La Patata - Paesaggio

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La patata botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata in Italia Davide Papotti

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paesaggio Patata in Italia Degustare il paesaggio? Dietro ogni prodotto agricolo vi è un paesaggio. L’affermazione può sembrare lapalissiana, ma in realtà apre prospettive proficue sul sapere territoriale che può scaturire dall’alimentazione. Ogni prodotto agricolo che arriva sulle nostre tavole ha origine e si svi­ luppa all’interno di un preciso contesto geografico, che ne costi­ tuisce per così dire la “culla” territoriale. Da diversi anni nel mondo alimentare si parla di “tracciabilità” dell’alimento, cioè della possibilità di risalire alla sua origine e a tutte le fasi intermedie che lo hanno condotto al banco o allo scaffale dal quale lo abbiamo prelevato. La tracciabilità ci parla dunque soprattutto del “luogo di nascita” di un cibo ed eventual­ mente, in alcuni casi, del viaggio che ha compiuto. Tuttavia, i soli dati della tracciabilità non ci restituiscono appieno il “profilo” di un prodotto. Così come avviene per una carta di identità, che ci dice dove e quando una persona è nata, quanto è alta e se ha “segni particolari”, ma non ci comunica nulla sul suo carattere e sulla sua personalità, sulla sua biografia e sul retro­ terra sociale e culturale in cui è nata e cresciuta. Eppure sarebbe assai interessante non solo conoscere il nome del luogo in cui è nato un prodotto alimentare, ma sapere anche da quale contesto geografico traggono origine le sue caratteristiche, quali sono le particolarità dei suoli che ne hanno influenzato le proprietà orga­ nolettiche, quali sono le caratteristiche paesaggistiche che con­ traddistinguono l’area in cui è stato coltivato, da quale “cultura

“Degustazione” di un paesaggio

• Proviamo a pensare a ciò che

avviene durante la degustazione del vino: un buon intenditore, assaporando il bicchiere che tiene in mano (atto che sollecita diversi organi sensoriali: il naso, la bocca, gli occhi), può cominciare non solo a descrivere le caratteristiche del profumo, le peculiarità dell’aspetto visivo, le coordinate del gusto, ma anche a immaginare un contesto geografico di produzione: per esempio, un clima caldo, un’annata non ricca di precipitazioni, un terreno particolarmente calcareo ecc. In un certo senso sarebbe auspicabile allenare questa caratteristica anche per i cibi e imparare ad associare determinati gusti a specifiche caratteristiche ambientali, climatiche, territoriali, paesaggistiche. Il cibo in questa prospettiva viene visto come un “condensato” delle caratteristiche strutturali del paesaggio all’interno del quale esso ha origine

Foto R. Angelini

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Tuberificazione in corso Patate sulle sabbie di Margherita di Savoia (FG)

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patata in Italia produttiva” esso scaturisce. A partire da un cibo, si può risalire a un’immagine paesaggistica, nella quale i vari elementi costitutivi (natura dei suoli, morfologia, clima, esposizione al sole, tecniche di lavoro, organizzazioni produttive ecc.) prendono forma a partire dai “risultati” che essi hanno espresso nel prodotto alimentare. Si può anche procedere oltre su questa strada, e associare il pro­ dotto a caratteri geografici dell’area di produzione che si cono­ scono a priori, a prescindere dalla degustazione, fissando nell’im­ maginario geografico precisi quadri ambientali legati a esperienze multisensoriali: i filari di vite bassi tipici delle zone aride, i variopinti colori delle foglie durante la vendemmia autunnale, i giochi di lu­ ce nel cielo durante un temporale estivo, il rumore del vento che scuote una siepe alberata ecc. Potenzialmente ogni prodotto della terra può fornirci le basi per questo viaggio geografico teso alla ricostruzione mentale dei pae­ saggi rurali che caratterizzano la sua area di produzione. Parte dell’educazione alimentare dovrebbe risiedere anche in questa capacità di contestualizzazione geografica. Oggi si fa un gran parlare di “territorio”, “tipicità”, “prodotti locali”: una maggiore “alfabetizzazione geografica”, intesa come conoscenza delle ti­ pologie e delle caratteristiche paesaggistiche che accompagnano una produzione alimentare, non solo darebbe maggior significato all’utilizzo di questi termini, ma contribuirebbe anche a valorizzare il potenziale “narrativo” dei cibi. Ogni cibo, infatti, possiede “den­ tro” e “dietro” di sé una storia. Attraverso uno scavo informativo e una preparazione culturale, possiamo allenarci ad ascoltare e immaginare queste storie.

Dal cibo al territorio: fonti informative e immaginari geografici

• Il procedimento di immaginazione

territoriale fonda le proprie potenzialità su tre pilastri: sull’analisi delle caratteristiche organolettiche del prodotto, sulle informazioni contenute nell’etichettatura e sulle nostre conoscenze geografiche. Risulta importante, dunque, acquisire un’“alfabetizzazione” nella capacità di degustare i prodotti, disporre di un’adeguata legislazione riguardante le informazioni che le etichette devono contenere e coltivare le proprie conoscenze geografiche. Quanto più saremo in grado di potenziare queste tre fonti di informazione – quanto più, dunque, sapremo far “parlare” il prodotto –, tanto più saremo in grado di “leggere” in esso la sua reale natura di “risultato” di un inimitabile contesto di fattori geografici, certamente naturali, ma anche legati all’azione umana, cioè antropici

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Pataticoltura nel Fucino (AQ) Patate a Manfredonia in Puglia

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paesaggio Paesaggi della patata in Italia La patata è la coltivazione più “efficace” in termini di produzione di proteine per unità di tempo e di superficie. In tutto il mondo, si stima una superficie coltivata a patate di circa 20.300.000 ha. Si tratta del quarto raccolto planetario, dopo il “podio”, tutto cereali­ colo, dei tre re dell’alimentazione mondiale: frumento, riso e mais. In ragione di questa efficienza nutritiva del tubero, oltre che in virtù dell’adattabilità della pianta a differenti condizioni pedologiche, ambientali e climatiche, la coltivazione si è estesa in moltissimi contesti geografici. Anche nella realtà italiana si può parlare di una diffusione real­ mente nazionale dei paesaggi colturali della patata, presenti in differenti contesti ambientali, a diverse latitudini e altitudini. Gio­ verà ricordare qualche dato preliminare di contestualizzazione: secondo i dati raccolti dalla FAO nel 2007 ed elaborati da UNAPA (Unione nazionale tra le associazioni dei produttori di patata), l’Ita­ lia contribuisce solamente per poco più del 3% della produzione di patate dell’Unione Europea (27 Paesi), con un valore quan­ titativo di circa 1.850.000 t (dei quali circa 1.420.000 t di pata­ ta comune e 430.000 t di patata “primaticcia”; termine con cui si indica un insieme di varietà che vengono raccolte prima del raggiungimento della completa maturazione e commercializzate immediatamente dopo la raccolta). La superficie coltivata si ag­ gira intorno ai 72.000 ha. Le condizioni climatiche italiane ben si adattano, anche considerando la varietà territoriale della penisola, alle necessità vegetative della pianta, che durante il proprio ciclo produttivo mostra segni di “sofferenza” a temperature inferiori ai 10 °C e superiori ai 30 °C.

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Coltivazioni di patata in diversi stadi di sviluppo

Irrigazione in pre-fioritura nel Bolognese

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patata in Italia Una lettura della distribuzione produttiva della patata nella peni­ sola italiana ci può restituire, a mo’ di sintesi cartografica “a volo d’uccello”, la molteplicità dei paesaggi italiani legati alla coltivazio­ ne della patata. Si può dire che la patata è coltivata in quasi tutto il territorio nazionale. La varietà delle denominazioni dialettali del tubero è un’efficace testimonianza della sua diffusione e popola­ rità: si va dall’abruzzese patàn al piemontese trifola, dal campano patana al pugliese petene, dall’emiliano pom da téra (modellato sul francese pomme de terre) al lombardo tartiful (proprio dalla voce “tartifola”, diffusa in epoca moderna nell’Italia settentrionale, deriva la parola tedesca Kartoffel), dal romagnolo patëta al mo­ lisano tapane e così via. La varietà dei “paesaggi linguistici” si fa specchio della capillarità e frequenza dei paesaggi colturali. Il valore d’uso del lessico – che circola nel paesaggio sociale a indi­ care un oggetto concreto, in questo caso il prodotto della coltura agricola – è il riverbero di un ruolo che la coltivazione assume nei paesaggi quotidiani del lavoro rurale. Il variopinto caleidoscopio di versioni dialettali del nome della patata ci restituisce dunque l’immagine di una coltura veramente “nazionale”. Non tanto per rilevanza quantitativa – come si è visto, il numero di ettari coltiva­ to a patata è relativamente contenuto – quanto piuttosto per la diffusione sul territorio, per la condivisa conoscenza del prodotto agricolo, per la pervasività dei suoi utilizzi nelle cucine tradizionali regionali. Le prime tre regioni produttrici di patata comune sono l’EmiliaRomagna (con circa il 17% della produzione italiana), la Campa­ nia (con il 13,3%), l’Abruzzo (11,4%), seguite da Calabria (11,3%), Veneto (10%) e Toscana (7,1%). Per quanto riguarda invece la pa­

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Patate da poco rincalzate nel Fucino (AQ)

Campi di patata nel Fucino (AQ)

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paesaggio tata “primaticcia”, la geografia produttiva è spostata verso Sud, con la Sicilia assoluta protagonista (47% del totale nazionale), se­ guita dalla Puglia (28%) e dalla Campania (13%). Il fatto che le prime tre regioni produttrici non superino in totale il 45% della produzione nazionale è un’ulteriore controprova della distribuzione della coltura su tutto il territorio nazionale. Alla varietà di contesti geografici nei quali viene coltivata la pianta, infatti, si associano paesaggi di diverso tipo. Non esiste dunque “un” paesaggio della patata in Italia, facilmente riconoscibile e geograficamente localizzabile. Esistono invece nella realtà territo­ riale diversi e molteplici “paesaggi della patata”, differenziati per caratteristiche climatiche, altimetriche, pedologiche, di morfolo­ gia del terreno. La coltivazione della patata si può trovare nella Pianura padana come nelle aree litoranee adriatiche, sui terraz­ zamenti delle valli alpine del Piemonte (dove si diffuse a partire dalla prima metà dell’Ottocento; oggi esiste in provincia di Torino un’Associazione dei produttori di patate di montagna) come nel­ le piane costiere sul mar Ionio, sulle pendici del Pratomagno in Toscana (dove si coltiva la pregiata patata rossa di Cetica) come negli altopiani del Trentino, nelle vallate appenniniche della Liguria come nel pedemonte veneto (per esempio nel Montello, in provin­ cia di Treviso). La coltivazione della patata si caratterizza in Italia per una presenza a macchia di leopardo di aree distrettuali, con realtà anche molto localizzate, in cui la concentrazione colturale assume valori significativi. I paesaggi della patata in Italia sono caratterizzati, come avviene in molti altri Paesi dell’Europa mediterranea e centrale, da una re­ sa relativamente alta (con una media di circa 25 t/ha) e da un ciclo

Paesaggio della patata e suo inserimento in un contesto territoriale e colturale

• Come tutte le coltivazioni, anche

quella della patata esprime valenze paesaggistiche legate al contesto territoriale in cui si inserisce. In due direzioni: da una parte nel dialogo con le caratteristiche di base del territorio, dall’altra nel rapporto con altre forme colturali con cui si trovi eventualmente associata. I paesaggi della patata sono dunque paesaggi variabili e influenzati dal contesto: spaziano dalle pianure a coltivazione estensiva ai fondovalle alpini, dalla piane costiere agli altopiani del Mezzogiorno peninsulare, dalle conche appenniniche alle zone collinari. Le colture con cui si trovano a convivere, inoltre, variano a seconda dell’area di riferimento, spaziando dai cereali agli ortaggi, dalla vite all’ulivo

Fioritura della patata, Altedo (BO)

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patata in Italia vegetativo che si aggira intorno ai 120 giorni (a seconda delle aree climatiche mondiali in cui è diffusa la coltivazione della patata, si possono avere cicli che vanno dai 90 ai 150 giorni).

Patata: un paesaggio agricolo diffuso

Caratteristiche di base dei paesaggi della patata La coltivazione della patata, caratterizzata dai filari arbustivi alti qualche decina di centimetri dal suolo (la pianta può crescere in alcune condizioni climatiche fino a un metro senza sostegni, ma in Italia di norma le coltivazioni si aggirano su altezze inferiori), e re­ golarmente allineati, conferisce un aspetto regolare al paesaggio produttivo. Si tratta dunque di una sorta di azione “regolarizzante” e ordinatrice del contesto paesaggistico, le cui prospettive visuali vengono suggerite e organizzate proprio dalla regolarità dei filari. Questi possono essere più o meno distanziati l’uno dall’altro. Nel­ la fase iniziale della crescita, è comune che ancora si distinguano le singole strisce di terreno, che offrono all’osservatore un’alter­ nanza tra il colore marrone della superficie terrosa e il verde delle piante. Con la crescita della pianta è comune l’effetto ottico per cui il campo si presenta come un’unica ininterrotta distesa di ver­ de, in cui l’ordine geometrico dei filari definisce una sorta di dire­ zionalità prospettica all’insieme. Nelle aree collinari e montuose l’organizzazione dei filari può pre­ ferenzialmente seguire le linee di pendenza del terreno, anche per favorire una buona insolazione e un conveniente scolo delle ac­ que meteoriche. Questa consonanza tra le linee compositive della morfologia paesaggistica e l’organizzazione dei filari assicura una sorta di coerenza visuale tra pratica agricola e scenario paesag­ gistico, che concorrono a suggerire le medesime direzioni visuali

• Un mio compagno di scuola, alle

medie inferiori, diceva che nelle interrogazioni di geografia, alla classica e tradizionale domanda sui prodotti tipici dell’agricoltura di una determinata area – che fosse una regione italiana, uno stato europeo o una nazione extraeuropea – lui infilava sempre, nella risposta, “le patate”. “Con le patate”, proseguiva, “non si sbaglia mai! Le patate sono sempre ovunque”. Lo stratagemma difensivo, anche se sicuramente generalizzante e non molto accurato, nel caso della patata in realtà non si allontana troppo dal vero. La patata è una coltivazione assai diffusa – sia pur con le dovute diversità in quanto a estensioni coltivate e a densità colturale – nelle più disparate aree geografiche, alle più diverse altitudini, nelle più differenziate condizioni ambientali e pedologiche. L’adattabilità della pianta a differenti contesti la rende un paesaggio agricolo diffusamente distribuito nella penisola italiana

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Fioritura Campo di patate prima dell’emergenza

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paesaggio percettive, le stesse “chiavi” prospettiche di lettura del contesto territoriale. La patata si trova di frequente a essere associata ad altri raccolti, per cui il campo coltivato, riconoscibile per la regolarità dei suoi filari, si alterna con altre colture (che variano a seconda del conte­ sto geografico, ma che possono comprendere diversi tipi di cere­ ali e ortaggi). Un caso significativo è quello che caratterizza alcune campagne del Mezzogiorno, dove spesso la coltura delle patate è integrata alla pratica della olivicoltura. Gli alberi di ulivo, allora, si stagliano sopra il tappeto verde delle piante di patata, punteggian­ do con le loro chiome la trama regolare dei filari allineati a terra. La coltivazione della patata, infine, può anche essere effettuata in pre­ senza di filari di vite, in un accoppiamento tipico delle forme agricole di produzione per l’autoconsumo locale, che hanno caratterizzato l’agricoltura italiana fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Un paradosso percettivo attraversa però l’identità visuale dei pae­ saggi della patata: il tubero, che rappresenta ovviamente l’ele­ mento più riconoscibile e universalmente identificabile, rimane sostanzialmente invisibile, sepolto sottoterra, fino al momento della raccolta. Nel paesaggio della patata in un certo senso l’ele­ mento produttivo primario rimane “implicito”: immanente, sugge­ rito, intuibile, ma non visibile.

Paesaggi della patata tra “assimilazione” e “adattamento”

• Da un lato la coltura della patata svolge un ruolo “attivo” nella costituzione dei paesaggi agricoli italiani. Attraverso le proprie esigenze e caratteristiche colturali, questa pianta contribuisce a dare forma ai paesaggi che ne ospitano la coltivazione. Il contesto paesaggistico viene in un certo senso adattato alle esigenze colturali. La patata diventa uno degli “ingredienti” che caratterizzano il paesaggio agricolo italiano

• Dall’altro lato la coltivazione si

inserisce in un contesto caratterizzato da specifiche qualità ambientali, proprietà pedologiche (legate cioè alla natura dei suoli), condizioni climatiche, coordinate geomorfologiche. Il paesaggio culturale della patata, dunque, si “adatta” per meglio inserirsi in queste cornici ambientali. Lo specifico equilibrio tra assimilazione e adattamento contribuisce a determinare la singola specificità di ciascun paesaggio, risultato di un incontro unico e irriproducibile di caratteristiche ambientali e di storia delle azioni collettive umane

Variabilità stagionale: effetti cromatici e visibilità dei paesaggi I paesaggi della patata, regolari e coerenti, possiedono una dina­ micità legata all’evoluzione temporale. La coltivazione della pata­ ta, in relazione al ciclo vegetativo relativamente ridotto nel tempo Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Pataticoltura nel Bolognese

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patata in Italia (della durata di 3-4 mesi), alle diverse tipologie varietali (per esem­ pio nel caso delle patate novelle), ai differenti contesti ambientali climatici e alle esigenze produttive, può essere effettuata in diversi periodi dell’anno. L’aspetto temporale dei paesaggi caratterizzati da questa pianta, dunque, può interessare differenti stagioni. Si possono infatti avere raccolti primaverili, estivi o autunnali. Durante il ciclo di crescita, lo stesso colore verde delle piante su­ bisce una lenta evoluzione, passando dalle tonalità più chiare dei germogli a tinte più scure. Il momento della fioritura è a sua volta contraddistinto dall’effetto visuale prodotto dalle infiorescenze, che donano un nuovo volto cromatico alle coltivazioni. Il campo diventa una distesa di verde punteggiata di fiori candidi (o lilla, o rosa, a seconda delle varietà coltivate), con venature dei pistilli interni che contribuiscono ulte­ riormente a variare la tavolozza cromatica. Il colore della patata nella fase immediatamente successiva alla raccolta – quando non è raro osservare mucchi di tuberi acca­ tastati in via temporanea ai bordi dei campi – richiama immedia­ tamente quello del terreno, assestandosi, almeno per le varietà più diffuse nelle coltivazioni italiane, su tonalità che spaziano dal giallo al marrone, dal beige al grigio. Vista la facilità con cui gli agenti parassitari possono intaccare i raccolti di patate, la rotazione delle colture nei terreni è prassi diffusa. Questa scelta di cambiare tipologia di raccolto ogni anno in un terreno agricolo è alla base di una certa “volatilità” dei pae­ saggi della patata, che possono essere presenti in un determinato appezzamento un anno, ma non il successivo, con un ritmo di apparizione ciclico.

Paesaggi della patata: una tipologia in contrazione territoriale

• Va ricordato che i paesaggi della patata

in Italia sono uno scenario produttivo agricolo in forte contrazione da quando, a partire da circa cinquant’anni fa, la superficie coltivata raggiunse il picco di circa 380.000 ha. Con un indice di produttività assai inferiore a quello attuale, la produzione si assestava nel 1960 intorno ai quattro milioni di tonnellate. Anche considerando solamente l’ultimo decennio, a partire dal 2000, la superficie coltivata a patate si è ridotta di circa 10.000 ha

• I paesaggi della patata sono diminuiti

contemporaneamente in differenti contesti geografici: nelle aree di pianura come nei fondovalle montuosi, nei versanti collinari appenninici ma anche nelle pianure costiere dell’Italia peninsulare Foto M. Curci

Foto M. Curci

Raccolta manuale dopo escavazione meccanica dei tuberi, Bitonto (BA) Macchina escavatrice, Bitonto (BA)

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paesaggio Paesaggi della patata nelle pianure Non vi è dubbio che alcuni contesti produttivi chiave della pata­ ta italiana, quali per esempio le aree agricole della pianura bolo­ gnese e di quella veronese, siano paesaggi pianeggianti: tipiche estensioni di quel “tavolato” agricolo che va annoverato tra i con­ testi produttivi più rilevanti d’Europa. Si tratta di paesaggi che, pur conservando l’impianto tradizionale della suddivisione dei campi (spesso ancora influenzata, anche a duemila anni di distanza, dal­ la centuriazione romana), sono sempre più caratterizzati, ai nostri giorni, da quella che i geografi hanno chiamato “rurbanizzazione”, cioè una compenetrazione diffusa e profonda delle due tipologie paesaggistiche, una volta chiaramente delimitate e oppositive, del “rurale” e dell’“urbano”: campi coltivati frammisti ai capanno­ ni delle aree artigianali, canali di irrigazione e di scolo accanto a moderne infrastrutture viarie e ferroviarie per il trasporto, antiche case rurali (molte delle quali in stato di abbandono) nei pressi di moderne lottizzazioni residenziali seriali, aree brulle prive di vege­ tazione arborea e antiche sopravvivenze di siepi e filari. Una realtà come quella di Cologna Veneta, in provincia di Verona, un comune nel quale si trova circa il 5% della produzione di pata­ te nazionale, pari a 1000 ha (che producono all’incirca 500.000 q), è ben rappresentativa di questa tipologia di pianura dei paesaggi all’interno dei quali si coltiva il tubero. In queste realtà il paesaggio della patata è un paesaggio da un punto di vista colturale assolu­ tamente dominante, anche se il suo inserimento all’interno del più allargato (e riconoscibile nell’immaginario territoriale condiviso) contesto territoriale della Pianura padana lo rende in un certo sen­ so “invisibile”, o perlomeno scarsamente rilevato nella percezione

Paesaggi della patata: un paesaggio “importato”

• Com’è risaputo, la patata è un prodotto

che arriva in Europa dopo la “scoperta” del continente americano, penetrando progressivamente nel panorama colturale e nelle abitudini alimentari del continente. Analogamente a quanto accade in altri contesti colturali, come quello del pomodoro, per esempio, anche il paesaggio della patata può dunque essere considerato un paesaggio “alloctono”, proveniente da lontano. Innestandosi sulle caratteristiche geomorfologiche dei paesaggi agrari italiani, esso rappresenta un riuscito esempio di quella che gli studiosi di ecologia del paesaggio chiamano “resilienza”, cioè la capacità di un paesaggio di assorbire le sollecitazioni e le innovazioni che conducono a un cambiamento. La patata è una coltivazione che si è radicata nei paesaggi colturali italiani, fino a diventarne parte integrante e costitutiva. La storia di questo “inserimento” ci deve ricordare come anche i paesaggi all’apparenza più tradizionali, quali quelli agricoli, siano costantemente soggetti a cambiamento ed evoluzione

Foto M. Curci

Disseccamento della parte aerea dopo trattamento con erbicida

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patata in Italia dei paesaggi agricoli nazionali. Non si assocerebbe immediata­ mente alle coltivazioni della patata il ruolo di “paesaggio agricolo” per eccellenza della Pianura padana, ma in realtà esse sono parte integrante e non secondaria del complesso mosaico colturale che caratterizza questa regione geografica. Importanti coltivazioni planiziali di patata si possono trovare anche in Puglia, dove le province di Foggia, Bari e Lecce si caratteriz­ zano per vaste estensioni (aree di Bitonto, Polignano, Monopoli, Taviano). In questi contesti il paesaggio è spesso contraddistinto dagli elementi tipici della suddivisione degli appezzamenti e delle proprietà nell’area peninsulare: i muretti a secco. In tale ambito territoriale la coltivazione della patata si inserisce in una trama paesaggistica tipica dei contesti mediterranei. Il tappeto verde delle piantine rappresenta lo sfondo orizzontale verde, una sorta di “basso continuo” cromatico dello scenario territoriale, alternato al verde argentato degli ulivi, al bianco delle pietre e alle tonalità ocra dei terreni. In questo contesto geografico la coltura si esten­ de fino alle linee costiere, utilizzando anche terreni caratterizzati da una componente sabbiosa.

Diffusione della patata e trasformazione dei paesaggi agrari della Pianura padana

• La trasformazione dei paesaggi padani

avvenuta durante la riorganizzazione capitalistica dell’agricoltura nel corso del Settecento e dell’Ottocento trova nella diffusione della coltivazione della patata uno dei fattori propulsivi. Come opportunamente ricorda lo storico Emilio Sereni nel suo celeberrimo lavoro intitolato Storia del paesaggio agrario italiano (Roma-Bari, Laterza, 1961, pp. 333-334): “Nelle zone non irrigue, certo, la resistenza dell’antico sistema agrario del maggese – con un regime di campi aperti, sovente, e con le forme più precarie del paesaggio che esso comporta – è più tenace. Ma anche qui, con l’introduzione delle foraggere, del granturco, della patata e delle sarchiate industriali in un regolare ciclo culturale, i nuovi sistemi a rotazione continua assumono rapidamente un predominio decisivo: e sempre più largamente vengono improntando la più minuta tessitura del paesaggio agrario delle forme che son loro proprie, tanto più precise e meno precarie di quelle caratteristiche per il sistema del maggese”

Paesaggi della patata nelle montagne La coltivazione della patata, in virtù dell’adattabilità della pianta a differenti situazioni climatiche e pedologiche, è diffusa anche in contesti lontani da quelli delle pianure produttive dei principali distretti agricoli della penisola. Coltivazioni di patate si possono trovare in appezzamenti di terreno pianeggiante nei fondovalle o sugli altipiani, oppure anche in terrazzamenti di versante, nel­ le aree vallive alpine e appenniniche, dove la patata è stata tra­ Foto M. Curci

Coltivazione di patata ai bordi di un campo di grano in provincia di Foggia

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paesaggio dizionalmente uno dei pilastri nutritivi portanti per le popolazioni locali. Storicamente i paesaggi della patata in Italia sono legati al contesto alpino, in quanto sembra che tra le prime aree di colti­ vazione vi fossero le vallate piemontesi e quelle trentine, grazie agli scambi commerciali con i Paesi transalpini. In questi contesti geografici le comunità valdesi giocarono probabilmente un ruolo importante nella diffusione della coltura. È da ricordare, inoltre, che diverse varietà di patata provenienti dall’America che circo­ lavano nell’Europa moderna erano di origine andina, in grado di adattarsi facilmente a condizioni climatiche montane. I paesaggi alpini ospitano dunque ancora oggi campi di patate circondati da boschi di conifere che arrivano a lambire le prime pendici dei versanti, con un caratteristico contrasto cromatico tra le tonalità scure degli alberi e le tinte più chiare e sfumate della coltivazione. Spesso gli appezzamenti sono di ridotte dimensio­ ni, confinati nei fondovalle, in coabitazione con altre colture, o arroccati su terreni ricavati in aree caratterizzate da una certa pendenza. Significativi casi di coltivazione della patata in contesti collinari e montuosi si trovano anche negli altopiani appenninici, dove la messa a coltura del tubero avviene di preferenza nelle zone mor­ fologicamente meno mosse. Tra i paesaggi della patata vanno in­ fatti annoverati per esempio gli altipiani Plestini, nell’area a cavallo tra le province di Macerata (Marche) e Perugia (Umbria), dove, a un’altitudine media di 750-800 m, si coltiva la tradizionale patata rossa, una varietà proveniente dall’Olanda che ha trovato in que­ ste aree un habitat favorevole. Altre aree caratterizzate dalla pre­ senza di coltivazioni di patata sono le conche bonificate dell’Italia

Apprezzamento estetico del fiore della patata

• L’apprezzamento per la bellezza dei

fiori della patata è ben documentato nella storia della diffusione del tubero in Europa. In alcune aree, come nel caso della Spagna, l’adozione della coltivazione di questa pianta fu dovuta infatti anche al gradevole aspetto dei suoi fiori, assai apprezzati come elemento decorativo

• Sembra che la regina francese Maria

Antonietta abbia introdotto la moda di decorare le acconciature dei capelli con fiori di patata

• A sottolineare l’eleganza del fiore,

in un passo del romanzo Canne al vento (1913), il premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda (1871-1936) parla di “un campicello che sembra di narcisi ed è di patate”

Coltivazione di patata a Nord di Bari

Foto M. Curci

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patata in Italia centrale, come nel caso della conca del Fucino (compresa tra i 650 e i 680 m s.l.m.) e dei Piani della Baronia di Carapelle (comuni di Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Castelvecchio Calvisio), entrambi in Abruzzo, oppure le aree perilacuali dei massicci di origine vulcanica, come nel caso della coltura della patata a pasta gialla nella zona del lago di Bolsena, in provincia di Viterbo (dove i terreni, caratterizzati da ottimale concentrazione di potassio, ri­ dotta percentuale di calcare e alta permeabilità, offrono condizio­ ni pedologiche favorevoli per la pianta della patata). Un altro grande areale di produzione della patata è l’altopiano si­ lano che, con i suoi 700 ha coltivati annualmente, è il più esteso comprensorio destinato alla patata al di sopra dei 1000 m. Le coltivazioni di patata si inseriscono in un paesaggio unico, dove il verde delle piantagioni di questa coltura si contrappone all’azzur­ ro dei numerosi laghi che caratterizzano l’altopiano.

Evoluzione cromatica del paesaggio della patata durante il ciclo vegetativo

• L’ingiallimento delle foglie della pianta,

che determina un cambiamento cromatico percepibile dall’osservatore, è uno degli indizi del raggiungimento del periodo utile per il raccolto dei tuberi. Il processo di maturazione del tubero, peraltro, è strettamente correlato alle condizioni climatiche. Nell’area temperata che caratterizza le colture italiane, il ciclo vitale della pianta dura all’incirca quattro mesi, all’interno dei quali si può seguire l’evoluzione del paesaggio della patata dal campo preparato, caratterizzato dai solchi che ospiteranno i filari, al campo “piallato” dalle operazioni meccanizzate di raccolta. I due estremi del ciclo sono caratterizzati dalla prevalenza di tonalità marrone, mentre il nucleo colturale vede la dominanza delle tinte verdi della pianta

Micropaesaggi: coltivazione per autoconsumo e commistione colturale La patata, proprio per la sua adattabilità ed “elasticità” colturale, con conseguente capillarità dell’utilizzo alimentare in diversi con­ testi geografici e sociologici, è una coltivazione assai diffusa all’in­ terno dell’agricoltura di sussistenza, mirata all’autoconsumo, che caratterizza oggi tanto le aree orticole periurbane come le aree periferiche vallive dei contesti collinari e montuosi. Un filare di pa­ tate è apparizione frequente negli orti familiari nelle più svariate aree della penisola. Accanto alla dimensione colturale al servizio del commercio all’ingrosso e della produzione industriale, dun­ que, che si caratterizza per zone ad alta concentrazione, la geo­

Paesaggio a Polignano (BA)

Foto M. Curci

321


paesaggio grafia della patata in Italia si segnala per una capillare ed estesa diffusione puntiforme, di piccole coltivazioni a uso familiare, di fi­ lari frammisti ad altre colture, di apparizioni in orti e piccoli appez­ zamenti per l’autoconsumo alimentare. Anche questa pervasività, sia pure priva di caratteri magniloquenti ed evidenti di visibilità, è una caratteristica importante per la riconoscibilità e per la perce­ zione dell’importanza di questo raccolto all’interno del panorama agricolo nazionale e delle abitudini alimentari a esso correlate.

