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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Configurazione dell’agrumeto Francesco Intrigliolo, Giancarlo Roccuzzo
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).
coltivazione Configurazione dell’agrumeto Il diffondersi del virus della tristeza (CTV, Citrus Tristeza Virus), sebbene contribuisca a incrementare lo stato di crisi dell’agrumicoltura italiana, rappresenta nel contempo un’opportunità per una massiccia riconversione degli impianti, realizzati in modo razionale con portinnesti tolleranti e nuove combinazioni d’innesto. Le scelte nella fase di definizione di un nuovo impianto sono molteplici e dipendono da numerosi fattori: i più importanti sono le condizioni pedoclimatiche, la combinazione d’innesto e l’agrotecnica. Oltre alla corretta impostazione iniziale dell’agrumeto, è indispensabile un’oculata gestione colturale dell’impianto per coniugare il contenimento dei costi, la salvaguardia e la rinnovabilità del suolo e la qualità della produzione. In tale contesto, per la sopravvivenza dell’agrumicoltura italiana, viste le attuali condizioni di mercato, colturali e culturali, è indispensabile continuare a destinare una parte consistente della produzione al consumo fresco, elevandone ulteriormente lo standard qualitativo.
Campionamento del suolo
• Il campione di terreno, per essere
rappresentativo, deve rispecchiare le caratteristiche dell’area di riferimento. Le aree di campionamento devono essere omogenee dal punto di vista geologico, pedologico, topografico e morfologico; i prelievi si dovranno effettuare evitando i bordi e i punti anomali, secondo due metodologie: campionamento sistematico e non sistematico
• La profondità di prelievo consigliata
è di 2-40 cm, risultando utile un ulteriore prelievo alla profondità di 40-80 cm, qualora lo strato più profondo abbia caratteristiche differenti e per meglio definire la fertilità degli strati esplorabili dagli apparati radicali
• Esistono pochi rilievi sperimentali sulla
Valutazione delle condizioni pedologiche Prima dell’impianto risulta determinante valutare le caratteristiche del suolo e compiere le conseguenti scelte tecniche per indirizzare la configurazione dell’agrumeto, correggendo eventuali anomalie e difetti. Risultano, però, indispensabili alcune carat-
taratura agronomica del terreno per gli agrumi. I valori riportati nelle tabelle hanno valore indicativo, in considerazione delle diverse condizioni pedoclimatiche di coltivazione degli agrumi
Schema di campionamento del suolo: sistematico e non sistematico a W (da Intrigliolo et al., 1999) Sistematico
pianta
Prelievo di terreno con trivella a motore
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campione elementare
Non sistematico a W
pianta
campione elementare
configurazione dell’agrumeto Valori di riferimento per l’interpretazione dell’analisi del terreno per alcuni dei principali parametri chimico-fisici (da Intrigliolo et al., 1999) Parametro pH (suolo/acqua 1:2,5)
Livello molto basso
basso
normale
alto
molto alto
<5,5
5,5-6,5
6,6-7,5
7,6-8,5
>8,5
Calcare totale (% Ca CO3)
<2
2-10
11-20
21-40
>40
Calcare attivo (% CaCO3)
<1
1-4
5-9
5-10
>10
<0,50
0,50-1,00
1,01-1,25
1,26-3,00
>3,00
<6
6-8
9-11
12-16
>16
Conduc. elettrica (EC1:2) (mS/cm) C/N C.S.C. (meq/100 g)
<5
5-10
11-20
21-30
>30
Ca scambiabile (% C.S.C.)
<25
25-45
46-75
76-90
>90
Mg scambiabile (% C.S.C.)
<5
5-10
11-20
21-25
>25
K scambiabile (% C.S.C.)
<2
2-4
5-8
9-12
>12
Na scambiabile (% C.S.C.)
<1
1-2
3-9
10-15
>15
Ca/Mg (da valori in meq/100 g)
<1
1-3
4-6
7-10
>10
K/Mg (da valori in meq/100 g)
<0,01
0,10-0,15
0,16-0,35
0,36-0,60
>0,60
Mg/K (da valori in meq/100 g)
<1,5
1,5-2,9
3,0-6,0
6,1-10,0
>10,0
teristiche minime di base, associate a idonee condizioni climatiche e alla sufficiente disponibilità e qualità dell’acqua. Gli agrumi riescono ad adattarsi a condizioni estreme di tessitura del suolo, dai tipi sabbiosi e poveri ai tipi argillosi e pesanti, a quelli ricchissimi in scheletro. Tuttavia tali caratteristiche non
Sfalcio di copertura vegetale spontanea Triturazione del materiale di risulta della potatura
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coltivazione ottimali, condizionando lo sviluppo e la produttività delle piante, comportano maggiori investimenti e interventi mirati di agrotecnica, che riducono ulteriormente la redditività dell’impianto. Nei terreni marginali la maggiore causa d’insuccesso risiede nell’agrotecnica inadatta alle effettive esigenze del sito di coltivazione. Come per molte colture arboree, anche per gli agrumi i suoli certamente più adatti sono quelli di medio impasto e profondi, perché garantiscono l’adeguato sviluppo dell’apparato radicale anche in profondità, il miglioramento degli aspetti legati alla nutrizione e all’irrigazione, il mantenimento di adeguati livelli di umidità e il migliore sgrondo delle acque in eccesso. È indispensabile conoscere le caratteristiche del suolo da impiantare, attraverso un’analisi preliminare e una valutazione del suo profilo. Tali determinazioni devono essere realmente rappresentative dell’intera superficie. L’agricoltore deve identificare il suolo non solo come il mezzo attraverso cui alimentare la pianta, ma come il vero motore della gestione colturale dell’agrumeto. Per esempio, questo è il presupposto base per la conduzione biologica.
Gestione dell’agrumeto biologico
• L’agricoltura biologica è l’agricoltura
della sostanza organica. Nel caso dell’agrumicoltura biologica specializzata è fondamentale mantenere l’agrosistema in equilibrio attraverso l’utilizzo razionale delle risorse interne al sistema, riducendo al minimo gli apporti esterni
• Tali risorse sono da ricercare:
- n el reintegro nel suolo del materiale organico prodotto in azienda, in particolare il materiale di risulta della potatura; - n elle colture di copertura e nella loro gestione (sovescio, pacciamature)
Valutazione dei parametri climatici Approfondite valutazioni iniziali dei parametri climatici dell’area dove realizzare l’agrumeto sono di fondamentale importanza: alcuni di questi parametri condizionano la sopravvivenza delle piante, altri sono indispensabili per ben definire quale agrume impiantare. È essenziale ricordare che gli agrumi sono piante con strutture anatomiche e fisiologia tipiche delle zone tropicali, che hanno trovato nelle aree subtropicali semiaride le migliori condizioni produttive, in particolare per l’aspetto qualitativo. È inoltre importante considerare che non tutte le specie e cultivar hanno la stessa plasticità nei confronti delle condizioni ambientali. Le temperature, i livelli di umidità relativa, l’insolazione, il vento, la piovosità e altri parametri, se non presenti congiuntamente in condizioni ottimali, sono fattori fortemente limitanti per uno sviluppo commercialmente sostenibile dell’agrumicoltura. Tuttavia le gelate invernali rappresentano il principale fattore che limita la coltivazione degli agrumi in molte aree dell’Italia meridionale e insulare. La loro gravità dipende dal periodo in cui avvengono: in pieno inverno il danno, con l’eccezione di temperature al di sotto di –2 °C, è prevalentemente limitato ai frutti pendenti. A fine inverno, con la pianta nella fase della ripresa vegetativa e conseguentemente in condizione di consistente idratazione dei tessuti, i danni alla nuova vegetazione e alle strutture legnose di diverso ordine, soprattutto quelle meno lignificate, possono essere devastanti. In questa fase fenologica l’evento è particolarmente negativo perché influenza in modo notevole non solo la fruttificazione dell’anno ma la sua regolarità futura, predisponendo la
• Tale approccio può consentire di
migliorare la modulazione nel rilascio degli elementi della nutrizione e la gestione delle limitate risorse idriche
Materiale di risulta della potatura triturato
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configurazione dell’agrumeto pianta all’indesiderato fenomeno di alternanza di produzione, non facilmente e prontamente risolvibile. L’incidenza delle gelate è maggiore oltre una certa distanza dalla fascia costiera e ad altitudine ridotta, in particolare se l’impianto è collocato nei fondovalle, dove sono più scarsi i movimenti dell’aria e maggiori le perdite di calore per irraggiamento durante la notte. È evidente come la scelta del sito sia ampiamente condizionata dalla frequenza dell’evento gelivo, per cui un’alta probabilità sconsiglia l’impianto dell’agrumeto. L’effetto dalle gelate può essere limitato agronomicamente con l’utilizzo come portinnesto dell’arancio trifogliato (Poncirus trifoliata L.), che induce una maggiore tolleranza al freddo. Incide anche la conduzione del suolo; nel caso non sia inerbito migliora la portanza termica del sistema, con maggior accumulo di calore durante il giorno e sua restituzione all’ambiente di notte, anche se ciò può comportare altre problematiche. È soprattutto l’uso dei ventilatori antigelo a svolgere un’azione di difesa dalle gelate, anche se deve essere considerato l’aspetto economico di tale intervento, sia per il costo iniziale dell’impianto sia per gli elevati costi di gestione, in primo luogo per il carburante.
Danni da gelo che interessano anche le parti legnose della chioma
Scelta della combinazione d’innesto L’agrumeto è un impianto arboreo a ciclo poliennale lungo, tuttavia rispetto al passato, per la rapida dinamicità nei cambiamenti varietali e per i mutati assetti colturali, la vita produttiva di un agrumeto si è consistentemente ridotta e l’impianto non può considerarsi un investimento per diverse generazioni. Le scelte da compiere all’impianto sono fortemente condizionate sia dallo sviluppo che la pianta raggiungerà a maturità, per la combinazione d’innesto scelta, sia dal diverso portamento delle differenti specie e cultivar. Per un problema di risanamento delle varie accessioni di agrumi dalle malattie da virus e virus-simili, è stata fortemente seguita la via delle progenie nucellari. Queste sono caratterizzate, anche se in modo alquanto diverso, da una più lunga fase giovanile e dal rilevante sviluppo vegetativo; nei casi estremi si possono avere consistenti condizionamenti sul sesto d’impianto e sulla conduzione dell’agrumeto. Si dovrà, invece, incentivare sia l’utilizzo del risanamento attraverso il microinnesto sia l’uso di nuovi portinnesti che riducano lo sviluppo finale delle piante, a tutto vantaggio dell’assetto colturale dell’agrumeto. Gli agrumi, con l’eccezione del pompelmo, fruttificano prevalentemente all’esterno della chioma, raramente a una profondità interna superiore a un metro e comunque in forte dipendenza dei livelli di luminosità. Di conseguenza, nella parte superiore della chioma si ha una maggiore insolazione rispetto a quella inferiore,
Rilevanti danni da gelo su piante di clementine
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coltivazione soprattutto nei sesti troppo stretti in cui si verifica un eccessivo ombreggiamento. In numerosi studi poliennali e in varie condizioni di campo, è stato dimostrato che esiste una correlazione positiva tra lo sviluppo della superficie fogliare e la produttività. In ciascuna situazione puntuale, anche in relazione a considerazioni economiche legate alle operazioni colturali richieste (per esempio potatura, diradamento, raccolta), si dovrà tendere a ottimizzare lo sviluppo della parete fruttificante, mediante la densità d’impianto più utile per la combinazione d’innesto ritenuta idonea per le specifiche condizioni pedoclimatiche. In una situazione di costante crisi, legata in prevalenza alla mancata realizzazione di efficienti strutture di mercato, all’impianto di un agrumeto si deve considerare principalmente la vocazionalità del sito produttivo, più che inseguire spasmodicamente l’innovazione varietale. La scelta di specie e varietà, combinazione d’innesto e sesto d’impianto è semplicemente la conseguenza dell’attenta valutazione delle condizioni pedoclimatiche locali e dell’esperienza pregressa nella zona, per massimizzare l’intercettazione dell’energia luminosa e l’assimilazione della CO2 in un prodotto di qualità.
Macchina a vento per la difesa dalle gelate per irraggiamento, in un giovane aranceto impiantato al sesto 6 × 4 m
Scelta delle distanze e del sesto d’impianto Obiettivo primario nella definizione della configurazione d’impianto, come conseguenza della densità di piante per ettaro e dell’orientamento dei filari, è quello di dare la possibilità alle piante, nella stazione di maturità, di intercettare la massima quantità di luce e mantenere uno spazio sufficiente nell’interfilare per il movimento di operatori e macchine operatrici. Tuttavia, nella maggioranza delle condizioni di campo è da preferire il sesto a rettangolo con orientamento degli interfilari nord-sud. Un errore di valutazione dello sviluppo finale della pianta porta, se in eccesso, a un minore sfruttamento della superficie coltivata e a conseguenti riduzioni di produzioni per ettaro. Al contrario, densità troppo elevate comportano un aumento di produzione per ettaro nei primi anni, ma nella fase di maturità rese inferiori, scadimenti della qualità dei frutti, oltre a indispensabili drastiche potature per ridurre l’eccessiva competizione tra le piante. Distanze e sesto d’impianto, variando anche in modo consistente in funzione della combinazione d’innesto, delle condizioni pedoclimatiche e di reimpianto, non sono definibili in modo rigido. Per alcune tra le più comuni varietà dell’agrumicoltura italiana si possono orientativamente proporre, con l’uso di portinnesti a vigoria media, le seguenti distanze d’impianto: – 6 × 5 m per i cloni nucellari di arancio Tarocco TDV, 57-1E-1, per diversi cloni di limone Femminello (Siracusano 2Kr e altri); – 6 × 4 m per gran parte dei cloni risanati e nucellari di arancio, per i limoni a sviluppo più contenuto, mandarini, ibridi triploidi e bergamotto;
Giovane impianto di arancio Tarocco costituito e condotto in base a canoni moderni
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configurazione dell’agrumeto –5 × 4 m per i clementine Comune, Fedele, Hernandina, Spinoso, per l’arancio Navelina e Newall, per i mandarini Nova e Primosole; –5 × 3 m per i clementine Caffin e ClemenRuby, il satsuma Miyagawa, il cedro Diamante. È stato considerato, anche per le varietà a sviluppo contenuto, un intervallo nell’interfilare di 5 m come l’ampiezza minima per consentire uno spazio sufficiente per la movimentazione di tutte le macchine operatrici. Nei sesti dinamici, invece, si prevede fin dall’impianto la possibilità di una coesistenza, per un numero di anni non definibile a priori, di un elevato numero di piante per ettaro, per arrivare nel tempo al sesto definitivo. Anche in questo caso è importante mantenere, fin dall’impianto, un interfilare agevolmente percorribile dai mezzi meccanici. L’inizio del diradamento, e dei relativi interventi preparatori di riduzione della chioma delle piante da eliminare, dipende da diversi fattori, tuttavia queste operazioni devono precedere l’insorgenza di un’eccessiva competizione tra gli alberi. Nel medio-lungo periodo, infatti, la produttività e l’utile netto dell’agrumeto non sono legati alla densità d’impianto, bensì all’efficienza della parte produttiva.
Vecchio impianto di arancio Tarocco non più rispondente ai canoni colturali della moderna agrumicoltura
Impianto dell’agrumeto Quanto finora riportato non è sufficiente per il buon esito dell’impianto; alcuni interventi operativi, che partono tuttavia da queste preliminari considerazioni, sono altrettanto indispensabili. Nell’agrumicoltura italiana sono decisamente più frequenti i reimpianti, per cui il primo intervento consiste nell’eliminazione del preesistente agrumeto, con contestuali lavori di scasso e sistemazione del terreno. La profondità dello scasso è funzione anche dello spessore del terreno e degli strati indesiderati da non portare in superficie. In condizioni normali dovrebbe aggirarsi intorno a 80-120 cm, con un’azione di rivoltamento e mescolamento. Seguono l’eliminazione dei residui di radici della precedente coltura e l’eventuale spietramento e livellamento del terreno. Nei terreni poco profondi o con strati da non portare in superficie è più conveniente ricorrere ad attrezzi discissori (ripper), che non hanno una funzione di rimescolamento ma solo quella di tagliare più o meno in profondità il suolo. In questa fase, in funzione delle risultanze analitiche, si può procedere a interventi di ammendamento, correzione e concimazione di fondo. Con l’utilizzo di adeguati mezzi meccanici e l’adozione di sistemi irrigui localizzati sono cambiate le operazioni d’impianto, ma soprattutto sono venuti meno i minuziosi livellamenti e la formazione delle conche o di opere murarie per l’adduzione dell’acqua, interventi dai costi oggi improponibili. Nei terreni pianeggianti è fondamentale l’eliminazione degli eccessi di acqua piovana, con la realizzazione di fossati e/o drenaggi capaci di allontanare le acque in opere di bonifica aziendali o con-
Impianto di arancio Valencia Late con iniziale sesto 6 × 4 × 2 m in cui è stato effettuato un diradamento con eccessivo ritardo; è evidente la competizione esercitata dalla piante eliminate
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coltivazione sortili. È anche possibile modellare il terreno a formare baulature di vario tipo e dimensione, sempre che le condizioni di campo lo rendano affettivamente necessario. Questi interventi sono, infatti, sconsigliabili nei terreni in pendenza, in cui potrebbero aumentare i fenomeni di erosione e, in generale, dove il drenaggio naturale del suolo è sufficiente per lo sgrondo delle acque piovane. Inoltre, essi possono avere un costo iniziale consistente e condizionare, anche negativamente, molti interventi di agrotecnica, in particolare la gestione del suolo. Nei terreni declivi le operazioni consistono, in funzione dei molteplici fattori tecnici ed economici, in movimenti di terra per definire e addolcire le pendenze, predisporre i siti di piantagione lungo le curve di livello o, nel caso di pendenze rilevanti, per la formazione di ampi bancali a ciglionatura. Il movimento e il modellamento di grandi quantità e superfici di suolo portano, se mal gestiti, alla riduzione dello strato attivo di terreno agrario e all’affioramento di terreno non agrario, pietrame e orizzonti con caratteristiche indesiderate. Ancora più pericolosi sono i cambi di pendenza e di livello, che comportano enormi rischi di fenomeni erosivi su un substrato non ancora assestato e sovente privo di copertura vegetale, fenomeno aggravato anche da eccessive lavorazioni dopo l’impianto. In fase di pre-impianto deve essere valutata con molta oculatezza la realizzazione delle opere “infrastrutturali” utili per migliorare la gestione agronomica di un impianto (impianti irrigui, stradelle, frangivento, impianti antigelo, drenaggi, affossature, baulature ecc.). Per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico, le scelte tecniche e impiantistiche (qualità e quantità dell’acqua irrigua, va-
a)
b)
Intervento di spietramento (a) e livellamento (b) del terreno
Fossato di scolo per l’eliminazione dell’acqua piovana in eccesso Agrumeto estirpato, in evidenza le ceppaie rimosse
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configurazione dell’agrumeto sche di raccolta dell’acqua, sistema irriguo, impianto di fertirrigazione ecc.) sono di primaria importanza e devono essere previste e valutate con scrupolo e precisione estremi. La realizzazione di alcuni interventi dipende da un’effettiva esigenza: i frangivento vivi o morti possono essere di reale utilità in aree ventose, mentre in altre condizioni possono essere inutili se non pregiudizievoli, limitando lo sviluppo di interi filari (nel caso di frangivento vivi) o riducendo la circolazione dell’aria nelle aree soggette a gelate. Infine, assestato il terreno, si procede alla messa a dimora delle piante; l’epoca dell’impianto, visto l’utilizzo corrente di piante in fitocella, riveste minore importanza rispetto al passato. Potatura La potatura deve essere condotta tenendo conto di molteplici fattori; tuttavia, pur nel rispetto della fisiologia della pianta, deve essere sempre più valutata l’incidenza economica sull’intera gestione dell’agrumeto. Gli interventi sono indirizzati ad assecondare la fisiologia della pianta, riducendo i fattori di stress per raggiungere un buon equilibrio tra la fase vegetativa e quella produttiva. È soprattutto l’età della pianta, se non intervengono particolari esigenze, a giocare un ruolo rilevante nel tipo d’intervento da praticare.
Baulature in un giovane impianto e rete frangivento
Piante giovani Gli agrumi, nella iniziale fase di formazione, vanno curati soprattutto per ottenere un’impalcatura robusta ed equilibrata, costituita in genere da 3-4 branche principali che si svilupperanno a 30-50 cm dal colletto.
Impianto in zona collinare con ciglionature
Impianto in zona collinare con la formazione di strette terrazze, sistemazione tipica della vecchia agrumicoltura Baulatura a bancale con impianto a file binate
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coltivazione Le piantine che in vivaio hanno ricevuto una buona impalcatura nei primi anni dall’impianto necessitano di limitati interventi; sviluppandosi liberamente, assumeranno l’habitus vegetativo tipico della cultivar. Il più grave e comune errore in questa fase è la soppressione dei rami apicali, anche se ben posizionati, e di quelli più penduli; con questo intervento si elimina un’eccessiva quantità di materiale vegetale, si limita fortemente lo sviluppo in altezza della pianta, si sopprime la parte bassa della chioma (la prima a entrare in produzione) e si allunga la fase giovanile. Tuttavia, si può ricorrere a qualche intervento al fine di regolare meglio l’impalcatura definitiva della pianta, riducendo eventuali successivi tagli drastici. Piante adulte Gli agrumi per diversi anni dopo l’impianto non necessitano, in genere, di interventi pesanti. Non è facile stabilire l’inizio e la frequenza di interventi regolari, perché condizionati da fattori come la specie, la cultivar, la densità d’impianto, le condizioni pedoclimatiche e, in modo più rilevante, dall’ottimale equilibrio vegetoproduttivo della pianta. Esiste una complementarietà tra intensità e frequenza degli interventi: a intervalli più lunghi corrispondono potature più drastiche, con tagli più grossi e conseguenti risposte vegetative più vigorose. Intervalli più brevi permettono di ottenere un maggior equilibrio tra tempi d’intervento, produzione e qualità dei frutti. Nei sesti più larghi il progressivo esaurimento della parte più interna della chioma può essere compensato da un’espansione laterale e verticale, che inizialmente conserva costante la produzione
Frangivento che limita lo sviluppo del primo filare a)
b)
Giovane pianta di arancio Tarocco di tre anni sviluppata senza alcun intervento di potatura (a); stessa pianta potata con eccessiva drasticità (b)
Vegetazione da eliminare nell’area di sviluppo delle branche per consentire una migliore impalcatura in una giovane pianta di arancio Tarocco
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configurazione dell’agrumeto per il mantenimento di una sufficiente parete fruttificante, per cui i primi interventi possono essere procrastinati. Con l’avanzare dell’età degli alberi, regolari operazioni di potatura, congiuntamente al corretto uso delle altre tecniche colturali, diventano necessarie per mantenere un buon vigore vegetativo e un elevato standard produttivo. La potatura è praticata indifferentemente da febbraio a giugno e sovente è seguita da un secondo intervento a fine agosto-settembre, soprattutto per l’eliminazione della vegetazione più vigorosa e assurgente (succhioni) che si sviluppa sulle branche secondarie, a seguito di una prima drastica operazione e/o di carichi produttivi ridotti. Le cultivar precoci vengono potate prima di quelle tardive, per l’anticipata raccolta dei frutti e perché di norma coltivate in zone non soggette a gelate. Queste devono considerarsi il maggior deterrente per una precoce epoca di potatura; infatti, eliminando parte del fogliame si espone maggiormente le piante al freddo e, inoltre, si stimola l’anticipata emissione di germogli, che possono essere più facilmente danneggiati dalle basse temperature. Gli interventi di piena estate possono risultare utili per limitare lo sviluppo delle piante, mentre le potature in primavera stimolano una migliore ripresa vegetativa. Per le specie e le cultivar a portamento raccolto l’intervento di potatura ha la funzione di aumentare l’arieggiamento e la luminosità all’interno della chioma, oltre a rendere più agevoli ed economiche altre pratiche colturali, mentre per quelle a portamento assurgente la potatura deve essere meno drastica. Vegetazione assurgente tendente allo scapigliato è quella di molte cultivar di limone con rami lunghi, poco stabili e soggetti
Giovane pianta di arancio Tarocco di tre anni con la prima fruttificazione nella parte bassa e pendula della chioma
Emissione di un consistente numero di succhioni su una pianta di limone Femminello; intervento di potatura con forbici pneumatiche Attrezzature per la potatura agevolata
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coltivazione anche a frequenti sbrancature. Per queste piante è necessario un raccorciamento dei rami che ne limiti lo sviluppo in altezza, favorendone l’irrobustimento. Gli interventi di potatura come profilassi e cura per l’eliminazione delle infezioni da “malsecco” si eseguono a fine estate; per le infezioni più gravi non si può seguire nessuno schema di potatura, ma si devono solo eliminare le parti infette. Interventi drastici sono praticabili per impianti che richiedano il ringiovanimento, per quelli danneggiati da eventi atmosferici o da cause di ordine fitosanitario. In questi casi si deve valutare diligentemente la convenienza a mantenere l’impianto e, comunque, intervenire dopo avere eliminato quelle condizioni di stress biotico o abiotico che hanno condotto l’impianto a condizioni di decadimento. Meccanizzazione della potatura Gli interventi di potatura meccanica, anche integrata dallo sfoltimento dell’interno della chioma, hanno fornito risposte ampiamente positive in diversi paesi e, in determinati ambienti, anche in Italia. Nelle varie aree agrumicole del mondo la potatura meccanica differisce per tipologia di potatrice, di organo di taglio e per schemi operativi utilizzati. L’ultima generazione di attrezzature utilizzata in Italia è risultata efficiente e conforme con le esigenze legate alla sicurezza. Tuttavia, l’intervento manuale risulta ancora oggi quello più praticato non solo nell’agrumicoltura italiana, ma in tutta l’area mediterranea.
Vecchio impianto di arancio Tarocco in cui è stato effettuato un drastico intervento di potatura per far coesistere un numero elevato di piante per ettaro Diverso habitus vegetativo di piante di agrume: (a) mandarino Avana, (b) arancio Lane Late, (c) arancio Tarocco 57-1E-1 a)
b)
c)
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configurazione dell’agrumeto La meccanizzazione integrale si propone di coniugare esigenze di ordine fisiologico delle piante e consistente contenimento dei costi. L’intervento non effettua un lavoro selettivo e di diradamento, ma opera con schemi rigidi che tengono conto, attraverso tagli laterali (hedging) e sulla parte superiore delle piante (topping), delle caratteristiche dell’intero appezzamento. Si dimostra valida nel ridurre l’ombreggiamento, nello stimolare l’attività vegetativa, nel formare una parete fruttificante e nel mantenere adeguati spazi negli interfilari per una buona agibilità da parte dei mezzi meccanici. Nel caso della potatura agevolata, realtà consolidata in Italia, le attrezzature tradizionali sono sostituite da utensili azionati pneumaticamente, per cui si incide solo sulla riduzione dei tempi di lavoro, che aumenta proporzionalmente alla drasticità dell’intervento. Il risparmio nei tempi di lavoro delle varie tipologie di potatura meccanizzata rispetto alla tradizionale è dell’ordine del 30-40% per la potatura agevolata, sale a circa il 60-70% se integrata alla meccanica e arriva al 90% per quella totalmente meccanizzata. L’associazione razionale della meccanizzata con l’agevolata può rappresentare la formula vincente “risparmio + risposta agronomica”. La meccanizzazione, l’applicazione di tecniche d’irrigazione volte al risparmio d’acqua e, in generale, la razionalizzazione della tecnica colturale sono sempre più un imperativo, per le valutazioni economiche e ambientali necessarie prima dell’impianto di un nuovo agrumeto.
Potatrice meccanica nell’esecuzione di taglio della parte laterale della chioma (hedging) Potatrici meccaniche nell’esecuzione di taglio della parte apicale della chioma (topping)
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Vivaismo Luigi Catalano
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coltivazione Vivaismo Cenni storici Com’è accaduto di sovente nella storia della moderna frutticoltura, l’innovazione dei processi produttivi è diretta conseguenza di momenti di crisi che hanno richiesto cambiamenti radicali che sono poi stati la base della futura evoluzione delle colture. In seguito alle forti epidemie di Phytophthora spp., agente della malattia nota come “mal della gomma” o “gommosi del colletto”, verificatesi in Italia verso la fine del XIX secolo e che colpirono arancio dolce, limone e cedro, i vecchi sistemi di propagazione vengono abbandonati e si inizia a evolvere l’arte dell’innesto su arancio amaro, specie che mostra resistenza a questa malattia. Fino a quel momento, la propagazione degli agrumi viene effettuata con radicazione diretta di talee poste a dimora nel luogo dell’impianto per cedro e limone, o attraverso la semina diretta per le altre specie, arancio dolce e mandarino, da utilizzarsi come tali, senza passare attraverso la fase vivaistica. La pratica dell’innesto era nota esclusivamente come arte amatoriale nel settore del giardinaggio e non come tecnica di propagazione generalizzata per piante da impiegare negli impianti commerciali. La necessità di risolvere la situazione di emergenza provocata dalla Phytophthora e di produrre piante idonee alla realizzazione di nuovi impianti anche in altri Paesi spinge i vivaisti siciliani di Mazzarrà Sant’Andrea e Castroreale a una nuova organizzazione del vivaio, che comprende al suo interno differenti strutture specializzate (semenzaio, nestaio, piantonaio), tracciando così la via al vivaismo agrumicolo moderno. Questo modello è poi velocemente adottato in altre zone dell’isola. Successivamente, nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, l’attività vivaistica si sposta sul continente, interessando dapprima, in Calabria, le piane di Gioia Tauro e Lamezia Terme, sul versante tirrenico, e le aree di Corigliano e Rossano sulla costa ionica; in seguito la fascia ionico-metapontina in Basilicata e la provincia di Taranto in Puglia. Pionieri di tale espansione sono sempre vivaisti di origine siciliana. Altri distretti vivaistici, seppur di minore importanza, si sviluppano in Campania, Sardegna e Toscana, specialmente per gli agrumi ornamentali, rinnovando così le antiche tradizioni rinascimentali dei giardini medicei. Il metodo maggiormente utilizzato è l’innesto a gemma, nelle varianti a gemma vegetante e a gemma dormiente, ricorrendo al secondo nei mesi estivi, nel caso di mancato attecchimento del primo, effettuato durante il periodo primaverile. Le piante, allevate in piena terra, sono vendute a radice nuda, di più anni di età e solo in inverno, nel periodo di pieno riposo vegetativo. Negli anni ’40, al fine di allungare la stagione di commercializzazione, inizia la produzione di piante zollate, con il pane di terra, che permettono un allungamento della stagione commerciale.
Veduta dei vivai nella zona di Mazzarrà S. Andrea (Messina)
Nino Milone, uno dei padri del vivaismo agrumicolo italiano, con piantoni zollati pronti per la ventida
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vivaismo L’evoluzione tecnica Un altro ammodernamento del settore si realizza grazie ai cospicui investimenti finanziari del Piano Agrumi, i cui interventi esordiscono nel 1973. Si riscontra, infatti, la necessità di una rapida conversione della piattaforma varietale nazionale, contraddistinta da varietà a frutto pigmentato – ecotipi Sanguigni, Sanguinello, Moro, Tarocco – con varietà a polpa chiara, bionda, tipo Navel, molto richieste dal mercato. Prende così avvio il progetto “Piano di attuazione delle misure di miglioramento della produzione e commercializzazione degli agrumi”. Sono istituite le “sezioni incrementali” (centri di moltiplicazione costituiti da piante madri valide per 1-2 anni), innestate con marze fornite direttamente dall’allora Istituto Sperimentale per l’Agrumicoltura di Acireale. Le marze, così moltiplicate, incrementate (con rapporto da 1:8 a 1:15 secondo le varietà), sotto il controllo di una commissione tecnica formata da tecnici del suddetto Istituto, del Ministero e delle Regioni, sono distribuite ai vivaisti che provvedono alla produzione di piantoni delle nuove varietà. Un’ulteriore rivoluzione tecnica che interessa il settore avviene all’inizio degli anni ’80, quando s’iniziano a produrre piantoni di agrumi fuori suolo, in contenitore, vaso o fitocella. Se da un lato, grazie a tali innovazioni, si avvia una razionalizzazione del ciclo produttivo e dell’organizzazione vivaistica, poiché si deve operare nel rispetto di un definito disciplinare tecnico, dall’altro si può affermare che alla garanzia della corrispondenza varietale non corrisponde altrettanta attenzione per gli aspetti fitosanitari, specie verso quegli organismi nocivi che si trasmettono proprio con il materiale di moltiplicazione. Negli anni 2000, a causa della crisi strutturale del settore e di problematiche fitosanitarie causate dalla diffusa epidemia del virus della tristeza degli agrumi (CTV, Citrus Tristeza Virus), si assiste a un forte ridimensionamento del vivaismo orientato alla produzione di piante professionali, con un numero di vivaisti che si assottiglia sempre più. Di contro, il numero di operatori e di strutture dedicate alla produzione di agrumi ornamentali è in continuo aumento, considerati i positivi riscontri di mercato per questa tipologia di prodotto.
Sezione incrementali degli agrumi appena innestata e piante pronte per il taglio delle marze con i paletti riportanti il codice colorimetrico adottato per individuare e separare le diverse varietà propagate e le combinazioni d’innesto utilizzate
Caratteristiche e requisiti del materiale di propagazione Più di altre specie, la produzione vivaistica degli agrumi in Italia è sempre stata oggetto di grande attenzione da parte del legislatore, ancor più della vite, per la quale vige un sistema di certificazione obbligatorio sin dal 1969. Basti pensare alle prescrizioni riguardanti l’utilizzo di determinati volumi dei contenitori, o il diametro minimo e l’altezza al colletto dei portinnesti per poter eseguire l’innesto, al fine di evitare e limitare i problemi fitosanitari che, per questa specie, hanno un diretto effetto sulla qualità e quantità delle produzioni, oltre che sulla vita stessa degli agrumeti.
Allevamento di agrumi ornamentali i vasi finto-cotto, la tipologia di piante maggiormente prodotte dal settore vivaistico nazionale
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coltivazione Le norme sulla lotta obbligatoria contro il CTV (DM 22/11/1996) prescrivono: 1) le modalità di conduzione dei campi di piante madri e la gestione delle piante fonti di approvvigionamento del materiale di propagazione; 2) gli schemi per il monitoraggio in campo del CTV da parte delle autorità preposte; 3) i metodi utilizzabili per la diagnosi di laboratorio e per i saggi biologici differenti nel caso di piante presenti in diversi ambienti e aventi funzioni specifiche: piante madri, piantoni destinati alla vendita, agrumeti commerciali, esemplari ubicati in collezioni, giardini ecc.; 4) l’obbligo per chiunque metta a dimora piante di agrumi di utilizzare piante certificate esenti da CTV. Attualmente, il materiale vivaistico degli agrumi ricade in due differenti categorie: CAC e Certificato. Categoria CAC Essa è regolamentata dal DM 14/4/1997 “Norme tecniche sulla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante da frutto destinate alla produzione di frutto” che, recependo norme di origine comunitaria, ha sancito l’obbligo per tutti i vivaisti (ovvero i fornitori) dell’Unione Europea di produrre materiale di propagazione che soddisfi i requisiti minimi di uguale qualità CAC (Conformitas Agraria Communitatis), da garantire e controllare per i seguenti aspetti: 1) l’origine nota del materiale; 2) lo stato sanitario; 3) la corrispondenza varietale. Per gli agrumi, considerati i livelli sanitari che devono essere garantiti, è di fatto istituita una certificazione obbligatoria. L’obiettivo principale di tale categoria è stato quello di definire una comune “qualità obbligatoria” che permettesse la libera circolazione, all’interno del territorio comunitario (ormai senza più le barriere doganali e fitosanitarie tra gli stati membri). La categoria CAC prescrive al vivaista l’obbligo di rispettare tali norme, mentre all’agricoltore è sancito il diritto di pretendere materiale garantito sia per quanto riguarda gli aspetti sanitari sia per
Verifica della corrispondenza varietale di piante fonti di approvvigionamento di marze per la propagazione a vivaio
La categoria CAC (Conformitas Agraria Communitatis) rappresenta lo standard obbligatorio europeo e garantisce l’origine nota del materiale, uno stato sanitario minimo e la corrispondenza varietale del materiale di propagazione vegetale
Piantoni di agrumi in fitocella in attesa di essere cartellinati
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vivaismo la certezza varietale. Sostanzialmente si tratta di una certificazione di processo. Dopo circa un ventennio dalla prima emanazione, a partire dal 2008 a livello comunitario sono stati avviati i lavori per la revisione e l’adeguamento di tali norme, che vedranno la loro piena attuazione entro il prossimo decennio.
Elenco delle fonti primarie registrate nel SNC
Categoria Certificato Un livello più elevato di garanzie, su scala volontaria, è istituito per le produzioni sviluppate nell’ambito del Servizio Nazionale di Certificazione Volontario del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf). Lo schema di certificazione nazionale, così come oggi conosciuto e applicato, è il frutto dell’evoluzione di un percorso avviato sin dal 1987, data del primo provvedimento legislativo che introduceva la certificazione in Italia. Ciò è la diretta conseguenza delle ampie competenze assegnate alle Regioni in materia di controlli, della comparsa di nuovi organismi nocivi da considerare, oltre che dell’evoluzione dei metodi di diagnosi fitosanitaria. Pertanto, dal 2003 al 2006 sono state approntate nuove regole che sovraintendono al programma di certificazione, che si articola come schematizzato. Le produzioni che si sviluppano in tale ambito prevedono il coordinamento e la supervisione del Mipaaf e le attività ispettive e di controllo da parte dei Servizi fitosanitari regionali, che certificano la corrispondenza varietale e le garanzie fitosanitarie, realizzando di fatto una certificazione sia di processo, sia di prodotto, relativamente alle 113 fonti primarie iscritte nel registro nazionale del
Specie
N. accessioni registrate
Arancio dolce
33
Clementine
17
Mandarino
3
Limone
13
Agrumi ibridi
17
Bergamotto
3
Cedro
3
Kumquat
4
Pompelmo
2
Satsuma
1
Agrumi minori
5
Portinnesti
12
Schema del Servizio nazionale di certificazione volontaria Costituzione della fonte primaria FONTE PRIMARIA REGISTRAZIONE
FASI DELLA PRODUZIONE
Controlli Servizi Fitosanitari Regionali
COSTITUTORE
UTILIZZAZIONE DEL MATERIALE RICONOSCIUTO SERVIZIO DI CERTIFICAZIONE QUALIFICA DEL MATERIALE
ENTE CERTIFICANTE
ORGANISMI RESPONSABILI
Centro di Conservazione per la Premoltiplicazione (CCF)
Pre-Base
Istituzioni Scientifiche e Organismi riconosciuti
Centro di Premoltiplicazione (CF)
Base
Istituzioni Scientifiche e Organismi riconosciuti
Centro di Moltiplicazione (CM)
Certificato
Associazioni Vivaistiche
Vivaio
Pianta certificata
Vivaisti
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Operatività CIVI-Italia
coltivazione Fasi operative dello schema di certificazione nazionale
Controlli genetici e sanitari eseguiti dai Servizi Fitosanitari Regionali
Ente Certificante
Conservazione per la Premoltiplicazione
Premoltiplicazione
Servizio Nazionale di Certificazione Mipaaf e SFR
PRE-BASE
BASE
Moltiplicazione
CERTIFICATO
Vivaio
CERTIFICATO
materiale in certificazione, in rappresentanza delle varietà più richieste dal mercato per le diverse specie. Per completare il quadro nelle norme che disciplinano la produzione di materiale vivaistico degli agrumi, è ancora valido il DM 17/4/1998 “Disposizioni sulla lotta contro il mal secco degli agrumi Phoma tracheiphila”, che ribadisce precedenti provvedimenti del 1950 sulla lotta obbligatoria a questo patogeno. Per le specie suscettibili (per esempio il limone), c’è la prescrizione di sviluppare l’attività vivaistica sotto apposite strutture di copertura. Il ciclo produttivo Quello considerato e illustrato è il ciclo di produzione di materiale di propagazione nell’ambito dello schema di certificazione, basato sulla discendenza diretta dalla fonte primaria registrata e ufficialmente riconosciuta. Centro di Conservazione per la Premoltiplicazione (CCP) e Centro di Premoltiplicazione (CP) Prima di entrare nella disponibilità e sotto diretta gestione e responsabilità del vivaista, il materiale è conservato e allevato in condizioni di completo isolamento, in specifiche strutture: serre a doppia parete con rete a prova d’insetto, provviste di vestibolo in entrata e altri specifici artifizi tecnici, atti a evitare qualsiasi contaminazione del materiale conservato. Queste precauzioni, comprese quelle riguardanti la produzione di piante madri certificate, sono necessarie e obbligatorie in considerazione della trasmissibilità ad opera di vettori alati (afidi e
Le screen house che ospitano i CCP e i CP, dove viene allevato in perfetto isolamento il materiale di cat. pre-base e base
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vivaismo cicadellidi) di alcuni organismi nocivi (virus e spiroplasma), inseriti nei protocolli di certificazione. Esse riguardano anche l’isolamento dei contenitori utilizzati per l’allevamento delle piante dal piano di calpestio, per evitare qualsiasi contaminazione del substrato di crescita da parte di patogeni e/o parassiti (funghi terricoli e nematodi). Il CCP è il luogo dove avviene la conservazione del materiale di pre-base che rifornisce poi le fasi successive nelle quali si articola lo schema di certificazione. Nel CP, invece, vengono praticati conservazione e allevamento del materiale di base (che discende direttamente dallo stadio precedente, CCP) al fine di un suo utilizzo per la produzione delle piante madri. Secondo una puntuale tempistica e precise modalità di saggio indicate dal disciplinare tecnico di produzione (DM 20/11/2006), le piante presenti in tali strutture sono annualmente sottoposte ad accertamenti diagnostici per la verifica dello stato sanitario. Centro di moltiplicazione (CM) Questa struttura ospita i campi di piante madri che forniscono marze e semi, utilizzati per la successiva produzione di portinnesti nel vivaio. Il materiale prodotto in tali strutture è di livello Certificato. I campi di piante madri possono essere costituiti all’aperto, in piena terra, in aree che siano state dichiarate esenti da organismi nocivi da quarantena da parte del Servizio fitosanitario regionale competente per territorio.
Cartellinatura delle prime piante cat. base prodotte in Italia, prima della consegna ai centri di moltiplicazione da parte di funzionari del Servizio fitosanitario e di tecnici del CRA-ACM di Acireale Fasi della produzione delle piante madri di cat. base per la costituzione dei centri di moltiplicazione presso il CP del CRSA Basile Caramia in Puglia, con la verifica da parte dei tecnici del CRA-ACM di Acireale
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coltivazione Hanno una durata limitata nel tempo, a garanzia del materiale certificato prodotto per gli aspetti genetici (corrispondenza varietale) e sanitari. I campi di piante madri marze possono durare al massimo 20 anni, quelli portasemi non più di 30 anni. Per questo motivo è prescritta una serie di precisi accorgimenti tecnici per preservare l’integrità e l’autenticità del materiale moltiplicato. Anche queste piante sono sottoposte annualmente ad accertamenti sanitari e ad accurate verifiche pomologiche per verificare l’eventuale insorgenza di mutazioni per cultivar di alcuni specifici gruppi varietali come Navel, Valencia e Tarocco, nei quali questi fenomeni sono alquanto frequenti. In molti casi, seppure obbligatoriamente, si realizzano condizioni d’isolamento allevando le piante madri in screen house o serra, oppure allestendo strutture a doppia rete che proteggono le piante madri allevate in piena terra. Così si intende sia assicurare una maggiore garanzia del materiale prodotto, in considerazione della diffusa presenza di tristeza, sia tutelare i cospicui investimenti realizzati. Come nelle fasi precedenti, qualsiasi intervento cesorio (potatura, raccolta del materiale di propagazione, eliminazione di succhioni o polloni) avviene per mezzo di attrezzi da taglio preventivamente sterilizzati con una soluzione di ipoclorito di sodio (o potassio) al 10% per evitare la possibile trasmissione di viroidi. I semi, dopo l’estrazione dai frutti, praticata meccanicamente o manualmente, la separazione da polpa e mucillagini attraverso ripetuti lavaggi in acqua corrente, sono sottoposti a bagno termostatico a 52 °C per 10 minuti. Successivamente sono immersi in una soluzione di idrossichinolina solfato all’1% per 5 minuti,
Particolare delle strutture di protezione del campo di piante madri del CO.VI.P.
