi è evidente la presenza anche di altri steroli sicuramente meno buoni. Si può anche confrontare la risonanza del β-sitosterolo con la risonanza satellite del 13C del metile degli acidi grassi.
25
CH 27 3
CH 26 3
15
H
6
Struttura del β-sitosterolo
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analisi NMR Determinazione di squalene, cicloartenolo e clorofilla priva di Mg Lo squalene è sempre presente negli oli di oliva in quantità variabile tra 12,5 e 75 mg/1000 g di olio. Nello spettro dell’olio di oliva è possibile riconoscere sempre un singoletto a 1,620 ppm, dovuto a un gruppo metilico. Quando questa risonanza non è osservabile, siamo in presenza di oli rettificati o comunque adulterati. Lo spettro protonico mostra anche la presenza di cicloartenolo. Il cicloartenolo è uno steroide complesso caratterizzato dalla presenza di un anello a tre atomi di carbonio. Una frode che può essere rilevata con la tecnica protonica NMR è l’aggiunta, nell’olio, di clorofilla. Questa frode è atta a intensificare il colore verde dell’olio e a rendere, quindi, il prodotto più invitante per i consumatori. La clorofilla ha una struttura porfirinica in cui è normalmente presente il magnesio legato con legami di coordinazione. Solitamente, però, la clorofilla aggiunta è degradata e al posto del magnesio è presente, nel macrociclo, il gruppo NH. In questo caso lo spettro protonico dell’olio presenta a campi alti, a circa –0,4 ppm, un segnale molto largo dovuto proprio al segnale NH.
18 17 13 12
29
4
3
1
H23 H3C CH3 19
7 6
15
26
24 25
H8a
8 9
5
2
11
HO
16
H5a
H3C30 23 CH 22 3
27
CH3 28
CH 31 3
10
CH 21 3
14
20
Struttura del cicloartenolo
Struttura dello squalene CH3
CH3
25
3
1
H3C
2
CH3
26
5 4
27
7 6
11
9 8
10
13 12
15 14
17 16
19 18
21 20
22
CH 23 3
Struttura della clorofilla a
24
H3C
28
H 3C
29
H 3C
30
Foto Agrilinea
Acidi grassi insaturi Il metodo convenzionale per determinare il grado totale di insaturazione è una misura del numero di iodio (N.I.). Il numero di iodio degli acidi grassi insaturi non è una misura quantitativa, ma è solo un numero empirico utile per avere un’informazione qualitativa sulla quantità totale di insaturazione. Lo spettro protonico dell’olio di oliva permette, invece, la misura quantitativa degli acidi grassi insaturi. In aggiunta, attraverso lo spettro 13C dell’olio di oliva, è possibile avere l’intera composizione delle catene insature analizzando la regione spettale tra 120 e 130 ppm. Caratterizzazione geografica degli oli di oliva La definizione dell’origine geografica di un olio di oliva è argomento di grande attualità e molto dibattuto. Con un importante atto legislativo comunitario è stato definito il concetto di DOP (Denominazione di Origine Protetta) che permette di identificare alcuni oli extravergini con il nome dell’area in cui vengono prodotti. Que631
ricerca sta certificazione intende aumentare il valore anche commerciale dei prodotti italiani, greci e spagnoli. La composizione di un olio di oliva è il risultato di diversi elementi come l’area di provenienza, la cultivar ecc. Da un punto di vista analitico, in letteratura si trovano esempi di metodiche atte a identificare l’origine geografica della produzione delle olive attraverso analisi multivariate di parametri chimici idonei. Per esempio utilizzando l’analisi della componente principale (PCA) è stato possibile distinguere tra loro oli di oliva provenienti da differenti regioni italiane o classificare oli greci a secondo della loro provenienza geografica. La combinazione della spettroscopia NMR ad alta risoluzione con un’appropriata analisi statistica ha permesso di ottenere risultati interessanti nella classificazione degli oli di oliva. Risonanza di spin elettronico (EPR) Una delle proprietà della materia è il magnetismo. Da un punto di vista macroscopico tutte le sostanze sono magnetiche, indicando con questo termine la loro capacità di interagire con un campo magnetico. Ma da dove deriva questo magnetismo? Possiamo individuare a livello microscopico tre sorgenti differenti: – la circolazione di una corrente elettrica; – il momento magnetico dell’elettrone; – il momento magnetico del nucleo. I primi due contributi elettronici sono quasi sempre di entità largamente superiore al contributo del nucleo; si può quindi misurare l’interazione delle onde elettromagnetiche con lo spin elettronico oltre che con lo spin nucleare. La tecnica che sfrutta questa interazione è detta EPR (Electron Paramagnetic Resonance) oppure ESR (Electron Spin Resonance). Applicazioni EPR nell’olio di oliva Studi recenti hanno suggerito che la bassa incidenza di malattie cardiovascolari nella popolazione dell’area mediterranea sia dovuta, tra gli altri fattori, alle proprietà antiossidanti di vitamine, come la vitamina E, e composti polifenolici presenti nell’olio di oliva largamente utilizzato nell’alimentazione di queste popolazioni. È stato tra l’altro dimostrato che i polifenoli presenti nell’olio di oliva, specialmente in quello extravergine, sono dei potenti antiradicali sia in vitro sia in vivo; inoltre contribuiscono alla stabilizzazione degli acidi grassi liberi. I polifenoli negli oli vegetali variano sia in qualità sia in quantità a seconda dell’origine e dei processi di trasformazione adottati. Il potere antiossidante (antiradicalico) di un olio o di sue frazioni estratte con solventi a polarità differente può essere valutato misurando la variazione dell’intensità dello spettro EPR di un radicale stabile quale il 2,2-difenil-1-picrilidrazile (DPPH), il sale di Fremy (nitrosodisolfonato di potassio), il radicale gal632
analisi NMR vinossile [radicale 1,6-di-terz-butil-α-(3,5-di-terz-butil-4-osso2,5-cicloesadien-1-ilidene)-p-tolilossile], indotto dall’estratto o dall’olio e comparandolo con l’effetto di molecole antiossidanti come i tocoferoli, l’acido gallico, la quercetina. Il metodo si basa sulla reazione che avviene tra il radicale stabile, per esempio il DPPH, e l’antiossidante (AH)n. Questa reazione consuma il radicale e fa diminuire il suo segnale EPR, poiché l’area del segnale è proporzionale al contenuto di radicali liberi, ed è possibile confrontare questo dato, che è una misura del potere antiossidante del campione, con la misura ottenuta con una sostanza antiossidante standard. La reazione che avviene può essere così schematizzata: DPPH• + (AH)n → DPPH − H + (A•)n Un altro esempio di applicazione della spettroscopia EPR nello studio dell’olio di oliva è la misura della sua stabilità ossidativa. Utilizzando molecole chiamate spin-trap, cioè dei composti tipo l’N-benzilidene-terz-butilamina N-ossido (PBN), è possibile misurare la cinetica di produzione di radicali liberi all’interno di una matrice alimentare a seguito di processi di trasformazione seguendo, per via EPR, la velocità di comparsa del segnale dovuto al radicale stabile che si forma per reazione dei radicali labili, formati durante il processo, con lo spin-trap. Inoltre, in alcuni casi è stato possibile identificare la natura dei radicali labili che si formano durante i processi di trasformazione. In definitiva la spettroscopia EPR accoppiata con la metodica di spin-trapping è sensibile e di semplice applicazione per misurare la stabilità ossidativa e il potere antiossidante degli oli di oliva.
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