Riconoscimento di Denominazione di origine protetta (DOP) per la “Patata di Bologna”

• Il riconoscimento ufficiale a livello

di legislazione europea della Denominazione di origine protetta (DOP) per la patata bolognese è del marzo 2010. La denominazione di origine rappresenta un riconoscimento qualitativo importante, che contribuisce a indirizzare l’attenzione dei consumatori e dei mass media verso le specificità territoriali e paesaggistiche dell’area di produzione. La certificazione ottenuta dalla “Patata di Bologna” è la trentunesima per la realtà produttiva della regione emiliano-romagnolo, la prima relativa a un prodotto vegetale. La certificazione di origine suggella anche in questo caso una lunga tradizione storica di coltivazione di questo prodotto

Paesaggi tecnologici Come molte altre coltivazioni che permettono la semina a filari regolari di piantine, anche la patata si presta a un’estesa mecca­ nizzazione delle varie fasi di lavorazione che caratterizzano l’in­ tervento umano durante il ciclo vegetativo di crescita, a partire dalla semina per arrivare al raccolto. I paesaggi della patata sono dunque, inevitabilmente, anche “paesaggi tecnologici”, in cui la presenza dell’uomo è accompagnata e mediata dalla presenza, percettivamente assai rilevata, di macchinari per la preparazione del campo, per la semina, per l’irrigazione, per lo spargimento di antiparassitari, per la raccolta. Anche nelle fasi successive alla raccolta, la preparazione dei ter­ reni effettuata con i trattori e i moderni macchinari per la prepara­ zione dei solchi e per il trattamento rende potenzialmente ricono­ scibili le aree che ospitano la coltura della patata, contraddistinti dalla presenza di solchi regolari che favoriscono il disseccamento della parte aerea della pianta. La visibilità di impianti di irrigazione e, talvolta, di sostegni metallici per la copertura e protezione della coltura in serra (casi di questa

Campo di patate “Nicola” in Sila

Foto V. Vecchio

322


patata in Italia tipologia colturale si trovano per esempio nel Salento) completa il panorama delle componenti tecnologiche dei paesaggi della pa­ tata. La presenza visibile della tecnologia nei paesaggi della pata­ ta è parallela a una sorta di progressiva “desertificazione” della presenza umana. Le coltivazioni di patate, al pari di tante altre colture meccanizzate, creano paesaggi sostanzialmente privi di persone. Solo nei contesti dei micropaesaggi dell’autoconsumo e della produzione di sussistenza, così come nei casi in cui i tuberi, dissotterrati meccanicamente, vengono in seguito raccolti ancora a mano, vi sono momenti del calendario agricolo nei quali la pre­ senza umana nei campi di patate è evidente.

Foto V. Bellettato

Paesaggio colturale: una sfida per la agricoltura di qualità L’agricoltura italiana contemporanea, assediata da una progressi­ va perdita di “visibilità sociale”, da una spietata concorrenza inter­ nazionale, da un esasperato aumento della conflittualità di utilizzo dei territori, non può fare a meno di confrontarsi con un problema di comunicazione e immagine relativo ai propri valori, ai propri scopi, alla propria stessa ragion d’essere. La valorizzazione dei contesti paesaggistici produttivi, anche in relazione al diffondersi delle certificazioni di origine e di forme differenziate di turismo ru­ rale, costituisce una prospettiva chiave per rilanciare l’immagine delle coltivazioni agricole. Anche i paesaggi della patata parteci­ pano a questa sfida contemporanea: l’assodata utilità nutrizionale del tubero e la sua riconosciuta universalità di consumo devono accompagnarsi oggi a una rinnovata coscienza del valore territo­ riale e del pregio paesaggistico dei contesti di produzione.

Disseccamento chimico, Lonigo

Particolare della riproduzione di “Viola calabrese” in tunnel, Sila

Foto V. Vecchio

323


la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata in Sicilia Giovanni Mauromicale

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paesaggio Patata in Sicilia Introduzione In Sicilia, grazie alle favorevoli condizioni climatiche riscontrabili in alcune aree costiere, vengono realizzati due cicli di coltivazione extrastagionali: autunno/vernino-primaverile ed estivo-autunnale, temporalmente differenti dal ciclo ordinario, primaverile-estivo. Con il primo ciclo, di gran lunga il più importante, si ottiene la classica ed affermata produzione precoce (denominata anche primaticcia o novella), realizzata tra marzo e inizio giugno, molto apprezzata, soprattutto dai mercati europei e del Nord Italia per la sua freschezza e fragranza. Con il ciclo estivo-autunnale si realizza, invece, la produzione invernale o bisestile o di secondo raccolto (da dicembre a febbraio), che in questi ultimi anni ha visto aumentare la propria importanza relativa. Con i tuberi raccolti in entrambi i cicli è possibile, pertanto, realizzare un calendario di produzione pressoché continuo di 6-7 mesi, da dicembre a maggio-giugno. Entrambe le tipologie di prodotto (patata precoce, o novella, e patata bisestile) sono destinate al consumo fresco e vengono commercializzate subito dopo la raccolta.

Stagionalità

• Due cicli stagionali: – autunno-vernino-primaverile: è il più importane ciclo estrastagionale, tra marzo e giugno fornisce la patata novella – estivo-autunnale: produce da dicembre a febbraio la patata bisestile o invernale Questi due cicli forniscono patate per il consumo fresco per 6-7 mesi da dicembre a maggio-giugno

• La produzione attuale interessa circa 10.000 ettari

Cenni storici La coltivazione della patata precoce in Sicilia, come riportano i numerosi lavori di due illustri studiosi di questa coltura, Jannaccone e Foti, ebbe inizio intorno al 1910 nella fascia costiera ionica catanese, compresa tra Acireale e Taormina (ME). Essa nacque come frutto della collaborazione tra i commercianti di vino

Raccolta dei tuberi in una coltura di patata consociata con il vigneto nei primi anni Cinquanta nell’areale di Giarre-Riposto (CT)

324


patata in Sicilia della zona di Giarre-Riposto che introdussero i primi tuberi-semi dalla Germania, dove esportavano i vini dell’Etna, e i coltivatori dei vigneti del luogo, alla ricerca di un’occupazione nel lungo periodo di inattività tra le vendemmie dell’autunno e la ripresa vegetativa della vite, in primavera. I commercianti anticipavano ai pataticoltori i tuberi-seme, ma anche concimi, agrofarmaci e, talvolta, somme di denaro, contro l’impegno da parte dei coltivatori a consegnare le patate novelle raccolte, che venivano in larga misura esportate in area tedesca. La terra veniva data in affitto dai proprietari dei vigneti, i quali, oltre al canone, ricevevano come corrispettivo anche gli effetti residui delle lavorazioni e delle laute concimazioni effettuate alla patata, nonché la sistemazione del terreno dopo la raccolta dei tuberi. La patata precoce in quella fase storica ebbe il merito di innescare, nel territorio etneo, un nuovo equilibrio economico-sociale che consentì di superare le ricorrenti crisi della viti-vinicoltura con nuove fonti di reddito per le aziende. A seguito della conversione dei vigneti in limoneti e delle ampliate possibilità di collocamento della patata novella soprattutto sui mercati esteri, ma anche su quelli del Nord Italia, tra gli anni Sessanta e Settanta sono state destinate alla coltura nuovi areali nelle province di Messina e Siracusa che beneficiavano di condizioni più favorevoli. L’ampliamento degli areali di coltivazione, oltre a comportare una maggiore e più articolata produzione complessiva, consentì un sostanziale allargamento del calendario di raccolta e di commercializzazione e un significativo miglioramento della qualità del prodotto. Quest’ultimo è stato reso possi-

Terrazze con coltivazione di patata precoce in un vigneto nell’area di Giarre-Riposto (CT) nei primi anni Cinquanta

Raccolta dei tuberi in Sicilia

Patata consociata con il vigneto nell'area di Giarre-Riposto (CT) nei primi anni Cinquanta

325


paesaggio

6%

bile sia dall’utilizzo delle cosiddette “terre rosse” nel Siracusano sia dall’impiego della varietà Sieglinde, dalle eccellenti qualità del tubero, nel versante messinese. Da allora, con vicende sia pure alterne, la patata precoce siciliana ha visto incrementare progressivamente le superfici coltivate, che sono passate dai circa 3600 ha del 1939 agli attuali 10.000 ha.

5% 2% 2% 37%

19%

Areali di coltivazione Le aree di coltivazione, prevalentemente dislocate lungo le zone costiere della Sicilia orientale, hanno manifestato, nell’ultimo ventennio, una sostanziale variazione del loro assetto territoriale. Procedendo da nord verso sud, troviamo la prima zona pataticola isolana lungo la fascia costiera settentrionale della provincia di Messina, con le aree di Milazzo e Torregrotta, caratterizzate, nella seconda metà del Novecento, dall’esclusiva coltivazione della varietà Sieglinde, il cui eccellente prodotto veniva esportato in larghissima misura in Germania. Negli ultimi vent’anni le superfici coltivate in provincia di Messina hanno subito un significativo ridimensionamento, passando dai quasi 2000 ha del triennio 19871989 agli attuali 500 ha. Il secondo areale fa capo alla costa ionica catanese tra Acireale (CT) e Taormina (ME), dove spicca la storica e già citata area di Giarre-Riposto. Qui la coltura viene realizzata prevalentemente su terreni sabbiosi di origine vulcanica, i quali, imbrattando l’epidermide dei tuberi, conferiscono loro la caratteristica colorazione scura, poco apprezzata dai mercati. Per tale motivo il prodotto raccolto nei terreni vulcanici deve subire un attento lavaggio prima del confezionamento. Anche le superfici pataticole di quest’area

29%

2% 4% 5% 4% 9% 65%

11%

Siracusa

Caltanissetta

Agrigento

Messina Catania

Ragusa

Trapani

Ripartizione provinciale della superficie coltivata a patata precoce in Sicilia. Confronto tra i trienni 1987-1989 e 2007-2009

Aree di diffusione della patata extrastagionale in Sicilia

Messina PALERMO Trapani

Caltanissetta

Enna

Catania

Agrigento Siracusa Ragusa Tuberi della cultivar Romanze raccolti a Torregrotta (ME)

326


patata in Sicilia hanno subito una forte contrazione, passando dai poco meno 1300 ha della fine degli anni Ottanta agli attuali 400 ha. La terza area si colloca in provincia di Siracusa, dove la coltura viene principalmente realizzata lungo la fascia che dal capoluogo si estende fino a Pachino, con particolare concentrazione in Agro di Cassibile. In quest’area la patata, oltre a trovare condizioni pedoclimatiche più consone alle sue esigenze, ha beneficiato di una fase congiunturale favorevole a causa della progressiva contrazione delle superfici negli areali del Catanese e del Messinese, e del basso impiego di manodopera richiesto per la sua coltivazione. Qui la patata ha largamente occupato il posto del pomodoro precoce in pien’aria e del carciofo, colture che, al contrario, richiedevano molta manodopera. Tutto ciò ha fatto sì che la crescita della pataticoltura siracusana, a partire dagli anni Sessanta, risultasse costante e, da vent’anni a questa parte, addirittura impetuosa, passando da poco più di 2000 ha agli attuali oltre 6000 ha, che rappresentano il 60% delle superfici coltivate dell’isola. Caratteristica comune alle tre aree pataticole tradizionali è la cospicua incidenza della monosuccessione della coltura sullo stesso terreno sia per l’elevata frequenza di appezzamenti di limitata estensione (aree tra Messina e Catania) – inconveniente che, tra l’altro, ha fortemente ostacolato una completa meccanizzazione delle operazioni colturali – sia per la carenza di colture ortive alternative alla patata, nel Siracusano. In ogni caso il forte ricorso alla monosuccessione ha portato a una serie di problemi fitosanitari (peronospora, rizoctonia e, soprattutto, nematodi) che attualmente pongono seri limiti alla redditività della coltura in alcune loca-

Tuberi della cultivar Antea raccolti a Torregrotta (ME)

Foto R. Angelini

Tuberi raccolti dal terreno vulcanico in Agro di Riposto (CT) La peronospora è causa di seri limiti alla produttività della patata

327


paesaggio lità. È anche per questo motivo che negli ultimi anni la coltura è andata diffondendosi in alcune nuove aree costiere delle province di Ragusa e Caltanissetta dove ha trovato condizioni pedoclimatiche in grado di soddisfare meglio le esigenze delle coltivazioni fuori stagione. In ogni caso, un limite comune a tutte le aree pataticole siciliane è rappresentato dalla mancanza di sistemi organizzati per un’efficace valorizzazione del prodotto. Fattori limitanti per le colture siciliane In Sicilia la coltivazione della patata, essendo realizzata in un periodo stagionale diverso da quello della patata comune, soggiace a eventi climatici talvolta avversi, che in alcune annate possono compromettere il risultato produttivo e persino la sopravvivenza stessa delle piante. I limiti della coltura precoce sono rappresentati essenzialmente dalle basse temperature invernali, e soprattutto dal rischio di gelate; la pianta di patata, infatti, non sopravvive a temperature ≤0 °C. Questo è il motivo per cui per la patata extrastagionale vengono scelte zone esposte a mezzogiorno, ben soleggiate, riparate dai venti freddi di tramontana con mezzi naturali o artificiali, nelle quali il terreno, generalmente sciolto e a bassa capacità di ritenzione idrica, è in grado di riscaldarsi facilmente. Non vanno sottovalutate, inoltre, le condizioni di fotoperiodo breve e di ridotta intensità luminosa cui vanno incontro le piante nel periodo invernale, il che può comportare, per alcune varietà costituite per contesti ambientali profondamente differenti, gravi squilibri fra sviluppo vegetativo e produzione di tuberi.

Campo di patata precoce nel Siracusano

Patata in fase di copertura totale del terreno

Foto R. Angelini

328


patata in Sicilia Durante i mesi primaverili, fattore limitante può divenire la carenza idrica: in mancanza di adeguati rifornimenti irrigui, ciò può significativamente compromettere sia precocità sia rese. Anche nella coltura bisestile, le condizioni climatiche risultano spesso limitanti per l’accrescimento e lo sviluppo della pianta. I limiti sono rappresentati dagli eccessi termici e dalle carenze idriche, che possono ostacolare l’emergenza e le prime fasi di accrescimento delle piante, nonché dagli abbassamenti termici e dalla ridotta luminosità, che, tra fine novembre e dicembre, si riflettono in modo negativo sui processi di fotosintesi, traslocazione dei carboidrati e, di conseguenza, sull’accresciAnni Ottanta mento dei tuberi. Durante il periodo della raccolta dei tuberi, frequenti piogge in presenza di terreni relativamente pesanti, che mantengono più a lungo l’umidità, possono ostacolare le Sieglinde operazioni di raccolta e causare fenomeni di marcescenza dei tuberi maturi.

Anni Ottanta

Nel prim

Sieglinde

Arinda

Spunta

Timate

Nel primo decennio del 2000

Spunta Mondial

Arinda

Ditta

Timate

Safrane

Spunta

Labadia

Mondial

Antea

Marabel

Matador

Nicola

Bellini

Marabel

Spunta

Evoluzione del panorama varietale Fino a una decina di anni fa il panorama varietale siciliano risultava molto semplificato, essendo sostanzialmente basato su due varietà: Spunta e Sieglinde. La prima, affermatasi tra il 1980 e il 1990 nel versante catanese e siracusano, grazie alla sua notevole rusticità e capacità produttiva, è caratterizzata da tuberi di grosse dimensioni, di forma ovale-allungata e pasta di colore giallo paglierino. La produzione veniva collocata principalmente nei mercati nazionali e, in misura minore, in quelli francesi.

Panorama varietale in Sicilia

Foto R. Angelini

Patata in fase di fioritura

329

Nicola


paesaggio La Sieglinde, di più antica coltivazione ed esclusiva dell’area tirrenico-messinese, si era affermata sugli esigenti mercati della Germania per l’eccellente qualità dei tuberi (forma allungata, pasta soda di colore giallo). Con il finire del Novecento queste due storiche varietà hanno cominciato gradualmente a segnare il passo, non riuscendo a sostenere il confronto con i nuovi genotipi che andavano via via emergendo dalle sperimentazioni, a causa, soprattutto, delle insufficienti caratteristiche di qualità dei tuberi (Spunta) e delle rese modeste (Sieglinde). L’attuale rinnovamento varietale è stato frutto del lavoro organico e mirato portato avanti dalle istituzioni scientifiche (università, CNR, CRA) operanti nell’isola con i contributi finanziari regionali e ministeriali, ma anche dalla spinta episodica e interessata delle aziende che commercializzano il seme. Moltissime delle varietà introdotte non hanno lasciato alcuna traccia, sia perché non adatte alla coltura extrastagionale – essendo state costituite all’estero per contesti ambientali profondamente differenti – sia perché non supportate da conoscenze scientifiche in grado di sostenerne adeguatamente le performance agronomiche in campo. Il rinnovamento ha comunque portato a un nuovo assetto varietale che, pur variabile da un’annata all’altra, sembra più equilibrato sia sotto il profilo biologico (genotipi a differente precocità, rusticità, capacità produttiva e resistenza alle malattie) sia sotto quello delle caratteristiche di

Foto R. Angelini

Particolare di una infiorescenza nella patata

Piante di patata in fase di accrescimento

Foto R. Angelini

330


patata in Sicilia qualità dei tuberi (genotipi con differente destinazione culinaria, colore della buccia e della polpa, pezzatura ecc.). È comunque da segnalare con soddisfazione la presenza in coltura, anche con buoni risultati agronomici, delle prime varietà costituite in Italia. Attualmente, accanto alle già affermate Arinda, Mondial, Timate, Nicola e Ditta (preferita, quest’ultima, per le colture biologiche), il panorama varietale include anche nuovi genotipi, quali Marabel, Safrane, Labadia, Matador e le italiane Antea e Bellini, tutti con tuberi a buccia gialla, nonché Romanze e Red Fantasy, con tuberi a buccia rossa. La nuova articolazione varietale della pataticoltura siciliana ha sensibilmente migliorato la capacità di intercettare con efficacia le variegate richieste di un mercato sempre più esigente. In questo quadro è opportuno segnalare la costituzione, negli ultimi anni, di una rete regionale di sperimentazione sulla patata precoce promossa dalla collaborazione tra l’università di Catania e il servizio allo sviluppo dell’assessorato Agricoltura e foreste della Regione Siciliana, che ha già permesso di individuare nuo-

Prove parcellari di confronto varietale in Sicilia

Produzione (tonnellate/ettaro) in rapporto alla varietà e all’ambiente di coltivazione. Valori medi di un biennio di ricerche Varietà

Ambiente

Media

Castelvetrano (TP)

Giarre (CT)

Ispica (RG)

Terregrotta (ME)

Allians

34

39

21

45

35

Antea

36

58

28

16

35

Arinda

43

44

40

45

43

Bellinda

29

50

35

29

36

Ditta

35

45

24

37

35

Everest

42

51

52

47

48

Labadia

37

40

42

52

43

Marabel

15

45

32

28

30

Matador

30

59

36

22

37

Red Fantasy

22

39

25

39

31

Romanze

22

39

25

39

31

Safrane

55

45

46

45

48

Sieglinde

24

34

24

33

29

Spunta

49

39

31

36

39

Valeria

39

40

22

37

34

Media

33

45

32

37

Fonte: Mauromicale, dati inediti

331


paesaggio ve varietà adattabili alla coltura precoce, quali Everest, Ambition, Labadia, Madeleine e Allians, delineando per ciascuna di esse il profilo qualitativo e la destinazione culinaria più rispondente.

Pre-germogliazione

Impianto della coltura Con riferimento alla coltura precoce, le prime semine vengono effettuate tra fine ottobre e novembre, e riguardano le aree meglio esposte di Cassibile, Avola (SR) e Torregrotta (ME), dove la patata, storicamente, era consociata con il mandorlo e il pesco, dalle cui fronde traeva un minimo di protezione dal freddo. Le semine proseguono generalmente sino a fine gennaio nelle aree più soggette agli abbassamenti termici e alle gelate, nelle quali il posticipo del ciclo biologico impone la disponibilità di acqua per l’irrigazione. La semina della patata in ciclo estivo-autunnale (bisestile) è concentrata in un periodo più breve, compreso tra la seconda metà di agosto e la prima decade di settembre. Caratteristica della coltura precoce è il generalizzato ricorso ai tuberi-seme certificati, di provenienza quasi esclusivamente estera. Considerando l’elevato costo del seme, è diffuso l’impiego di porzioni “fette” di tubero, con uno o più “occhi” (gruppi di 3 gemme). Il taglio viene eseguito sia manualmente sia con l’ausilio di macchine. Le superfici di taglio vengono opportunamente lasciate suberificare in locali arieggiati prima della messa a dimora delle “fette” di tubero. Nel ciclo estivo-autunnale, invece, è diffuso l’utilizzo di tuberiseme interi, che costituiscono per lo più lo scarto delle produzioni ottenute con le colture vernino-primaverili, spesso nella medesima azienda. Si tratta prevalentemente di tuberi in larga misura non commerciabili perché di piccole dimensioni, inverditi o tagliati, e che sono, peraltro, caratterizzati da una forte eterogeneità nella loro maturazione fisiologica. Tali tuberi, di norma raccolti in maggio-giugno, sono conservati al buio e a temperature di circa 4 °C fino a 10-15 giorni prima della semina, allorquando vengono esposti alla luce e a temperature di circa 18-20 °C per interromperne la dormienza e promuovere il processo di germogliazione. La quantità di seme impiegata per l’impianto delle colture precoci è molto variabile, ed è in funzione soprattutto della dimensione degli stessi tuberi-seme. Essa, comunque, è compresa tra 1000 e 2500 kg/ha. È molto frequente, in ogni caso, l’impiego di modeste quantità di seme (1000-1500 kg/ha), in conseguenza sia dell’elevato costo dello stesso sia dell’erronea consuetudine, vigente in alcuni areali, di valutare la produzione sulla base del rapporto empirico prodotto ottenuto/seme impiegato. Ovviamente, tale rapporto, a parità di resa, è tanto più elevato quanto minore risulta il denominatore, e cioè la quantità di seme impiegato. Le numerose ricerche condotte presso l’ex Istituto di Agronomia dell’università di Catania e l’annesso centro del CNR

• Una pronta e omogenea emergenza dei germogli, soprattutto nelle varietà con elevata dormienza delle gemme, può essere promossa mediante la tecnica della pre-germogliazione dei tuberi

• Quest’ultima è condotta in locali

arieggiati, con temperature di 14-16 °C e in presenza di luce diffusa. I tuberi vengono sistemati, in 1-2 strati, con la corona (parte distale a quella di attacco allo stolone) in alto, in cassette con pareti basse. In queste condizioni sono tenuti per il periodo necessario alla rottura della dormienza, che varia molto in relazione alla varietà e al periodo di maturazione fisiologica post-raccolta degli stessi tuberi. In ogni caso la pre-germogliazione deve essere limitata, per evitare di diminuire la maneggevolezza del materiale durante le fasi che precedono la semina e nelle operazioni di interramento

• I tuberi pre-germogliati, o le frazioni

di essi, si presentano leggermente inverditi, con gemme che non dovrebbero superare 1 cm di lunghezza, molto robuste e di colore verde tendente al violaceo. La tecnica permette un’abbreviazione del ciclo biologico e un anticipo di 1-2 settimane della maturazione commerciale dei tuberi

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patata in Sicilia hanno costantemente dimostrato che l’investimento unitario più efficace ai fini produttivi dovrebbe garantire tra 5 e 7 cespi/m2, cui corrisponderebbero circa 15-18 germogli/m2 e una quantità di seme compresa tra 2500 e 3500 kg/ha. Ciò detto, il peso unitario delle unità-seme (tubero intero o “fetta”) non dovrebbe essere superiore ai 50-60 g al fine di evitare sprechi di seme. Per la semina delle unità-seme vengono utilizzate piantatrici semiautomatiche o, raramente, automatiche. Tecniche colturali Tra i fattori della tecnica colturale in grado di influenzare in misura apprezzabile la produzione dei tuberi sotto l’aspetto sia quantitativo sia qualitativo, un ruolo di preminenza è svolto dalla concimazione, dall’irrigazione e dal diserbo chimico. Gli effetti di queste tecniche, tuttavia, risultano spesso fortemente condizionati o limitati dal concorso più o meno favorevole dei fattori ambientali, quelli meteorologici in particolare. Con riferimento alla concimazione, nei terreni dotati di buona fertilità e dove la coltura è presente da parecchio tempo, i cospicui apporti di fertilizzanti (alcune centinaia di kg/ha di N2, P2O5 e K2O) hanno consentito di accumulare sufficienti quantità di P e K, per cui, tranne casi particolari di immobilizzazione del fosforo, risultano spesso inefficienti ulteriori apporti di questi due elementi. Pertanto, in questi casi, la concimazione fosfo-potassica dovrebbe essere contenuta entro limiti assai modesti. Le eccessive precipitazioni autunno-vernine e la presenza di terreni molto permeabili, quali quelli di norma utilizzati per la coltura delle patate, possono, invece, dilavare le forme solubili di azoto e rendere questo elemento un fattore limitante per l’ottenimento di rese apprezzabili. Ne deriva, perciò, che la concimazione della patata precoce si dovrebbe configurare, sostanzialmente, nella gestione della nutrizione azotata. Tutto ciò trova conferma nei risultati scaturiti dalle numerosi ricerche sulla concimazione della patata condotte in Sicilia, che hanno dimostrato: 1) l’assoluta preminenza degli apporti azotati, rispetto a quelli fosfatici e potassici; 2) l’assenza di interazione tra questi elementi nutritivi; e 3) la scarsa efficacia della somministrazione di dosi di azoto superiori a 120-140 kg/ha. La gestione dell’azoto si basa soprattutto sulla scelta del tipo di concime, che va fatta in funzione della reazione del terreno e dell’epoca di somministrazione. Di norma, infatti, è consigliabile distribuire l’azoto a più riprese: 1/3 all’impianto e 2/3 in copertura, in uno o due interventi. La concimazione organica è sempre utile e perciò auspicabile, considerata anche la scarsa frequenza con cui, di norma, gli agricoltori fanno ricorso a tale tecnica. Al contrario, i concimi fogliari, di cui comunemente si fa un uso eccessivo, dovrebbero essere

Tuberi pre-germogliati per la semina della patata bisestile

Foto R. Angelini

Patata in fase di emergenza

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paesaggio somministrati soltanto per supplire a eventuali carenze momentanee di elementi nutritivi e quando le condizioni pedoclimatiche lo impongano. L’irrigazione è ormai divenuta una pratica decisiva per ottenere rese elevate nelle colture precoci, e risulta essere indispensabile nelle colture bisestili in quanto la prima parte del ciclo biologico si svolge in un periodo in cui le piogge sono occasionali, e la domanda evapotraspirativa dell’ambiente elevata. Di norma si fa ricorso all’intervento irriguo tra aprile e giugno nelle colture precoci, e tra agosto e ottobre in quelle bisestili. Tuttavia, non sono rare le annate in cui è necessario irrigare già a marzo (colture precoci) o prolungare la stagione irrigua fino a tutto novembre (colture bisestili). Ciò è motivato dalla necessità di evitare le carenze idriche, dal momento che queste, specialmente durante la prima parte del ciclo biologico, ritardano la differenziazione e rallentano il tasso di crescita dei tuberi, con ripercussioni negative sulla precocità, sulle rese e sulla qualità del prodotto. I metodi irrigui più diffusi sono l’aspersione, nelle colture specializzate, e l’infiltrazione laterale da solchi, nelle colture consociate con le piante arboree. L’aspersione a mezzo di irrigatori giganti semoventi è da utilizzare con molta cautela in quanto, soprattutto nelle zone ventose, è causa di difformità nella distribuzione dell’acqua sul terreno, il che determina eterogeneità nell’accrescimento e nello sviluppo delle piante. Recentemente in alcuni areali è stato introdotto il metodo a microportata di erogazione, che può essere utilizzato in tutte le situazioni, in particolare in terreni leggeri o superficiali con ridotta capacità idrica, e quando la disponibilità di acqua per l’irrigazione sia limitata, o laddove l’acqua sia tendenzialmente salmastra. Il ricorso a quest’ultimo metodo diventa obbligatorio nel caso si faccia ricorso alla pacciamatura, tecnica che già qualche agricoltore utilizza nella coltura bisestile.

Semina diretta e pacciamatura nella patata bisestile Foto R. Angelini

Pianta in fase di emergenza Piante in fase di accrescimento

Foto R. Angelini

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patata in Sicilia Il ricorso al diserbo chimico nella coltivazione della patata extrastagionale può considerarsi una pratica anch’essa generalizzata, considerati gli effetti negativi che le piante infestanti, attraverso soprattutto la competizione per la luce, l’acqua e le sostanze minerali, determinano sulla produzione. Di norma viene effettuato un unico trattamento pre-emergenza o a inizio emergenza (al massimo 10-15% dei germogli emersi), con una miscela di un erbicida per contatto, che ha lo scopo di eliminare le infestanti già presenti, con un prodotto ad azione residuale per impedire l’insorgenza successiva delle malerbe. L’azione degli erbicidi ad azione residuale viene esaltata dal buon amminutamento del terreno all’impianto, da eventuali piogge leggere o, in caso di terreno asciutto, da un intervento irriguo con basso volume di adacquamento. In presenza di flora infestante particolarmente ricca di specie può essere opportuno impiegare una miscela di erbicidi ad azione residuale per ampliarne lo spettro di azione, ridurre l’eventuale fitotossicità e abbassare l’impatto ambientale.