Piante madri portamarze e portasemi nel centro di moltiplicazione del CO.VI.P.
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vivaismo lasciati asciugare, conciati con un fungicida, confezionati in buste di polietilene e conservati a 5-6 °C prima del loro utilizzo. Così facendo, si ottiene l’eliminazione di eventuali patogeni fungini che possono gravemente e irrimediabilmente danneggiarli. Di solito 1 kg contiene circa 5000 semi. Sezioni incrementali Queste strutture – nell’ambito dei CM – possono essere attivate per sopperire all’insufficiente disponibilità di materiale di propagazione di determinate varietà. Infatti, dalla richiesta di piante madri al CP, fino al loro pieno utilizzo nei CM, dopo i controlli che accertano la corrispondenza varietale alla fonte primaria di riferimento, passano parecchi anni. Vivaio Sotto la responsabilità del vivaista è assemblato il materiale di propagazione prodotto nei CM (marze provenienti da piante madri per marze, portinnesti provenienti da semi prodotti da piante madri portaseme). Il vivaio si articola in diverse sezioni, specializzate per i differenti stadi di formazione e crescita delle piante. Semenzaio È la parte destinata alla semina e all’allevamento dei semenzali. Di solito sono destinate apposite aree protette (serre, tunnel) dove la semina avviene in letti di semina realizzati sul piano di calpestio o su bancali, in seminiere o contenitori alveolari. Talvolta la semina è effettuata direttamente nei vasi o fitocelle dove le piante cre-
Varie fasi della costituzione di una sezione incrementale in strutture che assicurano il pieno isolamento, con il particolare dei tagli eseguiti il primo anno sulle piante per la raccolta delle marze Produzioni dei semenzali in letti di semina o contenitori alveolari
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coltivazione sceranno durante tutto il ciclo produttivo. In questo caso, dopo l’emergenza, quando siano stati seminati più semi, oppure per il fenomeno della poliembrionia, i semenzali vengono diradati, lasciandone uno solo per favorire un buon accrescimento del portinnesto fino al momento dell’innesto. I substrati utilizzati sono diversi (terricci di sabbia e torba o altra matrice di natura organica, agriperlite, fibra di cocco ecc.) e non contaminati da organismi nocivi (funghi e nematodi), così come specificato nei protocolli tecnici. L’importante è che essi assicurino un perfetto drenaggio e aerazione, al fine di favorire un ambiente idoneo allo sviluppo delle radici. La semina avviene di solito in primavera, utilizzando seme fresco dell’anno, considerato che la germinabilità dei semi di agrumi decresce rapidamente dopo poche settimane. La germinazione, di solito scalare, incomincia dopo 3-4 settimane, mentre la crescita ottimale avviene a 24-25 °C. Rispetto al passato, quando la totalità dei portinnesti utilizzati in Italia era riferita ai soli arancio amaro e limone, oggi il panorama dei portinnesti offerti dal vivaismo professionale è totalmente cambiato. C’è un massiccio utilizzo di portinnesti tolleranti al CTV e di altri che permettono l’insediamento degli agrumeti anche in aree un tempo a torto ritenute non vocate. In ordine decrescente d’importanza oggi si utilizzano prevalentemente Citrange Carrizo, C-35, Citrange Troyer, Poncirus trifoliata, Limone volkameriana, Citrumelo Swingle, Citrus macrophylla, Arancio amaro.
Ripicchettatura e scerbatura dei semenzali prodotti in contenitori e nei vasi “fitton”, specifici per gli agrumi
Preparazione e selezioni dei semenzali prima del trapianto e costituzione del nestaio in ambienti del vivaio che assicurino un corretto drenaggio e una protezione ai portinnesti in accrescimento
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vivaismo Trapianto dei semenzai e costituzione del nestaio Di solito quest’operazione avviene a un anno di distanza dalla semina, anche se la tendenza attuale è di anticiparla per ridurre complessivamente il ciclo produttivo fino al raggiungimento della taglia commerciale dei piantoni di agrumi. Il trapianto delle piantine dal semenzaio avviene quando queste hanno raggiunto dimensioni sufficienti per distinguere quelle di origine gametica (più vigorose) da quelle nucellari. Lo scarto riguarda anche i semenzali che mostrano sviluppo insufficiente, collo d’oca al colletto, anomalie fogliari. Dopo la riduzione del fittone radicale e un alleggerimento della parte aerea, i lotti sono selezionati in maniera omogenea per il successivo trapianto nelle fitocelle e la costituzione del nestaio. Grande importanza riveste l’ambiente di coltivazione, che deve essere provvisto di uno strato drenante sul quale disporre fitocelle e vasi, protetto da strutture a rete con funzione antiafide, o sotto reti ombreggianti e antigrandine. Anche l’acqua per gli usi irrigui è fondamentale, in quanto deve essere di buona qualità e libera da organismi nocivi (funghi e nematodi). Molti vivai sono dotati di moderni impianti di filtrazione e di osmosi inversa per eliminare l’eccesso di sali. Di solito l’irrigazione si effettua con impianti a goccia, permettendo anche la pratica della fertirrigazione con l’apporto mirato di elementi nutritivi. Innesto e costituzione del piantonaio Il prelievo delle marze dalle piante madri del CM o della sezione incrementale avviene nel periodo che precede la ripresa vegetativa delle piante, al fine di una miglior resa del materiale di propagazione. Una volta raccolte le marze, sono eliminate le foglie lasciando una porzione di picciolo a protezione della gemma. Quindi si passa al loro diretto utilizzo o, come avviene di solito, alla frigoconservazione in buste di polietilene alla temperatura di 6-8 °C. In questo caso bisogna porre particolare attenzione alle condizioni di conservazione, monitorando la corretta temperatura della cella frigorifera, avendo altresì cura di eliminare i piccioli disarticolati che, se rimanessero negli involucri, andrebbero incontro a marcescenza, con effetti negativi sulla qualità e sanità del materiale di propagazione. Nel vivaismo professionale gli agrumi sono innestati a corona o a gemma, quando i portinnesti sono in piena vegetazione, da febbraio a giugno. L’innesto a corona si esegue su portinnesti che a 30-40 cm dal colletto hanno un diametro di almeno 6 mm. Al fine di evitare le costose operazioni colturali per la pulizia dei germogli laterali che crescono lungo il fusto del portinnesto dopo l’esecuzione dell’innesto, si usa coprire il fusto con una guaina costituita da una manichetta di polietilene o da specifiche protezioni rigide in
Conservazione delle marze in cella frigo prima degli innesti e trasferimento al vivaio in contenitori coibentati
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coltivazione
Esecuzione dell’innesto a corona
policarbonato che hanno la funzione di accecare le gemme, oltre a proteggere il fusto dall’insolazione quando il piantone è messo a dimora nell’agrumeto e a favorirne la crescita in senso radiale. Dopo l’inserimento della marza con 2-3 gemme, dalle quali si formerà la futura chioma, l’innesto viene coperto con un sacchetto di polietilene che ha la funzione di evitare l’evapotraspirazione della superficie del taglio e della marza stessa. Questo poi è protetto da un ulteriore sacchetto di carta, con l’obiettivo di evitare l’insolazione e il danneggiamento dell’innesto.
Cantiere di lavoro per l’esecuzione degli innesti a corona Esecuzione dell’innesto a gemma
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vivaismo Cartellino-certificato con indicazioni delle informazione e dati in esso (D.M. 4/5/2006) Categoria del materiale (D.M. 14/4/1997)
Organo certificante
Nome della varietà Organo responsabile dei controlli
Portinnesto utilizzato
D.M. 31/1/1998 su organismi da quarantena
Sigla identificativa del vivaio (D.M. 14/4/1997)
Codice di riconoscimento D.M. 31/1/1998 su organismi da quarantena
Nome botanico della specie
Numero identificativo della pianta
Dopo 2-3 settimane l’attecchimento della marza è completato e i sacchetti possono essere rimossi quando i germogli hanno raggiunto la lunghezza di qualche centimetro. L’innesto a gemma viene eseguito nelle due varianti, secondo l’epoca di esecuzione. È a gemma vegetante quando è eseguito in primavera e la gemma, dopo circa 2 settimane, inizia a vegetare e sviluppare il germoglio. Quando questo arriva a 4-5 cm di lunghezza, si provvede alla rimozione della parte del portinnesto sopra il punto d’innesto. Se l’innesto a gemma si esegue in estate o autunno, la gemma si svilupperà nella primavera successiva e la tecnica viene indicata come “innesto a gemma dormiente”. Le fase successiva di allevamento del piantone richiede una serie di cure specialistiche che hanno lo scopo di produrre piante che potranno superare facilmente le verifiche di qualità da parte delle autorità preposte a rilasciare la certificazione del prodotto. Esse consistono in un’attenta protezione fitosanitaria; una corretta nutrizione per facilitare un bilanciato sviluppo di apparato radicale e chioma, oltre alla giusta lignificazione degli organi epigei; il controllo delle infestanti, che possono pericolosamente competere con lo sviluppo della pianta e le opportune cimature per favorire lo sviluppo di una chioma in maniera armoniosa e ben distribuita entro il suo intero volume.
Apparati radicali ben sviluppati, ramificati e non affetti da fitopatie sono garanzia di buon attecchimento in campo
Piantoni certificati pronti alla vendita per la costituzione di moderni agrumeti Apparecchiature per l’osmosi inversa e la fertirrigazione delle piante in allevamento, con moderni ed efficienti impianti d’irrigazione computerizzati che permettono una corretta gestione idrico-nutrizionale, fondamentale per la produzione di piantoni di qualità
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Alimentazione idrica Calogero Germanà
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coltivazione Alimentazione idrica Introduzione Negli esseri viventi l’acqua è la sostanza più importante e partecipa a tutte le loro attività metaboliche. Ha un’esclusività che è funzione della struttura chimica che non ha uguali in natura e comporta caratteristiche fisiche, chimiche, termiche, coesive e adesive che sono numerose e uniche. Il passaggio dell’acqua dallo stato liquido delle foglie a quello gassoso dell’atmosfera avviene in risposta a un gradiente di concentrazione tra il suo contenuto all’interno delle cellule presenti nelle cavità substomatiche e quello dell’aria circostante gli stomi dove, invece, è estremamente variabile nel corso del tempo. L’acqua contenuta nel terreno è trattenuta con una certa forza ed è espressa per mezzo del potenziale dell’acqua (Ψ), che viene indicato, convenzionalmente, con un numero intero negativo. Questo parametro rappresenta una misura dello stato idrico sia della pianta sia del terreno e si misura con vari strumenti: camera a pressione di Scholander, termometro a raggi infrarossi, contenuto idrico relativo, tensiometri, sonda a neutroni ecc. I valori possono essere utilizzati per stabilire se la pianta e il terreno possono definirsi più o meno “bagnati” o “secchi”. Il trasporto dell’acqua fino alle foglie avviene sempre in risposta a gradienti di potenziali dell’acqua che dai punti del terreno dove essa è a un dato valore (per esempio –0,1 MPa = megapascal) si sposta verso punti della pianta a potenziale relativo più basso (per esempio –1 o –2 MPa) e dalle foglie verso l’atmosfera, dove i valori sono ancora più negativi (per esempio –100 MPa). L’acqua consumata dalla pianta non può, comunque, essere considerata persa ma contribuisce a mantenere la temperatura delle foglie inferiore a quella atmosferica, per cui sarebbe auspicabile intensificare al massimo livello il flusso idrico, sia per evidenti motivi climatizzanti, sia per consentire alla pianta di trattenerne il più possibile per le funzioni vitali. L’atmosfera riceve l’acqua che poi cede con le piogge, per cui, eseguendo un bilancio idrologico, idealmente sarebbe opportuno che esso fosse in pareggio. Nella realtà però ciò non sempre avviene; di conseguenza, quando l’umidità nel terreno diminuisce, il suo potenziale diventa più negativo. Quando la disponibilità di acqua nel terreno è limitata si verifica una serie di eventi nella pianta che nel complesso vengono definiti “stress” o “deficit idrici”: si riducono i contenuti di acqua, il turgore delle cellule e dei tessuti, la traspirazione, la fotosintesi, l’accrescimento, la produzione finale ecc. I valori rappresentativi del potenziale negli agrumi a stati diversi di stress idrico vanno da –0,2 a –0,6 MPa per foglie di piante ben idratate e nelle ore antelucane e da –2 a –5 MPa per quelle in condizioni critiche e nelle ore meridiane. Quanto più il contenuto idrico nel terreno diminuisce, tanto più la pianta si disidrata.
Vasca di accumulo in terra battuta
Acqua che sgorga da un pozzo artesiano
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alimentazione idrica A parità di disponibilità idriche nel terreno e di potere evaporante nell’atmosfera, è stato riscontrato, nelle diverse specie e cultivar di agrumi, uno stato idrico diverso conseguente a un’architettura idraulica, dipendente dalle caratteristiche dello xilema e del floema e dalla capacitanza dei tessuti di accumulo. Queste potrebbero comportare in definitiva un diverso fabbisogno idrico e, pertanto, appare opportuno rivolgere la maggior parte delle attenzioni direttamente alla pianta, la quale può essere utilizzata come un indicatore biologico del suo bilancio idrico attraverso alcuni parametri che la ricerca ha dimostrato essere adatti allo scopo: sviluppo del frutto e del tronco, potenziale idrico fogliare, velocità del flusso di linfa, differenza di temperatura tra chioma e atmosfera. Lo stato idrico delle piante di agrumi varia moltissimo in funzione anche di diverse variabili: portinnesti, età, carico produttivo, fase fenologica, presenza di sali nel terreno, attacchi parassitari, esposizione, condizioni nutritive ecc. oltre, naturalmente, alle condizioni climatiche giornaliere, stagionali e annuali. Queste ultime si esprimono con cicli non sempre regolari, determinano il potenziale dell’acqua nell’atmosfera e definiscono il suo potere evaporante attraverso l’evapotraspirazione potenziale (ETP) di una certa zona, che rappresenta l’intensità di dispersione dell’acqua nell’atmosfera nel caso di un prato falciato di frequente e tenuto in condizioni idriche ottimali (capacità di campo) e che è funzione delle caratteristiche climatiche (temperatura, radiazione solare, umidità dell’aria, vento). Questi fattori climatici sono stati utilizzati da diversi Autori per ricavare delle formule per mezzo delle quali è possibile equiparare l’evapotraspirazione alle esigenze idriche delle piante. Nel caso di coperture vegetali diverse dal prato e in genere minori, come negli agrumeti, il consumo idrico delle piante, purché non manchi mai l’acqua a livello delle radici, è diverso dall’ETP ed è normalmente inferiore e si indica come evapotraspirazione effettiva della coltura (ETE). Tra ETE ed ETP esiste la relazione: ETE = kc x ETP, nella quale kc è il coefficiente colturale, caratteristico per ogni specie, cultivar o clone, variabile durante il ciclo colturale e influenzato anche dalle tecniche agronomiche. Ad eccezione di alcune aree agrumetate nelle zone di origine tropicale, dove le piogge sono addirittura superiori ai fabbisogni idrici, in tutte le altre aree l’acqua è certamente il fattore più limitante perché le piogge in ambiente caldo-arido risultano insufficienti sia come quantità (in media circa 400-600 mm l’anno in Sicilia), sia come distribuzione nel tempo (in genere nel periodo autunnoinverno), per cui il ricorso all’irrigazione è non solo indispensabile, ma insostituibile e senza alternative, caratteristiche queste che la rendono unica fra tutte le pratiche agronomiche. In aggiunta, mentre i consumi di acqua (agricoli e non) sono in continuo aumento, la disponibilità di risorse idriche sta diventando sempre più limitata. Inevitabile, quindi, la ricerca di soluzioni capaci di ridurre i consumi, evitando gli sprechi e migliorando l’efficienza
Influenza del portinnesto sul potenziale idrico
• L’arancio Moro e il clementine comune
presentano un potenziale idrico fogliare differente a seconda del portinnesto. Lo stato idrico di queste piante, irrigate normalmente e con il sistema localizzato a goccia, misurato nelle ore antelucane, dimostra che i due agrumi si trovano in condizioni di stress idrico con l’arancio amaro e situazioni più favorevoli allo svolgimento delle attività metaboliche con l’alemow. Nel caso del clementine comune è stato dimostrato che la sua nota scarsa o mancata produzione, accertata nelle combinazioni d’innesto con l’arancio amaro, e le eccellenti prestazioni produttive con l’alemow sono legate anche al suo stato idrico
Influenza del portinnesto sul potenziale idrico. Arancio Moro su Alemow
–0,57
Mandarino cleopatra
–0,58
Citrumelo sacaton
–0,71
Citrange troyer
–0,71
Arancio amaro
–0,75
Clementine comune su
173
Ψ (MPa)
Ψ (MPa)
Alemow
–0,43
Limone rugoso
–0,48
Limone volkameriano
–0,54
Arancio amaro
–0,63
coltivazione dell’irrigazione. In ogni caso, i principali problemi posti dall’irrigazione comportano (escludendo, per le zone caldo-aride, il primo relativo a “se” irrigare) la soluzione di 4 punti: quanta, quando, come e quale acqua somministrare. I parametri pedologici, e ancor meglio quelli fisiologici, dovrebbero indicare quando irrigare e i parametri climatici quanta acqua impiegare. Quanta acqua Un criterio molto semplice, pratico, risultato valido nella gestione irrigua, è quello di correlare i fabbisogni idrici degli agrumi all’acqua evaporata da una vasca evaporimetrica. Il confronto, naturalmente, non è scientificamente esatto in quanto l’evaporazione è un fenomeno esclusivamente fisico, mentre l’evapotraspirazione avviene, oltre che per effetto degli stessi parametri, sotto il controllo della pianta, la quale regola l’apertura e la chiusura degli stomi in funzione del proprio stato idrico e delle condizioni climatiche. Tuttavia, la bacinella (quella più usata è la “classe A”) ha fornito utili informazioni ed è stata impiegata in tutto il mondo della ricerca come guida, integrandola con l’impiego di adatti coefficienti colturali. Il grado di copertura del terreno da parte delle piante (indice di area fogliare) ha un’influenza decisiva sull’evapotraspirazione, ma per ottenere il massimo di copertura vegetale in un nuovo impianto occorre attendere un certo numero di anni. In questo periodo, a causa del cosiddetto “effetto oasi”, i volumi di acqua devono essere calcolati utilizzando kc molto più alti (partendo da valori pari a 2-3 al primo anno, per poi diminuire gradualmente) in confronto dell’età adulta e devono tenere conto di questa fase, fino a quando la dimensione della chioma raggiunge il massimo sviluppo. In conseguenza, di ciò è consigliabile fornire, nella fase iniziale, volumi crescenti per poi arrivare, oltre il quinto anno, a 100 litri e oltre al giorno e a pianta. Tenendo conto di questi elementi, della superficie coperta dalla chioma e dell’efficienza dell’impianto irriguo, è agevole impostare il calcolo per la determinazione dei volumi irrigui. Infatti: V = E x Kc x S/R, dove V = volume di adacquamento in m3; E = evaporato in mm; kc = coefficiente colturale; S = superficie coperta dalla chioma, in m2; R = rendimento dell’impianto irriguo, variabile dal 60 al 70% per l’aspersione, dal 70 all’80% per gli impianti irrigui a spruzzo e dal 90 al 95% circa per quelli localizzati a goccia. La ricerca ha consentito, grazie a idonee apparecchiature, di controllare lo stato idrico delle piante e quindi di decidere, di volta in volta, se aumentare o diminuire gli apporti irrigui. Nella suddetta formula l’unico parametro al quale si possono apportare correzioni è il coefficiente colturale. Secondo alcuni, il valore di questo coefficiente è variabile nel corso della stagione irrigua, tende ad aumentare, non è costante negli anni e può cambiare anche in funzione di specie, cultivar e clone. Secondo altri, tra cui la FAO, vengono consigliati valori
Presa d’acqua di un consorzio di bonifica, consegnata tramite contatori volumetrici comandati a batterie solari
Pozzo freatico a cielo aperto
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alimentazione idrica costanti. Il totale di acqua necessaria per uno sviluppo completo e per una produzione ottimale di un agrumeto è stato stimato tra 10.000 e 15.000 m3 per ettaro. Inizio della campagna irrigua
Quando irrigare Un tempo in agrumicoltura venivano utilizzati intervalli tra le irrigazioni molto lunghi, dell’ordine di 21 o 31 giorni, sia nel caso di sorgenti di fornitura collettive, sia di aziende con proprie disponibilità idriche, a causa del fatto che gli unici sistemi irrigui utilizzati erano la sommersione parziale da conche o l’infiltrazione. In quelle condizioni, infatti, conveniva somministrare elevati volumi di adacquamento con turni più lunghi e con un numero di interventi limitati nel corso della stagione irrigua per evidenti motivi economici. Con i moderni metodi irrigui, i volumi di adacquamento possono essere adeguatamente variati e i turni tendenzialmente accorciati, senza elevati costi aggiuntivi (anche nel caso di turni obbligati purché si disponga di adeguate vasche di accumulo). I volumi vanno correlati al turno e risultano come sommatoria dei consumi giornalieri. Al fine di rispettare la continuità dell’acqua nell’insieme suolo-pianta-atmosfera, di consentire ai potenziali idrici nei segmenti estremi di manifestarsi a valori ottimali e di evitare che si generi carenza idrica, gli unici interventi sono limitati al terreno e all’atmosfera. Ciò significa che occorrerebbe mantenere nel terreno un potenziale idrico costantemente tendente allo 0 con turno ad alta (giornaliera) o altissima frequenza (più volte al giorno), e che bisognerebbe controllare i valori massimi di temperatura e quelli minimi di umidità atmosferica, come per esempio nell’irrigazione climatiz-
• La risposta produttiva degli agrumi
dipende, in parte, anche dalle disponibilità idriche accumulate nel terreno in seguito alle precipitazioni. In Sicilia queste si concentrano nel periodo compreso tra ottobre e maggio, risultano quantitativamente insufficienti per soddisfare il fabbisogno idrico della coltura e sono irregolarmente distribuite. Alla fine del periodo delle piogge, a causa delle perdite legate alla percolazione profonda dell’acqua, con velocità variabile in funzione della tessitura del terreno, il contenuto idrico accumulato tende gradualmente e inesorabilmente a diminuire. Nel periodo primaverile, d’altra parte, la pianta inizia la sua ripresa vegetoproduttiva, durante la quale intensifica la sua alimentazione idrica e minerale e quindi presenta maggiori esigenze nutritive. Di conseguenza, si pone il problema del momento in cui iniziare l’irrigazione: si tratta di un periodo decisivo in quanto la pianta deve definire, in fase di allegagione, quanti frutti portare a compimento. Nei casi in cui le piogge sono finite da tempo, poiché l’acqua si ritrae verso il fondo e aumenta il suo potenziale idrico, bisogna irrigare almeno quando questo valore non è più basso di –30 kPa
Vasca di accumulo in cemento armato (“gebbia”)
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coltivazione zante. Per raggiungere entrambi questi obiettivi sarebbe necessario utilizzare un impianto irriguo misto, tecnicamente facile da realizzare: localizzato a goccia, da utilizzare nei periodi di minore evapotraspirazione ed espanso nelle epoche (luglio e agosto) in cui le foglie soffrono per differenza tra la velocità della traspirazione e quella dell’assorbimento radicale e aumentano la propria temperatura nei confronti di quella atmosferica. L’esercizio irriguo ideale dovrebbe prevedere un’altissima frequenza, con turni irrigui molto brevi e con erogazione nelle ore di massimo potere evaporante. Tuttavia, poiché i sistemi irrigui espansi, di giorno, consumano troppa acqua per evaporazione sarebbe opportuno irrigare nelle ore notturne o in quelle di minore luce. Se nella pratica è difficile adottare tale soluzione, tuttavia resta valido il principio secondo il quale bisognerebbe tendere verso l’alta frequenza per migliorare i risultati agronomici. Qualità dell’acqua Un’acqua di buona qualità associata a tecniche agronomiche ottimali porta a risultati produttivi soddisfacenti. L’idoneità dell’acqua per l’irrigazione degli agrumi dipende da diversi parametri, tra cui assume particolare importanza il contenuto in sali solubili e quello dei vari elementi presenti. L’apporto di sali con le acque d’irrigazione determina un aumento della salinità del terreno e riduce la facoltà di assorbimento dell’acqua da parte della pianta. Gli agrumi risultano molto sensibili alla salinità e alla concentrazione specifica di determinati elementi. I portinnesti più resistenti alla salinità, come la lima di Rangpur e il mandarino Cleopatra, hanno la capacità di limitare l’accumulo di ioni cloro nelle foglie. Il contenuto in sali solubili dell’acqua viene espresso in milligrammi/litro o in ppm o ancora in termini di conducibilità elettricità (EC): questa viene data in mmhos/cm o in dS/cm . Gli effetti negativi di un’acqua d’irrigazione ad alto contenuto salino sono correlati alla specie, al portinnesto in primo luogo, ma possono essere condizionati dalla natura del terreno, dal metodo di distribuzione, dalla pluviometria dell’area interessata, dai volumi disponibili, nonché dall’efficienza del sistema drenante, naturale o artificiale, delegato all’allontanamento dei sali lisciviati dallo strato del terreno esplorato dalle radici delle piante. Un accorgimento utile, infatti, per l’impiego di acque saline, nei casi di estrema necessità, può consistere in irrigazioni molto frequenti con somministrazioni di volumi tali da dilavare e trasferire in profondità i sali. Particolarmente nocivi risultano il cloro, il sodio, il boro. Delle specie coltivate il limone accusa la maggiore sensibilità, seguito dal mandarino e dall’arancio. Il sistema d’irrigazione a goccia, tenuto conto della distribuzione dei sali nella parte periferica del terreno bagnato, può, invece, consentirne l’utilizzo senza incor-
Impianto irriguo misto: a goccia con due ali per filare, utilizzato nei periodi meno caldi, e a spruzzo con gli organi eroganti (“farfalla”) posti al centro tra due piante, funzionante nei mesi più caldi come irrigazione climatizzante
Presa d’acqua aziendale utilizzata un tempo nell’irrigazione a conca e pozzetto, impiegata per convogliare l’acqua nelle diverse canalette
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alimentazione idrica rere in gravi rischi, sempre che nella stagione invernale la pioggia provveda al dovuto dilavamento dei sali. Un alto contenuto di sodio può conferire all’acqua il carattere dell’alcalinità da cui scaturisce il rischio degli effetti negativi di questo elemento, poco utilizzato dalle piante, sull’alcalinizzazione del terreno, sulla struttura e permeabilità di esso. Un giudizio sulla qualità di un’acqua al fine di valutare i possibili danni sulla struttura del terreno non può prescindere dalla conoscenza del rapporto di assorbimento del sodio: SAR. Come irrigare I sistemi tradizionali sono stati radicalmente abbandonati per far posto a quelli definiti “automatizzati”, nei quali l’impiego della manodopera è sempre più limitata. Tecnicamente, i metodi d’irrigazione differiscono nel modo con cui l’acqua è distribuita attraverso il campo. Sommersione e scorrimento L’irrigazione per sommersione o a conca e per scorrimento o infiltrazione laterale a solchi, dove l’acqua è convogliata al punto di consumo direttamente sulla superficie del terreno, sono stati i metodi d’irrigazione tradizionale degli agrumi, così come di altre colture. Essi sono caratterizzati da bassi costi d’impianto ed energetici, non è richiesta filtrazione, sono di estrema semplicità; nei terreni declivi è necessario provvedere al terrazzamento, hanno costi di manodopera e consumi idrici elevati e uniformità generalmente modesta.
Apertura laterale praticata sulla canaletta e relativa paratoia (“zappeddu”) Foto G. Magnano di San Lio
Foto della fine degli anni ’50: nell’irrigazione a conche l’acqua veniva immessa in un canale principale con argini fatti di terra (“saia”), dal quale veniva deviata in ogni conca, tramite un’apertura laterale (“zappeddu”)
Canaletta (o “saia a cotto”) dove l’acqua irrigua dal pozzetto veniva incanalata
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coltivazione Irrigazione per aspersione Può essere realizzata per soprachioma o sottochioma, sistemi nei quali l’acqua viene distribuita per mezzo di irrigatori idrodinamici. Il soprachioma ha bassi costi rispetto al sottochioma, discreta uniformità, affidabilità dell’impianto e può avere funzioni polivalenti, tra le quali la protezione contro il gelo, l’irrigazione climatizzante, i trattamenti antiparassitari e le concimazioni fogliari. Quando però l’acqua d’irrigazione contiene anche basse concentrazioni di sali, il rischio di danni alle foglie è elevato e in presenza di venti la distribuzione viene molto modificata, per cui occorre eseguire adacquate notturne. Per questa ragione è stato abbandonato, avendo tra l’altro costi energetici relativamente elevati. Nell’aspersione sottochioma è possibile riscontrare una discreta uniformità e affidabilità dell’impianto; per contro, oppone impaccio alle operazioni colturali, il getto interferisce con erbe infestanti o con le chiome basse ed è inadatto nei terreni terrazzati.
Foto G. Magnano di San Lio
Foto degli inizi degli anni ’60: impianto irriguo ad aspersione soprachioma utilizzato con funzioni antigelo
Irrigazione semilocalizzata Il metodo include sistemi che utilizzano come organi distributori minirrigatori posti tra una pianta e l’altra e spruzzatori collocati in numero di due in prossimità del tronco (sconsigliabile) come per esempio nel sistema con spruzzatori statici noto come “baffo”. I vantaggi, rispetto ai metodi precedenti, sono: più elevata efficienza di applicazione, bassi fabbisogni energetici, facilità delle operazioni colturali, nessun ingombro e buon controllo dell’aerazione del suolo. I difetti sono insiti nei pericoli di marciume raImpianto irriguo ad aspersione sottochioma con irrigatori idrodinamici posti al centro di quattro piante
Impianto irriguo semilocalizzato (detto a “baffo”), provvisto di due spruzzi posti ai lati della pianta eroganti l’acqua a 180° Impianto irriguo con minirrigatori posti al centro di due piante
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alimentazione idrica dicale e di gommosi al colletto, nelle elevate perdite per evaporazione (circa 30-40%), anche se modificando opportunamente i turni, nel senso di eseguirli giornalmente e possibilmente di notte, la distribuzione con gli spruzzatori può fornire notevoli vantaggi in termini di climatizzazione, con tutti i conseguenti effetti positivi sulla fisiologia della pianta
Pregi e difetti dell’irrigazione a goccia
• L’irrigazione localizzata a goccia
offre i seguenti vantaggi: presenta la più elevata efficienza, soprattutto se adottata sin dall’impianto dell’agrumeto (= risparmio idrico di circa l’80-85%) e se si dispongono le ali gocciolanti ad anello piuttosto che in linea; mantiene il contenuto di umidità e di potenziale idrico nel suolo pressoché costante; migliora le condizioni di assorbimento radicale; richiede bassi consumi energetici; obbligo della somministrazione contemporanea di elementi nutritivi attraverso la fertirrigazione; minore sviluppo di erbe infestanti e loro possibile controllo nelle zone bagnate con l’impiego, insieme all’acqua, di diserbanti; minori spese d’impianto e di esercizio. Tuttavia presenta anche scarsa uniformità a causa della distribuzione puntiforme, necessità di accurata filtrazione, disponibilità continua di acqua e preparazione tecnicoagronomica dell’operatore
Irrigazione localizzata nello spazio e continua nel tempo Il metodo (noto come irrigazione a goccia) è stato adottato inizialmente in Israele e poi diffuso con enorme successo in tutto il mondo agrumicolo, ma prevede un cambiamento radicale nella gestione dell’irrigazione. Innanzitutto è necessario somministrare volumi ridotti con turni giornalieri o più volte al giorno, il che comporta un primo vincolo legato alla disponibilità continua dell’acqua irrigua. Nel caso dell’agrumicoltura in Sicilia, la maggioranza delle aziende non può realizzare il metodo perché inserita in consorzi irrigui nei quali occorre rispettare il proprio turno nella fornitura. In questo caso il problema può essere superato realizzando invasi sufficienti per avere disponibilità di acqua ogni giorno fino al turno successivo. Il metodo, rispetto ai precedenti, prevede le più basse portate e pressioni di esercizio e organi distributori (gocciolatoi) o piccoli tubicini (spaghetti), inseriti nelle ali gocciolanti esternamente o internamente, a distanze variabili tra loro e con un numero che può essere aggiustato per coprire ogni area di terreno desiderata. Le ali gocciolanti possono essere disposte ad anello a una certa distanza attorno al tronco o in linea (in numero di una o
Impianto irriguo a goccia, con ali gocciolanti disposte ad anello, distante dal tronco circa 1 m
Impianto irriguo temporaneo per giovani impianti, in cui l’acqua fuoriuscente da un tubicino di piccolo diametro (spaghetto) viene immessa in una piccola conca attorno a ogni pianta
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coltivazione due per filare). La loro portata varia da 2 a 16 l/h e la pressione da 0,5 a 1 atmosfere. Il sistema tecnicamente più efficiente e razionale è, tuttavia, la sub-irrigazione nella quale l’acqua e gli elementi nutritivi vengono distribuiti direttamente in prossimità delle radici e non esistono perdite per evaporazione. Il problema più grosso è l’impossibilità di controllare le occlusioni degli organi distributori, sia dall’interno per sostanze disciolte nell’acqua, sia dall’esterno per la crescita di radici nelle prossimità degli orifizi. Una soluzione potrebbe essere quella di introdurre le ali gocciolanti all’interno di tubi drenanti, realizzando nel contempo un controllo dell’eccesso di acqua nel terreno. Effetti degli stress idrici Le esperienze finora condotte sugli agrumi hanno consentito di arricchire le conoscenze sugli effetti della carenza idrica in alcune fasi del ciclo di fruttificazione. Quando essa viene subìta nel primo periodo successivo alla fioritura, le conseguenze si riflettono essenzialmente sull’allegagione facendo aumentare la percentuale di cascola di frutticini. La mancanza di acqua nella fase seguente è la più dannosa per la produzione finale in quanto si manifesta in termini di minore accrescimento dei frutti e succosità e di maggiore acidità, brix e spessore della buccia. La riduzione della somministrazione da settembre in poi non comporta, generalmente, grossi rischi in quanto la pianta va incontro al periodo delle piogge.
Impianto irriguo a goccia con due ali per filare
Aspetti tecnologici Negli ultimi anni non si sono registrati progressi rivoluzionari, ciò che dimostra l’apprezzabile grado di prestazioni e di affidabilità
Impianto per subirrigazione realizzato con ali doppie interrate e disposte in parallelo ai lati del filare. L’acqua erogata in prossimità delle radici sale in superficie, sulla quale si può notare l’umidità emersa
Impianto irriguo a goccia, con ali gocciolanti appoggiate sul terreno e disposte in linea lungo il filare
180
alimentazione idrica che è stato ormai raggiunto. Una certa evoluzione si nota per gli spruzzatori e per i microirrigatori, che hanno portate comprese fra 30 e 200 litri l’ora e gittata compresa fra 1,5 e 6 m circa. Il principale malanno che affligge la microirrigazione è certamente connesso alla possibilità di intasamenti. La filtrazione di conseguenza deve essere studiata con la cura necessaria perché si adatti alle varie esigenze. Ai consueti filtri a rete (d’impiego generico) e a quelli a graniglia (specifici per trattenere le alghe) possono essere affiancati i cosiddetti ‘idrocicloni’, per bloccare le particelle di sabbia. Il controllo dell’esercizio irriguo può essere ottenuto per mezzo di programmatori elettromeccanici o più spesso elettronici che in realtà sono solo degli attuatori di programmi elaborati al di fuori di essi. Aspetti pedologici, fisiologici e agronomici connessi all’irrigazione Il terreno rappresenta il serbatoio per l’acqua e gli elementi nutritivi che, però, sono soggetti a perdite più o meno elevate. Queste dipendono dalle particelle del terreno e dalle proporzioni tra di esse: massime nei terreni sabbiosi e minime in quelli argillosi. A questo proposito, occorre ricordare che in essi e nel caso del sistema irriguo a goccia la forma del volume di terreno bagnato (bulboide umido) cambia, assumendo l’aspetto di una ‘carota’ nel primo caso e di una ‘cipolla’ nel secondo. La soluzione circolante nel terreno è tanto meno disponibile per l’assorbimento quanto minore è la quantità residua. Inoltre, il trasferimento dell’acqua dallo stato liquido nel terreno a quello gassoso nell’atmosfera avviene a velocità diverse perché esso è più lento durante l’assorbimento radicale e più veloce attraverso la
Elettroprogrammatore per l’irrigazione automatizzata, in grado di comandare l’apertura e la chiusura di elettrovalvole mediante cavi elettrici disposti sul campo
Elettrovalvola per l’apertura e la chiusura di saracinesche Gruppo di filtraggio e sfiatatoio a monte di un impianto irriguo
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coltivazione traspirazione. La conseguenza è che le colonne liquide all’interno del corpo della pianta sono sottoposte a sollecitazioni tensoriali. Così, all’interno dei vasi conduttori, si possono verificare interruzioni nella continuità liquida tali da provocare la formazione di vuoti o cavità riempiti, poi, da aria che, diffondendosi a notevole velocità all’interno dei vasi, provoca una diminuzione della conducibilità idrica. Nelle ore più calde dei climi caldo-aridi, questo fenomeno è abbastanza frequente; durante la notte la continuità viene ripristinata facilmente, ma con il passare del tempo le conseguenze si manifestano con stress idrici. L’acqua assorbita e trasportata nei vasi conduttori costituisce una colonna ininterrotta e non esistono interfacce aria-acqua fino a quando essa non viene compromessa da cause naturali, o provocate dall’uomo, causando l’introduzione di aria e il verificarsi della cavitazione. In questi casi, il movimento del liquido e la sua conducibilità vengono influenzati negativamente perché il gas introdotto si sposta in tutto il circuito. In particolare, i due componenti sono composti da molecole che nell’acqua sono legate tra loro con una forza di coesione che non esiste, invece, nelle molecole gassose. Siccome queste ultime sono libere da legami chimici, nell’interfaccia si crea una superficie idrica tanto più convessa quanto minore è la quantità di acqua e nella quale la tensione superficiale raggiunge il massimo valore. Nelle foglie i valori dei potenziali idrici cambiano da quelli minimi assoluti della notte a quelli massimi del giorno. Ai livelli minimi del terreno si raggiunge il coefficiente di appassimento in corrispondenza del quale l’acqua non è più disponibile per le piante e viene trattenuta con una forza pari a –1,5 MPa, valori in corrispondenza dei quali la pianta non può sopravvivere. Ai
Stazione radio per l’irrigazione automatizzata funzionante con batterie solari e onde radio, in grado di mandare messaggi a 7-8 stazioni più piccole, ognuna delle quali comanda l’apertura di 2, 3 o 4 elettrovalvole Sistema di fertirrigazione funzionante con due motopompe
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alimentazione idrica livelli massimi, invece, l’acqua riempie tutti i pori e le radici devono compiere il minore sforzo per estrarla: il potenziale idrico totale in questo caso è considerato per convenzione pari a 0 e rappresenta la capacità massima di campo. L’ideale è avere questa condizione in ogni momento della vita di una pianta, in modo tale da rifornire di acqua e degli elementi nutritivi in essa disciolti tutte le foglie. Affinché il flusso idrico raggiunga il livello più elevato è necessario avere il massimo gradiente di potenziale idrico tra terreno, nel quale è preferibile mantenerlo prossimo a 0, e quello dell’atmosfera, nel quale esso può raggiungere anche i –150/–200 MPa. Nel mezzo di questi due segmenti esiste la pianta che oppone una serie di resistenze. L’insieme di questi elementi costituisce un tutt’uno e un continuum, rappresentabile mediante il concetto dello SPAC (Suolo-PiantaAtmosfera-Continuum). Entro certi limiti la pianta può essere paragonata allo stoppino di un lume a petrolio, il quale, se acceso a un estremo e fintanto che vi è ossigeno nell’aria, emette luce alla massima intensità fino a quando l’altro estremo è immerso nel carburante e il livello si mantiene elevato; allorquando esso diminuisce, la luce si attenua fino a spegnersi del tutto. L’acqua è l’unico vettore per mezzo del quale gli elementi nutritivi vengono assorbiti dal terreno e trasferiti all’interno della pianta e quindi qualunque fattore la influenzi si riflette anche sugli ioni in essa disciolti. In questo senso, abbinando l’irrigazione e la concimazione e frazionando e limitando il più possibile i volumi e le quantità, esiste la possibilità di sostenere la formazione delle gemme a fiore, di indurre una fruttificazione sufficiente e di regolare, modificare o orientare l’equilibrio vegetoproduttivo delle piante di agrume.
Fertirrigatore funzionante con motore idraulico
Sistema di fertirrigazione automatizzato
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Nutrizione e concimazione Massimo Tagliavini, Ana Quiñones
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).
coltivazione Nutrizione e concimazione Introduzione L’applicazione di elementi minerali (in seguito anche indicati come “nutrienti”) nell’agrumeto in forma di concimi (in seguito anche definiti “fertilizzanti”) minerali o a matrice organica è una pratica quasi sempre necessaria allo scopo di consentire all’albero di assorbire i nutrienti indispensabili per completare con successo il ciclo vegetativo e riproduttivo e ottenere rese produttive soddisfacenti dal punto di vista quali-quantitativo. Se si esclude l’ossigeno, il carbonio e l’idrogeno, assorbiti da acqua e atmosfera, gli elementi minerali indispensabili sono 14 e, di norma, si trovano nel suolo sotto diverse forme chimiche, alcune delle quali disponibili per essere assorbite dalla radice. Nelle situazioni colturali in cui la disponibilità di alcuni nutrienti nel suolo è elevata rispetto alle esigenze dell’albero, si può temporaneamente sospendere la loro restituzione.