Risultati delle prove di irrigazione condotte in Sicilia

• I fabbisogni irrigui stagionali risultano

variabili in rapporto all’annata, potendo oscillare tra 160 e 200 mm nella coltura precoce, e tra 100 e 220 mm in quella bisestile

• Con l’incremento dell’ETc

(evapotraspirazione massima della coltura) aumenta linearmente la produzione areica, per effetto quasi esclusivo dell’incremento del peso unitario dei tuberi. Per contro, diminuiscono l’efficacia produttiva dell’acqua irrigua e il contenuto di sostanza secca dei tuberi

Raccolta e manipolazione del prodotto La raccolta viene generalmente effettuata con l’ausilio di macchine scavatuberi, che hanno la funzione di portare in superficie i tuberi stessi, i quali sono poi raccolti manualmente. I tuberi ricavati dalle colture nei terreni vulcanici dell’area di GiarreRiposto, prima di essere confezionati e commercializzati, vengono sottoposti, mediante apposite macchine, a lavaggio con acqua per asportare i residui terrosi di colore scuro. Questa operazione, un tempo esclusiva di tale area, va sempre più estendendosi anche ai tuberi raccolti negli altri areali. I tuberi, dopo opportuna cernita e ripulitura, vengono confezionati in cartoni, retini ecc. e, relativamente a quelli esportati, anche in cesti di castagno oppure sacchi di juta o altre fibre. L’extrastagionalità permette che una quota apprezzabile della produzione, seppure in forte contrazione nell’ultimo decennio, sia collocata sui mercati esteri. L’altra quota di prodotto è destinata, invece, alla grande distribuzione organizzata e ai mercati ortofrutticoli, del Centro-Nord Italia in particolare.

• Un intervento irriguo programmato

soltanto durante la prima metà del periodo di tuberificazione si è rivelato più efficace ai fini produttivi rispetto a quello effettuato solo durante la seconda metà del periodo di tuberificazione

• L’irrigazione influenza la composizione del tubero facendo aumentare il suo contenuto in proteine e ceneri, e diminuendone la concentrazione di amido e zuccheri riduttori

Variazione della composizione alimentare del tubero in relazione all’irrigazione: valori medi delle cultivar Spunta e Sieglinde Coltura

Sostanza secca (%)

Amido (% s.f.)

Zuccheri riduttori (% s.f.)

Proteine (% s.s.)

Ceneri (% s.s.)

Non irrigata

20,7

14,8

2,8

8,0

5,7

Irrigata con il 100% dell’ETc

18,0

11,9

2,2

9,0

6,1

ETc = evapotraspirazione massima della coltura; s.f. = sostanza fresca; s.s. = sostanza secca

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la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata in Calabria Albino Carli

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paesaggio Patata in Calabria Cenni storici sull’introduzione e sulla coltivazione della patata in Sila La Calabria è una delle prime regioni italiane per produzione di patate, con oltre 1.300.000 q raccolti annualmente. Di questi circa il 70% viene prodotto sulla Sila, un altopiano di circa 200.000 ha con un’altezza media di 1300 m s.l.m. La presenza della coltivazione della patata nella Sila ha una storia lunga e documentata, grazie alle numerose testimonianze (fotografie, documenti storici, ricerche del settore) che sono state rinvenute. Un primo cenno, seppure vago, della presenza della pataticoltura in questo aerale si trova nella Statistica del Regno di Napoli del 1811, la prima indagine sistematica sul Mezzogiorno voluta da Gioacchino Murat al momento del suo insediamento nel Regno. Nel volume riguardante i terreni della “Calabria Citra”, riconducibili all’odierna provincia di Cosenza, sono riportate le piante ortensi allora coltivate, e tra queste è segnalato anche il “pomo di terra Solanum tuberosum”, con la precisazione che il tubero si distingueva per “la buona qualità e [le proprietà] salubri”. Vi si apprende che all’epoca veniva coltivato usualmente nei giardini, e “indi si trapianta in terreni concimati”. Le informazioni recuperate per gli anni a seguire sono dettagliate, specifiche e riferite unicamente al territorio silano, dove la patata, già a partire dall’Ottocento, aveva acquisito fama di essere un prodotto di pregio. Nel 1897, grazie al censimento agricolo Notiziario sul raccolto dei grani della biada e diversi altri prodotti, relativamente al comune di Parenti (appartenente al comprensorio della Sila), apprendiamo

In sintesi

• 1.300.000 q raccolti, di cui il 70% sulla Sila

• Presente dal 1811 secondo una statistica del Regno di Napoli

• Nel 1988 tra i 4 bacini di produzione

di patata da semina c’è l’altopiano silano con un’altitudine compresa tra 1200-1400 m e aziende con superficie media di 7 ettari. La superficie totale della pataticoltura è di 2500 ha e offre un’occupazione di 305 unità lavorative/anno in aree disagiate

Aratura del terreno

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patata in Calabria che all’epoca era destinata a patate una vasta superficie, seconda solo a quella dedicata alla produzione di segale: 140 ha contro i 250 ha del cereale. Tuttavia, la patata registrava livelli maggiori in termini di resa (con una produzione complessiva di 7200 q) grazie a caratteristiche pedoclimatiche ideali per la sua coltivazione. Altre fonti relative alla presenza della coltivazione della patata nella Sila sono pervenute in testimonianze fotografiche e scritte, conservate e raccolte oggi nel Museo Demologico di San Giovanni in Fiore. Sono documenti che risalgono al periodo compreso tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi cinquant’anni del Novecento, nei quali è possibile ammirare molti degli attrezzi tradizionalmente impiegati nei campi di patate. Alcune fotografie del triennio 1927-1929 rappresentano, per esempio, immagini di contadini al lavoro su terreni coltivati a patata e paesaggi silani nei pressi dei pagliai, con figure femminili sullo sfondo intente nella raccolta del tubero (scippa, in vernacolo). Consolidata la presenza della patata nella Sila, si comincia a percepire, a partire dal secondo dopoguerra, la necessità di uno sfruttamento più razionale e mirato della pataticoltura, incentivandola e valorizzandola. Nasce a questo scopo nel 1947, su decreto dell’allora Ministero Agricoltura e Foreste, l’ente statale Opera per la valorizzazione della Sila (O.V.S.), i cui compiti erano “l’assegnazione di terreni per la formazione di nuove proprietà contadine, e la trasformazione dei sistemi colturali sino ad ora adottati, [nonché] l’introduzione di nuove colture ecc.”. Per l’attuazione del progetto furono individuate delle aziende campione (Molarotta, Val di Neto, Rombolò) con le quali avviare le attività di sperimentazione. Nel documento dal titolo Aziende dimostrative (maggio 1954) leggiamo che tra le

La Pagliara

Campo di patate

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paesaggio attività in cantiere era prevista la creazione di un “centro di moltiplicazione di patata da seme” presso l’azienda Molarotta. La patata era allora seminata come coltura di rinnovo su di una superficie pari a 21 ha sui 150 complessivi dell’azienda. Nel 1955 viene fondato il Centro silano di moltiplicazione e selezione delle patate da seme (CE.MO.PA. silano), con il compito di favorire la diffusione del seme certificato. Sono questi gli anni in cui la pataticoltura comincia ad assumere un ruolo fondamentale nell’economia agricola locale. Nel 1978 l’Unione regionale delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura della Calabria pubblica un’indagine sul settore agricolo, Studio sul sistema distributivo dei prodotti agricoli della Calabria, dalla quale si ricavano dati fondamentali per conoscere l’impatto della coltivazione della patata nella provincia di Cosenza. Nel 1988 si segnala che, in Italia, il fabbisogno di patate da seme risulta essere di oltre 3.000.000 q, a fronte di una produzione certificata di appena 200.000 q; il disavanzo veniva allora colmato grazie alle importazioni di seme da Olanda, Francia, Danimarca, Scozia e Germania. Ma soprattutto è interessante evidenziare che i bacini di produzione di patate da semina in Italia erano, già allora, “l’Alto Adige, l’Appennino tosco-emiliano, l’Altopiano del Fucino e l’Altopiano silano”. Nella Sila, inoltre, l’ampiezza degli stabilimenti destinati a produrre seme era pari a circa 3 ha, contro 1 ha in media nelle altre regioni segnalate. Infine, relativamente alla coltivazione della patata da seme nel Silano, si evidenziava che “un rilevante fattore favorevole per la produzione di patate da semina è costituito dal clima estremamente secco d’estate e freddo d’inverno [...] condizioni, queste, che costituiscono un fattore fortemente limitante per lo sviluppo della carica afidica”.

Piccirillo

Raccolta delle patate

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patata in Calabria Agli inizi degli anni Novanta, con un approccio quasi avanguardistico rispetto alle nuove politiche di tutela e qualità del patrimonio agroalimentare che si affacciavano allora nel contesto politico europeo, l’amministrazione provinciale cosentina studia iniziative per la promozione della patata miranti a evidenziare l’identità storico-culturale che lega il prodotto al territorio. Il successo di questo approccio sfocia nell’idea di creare un marchio registrato presso la sede provinciale dell’UNAPA (Unione Nazionale Produttori di Patate) con lo scopo di promuovere e valorizzare il prodotto derivato da seme certificato. Il marchio, come si legge nella stampa di allora, aveva lo scopo di legare il prodotto “a una nuova immagine [...] a una nuova idea di alimentazione [che lo rendesse] attraente e non più povero [...] una produzione di qualità per un’alimentazione di qualità”. Dal 1990 in poi la pataticoltura del Cosentino registra un progressivo successo e viene definita dalla stampa specializzata come “un settore in pieno sviluppo”. Così, la patata da seme, per decenni confinata in appezzamenti gestiti a livello di piccole aziende, si trasforma in una delle colture di maggiore pregio dell’area, in grado di coniugare, con ottimo successo, la qualità per i consumatori e il rendimento economico per i produttori. Impatto sociale della pataticoltura in Sila

Scorcio del lago Cecita

Vocazione territoriale L’Altopiano silano è caratterizzato da condizioni pedoclimatiche marcatamente montane, temperate dalla dislocazione a sud e dalla vicinanza ai due mari che ne seguono in confini a est e a ovest. Grazie a un’altitudine media compresa tra 1200 e 1400 m Selezione delle patate

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paesaggio s.l.m., e al terreno di medio impasto tendente al sabbioso, è notoriamente una delle zone che in Italia meglio si prestano alla produzione di patate. L’ambiente produttivo si distingue per un clima fresco con temperature moderate per tutta la durata del ciclo di vegetazione. Le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte e il regime dei venti dominanti, oltre a un naturale isolamento delle aree di coltivazione per la presenza di alture che ne descrivono i confini, determinano una bassissima presenza di agenti patogeni, tale da richiedere un numero ridotto di trattamenti, e conferiscono al prodotto particolare qualità. Le grandi aziende (la SAU media aziendale è pari a 7 ha) e gli estesi appezzamenti presenti nella Sila costituiscono un’eccezione per l’ambiente di montagna italiano e hanno permesso lo sviluppo di una pataticoltura moderna in progressivo aggiornamento sia nella tecnica colturale sia nella meccanizzazione. Sulla Sila la struttura produttiva delle aziende è stata fortemente caratterizzata dalla riforma agraria del dopoguerra, grazie alla quale, espropriando buona parte del latifondo, è stato costruito un reticolo di piccoli poderi e di villaggi che hanno permesso l’insediamento stabile delle popolazioni. Negli ultimi anni un continuo processo di concentrazione e il raggiungimento di buoni livelli di professionalità da parte degli agricoltori, grazie alla presenza di strutture cooperative e associative, hanno consentito una strutturazione importante delle aziende e la presenza di piccole e medie imprese con una certa diffusione sul territorio. Tutto ciò rappresenta un unicum, tenendo conto che ci troviamo sempre in un ambiente di alta montagna, dove le condizioni di vita sono in genere disagiate a causa del clima, in particolare nel periodo invernale.

Veduta dei campi Lagarò

Veduta Nord-Ovest da Monte Curcio

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patata in Calabria Legame socio-economico La coltivazione della patata rappresenta da secoli un’importante fonte di reddito per l’economia dell’Altopiano silano. La pataticoltura ha trovato in quest’area un terreno favorevole, specializzandosi come coltura locale ad alta vocazione. A oggi la produzione silana di patata da seme rappresenta circa i 3/4 della produzione nazionale, e pertanto quando si parla di produzione di tuberi-seme si pensa immediatamente all’Altopiano silano. La coltivazione della patata da seme negli anni Ottanta è arrivata a interessare una superficie di circa 1350 ha su una superficie totale destinata alla pataticoltura pari a oltre 2500 ha. Sebbene le origini della sua introduzione siano antiche, è solo a partire dagli ultimi decenni che intorno alla coltivazione della patata si è sviluppato un positivo sistema economico e produttivo, con ottimi risultati in termini di sviluppo locale. È stato, per esempio, realizzato un Centro di moltiplicazione e ricerca genetica a Camigliatello Silano (Contrada Molarotta), dotato di laboratori e attrezzature all’avanguardia (camera di crescita, cappa a flusso laminare, strumenti per il test ELISA ecc.). La conservazione e lo stoccaggio dei tuberi avvengono in strutture moderne e ben organizzate; la selezione e il confezionamento sono pensati e progettati esclusivamente per la singola categoria merceologica, in modo tale da garantire una manipolazione delicata e attenta del prodotto. La produzione proviene da aziende agricole di dimensioni mediograndi, piuttosto specializzate dal punto di vista tecnologico, ben coordinate in organismi associativi e con personale in grado di dare la maggiore efficienza al processo produttivo.

Veduta Sud-Est da Monte Curcio

Mucche al pascolo, Bocca di Piazza

Foto E. Bevilacqua

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paesaggio Dal punto di vista “sociale”, la pataticoltura impegna circa 1200 famiglie. In base alla recente indagine condotta dalla Comunità Montana Silana (Aggiornamento e completamento del Piano di sviluppo socio-economico, anno 2000-2001), le giornate lavorative dedicate a tale coltura sono circa 100.000 su base annua; tradotte in effettiva occupazione, esse corrispondono a un’azienda che occupa 305 unità lavorative tutto l’anno. Sempre in base ai dati pubblicati nello studio della Comunità Montana Silana risulta che il solo settore della produzione si attesta su un fatturato di oltre 15 milioni lordi di euro. Se a questo dato si aggiunge l’indotto rappresentato da trasporti, prestazioni tecniche e contabili, attrezzature, macchine e impianti, materiali per la lavorazione, consumi di carburante ecc., il comparto pataticolo raggiunge la consistente cifra di circa 50 milioni di euro. Questi numeri dal punto di vista economico sono significativi perché rappresentano una fondamentale fonte di reddito per gli operatori locali, i quali, peraltro, essendo impegnati nel processo produttivo, garantiscono l’insediamento stabile di cose e persone nell’Altopiano, rendendolo sempre vivo in ogni periodo dell’anno.

Foto E. Bevilacqua

Legame culturale Il forte legame culturale del prodotto con il territorio è manifestato dall’impiego diffuso della patata nella cucina tradizionale silana, retaggio di un mondo contadino nemmeno troppo lontano. Sono famosi i primi piatti a base di pasta fatta in casa condita con peperoncino, aglio, acciughe, ricotta, funghi, formaggio, legumi e naturalmente patate. Queste sono anche abbinate alla carne, arrostita o cucinata in altri modi, e servite come contorno.

Colamauci

Colamauci

Foto E. Bevilacqua

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patata in Calabria Fra le ricette con la patata più note e più caratteristiche della cucina contadina ricordiamo il minestrone di cavolo, cicoria, fagioli e patate; la pasta con patate e uova; pasta e patate al forno; pasta patate e zucchine; pasta con patate, finocchio selvatico e carne; carne cucinata arrosto (specialmente maiale, agnello, capretto o cinghiale, di cui la zona è ricca), accompagnata a un contorno di patate. Altro fattore culturale può essere considerata la presenza di manifestazioni e sagre che durante l’anno vengono organizzate per celebrare il prodotto. Di seguito ricordiamo quelle di alcune località silane che per tradizione e qualità degli espositori vantano maggiore fama. – Camigliatello Silano: ospita ogni anno da 25 anni, nel mese di ottobre, la famosa Sagra della patata, unitamente alla Mostra mercato della Patata silana e delle macchine agricole. La manifestazione, che dura tre o quattro giorni, si svolge presso i locali del Consorzio agrario provinciale e prevede diverse iniziative. Vengono allestite varie esposizioni: patate da pasto e da seme, prodotti zootecnici e florovivaistici, macchine e attrezzi per l’agricoltura. Inoltre, si offrono all’assaggio e alla degustazione numerose pietanze a base di patate e altri prodotti gastronomici tipici della Calabria. La sagra si conclude con la premiazione degli espositori. – Parenti: dal 1980 ogni anno, l’ultima domenica di agosto, vi si svolge una grande manifestazione a carattere folcloristico e culinario. La patata viene offerta e cucinata in svariati modi. Bocca di Piazza: la Sagra della patata vi è stata promossa – dall’O.V.S. (Legge 31/12/1947 n. 1629 e 12/05/1950 n. 230) negli anni Cinquanta. Questa è anche la manifestazione più strettamente legata all’abitato di Bocca di Piazza e prevede l’allesti-

Foto E. Bevilacqua

Dal lago Cecita, Botte Donato

Lago Arvo da Ceci

Foto E. Bevilacqua

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paesaggio mento di stand di degustazione di piatti tipici a base di patate, preparati dalla popolazione locale e cucinati in modo tradizionale. L’evento richiama numerosi visitatori, giornalisti gastronomici e degustatori.

Foto E. Bevilacqua

Produzione di patata da seme e mercati di sbocco Tradizionalmente la Sila ha rappresentato il bacino di raccolta delle patate da seme. La particolare posizione dell’altopiano e il periodo di vegetazione della patata non costituiscono un ambiente ospitale per gli afidi che, com’è noto, rappresentano il principale veicolo di infezioni delle virosi della patata. I voli tardivi e spesso la completa assenza di afidi hanno permesso nel passato di coltivare ottimi tuberi per la riproduzione. Negli anni Ottanta il comparto della patata da seme ha raggiunto livelli altissimi di professionalità e qualità. Ciò ha portato la Sila a rappresentare circa l’80% della produzione nazionale di patate da seme. I mercati di sbocco tradizionali della patata della Sila sono la Sicilia, la Campania e la Puglia, che anche per ragioni di prossimità conoscono e apprezzano ormai da tempo il prodotto dell’altopiano. Purtroppo la concomitanza con la produzione del Nord Europa e del Centro Italia (Fucino in particolare) non permette al prodotto silano, se non in minima parte, di farsi conoscere oltre l’area del Mezzogiorno. Inoltre, il prodotto proveniente dalla Francia negli ultimi tempi ha costituito il maggiore concorrente, determinando, grazie alla forza della propria organizzazione distributiva e ai prezzi concorrenziali, un ulteriore arretramento della patata silana. Negli anni Novanta, a causa della maggiore aggressività dei Paesi del Nord Europa e a una legislazione nazionale sfavorevole allo

Dal lago Cecita, Botte Donato

Lago Arvo da Pino Collito

Foto E. Bevilacqua

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patata in Calabria sviluppo della pataticoltura da seme in Italia, il comparto ha infatti subito una battuta di arresto anche su questo fronte.

Foto P. Vallone

Valorizzazione e ricerca per il rilancio della pataticoltura silana La patata della Sila, grazie alle sue caratteristiche organolettiche e microbiologiche (in particolare l’alto contenuto in sostanza secca), all’attitudine alla lunga conservazione senza l’utilizzo di trattamenti chimici post-raccolta e alla consolidata reputazione di prodotto di qualità, rappresenta un punto di eccellenza nel panorama ortofrutticolo europeo. Al fine di valorizzare la produzione e di differenziarla sul mercato è stato costituito un Consorzio di produttori (PPAS, Produttori Patate Altopiano Silano), in seno al quale nel 2004 è nato il Comitato promotore per l’Igp Patata della Sila, rappresentato esclusivamente da produttori, che ha presentato al MIPAAF la domanda per l’ottenimento dell’Indicazione geografica protetta da parte dell’Unione Europea. L’8 ottobre 2010, con Regolamento UE n. 898/2010 pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” dell’Unione Europea, è stato sancito il riconoscimento Igp per la Patata della Sila, che si associa alle altre quattro Dop/Igp di patate riconosciute in Europa. Il marchio Igp rappresenta una tutela dalle imitazioni per i produttori, e al contempo una garanzia per il consumatore sull’origine territoriale e sulla tracciabilità del prodotto. Questa strategia è probabilmente l’unica percorribile per evitare di relegare la Sila ai margini del sistema. La forte caratterizzazione territoriale e l’orientamento dei consumatori verso alimenti tipici e legati ai luoghi di provenienza costituiranno la base per la rinascita di una patata di qualità, un prodotto unico di alta montagna coltivato nel centro del Mediterraneo.

Lago Cecita, Colamauci

Fallistro

Foto A. Colonna

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la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata in Campania Luigi Frusciante, Marisa La Sala

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


paesaggio Patata in Campania Introduzione La fine del XVIII secolo coincide con l’inizio della coltivazione della patata in Campania e nel resto dell’Italia. Conosciuta in Europa e in Italia già due secoli prima, la patata ha richiesto un tempo lunghissimo affinché dalla sua “scoperta” si passasse a un’utilizzazione su larga scala. È stato infatti necessario verificare come si potesse adattare alla panificazione, alla produzione di farina e alla conservazione. La possibilità di disporre di cibo abbondante e poco costoso giustifica le iniziative a favore della sua diffusione, proseguita fino ad attribuirle un ruolo importante nella dieta regionale. Pizza con patate

Cenni storici La spinta alla diffusione della patata in Campania la si deve a un abate benedettino del Settecento, Vincenzo Corrado, nativo di Oria (BR), ma napoletano di adozione. Grande studioso di cucina, cuoco raffinato e inventore della pizza, egli utilizzò per la prima volta nelle sue ricette due ingredienti fino ad allora sconosciuti, il pomodoro e la patata. La patata diventò la protagonista assoluta delle sue ricette. Infatti, dopo il successo del Cuoco galante del 1773, nel 1798 pubblicò il Trattato della patata per uso di cibo, in cui riportò numerose ricette a base di patate; alcune di esse hanno fatto la storia della cucina napoletana: il “gattò di patate”, il “tortino di alici”, gli “gnocchi di patate” e molte altre ancora.

Regione Campania Vincenzo Corrado (1736-1836)

MOLISE

LAZIO

PUGLIA

Patate in gattò semplice Benevento

• “Cotte che saranno in acqua le Patate,

si pestano con poco butirro, e poco parmegiano grattato. Si condisce il composto di giusta dose di uova sbattute, di panna di latte, e di sale, e cannella. È pronta una cassarola unta di butirro, e panata; in ella si versa il composto, e come sopra si fa cuocere”

Caserta Avellino

M C A

NAPOLI

I A

• Tratto da V. Corrado, Degli usi delle

BASILICATA

N P A

Salerno

patate in varie vivande

346


patata in Campania Corrado ha avuto il grande merito di aver fatto conoscere ai napoletani la patata e di averla fatta accettare vincendo la diffidenza e i pregiudizi che l’avevano accompagnata fino ad allora. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per capire il ruolo che ha avuto questa coltura nel Regno di Napoli prima e nell’economia campana poi. La rivoluzione del 1799, infatti, portò nel Regno di Napoli una grave carestia; essa fu superata solo grazie all’acquisto da parte del re di enormi quantitativi di patate dal Nord Europa, che servirono per sfamare la popolazione esausta. L’operazione ebbe un grande successo, tanto da convincere i Borboni a investire nella diffusione di questa coltura. La valorizzazione della patata passò anche attraverso l’istituzione di una Scuola di agricoltura presso il palazzo reale di Portici, la quale contribuì a formare quei tecnici che insegnarono poi agli agricoltori le agrotecniche più appropriate per la coltivazione della patata. La Scuola di agricoltura fu trasformata in Scuola superiore di agricoltura e, successivamente, in Facoltà di Agraria, restando sempre nella sede voluta dai Borboni.

Patate in gnocchi

• “Cotte che saranno al forno le Patate,

la loro, già polita, sostanza si pesta con la quarta parte di gialli d’uova duri, altrettanta di grasso di vitello, e anche di ricotta. Si unisce, e si liga, dopo, con qualche uovo sbattuto, si condisce di spezie, e si divide in tanti bocconi lunghi e grossi come ad un mezzo dito, i quali infarinati si mettono nel brodo bollente, e bolliti, per poco, si servono nel piatto incaciati, e conditi con sugo di carne”

• Tratto da V. Corrado, Degli usi delle patate in varie vivande

Clima e ambiente Le condizioni pedoclimatiche della Campania hanno certamente contribuito al successo di questa coltura a livello regionale. Infatti, se è vero che la patata è una specie con notevole capacità di adattamento al clima, è anche vero che è particolarmente esigente in termini di terreno, prediligendo i suoli profondi, sciolti e ben drenati, caratteristiche queste tipiche dei terreni campani. Foto M. Curci

Palazzo reale di Portici, sede storica della facoltà di Agraria dell’Università degli studi di Napoli Federico II

347


paesaggio Le favorevoli condizioni pedoclimatiche e la presenza di aziende agricole a conduzione familiare, caratterizzate da una particolare cura nelle fasi produttive, hanno contribuito al successo campano nel comparto della produzione di patate, soprattutto quello di patate per il consumo fresco (20% della produzione nazionale). Le differenze climatiche e, soprattutto, di altitudine che caratterizzano la Campania fanno sì che l’offerta si estenda senza discontinuità lungo un periodo di tempo molto ampio, che va dalla tarda primavera fin quasi all’inizio dell’inverno. La patata precoce a ciclo breve o brevissimo costituisce la produzione più tradizionale ed economicamente più importante della regione, la cui evoluzione ha condizionato fortemente l’assetto economico dell’intero comparto. Alla produzione di patata novella, infatti, concorre la coltivazione in ciclo verninoprimaverile, con semine che vanno da gennaio a inizio marzo e raccolta da fine aprile a metà giugno; la produzione tipica della aree interne, invece, è quella della patata comune, con semine a partire dalla fine di marzo e raccolta tra metà giugno e inizio settembre. La produzione di patata precoce è particolarmente apprezzata nel mercato interno ed estero e, anche se solo di poco superiore alla produzione comune, è quella economicamente più importante. Essa, in situazioni di mercato sfavorevoli, non viene raccolta entro metà giugno ed è lasciata in campo fino alla completa maturazione, confluendo nella produzione della patata comune.

Foto M. Curci

Foto M. Curci

Importanza della patata nell’economia campana Nel secolo scorso la pataticoltura ha rappresentato un punto di forza nell’economia agricola regionale, con ben 30.000-40.000 ha di superficie investiti a patata (il 30% dei quali destinati alla coltura precoce). Gli indirizzi della pataticoltura campana sono stati influenzati in maniera significativa dai gusti dei consumatori, che hanno condizionato profondamente le scelte varietali e le tipologie dei tuberi commercializzati. Sono stati sempre preferiti tuberi di calibro ridotto e con buccia sottile, risultati vincenti anche nei mercati esteri. La produzione di patate ottenute da semine molto antici-

Foto M. Curci

Epoca di piantamento dei tuberi-seme a seconda del ciclo Ciclo colturale

348

Tipologia del prodotto

Epoca consigliata

Precoce (vernino-primaverile)

Novello

Gennaio-febbraio

Normale (primaverile-estivo)

Comune

Marzo-aprile

Bisestile (estivo-autunnale)

Novello

Da agosto a metà settembre


patata in Campania pate è stata tradizionalmente destinata ai mercati nord-europei, sempre avidi di prodotto fresco. Di contro, la produzione di patata comune è stata generalmente indirizzata al mercato nazionale e locale. Le favorevoli condizioni climatiche hanno consentito di anticipare anche la produzione comune, con grande beneficio per l’industria che ha potuto anticipare la produzione di prodotti trasformati senza costi aggiuntivi per lo stoccaggio e il ricondizionamento. La varietà leader del settore è stata per un lungo periodo Lady Rosette. Gli anni Novanta sono stati caratterizzati da profondi cambiamenti, quali la maggiore liberalizzazione dei commerci internazionali, l’evoluzione dei consumi di primizie e il crescente ruolo della grande distribuzione. Ciò ha portato alla luce gli elementi più deboli dell’offerta pataticola campana: ridotta diversificazione dei mercati di sbocco (essenzialmente tedeschi) e scarsa attenzione prestata all’organizzazione e alla logistica locale. Si è assistito, quindi, a una progressiva sostituzione delle importazioni dalla Campania con produzioni provenienti da altri Paesi del bacino del Mediterraneo. Tutto ciò ha avuto ripercussioni gravissime sulle produzioni regionali le quali, ricollocate nel contesto nazionale, hanno visto peggiorare la propria posizione rispetto a quelle delle altre regioni meridionali.

Campania e Mezzogiorno

• Nel trentennio 1980-2009, la quantità di

tuberi raccolta in Campania ha visto una riduzione del 25%, in controtendenza con quanto è stato registrato nelle altre regioni del Mezzogiorno, la cui produzione ha registrato un aumento, anche se contenuto, del 3%. Quando si considera la produzione lorda vendibile si osserva che in Campania è cresciuta del 15%, mentre nel resto del Mezzogiorno l’aumento ha raggiunto il 54%. Il peso della Campania rimane pressoché costante rispetto alla produzione nazionale, ma la sua posizione peggiora rispetto alle altre regione meridionali. La progressiva sostituzione delle importazioni dalla Campania con produzioni provenienti da altri Paesi comunitari ed extracomunitari del bacino del Mediterraneo ha avuto ripercussioni gravissime per le produzioni regionali

Principali comprensori produttivi La coltivazione della patata (precoce e comune) che concorre all’offerta campana è ottenuta quasi esclusivamente nelle aree irrigue di pianura. Secondo i dati dell’Assessorato all’Agricoltu-

Coltivazioni in Marocco

Foto R. Angelini

349


paesaggio ra della regione Campania, i comprensori agricoli più importanti sono localizzati a nord-est della città di Napoli, a partire dal confine tra la provincia di Napoli e quella di Caserta (comprensorio della zona di Nola e Marigliano, Valle di Suessola) fino all’asse di collegamento dei due capoluoghi (comprensorio dell’Agro acerrano-afragolese e del Casertano). L’area di coltivazione, pur abbracciando il comprensorio vesuviano e quello flegreo, continua a essere prevalentemente concentrata nella provincia di Napoli e di Caserta, dove la patata precoce costituisce il 94% della superficie pataticola coltivata.

Foto R. Angelini

Agro nolano-mariglianese e area casertana Quest’area di produzione è caratterizzata da terreni fertili e sciolti adatti alla coltura della patata, in particolare di quella precoce. Grazie alle temperature miti, questa zona garantisce una raccolta anticipata, anche se di poco, rispetto a quella dell’Agro sarnese-nocerino. L’unica eccezione è costituita dalla località di Polvica, dove vengono raccolte le prime patate precoci di tutta la regione. Posta ai piedi del monte Fellino, la località di Polvica è un microambiente al riparo dalle gelate tardo-invernali o primaverili; i tuberi-seme, pertanto, possono essere piantati a partire da gennaio ed è possibile approfittare al meglio delle più favorevoli temperature primaverili. Man mano che da quest’area ci si sposta in direzione di Marigliano l’epoca di raccolta è posticipata.

Attacco di peronospora Esempio di multicropping. Il trapianto del pomodoro è stato effettuato prima della raccolta delle patate

350


patata in Campania In questo comprensorio prevalgono le aziende piccolissime e medio-piccole. Sono quest’ultime a costituire l’azienda-tipo produttrice di patate. L’indirizzo produttivo è quello orticolo, con la patata coltivata in primavera seguita da colture ortive autunno-vernine. La patata è da sempre coltivata nelle aziende con ordinamenti intensivi, caratterizzati dalla produzione in multicropping. Qui la patata precoce costituisce una coltura intercalare, favorita dalla brevità del suo ciclo produttivo che in passato consentiva di preparare il terreno alla coltura principale, il pomodoro. La crisi del pomodoro ha improvvisamente cambiato la situazione, facendo diventare la patata la coltura primaverile-estiva principale nell’ordinamento colturale. L’adozione generalizzata da parte delle aziende di questa soluzione ha avuto l’effetto di incrementare in pochi anni la superficie destinata a patata, con il risultato di avere un’eccedenza di prodotto, non sempre adeguato per qualità alle esigenze del mercato.

Foto V. Bellettato

Agro di Acerra-Afragola Il territorio che si estende tra i comuni di Afragola, Caivano e Acerra identifica un’area di produzione della patata destinata sia al consumo fresco sia alla trasformazione. In questo comprensorio sono frequenti due tipologie di aziende: le aziende piccole o medio-piccole, con caratteristiche molto si-

Raccolta delle patate nelle aziende mediopiccole dell’Agro nolano-mariglianese

351


paesaggio mili a quelle dell’Agro nolano-mariglianese, e quelle di più grande estensione. In questo comprensorio, a differenza degli altri, sono presenti aziende specializzate nella produzione della sola patata, ottenuta sia con semina primaverile sia con semina estiva (per la produzione di patata bisestile). Tale specializzazione caratterizza le aziende di più grandi dimensioni, il cui parco macchine è costituito da operatrici che consentono la raccolta della patata completamente meccanizzata.

Foto M. Curci

Area di Capua, Sessa Aurunca, Garigliano e alta Baia domitiana Le caratteristiche pedologiche e climatiche di questa zona sono particolarmente adatte alla coltivazione della patata. I terreni sono ricchi di elementi nutritivi e, soprattutto, freschi, ideali quindi per questa coltura. Le aziende sono tipicamente medio-grandi, con indirizzi produttivi che combinano coltivazioni arboree e ortive. In primavera la patata succede alle colture ortive autunno-vernine, tra le quali prevalgono il cavolfiore e le insalate. In queste aziende tutte le fasi del processo produttivo sono completamente meccanizzate. Tra le aziende produttrici di patate prevalgono quelle con a capo conduttori a tempo pieno. In questo comprensorio le aziende presentano una dinamicità e un livello di efficienza tecnica medio-alti; esse sono orientate all’ottenimento dell’economicità Foto M. Curci

352


patata in Campania della coltivazione, stabilendo un buon equilibrio tra livello delle rese, meccanizzazione e accordi interprofessionali.

Foto M. Curci

Agro sarnese-nocerino Le temperature e l’andamento climatico stagionale dell’Agro sarnese-nocerino sono ideali per la coltivazione della patata precoce. La peculiarità della zona è costituita dalle caratteristiche del terreno, che ha una struttura leggera, è ricco di elementi nutritivi e, man mano che ci si avvicina al Vesuvio, ha un colore scuro che lo rende un “terreno caldo”; in questa zona i suoli facilmente raggiungono alte temperature fin dall’inizio della primavera, consentendo quindi di anticipare la raccolta. Nel corso degli anni la coltivazione della patata ha subito una continua e progressiva perdita di importanza per l’economia del comprensorio. Attualmente essa è legata alla specializzazione di singole imprese, in genere condotte da imprenditori anziani, che ottengono produzioni di grande qualità e con ottime rese. La precocità della coltivazione, associata a un’elevata abilità professionale degli imprenditori, è alla base dei soddisfacenti riscontri economici che si raggiungono in questa zona. Concorre a questo risultato anche la possibilità di esercitare un continuo controllo del processo produttivo. La superficie media aziendale, infatti, è compresa tra i 1500 e i 3000 m2, per cui queste produzioni sono più assimilabili a “giardini” che a coltivazioni vere e proprie.

Coltivazione della patata nell’Agro sarnese-nocerino

353


la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata in Puglia Vittorio Marzi, Nicola Calabrese

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


paesaggio Patata in Puglia La coltivazione della patata in Puglia ha una lunga tradizione; fonti ufficiali della Camera di Commercio di Bari del 1873 riportano il notevole flusso di esportazione di prodotti ortofrutticoli, tra cui la patata, verso i mercati di Francia, Inghilterra, Austria, Ungheria, Germania, Russia, Olanda e Nord America. In provincia di Bari, prevalentemente nei comuni di Monopoli, Polignano a Mare e Bisceglie, erano diffuse all’epoca la cultivar Amburgo, a pasta gialla, molto gradita sui mercati tedeschi, e alcuni ecotipi di Biancona, a pasta bianca, più comunemente coltivata in Campania. Documenti storici ancora più datati riportano che nel 1806 l’abate Giuseppe Maria Giovene di Molfetta (BA), avendo osservato il frequente fallimento della coltura a ciclo primaverile-estivo, a causa del caldo e della siccità estiva, suggeriva in alternativa la

Coltivazione in pien’aria nel Salento

Superficie e produzione di patata precoce in Puglia (medie del periodo 1923-2009) Periodo

Foggia

Bari

Taranto

Brindisi

Lecce

Totale

Superficie (ha) 1923-29

5164

5645

187

446

1846

13.288

1930-392

517

1074

92

30

2376

4089

1940-49

3

429

1171

131

25

1992

3748

1950-59

4

485

981

233

1350

3049

1960-69

492

2030

322

2703

5547

1

1970-79

333

2377

291

3794

6795

1980-89

470

3786

412

5841

10.509

1990-99

448

5194

638

4424

10.704

2000-09

412

2438

304

22

2140

5316

Produzione (t) 1923-29

17.880

11.103

858

2583

8255

40.679

1930-392

7524

7884

595

176

15.748

31.927

1940-49

3

4112

7695

644

112

9582

22.145

1950-59

4

6343

6249

3634

11.493

27.719

1960-69

8699

9525

3512

18.733

40.469

1970-79

5572

23.697

3255

25.002

57.526

1980-89

5828

60.058

6121

64.798

136.805

1990-995

7218

105.245

8409

51.430

172.302

2000-09

8822

62.275

4842

6311

28.287

110.537

Fonte: ISTAT 1 I dati relativi alla superficie sono riferiti al 1929 2 Dati disponibili solo dal 1936 al 1939 3 Mancano i dati relativi al periodo bellico per le province di Taranto, Brindisi e Lecce 4 Dati disponibili solo per il 1950, 1958 e 1959 5 Dati disponibili fino al 1996 e dal 1993 non c’è distinzione tra province

354


patata in Puglia coltivazione nel periodo autunno-vernino. Il Giovene può essere considerato il teorico e il precursore della coltivazione extrastagionale della patata negli ambienti meridionali, conosciuta anche come “patata bisestile”. I primi dati ufficiali sulla consistenza delle superficie coltivata a patata risalgono al catasto agrario del 1929. È interessante osservare che già allora la patata precoce occupava una superficie di poco superiore a 13.000 ha, di cui circa 3500 in consociazione a colture legnose, principalmente olivo o mandorlo. Dall’analisi dei dati si rileva una diffusa presenza della patata in quasi tutti i comuni della regione, anche negli ambienti meno vocati dell’alta e media collina interna, giustificabile con la necessità dell’autoapprovvigionamento a livello familiare. La diffusa coltivazione della patata precoce in provincia di Bari si estendeva lungo tutto il litorale adriatico, da Monopoli a Barletta. Era coltivata anche negli arenili di Margherita di Savoia, Manfredonia e Zapponeta, nel Foggiano. Una discreta diffusione ebbe nella provincia di Brindisi, in particolar modo nel comune di Mesagne, e si affermò nella provincia di Lecce un po’ in tutti i comuni, ma principalmente a Parabita e Matino, da dove si estese in tutta la pianura di Gallipoli. Dopo la parentesi bellica, con la disponibilità di statistiche ufficiali, si evidenzia un costante incremento della superficie almeno fino al 1990, seguita da un decennio di stasi. Nel periodo 2000-2009 si nota la notevole flessione, circa il 50%, della superficie coltivata rispetto al decennio precedente, mentre minore è stata la riduzione della produzione totale, pari al 35%, parzialmente compensata dall’incremento delle produzioni unitarie. Diverse sono state le cause di questa notevole contrazione. Nel 2009 la patata è stata coltivata in Puglia su 5430 ha, di cui 3850 ha destinati alla patata precoce e 1580 ha a quella comune (dato che comprende anche la patata bisestile). La produzione totale è stata di 109.450 t, con 69.600 e 38.950 t rispettivamente

Puglia in sintesi

• Nonostante la forte contrazione della

superficie coltivata (circa il 50% negli ultimi dieci anni), la patata occupa il terzo posto nell’orticoltura pugliese, dopo pomodoro da industria e carciofo. Nel 2009 è stata coltivata su 5430 ha, di cui 3850 ha di patata precoce e 1580 ha di quella comune; la produzione totale è stata di 109.450 t, rispettivamente con 69.600 e 38.950 t. Bari e Lecce sono le province in cui è più diffusa la coltivazione della patata precoce, mentre in quelle di Bari e Brindisi la patata comune ha occupato rispettivamente 450 e 380 ha

• La coltivazione si estende lungo tutta

la costa adriatica, dagli arenili di Manfredonia, Margherita di Savoia e Zapponeta alle “terre rosse” di Polignano a Mare e Monopoli; nel Salento è maggiormente diffusa nei comuni di Racale, Alliste, Taviano, Melissano, Ugento, Matino, Presicce, Galatina. Oltre al mercato nazionale, la produzione pugliese è fortemente orientata all’esportazione verso i Paesi europei, in particolare la Germania

Patata in Puglia

355


paesaggio

(100 = 5430 ha)

6,57%

per la patata precoce e comune. Bari (1400 ha, 37.100 t) e Lecce (2000 ha, 25.000 t) sono le province in cui è maggiormente diffusa la coltivazione della patata precoce, mentre in quelle di Bari e Brindisi la patata comune ha occupato rispettivamente 450 e 380 ha.

8,73%

Tecnica colturale

34,1%

40,5%

Impianto e ciclo di coltivazione In relazione alle favorevoli condizioni climatiche in autunno e inverno, la semina della patata primaticcia ha inizio a metà novembre-primi di dicembre nel Salento e prosegue fino a gennaio-febbraio negli altri ambienti di coltivazione, in relazione alla successione orticola. Per esempio, nell’agro di MonopoliPolignano a Mare la patata succede spesso a scarola, lattuga, cicoria e prezzemolo, raccolti entro dicembre. Modesta è la coltura di secondo raccolto, chiamata comunemente “patata bisestile”, seminata a fine agosto-settembre e raccolta in dicembre. La patata primaticcia si coltiva in terreni tendenzialmente sabbiosi facili a riscaldarsi o di medio impasto, di buona struttura, privi di scheletro grossolano, sufficientemente profondi e dotati di buon drenaggio, in modo da consentire un’idonea disponibilità idrica, evitando condizioni asfittiche e di ristagno. Nel Salento e nel Barese è tipica la coltivazione sulle “terre rosse”, profonde circa 30-50 cm, provenienti dal disfacimento del basamento calcareo del cretaceo, il cui colore è dovuto all’elevata presenza di sesquiossido di ferro. Alcuni mercati, sia nazionali che esteri, apprezzano la presenza di tracce di terra rossa sui tuberi a garanzia della provenienza pugliese del prodotto.

10,1%

(100 = 109.450 t) 12,4%

8,2%

25,7%

45%

8,6%

Superficie coltivata a patata (sopra) e produzione totale di patata in Puglia (sotto) nel 2009, suddivisa tra le diverse province (100 = 3850 ha)

3,9%

36,4%

51,9%

7,8%

(100 = 69.600 t)

4,3%

35,9% 53,3% 6,5%

Superficie coltivata a patata precoce (sopra) e produzione totale di patata precoce (sotto) nel 2009, suddivisa tra le diverse province

Foggia

Taranto

Bari

Lecce

Brindisi

Fonte: ISTAT

Semina manuale di patata

356


patata in Puglia Principali cicli colturali della patata in Puglia Mese Ciclo

G

F

M

A

M

G

L

A

S

O

N

Patata novella, comune, bisestile

D

Precoce

• Nel linguaggio comune si ricorre

Comune

ai termini “novella” e “bisestile” per distinguere i due tipi di produzione extrastagionale diversi rispetto alla patata “comune”. Quest’ultima è raccolta da luglio a ottobre, mentre sono definite “novelle” o “primaticce” le “patate raccolte prima della loro completa maturazione, commercializzate immediatamente subito dopo il raccolto e la cui buccia può essere tolta facilmente mediante strofinamento” (UNECE, 2008). Il termine “precoce”, invece, è impiegato con riferimento al ciclo colturale anticipato rispetto a quello della patata comune. In Puglia la semina ha inizio tra metà novembre e i primi di dicembre e prosegue fino a gennaio-febbraio; la raccolta si effettua da aprile a tutto giugno. La coltivazione di secondo raccolto, chiamata comunemente “patata bisestile”, prevede la semina a fine agosto-settembre e la raccolta da metà novembre a metà gennaio

Bisestile Raccolta

Semina

Particolare cura è posta alle operazioni di semina, con l’intento di un oculato impiego di tubero-seme. La densità media dell’impianto è di 4-6 piante/m2. La quantità di tubero-seme utilizzata per ettaro dipende dalla pezzatura del tubero e dal suo costo. Tuberi-seme di piccola dimensione (diametro 28-35 mm) sono utilizzati interi, mentre quelli di dimensioni maggiori (diametro 45-60 mm e peso medio 70-80 g) sono frazionati in più parti. Il frazionamento (taglio) del tubero-seme è realizzato per ragioni economiche e tecniche. Il taglio è di solito praticato dalle piccole aziende a conduzione familiare, che risparmiano nella spesa dell’impianto, onerosa per l’acquisto del tubero-seme dall’estero, provvedendo con il proprio lavoro alla preparazione del materiale da seminare. Il ciclo colturale, la cui durata è variabile in funzione dell’epoca di semina e dall’andamento climatico, oscilla in genere tra 150 e 110 giorni. Nel caso del terreno troppo asciutto, come nelle semine estive, è consigliabile un’irrigazione prima della preparazione del letto di semina.

Tubero con numerosi germogli Tuberi tagliati pronti per la semina

357


paesaggio Scelta varietale In Puglia, il notevole cambiamento degli scenari commerciali degli ultimi anni, con la forte concorrenza di produzioni precoci provenienti dai Paesi del bacino del Mediterraneo, le esigenze della distribuzione organizzata, le nuove modalità di vendita e le rinnovate richieste del consumatore moderno pongono la necessità di integrare e innovare il panorama varietale regionale. Infatti, oltre alle caratteristiche agronomiche, principalmente precocità ed elevata produttività, assumono attualmente notevole importanza altre caratteristiche dei tuberi quali lavabilità, resistenza alle manipolazioni e al trasporto, conservabilità, resistenza alla cottura, qualità organolettica e nutrizionale dei tuberi. La forma tendenzialmente ovale dei tuberi consente di limitare i danneggiamenti meccanici durante le fasi di lavaggio e confezionamento, a differenza di quella allungata che manifesta i danni sotto forma di maculature e imbrunimenti, interni ed esterni. Nonostante la costante introduzione sul mercato di nuove varietà da parte delle ditte costitutrici, la produzione di patata in Puglia è ancora in gran parte legata a varietà quali Spunta, Nicola e Sieglinde, conosciute già da molto tempo. La Sieglinde, costituita in Germania nel 1935, mediante incrocio di due varietà (Stammi x Juli), fu introdotta in Italia poco dopo la fine del secondo conflitto mondiale e rapidamente si affermò in tutta la regione. È una varietà precoce a pasta gialla, con tuberi allungati, ovali, di pezzatura medio-piccola (diametro 3-4 cm), periderma di un bel giallo, dalle ottime caratteristiche organolettiche con polpa consistente, resistente alla cottura, idonea per tutti gli

Coltivazione in coltura protetta

• In alcuni comuni della fascia ionica

salentina, come Racale, Nardò, Ugento, Melissano, la patata viene coltivata anche in coltura protetta, in serretunnel con copertura di polietilene. La semina viene effettuata nel mese di dicembre; la cultivar utilizzata è la Sieglinde. La tecnica colturale non differisce da quella praticata nella zona per la coltura in pien’aria, mentre la raccolta comincia a partire dalla metà di marzo. In questo modo si ottiene una produzione ancora più precoce, che spunta buoni prezzi sui mercati esteri, soprattutto in Germania

Coltivazione di patata consociata a olivo

Foto A. Giaccari

358


patata in Puglia usi. Purtroppo, a causa delle produzioni areiche non molto elevate, nel tempo in alcune aree è stata sostituita dalla cultivar Spunta, semiprecoce e di elevata produttività, con pasta giallo-chiara, tuberi allungati e di grossa pezzatura, per tutti gli usi. Discreta diffusione ha conseguito la cultivar Nicola, a media maturazione, con tuberi allungati e ovali di grossa pezzatura, a pasta gialla, per tutti gli usi. Per quanto riguarda l’introduzione di varietà più recenti, negli area­li del Barese settentrionale si possono segnalare: Safrane, Matador, Agata e Arinda. Tutte hanno forma ovale-allungata del tubero e presentano pasta soda di colore giallo intenso che le rendono idonee per i diversi usi culinari. Nel Barese meridionale oltre alla Safrane si sta diffondendo la Apolline; entrambe hanno ricevuto apprezzamenti in tutti i mercati del Centro Europa per l’omogeneità dei tuberi. Altre varietà che si stanno affacciando negli ordinamenti produttivi sono Labadia, Bellini e Antea, caratterizzate da ciclo medio precoce e da buone performance produttive e qualitative. Nell’arco ionico salentino sono da segnalare Inova e Annabelle (quest’ultima sensibile alla peronospora), destinate specialmente all’estero, soprattutto ai Paesi tradizionalmente importatori di patate a polpa soda come la Germania.

Patate tipiche di Puglia

• Nell’elenco nazionale dei prodotti

agroalimentari tipici pugliesi, edito dal MiPAF (Decreto n. 8663 del 05/06/2009), che comprende 74 tra prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati, sono inserite: – la Patata novella Sieglinde di Galatina – la Patata di Zapponeta

Patata novella Sieglinde di Galatina

• In commercio già dal 1939, è

caratterizzata da tuberi di forma oblunga, talvolta appuntiti nella parte ombelicale. L’epidermide è liscia, di colore giallo brillante, che nelle “terre rosse” assume color ruggine. La polpa è gialla, rimane soda alla cottura ed è classificata “da insalata”, categoria A

• Il peso dei tuberi ricade per il 65%

tra 50 e 150 g, il 20% è inferiore a 50 g e solo il 15% presenta un peso superiore a 150 g. Per questo motivo la produzione è notevolmente inferiore a quella delle altre cultivar e di solito non supera le 20 t/ha

• La raccolta viene effettuata in aprile-

maggio, a mano o a macchina. I tuberi hanno ottime caratteristiche organolettiche e sono molto apprezzati sul mercato tedesco

• È in corso il riconoscimento della DOP da parte dell’Associazione produttori “Patate di Galatina” con sede nel comune di Alliste

Cultivar di patata

359


paesaggio I risultati dell’ampia sperimentazione, effettuata in Puglia sulla valutazione agronomica e qualitativa di nuove varietà di potenziale introduzione negli ambienti della regione, hanno fornito utili indicazioni per i produttori. Le cultivar Amelie, Antea, Apolline, Chopin, El Paso, Ditta e Krone hanno prodotto più del 90% di tuberi nella classe di pezzatura intermedia (35-70 mm). Questo è un carattere importante per le esigenze proprie del confezionamento. D’altra parte, i tuberi di pezzatura elevata riscontrati in Almera, Alaska, Volumia possono essere interessanti per i mercati del prodotto non confezionato, sia nazionali sia esteri, nei quali al contrario si ricerca un calibro superiore a 55 mm. Esteticamente molto interessanti sono risultate Madeleine, Juwel e Apolline. Il colore della patata è una componente qualitativa che, oltre a caratterizzare le cultivar, rappresenta una variabile che può influenzare le scelte del consumatore. Princess e Marabel sono state le cultivar con pasta di colore giallo più intenso; le stesse, assieme a Juwel, hanno presentato il più alto indice di giallo della buccia. Invece, varietà quali Albane, Virgo e Universa hanno presentato tuberi con periderma e pasta più pallidi. Molto interessanti per la loro lavabilità da media a buona sono risultate Madeleine, Juwel e Apolline. Il contenuto medio di sostanza secca dei tuberi più elevato è stato osservato per le cultivar Chopin ed El Paso, con il 21,3% per 100 g di prodotto fresco. Tra le cultivar con gusto tipico pronunciato, oltre a Sieglinde e Marabel, si segnalano Apolline, Madeleine e Universa, mentre Ditta, Amelie, Krone, El Paso, Chopin e Volumia hanno evidenziato un contenuto di vitamina C superiore a 30 mg/100 g di peso fresco.

Patata di Zapponeta

• La patata di Zapponeta viene prodotta

prevalentemente con le cultivar Elvira, Sieglinde, Spunta e Nicola. I tuberi sono di medie dimensioni, a pasta gialla, con polpa soda e non farinosa

• Tra le operazioni colturali, caratteristica

è l’impagliatura, che consiste nello spargere a mano la paglia sul terreno; questa viene successivamente interrata assieme alla concimazione di fondo e/o alla letamazione. La raccolta viene effettuata in aprile-maggio a mano, estirpando le piante una a una e raccogliendo il prodotto in cassette di plastica

• La produzione commerciabile è di

circa 30 t/ha. Circa il 50% delle patate raccolte viene commercializzato, parte è reimpiegata all’interno dell’azienda e destinata principalmente all’impiego come tubero-seme per la produzione della patata bisestile

Campi di patata a Zapponeta

Foto R. Angelini

360


patata in Puglia Concimazione Le asportazioni medie della coltura per tonnellata di tuberi sono di circa 3-4 kg di N, 1-2 kg di P2O5 e 5-7 kg di K2O; pertanto, per una produzione stimata di 30 t/ha, le asportazioni della coltura sono di circa 100, 50 e 200 kg/ha rispettivamente di N, P2O5 e K2O. Studi condotti in vari ambienti pugliesi e con diverse cultivar hanno evidenziato che apporti compresi tra 100 e 150 kg –1 di N sono sufficienti per raggiungere livelli produttivi soddisfacenti, mentre forma azotata e modalità di distribuzione sembrano avere effetti meno rilevanti sulla produzione. Spesso, nella pratica, la concimazione azotata viene effettuata totalmente in copertura, oppure, più razionalmente, distribuendo 1/3 del concime al piantamento e il rimanente in copertura. Quest’ultima si esegue preferibilmente 60-70 giorni dopo il piantamento, poco prima della rincalzatura e a tuberificazione già avvenuta, in modo da evitare ritardi nella formazione dei tuberi. Per quanto riguarda il contenuto di nitrato nei tuberi, è opportuno precisare che la patata è classificata tra le specie a basso contenuto di nitrato; tuttavia l’elevato consumo pro capite in alcuni Paesi del Nord Europa impone particolare attenzione al quantitativo di questo ione nei tuberi. Irrigazione I fabbisogni idrici della patata sono condizionati dall’andamento delle piogge durante il periodo colturale, di solito soddisfacenti in primavera per una limitata produttività in asciutto. La pratica più diffusa è quella di intervenire con alcune adacquate durante la fase di tuberificazione, per incrementare la produzione. Considerando un apporto di 300-400 m3/ha per adacquata, è da prevedere un fabbisogno complessivo di 1000-1500 m3/ha, ovviamente con

Patate novelle coltivate su terra rossa

Campo in ottime condizioni

361


paesaggio oscillazioni legate alla piovosità. Il regolare apporto idrico, inoltre, è importante per l’uniforme crescita dei tuberi. La somministrazione dell’acqua viene effettuata prevalentemente con il metodo per aspersione a bassa intensità di pioggia, nebulizzando l’acqua sopra la vegetazione con mini-sprinkler. In alternativa si utilizza il metodo a distribuzione localizzata a bassa pressione (metodo “a goccia”); l’acqua nei tubi si trova a pressione molto bassa e fuoriesce attraverso gocciolatori autocompensanti, sistemati lungo la linea.

Sperimentazione

• Una ricerca condotta in provincia di Bari

ha messo a confronto tre livelli di azoto: 100, 200 e 300 kg/ha di N, distribuito in due tempi (50% all’impianto sotto forma di solfato ammonico e 50% in copertura come nitrato di calcio), oltre al testimone non concimato. Il contenuto di nitrati nei tuberi è aumentato linearmente con l’aumento della dose di azoto, mantenendosi comunque a livelli molto bassi, notevolmente inferiori rispetto ai livelli di guardia per l’alimentazione umana. Concentrazioni di NO3 pari a 162 mg/kg di peso fresco sono state osservate solo nei tuberi più piccoli (diametro <40 mm) concimati con la dose più elevata. Tra le cultivar è risultato che in media il contenuto di nitrati era più basso in Sieglinde rispetto a Nicola e Spunta, mentre con l’aumento del diametro dei tuberi è significativamente diminuito in tutte e tre le cultivar

Raccolta L’inizio della raccolta delle patate novelle in Puglia comincia dal mese di marzo, raggiunge il massimo in maggio e si conclude in giugno. La tendenza ad anticipare la raccolta è legata alla domanda del mercato per il prodotto precoce; pur tuttavia, essendo lo strato corticale ancora molto sottile, è necessaria una buona resistenza alla sbucciatura, per evitare fenomeni di annerimento e peggioramento delle caratteristiche qualitative. In questi casi è necessaria la massima attenzione nell’impiego di macchine raccoglitrici, per evitare danni ai tuberi freschi. La tecnica dell’eliminazione della parte aerea della pianta 10-14 giorni prima della raccolta trova sempre maggiore applicazione nel caso della produzione precoce. L’eliminazione della parte aerea può essere eseguita mediante trinciatura meccanica, pirodiserbo o disseccamento chimico. Quest’ultima tecnica prevede il trattamento all’inizio della senescenza della foglie; il suo effetto sulle caratteristiche produttive, merceologiche e qualitative dei tuberi può essere influenzato dalla cultivar nonché dallo stadio fenologico in cui è effettuato e dall’andamento termo-pluviometrico stagionale.

Patate sulle sabbie di Margherita di Savoia

Foto R. Angelini

362


patata in Puglia La raccolta del prodotto precoce è realizzata manualmente dopo scavatura dei tuberi. Le macchine più diffuse sono le scavatriciandanatrici a una o due file, con linea di lavorazione molto corta in modo da effettuare la sola setacciatura del terreno. In tal modo si limita il contatto dei tuberi con le parti meccaniche e il loro danneggiamento, che consiste di solito in danni visibili all’esterno (spaccature, tagli, spellature) o presenti all’interno del tubero stesso (imbrunimenti sottocutanei, derivanti da rottura delle cellule e successiva ossidazione della componente fenolica). Dopo la raccolta, nei magazzini di lavorazione i tuberi sono posti sui nastri trasportatori per provvedere a cernita, spazzolatura, eventuale lavaggio e calibrazione. Vengono così eliminati quelli inverditi, marci, disformi. La calibratura è opportuna per una migliore uniformità del prodotto, considerando pezzature di diametro <35 mm, 35-70 mm, >70 mm. Le patate piccole grenailles sono considerate un prodotto di nicchia per buongustai e consumate con tutta la buccia. I tuberi sono poi confezionati in cassette di legno, cartone o plastica, di varia forma e contenuto, oppure in sacchi di iuta o in sacchetti di rete di plastica. La conservazione viene di solito effettuata al buio in locali freschi e areati o, meglio, in celle frigorifere alla temperatura di 6-7 °C con il 90% di UR. Temperature inferiori a 5 °C hanno l’effetto di produrre un’accumulazione eccessiva di zuccheri solubili, responsabili dell’addolcimento dei tuberi. Durante la conservazione le patate possono essere trattate con prodotti antigermogliamento quando devono essere conservate per lunghi periodi (più di 2-3 mesi con temperature oltre i 6 °C).

Patata novella coltivata su terra rossa

Lavaggio dei tuberi prima del confezionamento

363


paesaggio Qualità dei tuberi La patata novella ha un valore energetico leggermente inferiore rispetto a quella comune (rispettivamente 70 e 85 kcal per 100 g di prodotto fresco), per il minore contenuto di sostanza secca. Inoltre, presenta una migliore digeribilità dell’amido. Pertanto il consumo delle patate precoci potrebbe essere promosso associando all’immagine della “freschezza” il profilo calorico minore rispetto a quello della patata comune. Il contenuto di grassi è trascurabile, mentre il contenuto di proteine è pari al 2%, con buona presenza di aminoacidi essenziali che conferiscono un alto valore nutrizionale. Il tubero contiene circa 20 elementi minerali ed è particolarmente ricco di potassio, magnesio e ferro. Inoltre, la patata contiene vitamina C, che esplica una spiccata attività antiossidante nell’organismo umano. È stato osservato che tale contenuto è più elevato nella patata novella rispetto alla patata comune, e questo potrebbe rappresentare un valore aggiunto per la patata novella, soprattutto per la sua commercializzazione in quei Paesi dove il consumo di patate è molto più elevato di quello italiano. Inoltre, tra le molecole a elevato tenore nutrizionale e salutistico, sono da citare gli acidi fenolici solubili (AFS), con significative proprietà antiossidanti. Certamente sono utili acquisizioni per la valorizzazione della patata precoce come alimento funzionale. La presenza di fattori antinutrizionali, quali i glicoalcaloidi, dipende dalla cultivar, ma soprattutto dalla presenza di tuberi inverditi.