Diagnostica dello stato nutrizionale degli alberi
• Gli elementi essenziali sono suddivisi
in macroelementi (azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio, zolfo), e microelementi (ferro, manganese, rame, zinco, boro, molibdeno e cloro). Gli elementi minerali, che nel loro insieme costituiscono le ceneri, ossia la frazione che rimane dopo la mineralizzazione dei tessuti, rappresentano meno del 10% del peso secco di un organo dell’albero, segue
Livelli standard di concentrazione (espressa sulla sostanza secca) dei macroelementi (%) e dei microelementi (ppm) nelle foglie del flusso di crescita primaverile dei germogli Coltura Arancio
Clementine
Satsuma
Limone/pompelmo
Arancio, clementine, satsuma, limone, pompelmo
Nutriente
Carenza grave
Carenza lieve
Stato ottimale
Stato sovraottimale
Eccesso
N
<2,30
2,30-2,50
2,51-2,80
2,81-3,00
>3,00
P
<0,10
0,10-0,12
0,13-0,16
0,17-0,20
>0,20
K
<0,50
0,50-0,70
0,71-1,00
1,01-1,30
>1,30
N
<2,20
2,20-2,40
2,41-2,70
2,71-2,90
>2,90
P
< 0,09
0,09-0,11
0,12-0,15
0,16-0,19
>0,19
K
<0,50
0,50-0,70
0,71-1,00
1,01-1,30
>1,30
N
<2,40
2,40-2,60
2,61-2,90
2,91-3,10
>3,10
P
<0,10
0,10-0,12
0,13-0,16
0,17-0,20
>0,20
K
<0,10
0,10-0,60
0,61-0,90
0,91-1,15
>1,15
N
<2,20
2,20-2,50
2,51-3,10
3,11-3,50
>3,50
P
<0,10
0,10-0,11
0,12-0,16
0,17-0,20
>0,20
K
<0,50
0,50-0,80
0,81-1,20
1,21-1,40
>1,40
Mg
<0,15
0,15-0,24
0,25-0,45
0,46-0,90
>0,90
Ca
<1,60
1,60-2,90
2,91-5,00
5,01-6,50
>6,50
S
<0,14
0,14-0,19
0,20-0,30
0,31-0,50
>0,50
Fe
<35
35-60
61-100
101-200
>200
Zn
<14
14-25
26-70
71-300
>300
Mn
<12
12-25
26-60
61-250
>250
B
<21
21-30
31-100
101-260
>260
Cu
<3
3-5
6-14
15-25
>25
Mo
<0,06
0,06-0,09
0,10-3,00
3,01-10
>10
184
nutrizione e concimazione I nutrienti assorbiti in misura maggiore sono definiti macronutrienti e la loro concentrazione nei tessuti dell’albero è nell’ordine di qualche unità o decimi di unità percentuale sulla sostanza secca, mentre i microelementi sono assorbiti in quantità minori e la loro concentrazione nell’albero è nell’ordine di decine o centinaia di parti per milione (ppm). L’assorbimento avviene di norma attraverso le radici, soprattutto tramite quelle fini, che realizzano una superficie di contatto con il suolo relativamente elevata. Come in altre colture, anche negli agrumi le foglie sono in grado di assorbire direttamente i nutrienti presenti sulla lamina stessa e pertanto, in particolari situazioni, si ricorre a una loro applicazione mediante irrorazioni di una soluzione fertilizzante direttamente sulla chioma (concimazione fogliare). Nel suolo gli elementi minerali sono presenti in forme organiche o inorganiche, più o meno solubili e disponibili per l’assorbimento da parte delle radici degli alberi. Le argille costituiscono una riserva di nutrienti (quali K, Ca, Mg, Fe, Mn e Zn) che solo in minima parte e attraverso reazioni chimico-fisiche vengono a essere disponibili per l’assorbimento nella frazione liquida del suolo. Le riserve di azoto, fosforo e zolfo si trovano spesso associate alla frazione organica del suolo che, grazie all’attività dei microrganismi, si trasforma in forme minerali suscettibili di essere assorbite dalle piante. Per razionalizzare la tecnica della fertilizzazione nell’agrumeto occorre disporre di informazioni relative 1) alle quantità di nutrienti che l’albero deve assorbire per crescere e produrre in modo ottimale, 2) alla disponibilità di nutrienti nel suolo e 3) alle quantità di nutrienti che entrano nell’agrumeto attraverso l’acqua di
continua
mentre la rimanente parte, organica, è costituita da carbonio, idrogeno e ossigeno
• Per verificare lo stato nutrizionale
di un albero di agrumi si procede di norma attraverso la diagnostica fogliare. Essa prevede 1) il campionamento autunnale di foglie (dalla terza alla quinta a partire dalla base) presenti su germogli non fruttiferi che si sono sviluppati nella primavera dello stesso anno e 2) la determinazione della concentrazione dei nutrienti in esse contenuti
• Se la concentrazione di un elemento
in un organo scende sotto livelli critici, si instaurano carenze che possono incidere negativamente su crescita vegetativa, produzione o qualità dei frutti
Distribuzione dei concimi
185
coltivazione irrigazione, attraverso le deposizioni atmosferiche, attraverso la fissazione biologica delle essenze leguminose presenti nel prato ecc. In aggiunta a ciò, le crescenti preoccupazioni relativamente al rilascio di elementi minerali derivanti da concimi nelle falde (per lisciviazione) o in atmosfera (per volatilizzazione) fanno sì che ora più che mai occorra calibrare la fertilizzazione in modo non solo da massimizzare del reddito, ma anche da minimizzare o eliminare le perdite di nutrienti nell’ambiente.
Nutrienti assorbiti in un anno
• La tabella sottostante illustra un esempio
di quantità (kg/ha) totali di nutrienti annualmente assorbiti nella parte aerea di alberi adulti di arancio e loro ripartizione nelle frazioni definite “immobilizzazioni” (organi legnosi), “asportazioni dei frutti” e “restituzioni al suolo” (foglie abscisse e legno di potatura). Le immobilizzazioni e le asportazioni attraverso i frutti (nel caso specifico pari a 22 t di frutti / ha) costituiscono asportazioni nette, ossia quantità che annualmente o all’estirpazione dell’impianto lasciano l’agrumeto
Asportazioni di nutrienti da parte degli agrumi Se si considera il destino dei nutrienti assorbiti, occorre definire come asportazioni nette la frazione di nutrienti il cui destino è quello di lasciare il sistema: si tratta delle asportazioni annuali di nutrienti contenuti nei frutti e della quota di nutrienti che è annualmente immobilizzata negli organi permanenti, che lascerà anch’essa l’agrumeto quando quest’ultimo verrà espiantato. La rimanente quota di nutrienti, quella contenuta nelle foglie e nel materiale di potatura, ritorna al suolo, dove formerà una lettiera che nel tempo verrà decomposta e rilascerà una parte dei nutrienti in essa contenuti. Negli impianti adulti, ai fini del calcolo della dose di fertilizzanti si possono considerare le sole asportazioni nette, mentre in impianti giovani, nel cui suolo probabilmente non si è ancora instaurato un adeguato ciclo di mineralizzazione delle foglie abscisse e del legno di potatura, è meglio utilizzare le asportazioni totali. Se si analizza l’albero dopo la raccolta dei frutti, ci si rende conto che la maggior parte della biomassa e dei nutrienti risiede negli organi legnosi. Durante la stagione vegetativa, invece, i nutrienti assorbiti vengono indirizzati soprattutto verso i germogli in crescita e verso i frutti. Il calcio è l’elemento assorbito in quantità maggiori,
Nutrienti assorbiti in un anno (kg/ha) N
P
K
Ca
Mg
Immobilizzazioni
11
1
2
23
1
Asportazioni dei frutti
30
5
19
15
3
Restituzioni al suolo
42
3
12
149
9
Totale assorbito
83
9
33
187
13
Da Roccuzzo et al., 2012
Andamento dell’accumulo annuale di azoto e fosforo nella parte aerea di alberi di arancio e variazioni della loro biomassa 100
Biomassa N P
80 60 40 20 0 10/04/09
25/05/09
07/07/09
20/08/09
03/10/09
16/11/09
30/12/09
12/02/10 da Roccuzzo et al., 2012
186
nutrizione e concimazione soprattutto tramite le foglie abscisse, ma il suo destino è quello di ritornare al suolo. L’azoto rappresenta il secondo elemento in termini di quantità che l’albero assorbe. Una parte consistente dell’azoto assorbito ritorna al suolo, mentre le quantità asportate dai frutti dipendono molto dall’entità della produzione stessa. Diversamente da altre colture arboree da frutto, le asportazioni di potassio negli agrumi sono sensibilmente minori di quelle di azoto e calcio, anche in relazione a una sua minore concentrazione nel frutto rispetto a quanto avviene, per esempio, nella mela, nell’uva o nella pesca. Considerando che durante la stagione vegetativa la maggior parte dei nutrienti assorbiti viene indirizzata verso i germogli e i frutti in accrescimento, è possibile seguire la dinamica di assorbimento attraverso le variazioni del loro contenuto in questi organi. Nel caso dell’azoto e del fosforo, si assiste a un loro rapido accumulo che dalla primavera prosegue fino all’autunno. Il potassio tende ad accumularsi rapidamente nei germogli in primavera, mentre durante l’estate migra preferibilmente verso i frutti. In relazione ai flussi interni di potassio dalle foglie ai frutti, il contenuto di questo elemento nella parte aerea dell’albero non subisce significativi cambiamenti durante l’estate.
Sintomatologia di carenze ed eccessi di nutrienti
• Le carenze e gli eccessi nutrizionali,
quando si manifestano in modo severo, sono visibili attraverso modifiche delle foglie per clorosi o necrosi che coinvolgono foglie giovani (nel caso di elementi poco mobili nell’albero, come il ferro, lo zinco) o mature (nel caso di elementi mobili per via floematica come il sodio, il potassio o il magnesio)
• Le carenze e gli eccessi modificano il
modo di vegetare e produrre dell’albero e in taluni casi anche le caratteristiche dei frutti (come indicato nella tabella a pagina seguente)
Criteri operativi per eseguire la concimazione Per passare dalla teoria alla pratica della concimazione, occorre considerare che solo una parte del fertilizzante impiegato sarà assorbito dalle radici. Si parla in questo caso di efficienza d’uso del nutriente (NUE, Nutrient Use Efficiency) derivato dal fertilizzante, che esprime quella percentuale del nutriente distribuito che è real mente assorbita dall’albero. La NUE del fertilizzante dipende da
Andamento dell’accumulo annuale di calcio, magnesio e potassio nella parte aerea di alberi di arancio
Incremento K, Ca e Mg (%)
100
K Ca Mg
80 60 40 20 0 apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
gen
feb da Roccuzzo et al., 2012
187
coltivazione molti fattori e diminuisce all’aumentare del divario tra la capacità di assorbimento delle radici e le quantità di nutrienti distribuite. Il tipo di concime, la modalità della loro distribuzione, nonché il tipo di suolo e il regime idrico influenzano anch’essi la NUE. La quantità di fertilizzanti da applicare nell’agrumeto può venire calcolata moltiplicando i valori relativi alle esigenze annuali dei singoli elementi (definite sopra in kg/ha) per l’efficienza d’uso dei fertilizzanti e per un coefficiente che considera il rapporto tra i singoli elementi (per es. N, P, K, Mg) e le rispettive unità fertilizzanti considerate nei concimi (N, P2O5, K2O e MgO): Dose annuale = Esigenze annuali × F1 × F2 dove F1 = coefficiente che considera l’efficienza d’uso del fertilizzante (per es. 1,25 in caso di efficienza pari all’80%) e F2 = fattore di conversione da nutriente a unità fertilizzante, pari a 1, 2,3, 1,2 e 1,7, rispettivamente per N, P, K e Mg. Le dosi di fertilizzante ottenute dai calcoli sopra indicati si riferiscono a situazioni ottimali in cui, attraverso la concimazione, si intende ripristinare la fertilità del suolo. In suoli poveri o in quelli assai dotati di nutrienti, la dose ottimale di fertilizzanti può essere modulata in considerazione dei livelli di nutrienti nel suolo (determinati ogni 2-3 anni) o nelle foglie. In pratica, a seconda dei livelli di concentrazione fogliare di un determinato nutriente, potrebbe essere opportuno aumentare (nel caso il nutriente sia carente) o diminuire (nel caso sia eccessivamente presente) la dose di fertilizzanti derivata dalla formula riportata.
Carenza di azoto nella foglia a destra Foto D. Swietlik
Carenza di potassio
Principali cause ed effetti di carenze ed eccessi di azoto e potassio Principali cause e sintomatologia Cause: suoli a matrice sabbiosa, bassi livelli di sostanza organica Carenza Azoto Eccesso
Potassio
Carenza
Sintomi: clorosi diffusa o nervale, riduzione dell’attività vegetativa. In casi di carenza grave si manifesta precoce e accentuata filloptosi Cause: apporti eccessivi rispetto alle esigenze, suoli ricchi di sostanza organica e sottoposti a elevata mineralizzazione Cause: suoli ricchi di magnesio, suoli sciolti, agrumeti molto produttivi e insufficientemente concimati con potassio, suoli con forte potere tampone per il potassio o argille a elevata capacità di fissare il potassio. Le carenze sono più frequenti su limone Sintomi: foglie mature, che diventano giallo-bronzate e tendono a mostrare epinastia
188
Principali effetti Diminuzione delle rese, cascola elevata, riduzione della pezzatura dei frutti, ritardo nella colorazione dell’epicarpo, bassa pigmentazione nelle arance a polpa rossa, buccia troppo sottile, basso contenuto in zuccheri e vitamina C, aumento dell’acidità Insufficiente colorazione esterna dei frutti, buccia assai spessa
La deficienza sull’arancio riduce le dimensioni dei frutti, aumenta l’acidità, l’incrinatura della buccia, la spaccatura dei frutti e la cascola pre-raccolta
nutrizione e concimazione Asportazioni totali di alcuni macroelementi in agrumeti di diversa età Età albero (anni)
Azoto g/albero
Fosforo g/albero
Potassio g/albero
Magnesio g/albero
2
5,1
0,7
2,8
1
6
142
15
87
32
>12
453
44
246
95
Foto F. Legaz
Quando le analisi del suolo indicano un’elevata fertilità e l’eccessiva disponibilità di un nutriente, la sua somministrazione attraverso il concime dovrebbe essere temporaneamente sospesa. In tal caso occorre comunque effettuare regolari analisi fogliari per evitare che nel tempo si instaurino situazioni di carenza. Per impianti con produzioni diverse da quelle a cui ci si riferisce nella tabella di pagina 186 (22 t/ha), le asportazioni nette annuali si possono utilmente approssimare moltiplicando la produzione di frutti attesa (in tonnellate di peso fresco/ha) per un coefficiente pari a 1,5 per l’azoto, 0,2 per il fosforo, 1,0 per il potassio, 0,7 per il calcio e 0,1 per il magnesio. In generale, le asportazioni di nutrienti dipendono anche dall’età dell’impianto, come si evince dalla tabella sopra.
Carenza di magnesio Foto D. Swietlik
La clorosi ferrica degli agrumi Molte zone di produzione degli agrumi nel Mediterraneo insistono su suoli alcalini o calcarei, in cui la solubilità del ferro è molto bassa. In tali situazioni si manifesta frequentemente la clorosi ferrica, una fisiopatia nutrizionale che determina una riduzione della vita economica del frutteto e sensibili perdite quali-quantitative della produzione. I costi legati al controllo della fisiopatia sono elevati. La clorosi ferrica si presenta visivamente con un ingiallimento internervale delle foglie apicali. Nei casi più gravi, l’ingiallimento può estendersi alle foglie più vecchie ed essere seguito da necrosi e abscissione precoce. La tolleranza ai suoli calcarei è di tipo genetico e dipende dal portinnesto utilizzato. Sebbene vi siano portinnesti tolleranti il calcare e che consentono di evitare la clorosi ferrica, non esistono al momento genotipi che combinino tale carattere con la resistenza al virus della tristeza e alla Phytophthora. Promettenti a questo riguardo sono le selezioni di appositi programmi di miglioramento genetico (per le quali si rimanda al capitolo “Portinnesti”). Il mezzo più diffuso per il controllo della clorosi ferrica negli agrumi è rappresentato dall’applicazione al suolo di chelati di ferro sintetici. Le applicazioni alla chioma hanno in genere un’efficacia inferiore.
Carenza di manganese Foto D. Swietlik
Carenza di zinco
189
coltivazione I chelati di ferro hanno un costo abbastanza elevato e sono potenzialmente dannosi per l’ambiente. L’esigenza di attuare pratiche agronomiche a basso impatto ambientale ha suggerito lo sviluppo e l’adozione di strategie ecocompatibili di controllo della clorosi ferrica, che nel contempo siano durature ed economicamente sostenibili. Tra di esse, si ricordano i seguenti tipi di intervento: 1. aumento del livello di sostanza organica nel suolo, la cui efficacia dipende dall’aumento della frazione del ferro che viene complessata da molecole organiche e che pertanto si rende disponibile per l’assorbimento; 2. applicazione di vivianite (Fe3(PO4)2 · 8H2O), un fosfato ferroso scarsamente cristallino esistente in natura e che può essere preparato in azienda, dissolvendo in acqua solfato ferroso eptaidrato e fosfato monoammonico (o biammonico); 3. applicazioni fogliari di una miscela di solfato ferroso e acido citrico. Alcune evidenze pratiche indicano che l’aggiunta di acido citrico determina un inverdimento più uniforme; 4. utilizzo del CULTAN, che consiste nel rimuovere parte dell’originario suolo calcareo e nel sostituirlo con torba acidificata, arricchita con solfato ferroso e inibitori della nitrificazione. Tale intervento potrebbe essere realizzato interrando la torba ai lati del filare in piccole trincee;
Foto F. Legaz
Clorosi ferrica Inverdimento localizzato e puntiforme dopo trattamenti fogliari con un prodotto a limitata efficacia a base di ferro
190
nutrizione e concimazione 5. la nutrizione ferrica degli agrumi si avvantaggia della consociazione con specie graminacee, le quali sono in grado, mediante la secrezione radicale di composti Fe-chelanti (fitosiderofori), di aumentare la disponibilità di ferro nel suolo convertendo le forme di ferro insolubili in forme solubili.
Foto Sibarit
Tecniche di concimazione La concimazione prima della messa a dimora degli alberi, quando si prepara il terreno o la buca d’impianto, è in molti casi fondamentale per il successo dell’impianto, anche se non sempre le si attribuisce adeguata attenzione. Di norma con la concimazione pre-impianto si apporta sostanza organica (letame o ammendante compostato) ed elementi poco mobili come potassio, calcio, magnesio e fosforo, negli strati di suolo più profondi, ma comunque sempre interessati dalla colonizzazione delle radici. Questi apporti si rendono necessari soprattutto quando le analisi del suolo dimostrano un’insufficiente disponibilità di un elemento della fertilità, quando la tipologia del suolo fa prevedere una scarsa mobilità verticale dei concimi apportati in superficie. La concimazione, che di norma si effettua annualmente durante la vita dell’impianto, può avvenire tramite applicazioni al suolo oppure epigee. Nelle aree mediterranee, attraverso queste modalità di distribuzione sono frequenti concimazioni annuali con
Fertilizzanti presenti in forma solida comunemente usati in fertirrigazione Fertilizzante Nitrato di ammonio
Nutrienti principali
Altri nutrienti
34,5% N 27% CaO
Solubilità (g L–1)
CE (0,5 g L–1) (dS m–1)
2190
850
1220
605
1100
*
Nitrato di calcio
15% N
Urea
46% N
Solfato di ammonio
21% N
28% SO3
724
1033
Nitrato di magnesio
11% N
15% MgO
500
448
Fosfato monoammonico
12% N; 60% P2O5
400
455
Solfato di magnesio
16% MgO
380
410
Fosfato monopotassico
12% N; 61% P2O5
365
880
Nitrato di potassio
13% N; 46% K2O
335
693
Cloruro di potassio
60% K2O
340
948
Solfato di potassio
50% N
110
47% SO3
* non modifica la CE
191
coltivazione
• I concimi utilizzati in fertirrigazione
possono essere in forma liquida o solida (in questo caso devono possedere elevata solubilità in acqua), devono essere miscibili con altri fertilizzanti eventualmente impiegati e non avere azione corrosiva su parti degli impianti di fertirrigazione stessi
Nitrato di ammonio
*
Nitrato di calcio
√
*
Nitrato di potassio
√
√
Nitrato di magnesio
√
√
√
*
Fosfato monoammonico
√
X
√
X
Cloruro di potassio
Solfato di ammonio
Urea
Microelementi chelati
Solfati con microelementi
Solfato di magnesio
Solfato di potassio
Acido nitrico
Acido fosforico
Fosfato monoammonico
è quello di poter distribuire piccole dosi di concime insieme all’acqua di irrigazione, con elevata frequenza, assecondando in questo modo le esigenze dell’albero e minimizzando le perdite di nutrienti. Nell’area del Mediterraneo, dosi annuali pari a 200, 70, 140, 180 e 1 kg ha-1 N, P2O5, K2O, MgO e Fe sono spesso utilizzate negli impianti commerciali a elevata produttività, sebbene esse possano essere diminuite, in considerazione dell’elevata efficienza d’uso dei fertilizzanti
Nitrato di magnesio
• Il vantaggio della fertirrigazione
Nitrato di potassio
Nitrato di ammonio
La fertirrigazione
Nitrato di calcio
Compatibilità dei fertilizzanti per la fertirrigazione
* *
Acido fosforico*
√
X
√
X
√
*
Acido nitrico*
√
√
√
X
√
√
*
Solfato di potassio
√
X
√
X
√
√
√
√
√
√
R
*
√
X
R
√
Solfato di magnesio
√
X
√
X
Solfati con microlementi
√
X
√
X
* *
Microelementi chelati
√
R
√
R
R
R
X
√
√
√
*
Urea
√
√
√
√
√
√
√
√
√
√
√
*
Solfato di ammonio
√
X
√
√
√
√
√
R
X
√
√
√
*
Cloruro di potassio
√
√
√
√
√
√
√
R
√
√
√
√
√
*
√: compatibile; X: incompatibile; R: scarsa compatibilità; * sostanze pericolose e corrosive Da Roddy, E. (2006): Fertigation Fertilizer Sources. www.omafra.gov.on.ca/english/crops/hort/ news/vegnews/2006/vg0406a2.htm
• La fertirrigazione richiede una continua e adeguata manutenzione degli impianti irrigui, in particolare degli ugelli, al fine di evitare l’occlusione e la conseguente disformità di erogazione
240, 80, 160, 180 e 1,25 kg ha-1 di N, P2O5, K2O, MgO e Fe, rispettivamente. Gli apporti fogliari di fertilizzanti in genere non sono in grado di soddisfare le necessità dell’albero in termini di macroelementi, mentre nel caso dei microelementi (forse con l’eccezione del ferro) possono spesso sostituire del tutto gli apporti al suolo. L’efficienza delle concimazioni epigee dipende da fattori interni all’albero e alle foglie, dalle condizioni ambientali, dal tipo di concime e dalle modalità di distribuzione. Se le condizioni ambientali sono favorevoli, l’assorbimento fogliare è rapido e già entro le prime 48 ore può dirsi completo, raggiungendo efficienze che almeno per l’azoto oscillano tra il 75 e il 90%. I concimi fogliari devono essere solubili in acqua e venire applicati a dosaggi che non causino fitotossicità. Il pH della soluzione nutritiva, che ha un effetto sulla solubilità dei vari elementi minerali, dovrebbe essere indicativamente compreso tra 5,5 e 8,5, sebbene i valori ottimali varino in funzione dei nutrienti e dei sali utilizzati. 192
nutrizione e concimazione La concimazione epigea viene spesso realizzata con volumi variabili tra 150 e 1500 l/ha. Quando i concimi sono applicati insieme a prodotti fitosanitari (insetticidi, fungicidi ecc.), occorre verificarne la miscibilità. Nei moderni impianti, la distribuzione dei concime avviene spesso tramite fertirrigazione.
Un esempio pratico di fertirrigazione
• Una volta definita la quantità
di elementi richiesta dall’impianto, le unità fertilizzanti da distribuire effettivamente dipenderanno da diversi fattori, quali l’effettivo stato nutrizionale delle piante rilevabile dall’analisi fogliare e i possibili apporti derivati dall’acqua d’irrigazione, rilevabili dall’analisi dell’acqua stessa. Dopo opportuna correzione, quindi, le unità fertilizzanti annuali andranno restituite mensilmente assecondando le effettive richieste di nutrienti nel corso della stagione
Un esempio pratico di fertirrigazione In un impianto adulto di Washington Navel su citrange Carrizo si ipotizzi di dover distribuire annualmente 358, 107, 204 e 264 g albero-1 di N, P2O5, K2O, MgO, rispettivamente, attraverso un impianto di fertirrigazione. A seconda dei risultati dell’analisi fogliare si rendono necessarie alcune correzioni della dose, come indicato nella tabella a lato, in base alle quali le nuove dosi sarebbero 251, 171, 61 e 264 g albero di N, P2O5, K2O e MgO, rispettivamente.
Correzione della dose di nutrienti in base all’analisi fogliare Elemento
Concentrazione
Livello diagnosticato
Fattore di correzione
N (%)
2,9
Alto
0,7
P (%)
0,1
Basso
1,6
K (%)
1,15
Alto
0,3
Mg (%)
0,25
Ottimale
1 Foto Sibarit
Le analisi dell’acqua d’irrigazione indicano però che essa contiene azoto in forma nitrica alla concentrazione di 125 ppm e magnesio alla concentrazione di 30 ppm. Pertanto, considerando un volume irriguo complessivo pari a 5000 m3 ha-1 e una densità di 416 alberi/ha, si ipotizza che attraverso la sola irrigazione, in presenza di un’efficienza dei nutrienti provenienti dall’acqua pari al 60% e di un fattore di insolubilizzazione del Mg del 50%, vengano distribuiti circa 203 g/albero di N e 180 g/albero di MgO. La dose di N da restituire tramite fertilizzante scende pertanto a 48 g/albero e quella di MgO a 84 g/albero. Per assecondare le richieste di nutrienti nel corso della stagione si decide di restituire le unità fertilizzanti (g/albero) secondo il seguente schema mensile.
Distribuzione unità fertilizzanti (g/albero) nell’anno Nutriente
Mar
Apr
Mag
Giu
Lug
Ago
Set
Ott
N
2,4
4,8
7,2
9,6
9,6
7,2
4,8
2,4
P2O5
8,6
17,1
26,7
26,7
26,7
26,7
26,7
17,1
K2O
3,1
3,1
6,1
9,2
12,2
12,2
9,2
6,1
MgO
4,2
8,4
12,6
16,8
16,8
12,6
8,4
4,2
193
gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Flora spontanea Pasquale Viggiani
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).
coltivazione Flora spontanea L’aranceto del Botticelli Come la ninfa Clori insidiata da Zefiro, sotto lo sguardo di una ritrosa Venere e tra il fluttuare di veli leggiadri delle tre Grazie, muta in Flora, foriera di rinascita, così in un aranceto si annuncia la fine dell’inverno nel capolavoro di Sandro Botticelli, La Primavera, enigmatico quadro conservato agli Uffizi di Firenze. Moltissimi (quasi 200 specie) e variegati fiori selvatici si incastonano, come gemme colorate, nel prato sotto l’aranceto del Botticelli. In quella tavola mi sembrò di planare, alla fine dello scorso febbraio, quando un aereo, in poco più di un’ora, dalla fredda e innevata Valle Padana mi fiondò in un aranceto catanese. Trovai un’atmosfera già di primavera. Via l’eschimo degli anni ’70, matita e taccuino, annotai più di cinquanta specie di piante spontanee tra i filari di aranci e di altri agrumeti che visitai nei giorni successivi. Negli aranceti siciliani, nei limoneti di Siracusa, come negli agrumeti calabresi e in quelli pugliesi, durante la primavera, tra i filari un luminoso iride di fiori. Il bianco dei fiori della stellaria e dell’eliotropio si
I fiori del Botticelli
• Botticelli volle ornare il prato della sua
Primavera con circa 500 esemplari vegetali, tra cui 200 in fiore, tra ciuffi d’erba di zigoli e di graminacee. Pare che molte specie le abbia scelte per allegorie amorose. Per citarne alcune: fiordalisi e margherite, ai piedi di Clori, simboleggiano la donna amata, l’elleboro, sotto il piede sinistro di Venere, cura la follia d’amore e il mirto, sullo sfondo, simboleggia amore e desiderio sessuale!
Sandro Botticelli (1445-1510), La Primavera, Galleria degli Uffizi, Firenze (© 2012. Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali)
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flora spontanea tinge di giallo in quelli dell’acetosella, dei grespini e dei crisantemi dorati. Virano nell’arancione i flosculi delle calendule mentre i fiori della malva e della scarlina, come quelli del becco di gru, si colorano di rosa. E i fiori cerulei della borragine riflettono l’invidioso cielo tra i culmi di graminacee e il verde della pruriginosa ortica. D’estate tutto cambia. Solo di tanto in tanto, bianche stelline di pomidorella e rosee campanelle di vilucchio, con il giallo dei fiori della portulaca e dei triboli spinosi, si fanno largo tra le specie più frondose, e il verde ha il sopravvento in vegetazione a chiazze, di fiori schivi, di amaranti e farinelli, di romici e vetriola. Un po’ di tecnica Ahimè, dall’arte pittorica all’arte del diserbo il passo è decisamente lungo, ma necessario. La presenza delle erbe spontanee nell’agrumeto implica complicate interazioni che interessano anche vari settori produttivi, da quello agronomico propriamente detto a quelli relativi agli aspetti fitoiatrici, economici e ambientali. In assenza di un’accorta gestione di queste specie, nell’agrumeto si instaura una variegata flora spontanea che, come è stato già sottolineato, si presenterà folta e lussureggiante tra la fine dell’inverno e la primavera successiva. Ai fini competitivi verso la coltura questa flora non è particolarmente dannosa, vuoi per le ridotte esigenze nutrizionali degli agrumi in questo periodo, vuoi per la disponibilità idrica assicurata dalle piogge stagionali, sufficienti per le esigenze vegetative di alberi ed erbe. Tipica componente floristica in questa fase è l’acetosella gialla che forma un tappeto erboso pacciamante che, oltre a soddisfare l’aspetto paesaggisti-
Stellaria
Eliotropio
Crisantemo
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coltivazione co, rappresenta una coltre verde necessaria per il passaggio delle macchine operatrici, un ostacolo all’insediamento di altre specie infestanti e anche un serbatoio di acqua e sostanza organica, da restituire al terreno al momento del suo interramento, nel mese di aprile-maggio, cioè all’inizio della stagione secca. Le prerogative positive della presenza di questa specie riguardano anche un aspetto squisitamente fitoiatrico inerente la lotta biologica; l’acetosella, infatti, ospita acari innocui per gli agrumi ma che si comportano da predatori di altri acari fitofagi dannosi per le colture. È altrettanto vero però che una presenza massiccia sua e di altre specie a lei contemporanee può rivelarsi molto dannosa, per esempio quando esse offrono rifugio ad arvicole e insetti fitofagi nocivi anche per gli agrumi. Se la vegetazione erbacea autunno-primaverile può essere tollerata, e in molti casi auspicata e favorita nella crescita, non così è per quella estiva che è pressoché sempre dannosa, a causa dell’eccessiva competizione per l’acqua (siamo nella stagione secca) e le sostanze nutritive di cui la coltura è particolarmente esigente in questo periodo. La competitività si manifesta anche con fenomeni allelopatici, come quando, per esempio, la coltura è infestata da Convolvulus arvensis e Cynodon dactylon. La dannosità della flora infestante tocca anche aspetti fitosanitari, visto che specie come Setaria verticillata e Solanum nigrum possono ospitare dannosi nematodi. Alle specie più frequenti che compongono la flora estiva e a qualche specie autunno-primaverile viene dato un particolare rilievo qui di seguito, con una descrizione volutamente sommaria per ragioni di spazio, secondo l’ordine alfabetico dei loro nomi italiani (seguiti, tra parentesi, dai nomi latini).
Calendula
Scarlina
Becco di gru Borragine
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Tribolo
flora spontanea Descrizione delle specie Acetosella gialla (Oxalis pes-caprae). È una tipica componente del cotico erboso degli agrumeti siciliani. Il suo nome rievoca il sapore acido delle foglie. Ogni foglia è composta da tre segmenti cuoriformi, tanto che queste piante vengono confuse spesso con quelle del trifoglio e furono prese come esempio da San Patrizio, evangelizzatore dell’Irlanda, per illustrare il concetto della Trinità. L’aggettivo pes-caprae indica la forma dei tuberetti radicali, simili agli zoccoli delle capre, tramite i quali la specie si riproduce dato che non riesce a portare a termine la maturazione dei semi. Amaranti (Amaranthus spp.). Piante annuali dalle infiorescenze persistenti anche durante l’avvizzimento: a questa caratteristica è ispirato il loro nome (dal greco a, non, e maraino, avvizzisco). La specie più diffusa è l’amaranto comune (Amaranthus retroflexus) detto anche blito, una pianta vigorosa dalle tipiche infiorescenze a pannocchia dalle quali originano migliaia di piccolissimi semi neri, lenticolari e lucidi, ancora oggi impiegati in molti Paesi africani e sudamericani, per ricavarne farina da panificare o per la produzione di dolci.
Acetosella gialla
Farinello o chenopodio (Chenopodium spp.). Anche i semi dei farinelli sono lenticolari e lucidi. Il nome latino di queste piante annuali associa la forma delle foglie con quella delle zampe delle oche (dal greco chen, oca, e podion, piede). L’allusione alla farina della denominazione italiana deriva dalle microscopiche sferette biancastre che, come un sottile strato di farina, ricoprono i vari organi della pianta.
Pannocchie di amaranto
Farinello o chenopodio
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coltivazione Gramigna comune o dente di cane (Cynodon dactylon). È presente in ogni stagione, in particolare nei terreni poco lavorati, grazie ai suoi rizomi radicali e ai suoi stoloni che si allungano sul terreno. Rizomi e rami sono ricchi di gemme che da giovani sembrano incisivi di cane, ispiratori del nome italiano della specie e del nome cynodon (dal greco kyon, cane, e odon, dente), e crescendo generano nuove piante che emettono infiorescenze con rametti disposti come le dita di una mano: è a questa disposizione che allude l’aggettivo dactylon. Grespi(g)no (Sonchus spp.). Presenti in ogni stagione, ma specialmente in primavera, queste piante da adulte hanno fusto praticamente vuoto, che emette un latice biancastro se rotto, e foglie un po’ spinulose sul bordo, ma non pungenti. Dai fiori originano piccolissimi frutti (acheni) muniti di un candido pappo apicale che, funzionando come un minuscolo paracadute, permette al seme maturo, contenuto nell’achenio, di essere trasportato lontano dalla pianta madre e di essere diffuso in un’ampia area circostante.
Gramigna comune o dente di cane
Malva selvatica (Malva sylvestris). Pianta imponente e lussureggiante, caratterizzata da fusto coriaceo, foglie palmate e fiori con cinque petali rosa rigati di violetto. Da ogni fiore prende origine un frutto a forma di piccola ciambella che a maturità si sgretola in molti frutticini lenticolari, contenenti ciascuno un seme. La riproduzione di questa specie avviene tramite semi, ma le piante possono emettere getti fertili anche dalle gemme che si trovano sulle loro radici.
Grespigno o grespino
Malva selvatica
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flora spontanea Pabbio o setaria (Setaria spp.). È una graminacea annuale, onnipresente durante l’estate. Come tutte le graminacee ha foglie nastriformi lanceolate; il fusto è compresso, talvolta quasi schiacciato, e adagiato sul terreno con la sua porzione inferiore. L’infiorescenza ha una forma pressoché cilindrica ed è ricchissima, oltre che di fiori, anche di evidenti sete, che sono ricordate nel nome di queste piante e che derivano da fiori abortiti. Il genere Setaria comprende diverse specie, tra le quali il pabbio comune (a destra, nell’immagine a fianco) e il pabbio verticillato (a sinistra, nella stessa immagine). Pomidorella (Solanum nigrum). Specie annuale, tipicamente estiva, di media taglia ma molto fogliosa e con piccole bacche nere (nigrum) e sferiche che nella forma ricordano i frutti di alcune varietà di pomodoro. Il nome Solanum deriva da una parola greca che indica conforto, con riferimento a vari componenti delle piante che sono tossici ma che opportunamente estratti e dosati possono servire per lenire le sofferenze provocate da varie malattie.
Pabbio o setaria
Porcellana comune (Portulaca oleracea). Il nome latino si riferisce alla portula tramite la quale il frutticino si apre a maturità per liberare miriadi di piccolissimi semi neri, che riproducono la specie. L’aggettivo oleracea deriva anch’esso dal latino e indica il suo uso come verdura. Le piante adulte assumono una forma di cuscino adagiato sul terreno, con i rami cilindrici molto ramificati, lisci, spesso arrossati, con foglie grassette a forma di spatola e fiorellini gialli. Questa specie è tipica dei terreni sabbiosi o sciolti, e persiste per tutta l’estate con frequenti rinascite, in particolare se la stagione decorre piovosa.
Pomidorella
Porcellana comune
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coltivazione Romice (Rumex spp.). Il nome scientifico di queste piante deriva dal termine latino che indica la punta della lancia, con riferimento alla forma delle foglie. Il fusto è eretto e robusto. I fiori sono poco appariscenti e riuniti in ampie pannocchie. Da ogni fiore ha origine un seme la cui forma ricorda un dardo con tre facce triangolari leggermente incavate. La specie si moltiplica per seme e anche per gemme, presenti sulle grosse radici e in grado di originare piante durante tutto l’anno. Saeppola (Conyza spp. = Erigeron spp.). L’accentuato odore di cimice (in greco kónopos) ha dato il nome a queste piante annuali. Appartengono alla famiglia botanica delle Composite, anche se non si direbbe guardando i loro capolini piccolissimi e quasi incolori. Di recente introduzione in Italia, queste piante si diffondono soprattutto grazie ai leggeri semi provvisti di pappo che, come succede per i grespini, li trasporta anche a considerevole distanza nell’ambiente circostante. Negli agrumeti italiani sono diffuse due specie, la saeppola di Buenos Aires (C. bonariensis) e la saeppola canadese (C. canadensis).
Romice
Sorghetta o melghetta (Sorghum halepense). Il nome latino di questa rigogliosa graminacea estiva è di origine orientale: ricorda la parola indiana sorghi e la città di Aleppo (halepensis). La specie si riproduce tramite semi ma anche per mezzo di rizomi radicali che emettono nuove piante le quali, a loro volta, formano nuovi semi e nuovi rizomi, e così via. L’infestazione procede dai bordi dell’appezzamento e gradatamente si insedia poi al suo interno.
Saeppola
Sorghetta o melghetta
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flora spontanea Vetriola minore (Parietaria diffusa). Si tratta di una pianta allergenica, parente dell’ortica ma con foglie non urticanti dalla caratteristica proprietà di aderire ai vestiti e impiegate come detergente per bottiglie e vetri in genere: da qui deriva il nome italiano, mentre quello latino fa riferimento alla possibilità della specie di vegetare anche sui muri. La specie si riproduce tramite semi e per mezzo di gemme radicali perennanti. Decotti e infusi di foglie di una specie simile, la vetriola comune (Parietaria officinalis), sono impiegati in erboristeria per le proprietà medicinali (diuretiche, emollienti e rinfrescanti). Vilucchio comune (Convolvulus arvensis). I nomi di questa specie rimarcano la flessuosità del fusto che si arrampica, attorcigliandosi tenacemente intorno alle altre piante. Il vilucchio è presente in tutti i periodi dell’anno, se si escludono quelli particolarmente freddi durante l’inverno; ha foglie approssimativamente cuoriformi e fiori bianchi, spesso anche rosati, a imbuto che evolvono in capsule contenenti semi rugosi. La specie però si riproduce preferibilmente tramite rizomi radicali.
Vetriola minore
Zigolo infestante (Cyperus rotundus). Il nome latino di questa pianta deriva da quello greco: kýpeiros. È specie perenne, per via della presenza di bulbi e di un rizoma radicale tramite i quali si moltiplica, visto che in Italia difficilmente riesce a maturare i semi. L’apparato epigeo consta di foglie strette e lunghe riunite in un’unica rosetta a livello del terreno; il fusto delle piante adulte ha sezione triangolare e porta alla sommità una pannocchia formata da molte spighette poco appariscenti.
Vilucchio comune
Zigolo infestante
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Gestione della flora spontanea Vittorio Lo Giudice
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coltivazione Gestione della flora spontanea Da sempre piante di agrumi e gestione del suolo sono state tra loro collegate per una buona produzione quanti-qualitativa. Nel passato erano impiegati prevalentemente i mezzi meccanici, ma nel 1944 si assisté all’avvento della tecnologia chimica, con l’introduzione dapprima del 2,4-D (acido 2,4-diclorofenossiacetico) e successivamente di altri principi attivi, che conobbero una rapida diffusione per la facilità d’uso e l’economicità. Da allora il modo di controllare la flora spontanea è cambiato fino ad arrivare alla gestione integrata, dove più mezzi per combattere le malerbe vengono impiegati al fine di assicurare una maggiore efficienza degli interventi, un minore rischio per operatori e consumatori, un minore inquinamento dell’ambiente e una maggiore sostenibilità. Nel tempo si è capito che la presenza delle malerbe non ha solamente aspetti negativi. Per questa duplicità di aspetti la loro eliminazione completa non sempre è pratica ed economicamente consigliabile; pertanto, occorre valutare l’aspetto costo-beneficio di caso in caso.
Lotta integrata
• La lotta integrata richiede
la conoscenza delle avversità biotiche e abiotiche e della fenologia delle piante per utilizzare in combinazione diversi mezzi di controllo:
- biologico - ecologico - meccanico - fisico - chimico - biotecnico - genetico
• Nel caso della lotta integrata contro le malerbe non vengono utilizzati i controlli biotecnici e genetici
Identificazione della flora spontanea Presupposto per qualsiasi programma di gestione della flora spontanea è la conoscenza della sua biologia, ecologia e influenza sull’ambiente. Il monitoraggio in primavera, estate e autunno è indispensabile per evidenziare in tempo opportuno l’evoluzione del corteggio floristico, con eventuale insorgenza di una flora di sostituzione o resistente o l’introduzione di specie nuove per l’ambien-
Diserbo chimico sulla fila e inerbimento controllato sull’interfila
202
gestione della flora spontanea Presenza della flora spontanea: vantaggi e svantaggi Vantaggi
Svantaggi Suolo
Aumento della capacità di scambio cationico
Difficoltà d’interramento dei concimi
Effetto pacciamante nel tempo
Intercettazione dei prodotti fitosanitari applicati al suolo
Maggiore aerazione
Possibilità di ospitalità per insetti e acari nocivi
Migliore attività biologica
Riduzione dell’efficienza dei metodi d’irrigazione
Migliore distribuzione di K e P Migliore portanza Migliore strutturazione Minore dilavamento degli elementi nutritivi Minore effetto battente delle piogge Minore erosione Minore ristagno idrico Riduzione dell’effetto albedo
Comparsa di muschio per un processo di retrogradazione delle malerbe
Flora Apporto di sostanza organica
Fenomeni di allelopatia
Aumento delle endomicorrize
Incremento dei consumi degli elementi nutritivi
Presenza di specie fitosiderofore e azotofissatrici
Incremento del consumo idrico
Presenza di agenti naturali di controllo
Mascheramento della presenza di arvicole
Maggiore biodiversità
Sviluppo di specie perenni
Possibilità di pascolamento dei gasteropodi Pianta coltivata Minore clorosi ferrica
Maggiore suscettibilità alle gelate
Ridotto rischio di asfissia radicale Minore rischio di infezioni da Phytophthora spp.
te. In questo contesto l’identificazione della flora spontanea nella fase d’emergenza aiuta nella gestione. L’incremento dell’uso dei mezzi meccanici, agevolato dallo spostamento da una zona all’altra, il cambiamento dei metodi d’irrigazione e l’impiego di piantine provenienti talora da zone lontane agevolano la dispersione dei propaguli della flora spontanea e, quindi, aumentano la velocità di diffusione con conseguente mutamento del corteggio floristico.
Diserbo chimico su letto rialzato e inerbimento controllato sull’interfila
203
coltivazione Mezzi di controllo In un programma di gestione integrata le cose da considerare sono: l’identificazione delle erbe infestanti; il livello della loro interferenza (competizione e antagonismo) sullo sviluppo delle piante e sulle pratiche colturali; l’impatto sulle strategie di lotta contro insetti, acari e malattie; la conoscenza delle opzioni efficaci, economiche e compatibili con l’ambiente. Ogni mezzo di controllo presenta vantaggi e svantaggi, per cui la scelta e l’integrazione dei mezzi dipendono da vari fattori: specie di malerbe, giacitura dell’agrumeto, costituzione del suolo, metodi d’irrigazione, forme di allevamento delle piante, risorse disponibili e risultati attesi. I mezzi di controllo contro le malerbe si dividono in non chimici, che consistono nell’utilizzo di mezzi meccanici (erpicatura, sarchiatura, sfalcio), fisici (pacciamatura e solarizzazione), biologici (impiego di mezzi naturali di controllo), ecologici (colture di copertura), e chimici (impiego di erbicidi).
Interventi per la gestione delle malerbe
• Gli interventi per la gestione
delle malerbe a tutta superficie sono: - lavorazione - pacciamatura - diserbo chimico - trinciatura
• Altri interventi sono:
- d iserbo fila e lavorazione o trinciatura interfila - trinciatura fila e lavorazione interfila - p acciamatura fila e lavorazione o trinciatura interfila
Mezzi meccanici Le macchine operatrici per la lavorazione del terreno sono di vario tipo e vengono impiegate a seconda della costituzione del suolo e delle condizioni ambientali. Il loro uso indiscriminato può provocare un’eccessiva polverizzazione del suolo con deposito di polveri sulle piante, formazione di suole di lavorazione, danneggiamenti alle radici, ai rami bassi e ai tronchi delle piante. Il modo migliore di gestire le lavorazioni del suolo dipende dalla biologia ed ecologia della flora spontanea, dai metodi d’irrigazione, dalle macchine operatrici impiegate, dai sesti d’impianto, dai
Triturazione delle malerbe in corso con mantenimento di una striscia sulla fila come frangivento temporaneo
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gestione della flora spontanea sistemi di allevamento e dalla giacitura del suolo. Il numero delle lavorazioni dipende dalle condizioni climatiche e dalle diverse emergenze delle specie infestanti. Gli interventi devono essere sempre superficiali per non danneggiare le radici. In presenza di specie infestanti perenni le lavorazioni non riescono a eliminarle completamente e stimolano la formazione di tappeti uniformi, mentre continue lavorazioni per contenerle concorrono a danneggiare gli apparati radicali e ad aumentare i costi di gestione. I tagli (falciatura e triturazione) contribuiscono a contenere lo sviluppo del tappeto erboso, ma costringono a intervenire più frequentemente che con le lavorazioni del suolo, per cui si determinano un’alta richiesta di energia e maggiori costi di manutenzione delle macchine operatrici. Il taglio delle erbe infestanti, inoltre, viene eseguito prima della formazione del seme per ridurre le infestazioni. Mezzi fisici La pacciamatura, con materiali vari, e la solarizzazione non trovano applicazione in pieno campo. La pacciamatura è stata abbandonata dopo i primi tentativi per problemi di mantenimento, costo, sanità dell’impianto e rischi d’incendio. Triturazione in corso a tutta superficie
Mezzi biologici I mezzi biologici per contenere lo sviluppo delle specie infestanti consistono nell’impiego di parassiti, predatori, patogeni, virus, fitoplasmi e nematodi. In agrumicoltura uno dei pochi esempi esistenti è l’impiego del micoerbicida De Vine (Phytophthora palmivora) contro Morrenia odorata in Florida.