Foto A. Giaccari

Patata in serra a Taviano (LE)

Problematiche attuali e prospettive La costante riduzione della coltivazione della patata novella in Puglia è dovuta alla diminuzione di competitività del prodotto regionale sullo scenario nazionale, europeo e mediterraneo, nonché al calo dei consumi di patate fresche, soprattutto nei Paesi europei a più forte tradizione nell’utilizzo culinario della patata, solo parzialmente compensato dall’incremento del consumo del prodotto industriale. Inoltre, le produzioni precoci subiscono una forte concorrenza, da parte dei Paesi mediterranei (Nord Africa, Cipro, Turchia), a causa del minor prezzo (soprattutto nel caso dell’Egitto) o del più alto livello qualitativo (come nel caso di Israele). Le importazioni di patata precoce dal Nord Africa sono sensibilmente aumentate nell’ultimo decennio, passando dalle 237.000 t del 2000 alle 419.000 t del 2009. Il problema è notevolmente aggravato dall’arrivo di prodotto proveniente dal Nord Europa, che viene offerto sul mercato anche alla fine di maggio dell’anno successivo a quello della raccolta, con standard qualitativi ottimi grazie all’evoluzione delle tecniche di conservazione. Pertanto le nostre patate precoci subiscono una forte competizione in termini di prezzo, quantità e a volte qualità, soprattutto nelle annate di elevate produzioni, divenendo poco interessanti dal punto di vista del prezzo di vendita che l’agricoltore

Coltivazioni in coltura protetta in Salento

364


patata in Puglia recepisce dal mercato. Questa situazione è comune a tutti i Paesi del Sud Europa, dove si assiste alla costante diminuzione della superficie coltivata a patata. Attualmente la vendita delle patate da consumo fresco è ormai fortemente concentrata all’interno del sistema distributivo, passando attraverso la distribuzione organizzata moderna. Le principali catene di distribuzione lavorano in stretta collaborazione con i confezionatori, i produttori e i genetisti per assicurare una precisa programmazione della produzione. Vengono richieste: varietà selezionate per specifiche utilizzazioni; calibratura, confezionamento ed etichettatura; forniture per tutte le tipologie garantite per 12 mesi l’anno; valorizzazione dell’origine del prodotto; tracciabilità completa e informazioni sulla confezione del prodotto; certificazione della produzione secondo specifici capitolati di produzione; controlli di qualità; innovazione di processo e prodotto (prodotti convenience come la IV e V gamma). In questo scenario così organizzato ed esigente si trova a competere la produzione precoce pugliese, caratterizzata da notevole polverizzazione aziendale e fortemente carente nel settore della commercializzazione, priva com’è dei moderni sistemi organizzati per la vendita, la distribuzione e la valorizzazione del prodotto. Pertanto i grandi gruppi di acquisto preferiscono definire i programmi di coltivazione nei Paesi dove è possibile organizzare la produzione e la vendita con pochi soggetti in grado di assicurare una qualità standardizzata. Superare queste carenze strutturali, manageriali e organizzative sarà la strada obbligata da percorrere per il rilancio della patata pugliese. Le ottime caratteristiche organolettiche della patata novella e alcune significative valutazioni salutistiche possono contribuire a una migliore presentazione del prodotto pugliese.

Patate novelle di Puglia confezionate in sacchetti per la GDO

Patata in Puglia

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la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata nel Lazio Bruno Cirica

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


paesaggio Patata nel Lazio Premessa La coltivazione della patata nel Lazio ha origini antiche, tanto che, sin dall’introduzione della specie in Italia e prima dello sviluppo industriale, per gran parte della popolazione rurale essa ha rappresentato un’importante base dell’alimentazione, insieme ai legumi (fagioli, ceci, lenticchie ecc.). La maggiore diffusione della pataticoltura si è verificata nelle aree di collina e di montagna, di solito su piccole superfici, più adatte a questa coltivazione; talvolta si è affermata anche su aree di maggiore estensione, allorché, in tempi più recenti, il mercato ha cominciato a influenzare marcatamente le scelte degli agricoltori sovvertendo un millenario ordine di produzione destinato all’autoconsumo. Il paesaggio, anche nelle zone dove la diffusione è stata più significativa, ha risentito poco o affatto di questa coltivazione, il cui impatto ambientale è stato minimo, se paragonato a quello delle colture arboree o delle colture industriali. Talvolta, però, anche la patata, a causa della “fame di terra fertile” da coltivare, ha contribuito ad alimentare la deforestazione e la messa a coltura di aree naturali. Il paesaggio ha ovviamente subito ripercussioni, ma questa è la storia dell’uomo che, anche in Italia e nel Lazio, non ammette eccezioni; il paesaggio agrario è stato creato dalle azioni della “specie umana” ed è il frutto della storia dell’uomo e delle sue attività.

Paesaggio agrario: frutto dell’opera dell’uomo, quando conserva gli elementi distintivi dell’ambiente, ne narra la storia millenaria

Ambiente laziale Il Lazio ha una superficie di oltre 1.700.000 ha, di cui solo il 20% è costituito da pianure. Su queste – fatta eccezione per le aree

Coltivazione di patate ben inserita nell’ambiente circostante

366


patata nel Lazio paludose, bonificate in anni recenti – da tempo immemorabile si è verificata la maggiore pressione antropica, e l’ambiente è stato pertanto maggiormente modificato. La restante superficie è costituita da montagne e colline, con una grande variabilità nell’origine geologica, nell’orografia, nel clima, nella vegetazione e nel tipo di agricoltura e di insediamenti umani. Uno degli aspetti più interessanti della morfologia laziale è rappresentato dalla presenza di una vasta area collinare di origine vulcanica, in netto contrasto con l’aspra morfologia e la natura calcarea appenninica dei monti Reatini, Simbruini, Ernici, Lepini, Ausoni, Aurunci, della Laga e della Meta. L’area collinare, generalmente fertile e ridente, è costituita da quattro distretti: quello dei monti Volsini, con il lago di Bolsena, quello dei monti Cimini, con il lago di Vico, quello dei monti Sabatini, con il lago di Bracciano e, a sud della valle del Tevere, quello dei Colli Albani (detto anche “Vulcano laziale”), che racchiude i laghi di Albano e Nemi. I rilievi maggiori dei distretti rappresentano le orlature di vulcani ormai spenti, dove il collasso degli edifici vulcanici per svuotamento delle camere magmatiche ha generato spesso dei laghi, con sensibili influenze non solo sul paesaggio, ma anche sul microclima e sulla diffusione delle coltivazioni. È, questa, una singolare varietà di ambienti che permette di passare, in poche ore di percorso, dalle vette di alta montagna, dove sono presenti una flora e una fauna simili a quelle dell’estremo Nord europeo, agli oltre 300 km di coste basse e sabbiose oppure alte e rocciose del Mediterraneo, con flora e fauna di tipo molto diverso e variegato. Proprio la grande variabilità degli habitat, unitamente a uno sviluppo del territorio agro-silvo-pastorale che

La conca pianeggiante e intensamente coltivata del lago di Vico, circondata da verdi boschi, rappresenta il tipico paesaggio di origine vulcanica delle colline laziali

Il Tevere è il maggiore fiume del Lazio e ne caratterizza il paesaggio per una vasta area

Tipico paesaggio del Lazio: la pianura in primo piano, le colline e gli Appennini sullo sfondo

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paesaggio possiamo definire “sostenibile”, ha prodotto un’esplosione della biodiversità, tanto che circa il 50% delle specie presenti in Italia è rinvenibile nel Lazio. Le pianure della regione sono essenzialmente quelle costiere, con l’unica eccezione della depressione percorsa dai fiumi Sacco-Liri; nella zona settentrionale la pianura si fonde con la Maremma toscana, con la quale ha costituito e costituisce un unico ambiente. La zona di Roma comprende l’Agro Romano, che prosegue verso meridione con l’Agro Pontino, ricoperto da paludi fino alla grande bonifica idraulico-agraria degli anni 1930-1940. Il Tevere è il maggiore fiume della regione, con i propri affluenti principali, che sono il Paglia e il Treia dalla parte destra, il Nera e l’Aniene dalla parte sinistra. Nella zona settentrionale del territorio regionale scorrono il Marta, il Fiora e l’Arrone, che si gettano nel Tirreno dopo un percorso relativamente breve. Più a sud si trovano il Sacco e il Liri-Garigliano. Il clima del Lazio è variabile da zona a zona, molto più di quanto si pensi solitamente, proprio per l’estrema variabilità dell’altitudine, dell’esposizione al sole e della distanza dal mare, oltre che per la presenza di catene montuose che corrono quasi parallele al litorale. In generale si ha un clima tipicamente marittimo nella fascia costiera; temperato fresco con inverni rigidi nella zona collinare interna e lungo le vallate dei fiumi maggiori; e di tipo continentale, con forti escursioni termiche e piovosità elevata, nelle aree subappenniniche e appenniniche. Sono presenti, inoltre, numerosi microclimi, con peculiarità diverse a seconda delle zone, che hanno condizionato nei secoli lo sviluppo della vegetazione, e l’attività agricola in particolare.

L’Agro Pontino prima della bonifica: il Giardino di Ninfa sommerso dalla palude

La “Maremma laziale” nei pressi della città di Tarquinia

Pianura litoranea dell’Agro Pontino sottratta alle acque con la grande bonifica agraria

368


patata nel Lazio Agricoltura e pataticoltura del Lazio L’agricoltura, che insieme alla pastorizia è stata nei secoli passati l’attività trainante dell’economia laziale, riveste oggi in termini economici un ruolo piuttosto modesto, contribuendo al Pil della regione solo per l’1,6%. Inoltre, soprattutto per la presenza della città di Roma, che è allo stesso tempo capitale e città più popolosa d’Italia, si verifica inevitabilmente un forte squilibrio territoriale nel reddito prodotto, tanto che ben il 70% del reddito regionale proviene dalla sola metropoli romana. Altra particolarità del Lazio è che oltre tre quarti di questo reddito derivano da attività del terziario, un dato che supera la media nazionale, attestata sul 67%. La superficie agricola utilizzata (SAU), pari a circa 674.000 ha, è il 39,1% del territorio regionale e rappresenta poco meno del 10% della SAU nazionale. Per quanto attiene le coltivazioni praticate, circa l’84% della SAU è occupato solo da quattro gruppi di colture (foraggere permanenti; erbai e prati avvicendati; cereali; olivo). Abbastanza limitate sono le altre coltivazioni, salvo aree specifiche come i Colli Albani, l’Agro Pontino, la Piana di Fondi e poche altre. Le ragioni della scarsa vocazione agricola del Lazio devono essere in primo luogo ricercate nelle vicende storiche, a partire dalla caduta dell’impero romano, per passare attraverso le bonifiche dell’Agro Pontino e della Maremma, e quindi alla riforma fondiaria, con la sostituzione del latifondo con piccoli appezzamenti a conduzione diretta a partire dagli anni Cinquanta. Negli ultimi vent’anni la superficie coltivata è diminuita in modo rilevante, si è intensificata la coltivazione delle aree di pianura e si

Produzione di patate nel Lazio

• Con poco più di 65.000 t annue il Lazio si colloca al sesto posto tra le regioni italiane per quantitativo di patate prodotte

• In provincia di Viterbo, tra il lago di

Bolsena, l’Umbria e la Toscana (alto Viterbese), si concentra oltre il 70% di questa produzione, in termini sia di superficie investita sia di quantitativi di patate raccolte. Si tratta soprattutto di patate da consumo fresco, molto conosciute a livello nazionale e apprezzate per l’alto standard qualitativo

Le due principali zone del Lazio vocate a pataticoltura: quella di Grotte di Castro e quella di Leonessa

Nelle colline interne del Lazio i cereali sono tra le coltivazioni principali

Grotte di Castro Leonessa Viterbo

Rieti

Roma Frosinone I Castelli Romani, con il lago di Albano, rappresentano un tipico paesaggio laziale a intensa urbanizzazione

Latina

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paesaggio è verificato un disastroso abbandono delle zone collinari e montane, con riflessi negativi anche per la conservazione dell’ambiente. La coltivazione della patata, con poco meno di 3000 ha investiti, interessa appena lo 0,2% del territorio agrario della regione. Di questa superficie a patate oltre il 75% è ubicato in provincia di Viterbo, in un’area conosciuta come alto Viterbese; “alto” per la sua posizione geografica, a nord di Viterbo, e “alto” per la quota sul livello del mare (400-600 m). Il territorio viene spesso indicato anche come alta Tuscia, a significare una vasta regione, comprendente l’attuale provincia di Viterbo, una parte della Toscana e dell’Umbria, dove si era insediato e aveva prosperato il popolo etrusco. Si tratta dell’unica pataticoltura rilevante del Lazio, in termini sia quantitativi sia qualitativi, e tale da competere a livello nazionale con altre realtà dove la coltura della patata riveste un ruolo preminente. Altra zona, assai esigua in termini produttivi, ma importante per storia, tradizione e cultura è quella di Leonessa, nel Reatino. C’è, infine, una sorta di pataticoltura sparsa su tutto il territorio regionale, con poche eccezioni, ma anche questa molto limitata dal punto di vista quantitativo.

Lago di Bolsena

• I pescatori lo definiscono “il lago

che si beve” per la purezza delle sue acque. Con 114 km2 di estensione, 43 km di perimetro, 151 m di profondità massima e 272 km2 di bacino imbrifero, è il lago vulcanico più grande d’Europa

• Il lago di Bolsena ha marcatamente

influenzato la coltivazione della patata sia per l’azione mitigatrice sul clima, sia per l’acqua irrigua che fornisce agli agricoltori del comprensorio

Alto Viterbese È uno spicchio di territorio a nord della provincia di Viterbo, compreso tra il lago di Bolsena, la Toscana e l’Umbria, dove per una serie di circostanze si è affermata e consolidata la pataticoltura più significativa del Lazio, tanto che in una zona così esigua (poco più di 2000 ha di SAU) si concentrano oltre tre quarti della

Tipico ambiente di coltivazione della patata dell’alto Viterbese: terreni di origine vulcanica

Nell’alto Viterbese, tra il lago di Bolsena, la Toscana e l’Umbria, si concentra il 70% della produzione di patate del Lazio

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patata nel Lazio produzione regionale (più di 45.000 t). Al centro di questo comprensorio sorge Grotte di Castro, cittadina alto-medievale, e di nobili origini etrusche, da cui si domina il paesaggio mozzafiato della conca del lago, attraversata dalla via Francigena. Grotte di Castro può veramente essere definita “la città della patata”. Un territorio particolarmente adatto alla coltura, con terreni di origine vulcanica e microclima favorevole, un’imponente massa d’acqua per garantire l’irrigazione, agricoltori appassionati e con un’innata vocazione alla cooperazione: sono queste le chiavi di volta del successo della pataticoltura in quest’area. Sebbene le dimensioni aziendali siano modeste, attraverso la creazione di cooperative prima, e di un consorzio di cooperative poi (il Consorzio Cooperativo Ortofrutticolo Alto Viterbese, CCORAV), è stata raggiunta quella massa critica di prodotto che ha permesso di realizzare moderne strutture di stoccaggio e lavorazione, e di “fare mercato”, potendo disporre di quantitativi significativi di patata da consumo fresco di qualità controllata e certificata. Tutto nasce negli anni Sessanta, quando la principale coltura della zona, oltre ai cereali, era la fragola, mentre la patata era coltivata quasi esclusivamente per l’autoconsumo dalle famiglie degli agricoltori. Per una serie di motivi la fragola tradisce le aspettative e si scopre invece che la patata non solo “cresce molto bene”, ma può dare un reddito interessante. Inizia così la sua coltivazione su vasta scala, e comincia a imporsi la fama della patata di Grotte, che in breve diventerà, a livello nazionale, la patata di Viterbo. Le cooperative – alcune già attive, altre fondate in seguito – estendono la loro attività sul territorio dei comuni circostanti (San Lorenzo Nuovo, Gradoli, Latera, Onano, Bolsena e Acqua-

Grotte di Castro

• La cittadina etrusca di Grotte di Castro

sorge su di uno sperone tufaceo dal quale domina il lago di Bolsena. Il suo territorio e l’operosità dei suoi agricoltori hanno consentito lo sviluppo di un’attività agricola fiorente che si basa essenzialmente sulla pataticoltura

• Tutti gli anni, nel periodo di Ferragosto, vi si celebra la sagra della patata, con degustazione di piatti tipici della tradizione paesana

Grotte di Castro: il centro della provincia di Viterbo può a buon diritto essere definito “città della patata” Terreno pronto per la semina a Grotte di Castro

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paesaggio pendente). Si scopre sempre di più che “insieme è meglio”, che si può “fare” il mercato e non subirlo, che si può costituirsi in sistema. Per far funzionare questo meccanismo occorre però essere all’avanguardia. Si costruiscono allora i centri di stoccaggio con frigoconservazione, ci si munisce dei macchinari più moderni per la lavorazione e il confezionamento, ci si confronta con la distribuzione, con la quale, spesso ma non sempre, si lavora in sinergia. Si opera su due direttrici, la qualità del prodotto e la filiera. Ma ciò non è ancora sufficiente: occorre informare e dimostrare agli acquirenti che la patata della zona non solo è buona, ma è anche sana. Si comincia a operare in modo più razionale adottando un disciplinare di produzione integrata, tra i primi in Italia. Si perfeziona lo stoccaggio, la conservazione, la lavorazione, il packaging; si tracciano le strategie di mercato e si stringono accordi con la grande distribuzione organizzata, ma senza trascurare i clienti storici, anche se piccoli. Si effettuano controlli fisico-chimici e microbiologici sulle coltivazioni e sui raccolti per mettere il consumatore al riparo dalla presenza di contaminanti; insomma, si garantisce il prodotto dai possibili inquinanti. Viene curato con attenzione il panorama varietale con una scrupolosa opera di sperimentazione, a cui partecipano anche le istituzioni, in particolare la facoltà di Agraria dell’università della Tuscia di Viterbo. Monalisa, Agata, Vivaldi e Ambra sono le varietà che in questo territorio maggiormente si esprimono in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi. Monalisa è anche

Monalisa

• La varietà Monalisa è una patata da

consumo fresco, a pasta gialla, adatta a tutti gli usi culinari

• Nell’alto Viterbese Monalisa ha trovato condizioni ideali di clima e di terreno: è infatti la varietà più diffusa nella zona e quella su cui si punta per la tipicizzazione ulteriore del prodottopatata legato al territorio

Il moderno stabilimento di lavorazione delle patate del CCORAV di Grotte di Castro

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patata nel Lazio la decana delle varietà, quella che può vantare il requisito della “storicità” e sulla quale si punta per l’ottenimento della DOP in tempi brevi. La patata dell’alto Viterbese diventa così uno dei prodotti agroalimentari tipici del Lazio, ed è inserita nell’elenco dei prodotti tradizionali ai sensi del Decreto Legislativo n. 173/1998 e del Decreto Ministeriale n. 359/1999. Per la denominazione “Patata dell’Alto Viterbese” è attualmente in avanzato itinere il riconoscimento dell’IGP. Da qualche anno la stessa produzione è tutelata anche dal marchio “Tuscia Viterbese”, etichetta collettiva della Camera di Commercio di Viterbo, con il nome di “Patata dell’Alto Lazio”. Oltre che dalla sagra della patata di Grotte di Castro, la produzione locale è valorizzata e pubblicizzata anche dalla sagra degli gnocchi, che si tiene nel vicino centro di San Lorenzo Nuovo nel periodo ferragostano, quando più rilevante è la presenza turistica intorno al lago di Bolsena.

Patata dell’Alto Viterbese

• La zona dell’alto Viterbese è vocata a

una produzione di patate da consumo fresco, che coinvolge il territorio di Grotte di Castro e dei comuni circostanti a nord del lago di Bolsena

• La patata ivi prodotta è inclusa

nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani, oggetto di tutela con il marchio “Tuscia Qualità” e la denominazione di “Patata dell’Alto Lazio”

• È ottenuta con tecniche di produzione integrate da un paniere ristretto di varietà, tra cui primeggia Monalisa; viene festeggiata nel periodo di Ferragosto con una delle più antiche sagre della patata

Zona di Leonessa Nel territorio di Leonessa, dove viene ancora oggi praticata un’attività agricola a basso impatto ambientale, esiste la radicata tradizione della coltivazione della patata, che è in grado di alimentare anche un interessante flusso turistico. Il comune di Leonessa fa parte della provincia di Rieti e conta meno di 3000 abitanti. La cittadina è immersa in un paesaggio magnifico al confine con le terre umbre e marchigiane, alle pen-

• Parametri caratterizzanti:

– parte edibile: non inferiore al 97% – umidità: compresa tra il 79 e l’84% – ceneri: minimo 6% della parte edibile – amido: minimo 10 g ogni 100 g di parte edibile – vitamina C: minimo 13 mg per 100 g di parte edibile – potassio: tra 320 e 420 mg per 100 g di parte edibile – ferro: tra 0,80 e 1,10 mg per 100 g di parte edibile – calcio: tra 5,30 e 6,50 mg per 100 g di parte edibile

Altopiano di Leonessa: è la zona di produzione della patata tipica di Leonessa

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paesaggio dici del Terminillo, e ha una superficie di circa 205 km2, di cui una parte si presta molto bene alla pataticoltura. Nel suo territorio sono coltivate, purtroppo sempre meno frequentemente, alcune vecchie varietà di patata, che in questo ambiente hanno trovato l’habitat ideale, come la Tonda di Berlino, la Spunta, la Marfona, la Majestic e la Désirée. L’area potrebbe anche essere sfruttata per l’ottenimento di tuberi-seme, ma questa opportunità non è ancora stata colta appieno, né ha avuto concrete realizzazioni. La produzione ottenuta, dell’ordine di qualche migliaio di quintali, viene utilizzata soprattutto per la preparazione degli gnocchi e della ciambella di patate, un dolce molto popolare nella zona. Per la festa di San Matteo, la seconda domenica di ottobre, si svolge la consueta sagra della patata di Leonessa, nel corso della quale vengono preparati piatti caldi a base di questo ingrediente. Le portate tipiche della sagra sono gli gnocchi conditi con fettine di tartufo o con sugo di carne di pecora, e una pietanza tradizionale chiamata la patata rescallata.

Leonessa

• Cittadina del Reatino, Leonessa sorge

su un altopiano appenninico a quasi 1000 m s.l.m., sul confine tra l’Umbria e l’Abruzzo, ai piedi del massiccio del Terminillo (2216 m)

• L’altopiano, con terreni di natura in

prevalenza alluvionale, è tagliato in due dal fiume Tascino-Corno e, nonostante il clima piuttosto rigido, è adatto alla coltivazione della patata

• Negli anni l’area destinata a

pataticoltura si è sensibilmente ridotta. Tuttavia le caratteristiche di pregio della sua produzione si sono conservate, tanto che la patata di Leonessa è stata inserita nell’elenco delle produzioni tradizionali e tipiche del Lazio

Resto del territorio laziale Circa 10.000 t di patate vengono annualmente prodotte nel resto del territorio del Lazio, con oscillazioni annue legate a fatti contingenti, ma soprattutto alla domanda di prodotto proveniente dalle aziende commerciali che ritirano i tuberi e poi li lavorano. Si tratta prevalentemente di patate da consumo fresco, anche se, soprattutto in provincia di Latina, sta emergendo una significativa

Città di Leonessa

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patata nel Lazio produzione di patate primaticcie (circa 2000 t) di buona qualità e con prospettive interessanti di sviluppo. La provincia di Roma, con almeno 8000 t di patata comune e la metà di primaticcia, si attesta al secondo posto tra le province del Lazio ma non riesce a organizzarsi in modo tale da concentrare significativi volumi di offerta, né a dotarsi di adeguate strutture di stoccaggio, conservazione e lavorazione, a differenza di quanto si è fatto nell’alto Viterbese. In provincia di Frosinone la pataticoltura, con 5000-6000 t annue, è improntata al consumo familiare, anche se esiste un’industria di trasformazione che si approvvigiona della materia prima in altre regioni, e sussisterebbero le condizioni per incrementare la coltivazione.

Foto R. Angelini

Conclusioni Nel Lazio la patata è diffusamente coltivata su tutto il territorio regionale ma, salvo in provincia di Viterbo, si tratta di coltivazioni limitate e talvolta destinate al solo uso familiare. In termini di quantità, la pataticoltura laziale vale il sesto posto nella classifica delle regioni per quantitativo prodotto, quasi esclusivamente nel settore della patata da consumo fresco. Nell’alto Viterbese, tra il lago di Bolsena, l’Umbria e la Toscana, si concentra il 70% della produzione regionale, che ha toccato punte di eccellenza sotto l’aspetto qualitativo e di tipicità con il nome di “Patata dall’Alto Viterbese”. Altra produzione tipica del Lazio è la patata di Leonessa, molto apprezzata, ma poco rilevante dal punto di vista quantitativo. Foto R. Angelini

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la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata in Abruzzo Domenico D’Ascenzo, Battista Bianchi

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paesaggio Patata in Abruzzo Foto R. Angelini

Introduzione Nel territorio regionale la coltivazione della patata interessa circa 4500 ha, con una produzione media di oltre 1.500.000 q, e pone l’Abruzzo al quinto posto in Italia con circa il 10% della produzione. La quasi totalità di essa ricade nella provincia dell’Aquila (84% del totale regionale), con circa 4000 ha; seguono le province di Chieti con circa 250 ha, Pescara con circa 100 ha (la cui produzione è quasi interamente costituita da patata primaticcia) e Teramo, con poco più di 100 ha. La coltivazione è operata su piccole superfici aziendali (0,2 ha) e con una ridottissima meccanizzazione. In provincia dell’Aquila, invece, essa è concentrata nell’altopiano del Fucino, dove le superfici medie aziendali sono decisamente superiori (circa 5 ha) e la coltura è completamente meccanizzata. Storia La presenza di questa coltura in Abruzzo è testimoniata da due scritti del 1789. Il primo, Nel regno di Napoli. Viaggio attraverso varie province nel 1789 di Carlo Ulisse De Salis Marschlins, indica che in prossimità del lago di Celano “si coltiva non solo ogni sorta di grano, ma, con mia grande sorpresa, parecchi acri di terreno coltivati a patate”; il secondo è di Gianfrancesco Nardi, che nei Saggi su l’agricoltura, arti e commercio della provincia di Teramo dà notizia di questa coltivazione nelle falde orientali del Gran Sasso, in provincia di Teramo. Dell’importanza della pataticoltura in provincia dell’Aquila e, più ancora, in tutto il Mezzogiorno d’Italia, nonché degli sforzi profusi Il Fucino, altopiano di circa 13.000 ha

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patata in Abruzzo dalle autorità per promuovere la coltivazione della patata, è data testimonianza nelle Istruzioni per la coltivazione delle patate, testo pubblicato dalla Reale società economica dell’Aquila nel 1817, nella cui prefazione il presidente del sodalizio, L. Benedetti, indica che Ferdinando IV “nulla omise, e tutti ricercò i mezzi, perché questa pianta straniera tanto utile, si rendesse tra noi familiare”. Ma è senz’altro dopo il 1873, anno del completo prosciugamento del lago del Fucino (iniziato nel 1852) per opera dei principi Torlonia, e soprattutto dopo la riforma fondiaria degli anni Cinquanta realizzata dall’Ente Fucino, che si sviluppò in tutta quest’area una fiorente agricoltura incentrata sulla patata come coltivazione di eccellenza. Clima e ambiente In questa parte dell’Abruzzo, un altopiano di 13.000 ha a circa 700 m s.l.m. – caratterizzato da un clima che assume tipiche caratteristiche continentali, con inverni rigidi e piovosi, ed estati calde e afose; temperature massime (fine luglio-prima decade di agosto) al di sopra dei 30 °C e minime (gennaio-febbraio) tra –5 e –10; piovosità superiore ai 700 mm annui –, la patata primeggia tra le orticole e si può affermare che sia un prodotto presente in tutte le aziende agricole, che negli anni hanno acquisito una consolidata esperienza nella sua coltivazione. Quello abruzzese è un territorio che presenta una naturale vocazione per la pataticoltura, per le caratteristiche pedoclimatiche, i terreni freschi, sciolti e ricchi di sostanza organica, dotati di elevata capacità idrica in virtù della risalita capillare della sottostante falda freatica, e con possibilità di irrigazione grazie ai canali di

Campo di patate in piena fioritura

Fase fenologica di piena fioritura

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paesaggio bonifica. Queste condizioni consentono di ottenere un prodotto di qualità eccellente con produzioni elevate, che superano i 400 q/ ha (con punte, non infrequenti, di 600 q/ha), mediante un processo completamente meccanizzato in tutte le fasi. Il periodo di coltivazione è tipicamente estivo: la semina, infatti, si effettua a partire da fine marzo fino a tutto il mese di aprile; nelle primavere piovose può protrarsi anche sino a metà maggio. La raccolta inizia ai primi di agosto, con le varietà a ciclo breve, o precoci, e prosegue con le varietà a ciclo medio e tardivo, per terminare a fine settembre-inizi ottobre. Scelta varietale e tecniche colturali Per una buona riuscita della coltivazione è fondamentale la scelta varietale e in questo senso un ruolo importante è svolto dalle associazioni dei produttori: queste, in fase di programmazione della campagna, orientano le aziende verso scelte funzionali alle caratteristiche dei terreni e alle esigenze commerciali delle stesse, nella consapevolezza che oggi la patata, nel banco dell’ortofrutta, non è più la cenerentola messa in disparte, bensì viene posta in evidenza, presentata in una veste nuova, lavata, ben calibrata, ospitata in confezioni policromatiche in relazione alla tipologia e alla destinazione d’uso, etichettata e tracciata in ogni sua fase. Circa il 60-70% della produzione è destinato al mercato fresco, mentre il rimanente 30-40% è indirizzato alla trasformazione industriale per la produzione di sticks, chips, surgelati ecc. Nel primo caso le varietà più coltivate sono: Agata (70%), Cicero e Caesar (20%), Marabel, Vivaldi, Laura, Frisia, Sirco, Mozart, Asterix, Universa (10%); nel secondo caso, invece, Agria (la varietà più col-

Varietà di patate a fiori rossi

Tipico canale superficiale per adduzione di acqua di irrigazione

Foto R. Angelini

Patata della varietà Agata. Tipica varietà per il mercato fresco

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patata in Abruzzo tivata in assoluto, con il 65-70%), Fontane (25-30%), Innovator, Hermes (5%). Per la semina viene generalmente impiegato seme certificato di provenienza olandese (circa l’80%) di classe A, e la quantità utilizzata oscilla dai 20-22 q/ha per tuberi di calibro medio (35-50 mm) ai 14-15 q/ha per calibri inferiori (28-35 mm). Il sesto di impianto adottato è di 70 cm tra le file e di 24-30 cm lungo la fila, con un investimento di 4,5-5,5 tuberi per m2, che sviluppano tra i 15 e i 17 germogli per m2. Le aziende specializzate in produzioni destinate al mercato fresco adottano spesso sesti di impianto più ampi tra le file (75-80 cm) allo scopo di ottenere una migliore qualità del prodotto (uniformità dei tuberi, assenza di tuberi inverditi, minori danni meccanici dovuti a passaggio e calpestio delle trattrici, riduzione delle infezioni crittogamiche per il migliore arieggiamento dell’apparato fogliare). Per alcune varietà tardive viene effettuata la pratica della pre-germogliazione del seme, in appositi contenitori in legno o plastica, al fine di interromperne la dormienza, consentendo così un anticipo del ciclo produttivo di 10-15 giorni. Se la rotazione colturale è sempre una pratica agronomica importante, nel Fucino essa assume carattere di indispensabilità. Infatti, questa è stata tra le prime aree in Italia, già dagli anni Settanta, nelle quali si è sviluppato il nematode dorato o cistiforme della patata, Heterodera (= Globodera) rostochiensis, proprio a causa del mancato rispetto della rotazione. È appena il caso di ricordare che tali nematodi causano danni gravissimi alla produzione per lo scarso numero di tuberi prodotti e per la loro ridotta pezzatura. Peraltro, la loro diffusa presenza ha vanificato l’attività dei

Varietà Agria. È la più coltivata varietà da industria

Foto R. Angelini

Varie colorazioni della polpa: anch’esse sono elementi identificativi delle varietà

Varietà coltivate nel Fucino a confronto: sono differenti per forma e colore Coltivazione nel Fucino

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paesaggio CE.MO.PA. (Centri di Moltiplicazione delle Patate da seme), i quali, fino agli anni Ottanta, consentivano di ottenere una qualificata produzione di patate da seme certificate, destinate soprattutto al mercato dell’Italia meridionale (Campania), costituendo inoltre un’interessante opportunità per molti produttori. Oggi la patata viene obbligatoriamente coltivata in rotazione quadriennale, e ciò ha portato a un risanamento quasi completo dei terreni. Per orientare opportunamente gli agricoltori verso una razionale tecnica di concimazione è attivo, ormai da qualche decennio, un laboratorio chimico-fisico afferente all’Agenzia di sviluppo agricolo, che provvede a effettuare apposite analisi dei terreni e a sviluppare piani di concimazione. In generale è dedicata molta attenzione alle somministrazioni azotate, al fine di evitarne usi eccessi o tardivi, particolarmente in alcune varietà destinate alla trasformazione industriale (come per esempio Agria), che possono causare un allungamento del ciclo vegetativo con ritardo della maturazione, presenza di zuccheri riduttori e basso tenore di residuo secco e, conseguentemente, un sensibile deprezzamento del prodotto (in alcuni casi questi effetti negativi possono persino rendere il tubero inidoneo all’utilizzazione). Si sottolinea, inoltre, che ad aumentare la già elevata fertilità dei terreni del Fucino concorrono anche gli abbondanti residui vegetali degli ortaggi (insalate, finocchi, carote, radicchi ecc.), i quali, lasciati in campo al momento della raccolta, vengono interrati attraverso le fresature, incrementando così la frazione organica. Il sistema di irrigazione è in prevalenza per aspersione, e la microirrigazione solo di recente è entrata a far parte della tecnica irrigua. Vengono effettuati mediamente dai tre ai cinque interventi irrigui.