Diserbo chimico a tutta superficie
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coltivazione Mezzi ecologici Costituiti da colture di copertura per contenere o soffocare lo sviluppo delle malerbe, fanno aumentare le esigenze idrico-nutritive, per cui sono da applicare dove le esigenze idriche possono essere soddisfatte senza fare eccessivo ricorso all’irrigazione artificiale. Pertanto l’inerbimento permanente, naturale o artificiale, non trova applicazione in un’agrumicoltura in cui è necessario effettuare l’irrigazione a completamento delle precipitazioni. Tale tecnica, oltre a richiedere più acqua, comporta un maggiore asporto di sostanze nutritive con aumento dei costi di produzione. Mezzi chimici L’uso dei mezzi chimici viene sempre più ridotto, preferendo gli erbicidi ad assorbimento fogliare a quelli residuali, questi ultimi più soggetti a provocare fitotossicità per le piante. Pertanto deve essere più accurata la conoscenza delle loro caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche per individuare le dosi d’applicazione, le epoche e la frequenza d’applicazione ottimali, migliorandone la sicurezza d’uso. Per tali motivi le sostanze attive impiegate in agrumicoltura sono limitate. Oltre ai mezzi di controllo adottati, altri fattori possono influire sullo sviluppo delle malerbe: tipo d’impianto, drenaggio del suolo, metodi d’irrigazione, concimazione, presenza di frangivento, vegetazione sui bordi degli appezzamenti e tecnica di potatura. La presenza della flora spontanea comporta tanto vantaggi quanto svantaggi. La scelta del momento d’intervento è dipendente dagli effetti positivi e negativi legati al periodo dell’anno.
Giovane impianto con infestazione di Glycyrrhiza glabra
Sostanze attive impiegate in agrumicoltura* Sostanza attiva
A
C
L
M
P
Epoca d’intervento
Carfentrazone-etile
sì
sì
sì
sì
sì
Post-emergenza
Clorprofam
sì
sì
sì
sì
sì
Pre/Post-emergenza
Diquat
sì
sì
sì
sì
sì
Post-emergenza
Flazasulfuron
sì
sì
sì
sì
sì
Pre/Post-emergenza
Fluazifop-p-butile
sì
sì
sì
sì
sì
Post-emergenza
Fluroxipir
sì
sì
sì
sì
sì
Post-emergenza
Glifosate
sì
sì
sì
sì
sì
Post-emergenza
Glifosate trimesìo
sì
sì
sì
sì
sì
Post-emergenza
Glufosinate ammonio
sì
sì
sì
sì
sì
Post-emergenza
MCPA
sì
sì
sì
sì
sì
Post-emergenza
Oxadiazon
sì
sì
sì
sì
no
Pre/Post-emergenza
Oxifluorfen
sì
no
sì
no
sì
Post-emergenza
Pendimetalin
sì
sì
sì
sì
sì
Pre-emergenza
* La presente tabella ha esclusivamente finalità indicative. Attenersi alle indicazioni riportate sull’etichetta del formulato commerciale per la corretta modalità d’impiego. A = arancio; C = clementine; L = limone; M = mandarino; P = pompelmo.
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gestione della flora spontanea Periodi per la gestione delle malerbe Durata competizione tollerata (DCT) Ottobre (Pre-invaiatura)
NovembreDicembre (Invaiatura)
GennaioFebbraio (Maturazioneriposo)
Marzo (Risveglio vegetativo)
Effetti positivi della presenza delle malerbe Aumenta la permeabilità del suolo Costituisce una fonte di sostanza organica Limita le infestazioni di gasteropodi Migliora la portanza del suolo Protegge dall’azione battente delle piogge Riduce il dilavamento degli elementi nutritivi Riduce l’erosione del suolo Riduce i pericoli d’infezione da Phytophthora Effetti negativi della presenza delle malerbe Aumenta i rischi da gelata per irradiazione Maschera la presenza di attacchi da arvicole Periodo Richiesto Assenza Malerbe (PRAM) Aprile-Maggio (Fioritura)
Maggio-Giugno (Allegagione)
Luglio-Agosto (Frutto giovane)
Settembre (Ingrossamento del frutto)
Infestazione di Sorghum halepense in agrumeto adulto
Effetti negativi della presenza delle malerbe Interferisce sulla disponibilità di luce Interferisce sulle operazioni colturali Ospita insetti e acari dannosi Riduce l’arieggiamento dell’agrumeto Ritarda il riscaldamento del suolo Secerne sostanze fitotossiche (allelopatia) Sottrae acqua ed elementi nutritivi Effetti positivi della presenza delle malerbe Ospita agenti naturali di controllo
Conclusioni Grazie all’introduzione di nuovi metodi e mezzi di gestione delle malerbe, che sono serviti a fare evolvere quelli tradizionali, sappiamo che occorre conoscere la biologia, l’ecologia e le funzioni delle malerbe al fine di individuare i periodi in cui contenerle, sfruttare l’efficienza delle macchine operatrici e i coadiuvanti per ridurre le dosi degli erbicidi, miscelare e/o avvicendare gli erbicidi per minimizzare l’insorgenza di flora resistente o di sostituzione, impiegare al meglio la gestione integrata. Le nuove conoscenze dovranno permettere di scegliere mezzi di gestione meno pericolosi per l’ambiente, gli operatori e i consumatori nel rispetto della validità ed economicità, rendendo questa “pratica colturale” una “pratica sostenibile”.
Infestazione di Erigeron canadensis, specie resistente alle dosi comuni d’uso del Glifosate
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Gestione del suolo Antonio Cicala
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).
coltivazione Gestione del suolo Da sempre l’attività agricola è stata associata alle lavorazioni del terreno, tanto che fino alla fine degli anni ’50 erano pochi gli agrumicoltori che dubitavano della loro utilità. Prima dell’avvento della meccanizzazione nel giardino degli agrumi, il terreno era zappato una prima volta (prima zappa) in profondità, possibilmente subito dopo la raccolta e a solchi per sotterrare le erbe infestanti. Una seconda zappatura era effettuata in primavera inoltrata e una terza a maggio per preparare il terreno all’irrigazione, attuata con i metodi classici per scorrimento o per sommersione. Durante la stagione irrigua periodiche lavorazioni leggere e scerbature contribuivano a ridurre le perdite d’acqua per evapotraspirazione. Un principio agronomico sintetizzato nel detto popolare na zappata mezza abbivirata, che ricorda come gli effetti di una zappatura veloce equivalgano a quelli di una mezza irrigazione. Inoltre, l’assenza di infestanti favoriva l’avanzamento dell’acqua sulla superficie del terreno. Finché non si diffonderanno i concimi complessi, la fertilizzazione sarà realizzata attraverso l’esclusivo impiego di sostanza organica (letame, rifiuti e biomasse di natura differente). Per questo motivo, ogni due o tre anni, per provvedere al suo interramento si doveva intervenire a una maggiore profondità, aprendo dei solchi nelle interfila o scoprendo le radici della zona sottostante la chioma. L’uso dello strumento manuale riduceva al minimo i danni meccanici alle
Assortimento di zappe utilizzate per lavorare il terreno di un agrumeto, di cui quelle a due punte specifiche per i suoli pesanti e sassosi
Foto G. Magnano di San Lio
Escavatore cingolato impegnato in operazioni di estirpazione e scasso. L’uso dei mezzi meccanici è imprescindibile per lo svolgimento dei lavori preparatori all’impianto
La motozappa è stata la vera protagonista della meccanizzazione delle lavorazioni nei vecchi agrumeti terrazzati e causa di non pochi infortuni sul lavoro. La sua azione fresante, rispetto a una zappatrice rotativa portata, determinava con più frequenza danni alle piante. Tuttavia, grazie al suo procedere traballante e alla minore velocità di avanzamento, si riducevano di molto gli effetti negativi sul terreno
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gestione del suolo piante e spingeva a operare nelle condizioni di terreno più adatte: né troppo umido né troppo asciutto (in tempera). Con la diffusione dei mezzi meccanici, che ha inizio con i motocoltivatori per giungere alla trattrice accoppiata ai diversi attrezzi lavoranti, sarà possibile intervenire in maniera celere, oltre che meno gravosa e più economica. Con l’uso di questi mezzi, che con la loro potenza s’interpongono tra l’operatore e il sistema terreno-pianta, emergono alcuni effetti negativi, che contribuiscono a sviluppare un movimento di avversione nei confronti delle lavorazioni. Lavorando meccanicamente si accentuano i rischi di danneggiare le piante, ma anche di peggiorare le condizioni di vivibilità del terreno. A questo punto si cercherà di riassumere i motivi che spingono a lavorare il terreno di un agrumeto, ma anche gli effetti negativi che nel tempo sono stati associati a tale pratica. Ci si soffermerà solo sugli interventi meccanici al terreno, eseguibili con coltura in atto. Ciò, ovviamente, comporta grosse limitazioni operative, a cominciare dalla profondità e dai tempi d’intervento. In merito alla prima occorre fare i conti con un apparato radicale la cui tendenza a colonizzare gli strati di suolo più superficiali è accentuata nei terreni pesanti e stimolata dall’uso della microirrigazione. I metodi irrigui che assicurano un rifornimento continuo di acqua a tali strati, difatti, spingono le radici presenti a ramificarsi, più che ad allungarsi e approfondirsi. Riguardo ai tempi, si pensi all’inopportunità di lavorare il terreno durante la fioritura-allegagione o in presenza dei frutti pendenti perché si possono indurre fenomeni di colatura e di cascola.
Struttura
• Più piccole sono le particelle solide
del terreno, più ridotti saranno gli spazi vuoti (pori) che tra loro si vengono a creare. Un eccesso di micropori rallenta l’infiltrazione dell’acqua e il suo successivo allontanamento. Il permanere dell’acqua impedirà la presenza dell’aria, creando un ambiente asfittico
• Grazie alla struttura le particelle
più piccole (argille e limo) possono aggregarsi e formare dei grumi. In tal modo si avrà un incremento dei macropori, migliorando le condizioni di vita delle radici
• Un terreno ben strutturato
si caratterizza per una presenza massiccia di aggregati, in grado di tollerare l’azione dei fattori destabilizzanti, come i continui cambiamenti dello stato idrico. Alla stabilità degli aggregati concorre l’azione cementificante della sostanza organica
Perché si lavora il terreno di un agrumeto Obiettivo principale delle lavorazioni è l’eliminazione delle erbe infestanti, colpevoli di competere per acqua e nutrienti, e nel caso dei giovani impianti anche per la luce. Altre finalità riguardano l’arieggiamento e l’aumento della permeabilità all’acqua del terreno, nonché la riduzione delle sue perdite per evaporazione,
• La struttura è una caratteristica
del terreno che può essere creata, distrutta e ricreata
Particelle del terreno in stato astrutturale (a sinistra) e riunite in aggregati (a destra)
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coltivazione perseguite tutte attraverso la rottura dello strato superficiale del terreno e il miglioramento delle sue condizioni strutturali a seguito di un aumento della macroporosità. Inoltre, le lavorazioni servono a interrare concimi e sostanze organiche di origine diversa (letame, residui di potatura e sovescio). Si opera a partire dal periodo primaverile, prima della fioritura, programmando i successivi interventi in funzione dell’ambiente, delle esigenze colturali, della consistenza della flora infestante e delle caratteristiche dell’agrumeto, avendo cura di ridurre al minimo la profondità delle lavorazioni, che idealmente dovrebbe essere di 10-15 cm. Perché le lavorazioni sono spesso inutili o dannose Con il tempo ricerca e pratica agronomica hanno evidenziato che le lavorazioni del terreno, così come vengono comunemente eseguite, non comportano necessariamente effetti positivi, semmai l’esatto contrario, mentre in altre occasioni sono divenute inutili per il venir meno delle stesse ragioni che le giustificavano. È il caso delle lavorazioni effettuate per preparare il terreno all’irrigazione o per interrare i concimi granulari, giacché i vecchi metodi irrigui sono stati sostituiti da quelli per aspersione o a microportata, che permettono la distribuzione dell’acqua e degli elementi fertilizzanti in essa disciolti (fertirrigazione). Si è detto che alcuni dei benefici delle lavorazioni derivano dalla loro capacità di migliorare la struttura del terreno, almeno limitatamente allo strato lavorato. Al contrario, causando esse lo sminuzzamento e una maggiore aerazione dello strato di terreno lavorato, accelereranno la decomposizione della sostanza organica, con conseguente peggioramento delle condizioni strutturali: distruzione degli aggregati esistenti e difficoltà a crearne di nuovi, almeno nella forma stabile. Infatti quelli che sono creati artificialmente dalle lavorazioni saranno molto vulnerabili all’azione destabilizzante dell’acqua, e quindi eserciteranno il loro ruolo positivo per un tempo molto limitato. Il peggioramento della struttura può avvenire quando si lavora un terreno molto asciutto o molto bagnato, provocando rispettivamente la polverizzazione e il disfacimento degli aggregati, e a causa del compattamento del suolo determinato dal passaggio delle macchine e dall’uso degli attrezzi lavoranti. Riguardo all’aumento della permeabilità all’acqua, utile a contrastare l’erosione superficiale dei terreni in pendenza, va precisato che per raggiungere tale obiettivo le lavorazioni dovrebbero spingersi a una profondità tale da danneggiare seriamente l’apparato radicale: 20-30 cm contro i 10-15 cm consigliati. Le radici danneggiate sono quelle più attive nell’assorbimento dell’acqua e dei nutrienti. Si avranno, pertanto, ripercussioni negative sull’attività vegetoproduttiva della pianta, oltre a un’accentuazione dei rischi di infezioni radicali, come di mal secco nel caso del limone.
Il lavoro di fresatura di un terreno asciutto provoca la polverizzazione delle zolle. In questo modo aumenta la sofficità del terreno, ma si riduce la sua resistenza al costipamento. Inoltre, indirettamente è favorita la formazione della suola di lavorazione
L’impiego dell’erpice a dischi (frangizolle) in alternativa alla zappatrice rotativa comporta alcuni vantaggi: alta capacità di lavoro, ridotto consumo di energia, minori rischi di formazione della suola di lavorazione
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gestione del suolo Uno dei danni che spesso è imputato alle lavorazioni è la formazione di uno strato impermeabile, la cosiddetta suola di lavorazione. Tale inconveniente è particolarmente presente nei terreni ricchi di particelle fini, quando per la lavorazione si impiega la zappatrice rotativa, piuttosto che l’erpice a dischi. Questa macchina agisce sul fenomeno direttamente, per un effetto battente delle zappette in condizioni di terreno umido, e indirettamente, attraverso la polverizzazione spinta delle zolle (terreno asciutto). In quest’ultimo caso le particelle fini, veicolate dall’acqua, si accumulano e cementificano a livello della zona non lavorata. La zappatrice rotativa svolge un lavoro di fresatura che è responsabile della propagazione vegetativa di infestanti perenni, dotate di rizomi e stoloni, come la gramigna. La non lavorazione Per evitare gli inconvenienti che accompagnano le lavorazioni del terreno, ma anche per ragioni economiche, in agrumicoltura, più che in altre colture arboree, si sono consolidate alcune tecniche alternative, tanto che in molti paesi le lavorazioni convenzionali sono quasi del tutto scomparse. Si tratta della pacciamatura, dell’inerbimento e del diserbo. Quest’ultimo, per essere la pratica più diffusa, avrà il suo spazio di approfondimento all’interno del capitolo “Gestione della flora spontanea”. Grazie alla non lavorazione è possibile mantenere infrastrutture permanenti (impianti d’irrigazione, baulature, affossature ecc.) e utilizzare terreni pietrosi di difficile lavorabilità. Con essa si avrà una crescita più superficiale delle radici assorbenti, con effetti positivi sull’assorbimento degli elementi minerali meno mobili nel suolo, come il fosforo, il potassio e il manganese. Inoltre, con pacciamatura e inerbimento si otterrà un miglioramento della struttura, che sarà più stabile perché creata attraverso l’azione di fattori bioclimatici, anziché meccanici. Una conseguenza negativa della non lavorazione, accoppiata ai metodi d’irrigazione a microportata, è la possibile diffusione delle arvicole, con la necessità di realizzare strategie idonee di lotta.
Il lavoro di fresatura favorisce la diffusione delle infestanti perenni, come la gramigna, che si propagano facilmente per divisione degli stoloni e dei rizomi
Pacciamatura Mediante la pacciamatura, il terreno non lavorato è ricoperto con uno strato protettivo di materiali inerti di varia natura. Nel nostro caso, non avendo esigenze d’impatto ambientale, si fa ricorso ai soli materiali plastici. Questa opzione, per ragioni di costo, è utilizzata solamente per i primi anni dell’impianto e per coprire la superficie dei filari. In questo modo si evitano sia le lavorazioni, sia i trattamenti diserbanti, che a torto o a ragione sono ritenuti fitotossici per le giovani piante. Oggi si preferisce l’utilizzo dei tessuti pacciamanti porosi in polipropilene, invece dei tradizionali film plastici in polietilene. Essi offrono il vantaggio di una buona permeabilità all’acqua, tanto da potervi appoggiare l’ala goccio-
Il mantenimento delle baulature è possibile solo grazie alla non lavorazione
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coltivazione lante, e di una maggiore durata, per l’elevata resistenza ai raggi UV che possiedono. La pacciamatura, oltre a evitare la crescita delle infestanti e ad avere un effetto benefico sulla struttura, permette di mantenere la zona bagnata dall’irrigazione localizzata in condizioni di umidità e di temperatura costanti. Inerbimento Con l’inerbimento il terreno presenta un cotico di erbe spontanee o coltivate, che sono contenute attraverso lo sfalcio periodico o l’uso di erbicidi. In questo modo le parti morte si accumulano sul terreno, svolgendo una funzione pacciamante. L’inerbimento può essere totale o parziale, a seconda che interessi l’intera superficie o solamente una sua parte. Esiste un inerbimento permanente, in grado di sostituire completamente le lavorazioni del terreno, e un inerbimento temporaneo o stagionale, che prevede una copertura vegetale solamente durante il periodo interessato dalle piogge: la tecnica del sovescio rientra in questa categoria. L’inerbimento comporta una serie di vantaggi: con esso si contrasta efficacemente l’erosione del terreno, giacché aumenta la sua permeabilità all’acqua; si favorisce la movimentazione delle macchine, perché si incrementa la portanza del terreno; si aumenta la dotazione di sostanza organica; si hanno ripercussioni favorevoli sulla componente biologica del terreno. In ambiente mediterraneo, durante la stagione calda, la presenza di una
In un terreno pietroso e con impianto d’irrigazione in superficie, il ricorso alla non lavorazione diventa indispensabile
Gestione dell’interfila inerbita attraverso l’uso di una macchina trinciaerba
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gestione del suolo copertura erbacea fa aumentare il consumo d’acqua, per cui è consigliata la sola forma stagionale, specie nei terreni declivi. È anche vero che con l’uso dei metodi localizzati d’irrigazione, il contenimento estivo della vegetazione erbacea risulta meno impegnativo. Come si vede, vi sono tanti motivi validi che spingono ad abbandonare le lavorazioni ordinarie del terreno. Tuttavia, esistono momenti e situazioni in cui se ne giustifica ancora l’uso: è il caso di quando occorre interrare il sovescio o altro materiale organico, o quando, in terreni nudi e di particolare costituzione, occorre rompere lo strato superficiale compatto che si è venuto a creare per l’azione battente dell’acqua piovana o per il transito ripetuto delle macchine. In tutti i casi in cui si vuole ritornare a lavorare un terreno che da anni è stato sottoposto alla non lavorazione, occorre fare i conti con un apparato radicale che si è sviluppato sempre più in superficie. Pertanto, bisognerà aumentare la profondità delle lavorazioni molto gradualmente, magari intervenendo su filari alterni. La non lavorazione diventa inevitabile nei terreni poco profondi, magari per la presenza di una falda superficiale, dove è necessario incrementare il volume di terreno a disposizione delle radici. Per contro, le lavorazioni ordinarie possono sopravvivere nei terreni profondi e prevalentemente sabbiosi, dove i rischi di danneggiare la struttura sono pressoché assenti.
Il passaggio dei mezzi meccanici esercita un’azione di compattamento, meno intensa sui terreni inerbiti In questo giovane impianto si è optato per un inerbimento parziale, ovvero per un sistema misto: inerbimento dell’interfila, diserbo del filare
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Parassiti animali Santi Longo, Pompeo Suma
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).
coltivazione Parassiti animali Introduzione L’agrumeto è caratterizzato da una componente vegetale sempreverde, costituita dalle piante di agrumi e da oltre 200 specie di infestanti, il cui sviluppo dipende dalle pratiche agronomiche. La componente animale include alcune decine di specie fitofaghe, più o meno nocive, che sono soggette all’azione limitante di numerosi parassiti e predatori. Dell’artropodofauna nociva originaria dei nostri ambienti, solo un limitato numero di specie fitofaghe si è adattato a vivere a spese delle esotiche rutacee: è il caso, per esempio, delle polifaghe cocciniglie Planococcus citri e Ceroplastes rusci. Meno frequenti, e spesso localizzate in particolari microambienti, sono le pullulazioni della cimicetta verde (Closterotomus trivialis) e del ragnetto rosso (Tetranychus urticae), mentre di esclusivo interesse biologico è l’allofagia delle larve della ninfa del corbezzolo (Charaxes jasius) osservata negli ambienti italiani e nordafricani in cui gli agrumi hanno occupato le aree a macchia mediterranea ove vegeta il corbezzolo, tipica pianta ospite del lepidottero. Ben più numeroso e importante è il contingente di specie fitofaghe esotiche, accidentalmente introdotte sia dalle aree di origine sia da quelle in cui gli agrumi sono stati posti a coltura. Numerose specie entomofaghe indigene hanno trovato nei fitofagi introdotti nuovi ospiti, contribuendo a limitarne le pullulazioni. Il ruolo equilibratore degli entomofagi è spesso fondamentale nel prevenire le infestazioni grazie alla distruzione dei primi nuclei di colonizzazione dei fitofagi, quali, per esempio, le prime forme alate degli
Femmine adulte, forme giovanili e uova di ragnetto rosso
Larva matura di C. jasius su foglia di arancio
Adulto della ninfa del corbezzolo Colonia di cotonello degli agrumi
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parassiti animali Periodi di presenza e attività dei principali fitofagi degli agrumi Epoca
Fase fenologica
Fitofagi
Inverno (gennaio-marzo)
Maturazione dei frutti Riposo vegetativo
Cocciniglie, acari
Primavera (aprile-giugno)
Ripresa vegetativa Fioritura, allegagione
Cimicetta verde, tripidi, afidi, cocciniglie, tortrice, oziorrinco
Estate (luglio-settembre)
Ingrossamento dei frutti Flusso vegetativo estivo
Cocciniglie, tignola della zagara, minatrice, mosca
Autunno (ottobre-dicembre)
Maturazione dei frutti
Mosca, acari, cocciniglie, oziorrinco
Cimicetta verde (Closterotomus trivialis)
• È un Miride indigeno, monovoltino,
che sverna da uovo e che, a partire dalla fine degli anni ’60, ha dato luogo a infestazioni di limitata importanza, soprattutto in agrumeti inerbiti sottoposti a indiscriminati trattamenti insetticidi
• I danni si manifestano con necrosi
dei germogli ed emissione di essudato e cascola dei bocci fiorali
afidi, ovvero gli stadi giovanili di varie cocciniglie. L’incidenza di tali, poco appariscenti, meccanismi è difficilmente valutabile in quanto occorre quantificare popolazioni disperse che sfuggono ai comuni rilievi. Le problematiche connesse con il controllo demografico dei fitofagi differiscono in rapporto all’origine, alle loro strategie riproduttive e al contesto socio-economico; tuttavia le alterazioni ai vari organi infestati, soprattutto ai frutti, spesso si traducono in danni economici e pertanto dal razionale controllo demografico dei fitofagi dipendono i risultati economici della coltura. L’agrumeto è l’agrosistema nel quale sono state messe a punto e realizzate le prime concrete applicazioni di lotta biologica classica basate sull’impiego gestito di limitatori naturali di organismi nocivi. Tale situazione non è casuale ma scaturisce dalle peculiari caratteristiche dell’agrosistema stesso, la cui componente
• Gli Imenotteri Tetrastichus miridivorus
e Telenomus lopicida arrivano a parassitizzare sino al 70% delle uova
Nematode degli agrumi
• La femmina matura (0,4 mm) ha
la parte posteriore del corpo a forma di botticella e quella anteriore allungata e infissa nelle radici secondarie
• Il maschio (0,3 mm) ha corpo filiforme e conduce vita libera
• La specie svolge continue generazioni
annue, al ritmo di una ogni 4-8 settimane
• Le piante attaccate manifestano
defogliazione, disseccamento dei rametti apicali e riduzione della produzione sino al 40% Foto N. Vovlas
Radice di arancio amaro con infisse una femmina immatura (a destra) e una matura, ingrossata (a sinistra), di Tylenchulus semipenetrans
Cimicetta verde degli agrumi: adulto in attività di alimentazione su foglia di arancio dolce
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coltivazione
Molluschi
• Varie specie di Elicidi dei generi Theba, Cantareus, Eobania e l’Agrolimacide Deroceras reticulatum possono pullulare nel periodo invernale e primaverile, rendendosi responsabili di erosioni a frutti e foglie. Il controllo delle infestazioni può essere effettuato con formulati rameici
Adulto di Eobania sp. su foglia di arancio dolce e di Deroceras sp. su frutto al suolo
animale della biocenosi include poche decine di specie fitofaghe, soggette all’azione parassitaria di varie entità entomofaghe sia indigene sia esotiche, particolarmente efficaci nei confronti delle specie sedentarie, quali cocciniglie e aleirodi, che annoverano molte entità nocive alla coltura. I raggruppamenti zoologici cui afferiscono i parassiti animali degli agrumi sono quelli dei Nematodi, dei Molluschi Gasteropodi, degli Artropodi (Acari e Insetti) nonché dei Mammiferi Roditori, Soricomorfi e Lagomorfi.
Roditori, Soricomorfi e Lagomorfi
• Ai primi afferiscono organismi
occasionalmente nocivi come i topi campagnoli del genere Apodemus e il ratto arboricolo (Rattus rattus), che può nidificare sulle piante e produrre decorticazioni dei rami ed erosioni ai frutti maturi. Di interesse applicato, in agrumeti siciliani e calabri, sono le pullulazioni dell’arvicola del Savi (Microtus savii), favorite da tecniche quali la non lavorazione del terreno. L’impiego di esche avvelenate con rodenticidi e la messa in atto di idonei piani di cattura assicurano un buon livello di controllo
• Limitati sono i danni e la diffusione
della talpa (Talpa romana) e dei Lagomorfi Oryctolagus cuniculus (coniglio selvatico) e Lepus europaeus (lepre comune) Frutto di clementine eroso da ratto
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parassiti animali Nematodi Delle varie specie di nematodi che infestano le radici degli agrumi, soprattutto in vivaio, solo il nematode degli agrumi arreca danni di una qualche entità in pieno campo. Nematode degli agrumi (Tylenchulus semipenetrans) La specie semi-endoparassita è diffusa negli agrumeti mediterranei, dove risulta particolarmente dannosa in terreni limosi e ad alta salinità. Le infestazioni, i cui effetti dipendono molto dal portinnesto adottato, causano un indebolimento delle piante e la diminuzione della produzione. In agricoltura biologica possono essere impiegate formulazioni commerciali del fungo Paecilomices lilacinus, antagonista di diverse specie di nematodi. La lotta chimica può essere effettuata con i nematocidi autorizzati in Italia (Etoprophos). L’uso di piante certificate ed esenti dal nematode è la pratica più efficace da adottare nei reimpianti di agrumeti. I portinnesti di arancio trifogliato e i suoi ibridi (citrange) manifestano una valida resistenza al nematode. Acari Su agrumi sono segnalate una dozzina di specie fitofaghe nocive: alcune sono del tutto occasionali, altre, quale l’acaro dell’argentatura (Polyphagotarsonemus latus) e l’eriofide rugginoso, sono praticamente scomparse da tempo. Attualmente, le più importanti e diffuse nei nostri ambienti sono l’acaro delle meraviglie e i ragnetti rossi. In condizioni ecologiche normali le loro pullulazioni sono tenute a freno da numerose specie acarofaghe (Stigmeidi, Chelidi, Fitoseidi).
Esiti dell’attacco dell’acaro Polyphagotarsonemus latus su limone
Adulti dell’acaro predatore Phytoseiulus persimilis Femmina adulta di Tetranychus urticae
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coltivazione Acaro delle meraviglie (Aceria sheldoni) L’adulto ha il corpo ialino, lungo 0,16-0,18 mm; vive nelle gemme delle piante infestate o sotto la rosetta dei frutti. In condizioni favorevoli una generazione si svolge in 15-18 giorni. La diffusione nell’agrumeto, soprattutto nei limoneti, avviene principalmente a opera del vento e mediante marze prelevate da piante infestate. Le alterazioni di rametti, foglie, fiori e frutti sono connesse all’attività trofica dell’acaro all’interno delle gemme che, in percentuali elevate, vengono devitalizzate. Da quelle colpite che riescono a sviluppare deriveranno rametti con portamento cespuglioso, foglie con lembo più o meno ridotto e alterato, fiori con varie anomalie e spesso incapaci di allegare o che daranno luogo a frutti deformati, indicati con il termine di “meraviglie”. Efficaci sono i trattamenti a base di oli minerali bianchi al 2%, effettuati in inverno a gemme ferme. Ragnetto rosso (Tetranychus urticae) La femmina adulta misura 0,5-0,6 mm ed è di colore rosso aranciato. L’uovo è di forma sferica, liscio, bianco traslucido dopo la deposizione e giallo rosato prima della schiusura. L’acaro è polifago, ma attacca soprattutto il limone causando tipiche bollosità giallastre, filloptosi e rugosità con necrosi nella parte umbonale, nota come “nasca di ferro”. Su aranci e mandarini gli attacchi sono meno marcati. Le pullulazioni sono favorite dal clima caldo e umido, dai sesti di impianto troppo stretti, dallo scarso arieggiamento delle piante e da concimazioni azotate squilibrate, nonché dalle consociazioni con piante ortive. In condizioni favorevoli il ragnetto completa una generazione in 10-12 giorni ovvero in circa 2 mesi, per un totale di oltre 10 generazioni annue. Le pullulazioni possono essere conseguenti agli effetti secondari di trattamenti applicati contro altri fitofagi (mosca, cocciniglie, tignola). Di nor-
Deformazioni determinate dall’acaro delle meraviglie su frutti di limone (sopra) e arancio (sotto)
Necrosi della zona umbonale di un limone causata dall’attacco di T. urticae e nota come “nasca di ferro” Effetti delle infestazioni di ragnetto rosso su foglia di limone
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parassiti animali ma le popolazioni sono controllate dai vari nemici naturali (acari fitoseidi e stigmeidi, Stethorus punctillum e Orius spp.) che mantengono una soglia accettabile di dannosità, superata la quale si possono impiegare gli acaricidi autorizzati. Panonico (Panonychus citri) La femmina è di colore rosso scuro e leggermente più piccola (0,38-0,44 mm) rispetto a quella di T. urticae; l’uovo ha forma di cipollina. I periodi di maggiore pullulazione sono quello primaverile (marzo-maggio) e quello autunnale (settembre-novembre), durante i quali può rendersi necessario intervenire con azoto-solforganici di sintesi o con oli minerali. Sulle foglie i sintomi consistono in decolorazioni con aspetto bronzeo e con puntini gialli diffusi; nei casi di forti infestazioni si ha filloptosi e i frutti attaccati precocemente assumono colorazione argentea e possono cadere. Insetti Includono il gruppo più numeroso di specie fitofaghe viventi a carico degli agrumi, cui si contrappone un numero ancora più elevato di insetti entomofagi.
Larva di coccinellide scimnino
Tisanotteri Comunemente noti come tripidi, sono ritenuti i principali responsabili delle scarificature sui frutti di agrumi: alterazioni dell’epicarpo che assumono struttura, forma e distribuzione variabili, rese evidenti dalla formazione di tessuto cicatriziale suberificato. In Sicilia la specie attualmente più diffusa e abbondante è Pezothrips kellyanus, seguito da Frankliniella occidentalis, Thrips tabaci e da altre specie secondarie quali Thrips flavus. Raro è il tripide delle serre Heliothrips haemorrhoidalis, noto come agente della ruggine bianca dei limoni.
Ragni
• Le circa 100 specie di ragni predatori
censite negli agrumeti afferiscono alle famiglie Araneidae, Theridiidae e Linyphidae; esse tessono tele di varia dimensione e forma nelle quali catturano prevalentemente artropodi sia nocivi che utili; alcune specie della famiglia Thomisidae si mimetizzano sui fiori in attesa di prede antofile, altre costruiscono ricoveri tubulari nelle anfrattuosità del suolo e nella corteccia degli alberi, dove si nutrono delle prede catturate all’esterno. I ragni, pur essendo predatori generici, sono considerati importanti agenti di controllo biologico di fitofagi nocivi
Adulto del coccinellide predatore S. punctillum
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coltivazione
Scarificature su limone causate da H. haemorrhoidalis
Tripide di Kelly (Pezothrips kellyanus). L’adulto ha il corpo lungo 2-3 mm, di colore nero, mentre gli stadi giovanili sono di colore giallastro. È presente e attivo nel corso dell’intero anno; nel periodo invernale frequenta i fiori di piante spontanee e in primavera si trasferisce sugli agrumi. Sui frutti appena allegati le popolazioni si localizzano sotto la rosetta oppure nella zona di contatto tra frutti o tra foglie e frutti. È stata evidenziata una stretta correlazione tra la percentuale di frutti infestati, a partire dalla fase di caduta dei petali, e le scarificature alla raccolta. Il monitoraggio, effettuato con trappole cromoattrattive, consente di determinare l’epoca più adatta per avviare i campionamenti diretti sui fiori. I trattamenti anticoccidici con oli minerali bianchi tengono sotto controllo le
Ragno Thomisidae su infiorescenza
Effetti delle punture di suzione di panonico su foglia di agrume Adulti del tripide di Kelly su bocciolo fiorale di agrumi
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parassiti animali
Adulto di P. myricae
Scarificature anulari su mandarino causate da P. kellyanus
popolazioni. Nei casi di infestazioni superiori al 30% dei fiori da parte di P. kellyanus, il controllo chimico può essere effettuato con i formulati autorizzati indicati a fine capitolo. Rincoti È l’ordine cui afferisce la maggior parte delle specie chiave degli agrumi. Aleirodi (mosche bianche). Delle 5 specie presenti nei nostri agrumeti (Bemisa afer, Dialeurodes citri, Parabemisia myricae, Aleurothrixus floccosus e Aleurocanthus spiniferus), tutte originarie delle aree intertropicali e introdotte nei nostri agrumeti dalla
Stadi giovanili di mosca bianca (D. citri) su foglia di arancio Adulti ovideponenti di A. floccosus
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coltivazione
Femmina adulta del parassitoide Amitus spiniferus
fine del secolo scorso, solo le ultime due rivestono importanza fitosanitaria di rilievo in alcune aree del nostro paese. L’aleirode fioccoso (Aleurothrixus floccosus) è una specie polifaga di probabile origine sudamericana, che nei nostri ambienti infesta quasi esclusivamente gli agrumi. Gli adulti hanno il corpo lungo 1-1,5 mm, di colore giallastro, ricoperto da cera granulare bianca. Le uova vengono deposte in ovature circolari. Gli stadi giovanili (neanidi) sono di colore giallo paglierino, con abbondante secrezione cerosa di colore bianco; quest’ultima spesso ricopre la pagina inferiore delle foglie infestate formando fitte incrostazioni con melata e fumaggini, che ostacolano gli scambi gassosi con gravi conseguenze sulla fisiologia delle piante. Lo sviluppo delle popolazioni è pressoché continuo, con un certo declino delle infestazioni nei mesi più freddi e piovosi. Tra i limitatori naturali, il più diffuso è il calcidoideo afelinide Cales noacki, introdotto in California, Europa, Nord Africa e ormai ampiamente diffuso in tutte le aree agrumicole. La femmina dell’afelinide parassitizza tutti gli stadi giovanili dell’aleirode, escluse le neanidi neonate. Il suo sviluppo viene rallentato dalle elevate temperature estive, soprattutto in assenza di piogge, che favoriscono lo sviluppo dell’aleirode. In mancanza di entomofagi, su piante giovani, possono essere effettuati trattamenti con oli minerali (1-1,5%). È utile la preliminare irrorazione delle piante con acqua e saponi per rimuovere lo strato di melata e cera che ricopre e protegge le neanidi. Gli adulti dell’aleirode nero degli agrumi (Aleurocanthus spiniferus) misurano 2-3 mm e sono rivestiti di cera polverulenta di colore grigiastro; gli stadi giovanili sono di colore nero con numerose piccole spine dorsali. Originario del continente asiatico, è attualmente presente in varie zone dell’Africa e dell’Oceania. In Italia, è stato segnalato nel 2008 in Puglia. Le forme giovanili infestano la pagina inferiore delle foglie e sui loro escrementi zuccherini si sviluppano dense fumaggini. Tale effetto, abbinato alla sottrazione
Esemplari di mosca bianca parassitizzati di A. spiniferus
Femmina adulta del parassitoide Cales noacki
Pagina inferiore delle foglie di arancio infestate dall’aleirode fioccoso degli agrumi
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Esemplari di mosca bianca parassitizzata da C. noacki. In evidenza i fori di sfarfallamento
parassiti animali
Metcalfa (Metcalfa pruinosa)
• Tale Flatide neartico è stato segnalato in Italia alla fine degli anni ’70
• Compie una generazione annuale
svernando da uovo. Gli stadi giovanili sono ricoperti da una pruina cerosa bianca. Ha comportamento “gregario”; gli esemplari si dispongono spesso “in fila indiana” sugli organi vegetali infestati. I danni sono quelli tipici degli insetti succhiatori di linfa (sottrazione di umori vegetali, emissione di melata e susseguente sviluppo di funghi saprofiti)
Adulti e ninfa (nel riquadro) di Metcalfa pruinosa su rametto di agrume
Fetola (Asymmetrasca decedens)
della linfa, causa il disseccamento della vegetazione attaccata. Il controllo biologico dell’aleirode è svolto da numerosi nemici naturali tra cui i parassitoidi Amitus hesperidum ed Encarsia smithi. Gli interventi con oli leggeri vanno effettuati contro le forme giovanili.
• È una cicalina indigena che con
le punture di alimentazione causa maculature isolate e sparse, ovvero più o meno estese note come “fetola”
Afidi Delle 10 specie afidiche segnalate su agrumi solo l’esotica Aphis spiraecola e l’indigena Aphis gossypii sono attualmente quelle di Foto F. Porcelli
Adulti dell’aleirode nero degli agrumi
• In alcune aree può essere necessario effettuare 1-2 trattamenti con esteri fosforici alla comparsa dei primi sintomi, tra metà settembre e inizio ottobre
Foto F. Porcelli
Caratteristiche maculature su frutto dovute alle punture di alimentazione di A. decedens
Stadi giovanili dell’aleirode nero degli agrumi
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coltivazione interesse fitosanitario; diffuso è l’afide nero (Toxoptera aurantii) mentre non risulta presente l’afide Toxoptera citricidus, che è il più efficace vettore del virus della tristeza degli agrumi (CTV, Citrus Tristeza Virus). I danni diretti causati dagli afidi, soprattutto in primavera, derivano dalla notevole sottrazione di umori vegetali, con conseguente abbondante produzione di melata e successivo sviluppo di fumaggini. Afide verde degli agrumi (Aphis spiraecola). Su agrumi pullula a partire dalla primavera e la sua densità di popolazione cresce di pari grado con lo sviluppo dei germogli. In estate si ha una diminuzione degli attacchi, che riprendono in autunno e scompaiono in inverno. Nei climi più favorevoli può svolgere fino a 40 generazioni annue. Le alterazioni dei germogli infestati, l’increspatura e l’accartocciamento delle foglie, dovuti alla saliva tossica inoculata, possono compromettere l’accrescimento di giovani piante e reinnesti. Inoltre elevate infestazioni possono provocare colatura dei fiori e dei frutticini. È ritenuto un blando vettore del CTV. Le equilibrate concimazioni azotate concorrono a limitarne le pullulazioni. I trattamenti fitosanitari con aficidi specifici (vedi tabella alla fine del capitolo) vanno effettuati quando, visivamente, risultano attaccati il 5-10% dei germogli (soglia d’intervento).
Colonia di afide nero degli agrumi (Toxoptera aurantii)
Afide del cotone e delle cucurbitacee (Aphis gossypii). La specie è attiva durante tutto l’anno, con generazioni continue di femmine partenogenetiche che seguono l’evolversi dei cicli vegetativi delle numerose piante ospiti. Le maggiori pullulazioni, su agrumi,
Afide verde (Aphys spiraecola)
• Di probabile origine americana o asiaticoorientale, è ormai pressoché cosmopolita
• La forma attera (priva di ali) ha il corpo
di colore verde con capo, antenne, sifoni e codicola imbruniti
• Le forme alate hanno capo e torace
bruno-nerastri, addome verde con macchie brune laterali; le antenne, i sifoni e la codicola sono quasi totalmente bruni
• Può svolgere fino a 40 generazioni annue • Causa vistose alterazioni dei germogli infestati, l’accartocciamento delle foglie e, in casi estremi, la colatura dei fiori
Tipiche deformazioni della vegetazione indotte dalle infestazioni di afide verde degli agrumi (Aphis spiraecola)
224
Colonia di afide verde degli agrumi su germoglio
parassiti animali
Afide del cotone e delle cucurbitacee (Aphis gossypii)
• Le forme attere hanno il corpo ovoidale
di colore variabile dal giallo-verdastro al nerastro, con pruina cerosa e sifoni neri
• Le alate hanno il corpo con capo, torace e sifoni neri
Afidi: limitatori naturali
• Sono note circa 40 specie
di entomofagi viventi a carico di afidi, la cui attività è spesso insufficiente a contenerne le pullulazioni
Foglia infestata dall’afide del cotone (a sinistra) e larva di neurottero crisopide (a destra)
si verificano in primavera in coincidenza con la fioritura; meno importanti sono quelle estivo-autunnali. L’afide, cosmopolita e polifago, infesta principalmente malvacee (cotone, ibisco ecc.) e cucurbitacee (zucca, cetriolo, anguria, melone). Occasionali sono le infestazioni su limone, frequenti su arancio e clementine, sui quali causano modeste alterazioni dell’apparato vegetativo; le foglie non presentano deformazioni del lembo, ma i germogli infestati sono meno sviluppati. L’afide è un discreto vettore del CTV; l’efficacia della sua trasmissibilità è correlata a varie circostanze ambientali e al “ceppo” del virus. Le concimazioni equilibrate, soprattutto quelle azotate, ostacolano le pullulazioni ma la lotta insetticida, spesso necessaria, va effettuata ricorrendo agli aficidi autorizzati (vedi tabella alla fine del capitolo). a)
• Attivi sono vari parassitoidi (imenotteri dei generi Lysiphlebus, Praon ecc.)
• I numerosi predatori (coleotteri
scimnini, neurotteri crisopidi, ditteri cecidomidi e sirfidi) svolgono una buona azione di “pulizia” solo quando le colonie dell’afide sono numerose
a) “Mummie” di afidi formatesi in seguito all’attività svolta dagli imenotteri parassitoidi; b) larve di ditteri cecidomidi in attività predatoria su foglia infestata dall’afide del cotone; c) adulto del coccinellide predatore E. quadripustulatus su afide del cotone
b)
c)
225
coltivazione Cocciniglie Le cocciniglie segnalate su agrumi sono oltre 180 specie, una ventina delle quali sono presenti in Italia. Le specie più nocive nelle nostre aree sono, attualmente, lo pseudococcino Planococcus citri, i coccini Saissetia oleae e Ceroplastes rusci, nonché varie cocciniglie “scudettate” la più importante delle quali è Aonidiella aurantii. Altre specie, quali le cocciniglie basse (Coccus hesperidum e C. pseudomagnoliarum) e la “bianca-rossa” (Chrysomphalus dictyospermi), non rivestono interesse applicato mentre inquietanti sono, in prospettiva, le segnalate presenze dei diaspini Unaspis yanonensis e Aonidiella citrina (in Calabria) nonché di Chrysomphalus aonidum e del coccino Protopulvinaria pyriformis, in fase di espansione in Sicilia. Rametto infestato dalla cocciniglia bassa degli agrumi (Coccus hesperidum)
Cocciniglia cotonoso-solcata degli agrumi (Icerya purchasi). Originaria dell’Australia, si è diffusa in tutte le regioni temperate, tropicali e subtropicali e nelle serre dei paesi freddi. In Italia è stata segnalata nel 1900. I periodi di maggiore schiusura delle uova ricadono in giugno e settembre. I danni diretti (sottrazione di linfa, ferite della corteccia, deformazioni, emissione di gomma) e indiretti (produzione di melata e formazione di fumaggine) sono in genere molto gravi. Il coleottero coccinellide Rodolia cardinalis è il predatore più attivo ed efficace in tutte le aree in cui è stata introdotta la cocciniglia.
Cocciniglia cotonoso-solcata
• Originaria dell’Australia, è ormai
cosmopolita nelle aree di coltivazione degli agrumi
• A maturità, l’adulto (pseudofemmina
ermafrodita) presenta il corpo, lungo circa 5 mm, di colore rossastro per trasparenza dell’emolinfa; secerne un caratteristico ovisacco bianco ceroso con 16 solchi longitudinali
Cocciniglie cotonose. Delle 4 specie di pseudococcidi segnalate su agrumi in Italia (Planococcus citri, Pseudococcus calceolariae, Ps. affinis e Ps. longispinus) solo la prima è di interesse fitosani-
• Compie 2-3 generazioni annuali, anche a spese di altre specie coltivate e spontanee
Maschio (in basso) e pseudofemmina di cocciniglia cotonoso-solcata degli agrumi Pseudofemmine di cocciniglia cotonoso-solcata su rametto di agrume
226
parassiti animali
Rodolia
• Gli adulti sono lunghi circa 2-4 mm,
dorsalmente di colore rosso porpora con 5 macchie nere sulle elitre. Può svolgere fino a 8 generazioni. Le femmine, nell’arco di 30-40 giorni, depongono da 350 a 600 uova tra le colonie di Iceria. Nel corso dello sviluppo una larva consuma in media 200-300 uova della cocciniglia, mentre l’adulto ne elimina 300-400. L’introduzione di 2-3 coppie del predatore per pianta, sul 10% delle piante, garantisce un efficace controllo delle infestazioni
Adulto del coccinellide predatore Rodolia cardinalis in attività trofica (a sinistra) e adulti in accoppiamento (a destra)
tario negli agrumeti in cui si creano condizioni di temperatura e umidità ottimali per le sue pullulazioni (sesti di impianto stretti, specie e cultivar con frutti in contatto). Il cotonello degli agrumi (Planococcus citri) compie 4-5 generazioni nell’Italia meridionale e 2-3 più a nord. Le pullulazioni si verificano a fine estate e autunno. Le femmine, capaci di partenogenesi occasionale, depongono da 300 a 600 uova in ovisacchi fioccosi. Le neanidi, sugli agrumi, costituiscono dense colonie localizzandosi di preferenza sotto la rosetta del peduncolo dei frutti o nei punti
Femmine del cotonello longiraggiato (P. longispinus)
Infestazione di cotonello degli agrumi su frutti. Si noti l’abbondante presenza delle fumaggini che si insediano sugli escreti zuccherini prodotti dall’insetto
227
coltivazione
Cotonello degli agrumi (Planococcus citri)
• La femmina ha il corpo ovale, di colore
giallastro o rosa, coperto di cera farinosa, lungo 3-4 mm, con 18 paia di raggi cerosi periferici (17 uguali, brevi e conici; il 18°, o anale, è più lungo). A maturità produce un ovisacco fioccoso, informe, più lungo del corpo, nel quale depone le uova, anch’esse di colore giallastro. Il maschio, lungo 1 mm e di color castano, presenta due ali e i processi genitali ben sviluppati Colonia di cotonello degli agrumi; si notino gli ovisacchi cotonosi contenenti le uova, di colore giallo aranciato
in cui sono a contatto. Le folte colonie producono abbondante melata, richiamano le formiche e causano fumaggine. L’ingiallimento e la cascola dei frutti vengono accelerati dai venti caldi e secchi. Dei numerosi entomofagi che vivono a spese del cotonello, sono attivi vari neurotteri predatori del genere Sympherobius, ditteri del genere Leucopis spp. nonché coccinellidi dei generi Scymnus e Cryptolaemus montrouzieri. Tra i parassitoidi, efficaci sono gli imenotteri encirtidi indigeni Anagyrus pseudococci e Leptomastidea abnormis, nonché l’esotico Leptomastix dactylopii, da introdurre annualmente quando le temperature minime non scendono sotto i 15 °C. In passato la lotta veniva effettuata con getti d’acqua sulle colonie e con la spazzolatura meccanica dei frutti. Buoni risultati possono essere ottenuti impiegando, in presenza del 10% di frutti infestati, i formulati autorizzati (vedi tabella alla fine del capitolo).
Strategie di controllo del cotonello
• È possibile mantenere le popolazioni
al di sotto della soglia di intervento chimico (10% dei frutti infestati) sia proteggendo e favorendo l’attività degli entomofagi indigeni, sia potenziandone l’azione con lanci inoculativi stagionali di 20-30 esemplari/pianta infestata, per un totale di 1500 adulti di L. dactylopii per ettaro di agrumeto. Parallelamente è necessario tenere sotto controllo le formiche simbionti distruggendo i nidi o effettuando trattamenti localizzati alla base delle piante con esteri fosforici (Clorpirifos). La loro presenza su tronchi e germogli consente di evidenziare tempestivamente i primi focolai del planococco sulle piante in cui effettuare i lanci di Leptomastix
Femmina adulta di Leptomastix dactylopii in attività di parassitizzazione su cotonello degli agrumi
228
Adulto (a destra) e larva (a sinistra) del coccinellide Cryptolaemus montrouzieri, predatore del cotonello degli agrumi
parassiti animali
Cocciniglie scudettate o diaspini
• Sono caratterizzate dalla presenza
Femmina adulta di Anagyrus pseudococci in attività di parassitizzazione su cotonello degli agrumi
del follicolo sericeo, circolare o allungato, che ricopre il corpo. Svolgono più generazioni annue che si sovrappongono in vario modo tra loro. A differenza delle cocciniglie “non scudettate” non emettono melata ma, similmente agli pseudococcidi, vivono su tutti gli organi delle piante e in particolare sui frutti. I danni consistono in deperimenti più o meno notevoli (fino a defogliazione e disseccamenti di rami) a seguito dell’inoculo di saliva e sottrazione di linfa dagli organi attaccati. I frutti infestati subiscono deprezzamento commerciale
Esemplari di cotonello degli agrumi parassitizzati da Leptomastix dactylopii
La femmina della cocciniglia mezzo grano di pepe (Saissetia oleae) ha il corpo semisferico lungo 3-5 mm. L’uovo, di colore rosa o rossastro, è lungo 0,3 mm. Gli stadi giovanili (neanidi) hanno il corpo di colore giallastro. Questa cocciniglia svolge da 1 a 2 generazioni annue e ciascuna femmina depone fino a 2500 uova, che schiudono dopo 15-60 giorni; le neanidi si disperdono sulla chioma, fissandosi sulle parti più riparate per sfuggire ai raggi solari e alle piogge, ovvero si lasciano trasportare dalle correnti aeree per raggiungere altre piante. Esse divengono adulte tra fine aprile e i primi di luglio. Notevolmente polifaga, la specie vive su piante erbacee (carduacee) e arboree, spontanee e coltivate (olivo, oleandro, agrumi, pero ecc.). Gli entomofagi predatori sono rappresentati da coleotteri coccinellidi dei generi Chilocorus ed Exochomus e dal lepidottero nottuide Eublemma scitula. Importante, inoltre, è l’azione svolta dagli imenotteri pteromalidi Scutellista cyanea e Moranila californica, nonché da calcidoidei parassitoidi dei generi Metaphycus, Diversinervus e Coccophagus.
Cocciniglia mezzo grano di pepe
• Il corpo semisferico della femmina
presenta 3 carene a formare una lettera H
• La specie si riproduce per partenogenesi telitoca abituale con progenie tutta femminile
• Compie 1-2 generazioni annue • Le concimazioni equilibrate
e il potenziamento (o la salvaguardia) dei limitatori naturali, indigeni e introdotti, spesso riescono a contenere le sue infestazioni
Femmine adulte e giovani neanidi di cocciniglia mezzo grano di pepe (S. oleae) su rametto di agrume
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coltivazione Il corpo delle giovani femmine della protopulvinaria degli agrumi (Protopulvinaria pyriformis) è trasparente, “piriforme”, depresso, con l’estremità cefalica acuta e quella caudale arrotondata. La femmina matura produce un ovisacco stretto e ceroso al di sotto del quale depone circa 200 uova. Gli stadi giovanili hanno il corpo di colore giallo paglierino. È specie polifaga, ovipara e partenogenetica che compie più generazioni annue, particolarmente temibile per i danni diretti e indiretti causati ad agrumi, avocado e a varie ornamentali. Tra i limitatori naturali più attivi si segnala il dittero cecidomiide predatore Mycodiplosis moznettei e gli imenotteri parassitoidi Encyrtus infelix e Metaphycus spp. Le concimazioni equilibrate e le potature razionali concorrono a frenarne le pullulazioni. I trattamenti con oli minerali bianchi, all’1-2%, sono efficaci contro le neanidi e le giovani femmine. Ceroplasti. Delle 4 specie del genere Ceroplastes segnalate su agrumi in Italia (C. rusci, C. japonicus, C. floridensis e C. sinensis) solo la prima riveste importanza fitosanitaria generalizzata. La femmina adulta della cocciniglia del fico o “rogna del fico” (Ceroplastes rusci) ha il corpo lungo 4-5 mm coperto da 9 piastre cerose di colore grigiastro (8 marginali e una dorsale), che nella fase ovideponente si fondono tra loro. Le uova ocracee vengono deposte, in numero medio di 2000 circa, sotto il corpo della femmina e schiudono in maggio-giugno e in luglio-agosto. Attivi entomofagi sono i coccinellidi Chilocorus bipustulatus ed Exochomus quadripustulatus, il lepidottero nottuide Eublemma scitula e gli imenotteri pteromalidi (Scutellista cyanea e Moranila californica) nonché l’imenottero calcidoideo Tetrastichus ceroplastae.
Colonia di cocciniglia piriforme (P. pyriformis)
Femmina adulta di Ceroplastes sinensis
Femmine di Ceroplastes floridensis
230
Femmina adulta di Ceroplastes japonicus
parassiti animali
Femmina adulta di Ceroplastes rusci
Adulto (in alto) e larve di Scutellista cyanea dentro il corpo di Ceroplastes rusci (in basso)
Parlatorie. Il follicolo femminile di Parlatoria pergandei è di colore grigio, più o meno ovale o piriforme; quello di P. ziziphi è nero con un evidente rilievo a forma di π (p greco). Diffuse in tutte le aree agrumicole del mondo, attaccano in modo particolare l’arancio. Svolgono da 3 a 5 generazioni annue svernando da femmine adulte che depongono una decina di uova. I maschi sono sensibili agli abbassamenti di umidità. Le popolazioni si stratificano principalmente sui rami, ma possono infestare anche foglie e frutti; su
Foglia di arancio dolce infestata dalla parlatoria nera degli agrumi (P. ziziphi)
Frutto di limone infestato da cocciniglia grigia degli agrumi (P. pergandei)
Infestazione su rametti di arancio della cocciniglia grigia degli agrumi (P. pergandei)
231
coltivazione questi ultimi tendono a insediarsi nelle depressioni dell’epicarpo. L’attività di vari coccinellidi predatori e di imenotteri parassitoidi dei generi Encarsia e Aphytis spesso non risulta efficace ed è pertanto necessario effettuare interventi fitosanitari con oli minerali bianchi all’1-2%, che non danneggiano gli entomofagi. Cocciniglia virgola (Lepidosaphes beckii) e cocciniglia serpetta (L. gloverii). Il follicolo che ricopre il corpo della femmina di L. beckii è castano grigiastro, allungato (2-4 mm), ricurvo e appuntito all’estremità cefalica; quello maschile è più piccolo e più stretto del precedente. Il follicolo femminile di L. gloverii è di colore castano, serpentiniforme, lungo 3,5-4 mm. La seconda specie, oltre agli agrumi, infesta pure magnolia, evonimo e palme. Gli esemplari di entrambe le specie si fissano su tutti gli organi epigei della pianta; sui rami possono formare dense incrostazioni. Le due specie svolgono da 3 a 5 generazioni annue, con ovideposizioni da marzo a novembre. Oltre a causare deperimenti e disseccamenti a seguito della sottrazione di linfa e dell’immissione di saliva tossica, la presenza di follicoli sui frutti ne provoca il deturpamento e la svalutazione commerciale. Attivi sono i coleotteri coccinellidi predatori C. bipustulatus e Rhizobius lophantae, nonché gli imenotteri afelinidi Aphytis lepidosaphes ed Encarsia citrina; nei confronti della cocciniglia serpetta è efficace Encarsia herndoni.
Femmine adulte di cocciniglia virgola degli agrumi (L. beckii)
Unaspide (Unaspis yanonensis). Il follicolo che ricopre il corpo della femmina è mitiliforme, di colore marrone; quello maschile è costituito da secrezioni cerose bianche, tricarenato, lungo 1,31,6 mm. In Giappone svolge 3 generazioni e sverna da femmina
Infestazione di cocciniglia serpetta su frutto (L. gloverii) Femmine adulte della cocciniglia Unaspis yanonensis su frutto
232
parassiti animali adulta fecondata o da neanide di seconda età. Ciascuna femmina depone 150-200 uova. Di origine orientale, è presente sulla Costa Azzurra, in Liguria e in Calabria. I rametti infestati deperiscono mentre le foglie, oltre a presentare ampie macchie decolorate intorno ai punti di insediamento, successivamente vanno incontro a distacco. Il pericarpo dei frutti infestati dissecca. Interventi con oli minerali bianchi o con esteri fosforici, in caso di elevate infestazioni, forniscono buoni risultati. Cocciniglia bianca del limone (Aspidiotus nerii). Nelle aree temperate svolge da 3 a 5 generazioni annuali e sverna prevalentemente come femmina adulta. Le neanidi compaiono in aprilemaggio, giugno-luglio e agosto-settembre. Infesta tutti gli organi, comprese le radici e, a causa delle fitte incrostazioni, può determinare il deperimento delle piante. I danni più frequenti su limone e cedro sono di tipo estetico. I punti di insediamento sui limoni maturi restano verdi e meno sviluppati. Numerosi entomofagi predatori (coleotteri coccinellidi: C. bipustulatus, E. quadripustulatus, R. lophantae, Scymnus spp.) e parassitoidi (Encarsia citrina, Aphytis spp.) sono attivi. Gli interventi fitosanitari vanno effettuati al superamento delle soglie economiche (presenza di un esemplare per centimetro di rametto e/o di 4 individui per frutto).
Frutto infestato da Unaspis yanonensis
Cocciniglia della Florida (Chrysomphalus aonidum). Il follicolo femminile, di forma circolare (2 mm), è di colore bruno violaceo con fascia marginale più chiara ed esuvie rossastre. Il follicolo maschile è di forma ovale (0,7 × 2 mm). Svolge 3-4 generazioni annuali e sverna nei vari stadi. Nei nostri ambienti temperati la Cocciniglia bianca del limone
• Il corpo della femmina, giallastro,
è ricoperto da un follicolo sub-rotondeggiante di colore nocciola. Il follicolo maschile, di forma ovale, è di colore bianco
• È ritenuta una specie complessa
Limone infestato dalla cocciniglia bianca (A. nerii)
(superspecie) in via di differenziazione in unità biomorfologiche. In rapporto al colore del follicolo, a qualche carattere del pigidio (ultimi segmenti addominali fusi) e alle caratteristiche bioecologiche e riproduttive, sono state descritte varie specie o sottospecie, delle quali A. n. unisexualis e A. n. paranerii sono partenogenetiche telitoche obbligate
Particolare dei follicoli maschili della cocciniglia bianca del limone
233
coltivazione
Particolare dei follicoli femminili di C. aonidum
Infestazione di cocciniglia della Florida (C. aonidum) su frutto
Cocciniglia rossa forte
specie viene spesso introdotta con piante ornamentali e agrumi; tuttavia, finora non si è diffusa in pieno campo, presumibilmente a causa delle maggiori esigenze termiche. Originaria dell’Asia orientale, è presente in tutte le regioni tropicali e subtropicali. Vive su numerose piante ornamentali (dracena) e coltivate; in alcune aree del Mediterraneo (Israele, Algeria, Egitto) e in Mozambico è molto dannosa per gli agrumi. In Israele il controllo biologico del diaspino è stato efficacemente realizzato con l’introduzione del parassitoide Aphytis holoxanthus.
• Originaria della Cina meridionale e della penisola indocinese, è stata segnalata in Italia agli inizi del secolo scorso
• Nei nostri ambienti svolge 3-4 generazioni annue
• Le femmine sono ovovivipare:
depongono un centinaio di uova che schiudono subito dopo
Cocciniglia rossa forte (Aonidiella aurantii). Il follicolo femminile è di forma circolare (1,7-2,2 mm), di colore nocciola più o meno
• Si insedia su tutti gli organi epigei della pianta stratificandosi su tronco e rami, sui quali forma spesse incrostazioni
Maschio neoformato di cocciniglia rossa forte degli agrumi dentro il follicolo sollevato ad arte
Femmina adulta di cocciniglia rossa forte degli agrumi (A. aurantii)
234
Frutto infestato da cocciniglia rossa forte degli agrumi. Le neanidi appena fissate sono ricoperte da un secreto bianco
parassiti animali
Gli antagonisti naturali della cocciniglia rossa forte
• Tra gli entomofagi della cocciniglia,
attivi predatori sono l’acaro fitoseide Typhlodromus cryptus, i coleotteri coccinellidi Chilochorus bipustulatus e Rhyzobius lophantae nonché il cibocefalide Cybocephalus rufifrons. Occasionale è la presenza del dittero cecidomiide Lestodiplosis aonidiella, quella dell’ectoparassitoide Aphytis proclia nonché quella dell’endoparassitoide Encarsia perniciosi. Nel secolo scorso sono stati introdotti nei nostri areali il parassitoide endofago Comperiella bifasciata e l’ectofago Aphytis melinus
Femmina adulta del parassitoide endofago Comperiella bifasciata (a sinistra) e adulti del coccinellide predatore Chilocorus bipustulatus (a destra)
scuro. Dorsalmente reca le esuvie centrali di colore rossastro. Il velo ventrale è robusto. Il corpo della femmina è fortemente sclerotizzato e parzialmente incollato sia al follicolo sia al velo ventrale. Il follicolo maschile è di forma ovale (0,8-1,2 mm), di colore nocciola. Il maschio adulto è di colore giallastro. Le neanidi neonate sono di colore giallo; esse, dopo una breve fase di torpore, abbandonano il follicolo materno e si spostano in varie direzioni per poi fissarsi, entro 24 ore, sugli organi della stessa pianta, ma possono anche essere trasportate dal vento a notevoli distanze. Appena fissate al substrato diventano circolari e si ricoprono di un secreto bianco. I picchi di presenza, in Italia meridionale, si hanno in maggio-giugno, agosto-settembre e ottobre-novembre. Dopo circa 4-6 settimane dalla nascita si formano le giovani femmine che emettono un feromone sessuale attrattivo per i maschi i quali, nel loro unico giorno di vita, possono volare controvento per oltre 100 m. La specie, diffusa nelle regioni tropicali e subtropicali, è tra le più dannose agli agrumi in Australia, Stati Uniti, Centro e Sud America, Nord e Sud Africa e nel bacino del Mediterraneo. In Italia il diaspino è ormai presente nelle principali aree agrumicole, dove causa danni di entità tale da richiedere specifiche misure di lotta. Ampiamente polifaga e ripartita in diversi biotipi o razze biologiche, la specie vive su tutti gli agrumi, nonché su vite, pero e carrubo, determinando deperimenti più o meno pronunciati (sino a defogliazione e disseccamento dei rami) a seguito dell’inoculo di saliva tossica e della sottrazione di linfa. Con densità medie di 6-8 esemplari/foglia si ha una riduzione di crescita della pianta. La presenza di esemplari del diaspino sui frutti determina deprezzamento commerciale. È necessario effettuare interventi fitosanitari al superamento della cosiddetta “soglia d’intervento”, definita dalla
Cocciniglia gialla (Aonidiella citrina)
• È originaria dell’Asia orientale • È stata segnalata in Italia nel 1994 • Morfologicamente è simile alla
cocciniglia rossa forte, dalla quale differisce per caratteri microscopici
• Svolge 3 generazioni annuali • Si insedia di preferenza su foglie e frutti • Attualmente è confinata in Calabria, nella Piana di Sibari
Follicoli di A. citrina (a sinistra) e infestazione su foglie e frutti di clementine (a destra)
235
coltivazione
Aphytis melinus
• Introdotto in Italia nel 1966,
parassitizza dal 40 al 70-80% delle giovani femmine
• Viene allevato in Biofabbrica e
commercializzato per lanci aumentativi negli agrumeti. In Sicilia dal 2007 sono stati liberati oltre un miliardo di esemplari, prodotti dalla Biofabbrica dell’ESA Foto ESA
Femmina adulta del parassitoide ectofago Aphytis melinus in prossimità della cocciniglia rossa forte degli agrumi
presenza di 4 esemplari per frutto o di un individuo per centimetro di rametto, rilevata su 40 cm di rametti prelevati dal 5% delle piante; ovvero dall’esame visivo di 20 frutti/pianta sul 5% delle piante. In commercio è disponibile il feromone sessuale di sintesi della cocciniglia, che consente (tramite il conteggio dei maschi catturati con apposite trappole) sia una migliore sincronizzazione dei trattamenti, sia l’individuazione dei primi focolai. Inoltre è possibile stabilire i periodi di maggiore presenza delle giovani femmine, che sono lo stadio preferito dal parassitoide A. melinus.
Zucche infestate da Aspidiotus nerii per l’allevamento massale di Aphytis melinus nella Biofabbrica dell’ESA della Regione Sicilia
Lotta alle cocciniglie Può essere effettuata con vari mezzi. Tra quelli agronomici, o colturali, sono ben noti gli effetti delle concimazioni sulle popolazioni della cocciniglia virgola e della cocciniglia rossa forte; la prima pullula su piante vegetanti in terreni ricchi di azoto ed è favorita da eccessive concimazioni azoto-potassiche, mentre la seconda specie è più abbondante nei terreni sabbioso-calcarei deficienti in azoto e potassio. Le potature agiscono sia direttamente, eliminando le popolazioni presenti sugli organi asportati, sia indirettamente, creando condizioni di habitat non favorevoli agli stadi giovanili molto sensibili all’azione letale dei freddi e dei raggi solari. I mezzi biologici forniscono, in genere, risultati efficaci e duraturi. È noto che la lotta biologica classica, basata sull’antagonismo tra organismi, è stata messa a punto nell’agrumeto alla fine dell’Ottocento per controllare la cocciniglia australiana I. purchasi con l’introduzione del coleottero coccinellide R. cardinalis. A tale fortunata applicazione ha fatto seguito l’impiego del coccinellide C. montrouzieri contro i cotonelli dei generi Planococcus e Pseudococcus.
Adulto di crittolemo che preda una colonia di cotonello
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parassiti animali Più recente è l’introduzione dell’imenottero encirtide L. dactylopii per il controllo di P. citri. Tali metodologie, che sono ormai consolidate a livello applicativo in vaste aree, conseguono risultati validi solo se vengono rispettate le esigenze biologiche degli entomofagi e vengono controllate le formiche simbionti delle cocciniglie. Un parziale successo è stato conseguito nel controllo della cocciniglia rossa forte con introduzioni “aumentative” dell’imenottero Aphytis melinus che, di norma, raggiunge livelli di parassitizzazione del 20-30% delle giovani femmine del diaspino. Numerosi sono i casi di introduzione di predatori e di parassitoidi che si sono acclimatati con validi risultati nel controllo di specie nocive. Tra essi ricordiamo vari Metaphychus contro S. oleae, nonché E. herndoni, attivo contro L. gloverii. Pertanto, nell’attuazione di strategie di lotta integrata, è importante proteggere e potenziare l’attività entomofaga di tali antagonisti, che spesso passano inosservati, ma che sono i più efficaci fattori di contenimento delle popolazioni delle cocciniglie. Solo quando, in rapporto al loro elevato potenziale biotico, le popolazioni di una specie superano determinate densità e possono causare danni, è necessario effettuare interventi fitoiatrici con formulati anticoccidici. Questi vanno impiegati contro gli stadi giovanili più vulnerabili in quanto meno protetti da secrezioni di cera o dai follicoli, presenti in molte specie, che ostacolano o addirittura impediscono il contatto dei formulati con il corpo delle cocciniglie. Per A. aurantii, gli eventuali interventi possono essere programmati monitorando i voli dei maschi mediante trappole a feromoni sessuali e registrando contemporaneamente le temperature minime e massime giornaliere, utili per calcolare la somma dei gradi giorno necessari per
Giovani larve del coccinellide predatore Rodolia cardinalis in attività su una colonia della cocciniglia cotonoso-solcata degli agrumi
Femmina adulta di Leptomastix dactylopii, parassitoide endofago del cotonello degli agrumi
Pupe del parassitoide A. melinus sotto il follicolo della cocciniglia rossa forte
237
coltivazione
Le fumigazioni cianidriche
• Nel 1886 venne scoperta in California
l’efficacia dell’acido cianidrico contro le cocciniglie che infestano gli agrumi. Nel 1923 il metodo si affermò su scala commerciale nella Sicilia orientale. Con DM del 23 aprile 1928 e del 26 marzo 1930, fu resa obbligatoria la lotta alle cocciniglie degli agrumi mediante il metodo dell’acido cianidrico in Sicilia e Calabria; nel 1956 l’obbligatorietà fu estesa alla Campania e al Lazio
• La ricerca scientifica ha permesso
Trappola a feromoni sessuali impiegata per il monitoraggio dei voli dei maschi di Aonidiella aurantii e maschio catturato (nel riquadro)
lo sviluppo delle lotte integrate eliminando i possibili rischi legati alla tossicità dell’acido cianidrico
completare una generazione. Ciò consente di individuare i periodi di accoppiamento e la successiva presenza di neanidi contro le quali effettuare gli interventi. Nel contesto della lotta integrata un ruolo importante rivestono anche le modalità di distribuzione, nonché la formulazione dei principi attivi anticoccidici; queste devono essere mirate alla riduzione delle quantità di prodotto commerciale distribuite nell’unità di superficie. Gli anticoccidici di più largo impiego in agrumicolFoto A. Caltabiano
Foto A. Caltabiano
Fumigazione cianidrica: caratteristiche tende di cotone impiegate per isolare le piante da trattare (a sinistra) e mastellieri che si accingono a effettuare il trattamento fumigante (sopra)
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parassiti animali tura sono gli oli minerali che, in relazione al loro principale meccanismo di azione, risultano meno tossici per gli ausiliari. Tuttavia il loro esclusivo impiego consegue risultati poco efficaci nei confronti delle cocciniglie scudettate, soprattutto se presenti in alte densità di popolazione. Va ribadita, infine, l’importanza della lotta alle formiche che, seppur simbionti di specie produttrici di melata, deprimono notevolmente l’attività degli entomofagi di diaspini e di altre entità che non emettono escreti zuccherini, rendendo spesso vani i programmi di lotta biologica nell’agrumeto.
Lepidotteri
• Delle numerose specie che allo stadio larvale infestano gli agrumi, in Italia, solo Phyllocnistis citrella e Prays citri rivestono importanza fitosanitaria
• Localizzate sono le infestazioni
di Archips rosanus le cui larve determinano arrotolamenti o unione di foglie, con erosioni di lieve entità. Più gravi sono le alterazioni a carico dei fiori negli anni di scarsa fioritura
Minatrice serpentina degli agrumi (Phyllocnistis citrella) Gli adulti, che hanno attività crepuscolare, durante il giorno si rifugiano nelle zone più riparate delle piante. Le femmine vivono circa 20 giorni, nel corso dei quali depongono un centinaio di uova. In relazione all’andamento climatico e alla disponibilità di tenera vegetazione, la minatrice può compiere da 5 a 13 generazioni annue, con un arresto, o rallentamento, dello sviluppo nei periodi più freddi. Oltre ai Citrus, può infestare altre rutacee. Le larve scavano mine serpentiniformi nello strato epidermico delle foglie e dei germogli rispettando il tessuto parenchimatico. Le cellule epidermiche vengono distrutte e di esse rimane solo la parete esterna che, insieme alla cuticola, ricopre le mine. In relazione alla fase di sviluppo in cui vengono attaccate, le foglie presentano malformazioni più o meno pronunciate, con ripiegamenti longitudinali e i lembi parzialmente arrotolati verso il basso. Le foglie colpite da più mine si deformano, ingialliscono e disseccano. Nelle piante adulte il danno è pressoché irrilevante ai fini produttivi; al contrario in vivaio, nei giovani impianti, su reinnesti e su agrumi ornamentali
Adulto di minatrice serpentina degli agrumi
Minatrice serpentina degli agrumi
• Gli adulti, dal corpo biancastro, hanno
le ali anteriori bianco argenteo con 3 bande nere trasversali e 4 semicircolari. Le ali posteriori sono munite di una larga frangia che conferisce all’insetto un aspetto piumoso. Le larve, di colore giallastro, sono prive di zampe e conducono vita endofitica. Sgusciano dall’uovo dopo 2-7 giorni e, a 26-29 °C, completano lo sviluppo in circa 15 giorni. Compie da 5 a 13 generazioni
Larva di minatrice serpentina (P. citrella) estratta dalla mina fogliare
• Originaria del Sud-Est asiatico, in Italia
Danni determinati delle larve della minatrice serpentina su foglie di limone
è stata segnalata nel 1994
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coltivazione i danni possono essere gravi. Oltre 40 specie di entomofagi, afferenti principalmente agli imenotteri eulofidi, vivono a carico della minatrice, costituendo, nei paesi asiatici di origine, il fattore chiave di controllo. Nelle aree in cui il fitofago è stato introdotto, vari predatori (crisopidi, formiche, ragni ecc.) e imenotteri parassitoidi dei generi Pnigalio, Sympiesis e Cirrospilus, non specifici, si sono adattati a vivere a spese del nuovo ospite senza tuttavia risultare determinanti per il suo controllo biologico. Maggiore efficacia manifestano i parassitoidi Ageniaspis citricola, Quadrastichus sp., Semielacher petiolatus e, soprattutto, Citrostichus phyllocnistoides, spontaneamente insediatosi nei nostri agrumeti. Le pratiche agronomiche in grado di influenzare l’attività vegetativa delle piante (irrigazioni, concimazioni, potatura) interferiscono con lo sviluppo dell’insetto, tendenzialmente omodinamo. I mezzi di esclusione meccanica (copertura delle giovani piante e dei reinnesti con reti antinsetto) rappresentano un ulteriore strumento di buona efficacia. Interessanti risultati, limitatamente ai vivai e alle piante in vaso, sono stati ottenuti con l’uso di agrofarmaci sistemici somministrati al terreno con l’irrigazione, ovvero spennellati ai tronchi (vedi tabella alla fine del capitolo). Tignola della zagara (Prays citri) La specie, negli ambienti più favorevoli, su agrumi rifiorenti quali il limone, può compiere fino a 11 generazioni annue. Lo svernamento avviene nei vari stadi, con prevalenza di quelli larvali. Originaria dell’Asia orientale, è diffusa nel bacino mediterraneo, in Africa e in California. Gli attacchi sono temibili, soprattutto, su piante con scarsa fioritura e su piante di limone sottoposte a forzatura per ottenere i verdelli. Le larve penetrano nei bocci fiorali e ne divorano gli organi interni. Nei casi di forti infestazioni e scarsa fioritura, le larve attaccano le foglioline, rodono le gemme, minano l’asse dei germogli e i frutti appena allegati; più raramente, scavano gallerie
Pupe di Ageniaspis citricola, parassitoide della minatrice serpentina degli agrumi, all’interno di una mina fogliare
Tignola della zagara
• L’adulto ha le ali di colore grigio chiaro
con macchie scure lungo i margini e una obliqua a circa metà dell’ala. L’apertura alare è di 10-12 mm. Dall’uovo, di colore biancastro, sguscia una larva di colore verde scuro con strette fasce giallastre, brune e rossastre che, giunta a maturità e tra i fiori danneggiati, si trasforma in crisalide di colore verde scuro, protetta da un rado bozzolo sericeo. Gli adulti hanno costumi crepuscolari e sono glicifagi. Ogni femmina depone 60-150 uova sui fiori e, più raramente, su germogli e frutticini. Vive su tutti i Citrus con preferenza per le cultivar rifiorenti di limone e per il cedro
Esemplare adulto di tignola della zagara (P. citri)
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parassiti animali nell’albedo dei frutti in accrescimento. I frutticini attaccati emettono gomma dai fori di penetrazione delle larve, ingialliscono e cadono. Nei limoneti sottoposti a forzatura, la rottura anticipata della secca (anticipo dell’irrigazione in modo che la fioritura avvenga entro agosto) consente di sfuggire ai massicci attacchi di fine estate. Il controllo dei voli dei maschi, con le trappole a feromoni sessuali di sintesi, consente di individuare i periodi di sfarfallamento e di gestire la tecnica della forzatura nei vari ambienti. Gli interventi fitosanitari sono giustificati in presenza di scarse fioriture e con infestazioni superiori al 50% nei primi fiori. Coleotteri I coleotteri segnalati su agrumi includono una trentina di specie fitofaghe afferenti alle famiglie degli scarabeidi, curculionidi, bostrichidi e cerambicidi, perlopiù di secondario interesse fitosanitario, nonché una ventina di specie predatrici che rivestono un ruolo di rilevante importanza nel controllo biologico di fitofagi dannosi alla coltura. A spese del legno di piante morte, o deperite, sviluppano specie xilofaghe quali il cerambicide Trichoferus griseus e il bostrichide Apate monachus; le larve di quest’ultimo vivono a spese di varie essenze arbustive spontanee. Gli adulti, attivi da giugno a ottobre, danneggiano le piante arboree vetuste scavando nei fusti e nei rami gallerie più o meno lineari, di lunghezza e diametro variabili. Maggiore interesse applicato hanno varie specie di curculionidi del genere Otiorhynchus. Tra gli oziorrinchi (Otiorhynchus cribricollis, O. aurifer, O. armatus, O. rhacusensis), la specie più comune e dannosa è O. cribricollis, il cui adulto presenta il corpo di colore bruno lucente lungo 6-8 mm, con le elitre (ali anteriori) saldate tra loro. Le uova sono bianche, oblunghe (1,2 × 0,4 mm di diametro). Le larve sono di colore bianco, lunghe circa 12 mm a maturità, prive di zampe, con capo scuro e lucido.
Larva di tignola della zagara in attività trofica su bocci fiorali di limone
Adulto neosfarfallato di tignola della zagara
Adulto del coleottero xilofago Apate monachus su rametto
Adulto del coleottero curculionide Othiorhynchus cribricollis su foglia di agrume
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coltivazione Gli adulti sono attivi di notte e spesso si raggruppano a centinaia su singole piante di agrumi o di olivo, causando caratteristiche erosioni a carico dei germogli e dei margini fogliari. Le larve vivono nel suolo causando seri danni alle radici di agrumi in vivaio. Fasce di lana di vetro legate ai tronchi impediscono la risalita degli adulti. Ditteri Trascurabile interesse fitoiatrico riveste la cecidomia della zagara (Contarinia citri) che svolge 3 generazioni a carico dei fiori di limone e arancio. I fiori infestati dalle larve si disarticolano e cadono e spesso tale cascola viene imputata all’acaro delle meraviglie o ad altre avversità. Ben più gravi, su alcune specie e in molte aree, sono i danni causati dalla mosca della frutta. Danni da larve di oziorrinco su radici di agrumi in vivaio
Mosca mediterranea della frutta (Ceratitis capitata). Specie a sviluppo continuo, nelle zone a inverni miti, sverna da adulto su piante sempreverdi, o da larva nei frutti di arancio, ficodindia ecc. Nelle località più fredde sverna da pupa nel terreno. I maschi si accoppiano di norma più volte ed emettono un feromone di richiamo sessuale che attrae le femmine, e altri maschi. L’ovideposizione inizia quando le temperature superano i 15-16 °C. La femmina, con l’ovopositore di sostituzione, scava nell’epicarpo una cavità dove depone fino a 10-15 uova. La durata della vita larvale varia da 9 giorni (a 29 °C) a un anno (a 8-12 °C) anche in relazione al tipo di frutto; su agrumi completa lo sviluppo solo in quelli con albedo sottile. La larva matura si lascia cadere al suolo, dove si sposta compiendo movimenti a scatto. Lo stadio pupale dura in media 10 giorni in estate e circa un mese in inverno. Al di
Fiore infestato dalla cecidomia della zagara (a sinistra) e particolare della larva nel fiore (a destra)
Arancia infestata dalla mosca mediterranea della frutta Larva di mosca mediterranea della frutta
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parassiti animali sotto della soglia termica inferiore (11 °C) si verifica un’elevata mortalità. La durata di una generazione oscilla dai 20 giorni in estate ai 3 mesi in inverno. Tipica specie a strategia riproduttiva di tipo “r”, in condizioni ottimali, raggiunge in breve elevate densità di popolazione. È ampiamente diffusa nel bacino del Mediterraneo e nel Vicino Oriente, in Arabia, Centro e Sud America, Australia occidentale e Hawaii. Le larve possono vivere nei frutti di oltre 250 specie di piante con preferenza per quelli a polpa tenera e zuccherina (albicocche, pesche, fichi, fichidindia, kaki, fragole, mele, pere, nespole del Giappone ecc.). La puntura di ovideposizione, dalla quale può gemere un liquido gommoso, si presenta ampia e di colore giallastro su arance verdi, verde giallastro e poi marrone rossastro su arance mature. Sui frutti di agrume le punture di ovideposizione causano un’accelerazione del cambio del colore dell’epicarpo e la loro cascola, anche a seguito dell’insediamento di coleotteri carpofili. Nel bacino del Mediterraneo il controllo biologico avviene a opera di microrganismi e di occasionali predatori (formiche e coleotteri carabidi e stafilinidi) attivi al suolo contro larve e pupe. In Africa sono noti il braconide Psyttalia concolor e Pachyneuron vindemiae, presenti anche in Italia. Per impedire l’introduzione della mosca mediterranea negli Stati Uniti, in Giappone e in vari altri paesi, la frutta infestata o potenzialmente tale viene respinta se non è stata mantenuta a bassa temperatura (2 settimane a 1 °C), per uccidere tutti gli stadi presenti nei frutti. Per ostacolare lo sviluppo del dittero è necessario evitare le consociazioni di fruttiferi ospiti, eliminare i focolai d’infestazione e distruggere i frutti infestati (cascolati o pendenti).
Mosca mediterranea
• L’adulto ha il corpo lungo 4-6 mm, con il
torace di colore nero con macchiettatura bianca; le ali presentano maculature a fasce brune e giallastre. L’addome, di colore giallo rossastro, presenta due bande di colore grigio cinerino. L’uovo è allungato e leggermente ricurvo, di colore bianco lucente. La larva vermiforme, di colore bianco giallastro, è lunga 7-9 mm. L’esuvia della terza età forma un pupario, di colore rossastro, lungo 4,5 mm
• Probabilmente originaria dell’Africa sub-sahariana, è diffusa nelle zone temperate e subtropicali
• Compie 6-7 generazioni annue al sud e 2-3 al nord
• In Messico, Florida e California si è
insediata più volte ed è stata eradicata
Maschio catturato nella trappola cromoattrattiva Femmina adulta di mosca mediterranea ovideponente su arancia
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coltivazione Per monitorare i voli degli adulti vengono utilizzate trappole cromoattrattive di colore giallo (tipo Rebell). Le femmine sono inoltre attratte da sfere del diametro di 7-10 cm, il cui profilo, in controluce, funge da richiamo visivo. Largo impiego hanno le trappole chemiotropiche, innescate con Trimedlure (miscela di esteri attivi nei confronti dei maschi), rilasciato alla dose di pochi nanogrammi al giorno da dispensatori che si mantengono attivi per circa 10 settimane. La lotta chimica può essere effettuata con l’impiego di insetticidi attivi per contatto (Deltametrina) contro gli adulti; validi risultati forniscono gli interventi con formulati a base di Spinosad. Negli agrumeti, per limitare gli effetti negativi sugli insetti utili si fa ricorso all’applicazione localizzata di esche proteiche. La soglia d’intervento adottata nell’agrumeto è di 3-4 adulti/trappola/settimana.
Lotta autocida (SIT, SIRM)
• Consiste nel rilascio, nelle aree
infestate, di numerosi maschi allevati in insettario e resi sterili con manipolazioni genetiche o mediante radiazioni allo stadio di pupa. È stata impiegata per la prima volta nel 1959-60 nelle Hawaii e poi in Italia, America ecc. Per l’applicazione della SIT, su aree vaste o geograficamente delimitate, è necessario disporre di apposite infrastrutture
Imenotteri La stragrande maggioranza degli imenotteri presenti negli agrumeti ha prevalente attività parassitaria e svolge un’importante funzione di contenimento delle specie dannose, contribuendo in maniera determinante al mantenimento degli equilibri biologici dell’agrumeto. Numerose sono le specie di formiche in grado di arrecare sia danni diretti, nutrendosi delle parti più tenere della nuova vegetazione, sia danni indiretti, instaurando rapporti di simbiosi antagonistica o mutualistica con insetti dannosi (per es. i succhiatori di linfa e produttori di melata). Negli agrumeti le specie attualmente più diffuse sono: Lasius alienus, Tapinoma nigerrimum, Camponotus nylanderi, Pheidole pallidula, Formica cunicularia. Invece la formica argentina (Linepithema humile) e la formica piega-addome (Crematogaster scutellaris), che nidifica nel legno alterato di piante annose, sono poco frequenti.
Trappola chemioattrattiva per la cattura di adulti di C. capitata
Foglie di arancio erose dalla formica nera (T. nigerrimum)
Regina e operaia di C. scutellaris (a sinistra) e nido ricavato nel legno alterato (a destra)
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parassiti animali
Il controllo delle formiche
• La lotta alle specie terricole va
effettuata con la distruzione dei nidi con mezzi meccanici e con interventi localizzati al tronco delle piante atti a impedire la risalita delle formiche dal terreno alla chioma. Per le specie che nidificano nelle piante possono essere impiegate delle esche, costituite da recipienti contenenti un attrattivo alimentare (acqua zuccherata o meglio olio di soia) e un insetticida a debole potere abbattente. Le operaie che ingeriscono l’esca non muoiono immediatamente, ma la somministrano alle larve e alle regine nel nido causandone la lenta morte
Nido di formiche
La gestione fitosanitaria Per la razionale gestione della difesa fitosanitaria degli agrumeti è necessario fare riferimento ai protocolli messi a punto dai Servizi fitosanitari delle principali regioni agrumicole italiane, ai quali si rimanda (per esempio http://www.regione.sicilia.it/agricolturaeforeste/assessorato/ServizioFitosanitarioRegionale.htm).