Foto R. Angelini

Emergenza delle patate in Fucino

Macchina seminatrice trainata trisolco

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patata in Abruzzo Riguardo alle avversità parassitarie, le tecniche agronomiche adottate e le caratteristiche climatiche della zona, segnatamente le rugiade che spesso assumono il carattere di vere microprecipitazioni, determinano condizioni favorevoli allo sviluppo delle crittogame, in particolare la peronospora, Phitophthora infestans, la patologia che per diffusione e intensità di attacco più preoccupa gli agricoltori, e nei confronti della quale viene condotto un serrato programma di difesa. Le strategie più comunemente adottate contro questa avversità prevedono l’integrazione di interventi agronomici e chimici. I primi riguardano l’impiego di tuberi sani, opportune rotazioni colturali, concimazioni equilibrate e la distruzione dei residui colturali e dei ricacci, fonte principale delle infezioni primarie. I secondi, invece, prevedono l’esecuzione di uno o due interventi con principi attivi di copertura nelle prime fasi di sviluppo della coltura, generalmente a partire dalla rincalzatura o quando gli steli raggiungono un’altezza di circa 20 cm, seguiti da due interventi con formulati ad azione endoterapica a cavallo della fioritura, e successivo ritorno a prodotti di contatto al termine dello sviluppo vegetativo, fino all’inizio della senescenza delle piante. Pure diffuse, soprattutto in annate con temperature superiori ai 25 °C, risultano le infezioni di alternaria, Alternaria porri f.sp. solani, con repentini disseccamenti della parte aerea delle piante. Più sporadicamente, e in associazione a particolari condizioni climatiche e ad alcune varietà, si verificano infezioni di rizoctonia (Rizoctonia solani), fusariosi (Fusarium spp.), gamba nera (Erwinia carotovora) e scabbia, sia argentea (Helmintosporium solani) sia polverulenta (Spongospora subterranea).

Rotolone con irrigatore unico

Irrigazione per aspersione per mezzo di “ala piovana”

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paesaggio Tra i parassiti animali, invece, oltre alla nota e facilmente controllata dorifora, Leptinotarsa decemlineata, e a sporadici attacchi di elateridi (Agriotes spp.) e nottue (Agrotis spp.), da alcuni anni appare stabilmente insediata la tignola, Phthorimea operculella, con danni sui tuberi soprattutto durante la fase di conservazione in magazzino. Sono in corso studi per approfondire il comportamento del gelechide, anche al fine di individuare adeguate strategie di controllo chimiche e agronomiche. Per la distribuzione degli agrofarmaci vengono utilizzate macchine irroratrici tecnologicamente avanzate, sottoposte periodicamente a taratura, spesso fornite di “manica d’aria” per una più efficace e completa distribuzione sull’apparato fogliare. Riguardo alla scelta dei principi attivi gli operatori aderenti ad associazioni di produttori o consorzi di valorizzazione adottano i disciplinari di produzione integrata predisposti dalla Regione Abruzzo, attraverso il Servizio fitosanitario regionale. Inoltre, in tutto l’areale di coltivazione è attivo un adeguato servizio di assistenza tecnica, pubblica e privata, che orienta i pataticoltori verso produzioni di qualità, nel rispetto dell’ambiente e del consumatore. La raccolta è un’operazione ormai da tempo completamente meccanizzata, effettuata attraverso macchine scavaraccoglitrici monofila o bifila, trainate o semoventi. Negli ultimi anni si è assistito a un rinnovo del parco macchine, preferendo quelle di nuova tecnologia che consentono di non arrecare danni meccanici (ammaccature e lesioni) ai tuberi.

Scavapatata bifila

Commercializzazione e organizzazione sul territorio Subito dopo la scavatura, il prodotto viene conferito nei magazzini delle organizzazioni dei produttori, delle cooperative o dei singoli

Trattamento antiparassitario. La taratura della macchina condiziona l’esito dell’intervento

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patata in Abruzzo operatori commerciali. Circa il 30% della produzione è venduto, allo stato grezzo, al momento della raccolta a imprenditori di altre regioni. La Patata del Fucino è senz’altro molto conosciuta e apprezzata da tutti i mercati per le sue caratteristiche organolettiche, per la sapidità e per la lunga conservabilità, caratteristiche, queste, conferite dal particolare ambiente di coltivazione e dalla sinergia tra terreno, microclima e acqua: suddette qualità hanno permesso di richiedere, nel 2009, l’Igp (Indicazione geografica protetta) Patata dell’Altopiano del Fucino. Il periodo di commercializzazione è molto lungo (9-10 mesi), da fine luglio-primi di agosto fino ad aprile-maggio dell’anno successivo. Il prodotto fresco, 70% del totale, viene commercializzato da operatori locali confezionato secondo le varie tipologie richieste dal mercato, sacchetto vertbag di diversa grammatura (1-1,5-2,5 kg), sacco in rete da 5 kg ecc.; quello da industria viene conferito, in buona parte, alle agroindustrie operanti in regione: COVALPA Abruzzo-Consorzio Valorizzazione Produzioni agricole Abruzzo (società cooperativa agricola con sede in Celano) e SAF-Società Agricola Fucense (con sede in Ortucchio), nonché ad altre aziende abruzzesi. Tutte le strutture dispongono, in genere, di propri marchi commerciali, ma hanno anche rapporti di fornitura e confezionamento con gruppi che dispongono di brand noti a livello nazionale. Esistono, poi, almeno una dozzina di imprenditori privati, di medie e grandi dimensioni, che con propri marchi commercializzano anch’essi il prodotto per il consumo fresco nei diversi mercati nazionali.

Selezionatore ottico

La patata entra spesso in rotazione con il grano

Foto R. Angelini

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paesaggio Nel Fucino, inoltre, operano da oltre un ventennio due importanti associazioni di produttori, l’AMPP, Associazione Marsicana Produttori Patate, con sede in Celano (che riunisce circa 800 soci aderenti a 12 cooperative, e che afferisce a sua volta all’unione nazionale UNAPA), e l’associazione Fucentina, con sede in Trasacco (formata da circa 450 soci aderenti a 5 cooperative, e che a sua volta aderisce all’unione nazionale Italpatate). Le due associazioni gestiscono oltre 1/3 di prodotto fucense, che viene destinato alle industrie di trasformazione regionali e nazionali. È importante sottolineare che queste strutture hanno svolto, soprattutto nell’ultimo decennio, un ruolo trainante nella crescita del segmento pataticolo del territorio, sia attraverso un programma di rinnovamento e ammodernamento delle tecniche produttive, sia attraverso l’ampliamento e l’adeguamento tecnologico delle proprie strutture di lavorazione (attrezzature per il ricevimento e la calibratura del prodotto, celle di stoccaggio, confezionamento ecc.), al fine di rispondere alla sempre più pressante domanda di qualità da parte del mercato. Con l’intento di uniformare le regole produttive e qualitative finalizzate a una migliore programmazione a livello territoriale, e per valorizzare commercialmente la produzione, le due associazioni hanno promosso la costituzione del CO.VA.PA.F., Consorzio di Valorizzazione della Patata del Fucino, a cui hanno aderito anche molti operatori privati. Il Consorzio è altresì detentore di un suo marchio commerciale, Fucino Orto d’Italia, che gli associati possono utilizzare per commercializzare il proprio prodotto, legandolo strettamente al territorio di origine.

Impianto di condizionamento

Linee di confezionamento in azione

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patata in Abruzzo Conclusioni Tirando le somme si può affermare che la pataticoltura abruzzese manifesta elementi di debolezza individuabili in costi di produzione talora elevati, soprattutto per la totale dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento del seme, estrema polverizzazione fondiaria, e ancora modesta aggregazione (che rende le aziende scarsamente competitive sui mercati, soprattutto rispetto a quanto richiesto dalla GDO). Per contro, si opera in un ambiente altamente vocato, ancora salubre, situato lontano da grandi insediamenti urbani e industriali, che consente di coniugare in maniera ottimale la qualità con la salvaguardia dell’agro-ecosistema. È, però, solo nella valorizzazione del prodotto finito che potrà essere vinta la sfida della concorrenza estera (francese in particolare) e del mercato globalizzato. Infine, è significativo concludere con quanto si legge nell’epilogo alle Istruzioni per la coltivazione delle patate pubblicate, come si è detto, dalla Reale società economica dell’Aquila nel 1817 presso la tipografia Rietelliana: “questa pianta adunque dà un salubre e vigoroso alimento agli uomini, ed agli animali; è la più feconda di tutte; esige di poco apparecchio per rendersi adattata al cibo; esige di poche cure e fatiche agrarie sia prima della semina sia nella carriera della sua vegetazione, sia questa già terminata. Cresce egualmente bene sotto climi freddi, temperati e caldi; e perciò sembra fedele, invisibile compagna dell’uomo, ed uno dei doni più benefici della Provvidenza a lui reso abitante, e disperso per tutto il Globo”.

Confezioni pronte per essere inviate alla GDO Tipiche confezioni di patate per il consumo. Il colore, spesso, identifica anche la destinazione d’uso

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la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata in Emilia-Romagna Paola Filippini

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paesaggio Patata in Emilia-Romagna Introduzione La patata fu introdotta a Bologna nel 1657 dallo studioso Giacinto Ambrosini, che la coltivò nell’orto botanico della città per studiarne le caratteristiche morfologiche e le proprietà salutistiche. Inizialmente la sua coltivazione incontrò una certa resistenza, in quanto gli agricoltori ne ritenevano difficile l’introduzione nell’ordinamento colturale allora maggiormente diffuso, basato su canapa e cereali. Tra l’altro, all’epoca, erano anche molto diffusi i pregiudizi provenienti dalla cultura francese che riteneva le patate un cibo malsano, apportatore addirittura di lebbra. Cenni storici Il più tenace assertore della coltivazione della patata a scopo utilitario fu Pietro Maria Bignami, agronomo e proprietario di fondi rustici nel Bolognese. Dopo alcuni anni di esperienze, nel 1733 egli presentò ai signori dell’Assonteria d’Abbondanza (struttura annonaria dell’Antico governo di Bologna) i risultati delle sue attività di campo, attraverso un opuscolo dal titolo Le patate, suddiviso in cinque capitoli (“Cosa sia la patata”, “Dove allignano”, “Coltivazione”, “Usi”, “Dove si coltivano”). La possibilità di coltivare le patate nel Bolognese fu successivamente confermata dal docente di storia naturale Monti e dal botanico Brunelli, ai quali l’Assonteria d’Abbondanza si era rivolta per un parere scientifico sull’argomento. Ad ogni modo, inizialmente la patata nell’alimentazione umana tardò ad affermarsi, mentre cominciò a trovare ben presto un’amAttacco larvale di dorifora

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patata in Emilia-Romagna pia diffusione come alimento per il bestiame, così come riportato nel trattato dell’abate bolognese Giovanni Antonio Pedevilla, nei Principi di agricoltura ad uso della gioventù (1789), nel capitolo “De’ prati, pasture e foraggi”. All’inizio dell’Ottocento l’illustre agronomo bolognese Filippo Re, negli Elementi di agricoltura, descrivendo l’agricoltura emiliana tra Bologna e Reggio, parlava anche delle patate, classificandole tra le piante foraggere. Nel 1817 lo stesso Filippo Re pubblicò il Saggio sulla coltivazione e su gli usi del pomo di terra, in cui, dopo aver ripercorso la storia del tubero attraverso le esperienze di agronomi, botanici e scienziati che in precedenza ne avevano sperimentato l’uso e la coltivazione, descriveva i primi tentativi di conservazione dei tuberi durante l’inverno (“... deponendoli in ambienti asciutti, avvolti con strati di foglie secche o fieno oppure paglia”) e dava indicazioni sull’uso della patata nella panificazione e sull’utilizzazione dei tuberi nell’alimentazione per il bestiame, oltre a fornire una trattazione completa e molto dettagliata delle agrotecniche necessarie per la coltivazione della patata in Italia. In quegli anni anche Giovanni Francesco Contri, successore di Filippo Re alla cattedra di agricoltura dell’Università di Bologna, scrisse la sua Istruzione agli agricoltori della Provincia di Bologna sul coltivamento e gli usi de’ pomi di terra, a seguito della Circolare del cardinale Carlo Opizzoni, emanata per promuovere e diffondere la coltivazione delle patate tra i contadini, soprattutto nelle zone di montagna dove frequente era la scarsità di cibo. Nel suo opuscolo, il Contri evidenziava che lo sviluppo della coltivazione della patata avrebbe portato un grosso vantaggio alla provincia bolognese, rendendola indipendente dall’obbligo di approvvigionarsi di cibo dagli altri stati, con ciò riconoscendo a questa so-

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paesaggio lanacea un importante ruolo come alimento, soprattutto in anni di carestie, insieme ai due cereali allora più ampiamente diffusi, frumento e granoturco. Nel testo intitolato Delle varietà dei pomi di terra, il Contri descrisse, inoltre, alcune varietà di patata coltivate all’epoca, tra cui le più conosciute erano la Grossa bianca, la Rossa lunga, la Gialla di scorza tendente al nero, soffermandosi anche sugli aspetti agronomici e sulle principali pratiche colturali (scelta del terreno, concimazione, rotazioni, piantagione, lavori dopo la nascita, raccolta, conservazione). Non mancavano, infine, informazioni sull’uso dei tuberi, basate anche su alcuni “esperimenti”, condotti dallo stesso Contri, sulla possibilità di utilizzare la farina di patate per la panificazione, con precisi confronti sulla qualità della fecola e dell’amido rispetto alla farina di frumento, relativamente alle perdite di peso, al contenuto in acqua ecc. Importanza economica della patata in Emilia-Romagna Dalla metà dell’Ottocento, superate in buona parte le resistenze verso la patata, la situazione mutò radicalmente e la coltivazione di questa pianta subì un incremento notevole nella provincia di Bologna, raggiungendo, in questo periodo, circa 1000 ha. Nel 1866 il Berti-Pichat, nella sua opera Istituzioni scientifiche e tecniche ossia Corso teorico e pratico di agricoltura, riassumendo le vicende relative all’introduzione e alla diffusione delle patate, sottolineava l’insegnamento, giunto più volte durante gli anni di carestia, di non trascurare tale coltura. Foto R. Angelini

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patata in Emilia-Romagna Nel corso dell’Ottocento, pertanto, le patate si affermarono in maniera stabile nel territorio bolognese, come comprovano anche i dati produttivi di quegli anni, a partire dal periodo 1851-60, in cui furono registrate produzioni di oltre 25.000 q, che superarono gli 80.000 nel quinquennio 1870-74 e oltrepassarono i 100.000 nel 1883. Il Bignardi, nella sua Introduzione della patata nel bolognese (1965), rievocò la storia dell’introduzione della patata in Italia e nella città di Bologna attraverso la citazione di vari personaggi che, a partire dalla fine del Cinquecento e fino agli inizi dell’Ottocento, cercarono con tenacia e determinazione di promuovere e inserire la coltivazione delle patate negli ordinamenti colturali, all’epoca basati prevalentemente sui cereali e su colture da fibra come la canapa. All’inizio del Novecento, in particolare durante gli anni della Prima guerra mondiale, nella provincia di Bologna la produzione di patata raggiunse i 160.000 q e superò i 430.000 q nel 1931 su una superficie coltivata di circa 4900 ha, concentrati soprattutto nei comuni di San Lazzaro, Ozzano e Castel San Pietro (area pedecollinare) e nei comuni di Castenaso, Budrio, Granarolo, Medicina, Molinella e San Giovanni in Persiceto (piena pianura). Dalla fine degli anni Trenta e fino alla conclusione della Seconda guerra mondiale si registrò il maggiore incremento della coltivazione della patata nel Bolognese, anche a causa della crescente richiesta di cibo da parte delle popolazioni rurali e urbane, ma fu durante gli anni Cinquanta che la coltura subì una profonda evoluzione, frutto dell’introduzione di grosse innovazioni nel settore agronomico e in quello tecnico-meccanico. Nella stessa epoca incominciò a diffondersi l’uso di tuberi-seme certificati provenienti dall’estero (soprattutto dall’Olanda), che si affiancarono ai materiali di propagazione cosiddetti “uso seme” prodotti in piccoli areali dell’Appennino bolognese. Negli anni Settanta anche in Emilia-Romagna si registrò un drastico ridimensionamento delle superfici coltivate a patata, passate dai 14.500 ha del 1964 ai 9500 ha del 1974, con una produzione di circa 2,2 milioni di quintali di tuberi, dei quali quasi la metà prodotti nella provincia di Bologna (fonte ISTAT). In quegli anni si potevano distinguere, nel Bolognese, due principali tipologie produttive, a seconda dell’epoca di maturazione: una precoce (circa il 15% della produzione totale), ottenuta nei comuni pedecollinari di San Lazzaro, Ozzano, Castenaso, Idice, e una più tardiva, tipica dei comuni di Budrio, Pieve di Cento, Castel D’Argile e altri, localizzati comunque a nord della via Emilia e in parte a ridosso della stessa. Sull’Appennino, poi (soprattutto nei comuni di Castel d’Aiano, Gaggio Montano, Tolè, Monghidoro, Loiano, Pianoro e San Benedetto), si produceva una patata dal gusto particolare molto apprezzato. Le varietà più coltivate erano: Majestic, Bintje, Bea, Jaerla, Kennebec e, soprattutto, Primura. La produzione di Bologna era commercializzata prevalentemente in Italia e destinata quasi totalmente al consumo fresco. La

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paesaggio collocazione sul mercato avveniva principalmente attraverso la cessione dei tuberi a operatori commerciali privati o tramite il conferimento a organismi associativi. Tra questi, nei primi anni Settanta assunsero particolare rilievo le cooperative, le quali riuscirono a sviluppare un sistema di gestione delle patate molto efficiente (basato sulla lunga conservazione dei tuberi), finalizzato a una graduale immissione del prodotto sul mercato per limitare la caduta dei prezzi nei periodi di maggiore offerta. Fu in questi anni che nacquero la Cooperativa produttori patate (1970) e la Cooperativa produttori ortofrutticoli di Altedo (CORAM), che svilupparono un efficientissimo servizio di stoccaggio, utilizzando impianti frigoriferi e anche un impianto di surgelazione per la conservazione di prodotto trasformato. Le due cooperative arrivarono a controllare, in poco tempo, circa il 40% della produzione pataticola bolognese. Nello stesso periodo venne istituita la Borsa patate di Bologna, cui venne assegnato il compito di formulare il prezzo più attendibile del prodotto, sulla base dell’incontro tra domanda e offerta. La posizione di dominanza della provincia di Bologna a livello regionale nel comparto pataticolo era dovuta sia all’innata vocazione produttiva delle aree coltivate, sia alla presenza di una moderna ed efficace rete di strutture per la commercializzazione, sia alla presenza di una competente classe imprenditoriale privata e di cooperative assai qualificate. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta furono fondate le prime Associazioni di produttori pataticoli (ASSOPA e ASSPE), che hanno significativamente contribuito a sviluppare il concetto di imprenditorialità e di economia di sistema in questo comparto fino ad arrivare a Campi prova per il diserbo della patata a Medicina (BO)

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patata in Emilia-Romagna sottoscrivere, nel 1982, il primo accordo interprofessionale delle patate. Negli anni Ottanta, sull’Appennino tra Castel d’Aiano e Tolè, iniziò a diffondersi anche la moltiplicazione dei tuberi-seme, con l’istituzione delle zone chiuse necessarie per il controllo sanitario dei tuberi prodotti. Quasi contemporaneamente, nel 1981, fu fondato a Budrio il Ce.pa. (Centro di documentazione della patata), con lo scopo di diffondere la cultura di questa pianta. Tra le altre attività, il Ce.pa. cura, ancora oggi, la pubblicazione del “Gazzettino della patata”, periodico specializzato, con ampia diffusione tra gli operatori del settore. Nel 1996 è stato costituito, su iniziativa della regione Emilia-Romagna, l’Osservatorio economico sulla patata, coordinato dal Ce.pa., con il compito di rilevare l’andamento dei prezzi e lo stato delle colture, a livello nazionale e internazionale, e di divulgarli settimanalmente agli operatori commerciali e agli addetti del comparto. Grazie alle esperienze di promozione e valorizzazione dei prodotti tipici maturate durante gli anni Settanta e Ottanta con il marchio “Patata Nostrana”, era intanto nato, nel 1992, il Consorzio per la patata tipica di Bologna, che si dotò ben presto di un “Disciplinare di produzione e di commercializzazione” con il quale riuscì ad affermare il concetto di lotta integrata per la produzione di campo e l’utilizzo della tecnica di conservazione mediante l’ausilio delle basse temperature in sostituzione dei trattamenti chimici/fisici con antigermoglianti. L’evoluzione dei sistemi di confezionamento, con l’uso sempre più frequente di contenitori di piccole dimensioni (2-2,5 kg e anche meno), ha determinato poi un notevole miglioramento qualitaFoto R. Angelini

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paesaggio tivo del prodotto, ma ha anche comportato un impegno notevole riguardo ai materiali utilizzati per le confezioni, sempre più funzionali e sofisticati. Sebbene la produzione prevalente di patata nel Bolognese sia quella per il consumo fresco, sono presenti sul territorio anche due industrie di trasformazione specializzate nel prodotto cubettato e nella preparazione di stick, purea, gnocchi e altre tipologie di prodotto trasformato. Il Consorzio promuove anche attività di ricerca e sperimentazione, finanziando studi innovativi e funzionali al sistema pataticolo e, attraverso le associazioni dei produttori, partecipa alla validazione di nuove varietà nazionali (soprattutto di quelle idonee alla coltivazione biologica), cura l’aggiornamento della tecnica agronomica e studia le caratteristiche organolettiche e gli utilizzi culinari delle varietà da consumo fresco coltivate a Bologna. Nel 1999 il Consorzio ha lanciato la patata al selenio, esempio significativo di valorizzazione nutrizionale e commerciale del prodotto. Ultima iniziativa, in ordine di tempo, della regione EmiliaRomagna è l’istituzione del marchio QC (Qualità Controllata) che “individua le produzioni agroalimentari ottenute attraverso metodologie di produzione integrata, che rispettano l’ambiente e la salute dell’uomo, quindi con l’impiego ridotto dei prodotti chimici e l’impiego razionale e ottimale delle tecniche agronomiche e di allevamento per garantire le migliori caratteristiche qualitative e di salubrità”. Il marchio QC è attribuito a gran parte della produzione della provincia di Bologna, previa l’applicazione, in campo e in post-raccolta, delle tecniche definite nei Disciplinari regionali di produzione integrata, compresi i controlli sanitari per la ricerca dei residui di fitofarmaci.

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patata in Emilia-Romagna In particolare, nelle fasi di lavorazione in magazzino si procede all’identificazione del prodotto da sottoporre a marchio QC e all’annotazione dell’azienda agricola produttrice, alla separazione dello stesso rispetto a quello tradizionale, alla conservazione in ambienti adeguati, al mantenimento della rintracciabilità fino alla singola confezione, tramite un registro di lavorazione e un codice riportato sull’etichetta di ogni confezione. Ovviamente, tutte le operazioni sono sottoposte a rigorosi controlli lungo tutta la filiera produttiva da parte di organismi di controllo accreditati a norma UNI EN 45011. Mediamente, la produzione commercializzata con l’applicazione del marchio QC (proveniente prevalentemente dall’areale bolognese) è di circa 300.000 q ed è rappresentata in massima parte dalle varietà Primura, Agata e Vivaldi.

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Ambiente di coltivazione Le condizioni ambientali (suolo e clima) riscontrabili in Emilia-Romagna, in particolare nella provincia di Bologna, sono particolarmente idonee per la coltura della patata. I suoli sono fertili, profondi, mediamente dotati di sostanza organica e con una buona capacità drenante. Fin dai primi anni dell’Ottocento il Contri sottolineava la predilezione della patata per i “fondi bassi, già liberati dalle acque ed alzati dalle alluvioni dei fiumi”, ovvero i terreni di bonifica tipici della pianura padana, in particolare del Bolognese. Le alterazioni avvenute nel tempo, su questo suolo, hanno dato poi origine a zone pianeggianti, costituite da sedimenti alluvionali trasportati e depositati dai fiumi e da torrenti originari dell’Appennino e tutt’oggi attivi. Foto R. Angelini

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paesaggio Diversi processi chimici, fisici e biologici hanno contribuito alla formazione pedologica dei terreni del Bolognese, caratterizzati da tessitura medio-fine, pH subalcalino, buona dotazione dei principali elementi nutrizionali per la patata, come il potassio. Lo stesso caratteristico appoderamento del territorio, con appezzamenti di piccole-medie dimensioni, orientati secondo la linea di massima pendenza utile a uno sgrondo naturale delle acque, rende questi terreni particolarmente idonei per la coltivazione della patata. Dal punto di vista morfologico, i suoli dove viene coltivata la patata si presentano in gran parte pianeggianti, ma comprendono anche alcune aree collinari. Quanto alla loro composizione, la Carta dei suoli della regione Emilia-Romagna li distingue in suoli San Martino, suoli Ascensione, suoli Medicina, suoli Massumatico, suoli Cicogna, suoli Galisano e suoli San Giorgio, tutti riconducibili a caratteristiche di buona profondità e buon drenaggio, con pH moderatamente alcalino e discreta presenza di sostanza organica. La tessitura è leggermente variabile, ma tendenzialmente si presenta fine in superficie e media negli strati più profondi. Dal punto di vista idrologico, il territorio bolognese è ben fornito, per la presenza sia di torrenti e fiumi naturali (Idice, Reno, Gaiana, Fossatone, Quaderna, Rido, Sillaro, Samoggia, Savena ecc.) sia di canali artificiali appositamente costruiti (canale EmilianoRomagnolo) e di fonti idriche per fornire acqua alle coltivazioni, in caso di bisogno, nel periodo primaverile-estivo, durante le fasi colturali di maggiore esigenza delle piante. Negli anni più recenti la patata si è estesa anche in alcune province limitrofe come Ferrara e Ravenna. Soprattutto in quest’ultima area la coltura ha trovato condizioni pedologiche e fitosanitarie molto favorevoli, per la presenza di terreni fertili e poco sfruttati. Dal punto di vista climatico la pianura bolognese è caratterizzata da temperature primaverili tiepide a partire da fine febbraio-inizio marzo, ideali per garantire un’idonea germogliazione dei tuberi seminati in questo periodo. Durante lo stadio di massimo sviluppo vegetativo, concentrato nei mesi compresi tra aprile e giugno, le temperature raggiungono facilmente i 25-28 °C, che favoriscono la formazione e l’accrescimento dei tuberi e una loro regolare maturazione. Le precipitazioni, ben distribuite durante l’anno, permettono una buona preparazione del terreno per la semina e sono generalmente sufficienti per le esigenze idriche della coltura durante tutto il ciclo, in particolare nelle fasi di maggiore fabbisogno (primo accrescimento vegetativo, inizio tuberificazione e accrescimento dei tuberi). Il periodo estivo, nel quale vengono effettuate le raccolte della patata, è caratterizzato da clima prevalentemente secco e caldo, che favorisce una maturazione ottimale dei tuberi, con la formazione completa della buccia.