Mezzi e metodi di controllo demografico dei principali fitofagi degli agrumi in Italia Fitofago
Soglia di intervento chimico
Mezzi e metodi di lotta
Tripidi
5% frutti infestati
Olio minerale, Clorpirifos, Abamectina
Cimicetta verde
20-30% germogli colpiti
Clorpirifos
Afide verde
germogli colpiti: 15% (arancio), 5% (mandarini)
Spirotetramat, Lambda-cialotrina
Afide del cotone
25% germogli infestati
Spirotetramat, Imidacloprid
Aleirode fioccoso
Germogli con colonie attive
Spirotetramat, olio minerale, parassitoidi (Cales, Amitus)
Cotonello
5-10% frutti infestati
Leptomastix dactylopii, crittolemo, Clorpirifos
Coccini
1 femmina/10 cm ramo, o 3-5 neanidi/foglia
Spirotetramat, olio minerale, Clorpirifos
Diaspini
1 femmina/cm ramo; o 4 esemplari/frutto 50% infestaz. vegetaz estiva, vivai reinnesti, giovani impianti 50% bocci fiorali infestati
Spirotetramat, olio minerale, entomofagi Metossifenozide, Flufenoxuron, olio minerale, Tebufenozide, entomofagi Interventi agronomici
Minatrice serpentina Tignola della zagara Tortrice dei germogli
10% germogli infestati
Protezione entomofagi
Mosca
2-3% di frutti con punture
Esche proteiche, Spinosad, Deltametrina
Formiche
Presenza
Clorpirifos, distruzione dei nidi
Tetranico
10% foglie infestate, 2-3% frutti attaccati
Tebufenpirad, Fenbutadin-oxide
Panonico
3 acari/foglia o 30-50% foglie infestate
Olio minerale
Acaro delle meraviglie
30% gemme infestate
Olio minerale, Spirodiclofen
Nematode comune
300-700 femmine/g radici capillari
Disinfestazione preimpianto
Gasteropodi
Elevate presenze (erosioni fogliari)
Prodotti rameici
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Malattie fungine Gaetano Magnano di San Lio
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).
coltivazione Malattie fungine Introduzione Il termine “fungine”, riferito alle malattie degli agrumi, viene attribuito sia alle malattie causate dai funghi in senso stretto (Eumiceti), sia a quelle causate dagli pseudofunghi (Oomiceti) che, sebbene facciano parte di un regno ben distinto (Cromista o Stramenopila), per tradizione sono ancora considerati funghi, anche perché hanno in comune con questi ultimi alcune caratteristiche ecologiche. Le malattie fungine degli agrumi che mostrano sintomi specifici possono essere diagnosticate visivamente, mentre per altre sono necessari esami di laboratorio. Del resto, alcuni sintomi si possono osservare soltanto in determinati periodi dell’anno o compaiono in organi della pianta diversi da quelli in cui si trova l’agente patogeno. Sui tessuti necrotici, inoltre, si possono trovare fruttificazioni di parassiti secondari o patogeni opportunisti. Un esempio classico è quello del Colletotrichum gloeosporioides, fungo ubiquitario con habitus endofitico, i cui acervuli si osservano sui rametti disseccati in seguito a stress biotici o abiotici. Neoscytalidium dimidiatum, noto in passato come Hendersonula toruloidea, è un altro tipico esempio di patogeno opportunista: si insedia, infatti, nella corteccia e nel legno di piante di agrumi in seguito a stress termici (gelate o temperature estive molto elevate), causando cancri gommosi e disseccamenti dei germogli. Il metodo di lotta più efficace contro le malattie fungine è la prevenzione, soprattutto nel caso di malattie causate da patogeni terricoli. La maggior parte dei portainnesti utilizzati negli impianti commerciali di agrumi, per esempio, è resistente alla gommosi del tronco e al marciume delle radici causati da specie di Phytophthora, un genere del phylum Oomycota (Oomiceti). La resistenza genetica è stata utilizzata anche per la prevenzione di malattie epigee, quali il mal secco del limone e la maculatura bruna dei frutti di mandarino. Tuttavia, la scelta del nesto è dettata prioritariamente da esigenze commerciali. Tra i metodi di prevenzione sono compresi la scelta del sito di impianto, lo scasso e la sistemazione superficiale del terreno prima dell’impianto, il drenaggio e la gestione razionale dell’irrigazione. Per esempio, i sistemi di irrigazione che bagnano il tronco con continuità favoriscono le infezioni di gommosi, ma il rischio si riduce se l’acqua viene distribuita nelle ore diurne in modo da permettere alla corteccia del tronco di asciugarsi rapidamente. Alcuni sistemi di irrigazione possono contribuire alla disseminazione dell’inoculo o creare condizioni favorevoli alle infezioni. L’irrigazione per aspersione sottochioma, per esempio, favorisce le infezioni di Phytophthora sul tronco e sui frutti, mentre l’irrigazione soprachioma predispone alle infezioni di maculatura bruna sulle varietà di mandarino suscettibili e a quelle di septoriosi e mal secco nei limoneti. In
Sciame di zoospore rilasciate da uno sporangio di Phytophthora
Essudato gommoso sul fusto di una piantina di arancio in vivaio infetta da Phytophthora citrophthora
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malattie fungine generale, i sistemi di irrigazione localizzati sono i più indicati per prevenire la diffusione di malattie a carico delle foglie o dei frutti. In genere, le malattie infettive si insediano nella pianta a prescindere dal suo vigore; alcune di esse, tuttavia, attaccano soltanto le piante debilitate oppure, al contrario, si sviluppano preferenzialmente sulle piante vigorose. Una di queste è, per esempio, la maculatura bruna causata da Alternaria alternata, le cui infezioni sono più gravi sugli alberi con un’abbondante vegetazione primaverile. Le foglie giovani, infatti, sono molto suscettibili e costituiscono, a loro volta, la fonte primaria di inoculo per le infezioni dei frutti. La lotta chimica contro le malattie fungine degli agrumi si giustifica economicamente soltanto in alcuni casi. Per ridurre il numero dei trattamenti, di solito si preferiscono prodotti con una lunga persistenza. Praticamente, la scelta dei fungicidi è ristretta agli agrofarmaci registrati per i trattamenti su agrumi. Per quanto riguarda le malattie causate da Eumiceti, in Italia sono autorizzati per i trattamenti in campo soltanto i derivati del rame (ossicloruro, idrossido e solfato tribasico), che sono prodotti topici, o di copertura, e hanno efficacia preventiva contro una vasta gamma di malattie fungine e batteriche. Per la lotta chimica contro le malattie causate da Oomiceti sono disponibili anche prodotti sistemici, quali il fosfito di alluminio (fosetil-Al), dotato di sistemia basipeta, che si utilizza prevalentemente per via fogliare, e il metalaxil-M che, essendo dotato di sistemia acropeta, si impiega prevalentemente per trattamenti al terreno. In alcuni formulati commerciali prodotti rameici e sistemici sono miscelati insieme. Di seguito sono illustrate le principali malattie fungine degli agrumi nella regione mediterranea. Tra le malattie fungine dannose in altre aree agrumicole è richiamata soltanto la maculatura nera dei frutti. L’agente causale di questa malattia, l’Ascomicete Guignardia citricarpa (anamorfo: Phyllosticta citricarpa), è nella lista A1 dell’European and Mediterranean Plant Protection Organization (EPPO), che comprende i patogeni e i parassiti da quarantena la cui introduzione nel territorio dell’EPPO comporterebbe gravi rischi di carattere fitosanitario. L’importazione di frutti di agrumi dalle aree in cui questo fungo patogeno è presente (Asia, Africa, Australia e Florida) è soggetta a restrizioni doganali. Un rischio concreto per l’agrumicoltura italiana è che G. citricarpa possa essere importata con agrumi provenienti dal Sud Africa. Per maggiori dettagli si rimanda al protocollo diagnostico dell’EPPO PM7/17 (http://www.eppo.int).
Foto F. Raudino
Essudato gommoso alla base del tronco di un albero di arancio in seguito all’infezione di Phytophthora citrophthora
Gommosi e altre malattie causate da specie di Phytophthora La gommosi o mal di gomma fu osservata per la prima volta nelle isole Azzorre intorno al 1832. In Italia, comparve nel 1855 nelle campate di limone del lago di Garda e più tardi in Liguria, ma con minore gravità, poiché in questa regione il limone era innestato generalmente su arancio amaro. Probabilmente la malattia era
In questo antico testo si trova una descrizione della gommosi del tronco degli agrumi così dettagliata e precisa da far supporre che la malattia fosse presente in Italia prima dell’esplosione epidemica della seconda metà del XIX secolo
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coltivazione già presente sporadicamente e in forma non epidemica da molto tempo. In Sicilia, la gommosi fece la sua comparsa nel 1863 nella provincia di Messina, per poi diffondersi negli agrumeti delle altre provincie siciliane e contemporaneamente in Calabria, nell’agro di Reggio. Tra il 1866 e il 1870 aveva distrutto gran parte degli agrumeti siciliani e nel 1878 era già stata segnalata in tutti i paesi agrumicoli del bacino del Mediterraneo. Attualmente può considerarsi endemica in tutte le aree agrumicole del mondo. Gli effetti devastanti di questa malattia furono in gran parte dovuti alle modalità di propagazione allora in uso. Nella maggior parte dei casi, infatti, il limone era propagato per talea e l’arancio dolce per seme. Inoltre, l’innesto era di solito molto basso perché si credeva così di conferire maggiore solidità all’albero. I tentativi di risanare le piante con mezzi chimici non sortirono alcun effetto. Fu evidente, tuttavia, che le piante innestate su semenzali d’arancio amaro ne avessero risentito molto meno. La maggiore resistenza alla malattia delle piante innestate su arancio amaro fu notata anche in altre aree del bacino del Mediterraneo colpite dall’epidemia (Portogallo, Spagna, Provenza, isole d’Hyères) e da essa prese lo spunto il rinnovamento dei sistemi di coltivazione degli agrumi. Si iniziò, infatti, a mettere in coltura piante innestate su semenzali di arancio amaro, con l’innesto e l’impalcatura a una certa altezza dal terreno. Da allora l’arancio amaro è rimasto il portainnesto più diffuso nei paesi agrumicoli del bacino del Mediterraneo. Ancora oggi in tutti i paesi agrumicoli del mondo, anche laddove l’arancio amaro è stato sostituito, l’impiego di portainnesti resistenti è il principale metodo di lotta utilizzato contro la gommosi. L’epidemia di gommosi che tra il 1832 e il 1878 interes-
Sintomi di gommosi nella parte basale del tronco. La corteccia è stata spennellata con poltiglia bordolese (solfato di rame neutralizzato con idrossido di calce), un prodotto di copertura che non ha effetto curativo
Foto G. Diana
A sinistra, semenzale di arancio amaro con sintomi di marciume dei semenzali causato da Phytophthora spp.
Marciume bruno di frutti di mandarino Nova causato da infezioni miste di Phytophthora citrophthora e P. syringae
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malattie fungine sò i principali paesi produttori di agrumi del bacino del Mediterraneo fu causata dall’Oomicete terricolo Phytophthora citrophthora. Un’altra specie altrettanto comune nella regione mediterranea ma più termofila di P. citrophthora è P. nicotianae. La differenza tra le temperature ottimali e le temperature vitali massime e minime di queste due specie è di circa 5 °C. Pertanto, mentre P. citrophthora è attiva dalla fine dell’autunno all’inizio della primavera, P. nicotianae lo è nei mesi più caldi e durante l’inverno sopravvive nel terreno sotto forma di clamidospore o di micelio associato alle radici. Entrambe le specie infettano le piantine in semenzaio, il tronco e i rami, le radici, i frutti, le foglie e i germogli, causando quelle che possono definirsi facies diverse della stessa malattia, rispettivamente marciume dei semenzali, gommosi del tronco e dei rami, marciume radicale, marciume bruno dei frutti, disseccamento delle foglie e dei germogli. Grazie all’applicazione di misure di profilassi, il marciume dei semenzali si riscontra sempre più raramente nei vivai di agrumi italiani. Il disseccamento delle foglie e dei germogli negli impianti in produzione è quasi sempre associato agli scoppi epidemici di marciume bruno dei frutti e di conseguenza i danni passano il più delle volte inosservati; nei vivai di agrumi ornamentali, invece, questa facies della malattia può causare danni rilevanti. Nella regione mediterranea, P. citrophthora è il principale agente causale del marciume bruno dei frutti e della gommosi del tronco e delle branche; P. nicotianae, invece, oltre a essere il principale agente causale del marciume radicale, causa gommosi della parte basale del tronco ma soltanto eccezionalmente infetta le branche. Un’altra differenza epidemiologica tra le due specie è la capacità
Foto S.O. Cacciola
Colonie di Phytophthora citrophthora (colonia petaliforme) e di P. nicotianae (colonie stoloniformi) isolate, in piastra Petri su substrato di coltura agarizzato, da un frutto di arancio affetto da marciume bruno
Foglie di clementine infettate da Phytophthora citrophthora Marciume bruno causato da Phytophthora citrophthora su frutto di limone
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coltivazione di P. citrophthora di produrre sporangi sui frutti, che diventano così fonte di inoculo per infezioni secondarie. Questa caratteristica ecologica di P. citrophthora spiega le improvvise esplosioni epidemiche di marciume bruno durante i mesi invernali in seguito a piogge persistenti. Nessuna delle due specie, invece, sporula sui cancri gommosi alla base del tronco. La maggiore fonte di inoculo delle specie terricole di Phytophthora è costituita dagli sporangi prodotti nello strato più superficiale del terreno (da 0 a 30 cm di profondità). Le zoospore liberate dagli sporangi si muovono attivamente nell’acqua e giunte a contatto della superficie dell’ospite perdono i flagelli, s’incistano e germinano. Il tubulo germinativo delle zoospore è in grado di penetrare direttamente nelle radichette, nelle foglie e nell’epicarpo dei frutti, mentre per le infezioni della corteccia è necessaria la presenza di ferite. Altre specie di Phytophthora che infettano gli agrumi sono P. palmivora, diffusa nei paesi tropicali, P. citricola, P. cactorum, P. hibernalis e P. syringae. Le ultime due specie, che si distinguono dalle altre per un optimum termico più basso (<20 °C), hanno una diffusione limitata alle aree con inverni freddi. Gommosi del tronco e dei rami Il sintomo più tipico di questa facies è l’essudato gommoso che fuoriesce dalle fessure della corteccia alla base del tronco. Inizialmente l’infezione si manifesta con una macchia d’umido sulla corteccia, che necrotizza e si distacca dal cilindro centrale. Se il portainnesto è suscettibile l’infezione si espande nella zona in cui le radici più grosse si ramificano dal tronco: da qui i nomi di “marciume del pedale” o “marciume del colletto” con cui spesso è indicata questa facies della malattia. In Italia e Spagna, su piante di clementine, sono state osservate infezioni di gommosi anche sulle branche. La gommosi è endemica in tutte le aree agrumicole del mondo. Esplosioni epidemiche sono state osservate nei vivai o in seguito ad alluvioni ed esondazioni di corsi d’acqua. La formazione di gomma interessa la corteccia e il cambio e soltanto un sottile strato del legno, quello più esterno. La lesione si estende attorno alla circonferenza del tronco, circondandolo progressivamente, e le radici sottostanti marciscono perché non ricevono più linfa. Nella maggior parte dei casi il decorso dell’infezione è cronico, ma può anche essere rapido e causare la morte della pianta nel giro di pochi mesi. Durante i mesi più caldi lo sviluppo dell’infezione rallenta e la lesione può cicatrizzare spontaneamente. In una fase avanzata dell’infezione compaiono sintomi non specifici di deperimento sulla chioma, clorosi delle nervature fogliari, ingiallimento e caduta anticipata delle foglie, foglie piccole, sviluppo stentato e diradamento della vegetazione, seccumi, fioriture fuori stagione e frutti di piccola pezzatura che non sempre raggiungono la piena maturazione. Se oltre il 50% della circonferenza del tronco è interessata dalla lesione conviene estirpare ed eventualmente sostituire l’albero.
Colonia di Phytophthora citrophthora sviluppatasi dal seme di un frutto di limone infetto da marciume bruno
Foglie di arancio Valencia con infezioni di Phytophthora citrophthora
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malattie fungine La lotta contro la gommosi è basata fondamentalmente su misure di prevenzione nella fase di pre-impianto e impianto dell’agrumeto, quali l’impiego di portainnesti resistenti, l’innesto a un’altezza di almeno 30-40 cm dal terreno, il drenaggio e la sistemazione superficiale del terreno (per esempio la sistemazione in dossi dei terreni argillosi), lo scarto delle piantine che presentano sintomi anche lievi di gommosi in vivaio, l’impianto in buche non profonde (il “colletto” delle piantine deve essere a livello del suolo). Altre misure preventive nella fase di post-impianto consistono nell’evitare la bagnatura prolungata del tronco, la saturazione idrica del terreno durante l’irrigazione, l’interramento della parte basale del tronco con le lavorazioni e l’inerbimento del terreno in vicinanza del tronco. Nei vivai, inoltre, è sconsigliabile avvolgere il fusto delle piantine con guaine protettive impermeabili. Anche la lotta chimica contro la gommosi è più efficace se effettuata preventivamente; hanno dato buoni risultati trattamenti fogliari con fosetilAl (200-300 g/hl e 400 g/hl di prodotto commerciale contenente l’80% di sostanza attiva, rispettivamente negli agrumeti in produzione e nei vivai), effettuati in primavera o in autunno. Alcuni fosfiti, non registrati come agrofarmaci ma utilizzati in agrumicoltura come fertilizzanti, quali il fosfito di potassio e il fosfito di calcio, somministrati per via fogliare hanno mostrato un’azione simile a quella del fosetil-Al. Se l’infezione è in una fase iniziale, i fungicidi sistemici fosetil-Al e metalaxil-M possono avere anche azione curativa; in questi casi si applicano sul tronco con pennellature o irrorazioni di sospensioni concentrate del prodotto. Le pennellature sul tronco di sospensioni concentrate di prodotti rameici, tuttora utilizzate negli agrumeti, hanno soltanto azione preventiva.
Profilassi per la prevenzione di infezioni attraverso il seme
• Per prevenire le infezioni di Phytophthora, in semenzaio si utilizzano semi estratti da frutti esenti da marciume bruno
• I semi, prima della semina, si possono
immergere per 10 minuti in acqua calda (50-52 °C)
• Il trattamento dei semi con acqua calda è efficace anche per eradicare le infezioni di Phoma tracheiphila, agente causale del mal secco
Marciume radicale I sintomi del marciume radicale si osservano soprattutto sulle radichette ma non sono specifici, di conseguenza soltanto esami di laboratorio possono confermare con certezza la diagnosi. Nella regione mediterranea, durante i mesi invernali le radici degli agrumi sono esposte alle infezioni di P. citrophthora, essendo questa specie vitale anche con temperature relativamente basse, mentre da giugno a novembre, quando le radici sono in attiva crescita, le infezioni sono causate prevalentemente da P. nicotianae. Nei vivai, le condizioni microclimatiche possono essere diverse da quelle degli impianti produttivi e la distribuzione stagionale delle due principali specie di Phytophthora può variare. I metodi di lotta sono sostanzialmente gli stessi indicati per la gommosi e possono essere così riassunti in ordine di importanza: 1) impiego di portainnesti resistenti, 2) sistemazione del terreno, 3) gestione razionale dell’irrigazione, 4) lotta chimica. La resistenza dei portainnesti al marciume radicale è correlata, tranne alcune eccezioni, alla resistenza alla gommosi e dipende nella maggior parte dei casi dalla capacità del portainnesto di rigenerare radici in sostituzione
Clorosi e diradamento della chioma di un albero di arancio in seguito a infezione di marciume radicale da Phytophthora
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coltivazione di quelle morte. Nelle piante innestate su portainnesti resistenti i sintomi di deperimento compaiono sulla chioma soltanto quando la percentuale di radichette marce è molto alta; tuttavia la quantità di frutto prodotta si può ridurre significativamente anche in piante asintomatiche. Poiché vi è una relazione diretta tra la percentuale di radichette marce e la quantità di inoculo di Phytophthora presente nel terreno, per valutare la convenienza a effettuare trattamenti chimici è utile conoscere il valore di quest’ultima. Sono state applicate diverse tecniche per diagnosticare le infezioni di Phytophthora e per determinare quantitativamente l’inoculo di questi Oomiceti patogeni nel terreno; la più utilizzata è quella con cui si determina la densità dell’inoculo (DI) in base al conteggio delle colonie di Phytophthora che si sviluppano su substrato di coltura selettivo in piastre Petri inseminate con terreno. I risultati sono espressi in termini di Unità Formanti Colonie (UFC) per unità di peso (g). Negli agrumeti in produzione è consigliabile effettuare i trattamenti quando la DI di Phytophthora è superiore a 10-30 UFC/g. Nei vivai e negli impianti giovani il valore-soglia per i trattamenti è molto più basso (circa 1/10); per la certificazione delle piantine in vivaio ai fini della commercializzazione la soglia di tolleranza, stabilita per legge, è 0 UFC/g. Per i trattamenti si utilizzano i fungicidi sistemici fosetil-Al e metalaxil-M, il primo somministrato alla ripresa vegetativa per via fogliare, alle stesse dosi indicate per la gommosi del tronco, il secondo al terreno, alla base della pianta, sotto la proiezione della chioma, alla dose di 0,5-1 ml di sostanza attiva/m2. Entrambi i trattamenti possono essere ripetuti a distanza di 2-3 mesi. Il metalaxil-M può essere distribuito tramite gli impianti pre-
Dischetti di foglie di arancio utilizzati come esca per isolare Phytophthora citrophthora dal terreno
Colonie di Phytophthora isolate direttamente dal terreno infetto su substrato selettivo
Kit diagnostico commerciale basato sul metodo ELISA per il rilevamento di infezioni di Phytophthora nei tessuti delle piante
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malattie fungine disposti per la fertirrigazione. La gestione razionale dell’irrigazione durante i mesi estivi è un altro importante mezzo di prevenzione del marciume radicale. Idealmente, per creare condizioni sfavorevoli allo sviluppo di questa malattia, i turni di irrigazione dovrebbero essere regolati in modo che nell’intervallo tra le adacquate il potenziale idrico matriciale nei 30 cm più superficiali del terreno si riduca a valori compresi tra –600 e –700 kPa, in modo che la produzione di sporangi sia inibita.
Metodi per la determinazione quantitativa dell’inoculo di Phytophthora nel terreno
• Esche fogliari. Frammenti di foglie si
fanno galleggiare in recipienti contenenti terreno e acqua (1:6, peso/volume); dopo 3-4 giorni si trasferiscono in piastre Petri su substrato selettivo; segue incubazione a 22±2 °C per 3-6 giorni
Marciume bruno dei frutti Il marciume bruno o “allupatura” dei frutti causa danni sia in campo sia nel post-raccolta. Diffusione e gravità di questa malattia policiclica sono strettamente dipendenti da fattori ambientali e molto variabili da un anno all’altro anche nella stessa località. Le esplosioni epidemiche sono ricorrenti nelle aree in cui P. citrophthora è endemica e periodi di piogge intense e persistenti coincidono con l’inizio della maturazione dei frutti. Le zoospore e gli sporangi dell’agente patogeno raggiungono i frutti con le gocce d’acqua trasportate dal vento e con gli schizzi che rimbalzano sul terreno. Di conseguenza, i frutti della parte della chioma più vicina al suolo hanno maggiore probabilità di infettarsi. Se insieme alla pioggia si verificano venti forti, le infezioni possono interessare anche i frutti della parte più alta della chioma, le foglie e i germogli. In questi casi si osserva anche una forte defogliazione e il disseccamento dei rametti. Nell’intervallo di temperatura compreso tra 14 e 23 °C è sufficiente un periodo di bagnatura di 3 ore perché si realizzi l’infezione. I frutti infetti di solito dopo alcuni giorni cadono al suolo. Tuttavia, poiché il periodo di incubazione della malattia è di circa 10 giorni a una temperatura costante di 10 °C e può superare i 14 giorni con temperature più basse, i frutti infetti raccolti subito dopo le piogge infettanti possono sfuggire alla selezione e innescare cicli secondari di infezione in magazzino e nelle successive fasi di conservazione e trasporto. Di conseguenza, anche una piccola percentuale di frutti infetti può compromettere il valore commerciale del prodotto. La lotta contro il marciume bruno si basa soprattutto su trattamenti preventivi alla chioma con prodotti a base di rame o con il fungicida sistemico fosetil-Al. In genere è sufficiente un solo trattamento autunnale, all’inizio del periodo delle piogge. In caso di piogge persistenti, se si utilizzano prodotti rameici, può essere necessario ripetere il trattamento a distanza di 2-3 mesi. Le formulazioni liquide di questi prodotti in genere sono più persistenti. Il tempo di carenza dei prodotti a base di fosetil-Al è di 15 giorni, ma la persistenza di azione del trattamento fogliare è superiore a 80 giorni; questi prodotti inoltre, essendo sistemici, non sono dilavati dalla pioggia. Quando si utilizzano volumi di irrorazione normali (1500-2000 l/ha), la quantità di rame rilasciata in un agrumeto adulto con un singolo trattamento può variare da 1 kg/ha, se
• Metodi microbiologici. Piastre Petri
contenenti substrato selettivo si inseminano con terreno diluito in acqua sterile (1:10, p/v); segue incubazione a 22±2 °C per 3-6 giorni
• Metodi sierologici. Si utilizzano
raramente per l’analisi di campioni di terreno
• Metodi molecolari. Sono molto sensibili ma costosi e praticabili soltanto in laboratori attrezzati
Marciume bruno dei frutti e necrosi fogliare causati da infezioni di Phytophthora citrophthora su arancio Tarocco
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coltivazione si impiegano idrossidi, a più di 10 kg/ha, se si impiega la poltiglia bordolese. Recentemente, i limiti massimi di residui (LMR) di rame ammessi negli agrumi sono stati ridotti in seguito all’applicazione del Regolamento UE 396/2005 (LMR di rame negli agrumi 20 mg/kg), che prevede l’armonizzazione dei LMR di agrofarmaci nei paesi dell’Unione Europea. Già precedentemente, per motivi di ordine ecotossicologico, il Regolamento CE 473/2002 aveva fissato precisi limiti all’impiego del rame in agricoltura biologica (6 kg/anno per ettaro). Ciò ha indotto le case produttrici di agrofarmaci a sviluppare nuovi formulati e a riconsiderare le strategie di applicazione, con l’obiettivo di ridurre i quantitativi di rame utilizzati per i trattamenti. Per quanto riguarda il marciume bruno dei frutti degli agrumi, è stato dimostrato che utilizzando formulati a base di idrossido è possibile ridurre la dose di rame sino a 500750 g/ha per singolo trattamento. Alcune pratiche agronomiche, come la rasatura della parte basale della chioma e l’inerbimento del terreno, riducono il rischio di infezioni di marciume bruno; il diserbo chimico, invece, le favorisce perché sul terreno nudo l’impatto della pioggia non è attutito dall’erba e, di conseguenza, aumenta il potenziale infettivo degli schizzi d’acqua. Defogliazione, clorosi fogliare, crescita stentata e diradamento della chioma di una pianta di Tacle innestata su citrange Carrizo affetta da marciume secco delle radici
Marciume secco delle radici Il marciume secco delle radici è una malattia di incerta eziologia, a cui sono associate alcune specie terricole di Fusarium. Si ritiene che stress di natura biotica e abiotica, quali infezioni di Phytophthora, rosure di arvicole, danni meccanici alle radici e condizioni di ipossia conseguenti a lunghi periodi di saturazione idrica del terreno, siano i principali fattori predisponenti. Il nome della malattia si riferisce all’assenza di essudato gommoso che caratterizza, invece, le infezioni di Phytophthora sul tronco. Il sintomo più tipico è una colorazione bruna che dalle radici principali e dal fittone si estende nel legno della parte basale del tronco, ma si arresta a livello del nesto. Ampie porzioni della corteccia del tronco, a livello del suolo, disseccano. Le piante mostrano sintomi di deperimento simili a quelli causati da altre malattie radicali, quali clorosi delle nervature fogliari, filloptosi, foglie e frutti piccoli, seccumi e diradamento della chioma e in alcuni casi reagiscono emettendo dal tronco radici avventizie superficiali. Il decorso è cronico, ma talvolta nel periodo estivo le piante collassano improvvisamente. La malattia si manifesta su piante di 7-15 anni di età, generalmente in modo sporadico, ma in alcuni agrumeti l’incidenza può superare il 30%. In Italia, il marciume secco è stato osservato soltanto in piante innestate su citrange. Per prevenire questa malattia, si possono adottare misure intese a evitare la saturazione idrica del suolo in prossimità del tronco, quali la sistemazione del terreno in dossi, la scalzatura della parte basale del tronco e l’impiego di sistemi di irrigazione localizzati.
Sezione trasversale della parte basale del tronco di una pianta di tacle innestata su citrange Carrizo affetta da marciume secco delle radici
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malattie fungine Marciume radicale fibroso Il marciume radicale fibroso è causato dal Basidiomicete Armillaria mellea. Questo patogeno ha una gamma di ospiti che comprende diverse centinaia di specie di piante spontanee e coltivate, quasi tutte Dicotiledoni. Invade le radici principali e il colletto della pianta, formando tra la corteccia e il legno placche miceliari di colore bianco-crema dalla caratteristica forma “a ventaglio”. Le placche, uno dei segni della malattia, sono visibili tutto l’anno sollevando la corteccia del tronco a livello del colletto. Dal taglio fresco si sprigiona un caratteristico odore “di fungo”. I sintomi generici di deperimento compaiono sulla chioma soltanto in una fase avanzata dell’infezione, dopo che il patogeno ha invaso la parte basale del tronco per almeno un terzo della sua circonferenza. In autunno, alla base del tronco delle piante morenti, è possibile osservare un altro segno della malattia, i basidiomi di A. mellea, che nel linguaggio comune sono chiamati “famigliole buone di chiodini”, con riferimento alla crescita aggregata, alla commestibilità e alla morfologia degli esemplari giovani. Le infezioni si diffondono per contatto radicale o tramite le rizomorfe, cordoni miceliari di colore bruno scuro che si sviluppano sulla corteccia delle radici e negli strati più superficiali del terreno, con una velocità di circa 20-30 cm l’anno. A. mellea, che predilige i terreni subacidi ricchi di sostanza organica, può sopravvivere nel terreno diversi anni anche in assenza di ospiti, sotto forma di micelio, nei residui di grosse radici. Negli agrumeti, il marciume radicale fibroso si presenta in focolai di dimensioni limitate; la malattia è endemica in agrumeti che subentrano a colture molto suscettibili, quali drupacee, olivo e vite,
Apparato radicale di un albero di clementine innestato su arancio amaro infettato da Armillaria mellea
Colonia di Armillaria in piastra Petri su substrato di coltura agarizzato con le caratteristiche rizomorfe
Basidiomi di Armillaria mellea alla base del tronco di un albero di clementine innestato su arancio amaro
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coltivazione oppure impiantati in golene di fiumi e in terreni precedentemente boscati. Nessuno dei più comuni portainnesti degli agrumi è resistente a questa malattia, ma contro di essa si possono adottare misure preventive prima dell’impianto dell’agrumeto, quali scasso profondo, sistemazione superficiale e drenaggio del terreno per evitare ristagni d’acqua, e rimozione delle radici residuate dalla copertura arborea precedente, soprattutto quelle più grosse, che sono la fonte primaria di inoculo. È sconsigliabile la consociazione degli agrumi con drupacee, ancora più suscettibili a questa malattia. Mal secco Il mal secco è una malattia vascolare causata dal fungo mitosporico Phoma tracheiphila. Particolarmente distruttiva su limone, comparve nei limoneti delle isole Egee di Poros e Chios, in Grecia, nella seconda metà del XIX secolo. In Italia fu segnalata per la prima volta nel 1919, in provincia di Messina e da lì si diffuse rapidamente nelle altre province siciliane e nelle aree limonicole dell’Italia continentale e della Sardegna. L’agente causale fu identificato nel 1929. L’attuale distribuzione geografica del mal secco comprende la costa orientale del Mar Nero (Georgia) e tutti i paesi agrumicoli del bacino del Mediterraneo, a eccezione di Spagna, Portogallo e Marocco. P. tracheiphila rientra nella lista dei patogeni da quarantena stilata dall’EPPO e dalle altre principali organizzazioni fitosanitarie regionali: APPPC (Asia and Pacific Plant Protection Commission), CPPC (Caribbean Plant Protection Commission), COSAVE (Comité Regional de Sanidad Vegetal del Cono Sur), PSC NAPPO (North American Plant Protection Orga-
Rametti di arancio inoculati artificialmente con Armillaria per produrre in vitro inoculo da utilizzare nei saggi di patogenicità
Alberi di limone affetti da mal secco
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malattie fungine nization) e IAPSC (InterAfrican PhytoSanitary Council). Oltre che su limone, l’ospite principale, il mal secco causa danni di un certo rilievo nelle colture di cedro. Arancio dolce, pompelmo, mandarino e clementine sono tolleranti. Tra i portainnesti, l’alemow è estremamente suscettibile; l’arancio amaro, fatta eccezione per alcune selezioni clonali, il limone rugoso e il limone volkameriano sono anch’essi molto suscettibili, mentre il mandarino Cleopatra, l’arancio trifogliato e il siamelo sono tolleranti. I sintomi iniziali del mal secco, che compaiono sulle foglie apicali in primavera, consistono in clorosi delle nervature e del lembo fogliare, epinastia e filloptosi. Tipicamente, la filloptosi inizia nella parte apicale del rametto e procede in senso basipeto; spesso le foglie disseccano prima di abscindersi oppure si disarticolano a livello della zona distale di abscissione e il picciolo rimane attaccato al rametto. Il rametto defogliato dissecca. Dai rametti, il disseccamento si estende progressivamente ai rami più grossi, alle branche e al tronco. La pianta reagisce con l’emissione di succhioni dalla parte basale dei rami e di polloni dal tronco. Il decorso della malattia dipende dalla suscettibilità dell’ospite, dall’età della pianta e dal sito di infezione. In genere, quando le infezioni avvengono per via radicale la pianta dissecca improvvisamente; questa facies del mal secco è nota come “mal fulminante”. Un’altra facies della malattia è il “mal nero”, una forma cronica che si osserva su piante adulte anche di specie tolleranti quando sono innestate su portainnesti suscettibili. Il sintomo caratteristico del mal nero è la colorazione bruno-nerastra delle cerchie più interne del legno. Sui rami e sul tronco delle piante infette da mal secco, asportando la corteccia o sezionando
Clorosi delle nervature di foglie dell’anno di una pianta di Lemox infetta da Phoma tracheiphila
Clorosi delle nervature di una foglia di arancio amaro infetta da Phoma tracheiphila
Sintomi di mal secco su polloni di arancio amaro: disseccamento apicale dei germogli, clorosi ed epinastia delle foglie giovani, argentatura dei polloni disseccati
Tipica manifestazione di mal secco su ramo di limone: defogliazione e disseccamento dei germogli con progressione basipeta
Albero di limone innestato su arancio amaro morto in seguito all’infezione di mal secco
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coltivazione
La colorazione bruna delle cerchie più interne del legno è il sintomo più tipico del mal nero
Albero di mandarino Fortune innestato su alemow affetto da mal nero. Si noti la colorazione bruna del legno, che si origina dalle radici Foto V. Lo Giudice
Albero di limone affetto da mal secco, decorticato per mettere in evidenza la caratteristica colorazione dello xilema
Disseccamenti dei rametti apicali di un albero di mandarino Fortune affetto da mal nero
Alberi di mandarino Fortune innestati su alemow morti in seguito a infezioni di mal nero; il portainnesto è completamente disseccato
i rametti, si può osservare un altro sintomo tipico, una colorazione delle cerchie più esterne del legno che varia dal rosa salmone all’arancione; in corrispondenza di essa si isola facilmente l’agente patogeno. La presenza di questa tipica colorazione del legno è il principale criterio con cui si individuano i rami infetti da asportare chirurgicamente con la potatura di risanamento. I rametti di 2-3 anni e i polloni disseccati mostrano una colorazione grigio argentea e su di essi si può osservare un altro segno inconfondibile del mal secco, i picnidi di P. tracheiphila, visibili a occhio nudo come piccoli puntini scuri. Insieme ai picnidi di P. tracheiphila sui rametti secchi compaiono gli acervuli di Colletotrichum gloeosporioides.
Isolamento in purezza di Phoma tracheiphila da legno di limone infetto
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malattie fungine I picnidi sono la fonte primaria di inoculo; quando sono maturi, se i valori dell’UR superano il 90%, si rigonfiano e liberano i picnoconidi, la cui disseminazione avviene tramite la pioggia. Un’altra forma di propagazione agamica dell’agente causale del mal secco è costituita dai fialoconidi, che si formano direttamente sulle ife da cellule conidiogene specializzate, dette fialidi. Le fialidi si formano estemporaneamente in condizioni di elevata UR (valori prossimi alla saturazione), quando il micelio evade da ferite o tagli di potatura. I fialoconidi sono responsabili delle esplosioni epidemiche di mal secco conseguenti alle grandinate o alle piogge di fine estateautunno, quando invece la capacità germinativa dei picnoconidi è fortemente ridotta; possono essere disseminati dalla pioggia e con gli attrezzi di potatura. La penetrazione nei tessuti dell’ospite avviene attraverso ferite. Insediatosi nello xilema dell’ospite, P. tracheiphila produce sostanze fitotossiche (tossine non selettive) diffusibili, che molto probabilmente sono responsabili di alcuni sintomi della malattia; queste tossine sono prodotte dal fungo anche in vitro. Nonostante la temperatura ottimale per la crescita in vitro del micelio di P. tracheiphila sia di circa 25 °C, la temperatura più favorevole per lo sviluppo delle infezioni e per l’espressione dei sintomi è compresa tra 15 e 22 °C. La crescita del patogeno nello xilema dell’ospite è inibita da temperature inferiori a 10 °C o superiori a 28 °C, di conseguenza le infezioni di mal secco hanno una stasi estiva e una invernale. In Sicilia, le infezioni si verificano, in genere, da ottobre ad aprile e il periodo di incubazione della malattia può variare da due a sette mesi, a seconda della stagione. Le infezioni autunnali si manifestano la primavera successiva.
Foto D. Ezra
Rametto di limone disseccato su cui sono visibili, sotto forma di minutissimi puntini scuri, i picnidi di Phoma tracheiphila
Acervuli di Colletotrichum gloeosporioides su rametto secco di limone
Foglie di agrumi nelle quali è stata iniettata la tossina di Phoma tracheiphila, che mostrano sintomi di clorosi simili a quelli indotti dall’inoculazione con i conidi del patogeno
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coltivazione Nonostante alcuni dei sintomi del mal secco non siano specifici, la sindrome, cioè il complesso dei sintomi, è tipica e quindi è possibile diagnosticare visivamente la malattia. La diagnosi sintomatologica può essere confermata in laboratorio mediante isolamento in purezza dell’agente patogeno su substrati di coltura; per questo saggio sono necessari da 7 a 12 giorni. In questi ultimi anni, per diagnosticare le infezioni di P. tracheiphila, sono state sviluppate diverse tecniche molecolari, molto più rapide e in genere più sensibili del metodo tradizionale di diagnosi basato sull’isolamento del patogeno; alcune di esse sono anche quantitative. Le tecniche diagnostiche molecolari, grazie alla loro rapidità e sensibilità, possono essere utili per i controlli fitosanitari alle frontiere e la certificazione del materiale di propagazione; con esse, infatti, è possibile saggiare un numero elevato di campioni e rilevare la presenza di infezioni anche in campioni asintomatici. La lotta al mal secco si basa in primo luogo sull’esclusione del patogeno dalle aree in cui non si è ancora insediato e sull’eradicazione dei focolai iniziali della malattia e delle possibili fonti di inoculo, utilizzando come strumento norme e leggi di carattere fitosanitario. Per quanto riguarda l’Italia vale il Decreto ministeriale del 17/4/1998 (G.U. n. 125 del 1/6/1998), che stabilisce l’obbligatorietà della lotta contro il mal secco in tutto il territorio italiano, il divieto di commercializzazione delle piantine di agrume infette e l’obbligo di eradicazione dei focolai della malattia mediante estirpazione e distruzione con il fuoco delle piante infette. Sin dalle prime manifestazioni epidemiche del mal secco nei limoneti siciliani, la potatura dei rami e dei polloni infetti e la bruciatura del materiale di risulta sono state il mezzo più utilizzato per risanare le piante di limone e ridurre la quantità di inoculo. Nonostante il notevole costo, questo tipo di potatura è ancora in uso e si esegue in primavera e all’inizio dell’estate, perché in questo periodo dell’anno i sintomi sono più evidenti. Per salvare le piante di limone infette si ricorre in alcuni casi a un intervento più drastico, il reinnesto con altre varietà di limone o specie di agrumi tolleranti. Sia la potatura sia il reinnesto non devono essere effettuati in giornate piovose o con cielo coperto per evitare nuove infezioni attraverso i tagli freschi. Le lavorazioni meccaniche del terreno in autunno e in inverno, la triturazione e l’incorporamento nel terreno della legna di risulta della potatura favoriscono le infezioni radicali. Esplosioni epidemiche di mal nero o di mal fulminante sono state osservate in agrumeti diserbati chimicamente, perché le radici del portainnesto tendono a svilupparsi in superficie e vengono a contatto più facilmente con l’inoculo prodotto nella parte aerea della pianta. Le reti antigrandine o i frangiventi, prevenendo la formazione di ferite, riducono il rischio di infezioni. L’impiego di reti antigrandine potrebbe essere preso in considerazione soprattutto nei vivai. Nei limoneti in produzione, la lotta chimica contro il mal secco non ha dato sinora risultati soddisfacenti. Andrebbe valutata la
Foto F. Sinatra
Conidi di Colletotrichum gloeosporioides osservati al microscopio elettronico a scansione
Albero di limone gravemente affetto da mal secco, reinnestato con una varietà tollerante. Si notino la caratteristica colorazione del legno e il disseccamento delle marze in corrispondenza di essa
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malattie fungine convenienza di effettuare trattamenti fogliari con prodotti rameici nei giorni immediatamente successivi alle grandinate. Nei vivai, invece, sono consigliabili trattamenti fogliari con prodotti rameici durante i mesi autunnali e invernali. Il mezzo di lotta più efficace contro il mal secco sarebbe l’impiego su larga scala di varietà di limone resistenti. Sin dalla comparsa della malattia, sia in Italia sia in altri paesi del bacino del Mediterraneo, furono avviati programmi di miglioramento genetico del limone basati inizialmente sulla selezione di cultivar o cloni nell’ambito delle popolazioni locali di limone. In Sicilia furono individuate due cultivar tolleranti, Monachello e Interdonato, che tuttavia hanno avuto diffusione limitata. Sono stati selezionati anche cloni di Femminello meno suscettibili delle popolazioni originarie, ma nessuno di essi ha mostrato una tolleranza paragonabile a quella del Monachello. Tra questi, ha avuto una certa diffusione il limone Zagara Bianca. Per abbreviare i tempi di selezione sono state utilizzate diverse tecniche, quali l’inoculazione artificiale di foglie e rami, l’infiltrazione delle foglie con tossine dell’agente patogeno e la selezione in vitro di calli o protoplasti trattati con liquidi colturali o tossine parzialmente purificate dell’agente patogeno. È stata tentata anche la via dell’incrocio inter- e intraspecifico. Più recentemente, sono stati utilizzati metodi meno tradizionali, quali la selezione in vitro di varianti somaclonali, la mutagenesi, l’ibridazione somatica inter- o intraspecifica e la trasformazione genetica. Soltanto alcuni dei cloni ottenuti con questi metodi hanno mostrato caratteristiche produttive interessanti: tra questi il Femminello 2Kr, clone nucellare ottenuto tramite mutagenesi indotta con raggi γ, e l’ibrido triploide Lemox. Entrambi i cloni, tuttavia, sono risultati molto suscettibili al mal secco.