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patata in Emilia-Romagna Cultivar più diffuse Diverse sono le varietà coltivate in Emilia-Romagna, ma quella sicuramente più caratteristica è la Primura, coltivata nel territorio bolognese a partire dagli anni Sessanta. Identificata spesso come la Patata di Bologna, attualmente essa è anche riconosciuta ufficialmente con il marchio comunitario DOP. Questa varietà, il cui nome vuole significare “eccellente” o “prima di tutto”, si è imposta da oltre 30 anni nella provincia di Bologna, sia per le sue qualità organolettiche e per la versatilità nell’utilizzo in cucina, sia per una profonda integrazione con il territorio e con le caratteristiche pedoclimatiche dell’ambiente. Di origine olandese, la Primura presenta un tubero di forma regolare, prevalentemente ovale-allungata, con occhi superficiali, buccia liscia e chiara e polpa di colore giallo paglierino. La pianta è caratterizzata da uno sviluppo non eccessivamente rigoglioso, con foglie grandi e distese, di colore verde chiaro. La fioritura è mediamente scarsa. La maturazione dei tuberi è abbastanza precoce e il loro periodo di dormienza è piuttosto lungo, il che rende questa varietà particolarmente idonea alle lunghe conservazioni. La produzione non è elevatissima, ma la qualità dei tuberi è molto pregiata, grazie a un discreto contenuto di sostanza secca e a caratteristiche organolettiche di pregio. Dal punto di vista culinario è idonea per tutti gli usi, non presenta annerimenti dopo la cottura a vapore e mantiene una buona adattabilità alla frittura sia al momento della raccolta sia durante il periodo di conservazione. Attualmente le altre varietà più coltivate sono Agata, Vivaldi e Ambra, tutte a buccia gialla e pasta gialla, mentre scarse sono le coltivazioni di varietà a buccia rossa e di quelle a polpa bianca. Dopo Primura, Agata è sicuramente la varietà più conosciuta e diffusa, grazie alla sua spiccata adattabilità a diverse condizioni pedologiche e climatiche. Dal punto di vista produttivo è sicuramente interessante, in quanto raggiunge quantitativi di tuberi anche molto elevati (500-550 q/ha). Dotata di una polpa abbastanza consistente e resistente alla cottura, essa è particolarmente adatta per la bollitura e per le insalate. Vivaldi è una varietà coltivata ancora con interesse dai produttori dell’Emilia-Romagna per le sue caratteristiche di buona produzione (raggiunge anche i 500-600 q/ha) ma, a causa della sua scarsa attitudine alla conservazione, deve essere confezionata e commercializzata in tempi piuttosto brevi dalla raccolta. Sotto l’aspetto culinario è idonea per tutti gli usi (bollitura, cottura in forno ecc.), essendo dotata di una polpa non troppo soda ma di buon gusto tipico. Tra le varietà emergenti di un certo interesse commerciale che si stanno diffondendo in Emilia-Romagna vi è Ambra, i cui tuberi hanno caratteristiche molto apprezzabili perché dotati di una buccia liscia e chiara e di una polpa abbastanza consistente che li rende idonei a tutti gli usi. La germogliazione tardiva e la dormienza prolungata ne permettono, inoltre, la conservazione in cella frigorifera per diversi mesi.

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Attacco di cimici

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Dorifora in fase di schiusura

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paesaggio Tecnica colturale La tecnica colturale della patata nel Bolognese risente molto degli influssi delle pratiche tradizionali attuate nel territorio fin dai primi anni della sua coltivazione, su cui si sono via via innestate armonicamente le innovazioni prodotte dalla ricerca. Particolare attenzione viene posta nel favorire l’utilizzo di agrotecniche ecocompatibili miranti alla valorizzazione del territorio, alla preservazione dell’ambiente e alla salvaguardia degli agricoltori e dei consumatori. Più precisamente, per la preparazione del suolo vengono eseguite lavorazioni profonde che favoriscono un buono sviluppo dell’apparato radicale e uno sgrondo efficace delle acque in eccesso. L’assolcatura viene effettuata nell’autunno precedente la semina, onde permettere agli agenti atmosferici invernali, quali la pioggia e il gelo, di agire disgregando le zolle di terreno più grossolane, in modo da creare una tessitura idonea a favorire uno sviluppo regolare dei tuberi. Per l’impianto delle colture vengono impiegati rigorosamente tuberi-seme certificati, sia interi che tagliati, la cui preparazione alla semina prevede la pregermogliazione, che favorisce un’emergenza più pronta e regolare delle piante. Durante questa fase, i tuberi-seme sostano in un ambiente non soggetto a gelate, in presenza di luce diffusa, per favorire lo sviluppo di germogli dalla forma tozza e robusta. Per quanto riguarda l’avvicendamento colturale, è vietata la monosuccessione ed è ammesso il ritorno della patata nello stesso appezzamento di terreno dopo almeno due anni di altre colture. La concimazione viene effettuata tenendo conto degli effettivi fabbisogni della coltura, determinati sulla base anche di analisi podologiche. La difesa fitosanitaria dalle avversità viene condotta

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patata in Emilia-Romagna applicando quanto disposto dalle norme contenute nei Disciplinari della regione Emilia-Romagna. La tipica piovosità autunnoprimaverile e la composizione dei terreni della pianura bolognese si integrano in maniera perfetta con la rete di torrenti naturali e canali artificiali, utilizzati dai produttori, per fornire durante la coltivazione regolari apporti irrigui, evitando sprechi e valorizzando le caratteristiche qualitative dei tuberi (pezzatura commerciale, contenuto in sostanza secca, attitudine culinaria). La raccolta viene eseguita a maturazione fisiologica completa del prodotto, cioè quando la buccia non si lacera sotto la pressione esercitata dallo sfregamento con le dita, in quanto ciò permette di intervenire con macchine scavaraccoglipatate che depositano i tuberi in contenitori idonei al trasporto presso gli stabilimenti di ritiro. La conservazione delle patate avviene in bins, in celle termocondizionate, a temperatura controllata compresa tra 4 e 7 °C, al riparo dalla luce. Sono ammessi i trattamenti di post-raccolta previsti dalla vigente legislazione.

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Conclusioni La patata per l’Emilia-Romagna, e la provincia di Bologna in particolare, ricopre ancora oggi un ruolo molto importante nell’economia di molte aziende agricole. I vecchi produttori stanno cedendo il passo alle nuove generazioni che, con investimenti notevoli a livello di meccanizzazione, di strutture idonee alla conservazione e di ricerca di tecniche innovative che favoriscano il miglioramento qualitativo e la tipicità del prodotto, stanno dimostrando di credere nella coltivazione della patata come importante fonte di sviluppo per il territorio. Foto R. Angelini

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la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata piacentina di montagna Maurizio Parma

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paesaggio Patata piacentina di montagna Quando si pensa ai tuberi nobili, ai piatti regali, alla sontuosità del buon mangiare, il pensiero corre immediatamente al Tuber magnatum Pico, il tartufo bianco, che spesso fa bella mostra di sé in vetrine blindate, custodito in scrigni degni di un 24 carati principesco. Ma quale tubero è più nobile di quello che incontra il gusto di tutti, scatena gli entusiasmi dei bambini, è piacevole al palato e sempre spendibile sulla tavola? La patata è tutto questo, quella di Mareto è molto di più. È un ortaggio sopraffino, figlio di una terra straordinaria come la Val Nure, in grado di esprimere una qualità unica, che si presta alle più svariate preparazioni. L’uomo, nel tempo, ha plasmato il patrimonio di questa terra, ne ha condensato sapori, profumi e sensazioni in piatti diventati patrimonio della tradizione.

Mareto e cucina

• Per la gente di Mareto la pietanza è

ricchissima di ingredienti: una passata di patate profumata con porri, cipolle, aglio e prezzemolo. Un soffritto di lardo a coronare la creazione, sale e pepe nelle giuste quantità. Il tutto racchiuso da una pasta eccellente, sintesi tra sfoglia e brisé. Completata la preparazione, per la cottura è preferibile un forno a legna, magari uno di quei vecchi e anneriti residui di famiglia conservati nelle case dei padri che, all’occorrenza, regalano sempre quel sapore unico e inconfondibile delle cose di una volta.

Patata di Mareto, delizia per il palato Uno di questi, mirabile sunto delle eccellenze di vallata, è la torta di patate, che non a caso si fregia del marchio “Deco”, la denominazione comunale. La ricetta assume contorni differenti in ogni frazione del Comune: il disciplinare è appositamente esteso per accogliere l’intero ventaglio di proposte. La torta, però, è soltanto una delle numerose declinazioni della patata di Mareto. Una delle più eccellenti espressioni delle sue potenzialità la si può degustare all’Antica osteria del Teatro di Piacenza, tappa obbligata per gli amanti della cucina di prestigio. A proporla è il famoso chef Filippo Chiappini Dattilo. Si tratta di un timballo di baccalà mantecato con l’ortaggio valnurese ed erbe aromatiche, che viene servito con fave fresche, pomodoro e olio extravergine d’oliva ligure. Il piatto è uno scrigno di piaceri: visivo (la pietanza è presentata con una cornice di patate tagliate a lamelle), olfattivo (vi si riscopre il profumo degli Appennini e il sentore degli ulivi) e, ovviamente, una certezza al palato. Ingredienti semplici, che regalano una mirabile sintesi di sapori e profumi. Unica nel suo genere e varia nelle sue tipologie, la patata di Mareto si adatta alle più disparate esigenze di cuochi e appassionati di cucina. C’è la varietà più farinosa, che a contatto con il palato diventa una spuma dalla consistenza setosa, adattissima per gli gnocchi. C’è quella corposa e soda, che in padella conserva intatte consistenza e fragranza regalando tutto il suo sapore in frittura o arrosto. Se è vero che la rarità fa la ricchezza, è anche vero che non c’è maggiore nobiltà di una ricchezza alla portata di tutti. In campo industriale Henry Ford diceva che “c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”. Declinando la massima in salsa culinaria, si potrebbe parafrasare: “Il lusso è avere la bontà a portata di mano e a disposizione di tutti”. La patata di Mareto è la ricchezza della Val Nure, il vanto

Raccolta delle patate a Mareto

Mostra-mercato della patata a Mareto

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patata piacentina di una vallata che è un gioiello da scoprire, fatto di paesaggi mozzafiato e scenari da cartolina. Una vetrina a cielo aperto, che vive nella discrezione e nella riservatezza di un territorio incuneato tra la Val Trebbia e la Val d’Aveto, sorvegliato dall’alto dai laghi Nero, Moo e Bino.

Oro giallo

• Oggi l’oro giallo che si incunea nella terra è ancora il protagonista incontrastato di Mareto e dei paesi limitrofi. È il simbolo della rinascita, il limite di demarcazione di una nuova era economica, la coltura preferita dai contadini per garantire o arrotondare il proprio reddito agricolo, tanto da essere scelta da 50 produttori della zona, a cui si aggiunge uno straordinario parterre di appassionati ed estimatori. La patata di Mareto non necessita di trattamenti laboriosi; la raccolta avviene tardivamente, per adattarsi alle temperature più basse della montagna. Il freddo ingabbia la neve, che persiste sui terreni. La semina attende, pazientemente, il manifestarsi delle migliori condizioni. Sul finire della stagione i valligiani capiscono che il tubero è pronto quando, fregando la buccia, questa resiste alla pressione della mano. È il segnale che è giunto il momento della raccolta, dopo mesi di incubazione nel terreno montano, speciale per la sua tessitura a “medio impasto” (50% di argilla e 50% di sabbia), per capacità drenante e per fertilità naturale. C’è un però. La rendita per ettaro è inferiore della metà a quella che si ottiene in pianura. Ma, ça va sans dire, nella botte piccola c’è il vino buono

Origini della coltura che ha mutato le sorti della Valnure È qui che cinquant’anni fa il professor Alberto Moia ebbe l’idea di “importare” il prezioso tubero. Dopo alcune prove e analisi egli scoprì che il terreno di Mareto era la migliore culla per la patata. Moia era mosso non solo dall’interesse di studioso, ma soprattutto dalla passione per un territorio isolato, dedito per lo più agli allevamenti di vacche da latte e carente di attività e colture. Pensò che la patata, impreziosita da un terreno che sembrava creato ad hoc, potesse essere un ottimo mezzo per rilanciare l’economia di un angolo “sofferente” di paradiso. Iniziò la sua missione. Le chiamò “cattedre ambulanti”: si trattava di lezioni itineranti sulle tecniche di coltivazione, che il docente, all’epoca preside dell’Istituto agrario, teneva nelle frazioni del Comune di Farini. Il movimento si estese, il passaparola tra i coltivatori della zona fece il resto. Tanto che l’interesse intorno alla patata crebbe esponenzialmente. Per garantire la massima diffusione delle informazioni, e continuare a offrire strumenti teorici agli abitanti, alle lezioni del Moia si affiancarono le iniziative dell’ente di formazione di Coldiretti, che all’epoca si chiamava Inipa (poi Irfata). Su e giù per le vallate, con le sementi nel bagagliaio dell’auto, a sperimentare le varietà e la risposta dei terreni locali. Alla fine la terra diede il suo responso, dimostrando di accogliere a dovere: Kennebec, pasta bianca vocata a piatti come gli gnocchi; Spunta e Désirée, corpo turgido e massimo feeling in frittura e arrosto. Seguì l’introduzione della Primura, dalla maturazione più precoce. Insomma, un ampio ventaglio di varietà che va a braccetto con un’altrettanto ampia sfera di abbinamenti e specialità. In breve tempo la coltivazione del tubero divenne passione, emblema comunale, simbolo del territorio. Negli anni Settanta Angelo Sidoli, successore di Moia alla guida dell’Inipa, ebbe l’idea: organizzare una festa in onore della patata, al termine della stagione, indicativamente l’ultima domenica di settembre. La rassegna va in scena ancora oggi e, negli anni, ha ricevuto adesioni sempre crescenti, a partire da quella del Comune, che presto ha fornito il suo supporto curando allestimenti, premi e iniziative varie. Memoria storica di una larga fetta di questo mezzo secolo sono Ivano Faccini e Medoro Rebecchi, noti esponenti dei Coltivatori Diretti e artigiani pazienti della patata, infaticabili traghettatori delle diverse varietà dalla pianura alla montagna.

Mostra-mercato della patata a Mareto

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la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata in Liguria Massimo Angelini

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


paesaggio Patata in Liguria Introduzione Il primo arrivo in Italia della patata è ragionevole pensare che sia avvenuto attraverso la Liguria nel 1574, quando dalla Spagna giunsero a Genova i primi Carmelitani Scalzi. E proprio da Genova sappiamo che le patate raggiunsero le valli valdesi e, intorno alla metà del XVII secolo, le province della Germania. Se la prima introduzione delle patate in Liguria fu tardo-cinquecentesca, la vera diffusione, come nel resto dell’Italia, avvenne a partire dalla seconda metà del Settecento, soprattutto per merito di un sacerdote chiavarese, Michele Dondero (1744-1813), agronomo e innovatore, che vi aveva intravisto una valida alternativa al frumento negli anni di carestia. In questi stessi anni, per la precisione nel 1779, comparve una prima notizia pubblica, sul foglio settimanale Avvisi di Genova, dove veniva citato un trattato di Antoine A. Parmentier sulla Maniera di fare il pane di pomi di terra “senza mescolare neppure un poco di farina”: da questo momento per alcuni decenni la possibilità di panificare le patate rappresentò il modo più efficace di incoraggiarne la diffusione e l’uso. La notizia fu commentata sul foglio per mesi, fino a quando un lettore incuriosito scrisse: “Dei Pomi di terra ne avete parlato anche troppo, facendone ora del pane, ora del cascio [formaggio]; ed ora guarendone dallo scorbuto, quando l’avessimo. Non so capire per altro, per qual ragione voi, che mostrate di averli in tanto conto, e li giudicate come una produzione preziosa, non ci insegniate poi la maniera di coltivarli” (Avvisi 1779, n. 124).

Arrivo in Liguria

• “Si piantano in buon terreno fresco e

umido, le patate, portate nuovamente qua di Spagna e Portugallo dalli reverendi Padri Carmelitani Scalzi, come si piantano gli ovoli di canna; che si cavano poi all’ottobre e ne fanno grandissima quantità quali si mangiano in fette e a guisa di tartufi, o di funghi, ritte o infarinate o nel tegame con agresto, e sono aggradevoli al gusto con sapore di cardoni, e moltiplicano innumerabilmente e facilmente si cuocono e son tenere” Monaco Vitale Magazzini

Foto M. Casaleggi

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patata in Liguria Come risposta, tra fine agosto e inizio settembre, furono pubblicate alcune semplici istruzioni; pochi mesi più tardi intorno a Genova iniziarono le prime semine con una patata giunta dall’Inghilterra, la Yam. Grazie alla propaganda fatta attraverso gli Avvisi, le iniziative e le pubblicazioni curate dalla Società Patria di Genova (a partire dal 1786) e dalla Società Economica di Chiavari (a partire dal 1791) e, soprattutto, grazie al lavoro di persuasione e istruzione dei contadini condotto dai sacerdoti appartenenti alla Congregazione dei parroci rurali, a poco a poco le patate entrarono a far parte delle consuetudini colturali e del paesaggio agrario del Genovesato. Solo nel 1792, a Varese Ligure, la loro coltura era considerata “oramai universale, facendosene uno spaccio non indifferente”, forse anche grazie alla vicinanza dell’Appennino parmigiano, dove erano state introdotte dall’irlandese William Power, governatore di Borgotaro dal 1749 al 1759. Sul finire del secolo si moltiplicarono le ricette dedicate alle patate (per fare il pane, innanzitutto, ma anche per numerosi altri piatti e pure per preparare il formaggio) e uscirono nuove memorie preparate dalle due società di Genova e Chiavari per incoraggiarne la diffusione e il consumo. Nel 1796 risulta che le patate erano coltivate in buona parte dell’entroterra di Chiavari e sulle montagne alle spalle di Genova: a Santo Stefano d’Àveto se ne producevano 2400 q, più di 3000 a Roccatagliata, a Montoggio addirittura 4400. Le risposte a un questionario inviato nel 1799 dall’Istituto nazionale ai presidenti delle municipalità e ai parroci testimoniano quanto la nuova coltura, destinata soprattutto all’alimentazione e al reddito dei contadini, sullo scadere del secolo fosse ormai nota e praticata in tutte le valli liguri.

Salvezza dei popoli

• “Senza la minima esagerazione sarei

per dire, che molte famiglie della mia Parocchia si sarebbero perdute di fame, oppure avrebbero dovuto decampare [andarsene] dalla Repubblica Genovese, se lo zelo sempre lodabile delle Società Patria ed Economica non le avesse somministrato l’uso delle Patate [...] Le Patate, bisogna dire la verità, sono state quelle che hanno salvato questi popoli di Val di Sturla” Don Giuseppe Massa (Avvisi, 1795, n. 34)

Foto M. Casaleggi

Roccatagliata Michele Angelo Dondero, pioniere dell’introduzione della patata nel Genovesato, naque a Cornia (in Fontanabuona) nel 1744; studiò medicina e Genova, quindi, entrato in seminario e ordinato sacerdote, fu nominato parroco di Roccatagliata, dove sarebbe rimasto dal 1779 al 1813, anno della sua morte. Nella nuova parrocchia trovò una situazione miserabile, simile a quella descritta nel 1770 dal suo predecessore, don Matteo Olcese: “Trovai la popolazione in tanta indigenza e povertà che fu necessario continuare l’uso di conservare in Chiesa un paio di lenzuola e una coperta da valersene nella contingenza di amministrare il S. Viatico” (Bollettino parrocchiale di Roccatagliata 1958). Sappiamo che Dondero ricevette le prime notizie sulle patate attraverso il Giornale del parroco (1773), scritto dal sacerdote Geremia Fanelli di Vernazza, dove si parla del “tartuffo”, assai diffuso nel Modenese e in Toscana. Fanelli definì i “tartuffi” “una scoperta dalla quale spero si leveranno molti peccati, perché si leveran401


paesaggio no molte miserie”, e spiega la tecnica per coltivarli e farne pane; tuttavia (questo è sfuggito agli autori del trattato e, forse anche a Dondero) non stava parlando di patate, ma di topinambur (Helianthus tuberosum); per capirlo, basta leggere la descrizione che ne fece: “Questa pianta si alza da terra quasi come le canne, e fa fiori gialli, che a niente servono; perché molto abbondantemente si propaga dalla sua radice, in cui fa molti globi, ognun de’ quali dà fuora molti germogli; tantoché se si lasciano sotterra più di due anni, ogni germoglio fa un nuovo globo, e viene ad essere un aggregazione di globi, che ha una gran somiglianza alla radica della canna” (Fanelli, Giornale del parroco 1773). Che ancora a fine Settecento si potessero confondere patate e topinambur non deve stupire, trattandosi di piante ancora poco note. Stimolato dall’opera di Fanelli e dalla lettura degli Avvisi, nel 1786 Dondero acquistò dalla Francia e dalla Svizzera alcune patate. Gli abitanti di Roccatagliata considerarono la nuova coltura una stravaganza del parroco; sulla loro reazione si conoscono due versioni. La prima vive nella memoria locale e racconta che i parrocchiani, diffidando dei nuovi tuberi che credevano velenosi, temevano che Dondero volesse avvelenarli tutti: esortazioni e prediche non servirono a nulla, così il parroco decise di dare l’esempio e una sera, durante una veglia, mangiò patate dinanzi ai presenti. Il giorno dopo i parrocchiani attendevano di sentire i rintocchi dell’agonia per l’annuncio della sua morte, ma non successe nulla. Allora pensarono che, avendo studiato medicina, conoscesse un antidoto, oppure che avesse fatto solo finta di mangiare le patate, senza però ingoiarle. Il parroco la sera successiva ripeté il pubblico assaggio dinanzi ai parrocchiani attenti; tutti constatarono che le mangiava davvero e, poiché “anche questa volta” non morì, qualcuno cominciò ad assaggiarle. Superate le prime diffidenze, le patate diventarono il prodotto principale di Roccatagliata: dal 1787 al 1790 su un terreno che, nella migliore delle annate, non avrebbe reso più di 7 q di mais ogni anno se ne ottennero da 28 a 32, ma nel 1791 su quello stesso terreno, il raccolto fu addirittura il doppio. Nel 1792 Dondero venne iscritto alla genovese Società Patria come “socio corrispondente e di merito” per il suo impegno nello sviluppo delle nuove colture, soprattutto della patata. “[Perché] – recita la motivazione – con una indefessa attività ben degna d’imitazione si occupa di promuovere, oltre lo spirituale, anche il temporale vantaggio dei suoi parrocchiani, ed il bene dello Stato, procurando la migliorazione dell’Agricoltura in quel territorio anche coll’estensione della coltura delle Patate, prodotto conveniente al suolo, ed al bisogno nazionale per la sua singolare fecondità, estensione d’uso pressoché ad ogni animale e facilità somma di coltivazione” (Avvisi 1792, n. 27).

Nuove colture e agricoltura pratica

• Come altri membri della Congregazione dei parrochi rurali, che nel 1794 si impegnarono a tenere, al termine di ogni messa, “un discorso sull’Agricoltura e sopra le Arti che esercitansi nelle Parrocchie” (Atti della Società Economica di Chiavari 1864), oltre alle patate, Dondero provò a introdurre alcune nuove colture: il topinambur, il miglio d’Africa, il rafano cinese, l’orzo di Siberia, la radice d’abbondanza; sperimentò l’allevamento razionale delle api e dei conigli da pelo, e la realizzazione di prati artificiali con lupinella e trifoglio, dei quali, in una lettera agli Avvisi, ricorda di aver conosciuto “il metodo e l’utilità rileggendo l’ottimo libro intitolato Corso di Agricoltura pratica” (Firenze, 1788)

Foto M. Casaleggi

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patata in Liguria Nel corso dello stesso anno, Dondero acquistò a Genova alcune patate bianche e inventò nuove ricette per trasformarle in pane, focacce, tagliatelle e canestrelli.

Lettera agli avvisi di Genova

Alla fine del secolo, rispondendo al questionario dell’Istituto nazionale, egli ricorda che a Roccatagliata la coltura delle patate è ormai tanto diffusa che persino le terre comuni “si vanno coltivando e riducendo a campo seminativo” e aggiunge, con orgoglio, che proprio grazie alla loro introduzione, “si sono rese stabbili 20 circa famiglie ché andavano vagando e che erano per expatriare”, mentre “altre 20 si sono rimpatriate”.

• “Sei anni circa fa si fecero venire dalle

montagne degli Svizzeri alcune libre di patate rosse, e si seminarono. Fu copioso il prodotto che per altro non venne applaudito da que’ contadini, mentre per mancanza certamente di bastevoli cognizioni, non si vollero indurre dapprima a farne uso ne’ cibi, tuttoché dall’esempio animati di persona illuminata, ed autorevole. Per quanto fosse messa in ridicolo la recente esperienza e il buon esito della medesima, non si tralasciò di seminarne delle altre per la seconda volta, ed anche in maggior copia; a segno di poterne pure, oltre l’uso fattosene tra la famiglia, ingrassare due majali, che furono trovati pesare 2 cantara [95 kg] per ciascuno. A questa seconda prova si mostrarono alquanto più umani verso un frutto che prospera molto con poco; tantoché divolgatasene la voce per le ville circonvicine, s’invogliarono moltissimi di tale coltivazione, potendo se non altro esser vantaggiosa per il bestiame. Anzi crebbe in loro l’impegno dall’avere osservato, che da quella porzione di terreno, donde non potevano ricavare che uno stajo [24 l] di altre derrate, ne uscivano cinquanta rubbi [400 kg] di pomi di terra; i quali a calcolo fatto equivalevano a 25 [200 kg] rubbi di granone”

Ottocento Dopo un primo tempo di sperimentazione, a partire dai primi anni dell’Ottocento la nuova coltura acquistò un peso considerevole nell’economia delle valli interne. Sul versante del mare, nonostante la ricca produzione di istruzioni e brevi trattati dedicati alla sua coltivazione e al suo uso (pubblicati soprattutto intorno agli anni di carestia, 1793 e 1817), la patata restava una coltura marginale e solo un ripiego, giustificato dalla penuria di grano. L’elevata diffusione sui monti fu al centro di molte testimonianze. Tra queste, un resoconto di Antonio Boccia, intitolato Viaggio ai monti di tutto lo Stato di Parma e Piacenza (1804-1805), che segnalava l’estesa presenza della nuova coltura nella zona di Santa Maria del Taro: “I pomi di terra quivi si vedono piantati quasi da per tutto, ma ne ignorano la vera cultura, perché li piantano troppo vicini ed in guisa [che] i tartuffi della pianta non possono dilatarsi né crescere come sogliono. Perciò mi credetti in dovere istruirli dicendo loro che esigevano l’istessa cultura che si pratica col frumentone” (Lanzone, 1939, p. 6). Un interessante quadro delle “produzioni territoriali” della provincia di Genova nel corso della prima metà del secolo è contenuto nel Dizionario geografico (1833-1855) di Goffredo Casalis. Le patate sono menzionate nelle schede di molti comuni dell’entroterra, ma senza alcun particolare rilievo, salvo per Tiglieto, dove rappresentavano la “ricolta principale” con una produzione di circa 800 q, comunque ben lontana dalle rese rilevate trent’anni prima in val Borbera (attenzione: il dato si riferisce al 1850, pochi anni dopo la grande infestazione di peronospora). Sul Levante, nelle valli Àveto, Fontanabuona e Graveglia, la loro coltura resta scarsa; del resto lo stesso Casalis, in un giudizio riguardante la provincia di Chiavari (1833), osserva che i “pomi di terra” preferiscono i luoghi montani, e aggiunge “pretendono gli agricoltori di Chiavari, che la coltivazione delle patate sia dannosa in quei terreni già naturalmente troppo sterili”. In ogni caso, venti anni più tardi (1856) le patate figuravano al quarto posto nella tabella dei “prodotti vegetabili” della stessa provincia, dopo il frumento, le olive e il granoturco.

Michele Angelo Dondero (Avvisi, 1792, n. 14)

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paesaggio La scarsa diffusione registrata sulla Riviera di Levante nella prima metà del secolo trova conferma anche nel territorio savonese, come mostra la Statistica del Dipartimento di Montenotte (1824), curata dal prefetto Chabrol, che non faceva cenno alle patate se non per auspicarne la coltura sugli altopiani più elevati. Le brevi descrizioni della “gialla”, della “parmentaria” e della “bianca” fanno pensare rispettivamente alle nostrane varietà Giana Riunda, Morella e Quarantina bianca: infatti, furono proprio questi gli anni ai quali risalgono le più remote testimonianze raccolte sulle tre varietà tradizionali liguri e sulla Cannellina nera.