Foto S.O. Cacciola
Foglia di arancio amaro inoculata artificialmente con conidi di Phoma tracheiphila. In corrispondenza dei punti di inoculazione compare un’area clorotica che si estende lungo le nervature
Malattie emergenti delle foglie e dei frutti Nonostante il clima Mediterraneo non sia favorevole alle malattie fungine delle foglie e dei frutti, essendo caratterizzato da lunghi periodi di siccità e temperature estive molto elevate, negli ultimi anni in alcune aree agrumicole dell’Italia meridionale e insulare sono state osservate esplosioni epidemiche di malattie nuove per il nostro Paese o già presenti ma in forma endemica, quali la maculatura bruna, le macchie di grasso e la septoriosi. Maculatura bruna La maculatura bruna dei frutti di mandarino attualmente è presente nella maggior parte delle aree agrumicole delle Americhe, del Sud africa, dell’Asia e dell’Europa. La sua comparsa in Italia è coincisa con la diffusione del mandarino Fortune (clementine × mandarino Dancy), varietà che in Spagna ha riscosso notevole successo ma la cui coltivazione ultimamente si è ridotta proprio a causa dell’elevata suscettibilità a questa malattia. L’agente causale della malattia è una variante (o patotipo) di Alternaria alternata che produce la tos-
Maculatura bruna su frutti di mandarino Fortune causata da Alternaria alternata
261
coltivazione sina ospite-specifica ACT, responsabile dei sintomi. La tossina ACT è secreta dai conidi durante la germinazione. A. alternata infetta le foglie giovani, che costituiscono la fonte primaria di inoculo. I frutti possono infettarsi in tutti gli stadi di sviluppo ma sono più suscettibili nei 3-4 mesi successivi all’allegagione. Le infezioni primaverili sui frutticini ne causano la cascola anticipata. I sintomi sui frutti consistono in macchie necrotiche puntiformi o subcircolari, infossate, di colore bruno; sulle foglie compaiono macchie necrotiche irregolari, di colore bruno, circondate da un alone clorotico, che si espandono preferenzialmente lungo le nervature secondarie e, sulle foglioline giovani, deformazioni conseguenti alla necrosi del margine del lembo fogliare. Sulle varietà molto suscettibili, si osservano abbondante defogliazione e necrosi dei germogli. Per le infezioni non è necessaria la pioggia ma sono sufficienti condizioni di umidità persistente (nebbia o rugiada) che assicurino un periodo di bagnatura di 8-12 h; la temperatura ottimale è 20-27 °C ma le infezioni si verificano in un intervallo compreso tra 17 e 32 °C. Il periodo di incubazione è di 16-36 h. I conidi sono disseminati dalla pioggia e dalle correnti d’aria. La presenza di questa malattia rappresenta un fattore limitante per la diffusione delle varietà di mandarino o mandarino-simili molto suscettibili, quali Fortune, Dancy, Minneola, Orlando, Nova, Page, Lee, Sunburst, Encore, Murcott, Michal, Winola, Ponkan, Emperor, Tangfang e Primosole. Sono suscettibili anche alcune varietà di pommelo. Le varietà di arancio, invece, sono resistenti. In Spagna sono stati ottenuti recentemente due nuovi ibridi di Fortune resistenti, Garbi (Murcott x Fortune) e Safor (Kara x Fortune). Nei vivai è consigliabile allevare al coperto le varietà di agrumi suscettibili, per evitare infezioni sulla vegetazione giovane e la successiva disseminazione dell’inoculo negli impianti commerciali. Sulle piante di varietà suscettibili in produzione si possono effettuare trattamenti fogliari con prodotti rameici con cadenza di 10-15 giorni, in modo da assicurare una copertura costante dei frutticini nel periodo in cui sono più suscettibili. L’efficacia dei trattamenti dipende dal grado di suscettibilità della varietà. Se il clima è molto piovoso essi sono inefficaci, soprattutto su varietà molto suscettibili come Fortune e Minneola. Su Nova, meno suscettibile di Fortune, i trattamenti con prodotti rameici, se effettuati tempestivamente, possono risultare efficaci. Sconsigliabile per le varietà di mandarino suscettibili l’impianto con sesti molto stretti e in siti con clima caldo-umido o poco ventilati.
Punteggiature necrotiche causate da Alternaria alternata su frutti di mandarino Fortune
Macchie necrotiche causate da Alternaria alternata su foglie giovani di mandarino Fortune
Macchie di grasso “Macchie di grasso” è la traduzione dall’inglese di greasy spot, malattia comune in diverse aree agrumicole con clima tropicale o subtropicale-umido. In Florida, questa malattia è stata attribuita all’Ascomicete Zasmidium citri (sinonimo di Mycosphaerella citri). In Italia è stata segnalata una sindrome, denominata “intumescenze gommose”, che presenta alcune analogie sintomatiche con il greasy spot ma la cui eziologia è ancora incerta.
Macchie fogliari necrotiche, defogliazione e necrosi apicale dei germogli causate da Alternaria alternata sulla vegetazione autunnale di mandarino Fortune
262
malattie fungine I sintomi di greasy spot consistono in pustole brune superficiali, di dimensioni variabili da 1 a 5 mm, che compaiono sulla pagina inferiore della foglia e alle quali corrispondono aree clorotiche nella pagina superiore. Il principale effetto della malattia è la caduta prematura delle foglie sintomatiche. L’incidenza della defogliazione è correlata alla piovosità. I sintomi sui frutti sono evidenti soprattutto sulle specie di agrumi più suscettibili, quali pompelmo e limone, e consistono in macchie necrotiche superficiali, di forma irregolare. L’inoculo è costituito dalle ascospore rilasciate dai periteci che si differenziano sulle foglie della lettiera in decomposizione, mentre i conidi dell’anamorfo, Stenella citri-grisea, hanno un ruolo epidemiologico secondario. Il processo di infezione comprende una fase epifitica e una endofitica. La penetrazione avviene per via stomatica. In Florida le infezioni avvengono prevalentemente tra giugno e settembre, soprattutto nelle ore notturne. Il periodo di incubazione può variare da 2 a 9 mesi; su specie di agrumi molto suscettibili e in condizioni ambientali favorevoli (25-30 °C e UR >90%) è di 3-4 mesi. Pertanto, la defogliazione è più accentuata in autunno e in inverno. Negli ambienti in cui la malattia causa danni rilevanti, la lotta si basa su trattamenti fogliari estivi con prodotti di copertura, quali i derivati del rame. Se il clima è piovoso può essere necessario più di un trattamento.
Basi genetiche della suscettibilità alla maculatura bruna causata da Alternaria alternata
• La suscettibilità a questa malattia dipende
da un singolo gene di cui esistono due alleli, uno dominante (S ) e uno recessivo (r ), che trasmettono rispettivamente la suscettibilità e la resistenza. Le varietà omozigoti SS, quali per esempio Dancy e Minneola, trasmettono la suscettibilità a tutta la discendenza. La maggior parte delle varietà commerciali suscettibili, quali per esempio Fortune, Nova e Murcott, sono eterozigoti (Sr ). Nelle progenie di queste varietà si possono trovare sia ibridi resistenti sia ibridi suscettibili. L’omozigosi dell’allele S non comporta necessariamente un elevato grado di suscettibilità. Analogamente, in campo, varietà eterozigoti (Sr ) mostrano livelli di suscettibilità molto diversi. Varietà o specie di agrumi resistenti, quali arancio, mandarino comune, clementine e mandarino Kara, sono omozigoti per il gene r (rr ), pertanto quando si incrociano tra di loro tutta la progenie è resistente
Septoriosi La septoriosi, causata da specie del genere Septoria, è endemica in tutte le principali aree agrumicole del mondo su limone, arancio dolce, mandarino, clementine e bergamotto. Sui frutti si osservano macchie necrotiche superficiali puntiformi (1-2 mm di diametro), rossastre, bruno-ruggine o nere, leggermente depresse, oppure macchie necrotiche depresse e profonde, che interessa-
• Se per ottenere ibridi triploidi si utilizzano genitori Sr ed rr, circa la metà della discendenza è resistente (rrr ) e l’altra metà è suscettibile (SSr o Srr ), mentre negli incroci Sr x Sr la probabilità di ottenere ibridi resistenti (rrr ) è soltanto del 20%
Intumescenze gommose sulla pagina inferiore di una foglia di arancio
Punteggiatura necrotica causata da Septoria citri su frutti di limone. In frigorifero, queste lesioni si espandono e confluiscono esacerbando le dermatosi da frigoconservazione
263
coltivazione Foto A. De Patrizio
Daldinia concentrica
• Daldinia concentrica è un Ascomicete
lignicolo, polifago, non commestibile, che si sviluppa da saprotrofo sul legno di piante di agrume morte o deperienti
• Questo fungo è noto con diversi nomi comuni che alludono soprattutto alla morfologia degli ascomi: fungo del carbone, palle di carbone, palle dei crampi, torta di re Alfredo
• Il nome “palle dei crampi” deriva
Colonie di Septoria citri isolate in piastra Petri su agar-patata-destrosio da frutti di limone
da un’antica credenza secondo cui la polvere ottenuta macinando gli ascomi avesse proprietà curative contro i crampi
no anche l’albedo, subrotondeggianti, di 3-10 mm di diametro, di colore bruno-nerastro, talora circondate da un alone clorotico. Sulle foglie compaiono macchie necrotiche bruno-nerastre, di forma irregolare, circondate da un alone clorotico, che interessano entrambe le facce delle lamina fogliare. In ambienti molto umidi si può verificare una forte defogliazione. Anche le infezioni sui frutti si verificano in ambienti molto umidi, in seguito ad abbassamenti termici. La suscettibilità del frutto è direttamente correlata al grado di maturazione. Le macchie confluiscono tra loro e si evolvono durante la frigoconservazione. Infezioni gravi sono state osservate su frutti di limone e bergamotto. La prevenzione della septoriosi si basa innanzitutto sulla potatura, che favorisce l’arieggiamento della chioma e riduce la quantità di inoculo. I trattamenti autunnali con prodotti rameici contro il marciume bruno dei frutti sono efficaci anche contro la septoriosi e le macchie di grasso.
• Il nome “torta di re Alfredo” si riferisce
alla somiglianza degli ascomi con tortini carbonizzati e deriva da un’antica leggenda secondo cui Alfredo il Grande, re degli Anglo-Sassoni, in fuga dai Vichinghi, avendo trovato rifugio in un casolare di campagna e non essendo stato riconosciuto, fu incaricato dalla contadina che vi abitava di sorvegliare la cottura dei pani ma, essendo stato colto dal sonno o forse impensierito per la sconfitta subita, li lasciò bruciare
Carie del legno La carie del legno è causata da numerose specie di funghi lignicoli, soprattutto Basidiomiceti; endemica nei vecchi agrumeti, provoca la morte di grosse branche e il deperimento precoce degli alberi. In seguito a stress abiotici, quali forti gelate, può interessare anche piante giovani. Un altro fattore predisponente è l’eccessiva insolazione delle branche, conseguente a drastiche potature. La presenza di un’estesa carie nel tronco compromette la possibilità di reinnesto. Sul tronco e sui rami più grossi i Basidiomiceti lignicoli producono i basidiomi, che costituiscono la fonte primaria di inoculo. Le basidiospore prodotte dai basidiomi sono disseminate dall’acqua e dal vento e germinano con UR >90%. La penetrazione avviene attraverso tagli di potatura o ferite. Il decorso dell’infezione è cronico. I basidiomi emergono dalla corteccia quando il
Ascomi di Daldinia concentrica sulla ceppaia di un albero di arancio reinnestato
264
malattie fungine Foto G. Magnano di San Lio
Capitozzatura di ringiovanimento su alberi di arancio (1956). Il tronco e le branche principali sono stati impagliati per proteggerli dalle scottature solari. Per l’impagliatura si utilizzava la tifa o biodo di palude, pianta palustre diffusa nelle regioni costiere del Mediterraneo occidentale e nota con vari nomi dialettali di radice greco-bizantina, quali bbura, buda, burda, uda, vuda o vurda
legno del tronco o del ramo è stato estesamente colonizzato dal micelio dell’agente patogeno. Uno dei funghi lignicoli più comuni negli agrumeti dell’Italia meridionale è il Basidiomicete Fomitiporia mediterranea, specie polifaga, comune anche su altre specie arboree, quali fruttiferi, olivo e vite. La carie si può prevenire evitando grossi tagli di potatura durante i mesi invernali o nei periodi piovosi, impiegando sistemi di irrigazione localizzati, lutando i tagli di potatura con mastici, facilitando lo sgrondo dell’acqua dall’incavo dell’impalcatura delle branche e imbiancando con calce il tronco e i rami per proteggerli dalle scottature solari.
Basidioma di Fomitiporia mediterranea sul tronco di albero di ulivo utilizzato come barriera frangivento in un agrumeto
Foto R. Magnano di San Lio
Basidioma di Fomitiporia mediterranea sul tronco cariato di un vecchio albero di arancio
Sezione trasversale del tronco di un albero di limone con carie da Fomitiporia mediterranea
265
gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Virus e viroidi Salvatore Davino, Rosa La Rosa
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coltivazione Virus e viroidi Introduzione Nelle piante i virus provocano alterazioni a carico di foglie, rami, radici, frutti, semi e fiori tanto gravi da portare a morte l’intera pianta; rilevanti sono pertanto i danni economici che ne derivano. I virus sono tra i patogeni più diffusi nel regno vegetale per tre motivi fondamentali: 1) non possono essere controllati dai fitofarmaci utilizzati contro altri nemici delle piante; 2) presentano diverse modalità di trasmissione e quindi riescono a raggiungere i loro ospiti con estrema facilità; 3) mutano con estrema facilità e quindi, nel tempo, riescono a infettare nuovi ospiti. Come patogeni, i viroidi interessano esclusivamente le piante superiori e, nella maggior parte dei casi, le piante coltivate, prediligendo soprattutto le colture dei climi caldi tropicali e subtropicali, ma sono stati individuati anche in diverse specie spontanee. A queste ultime è attribuito un ruolo importante, dal punto di vista epidemiologico ed evoluzionistico, come serbatoio naturale o centro di origine del loro RNA. La loro trasmissione in campo si può verificare principalmente per innesto ma anche tramite attrezzi di lavoro; in qualche caso (per esempio, per il viroide del tubero fusiforme della patata [PSTVd] o del nanismo del luppolo [HSVd]) è stata accertata la trasmissione tramite seme mentre, al contrario dei virus, è estremamente rara la trasmissione tramite insetti vettori. Oggi si conoscono più di trenta viroidi responsabili di quadri fitopatologici caratteristici (riduzione di sviluppo, alterazione della morfologia di tutti gli organi, perdita di produzione) nelle piante da frutto (mono- e dicotiledoni), ortive e ornamentali. Gli agrumi sono gli ospiti nei quali è stato rinvenuto il maggior numero di viroidi: alcuni di essi sono agenti eziologici di malattie note da tempo (exocortite e cachessia),
Che cosa sono i virus?
• Un virus è una nucleoproteina così
piccola che può essere osservata solo al microscopio elettronico, si può riprodurre solo in cellule vive e ha la capacità di causare malattie in tutti gli esseri viventi, dai microrganismi alle piante, dagli animali all’uomo. I virus attualmente conosciuti sono più di 2000, ma negli ultimi anni sono sempre più frequenti segnalazioni e descrizioni di nuove entità; di esse oltre il 50% provoca malattie nelle piante. Un virus può infettare una sola specie o più specie vegetali, così come ciascuna specie vegetale può essere infettata da uno solo o da più virus contemporaneamente. Un virus è costituito da un acido nucleico (RNA o DNA) rivestito da una proteina denominata capside che, in qualche caso, può essere rivestita da un involucro lipidico
Fattori che influiscono sui danni causati da un virus nelle piante Varietà coltivata
Epoca di infezione
Ceppo virale
Espressione dei sintomi
Danni alla coltivazione
266
Condizioni ambientali i ient Nutr inosità – à m dit – Lu Umi tura a r e p Tem
virus e viroidi mentre altri sono stati associati a quadri sintomatologici specifici. Alcuni viroidi degli agrumi sono tuttavia “latenti” in quanto, pur replicandosi nell’ospite, non determinano in esso sintomi evidenti. Negli agrumi sono state segnalate oltre 100 malattie da virus, da viroidi o a presunta eziologia virale. I danni economici derivanti da tali infezioni sono spesso più che ingenti: si ricordino i gravissimi danni indotti dal virus della psorosi A in California (anni ’50) o le epidemie provocate dal virus della tristeza negli ultimi trenta anni in quasi tutte le aree agrumicole del mondo. Negli impianti agrumicoli italiani sono presenti molte malattie virali, ma fortunatamente esse non hanno causato gravi problemi, con qualche eccezione riferita, per esempio, ai danni provocati dal virus della psorosi A su piante di Navelina impiantate prima degli anni ’80, alle alterazioni virus-simili tipo concavità gommose, a sacche e impietratura e infine alla tristeza nell’ultimo decennio. Le malattie degli agrumi da virus, viroidi, a presunta eziologia virale o a eziologia non accertata più frequenti in Italia e nel bacino del Mediterraneo, nonché le loro modalità di diffusione, sono riportate
Che cosa sono i viroidi?
• I viroidi sono i più piccoli patogeni
conosciuti e rappresentano l’unica classe di agenti subvirali, autonomamente replicantisi nell’ospite, a struttura molecolare ben definita. A differenza dei virus, essi non hanno strutture proteiche di rivestimento essendo costituiti solo da un filamento circolare e a singola catena di RNA infettivo. Il loro genoma è caratterizzato inoltre da piccole dimensioni (246-399 nucleotidi), anche se in alcuni casi sono state riscontrate varianti più grandi, e dalla tipica forma a forcina
Malattie degli agrumi da virus e viroidi, a presunta eziologia virale e a eziologia non accertata, e loro modalità di trasmissione Presente in: Malattia
Modalità di trasmissione
Foglia rugosa
–
Bacino del Mediterraneo –
Italia
Innesto
Vettori
Meccanica
+++
–
++
Giallume dei semenzali
+
+
++
+++
?
Leprosi
–
–
+++
++
–
Maculatura anulare
+
+
+++
–
+
Mosaico
–
–
+++
+?
+
Nanismo del satsuma
–
–
+++
?
++
Psorosi
+
+
+++
–
+
Tristeza
+
+
++
+++
+
Variegatura infettiva - Foglia bollosa
+
+
++
–
–
Enazioni delle nervature
–
+
+
+++
+
Exocortite
+
+
+++
–
+++
Cachessia, xiloporosi
+
+
+++
–
+++
Concavità gommose e a sacche
+
+
+++
–
–
Cristacortis
+
+
+++
–
–
Gommosi della corteccia
+
+
+++
–
–
Impietratura
+
+
+++
–
–
Multiple sprouting
–
–
?
?
?
Nervatura gialla
–
–
?
?
?
Sacca di gomma
–
?
?
?
?
267
coltivazione nella tabella a pagina precedente; le tecniche di saggio più utilizzate per la loro diagnosi sono schematizzate nella tabella sottostante. Virus della tristeza degli agrumi (CTV, Citrus Tristeza Virus) La malattia fu denominata inizialmente podredumbre de las radicillas in spagnolo e podridao das radicella in portoghese, cioè marciume delle radichette, mentre in seguito la comunità scientifica preferì il nome tristeza, utilizzato per la prima volta da Bitancourt nel 1937, per distinguere la malattia dai sintomi di marciumi radicali causati da infezioni da funghi. I primi movimenti di agrumi dalle loro zone di origine ad altre si fecero per seme, pertanto la dispersione della tristeza dovette essere posteriore perché il virus non si diffonde per questa via. Successivamente i ritrovamenti di numerose piante di limone Meyer, introdotte da Pechino (Cina) nel 1908 dal famoso botanico Meyer e successivamente diffuse in tutto il mondo, sono riportati come la causa della diffusione del virus in tutte le aree agrumicole. Nella seconda metà del XIX secolo si iniziò a utilizzare in maniera massiccia come portainnesto l’arancio amaro per evitare i dan-
I danni causati da un virus nelle piante coltivate possono comprometterne pesantemente la produzione: nella figura frutti di clementine di pezzatura ridotta e incommerciabili a seguito di infezioni da impietratura
Metodi di diagnosi di malattie da virus e viroidi a presunta eziologia virale degli agrumi Serra
Laboratorio
Foglia rugosa
Malattia
+
ELISA1, IRT-PCR2
Giallume dei semenzali
+
ELISA, ibridazione3
Leprosi
?
–
Maculatura anulare
+
ELISA
Mosaico
+
ELISA
Nanismo del satsuma
+
ELISA
Psorosi A
+
ELISA, PCR4, RT-PCR5
Tristeza
+
ELISA, ibridazione, dsRNA6
Variegatura infettiva – Foglia bollosa
+
ELISA
Enazioni delle nervature
+
ELISA ?
Exocortite
+
Elettroforesi, ibridazione
Cachessia, xiloporosi
+
Elettroforesi, ibridazione
Concavità gommose e a sacche
+
–
Cristacortis
+
–
Gommosi della corteccia
–
–
Impietratura
+
–
Multiple sprouting
?
?
Nervatura gialla
?
?
Sacca di gomma
–
–
Legenda: 1) saggio sierologico; 2) tecnica della immunocattura degli acidi nucleici accoppiata a RT-PCR; 3) ibridazione con sonde molecolari; 4) reazione a catena della polimerasi; 5) reazione a catena della polimerasi dopo trascrizione inversa; 6) analisi degli RNA a doppia catena
268
virus e viroidi ni causati dai funghi del genere Phytophthora. Da quel periodo iniziarono le segnalazioni dei primi danni ascrivibili a CTV. Con il passare del tempo le epidemie di CTV hanno causato nel mondo la morte di oltre 100.000.000 di piante innestate su arancio amaro. Tra i Paesi più danneggiati si riportano: Argentina (1930), Brasile (1937), California (1939), Florida (1951), Spagna (1957), Israele (1970) e Venezuela (1980). In seguito epidemie sono state segnalate in tutte le aree agrumicole del mondo. In Italia sino al 1999 la malattia è stata riscontrata solo sporadicamente, ma dal 2000 il numero di piante infette è aumentato enormemente sino a mettere a rischio la sopravvivenza dell’agrumicoltura italiana. L’agente responsabile della malattia è un Closterovirus, ascritto nella famiglia Closteroviridae (diametro di 13 nm e lunghezza di 2000 nm), noto come uno dei patogeni più pericolosi per il regno vegetale. I sintomi sulle piante infette variano molto e sono influenzati dal comportamento di specie e cultivar, nonché dalle combinazioni d’innesto, dalle condizioni ambientali, dai ceppi del virus e dalla loro mescolanza nelle piante. Ceppi diversi di CTV possono essere contemporaneamente presenti nello stesso ospite. I quadri sintomatologici sono tre e riferibili ad altrettanti componenti di un unico complesso virale: a) tristeza propriamente detta, b) butteratura del legno, c) giallume dei semenzali.
Come difendersi dalle malattie degli agrumi provocate da virus e viroidi
• Certificazione del materiale di propagazione
• Risanamento del materiale
di moltiplicazione (tradizionale e/o biotecnologico)
• Uso di portinnesti tolleranti
(per lo specifico virus/viroide)
• Assoluto divieto di introduzione
di materiale di propagazione da aree a rischio elevato riferito a patogeni non ancora presenti nel territorio
• Eradicazione dei focolai (nel caso
di malattie non ancora endemiche nel territorio)
• Preimmunizzazione delle piante (prevista solo per il virus della tristeza)
Epidemie di CTV documentate nei principali Paesi agrumicoli Paese
Anno
N. Piante*
Argentina
1930
18
Australia
1932
**
Brasile
1937
10
California
1939
4
Cipro
1968
0,02
Cuba
1992
0,25
Florida
1951
5
Grecia
2001
0,005***
Israele
1970
0,03
Italia
2000
4
Messico
1995
?****
Panama
1990
0,025
Perù
1950
?****
Spagna
1957
8
Sud Africa
1959
?
Venezuela
1980
4
Impianto di arancio Tarocco gravemente danneggiato da infezioni del virus della tristeza degli agrumi
* In milioni. ** In Australia sono stati riscontrati solo ceppi blandi che, pur provocando gravi danni sui frutti, non portavano le piante a morte. *** Dati disponibili sino al 2007. **** Il n. di piante morte, benché elevato, non è quantificato
269
coltivazione La tristeza si manifesta come una forma d’incompatibilità delle piante di arancio dolce e mandarino innestate su arancio amaro. Esse mostrano defogliazione, disseccamenti, riduzione dello sviluppo e in alcuni casi il collasso generale. Spesso si nota un diverso accrescimento tra portainnesto e marza. Sulla faccia cambiale della corteccia a volte si osserva una minuta alveolatura rotondeggiante cui corrispondono estroflessioni puntiformi del legno. L’apparato radicale mostra vistose necrosi; la produzione è scarsa con frutti piccoli, asimmetrici e poco colorati. Nel caso della butteratura del legno, oltre ai sintomi sopra riportati sul cilindro legnoso del tronco, dei rami, delle radici e qualche volta del peduncolo dei frutti, si osserva un’alveolatura allungata che assume talvolta proporzioni di scanalature profonde visibili dall’esterno; le piante infette presentano inoltre taglia ridotta producendo pochi frutti di qualità scadente. Il giallume dei semenzali si differenzia dagli altri due componenti per l’accentuato giallume e il nanismo evidente sui semenzali di pompelmo, limone Eureka e arancio amaro. Le piante innestate su arancio amaro e alemow presentano un accrescimento abnorme della marza e una non perfetta saldatura tra i due bionti. Sulla faccia cambiale della corteccia si osserva una minuta alveolatura cui corrispondono estroflessioni puntiformi del legno. Sull’apparato radicale si osservano vistosi marciumi delle radici, interessanti soprattutto le
b)
c)
a)
d)
a) Piante di Tarocco con gravi deperimenti e giallumi causati da infezioni del virus della tristeza; b) deperimento repentino su pianta di arancio Tarocco affetta da un ceppo virulento del virus della tristeza; c) particolare di pianta di arancio Tarocco con deperimento repentino e abbondante cascola a seguito di infezione dovuta al virus della tristeza; d) piante di pompelmo affette da deperimento come in c)
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virus e viroidi più piccole. I frutti sono piccoli, asimmetrici e con buccia spessa. In Brasile, oltre ai sintomi sopra riportati, si è osservato come ceppi molto virulenti del virus possano provocare anche una colorazione bronzea delle foglie. Tra i vettori animali è stato accertato che l’afide bruno degli agrumi (Toxoptera citricidus) è il più efficiente. Altri afidi vettori sono: Aphys gossypii, T. aurantii, A. spiraecola, Myzus persicae e Dactynotus jacae. La trasmissione è di tipo semipersistente senza periodo di latenza. L’acquisizione e la trasmissione del virus avvengono quando lo stiletto boccale si trova all’interno del floema della pianta. I virioni rimangono attaccati al canale alimentare e al precibario durante la suzione (fase di acquisizione) e vengono rilasciati con la saliva durante le punture successive (fase di inoculazione). Il virus può essere trasmesso anche tramite cuscuta e materiale vegetale infetto. Le strategie di difesa nei confronti del CTV sono essenzialmente di tipo preventivo, mentre le possibilità di controllo in campo sono inesistenti e possono essere più o meno efficaci a seconda che si tratti di un’area indenne, di un’area nella quale sono stati accertati i primi focolai oppure di un’area ove la malattia è presente e diffusa. I criteri da adottare sono i seguenti: 1) uso di materiale certificato; 2) controllo sanitario del materiale di propagazione al fine di impedire l’introduzione del virus; 3) eradicazione immediata dei focolai rinvenuti in zone indenni o scarsamente contaminate; 4) sensibilizzazione degli operatori del settore e dei tecnici, che vengono chiamati a collaborare al contenimento della malattia; 5) uso di portainnesti tolleranti; 6) preimmunizzazione a)
a)
b)
b)
a) Confronto della pezzatura dei frutti di arancio Tarocco da pianta sana e pianta infetta dal virus della tristeza; b) frutti di arancio Tarocco gravemente deformati a seguito di infezione dal virus della tristeza
Sintomi interni di CTV: a) estroflessioni del legno sul portainnesto arancio amaro in pianta di arancio Tarocco; b) alveolature sulla faccia cambiale della corteccia del portainnesto arancio amaro in pianta di arancio Tarocco
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coltivazione delle piante in vivaio (pratica non consentita dalle attuali leggi in Italia). Quest’ultima tecnica è stata sperimentata in vari Paesi, ma i risultati ottenuti sono diversi tra uno stato e l’altro: in California prove di preimmunità effettuate utilizzando in pieno campo 100 isolati blandi di CTV inoculati su diverse combinazioni di nesto/ portainnesto non hanno fornito la protezione sperata nei confronti dei ceppi virulenti del virus. L’impiego di materiale non controllato dal punto di vista sanitario comporta il rischio di diffondere il CTV in maniera inconsapevole. L’eradicazione è indispensabile quando in un’area indenne si riscontrano i primi focolai, mentre nelle aree dove la malattia viene individuata dopo anni dal suo insediamento ed è in corso la trasmissione tramite vettori questo intervento risulta inutile o addirittura controproducente in quanto impedisce l’insorgenza di fenomeni di protezione naturale con i ceppi preesistenti.
b)
Psorosi (CPsV, Citrus Psorosis Virus) La malattia è stata osservata per la prima volta in Florida e California nel 1890. È stata denominata da Swingle e Webber nel 1896 come psorosis per i sintomi che provocava su tronco e rami. Originaria dall’Oriente, si è diffusa in tutto il mondo con il movimento illegale del materiale di propagazione. Nel 1938 Fawcett dimostrò che la malattia era trasmissibile per innesto e la denominò psorosis A per distinguerla da altre malattie con sintomi simili. Oggi, alla luce delle più recenti acquisizioni sull’argomento (purificazione dell’agente responsabile, messa a punto di metodi diagnostici sierologici e prove di protezione crociata), è stato appurato che la malattia è differente da quelle presentanti quadri
c)
a)
Sintomi di CTV e fasi degli interventi in campo: a) pianta con gravi deperimenti; b) abbattimento delle piante; c) loro eliminazione
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virus e viroidi sintomatologici simili; essa è pertanto denominata semplicemente psorosi. Le specie più suscettibili sono l’arancio dolce (soprattutto il gruppo Navel), i mandarini e i pompelmi. I sintomi fogliari consistono in decolorazioni delle nervature, visibili in primavera e autunno quando le temperature sono inferiori ai 24 °C. Sul tronco e sui rami si formano vistose croste dalle quali, nei periodi più caldi, fuoriesce della gomma, cui fa seguito la desquamazione della corteccia. Il virus si trasmette in campo tramite materiale di propagazione infetto, tagli di potatura, punture di insetti o nel caso di infezioni da funghi del genere Olpidium. In Italia ha provocato gravissimi danni in diverse linee locali di arancio dolce e successivamente su arancio Navelina. Il virus responsabile è stato incluso nel genere Ophiovirus e può essere eliminato dal materiale di propagazione infetto mediante termoterapia e/o microinnesto.
Malattie con quadri sintomatologici simili a quelli da psorosi
• Concavità a sacche • Concavità gommose • Impietratura • Leprosi • Maculatura anulare • Rio grande gummosis • Variegatura infettiva - Foglia bollosa
Variegatura infettiva - Foglia bollosa (CVV, Citrus Variegation Virus; CCLV, Citrus Crinkly-Leaf Virus) La malattia è molto diffusa in tutte le aree agrumicole del mondo. In Italia è diffusa su limone e poco frequente su arancio e mandarino. Le piante infette mostrano vistose decolorazioni delle nervature che scompaiono quando le temperature superano i 24 °C. Le foglie restano piccole, spesso asimmetriche, i frutti piccoli, asimmetrici, con vistosi bitorzoli. Il virus appartiene alla famiglia Bromoviridae sottogruppo 2, genere Ilarvirus ed è costituito da 3 o 4 tipi di particelle di forma icosaedrica (24-32 nm).
Vistose desquamazioni della corteccia sul tronco di pianta di arancio dolce affetta dal virus della psorosi
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coltivazione Maculatura anulare (CtRSV, Citrus Ring Spot Virus) È una malattia diffusa in tutte le aree agrumicole del mondo soprattutto dove si coltiva il pompelmo. In Italia si riscontra sporadicamente. Le piante infette mostrano macchie ad anelli clorotici sulle foglie e sui frutti. Sono state descritte due diverse sindromi riconducibili alla malattia: la prima consiste nella presenza di macchie clorotiche, con bordo non ben definito, nelle foglie vecchie, associate a vistose desquamazioni della corteccia del tronco e dei rami principali; la seconda, riscontrata in Italia, provoca solo nelle foglie e nei frutti macchie dai contorni ben definiti. L’agente eziologico è un virus filamentoso di lunghezza estremamente variabile. La classificazione di questo virus rimane ancora incerta poiché alcuni Autori lo classificano come Spirovirus, altri come Ophiovirus. È stato accertato che la trasmissione avviene per innesto e per via meccanica a vari ospiti erbacei (soprattutto fagiolo e Chenopodium quinoa). Enazioni delle nervature-Galle legnose (CVEV, Citrus Vein Enation Virus) La malattia, che è stata descritta per la prima volta in California da Wallace e Drake nel 1953, prende anche il nome di vein enation o di Woody gall. Le specie più suscettibili sono il limone, la lima messicana e il limone volkameriano utilizzato in Italia come portainnesto. Queste specie mostrano piccole enazioni o tumoretti sulle nervature secondarie delle foglie, mentre altre volte si possono notare galle o tumori di grandezza variabile sul tronco e sui rami.
Foglia di cedro Etrog con vistose deformazioni e decolorazioni causate dal virus della variegatura infettiva (in alto foglia di pianta sana)
Frutto di limone con vistose deformazioni prive di gomma nell’albedo
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virus e viroidi L’agente responsabile è un virus ancora non ben identificato. Viene trasmesso dall’afide bruno degli agrumi, dall’afide verde del pesco, dall’afide del melone e del cotone e dalla Cuscuta subinclusa. Il virus può essere eliminato mediante microinnesto o termoterapia. La malattia è presente in Spagna, paese con il quale l’Italia ha intensi scambi commerciali.
a)
Concavità gommose e a sacche (Concave gum, Blind pocket) Probabilmente concavità gommose e a sacche rappresentano la stessa alterazione. Essa è stata distinta dalla psorosi A sulla base dei sintomi in campo e sulle indicatrici legnose, per i sintomi sul tronco, per la colorazione interna del legno, per i sintomi sui rami e per le reazioni alla protezione crociata. L’alterazione provoca decolorazione delle nervature molto evidente su arancio dolce, mandarino, tangor e tangelo. Sul tronco e sui rami di piante di circa 8-10 di età, oltre ai sintomi fogliari, si osservano piccole concavità dalle quali nei periodi più caldi fuoriesce della gomma. La formazione della gomma provoca l’occlusione dei vasi e quindi la morte della parte terminale del ramo o dell’intera branca. Successivamente le piante iniziano a mostrare gravi seccumi su diversi settori della chioma, con frutti piccoli e asimmetrici che non riescono a maturare. In Sicilia i sintomi sopra descritti sono stati osservati su piante di arancio dolce cv Navelina di 2-3 anni di età. L’agente responsabile della malattia non è stato mai individuato. La malattia si trasmette mediante innesto, per inoculo e attraverso il polline. Il patogeno si può eliminare per microinnesto e termoterapia.
b)
Cristacortis La malattia è stata osservata per la prima volta in alcuni Paesi del bacino del Mediterraneo: Algeria, Corsica, Italia, Marocco e Spagna. Non sembrerebbe diffusa in altre aree agrumicole del mondo. In Italia in passato era molto diffusa soprattutto negli impianti di mandarino Avana. Le piante infette mostrano sulle foglie vistose decolorazioni delle nervature e piccole depressioni o scanalature variabili da 2 a 4 cm sul tronco e sui rami del nesto e portainnesto, cui corrispondono delle creste sulla faccia cambiale della corteccia e delle infossature sul legno che ricordano i sintomi causati dal componente “butteratura del legno” del CTV. L’agente responsabile della malattia non è stato mai identificato. La malattia si trasmette mediante materiale di propagazione infetto e polline. a) Vistose anulature in frutto di pompelmo Star Ruby; b) macchie e anelli clorotici su foglia di arancio dolce per infezioni del virus della maculatura anulare
Impietratura I primi sintomi di impietratura furono descritti in Palestina nel 1930 ove l’alterazione era denominata “Samrah”. Nel 1955 Ruggeri propose di denominare la malattia “impietratura” in quanto l’abbondante quantità di gomma che si forma nell’albedo rende i frutti 275
coltivazione duri come le pietre. La malattia risulta presente e diffusa solo nel bacino del Mediterraneo. Le specie più suscettibili sono l’arancio dolce (in modo particolare il gruppo dei Navel), il pompelmo, il mandarino, il clementine e il limone volkameriano. Sintomi meno vistosi possono essere osservati su limone, limone rugoso, bergamotto, tangelo e cedro. La malattia provoca vistose decolorazioni delle nervature delle foglie giovani in primavera e autunno, simili a quelle causate dal virus della psorosi. I frutti delle piante infette mostrano vistose sacche di gomma nella columella e nell’albedo, ove si trasformano in vistosi bitorzoli dai quali fuoriesce la gomma. A causa dell’elevata formazione di gomma che si forma sotto la columella, i frutti generalmente non possono alimentarsi e quindi cadono precocemente; se rimangono sulla pianta risultano di pezzatura molto ridotta, si deformano, non raggiungono mai la piena maturazione e man mano che la gomma aumenta diventano sempre più duri. La malattia si trasmette per innesto. L’agente responsabile della malattia non è stato mai individuato. Materiale sano si può ottenere mediante microinnesto o termoterapia.
a)
Exocortite (CEVd, Citrus Exocortis Viroid) L’exocortite degli agrumi è stata descritta inizialmente da Fawcett e Klotz, nel 1948, come un quadro fitopatologico a carico delle piante di agrumi innestate su arancio trifogliato (Poncirus trifoliata) e limetta di Rangpur (C. limonia) e caratterizzate nel portainnesto da desquamazione della corteccia del tronco (da cui il nome dato alla malattia) e macchie clorotiche su rametti e branche. Fu presto osservato che la malattia era trasmissibile per innesto e si pensò
b)
Vistose concavità gommose in piante di arancio Navelina innestate su arancio amaro: a) pianta adulta; b) piantina di tre anni Frutti di arancio Tarocco con bitorzoli e aree verdi per infezioni da impietratura
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virus e viroidi pertanto che si trattasse di una nuova malattia da virus. Solo nel 1972 Semancik e Weathers ne dimostrarono l’eziologia da viroide (CEVd, Citrus Exocortis Viroid); le tecniche di identificazione e caratterizzazione molecolare utilizzate negli anni successivi hanno dimostrato che si tratta di uno dei più grandi viroidi oggi conosciuti (371-375 nucleotidi secondo le varianti di sequenza). Le piante affette da exocortite mostrano una riduzione di sviluppo variabile a seconda della combinazione d’innesto, delle condizioni ambientali e della virulenza dell’isolato. I sintomi delle infezioni, consistenti in fessurazioni o desquamazione della corteccia, si osservano in campo solo in piante adulte innestate su arancio trifogliato e alcuni suoi ibridi, limetta di Rangpur, limetta di Tahiti e limetta messicana. La maggior parte delle specie di agrumi commerciali (arancio dolce, mandarino, pompelmo e limone) è ospite asintomatica. Tra i portinnesti l’arancio amaro, il limone rugoso, l’alemow, il limone volkameriano, il mandarino Cleopatra sono tolleranti alla malattia. Il viroide è presente in tutte le aree agrumicole del mondo, soprattutto negli impianti commerciali avviati prima dei programmi di risanamento degli agrumi, ove il patogeno si perpetua tramite la propagazione di marze infette ma asintomatiche. Il cedro è molto suscettibile alle infezioni di exocortite, reagendo con spaccature della corteccia, riduzione di sviluppo, deformazioni delle foglie e talvolta morte della pianta; alcune sue selezioni (Arizona 861 e Arizona 861-S-1) sono attualmente utilizzate per l’espletamento del saggio biologico della malattia. Ottima replicazione di CEVd, e relativa risposta sintomatica, si ha anche su Gynura aurantiaca D.C., pomodoro Rutgers e crisantemo, piante
a)
b)
a) Tipica desquamazione con fessurazioni della corteccia nel portainnesto arancio trifogliato affetto da exocortite; b) ingiallimenti e fessurazioni da exocortite su rametto di arancio trifogliato
Particolare degli essudati gommosi in frutti di arancio Tarocco affetti da impietratura
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coltivazione che, dopo l’inoculazione del viroide, presentano sviluppo ridotto, epinastia e rugosità delle foglie. Considerata la natura del patogeno responsabile della malattia (RNA non rivestito da capside proteico), la termoterapia non è efficace per il risanamento del materiale infetto; il viroide può essere invece eliminato mediante la coltura in vitro di apici meristematici. È fondamentale prevenire l’infezione utilizzando materiale di propagazione sano e certificato ed effettuando tutte le operazioni in campo (potatura, innesti) previa disinfezione degli attrezzi di lavoro con ipocloriti. Cachessia e xiloporosi (HSVd, Hop Stunt Viroid - Citrus) Descritta per la prima volta da Childs nel 1950, la cachessia è caratterizzata dalla formazione di gomma nella corteccia con alveolature nel legno di piante di mandarino e mandarino-simili, alemow, limette acide, dolci e kumquat. La xiloporosi, segnalata da Reichert e Perlberger nel 1934, causa sintomi analoghi su limetta dolce di Palestina. L’agente responsabile della cachessia è stato identificato, tramite studi biologici e molecolari condotti molti anni dopo, come una variante degli agrumi (CVd-II) del viroide del nanismo del luppolo (HSVd, Hop Stunt Viroid); lo stesso agente induce xiloporosi sulla limetta dolce di Palestina. Una delle più frequenti modalità di trasmissione di virus e viroidi è rappresentata dalle ferite inferte tramite gli attrezzi di lavoro
Viroidi nanizzanti
• Ad alcuni viroidi degli agrumi
del gruppo III (CVd-III), opportunamente selezionati, è stata attribuita la capacità di indurre, senza sviluppo di sintomi fitopatologici indesiderati, riduzione di sviluppo nelle piante di agrumi innestate su arancio trifogliato o suoi ibridi, coltivate in pieno campo: essi appaiono pertanto di estremo interesse nel caso in cui si vogliano utilizzare come fattori “nanizzanti” allo scopo di ottenere piante a sviluppo contenuto per la realizzazione di impianti ad alta densità idonei a una gestione ecocompatibile dell’agrumeto. In Italia la sperimentazione sull’argomento è molto attiva e agrumeti ad alta densità sono già stati realizzati in Sicilia e Calabria
Saggio biologico per la diagnosi di CEVd eseguito su cedro Etrog: si noti la grave epinastia e l’accorciamento degli internodi nei rametti sintomatici
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virus e viroidi Se i due viroidi vengono inoculati sulle piante indicatrici per cachessia (mandarino Parson’s Special, tangelo Orlando e alemow) si notano alveolatura del legno e depositi di gomma al punto d’innesto e alle biforcazioni dei rami (cachessia), se inoculati invece su limetta dolce di Palestina si osserva solo butteratura del legno (xiloporosi): ciò dimostra come le differenze tra le due malattie riguardino esclusivamente la diversa risposta sintomatologica dell’ospite all’inoculazione dei due viroidi. Il saggio biologico della cachessia si effettua su mandarino Parson’s Special innestato su un portainnesto vigoroso e mantenendo le piante in saggio in serra calda per 9-12 mesi o, preferibilmente, su piante di cedro Etrog o indicatrici erbacee, che forniscono risposte in tempi più brevi. La malattia è stata segnalata in quasi tutte le aree agrumicole del mondo, anche se la maggior parte delle specie commerciali (arancio dolce, pompelmo, limone, pummelo) e dei portainnesti (arancio amaro, arancio trifogliato e suoi ibridi) sono ospiti asintomatici. In Sicilia gravi danni sono stati riscontrati in impianti di tangelo mapo reinnestato su vecchi cloni di arancio allevati su arancio amaro. Per il risanamento del materiale infetto si utilizza la stessa metodica riportata per il CEVd (coltura in vitro di apici meristematici) e sono necessari gli stessi criteri per la prevenzione in campo.