Inchiesta agraria

• “La patata è coltivata estesamente

su tutto il territorio ligure. Questa pianta, la cui coltura si è diffusa tra noi sul fiorire del secolo scorso, forma, dopo le castagne, il supplementare alimento delle classi agricole. Fra le tante varietà di patate che esistono in Liguria si coltivano principalmente – come scrive il Mela – le seguenti: la patata gialla a tubercoli generalmente rotondi, la parmentaria, gialla e violetta, a tubercoli piuttosto allungati e schiacciati. L’avv. Degli Oddi, aggiunge la patata detta bianca dal colore del suo tubero. Nei giardini ed orti della regione litoranea la coltura delle patate gialle si forza per averne delle primaticce, che sono assai ricercate, causa l’esportazione che il Cirio di Torino specialmente ne fa. In generale però la coltura estesa di tal pianta va man mano scemando nei comuni più litoranei, nei quali la facoltà dei tuberi riesce eziandio assai inferiore per bontà. La coltura della patata si eseguisce per lo più al principio di primavera e se ne fa il raccolto alquanto prima del frumento. Il massimo di tale coltura si riscontra nella parte montuosa della Liguria, ove non solo sopperisce abbondantemente ai bisogni locali; ma supplisce altresì alla deficienza di questo prodotto nei paesi sottostanti. [...] Nel Circondario di Chiavari, dal solo comune di Santo Stefano d’Àveto si esportano annualmente più di 1000 quintali”

Dalle varietà di “gran reddito” fino ai nostri giorni Nel 1893 Alessandro Garelli introduceva in Italia le patate cosiddette “di gran reddito”, prodotte da esperti selezionatori come Paulsen, Richter e l’ungherese Agnelli; è a partire da questi anni che i comizi agrari e, più tardi, le cattedre ambulanti di agricoltura del Genovesato cercarono di incoraggiare i contadini delle valli interne ad abbandonare le varietà locali. Nel 1894 il Bollettino del Comizio Agrario di Chiavari proponeva la diffusione di nuove varietà di gran reddito, come Aspasia, Blaue Reisen, Imperator, Richters, Simson, che, si diceva, “presentano vantaggi notevoli o per la produzione elevata o per la maggior resistenza alle malattie in confronto alle varietà nostrali”. Di selezione in selezione, mentre in pianura, nei primi anni del Novecento, si arrivava a seminare varietà capaci di produzioni fino a 1000 q per ettaro, in Liguria – osservava Ugo Somma nel 1904 – “contrariamente a quanto hanno fatto all’estero [...], nessuno si è occupato della selezione delle varietà indigene, ragione per cui la loro produzione è meschina”. Tuttavia, nonostante la differente produttività e la propaganda, le varietà straniere penetravano a fatica, a differenza di alcune nostrane che, soprattutto dopo il 1910, fecero la loro comparsa sul mercato ligure: la Quarantina gialla di Entraque, proveniente dal Cuneese; la Matilde (a buccia rosa e polpa gialla), proveniente da Bergamo, consigliata per la semina tardiva e per fare un secondo raccolto; la Cinquantina di Chioggia. Ma la patata che, a partire dagli stessi anni, ottenne il maggiore consenso fu la Bianca di Como, tubero tondo-ovale, appiattito, di pasta bianca e gemme chiare. La sua coltura, per molto tempo, restò limitata alla Riviera: ancora nel 1923, in una nota pubblicata sul bollettino della Cattedra ambulante di Chiavari, si osservava che nell’entroterra chiavarese la varietà era ancora poco conosciuta. Solo negli anni Trenta, su stimolo dei consorzi agrari, la Bianca di Como penetrò nelle aree più interne, fino alle valli Trebbia e Àveto, dove in seguito è stata parzialmente confusa con la Quarantina bianca. In occasione del primo Convegno nazionale per l’incremento della produzione delle patate (Como, 1935), che segnò l’inizio

(Atti della Giunta sulla Inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola, volume X, Roma, 1883)

404


patata in Liguria della massiccia introduzione di varietà straniere, venne preparata una mostra delle nostrane italiane; la provincia di Genova non partecipò, e per la Liguria furono presenti le sole varietà dell’entroterra della Spezia: Bianca di Calice, Rossa di Calice e Bianca di Biglio. Venne esposta anche una bianca della val Trebbia, chiamata Bianca nostrana di Ottone, della quale non resta la descrizione. Dopo il tentativo (1931) di Giovanni Battista Tirocco, allievo di Garelli e redattore capo della rivista Liguria agricola, di introdurre in Riviera la precocissima Juli, nel corso degli anni Trenta iniziarono a diffondersi alcune selezioni note ancora oggi: tra le prime è la tedesca Allerfrüheste Gelbe (1922), più conosciuta come Tonda di Berlino, subito seguita dall’olandese Bintje (1910) e dalla bianca scozzese Majestic (1911). I principali veicoli di queste introduzioni furono i consorzi agrari e i centri di moltiplicazione delle patate da semina (Ce.Mo.Pa.), aperti tra il 1938 e il 1971. Nell’unico Ce.Mo.Pa attivo in Liguria, a Santo Stefano d’Àveto (1957-1962), si moltiplicavano soprattutto la Tonda di Berlino e la Majestic; il responsabile del centro oggi ricorda che era stata provata anche la Bintje, ma che presto era stata abbandonata perché marciva facilmente. Nell’immediato dopoguerra, insieme alle selezioni straniere arrivò in Italia, ultimo Paese in Europa, anche la dorifora (Chrysomela decemlineata), descritta per la prima volta nel 1825, in Italia citata nel 1875 e tre anni più tardi menzionata anche sul Bollettino del Comizio agrario del circondario di Chiavari, ma mai entrata prima nel nostro Paese, un po’ per la scarsa diffusione, come abbiamo visto, di varietà straniere e più tardi per il rigido proibizionismo che ne ostacolava l’ingresso a favore delle “autarchiche” varietà nostrane. Con gli anni Sessanta e con il diffondersi della bianca Kènnebec (1948) – più tardi seguita da altre selezioni straniere, come Désirée (1962), Primura (1963), Spunta (1969) e Monalisa (1979), per non citare che le più note – nell’entroterra genovese (come nel resto d’Italia) precipitava la produzione delle varietà locali, caratterizzate da un elevato grado di ambientamento al clima e al territorio, ma ormai poco produttive perché nel frattempo era venuta meno la capacità degli agricoltori di produrre buone patate da seme e di mantenerne la fertilità. Le ragioni del mercato e l’elevata qualità della semente straniera – acquistata ogni anno, oppure ad anni alterni, al consorzio agrario – avevano determinato la rottura del tradizionale circuito di scambio con il quale si mantenevano produttive le patate nostrane. Nel corso degli anni Sessanta si estinguevano anche la Bianca di Como e la Chioggia, mentre nelle località più elevate sopravviveva la Quarantina bianca, ma solo per un limitato uso familiare e con una riduzione della resa produttiva tale da arrivare, venti anni più tardi, molto vicina alla scomparsa.

Bianca di Como

• “Non si è ancora diffusa come merita,

e da alcune località a gran produzione vediamo arrivare sui nostri mercati delle patate scadenti, grossolane, a pelle ruvida, di sapore sgradevole, che si direbbero addirittura selvatiche. Noi pensiamo che se nella nostra zona di alta montagna a clima rigido – comuni di Santo Stefano d’Àveto, Rezzoaglio, Maissana, Varese Ligure, etc. – si coltivasse la patata comasca, come in Riviera, essa sarebbe in grado presto di fornire a quest’ultima le patate da seme” (La semente, 1923) Foto M. Casaleggi

Foto M. Casaleggi

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la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata nel Veneto Giovanni Guarda, Marta Morini

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paesaggio Patata nel Veneto Introduzione

Tipologie di patata in funzione della destinazione d’uso

Dalla scoperta dell’America al 1950 “Credo che prima del 1817 qui non si avesse mai vista una patata, se non forse in mano a qualche dotto, od altro ricercatore di novità. Fu nel 1817, e precisamente per attenuare le mortali conseguenze della carestia prodotta dal mancato raccolto del 1816, che venne introdotta in questa Provincia [Belluno, N.d.A.] la patata quale cibo sussidiario del granoturco.” Questo è quanto scriveva Antonio Maresio Bazolle in Il possidente bellunese (1868-90). Non molto diversa era la situazione sull’altopiano di Asiago, dove il canonico Matteo dal Pozzo già dal 1780 sollecitava la popolazione a coltivare la patata portando l’esperienza degli irlandesi; oppure a Recoaro, ove don Antonio Marchesini e il conte Camillo Valle sin dal 1811 si erano fatti promotori della sua coltivazione per alleviare la fame dovuta alle ricorrenti carestie. Segno tangibile della conoscenza della solanacea in queste contrade è la richiesta, effettuata il 3 novembre 1816, di “50.000 libre di patate da semina” da parte del comune di Recoaro al governo austroungarico per la stagione 1817. Ma qual è stato il motivo di questo grande ritardo nella diffusione della patata, visto che la coltivazione del mais era iniziata già nel 1550? Certamente ciò è dipeso da diversi fattori, tra i quali si ricordano: – la diffidenza delle popolazioni riguardo alla sua utilizzazione alimentare, perché in alcuni Paesi europei la patata era ritenuta

• Tipo A: patate non farinose, a polpa

soda ed umida, con grana molto fine. Eccellenti patate da insalata e cotte al vapore; buone come patate gratinate; non adatte per puré e cotte al forno

• Tipo B: patate a polpa abbastanza

soda, debolmente farinosa, poco umida e a grana fine. Si sfaldano poco dopo la cottura, avendo una consistenza media. Adattabili alle diverse esigenze culinarie

• Tipo C: patate farinose, a pasta piuttosto tenera e asciutta. Si sfaldano dopo la cottura. Buone fritte, per puré, gnocchi e cotte al forno; non indicate come patate da insalata e cotte a vapore

Patata dorata del Guà

Foto S. Padovan

406


patata nel Veneto addirittura velenosa per il contenuto di solanina (un alcaloide molto tossico) nei tuberi inverditi; – la mancanza, fino alla metà del Settecento, di cultivar adatte alle condizioni climatiche italiane in relazione al fotoperiodo (16-18 ore/dì), alle temperature e all’intensità luminosa. Infatti, spesso le varietà presenti in Europa fornivano, come descriveva il botanico Carolus Clusius (1525-1609), piante con steli molto lunghi (2-3 m) che tuberizzavano alla fine dell’estate con produzioni molto scarse. Quest’ultimo problema fu superato, come indicato da John Gregory Hawkes (1915-2007), con l’utilizzo di germoplasma cileno, che permise di selezionare linee precoci sempre più adatte alle condizioni climatiche dell’Europa occidentale e settentrionale. A seguito di questi miglioramenti, dalla metà del XVIII secolo è ricominciata una pressante campagna di promozione per la coltivazione e l’utilizzo alimentare dei tuberi, con l’obiettivo di superare le ricorrenti carestie, dovute alle calamità naturali. Dal 1817, quindi, la patata inizia a essere sempre più coltivata in montagna, negli orti familiari e, piano piano, in pieno campo anche in pianura. Lo scambio e l’ottenimento di nuove cultivar derivate da selezioni estemporanee hanno favorito l’individuazione e la diffusione di cultivar sempre più adatte a ogni territorio. Questo scambio viene narrato anche da Mario Rigoni Stern, nella Storia di Tönle, dove racconta come il protagonista, sul finire dell’Ottocento, avesse portato dall’Austria una patata “viola a pasta bianca che, pur non essendo eccelsa come qualità, era resistente alla conservazione perché non buttava germogli fino a primavera”.

Foto Biblioteca La Vigna

Foto Biblioteca La Vigna

Foto Biblioteca La Vigna

407


paesaggio Infine, come afferma Giovanni Biadene, superato l’ultimo ostacolo della comparsa della peronospora (Phythophthora infestans), negli anni 1845-46, la solanacea è diventata, anche nel Veneto, una delle colture da gran reddito entrando a far parte della rotazione e dei bilanci aziendali e ammessa, a pieno titolo, nella letteratura tra le coltivazioni trattate nei manuali di agronomia.

Qualità culinarie: la patata da gnocchi

• Uno dei principali parametri della

qualità culinaria e tecnologica della patata è dato dalla tessitura della pasta, conseguenza e risultato del grado di “separazione” e “rottura” subito dalle cellule durante la cottura. Essa regola la consistenza, l’umidità, la sfioritura, la farinosità e la grana della pasta e permette di individuare le principali tipologie di utilizzazione culinarie delle patate pelate e cotte a vapore

Dal 1950 a oggi Subito dopo la Seconda guerra mondiale, la coltivazione della patata nel Veneto è rappresentata come segue. In montagna viene coltivata per: – l’autoconsumo, con l’utilizzo prevalente di cultivar locali, che piano piano venivano sostituite dalle cultivar Bintje, Majestic, Tonda di Berlino, Kennebec, Désirée; – la produzione di tuberi da riproduzione in due Centri di Moltiplicazione della Patata da seme (Ce.Mo.Pa.), istituiti dal Ministero dell’Agricoltura con nota n. 3394 del 28/05/1940, uno a Castelletto di Rotzo (VI) per la moltiplicazione della cultivar Bintje, l’altro sulla Lessinia, a Bolca di Vestenanova (VR), per la moltiplicazione delle cultivar Kennebec e Majestic. In pianura viene coltivata anche per l’esportazione verso la Germania e altri Paesi nordeuropei con le seguenti tipologie: – patate novelle o primaticce coltivate nelle zone di ChioggiaRosolina, con la cultivar Bea, e di Lusia-Rovigo, con le cultivar Sieglinde e Ukama, sostituite poi da Jaerla e Primura; – patate precoci coltivate, nell’area compresa tra Lonigo, Cologna Veneta, Montagnana, Este e Noventa Vicentina, inizialmente con le cultivar Bintje (quegli anni erano molto più miti di quelli di oggi), Saskia, Majestic, sostituite poi da Ukama, Draga, Jaela, Spunta, Manna, Monalisa, Primura. Patate di elevata qualità caratterizzate anche da una tipica colorazione dorata della buccia, riconosciuta dal mercato e nei mercuriali della Camera di Commercio come “Patata dorata del Guà”, tanto da spuntare prezzi superiori rispetto alle produzioni precoci delle altre regioni italiane. Dal 1950 lo sviluppo di questa coltura è strettamente legato all’attività dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria Nazareno Strampelli di Lonigo, fondato dall’Amministrazione provinciale di Vicenza. L’attività prevedeva, per la pataticoltura di pianura, l’individuazione di nuove cultivar adatte alle condizioni pedoclimatiche e ben accette dal mercato e, per la montagna, l’assistenza tecnica al Ce.Mo.Pa. di Castelletto di Rotzo per le coltivazioni della patata da seme e, per le altre aree, per il consumo diretto. Nel 1983 la Regione Veneto, sulla spinta dei produttori e dell’industria di trasformazione costretti dal mercato a operare in modo competitivo e stimolati dalle esigenze dei consumatori in termini di qualità, ha promosso il Progetto regionale per la valorizzazione

• Per gli gnocchi la tessitura della

pasta delle patate cotte a vapore deve essere: poco umida, tenera, molto sfiorita, farinosa e avere una grana fine. Tra le centinaia di nuove e vecchie cultivar valutate dall’Istituto N. Strampelli per l’utilizzo come gnocchi sono risultate ottime le cultivar Bintje, Kennebec, Désirée e buone le cultivar Primura, Marabel. Recentemente, però, è stata individuata un’eccellenza nella cultivar locale di Salecchio: “Pomätter Häpfä” (in lingua walser) o “Patata di Formazza”, della Valle Antigorio-Formazza in provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Si tratta di una cultivar caratterizzata da un tubero di pezzatura medio-piccola, tondeggiante, con buccia rossastra e pasta gialla. Gli gnocchi, ottenuti utilizzando pochissima farina, non sono collosi, tengono perfettamente la cottura e risultano soffici e delicati al palato, facendo di questa cultivar locale una realtà da recuperare e diffondere per produzioni di montagna di elevatissima qualità e specialità

408


patata nel Veneto della patata veneta. Utilizzando le sinergie di un gruppo di esperti dell’Istituto N. Strampelli, delle Università di Padova e di Venezia, dell’Ente di Sviluppo del Veneto (ESAV) e dell’Osservatorio per le Malattie delle Piante di Verona, sono state individuate soluzioni alle problematiche di natura tecnica ed economica. Il progetto di ricerca prevedeva: – l’individuazione dell’ideotipo delle cultivar adatte alle condizioni pedoclimatiche e rispondenti alle esigenze di mercato per il consumo diretto e la trasformazione industriale; – la valorizzazione della patata da seme coltivata in montagna e in ambienti di pianura e il miglioramento genetico per l’ottenimento di nuove cultivar; – l’ottimizzazione delle tecniche agronomiche di coltivazione (concimazione, irrigazione, difesa fitosanitaria) e di meccanizzazione delle operazioni colturali (dall’impianto alla raccolta); – la messa a punto delle tecniche di conservazione a breve e a lungo periodo per mantenere elevati gli standard qualitativi dei tuberi. Fino al 2000 l’attività di ricerca e di sperimentazione è proseguita anche con le seguenti iniziative: – la partecipazione al Progetto nazionale per la patata da seme e al Progetto di miglioramento genetico della patata, promossi dal Ministero per le Risorse Agricole e Forestali (MiPAF); – il coordinamento della Rete nazionale di confronto varietale, finalizzata all’individuazione delle migliori cultivar di patata comune e da industria per gli aspetti produttivi, qualitativi e culinari; – la partecipazione a due progetti finanziati dalla Comunità Europea, il primo relativo a un’azione concertata su “Efficiency in use of resources: optimization in potato production”, il secondo, intitolato “Sink to source transition: an investigation of processes regulating dormancy and sprouting in potato tubers”, sui fattori che regolano la dormienza dei tuberi; – l’assistenza tecnica specialistica, effettuata in stretta collaborazione con l’Associazione Produttori di Patata di Verona (A.P.Pa). L’insieme delle attività di ricerca e di sperimentazione hanno permesso di mettere a punto le tecniche colturali dalla semina alla raccolta e le operazioni di valorizzazione del prodotto dalla conservazione alla lavorazione dei tuberi. Si tratta di tecniche ormai diventate patrimonio della DOP (denominazione di origine protetta) della “Patata dorata del Guà”. In particolare l’ideotipo delle cultivar per la coltivazione in quest’area è quello delle patate precoci e semiprecoci che sono così caratterizzate: – massimo accrescimento vegetativo (300 g/m2 di s.s.) ed estensione del LAI (Leaf Area Index) (pari al 5,3) intorno ai 70 giorni dall’impianto e successiva rapida senescenza delle foglie e degli steli;

Accrescimento della cultivar precoce Manna a 78 giorni dall’impianto

Foto Servizio Fitopatologico della provincia di Vicenza

Sede dell’Istituto di Genetica e sperimentazione Agraria Nazareno Strampelli di Lonigo

409


paesaggio Accumulo di sostanza secca degli steli, delle foglie, dell’apparato vegetativo e LAI in cultivar precoci 350

5

300 Peso secco (g/m2)

• Chi vuole conoscere la storia della

patata non può prescindere da una visita alla biblioteca internazionale La Vigna di Vicenza (www.lavigna.t), specializzata nel settore di studi sull’agricoltura e fondata dall’imprenditore vicentino Demetrio Zaccaria negli anni Cinquanta del secolo scorso. Il fondo librario ammonta oggi a circa 47.000 volumi, riguardanti non solo la vitivinicoltura, il principale interesse del collezionista, ma anche tutti i prodotti della terra, con pubblicazioni stampate dalla fine del Quattrocento ai giorni nostri. Sulla patata in particolare il fondo documentario, comprendente un migliaio di libri, tra cui i più importanti testi sull’argomento stampati a partire dal Settecento, è ritenuto il più ricco dal punto di vista storico e tecnico. La biblioteca La Vigna è affiancata da un Centro di Cultura e Civiltà Contadina che promuove attività culturali, ricerche, convegni su specifici argomenti, per favorire il progresso dell’agricoltura promuovendo la conoscenza e diffusione della cultura e della civiltà contadina

250

4

200

3

150

2

100

1

50 0

LAI

Biblioteca La Vigna

28

50

64

78

92

106

120

134

0 148

Giorni dall’impianto Foglie

Steli

Totale

LAI

– inizio della fase di massima traslocazione dell’amido dalle foglie ai tuberi a 80-90 gg dall’impianto: seconda decade di giugno; – raggiungimento della maturità agronomica dei tuberi intorno ai 110-120 giorni dall’impianto: seconda-terza decade di luglio (1300 g/m2 di s.s. e 18,5% di s.s. nei tuberi); – asportazioni di azoto (20 g/m2), fosforo (< 5 g/m2) e potassio (30 g/m2) che raggiungono il loro valore massimo intorno agli 80 giorni dall’impianto. Nelle cultivar molto precoci il ciclo vegetativo termina all’incirca tra la prima e la seconda decade di giugno con produzioni piuttosto basse. Talvolta alcune cultivar, come ad esempio Carina, Charlotte, Pentland Javelin, manifestano un vero e proprio collasso della vegetazione al verificarsi, nel periodo compreso tra la fine di maggio e i primi di giugno, delle seguenti condizioni:

Variazioni del peso e della percentuale di s.s. dei tuberi, durante il ciclo colturale, in relazione al calibro degli stessi in cultivar precoci

Patata dorata del Guà: coltivazione nel Basso Vicentino

1400 1200 1000 800 600 400 200 0

28

50

64

78

92

106

Giorni dall’impianto < 35

410

20 19 18 17 16 15 14 13 12 11 10 134

% s.s.

Peso secco (g/m2)

Foto Servizio Fitopatologico della provincia di Vicenza

35-55

> 55

% s.s.

120


patata nel Veneto – fase fenologica di massima traslocazione dell’amido dalle foglie ai tuberi; – improvviso innalzamento delle temperature (colpo di calore) da molto fresche (min < 10 °C e max < 20 °C) a molto calde (min > 20 °C e max > 30 °C). Al verificarsi di queste condizioni si osserva la comparsa di necrosi sulle foglie, il lembo fogliare si accartoccia, diventa croccante e la pagina inferiore assume una colorazione argentea. Ciò comporta la chiusura anticipata del ciclo vegetativo e il mancato ingrossamento dei tuberi. Questo fenomeno appare attribuibile al blocco del trasferimento dell’amido sintetizzato dalle foglie ai tuberi per cui le cellule del parenchima fogliare, ripiene di amido, muoiono provocando così la degenerazione dei tessuti. In quelle semitardive e tardive, invece, la maturazione agronomica avviene verso la fine di agosto con produzioni che, spesso, risultano inferiori a quelle delle cultivar semiprecoci. Queste cultivar, infatti, sono molto sensibili all’effetto delle elevate temperature estive, soprattutto quelle notturne, che favoriscono l’accrescimento dell’apparato aereo a scapito dell’accumulo di sostanza secca nei tuberi. Fenomeno questo che, talvolta, è accompagnato anche dalla comparsa di gravi fisiopatie dei tuberi (germogliazione anticipata, tuberi a rosario, accrescimenti secondari, seconde tuberizzazioni). Ciò non accade in montagna e nel Nord Europa, perché le temperature più fresche limitano l’accrescimento dell’apparato aereo, accelerano la traslocazione dell’amido nei tuberi e impediscono la comparsa delle fisiopatie. Alcuni esempi significativi di questo diverso comportamento si osservano nelle cultivar Bintje ed Agria e in molte cultivar da fecola che, negli ambienti più freschi, espri-

Collasso della vegetazione per improvviso innalzamento delle temperature nella cultivar Pentland Javelin Foto S. Padovan

Monitoraggio della tignola Foto S. Padovan

Larve di dorifora Patata di Formazza

411


paesaggio mono la massima potenzialità produttiva, qualitativa (contenuto % di amido) e culinaria. Infine, il programma di miglioramento genetico attuato dall’Istituto “N. Strampelli” ha portato alla costituzione della cultivar Alba. L’attività di riproduzione di questa cultivar, attivata in stretto accordo con l’A.P.Pa., è stata attuata utilizzando la tecnica di micropropagazione in vitro per la produzione di microplantule e quindi dei minituberi e dei successivi tuberi seme. Nel 1997 si era raggiunta la coltivazione di 1 ha di patate destinate alla riproduzione e al successivo lancio commerciale della Cv Alba. In quell’annata una grave infezione dovuta al Potato Virus YNTN (PVYNTN ), virus della necrosi dei tuberi, ha impedito l’ottenimento di tuberi seme certificabili. Ciò ha bloccato ogni ulteriore possibilità di ripresa dell’attività di moltiplicazione, anche per gli elevatissimi costi per la riproduzione e la diffusione della cultivar stessa. Anche la produzione di patata da seme in pianura si è arenata non per gli aspetti sanitari (virosi in particolare) dei tuberi-seme prodotti ma per gli aspetti legati alla loro“età fisiologica”. Essa, infatti, definisce lo stato di giovinezza o di vecchiaia del tubero che condiziona l’energia germinativa delle gemme. Quando i tuberi seme sono ottenuti in condizioni di basse temperature le gemme risultano “fisiologicamente giovani” ad elevata energia germinativa. Se, invece, sono ottenuti in condizioni di elevate temperature, esse sono “fisiologicamente più vecchie”, con scarsa energia vegetativa. In quest’ultimo caso le successive coltivazioni destinate al consumo forniscono significative diminuzioni delle produzioni. Attualità della pataticoltura veneta Nel 2010 che cosa è rimasto del grande attenzione degli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso verso questa solanacea? L’in-

Ettari

Superfici investite a patata nel Veneto

Scarico munito di convogliatore a imbuto e cinture incrociate (di sacco di juta) per attutire la caduta dei tuberi dalla tramoggia nei contenitori di raccolta (cassoni)

5000 4500 4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0

Verona Vicenza Belluno Treviso Venezia Padova Rovigo Totale Media 1986-’89

Media 1996-’99

Media 2006-’09

Fonte: elaborazione su dati Unioncamere del Veneto e ISTAT

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patata nel Veneto Produzioni di patata nel Veneto

Quintali

1.800.000 1.600.000 1.400.000 1.200.000 1.000.000 800.000 600.000 400.000 200.000 0

Verona Vicenza Belluno Treviso Venezia Padova Rovigo Totale Media 1986-’89

Media 1996-’99

Media 2006-’09 Cultivar Bjntie: aspetto dei tuberi pelati e cotti al vapore

Fonte: elaborazione su dati Unioncamere del Veneto e ISTAT

costanza dei prezzi di vendita, che variano notevolmente di anno in anno, e gli elevati costi di anticipazione per la coltivazione hanno reso economicamente meno interessante la coltivazione della patata. Infatti, dal confronto dei dati statistici, delle medie quadriennali degli anni 1986-89 con quelle degli anni 2006-09, essa ha perso tanto in termini di superfici investite, che si sono ridotte da 4726 ha a 3422 ha rispettivamente (–28%), quanto di produzioni complessive, che sono diminuite passando da 1.562.729 q a 1.308.784 q rispettivamente (–16%). Al contrario, per l’aumento dell’incidenza della coltivazione nelle zone più vocate di pianura, le rese unitarie sono aumentate, passando da 330 q/ha a 382 q/ha rispettivamente (+14%). In relazione alle diverse aree di coltivazione, si può affermare che a Chioggia-Rosolina e Lusia-Rovigo la pataticoltura sia quasi scomparsa. In montagna è fiorente solo la realtà della Patata di Rotzo che, con la cultivar Bintje, fornisce un prodotto di elevatissima qualità culinaria. La coltivazione della patata è inoltre presente in piccoli altri avamposti vicentini come Posina, Recoaro e Selva di Trissino con la sua De.C.O. (Denominazione Comunale di Origine) sovracomunale: “Patata Monte Faldo”. Nel Bellunese significativa è la De.C.O. di Cesiomaggiore. Nel Trevigiano è coltivata in località Quartier del Piave, nei comuni di Vidor, Moriago e Sernaglia, e sul Montello, dove dal 1996 viene commercializzata con il marchio “Patata del Montello”. L’unica realtà pataticola significativa del Veneto è quella della DOP “Patata dorata dei terreni rossi del Guà”, compresa tra le province di Vicenza, Verona e Padova. Si tratta di una realtà che ha superato, grazie alle ampie superfici aziendali, alla totale meccanizzazione della coltura e alle ottime caratteristiche qualitative e di conservabilità dei tuberi ottenuti, tutte le vicissitudini commerciali di cui questa coltura soffre.

Patata di Formazza: aspetto dei tuberi pelati e cotti a vapore

Patata di Formazza: gnocchi cotti

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la patata Foto R. Angelini

paesaggio Patata in Trentino Alto-Adige Giovanni Biadene

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paesaggio Patata in Trentino-Alto Adige Foto M. Galli

Habitat pataticolo trentino-tirolese Per una coltura come la patata, che alla fine del Novecento occupava il 2% della superficie agraria nazionale, non è certo facile incidere significativamente sul paesaggio agrario, se non nei pochi comprensori in cui essa si afferma come particolarmente interessante dal punto di vista economico. Ma anche in tal caso ciò si verifica solo per un breve segmento del ciclo colturale, grazie soprattutto alla fioritura, manifestazione sempre più rara nelle nuove varietà. Ciò premesso, le due province di Trento e Bolzano, sia pure abbinate negli ultimi duecento anni di storia, hanno conservato caratteri propri piuttosto distinti, e questo si conferma anche per quanto riguarda la pataticoltura, benché di tale attività si sia occupata la medesima persona, il commendatore Giulio Catoni di Trento, che per due volte, a cavallo tra Ottocento e Novecento, fu chiamato a operare nella difficile fase di transizione tra tre diverse forme politico-amministrative, vale a dire da quella asburgica a quella dittatoriale, e da questa all’attuale ordinamento democratico, sempre con l’apporto, proprio alla pataticoltura, di nuovi spunti di progresso, dimostrando così come una tecnica saggiamente applicata possa essere indipendente dalle questioni politiche. Trentino Riguardo al Trentino, sin dalla fine del secondo conflitto mondiale esso fu un importante bacino di produzione di tuberi soprattutto da consumo, sulla scia di due principi, uno ambientale, secondo il quale l’intero territorio provinciale era considerato “di montagna” e quindi particolarmente idoneo alla solanacea, e l’altro sociale,

Campo di patate da seme a Brunico, disseccato artificialmente

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patata in Trentino-Alto Adige in quanto la patata rappresentava la chance di un incremento immediato del reddito, di cui necessitava proprio l’agricoltura delle montagne. I due motivi si accordarono perfettamente anche con le esigenze alimentari del periodo bellico dei primi anni Quaranta. La pataticoltura, benché propagandata in tutte le vallate trentine, si affermò soprattutto nell’alta Val di Non, grazie alla varietà scozzese Majestic, allora insuperata patata da montagna, che va oggi cercando di riscattarsi con una produzione locale di tuberi da seme, mentre nel resto del territorio provinciale la pataticoltura sopravvive a livello di consumo familiare o strettamente locale. Ma, concentrata nell’alta Val di Non, la patata finì con l’andare a contendere spazio alla rinnovata melicoltura: una lotta impari, quindi, tra una coltura erbacea annua e una arborea pluriennale, quest’ultima supportata da un’affermata organizzazione commerciale, per cui attualmente la pur abbondante, ma rasoterra, fioritura bianca, tipica della Majestic, si trova a rivaleggiare con la ben più aerea e vaporosa fioritura, altrettanto bianca, dei meleti.

Foto M. Galli

Alto Adige In Alto Adige si è cominciato a parlare di pataticoltura alla fine del primo conflitto mondiale: ce lo conferma una pubblicazione del 1918 della Camera di Commercio di Innsbruck, che descrive i risultati (positivi) del primo anno di sperimentazione della coltura in Val Pusteria, dove il tubero era ancora pressoché sconosciuto e il fabbisogno della clientela turistica, già allora alquanto numerosa, veniva soddisfatto con l’importazione dall’Austria. E probabilmente da quegli anni, quando si parla di patate tirolesi, si intendono le patate di questa vallata, che si è fatta un buon nome a livello nazionale, specie per la produzione di tuberi-seme, rappresentando praticamente la principale provenienza nazionale. In Pusteria il paesaggio caratteristico dei campi coltivati a patate si veste di un aspetto specifico dovuto proprio alle colture dei tuberi da seme, la cui produzione esige la distruzione anticipata della parte aerea dei cespi in piena vegetazione per la salvaguardia dello stato fitosanitario dei tuberi che ne derivano. È così che nel giro di pochi giorni gli appezzamenti destinati a seme, staccandosi improvvisamente dal mare verde che d’estate costituisce il vanto della valle – dovuto alla praticoltura, al mais da foraggio e soprattutto ai boschi, e nel quale le patate stesse scomparivano –, virano decisamente al giallo-bruno arricchendo il paesaggio agrario di queste nuove impreviste pennellate. In estrema sintesi, il paesaggio pataticolo del Trentino-Alto Adige si riassume nella coltivazione più intensiva, da consumo in Val di Non, e da seme in Val Pusteria. Per il resto si tratta di coltivazioni isolate, locali, familiari e persino di carattere hobbistico. In altre parole, se nei primi anni Cinquanta, scorrendo le campagne della regione, si incontravano nove campi di patate e uno di mais, attualmente il rapporto si è letteralmente invertito.

Foto P. Bacchiocchi

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