a)
b)
a) Gravi defogliazioni e seccumi provocati da infezioni di cachessia su pianta di tangelo mapo; b) caratteristiche estroflessioni della faccia cambiale della corteccia e corrispondenti alveolature con impregnazione di gomma nel legno di pianta di clementine comune innestata su alemow affetta da cachessia
Saggio biologico per la diagnosi di CCaVd eseguito su mandarino Parson’s Special: si noti l’evidente butteratura del legno associata a impregnazione di gomma
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Malattie da batteri Vittoria Catara, Matilde Tessitori
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coltivazione Malattie da batteri Introduzione L’unico batterio patogeno degli agrumi diffuso nel bacino del Mediterraneo è Pseudomonas syringae pv. syringae, agente causale della piticchia batterica, una malattia di trascurabile importanza nelle normali condizioni climatiche dei nostri areali. Numerosi sono, però, i batteri fitopatogeni segnalati nel resto del mondo, agenti di malattie di rilevante interesse economico per gli agrumi o fattori limitanti per la coltivazione. Poiché non sono presenti nei nostri areali o la loro diffusione è limitata ad alcune aree agrumicole di altri Paesi e per l’inefficacia di metodi tradizionali di lotta, essi sono tutti classificati quali patogeni da quarantena. La loro introduzione e diffusione rappresenterebbe un grave rischio per l’agrumicoltura e la prevenzione costituisce oggi una delle priorità fitosanitarie in agrumicoltura. I batteri sono procarioti, organismi unicellulari mancanti di molte strutture interne tipiche delle cellule eucariotiche (come quelle di animali e piante), quali la membrana nucleare e gli organuli circondati da membrana. Quelli patogeni degli agrumi appartengono a diversi gruppi tassonomici con caratteristiche cellulari e comportamento parassitario differente. Batteri dotati di parete cellulare sono Pseudomonas syringae pv. syringae e diverse specie di Xanthomonas, Xylella fastidiosa, che vive nello xilema degli agrumi, e tre specie di batteri floematici appartenenti alla specie ‘Candidatus Liberibacter’ (definiti “esigenti” per le caratteristiche nutrizionali molto particolari e non sempre coltivabili in vitro). Tra i batteri privi di parete cellulare (classe dei Mollicutes) sono fito-
Misure fitosanitarie da quarantena
• Un patogeno o una malattia sono definiti
“da quarantena” quando sono in grado di arrecare danni economici nei Paesi o territori a rischio dove ancora non sono presenti, poco diffusi e/o non controllabili con metodi efficienti di lotta
• L’inserimento di una malattia in
programmi di quarantena è stabilito non solo in base alla gravità dei sintomi indotti, ma anche per gamma di piante ospiti e modalità e velocità di diffusione dell’agente causale, efficienza dei vettori animali, numero di ceppi patogeni, disponibilità di metodi di diagnosi rapidi, possibilità di intercettare o controllare i focolai della malattia
• Numerosi enti sovranazionali sono
deputati alla gestione delle malattie da quarantena. Tra essi è l’European and Mediterranean Plant Protection Organization (EPPO), fondato nel 1951, che include 50 Paesi europei e del bacino del Mediterraneo. Tra le varie funzioni dell’EPPO le più importanti sono: controllare i movimenti e le nuove segnalazioni dei patogeni nei Paesi membri, mettere a punto protocolli di diagnosi ufficiali, aggiornare le liste dei patogeni da quarantena (A1, non presenti nei Paesi membri; A2, presenti ma non diffusi). L’EPPO non ha il potere di legiferare o regolamentare sulle azioni da intraprendere contro i patogeni da quarantena, competenza di normative europee e nazionali atte a imporre e controllare le attività per la prevenzione (Direttiva europea 2002/89/CE e Decreti ministeriali di lotta obbligatoria)
Sintomi di cancro batterico su foglie, rametti e frutti
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malattie da batteri patogeni degli agrumi lo Spiroplasma citri e il ‘Candidatus Phytoplasma aurantifolia’. Entrambi vivono nel floema delle piante, ma solo gli spiroplasmi possono essere coltivati su substrati artificiali consentendo una più semplice diagnosi. Il nome Candidatus che precede il nome scientifico viene aggiunto per indicare quei batteri che non possono essere coltivati su substrati artificiali e la cui posizione tassonomica è stata definita attraverso tecniche di caratterizzazione molecolare. Il cancro batterico degli agrumi Il cancro batterico degli agrumi è causato da diverse specie di batteri del genere Xanthomonas, riunite in precedenza in un’unica specie: X. axonopodis pv. citri. Questi batteri causano danni di diversa entità e si differenziano per gamma di ospiti e distribuzione geografica. X. citri subsp. citri, agente della forma più grave della malattia (cancro A o cancro asiatico), colpisce la maggior parte delle specie/varietà e degli ibridi di Citrus e Poncirus trifoliata, ed è il più importante economicamente e il più diffuso nel mondo. La malattia è più grave, al punto da rendere non sostenibile la coltivazione, su pompelmo, alcune cultivar di arancio dolce (come Hamlin, Pinneapple e Navel), lima messicana e ibridi di Poncirus. Ceppi con alcune differenze in patogenicità sono stati riscontrati in Oman, Arabia Saudita (denominati A* e AW). Altre forme della malattia (cancro B, C e D) rinvenute solo in Sud America, e con una gamma di ospiti limitata, sono attribuite a ceppi batterici della specie X. fuscans subsp. aurantifolii. In Florida negli anni ’80 è stata descritta una malattia a carico del citrumelo Swingle, denominata cancro da vivaio e in seguito maculatura batterica, causata da X. alfalfae subsp. citrumelonis. Tutte le specie sono organismi da quarantena per moltissimi Paesi produttori di agrumi e strettamente regolati da legislazione fitosanitaria. Non sono presenti in Europa e nei Paesi del Mediterraneo e pertanto inclusi nella lista A1 dell’EPPO. Il cancro degli agrumi danneggia principalmente le foglie, i frutti e talvolta i rametti. I primi sintomi della malattia sulle foglie sono evidenti circa 7-10 giorni dopo l’infezione e si manifestano sulla pagina inferiore come minuscole pustole leggermente sollevate. Con il tempo le lesioni si allargano, diventando irregolari, spugnose, suberose e crateriformi, circondate da aloni clorotici. Le lesioni su rametti e frutti sono generalmente sollevate e suberose, talvolta erompenti per la spaccatura della superficie, circondate da un margine oleoso idropico. Infezioni gravi dei rametti e dei frutti possono rispettivamente comportare il disseccamento (se la lesione circonda il rametto) o la cascola. Le lesioni alla buccia rendono i frutti non idonei alla vendita per il consumo fresco. Come per altre malattie batteriche, le infezioni avvengono prevalentemente attraverso gli stomi e le ferite, con temperature ottimali tra 20-30 °C. Il batterio si moltiplica rapidamente nelle lesioni e in
Il primo sintomo di cancro batterico è visibile sulla pagina inferiore delle foglie sotto forma di piccole pustole bianche rilevate
Cancri erompenti dalla pagina inferiore di foglie di arancio
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coltivazione cinque giorni è pronto a riemergere dagli stomi per una successiva disseminazione favorita da vento e pioggia, persino a lunga distanza (pensiamo a uragani e temporali tropicali). A breve distanza il batterio può essere disseminato con le mani, i vestiti, gli strumenti di lavoro e le macchine agricole per la potatura o i trattamenti. Il primo e più importante mezzo di difesa è l’esclusione del batterio da Paesi, territori e aziende. La temuta introduzione può avvenire mediante materiale di propagazione e attraverso la commercializzazione di piante e frutti. Nei Paesi dove il batterio è presente le misure di sanitizzazione e le barriere frangivento sono efficaci nel contenimento delle infezioni. La minatrice serpentina degli agrumi, sebbene non sia vettore del batterio, con la sua attività di nutrizione provoca soluzioni di continuità che favoriscono l’ingresso del batterio. La lotta è effettuata mediante trattamenti a base di rame e, ove ancora autorizzati, antibiotici. Nessuno di questi agenti patogeni è presente nei Paesi del bacino del Mediterraneo. L’applicazione delle misure fitosanitarie può prevenire la loro introduzione. Saggi diagnostici sempre più sensibili sono necessari per il controllo dei materiali provenienti da Paesi terzi in cui la malattia è presente.
Foto M. Scortichini
Variegatura clorotica degli agrumi La variegatura clorotica è una delle più gravi malattie degli agrumi e fattore limitante della produzione di arancio dolce (diverse varietà) nel Sud e nel Centro America. È causata da Xylella fastidiosa subsp. pauca, un batterio a localizzazione xilematica, trasmesso da vettori. Altre sottospecie sono agenti causali di gravi malattie di vite (Pierce’s disease), pesco, mandorlo, caffè e quercia. X. fastidiosa è diffuso, principalmente, in zone tropicali e subtropicali (Sud e Centro America) ed è segnalato in Nord America, India e Taiwan. Insieme a i suoi vettori, è incluso nella lista A1 dell’EPPO in quanto ancora non presente nelle regioni EPPO e dell’Unione Europea (a parte una segnalazione non confermata di X. fastidiosa in Francia su vite). I sintomi si osservano su piante di arancio dolce in genere di età inferiore ai dieci anni e innestate su vari portainnesti. Le piante più adulte mostrano solo singole branche morte. Sulle foglie si osservano dapprima macchie clorotiche internervali, leggermente emergenti e gommose sulla pagina superiore della foglia. Sono interessati settori o, più raramente, l’intera chioma e la sintomatologia può essere confusa con quella dovuta a carenza di zinco. Nelle fasi più avanzate della malattia alle macchie clorotiche corrispondono macchie brune nella pagina inferiore. Raramente la pianta muore, ma branche intere possono disseccare. I frutti restano di piccole dimensioni, con un alto contenuto di zuccheri, maturazione precoce e buccia ispessita. I sintomi sono aggravati da carenza idrica o senescenza della pianta. Esiste una forma
Sintomi di variegatura clorotica degli agrumi
Foto M. Scortichini
Clorosi internervale e necrosi in foglie affette da variegatura clorotica
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malattie da batteri cronica della malattia che determina piante di taglia ridotta e morte dei germogli. La disseminazione del batterio avviene tramite vettori del gruppo dei cicadellidi, che nello stadio di ninfa si alimentano pungendo lo xilema. In Brasile sono state identificate undici specie di cicadellidi quali potenziali vettori di X. fastidiosa. Le più importanti sono Acrogonia citrina, Bucephalogonia xanthophis, Dilobopterus costalimai, Macugonalia leucomelas. Nessuna di queste specie è presente in Europa né nei Paesi del bacino del Mediterraneo, ma la loro introduzione tramite materiale vegetale infestato è sempre da temere e non si può escludere che altre cicadellidi possano adattarsi alla trasmissione del batterio. È provata la capacità di trasmissione di X. fastidiosa da parte di insetti presenti in Europa, quali Cicadella viridis e Philenius spumarius, entrambi presenti nell’Italia meridionale e nel bacino del Mediterraneo. La gravità della malattia e l’impatto dell’introduzione di eventuali vettori o dello stesso batterio sono elevati soprattutto perché X. fastidiosa (150 ospiti vegetali accertati, di cui numerosi asintomatici) è agente di gravi malattie di altre colture di interesse (vite, mandorlo, pesco, oleandro). Anche se a oggi è stata accertata la possibilità di passaggio del ceppo patogeno degli agrumi a piante di vite, ma non viceversa, non è da escludere che altri ospiti possano avere un ruolo nell’introduzione della malattia in areali diversi da quelli di attuale insediamento, anche in considerazione dei rischi connessi con i cambiamenti climatici in atto nel bacino del Mediterraneo. Se a questo si aggiunge che, a causa della
Macchie clorotiche internervali causate da Xylella fastidiosa subsp. pauca
Le analisi molecolari hanno evidenziato un’elevata concentrazione di ‘Ca. L. asiaticus’ nelle nervature delle foglie affette da huanglongbing che mostrano maculatura diffusa a chiazze (a pagina seguente)
Caratteristico “ramo giallo” che si evidenzia sullo sfondo della vegetazione normale in piante affette da huanglongbing (a pagina seguente)
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coltivazione distribuzione irregolare del batterio all’interno dei tessuti vegetali, i metodi di diagnosi oggi disponibili hanno bassa efficienza, si comprende che i rischi derivanti da malaugurate introduzioni potrebbero causare gravi danni all’agrumicoltura.
Huanglongbing: la malattia del drago giallo
Huanglongbing o greening degli agrumi L’huanglongbing (HLB) è considerata la malattia più distruttiva degli agrumi. Trasmessa da psillidi, è endemica in Asia e in Africa da lungo tempo, ma dal 2004 è stata segnalata in Brasile e dal 2005 in Florida e altri Paesi del Sud degli Stati Uniti. Nonostante gli sforzi per tenerla lontana, nel 2012 è stata confermata la sua presenza anche in California. Tutte le specie e le cultivar di Citrus sono sensibili, a prescindere dal portainnesto. Pertanto la gestione della malattia è considerata persino più problematica di quella della “tristeza”. La malattia è associata a batteri esigenti del genere ‘Candidatus Liberibacter’ che vivono come parassiti obbligati nei vasi floematici delle piante ospiti o negli insetti vettori. A oggi sono state descritte tre distinte specie batteriche, che hanno preso il nome dal continente dove sono state rilevate la prima volta e dove sono, inoltre, maggiormente diffuse: ‘Ca. Liberibacter asiaticus’, ‘Ca. L. africanum’ e ‘Ca. L. americanum’. Il Liberibacter asiatico è termotollerante (resiste a 35° C, ma non a 37 °C), mentre l’africano e l’americano, termosensibili (non si sviluppano già a 32 °C), sono diffusi in areali più freschi. I batteri sono trasmessi dalla psilla orientale degli agrumi (Diaphorina citri) e dalla psilla africana (Trioza erytreae). In Brasile, sia il ‘Ca. L. asiaticus’ sia il ‘Ca. L. americanus’ sono trasmessi da D. citri. Poiché la malattia e i vettori sono assenti nel bacino del Mediterraneo, grave preoccupazione ha destato il rinvenimento di T. erytreae nell’isola di Madeira (Portogallo) dove ormai l’insetto è diffuso, e alle Canarie (Spagna). Sia i batteri sia i loro vettori sono organismi da quarantena della lista A1 dell’EPPO. Il sintomo più caratteristico della malattia è una maculatura a chiazze prevalentemente asimmetrica delle foglie, che mostrano un miscuglio di macchie senza margini definiti, di gradazioni diverse di verde fino al giallo e che si fondono tra loro. Le nervature primaria e secondarie possono essere ispessite. In uno stadio avanzato le foglie mostrano sintomi di carenza di zinco e cadono anticipatamente, causando il disseccamento dei rametti. I frutti sintomatici sono piccoli, asimmetrici, e mostrano a maturità l’inversione del colore, cosicché la parte prossima al peduncolo è rossa mentre la parte stilare rimane verde (nei frutti normali la parte stilare diventa rossa prima). Si osserva aborto e/o imbrunimento dei semi. Il succo è acido, amaro e ha un basso rapporto tra grado zuccherino e acidità, pertanto non può essere destinato all’industria. I sintomi possono essere confusi con quelli da stubborn, da CTV o da carenze nutrizionali, sebbene la peculiare
• Grazie alle ricerche condotte
dal fitopatologo cinese Lin Kung Hsiang tra il 1941 e il 1953, oggi sappiamo che la malattia era nota nel Sud della Cina già nel 1870 con il nome di drago giallo o ramo giallo, a causa dell’anomala colorazione delle foglie che spiccavano rispetto alla vegetazione normale. Lin inoltre dimostrò la trasmissione della malattia mediante innesto e ipotizzò il contributo di insetti vettori. La malattia rimase sconosciuta al mondo occidentale fino agli anni ’70, allorché fu segnalata e studiata in Sud Africa da Ralph Schwarz, che le diede il nome di greening per la mancata colorazione dei frutti. Nel 1995, in occasione della 13a conferenza dell’Organizzazione Internazionale dei Virologi degli Agrumi, la malattia è stata ufficialmente chiamata con il nome cinese Huanglongbing: huang, giallo; long, drago; bing, malattia
Le foglie in piante affette da huanglongbing mostrano con il tempo sintomi da carenze nutrizionali spesso evidenziate anche in altre malattie da batteri floematici
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malattie da batteri maculatura, l’anomala colorazione di frutti o la distribuzione settoriale di rami completamene ingialliti possano fornire indicazioni più specifiche. Non avendo a disposizione fonti di resistenza genetica né interventi risolutivi per l’HLB, la gestione della malattia nelle aree indenni è prevalentemente preventiva e mira a impedire l’introduzione del batterio e del vettore. In assenza del vettore, un’intercettazione precoce (vivai) può consentire azioni di eradicazione e contenimento molto efficaci, soprattutto alla luce del fatto che la malattia ha un lungo periodo di latenza. Per prevenirne l’introduzione è fondamentale conoscere la malattia e sensibilizzare gli operatori nel settore sulla sua importanza e gravità, istituire in anticipo laboratori diagnostici validati sul territorio e stabilire una rete di monitoraggio per il vettore. Se la malattia è già presente, interventi complessi di lotta applicati su base nazionale o regionale (come avviene per esempio in Brasile) dovranno contemplare almeno il controllo del vettore con trattamenti insetticidi accoppiati alla rimozione delle fonti di inoculo e all’intercettazione del batterio nei vivai. Scopazzi della limetta La malattia fu descritta per la prima volta intorno agli anni ’70 in Oman e successivamente rinvenuta negli Emirati Arabi. È associata all’infezione di un fitoplasma (batterio della classe Mollicutes), oggi denominato ‘Candidatus Phytoplasma aurantifolia’. Il nome della malattia prende origine da uno dei sintomi più caratteristici, anche se la manifestazione più generale è quella di un grave deperimento delle piante di lima acida, che ha come esito finale la morte delle piante. I sintomi di scopazzi (blastomania o proliferazione di gemme avventizie), non sempre presenti nelle piante deperenti infette, sono dapprima settoriali, interessando singole
I frutti affetti da huanglongbing possono rimanere verdi o colorarsi solo dalla parte del peduncolo. Questo sintomo viene chiamato “naso rosso”
Foto J. Bovè
Assimetria del frutto in arancio affetto da huanglongbing
Sintomi di scopazzi della limetta: clorosi, microfillia, accorciamento degli internodi e infine deperimento (a destra, rametto sano)
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coltivazione branche della chioma, e successivamente diffusi sull’intera chioma. Le foglie, di piccole dimensioni e clorotiche, disseccano restando attaccate al ramo. La fioritura e la produzione di frutti è scarsa o assente. Nelle zone di diffusione della malattia è stato provato che il patogeno è trasmesso, così come la quasi totalità dei fitoplasmi, da un vettore appartenente al gruppo delle cicaline: Orosius orientalis (ex Hisminonus phycitis). Per le caratteristiche del vettore, la malattia ha alta velocità di diffusione nelle vicinanze di focolai di infezione. Dal 2009 anche l’Empoasca decipiens è stata individuata in Arabia Saudita quale potenziale vettore del fitoplasma. Vista la sua assenza negli stati dell’Unione Europea, la malattia è inclusa nell’allegato II/A1 della Direttiva europea 2002/89/CE. Il potenziale di insediamento della malattia nei territori agrumicoli del Mediterraneo è definito non solo dall’introduzione di materiale vegetale infetto da Paesi dove la malattia è presente, ma anche dall’accertata presenza in Italia del fitoplasma su altre specie vegetali (per esempio cactacee) e di potenziali vettori.
Foto J. Bovè
Sintomi iniziali di scopazzi della limetta
Stubborn Benché i sintomi dello stubborn fossero noti in California già dal 1915, solo intorno al 1940 venne provata la natura infettiva della malattia. La sindrome assume importanza per le piante giovani e per l’agrumicoltura di climi caldi e secchi, mentre non provoca danni gravi in ambienti a climi più temperati e umidi, come per esempio la Corsica, una delle regioni europee dove essa è presente. L’agente causale, dapprima considerato un virus, è un batterio (classe Mollicutes) coltivabile su substrati artificiali e spiraliforme, lo Spiroplasma citri, specie tipo del genere Spiroplasma che comprende oggi circa 40 specie riscontrate in numerose specie vegetali (18 famiglie di dicotiledoni e una di monocotiledoni). La maggior parte delle specie di agrumi è suscettibile, anche se l’infezione da S. citri è raramente letale: arancio dolce, pompelmo, mandarino e suoi ibridi sono considerati ad alta suscettibilità. Gli alberi malati appaiono spesso di taglia ridotta con chioma molto densa, a causa dell’accorciamento degli internodi dei rami, foglie ripiegate a coppa e lamina fogliare ispessita. In condizioni di temperature molto elevate le foglie possono apparire “palmate” con margini irregolari e colorazione anomala, spesso con modificazioni simili a quelle causate da carenze nutrizionali. La fioritura è anormale con emissione di fiori fuori stagione e sovrapposizione di frutti di età diversa. I frutti, sempre di numero inferiore al normale, sono piccoli e a forma di ghianda a causa dell’ispessimento della buccia all’apice peduncolare. In genere non si colorano nella parte stilare. Tra i sintomi più specifici sono i semi abortiti e, nei casi più gravi, l’albedo di colore bluastro. Alcuni sintomi, come la maculatura clorotica sulle foglie e la forma dei frutti, possono essere confusi con quelli causati da ‘Ca. Liberi-
Caratteristici frutti a ghianda in piante affette da stubborn
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malattie da batteri bacter spp.’ (huanglongbing). È inoltre possibile osservare minute estroflessioni nella faccia cambiale della corteccia al di sotto del punto di innesto, che creano confusione con i sintomi osservabili in piante innestate su arancio amaro allorché infette dal virus della “tristeza”. La limetta acida, il limone, l’arancio trifogliato e i suoi ibridi possono essere infettati sperimentalmente, ma mostrano sintomi molto blandi, anche se, come detto prima, essi sono fortemente influenzati dalle temperature. S. citri può essere trasmesso per innesto, per quanto il successo della trasmissione dipenda, oltre che dai citati effetti delle temperature, anche dalla concentrazione del patogeno nel materiale di propagazione (la distribuzione è altamente irregolare all’interno delle piante) e dalla specie ospite. Non si trasmette per seme, benché buone concentrazioni del batterio siano presenti sui tegumenti dei semi. La trasmissione in campo di spiroplasma avviene tramite numerose specie di cicaline: Scaphytopius nitridus e Circulifer tenellus in California, C. haematoceps e C. tenellus nel bacino del Mediterraneo. In generale le condizioni necessarie all’instaurarsi della malattia sono la presenza del vettore, di piante di agrumi suscettibili e di alcune delle numerose specie ospiti erbacee quali fonte di inoculo, accompagnate da condizioni climatiche favorevoli. Nonostante lo Spiroplasma citri sia segnalato in diversi Paesi europei e del bacino del Mediterraneo, esso è ancora incluso nell’allegato II/A2 della Direttiva europea 2002/89/CE perché si vuole evitarne l’ulteriore diffusione.
Gestione delle batteriosi
• La lotta alle malattie batteriche è legata
all’uso di composti rameici. Il rame è però totalmente inefficace contro le malattie causate da batteri/procarioti a localizzazione floematica e xilematica. La gestione di tali malattie deve procedere quindi secondo schemi simili a quelli applicati alle malattie da virus, che mirino contemporaneamente a: - evitare l’insediamento del patogeno e dei suoi vettori animali in un territorio - controllare l’attività degli insetti vettori - eliminare gli ospiti vegetali alternativi fonti di inoculo (piante serbatoio)
• Vista la natura e la complessità
degli interventi, essi risultano efficaci se applicati a livello di grandi areali, regioni o nazioni. Per tale motivo, al fine di evitare che una di queste gravi malattie si insedi in un territorio, con notevoli danni economici per la collettività, è necessario mettere in atto decreti di lotta obbligatoria che impongano l’applicazione di interventi da parte degli agricoltori e il controllo costante dei servizi fitosanitari
A sinistra, semi da frutti affetti da stubborn; a destra, semi normali Esiti di inoculazione con Spiroplasma citri
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Raccolta e post-raccolta Salvatore Spezziga D’Aquino, Mario Schirra
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).
coltivazione Raccolta e post-raccolta Raccolta La raccolta rappresenta la voce più importante dei costi colturali, per cui grande attenzione è costantemente posta per agevolarne e razionalizzarne tutte le fasi. Le operazioni di raccolta comprendono: a) distacco dei frutti dalla pianta e deposizione in speciali ceste a sacco o panieri (anticamente in vimini con imbottitura, oggi in plastica); b) travaso dei frutti in cassette o cassoni; c) movimentazione aziendale. Lo stacco può essere eseguito manualmente, mediante la rotazione del frutto attorno al peduncolo e il successivo strappo, o con l’ausilio di speciali forbici. Nel primo caso è necessario provvedere alla successiva rimozione del peduncolo con forbicine. Oggigiorno si preferisce raccogliere i frutti direttamente con le forbicine, per prevenire i danni meccanici causati dal peduncolo e il rischio di infezioni fungine. Per particolari mercati i frutti vengono raccolti con una porzione di rametto con foglie. La raccolta meccanizzata si effettua principalmente sugli agrumi da destinare all’industria e si basa sull’impiego di elementi scuotitori di diverse tipologie o di aria ad alta pressione che agiscono sulla chioma, oppure di scuotitori a vibrazione da applicare direttamente al tronco. L’impiego di sostanze in grado di indebolire la forza di attacco del peduncolo si è sviluppato parallelamente alla meccanizzazione, al fine di migliorarne l’efficienza. Tuttavia, gran parte dei prodotti testati (etephon, prosulfuron, metsulfuronmethyl, 5-chloro-3-methyl-4-nitro-1H-pyrazole), in misura più o meno accentuata, causa effetti dannosi sia ai frutti (dermatosi, minore resistenza alle manipolazioni, maggiore suscettibilità ai
Frutti di arancio raccolti con una porzione di rametto con foglie
Raccolta effettuata mediante l’ausilio di scale in legno
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raccolta e post-raccolta marciumi) sia alle piante (filloptosi, disseccamento di rami, minori produzioni). L’impiego di 1-metilciclopropene in combinazione con prodotti che sviluppano etilene (ethephon) può ridurre notevolmente il fenomeno della filloptosi.
Gli agrumi sono frutti aclimaterici
Fisiologia post-raccolta A differenza di quanto accade nei frutti climaterici, negli agrumi il raggiungimento della maturazione fisiologica non è caratterizzato da rapidi cambiamenti del colore, della consistenza, dell’acidità e degli zuccheri, e l’attività respiratoria diminuisce gradualmente dall’allegagione sino alla morte dei tessuti. Rapidi incrementi dell’attività respiratoria o della produzione di etilene avvengono solo in seguito a stress di natura fisica (sbalzi termici, squilibri idrici, improvvisa disidratazione, danni meccanici) o ad infezioni fungine. Tali cambiamenti in genere sono transitori se le cause che li hanno determinati sono di lieve entità, ma persistono sino alla morte dei tessuti nei casi in cui le alterazioni sono molto gravi. Appena il frutto è staccato dalla pianta il processo di maturazione si interrompe e il frutto si avvia alla senescenza, che è accompagnata da un graduale declino degli acidi organici, della vitamina C, degli zuccheri e dell’attività respiratoria. A seconda delle varietà e dell’intensità dell’attività metabolica, tale declino può essere molto rapido (clementine, mandarini) o più lento (limoni, pompelmi, certe varietà di arancia). La temperatura di conservazione può rallentare o accelerare questi processi e quindi incidere significativamente sulla durata della vita post-raccolta. La conservabilità dei frutti è inoltre fortemente influenzata dalle condizioni igrometriche dell’ambiente di conservazione, da cui dipende in parte l’attività traspiratoria. Un’eccessiva traspirazione può portare al raggrinzimento della buccia, alla perdita di consistenza, al distacco della rosetta e accelerare i processi di senescenza.
• Negli agrumi, in quanto frutti
aclimaterici, il processo di maturazione avviene gradualmente durante lo sviluppo e non si registra nei frutti maturi un picco dell’attività respiratoria e della produzione di etilene come nei frutti climaterici, nei quali normalmente la loro manifestazione segna il raggiungimento della maturazione di consumo
• La quasi totale assenza di amido come
sostanza di riserva fa sì che durante la conservazione si verifichino lievi cambiamenti nella composizione chimica, limitati essenzialmente alla trasformazione degli acidi organici in zuccheri e in anidride carbonica, per effetto dell’attività respiratoria
Le fasi di lavorazione Dopo la raccolta, i frutti devono essere manipolati con cura per evitare o ridurre al minimo i danni meccanici (lesioni, abrasioni ecc.). All’arrivo in centrale normalmente i frutti sono sottoposti a trattamenti post-raccolta per ritardare la senescenza, controllare le alterazioni fisiopatologiche e/o migliorare l’aspetto. Di seguito saranno brevemente discusse le principali fasi di lavorazione post-raccolta degli agrumi, alcune delle quali, a seconda del tipo di frutto, dell’epoca di maturazione e della destinazione, possono non essere praticate. Ricevimento In molti paesi la frutta, appena arrivata in centrale, è sottoposta a un primo trattamento fungicida per poi essere collocata in appositi ambienti in attesa di essere avviata alla lavorazione. A seconda che i frutti siano stoccati in ambienti idonei con temperatura controllata o in ambienti non controllati, tale sosta può avere ef-
Partite di agrumi stoccati in centrale in attesa di essere avviati alla lavorazione
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coltivazione fetti positivi (leggera disidratazione della buccia con conseguente riduzione dei danni meccanici nelle fasi di lavorazione) o favorire il progredire di infezioni in atto e il verificarsi di nuove. Alimentazione della linea di lavorazione Le operazioni di lavorazione cominciano con l’alimentazione della linea. La frutta contenuta in cassette da 20 kg o cassoni (sino a 300 kg) è scaricata, manualmente o (più frequentemente) mediante l’ausilio di carrelli a forche, su trasportatori a rulli. Questa operazione deve essere condotta con la massima cura perché gli urti cui vanno incontro i frutti possono causare lesioni e ammaccature che rappresentano la via di accesso per i patogeni da ferita. In alcuni paesi i frutti vengono rovesciati in voluminose vasche piene d’acqua per ridurre gli impatti e consentire una sorta di prelavaggio. In tal caso, per prevenire il rischio d’infezione per l’accumulo di spore nell’acqua di lavaggio è necessario aggiungere agenti sanitizzanti o fungicidi. In questa fase è opportuno effettuare una prima selezione per scartare i frutti che presentano evidenti alterazioni, marciumi e pezzatura ridotta. Lavaggio e spazzolatura Il lavaggio può essere realizzato in linea o facendo sostare per qualche minuto i frutti in grosse vasche. La prima alternativa è più diffusa perché rende le operazioni più rapide e riduce il rischio di contaminazione favorendo il continuo allontanamento delle spore dai frutti e dalle spazzole. In genere è sempre prevista una prima bagnatura che serve ad allontanare la sporcizia più grossolana e a inumidire le incrostazioni. Il lavaggio vero e proprio è realizzato dall’azione di una serie di spazzolatrici le cui setole agiscono sui
Alimentazione manuale della linea di lavorazione
Prima selezione per allontanare i frutti danneggiati e fuori calibro Allontanamento di foglie e residui di rametti
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raccolta e post-raccolta frutti man mano che avanzano. Tra le spazzolatrici sono collocati degli ugelli che erogano acqua addizionata di cloro o altri agenti sanitizzanti (ortofenilfenato sodico, carbonati) e detergenti. Una doccia di acqua potabile serve per risciacquare i frutti e ripulirli dai residui dagli agenti sanitizzanti, che possono provocare dermatosi. Se il trattamento con fungicidi residuali non è associato alla ceratura, può essere eseguito subito dopo il risciacquo bagnando i frutti con appositi erogatori. Alla fine del lavaggio l’acqua in eccesso viene rimossa facendo avanzare i frutti su rulli ricoperti di spugne in lattice, da cui l’acqua assorbita è allontanata da barre metalliche o di altro materiale, contro le quali le spugne vengono strizzate quando ruotano sotto il piano di lavoro. L’operazione di lavaggio dura 20-30 secondi. Recentemente sono stati sviluppati sistemi di lavaggio in linea con ugelli capaci di erogare acqua a elevate pressioni (100-800 psi) per favorire una più rapida ed efficace rimozione della sporcizia e delle incrostazioni, in particolare di melata associata a fumaggine. Il lavaggio dei frutti con acqua a elevate pressioni può comportare alcuni svantaggi quali la disintegrazione dei frutti marci con il rischio di contaminazione di quelli sani, la rimozione parziale della cera dalla buccia e un transitorio incremento della produzione di etilene, soprattutto se il trattamento è prolungato.
Il lavaggio dei frutti in grosse vasche può facilitare la contaminazione dei frutti se l’acqua non è opportunamente sanitizzata
Ceratura Con il termine di cera oggi si intende qualsiasi sostanza che possieda proprietà cosmetiche, ma anticamente si faceva riferimento esclusivamente alla cera d’api. Le cere attualmente utilizzate sono costituite in prevalenza da miscele di sostanze di origine vegetale (carnauba, candelilla, resine ecc.), di escrezione di insetti (shellac) o di derivati dei prodotti petroliferi (paraffine, polietilene ecc.). L’applicazione di cere compensa la perdita di quelle naturali rimosse durante il lavaggio e conferisce ai frutti maggiore lucentezza. Una pratica diffusa, specie in Italia, è di associare il trattamento fungicida con la ceratura, con il vantaggio di ridurre le operazioni lungo la catena di lavorazione. Ciò però rende meno efficaci i fungicidi per la loro parziale immobilizzazione nella cera e per la minore distribuzione sulla superficie del frutto, soprattutto in corrispondenza delle ferite o nelle parti apicale e basale, che sono le principali vie d’infezione. L’applicazione di cere poco permeabili può ridurre fortemente gli scambi gassosi e stimolare il metabolismo anaerobico. Alla ceratura segue normalmente la fase di asciugatura, che consiste nel passaggio dei frutti in un tunnel all’interno del quale è generato un flusso di aria calda. Selezione e calibratura La selezione è indispensabile per rimuovere i frutti non commerciabili a causa di danni meccanici, difetti di forma o presenza di marciumi non rilevati nella preselezione.
Ceratura e avanzamento dei frutti verso il tunnel per l’asciugatura
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coltivazione La selezione può essere fatta manualmente o con sistemi automatizzati in cui l’integrazione di sofisticati dispositivi elettronici e ottici consente di raggiungere buoni risultati, anche se a tutt’oggi la loro efficienza è inferiore a quella della selezione manuale. La calibratura può essere realizzata meccanicamente. I sistemi moderni si basano sull’analisi delle immagini e, oltre alla calibrazione, possono effettuare la selezione in funzione della forma, del peso e del colore. Imballaggio e confezionamento Dopo la selezione, i frutti possono essere convogliati su diverse macchine confezionatrici a seconda delle richieste del mercato e della loro caratteristica commerciale. Le varietà pregiate possono essere etichettate e sistemate manualmente, mentre quelle meno pregiate possono essere destinate al riempimento di cassette alla rinfusa. Il confezionamento con film plastici è poco diffuso in Italia. Normalmente è eseguito nei magazzini di stoccaggio dei supermercati prima di inviare il prodotto sui banchi di vendita. In altri paesi l’applicazione di pellicole plastiche è praticata non solo per ragioni di marketing, ma anche per l’effetto fisiologico che queste possono avere sul frutto. In tal caso la scelta del film è condizionata: a) dalla permeabilità al vapore acqueo; b) dalla permeabilità ai gas; c) dalla brillantezza e dalla capacità di aderire al frutto. La scelta ottimale di un film plastico può ridurre l’attività metabolica, le perdite di peso, l’invecchiamento e consentire la conservazione a temperatura ambiente anche per periodi prolungati.
L’applicazione di cere poco permeabili può risultare fitotossica e provocare dermatosi
Deverdizzazione La deverdizzazione si effettua mediante trattamenti post-raccolta con etilene per accelerare la degradazione della clorofilla nelle
Rimozione dell’acqua in eccesso alla fine del lavaggio Selezione dei frutti
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raccolta e post-raccolta varietà precoci che presentano le dovute caratteristiche di qualità interna, quando la buccia non ha raggiunto la completa pigmentazione. Il trattamento viene effettuato all’interno di celle nelle quali si mantengono livelli di etilene compresi tra 2 e 10 ppm. La presenza di anidride carbonica rallenta il processo di degradazione della clorofilla sino a bloccarlo del tutto quando supera il 4%. Al contrario, la presenza di ossigeno accelera la degradazione della clorofilla e favorisce una più omogenea colorazione dei frutti. Per questo motivo si utilizzano miscele di etilene con elevate concentrazioni di ossigeno. Per i mandarino-simili la temperatura ottimale per la deverdizzazione è intorno a 20 °C, mentre per le arance è di circa 25 °C. Temperature più elevate accelerano la degradazione della clorofilla ma portano allo sviluppo di una colorazione meno intensa; al contrario, temperature più basse migliorano la colorazione ma rallentano la scomparsa della clorofilla. In tutti i casi è necessario assicurare valori di umidità relativa del 90-95%, per ridurre l’indebolimento dei tessuti, l’eccessiva traspirazione, il distacco della rosetta e favorire la cicatrizzazione delle ferite. I frutti da sottoporre a deverdizzazione devono aver raggiunto un buon grado di maturazione e presentare nella buccia i pigmenti responsabili della colorazione tipica; frutti raccolti troppo in anticipo non sviluppano una buona colorazione. Il trattamento con etilene rende i frutti più suscettibili all’attacco di alcuni funghi, le cui spore si trovano quiescenti sulla buccia o alla base della rosetta (antracnosi, marciume basale). Per questo motivo in molti paesi la deverdizzazione è preceduta da un trattamento fungicida in combinazione con l’acido 2,4-diclorofenossiacetico (2,4-D), se ne è consentito l’uso.
Dispositivo ad aria compressa per favorire l’allineamento dei frutti lungo la linea
Dispositivi a spazzole e rulli per la distribuzione omogenea dei frutti in senso trasversale alla direzione di avanzamento della linea di lavorazione
Calibratrice a rulli Banco di confezionamento
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coltivazione Principali alterazioni patologiche Numerose sono le alterazioni microbiologiche che possono interessare gli agrumi dopo la raccolta. Tuttavia molte di esse compaiono solo sporadicamente e rivestono un interesse più scientifico che pratico. Altre, invece, sono universalmente diffuse e causano ingenti danni economici se non opportunamente controllate. Di seguito sono descritte quelle di maggior interesse economico. In Italia, a differenza di molti altri paesi agrumicoli, i fungicidi consentiti pre-raccolta sono molto limitati.
Trattamenti di quarantena contro la mosca mediterranea della frutta
• Numerosi Paesi importatori di agrumi
impongono appropriati trattamenti di quarantena contro la mosca mediterranea (Ceratitis capitata) e la certificazione che i frutti sono esenti da infestazione • Escludendo i protocolli basati sull’impiego di fumiganti chimici, non più ammessi in molti Paesi, i trattamenti più comunemente accettati sono: - vapore riscaldato: esposizione dei frutti a 44 °C per 100 minuti o a 46 °C per 50 minuti - esposizione a basse temperature: a) 0 °C ± 0,5 °C per 14 giorni b) 1 °C ± 0,5 °C per 16 giorni c) 2 °C ± 0,5 °C per 18 giorni d) 3 °C ± 0,5 °C per 20 giorni I tempi d’esposizione devono essere • cronometrati dal momento in cui i frutti situati nella parte più fredda della cella hanno raggiunto la soglia termica fissata
Muffa verde e muffa azzurra La muffa verde (Penicillium digitatum) e la muffa azzurra (Penicillium italicum) rappresentano le alterazioni microbiologiche più diffuse a livello mondiale. Sono funghi da ferita che necessitano vie di accesso, anche di piccole dimensioni, per infettare il frutto. Le spore sono trasportate dal vento e possono sopravvivere anche per lunghi periodi prima di germinare. Lo stadio iniziale dell’infezione si manifesta con un rammollimento di forma più o meno circolare a carico dei tessuti della buccia e di quelli sottostanti, che assumono un colore marrone chiaro. Con l’avanzare dell’infezione quest’area si allarga e dal centro compaiono prima il micelio di colore bianco e successivamente le spore, che sono di colore verde olivastro (P. digitatum) o azzurro (P. italicum). La temperatura ottimale per lo sviluppo dei due agenti è di 20-28 °C; in queste condizioni 2-3 giorni dopo l’infezione si può notare la comparsa delle spore. La muffa verde a temperatura ambiente si sviluppa più rapidamente della muffa azzurra. Lo sviluppo di entrambi i funghi rallenta al diminuire della temperatura, sino ad arrestarsi a 0-1 °C. In condizioni refrigerate (5-10 °C) lo sviluppo della muffa azzurra prevale sulla crescita di quella verde. I due funghi possono svilupparsi anche contemporaneamente sullo stesso frutto. La muffa verde generalmente non attacca i frutti vicini, ma la fuoriuscita di liquidi dai frutti marci e l’abbondanza di spore prodotte possono diffondersi sui frutti sani adiacenti, alterandone l’aspetto estetico. Lo sviluppo di questi funghi può essere controllato mediante trattamenti postraccolta con ortofenilfenato di sodio, tiabendazolo o imazalil. Marciume acido (Geotrichum candidum) È un’altra alterazione microbiologica da ferita diffusa in tutte le aree agrumicole, soprattutto nelle annate particolarmente piovose. Il fungo si diffonde dal terreno per frammentazione delle ife, che originano piccole catene di artrospore. Sebbene difficilmente trasportate dal vento, gli organi di diffusione possono contaminare i frutti della parte bassa della chioma su cui sono veicolate dagli schizzi di acqua provocati dalle piogge. Vettori del fungo sono pure numerosi insetti, soprattutto del genere Drosophila, attratti dai frutti marci. In Italia i fungicidi autorizzati per il post-raccolta degli agrumi non sono attivi contro l’agente del marciume acido. Per ridurre il rischio
Foro di fuoriuscita della larva matura della mosca mediterranea
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raccolta e post-raccolta d’infezione è importante manipolare i frutti delicatamente al fine di abbassare l’incidenza di microferite durante la raccolta e le successive operazioni e trattare i frutti con acqua addizionata di cloro appena arrivano in centrale. La temperatura ottimale per lo sviluppo del fungo è compresa tra 20 e 30 °C; temperature inferiori a 5 °C bloccano l’attività del fungo, che riprende a crescere rapidamente in seguito al trasferimento dei frutti a temperatura ambiente. Marciume nero (Alternaria citri) È un fungo molto diffuso in tutte le aree agrumicole. Generalmente l’infezione avviene in campo, dove le spore sono portate dal vento. Il fungo può rimanere quiescente per lunghi periodi nei tessuti della rosetta per poi penetrare e svilupparsi lungo l’asse carpellare durante la frigoconservazione, in seguito al distacco o alla perdita parziale di vitalità della rosetta. In campo la penetrazione può interessare tutta la buccia, ma solitamente avviene dalla parte stilare, specie nelle varietà del gruppo Navel; in tal caso è ben evidente una caratteristica tacca di colore marrone chiaro. Normalmente i frutti colpiti colorano prima per la produzione di etilene, indotta dal fungo, e cascolano prematuramente. Quando l’infezione si sviluppa all’interno del frutto i primi tessuti a essere attaccati sono quelli dell’asse carpellare. I tessuti colpiti assumono una caratteristica colorazione nera. Il più delle volte, specie in frigoconservazione, l’infezione si sviluppa all’interno del frutto senza manifestare alcun sintomo esterno. Per la scarsa efficacia dei fungicidi autorizzati nei trattamenti post-raccolta la lotta deve essere effettuata in campo.
Contemporanea presenza di muffa verde e muffa azzurra su arancia
Marciume acido su mandarino
Marciume bruno (Phytophthora spp.) Può arrecare gravi perdite nelle annate particolarmente piovose. Il fungo vive soprattutto nel suolo, dove in seguito a piogge abbondanti e durature differenzia sporangi e zoospore. Gli schizzi d’acqua causati dalle piogge trasportano le zoospore sulla superficie dei frutti, specie se le piante sono allevate basse. La buccia dei frutti infetti assume una colorazione marrone scura e una consistenza cuoiosa. L’odore emanato dai tessuti alterati è tipico e inconfondibile. L’infezione può avvenire in campo e manifestarsi dopo la raccolta, ma anche verificarsi in centrale o durante il trasporto. Nessun fungicida tra quelli registrati per il post-raccolta è efficace contro il marciume bruno. Dopo la raccolta, l’immediata immersione dei frutti in acqua calda (45-52 °C) per 2-3 minuti può bloccare lo sviluppo della malattia. Trattamenti eseguiti in campo con fosfonati e sali di rame al terreno e alla parte bassa della chioma e con metalaxil al terreno, unitamente a una corretta conduzione agronomica dell’agrumeto (inerbimento, mantenimento di una minima distanza della parte bassa della chioma dal suolo), sono sufficienti a tenere sotto controllo la malattia.
Marciume nero su mandarino
Marciume bruno su pompelmi
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coltivazione Antracnosi (Colletotrichum gloeosporioides) Fungo non molto pericoloso, può diventarlo in seguito a prolungati periodi di esposizione a elevate concentrazioni di etilene durante la deverdizzazione, che causano un eccessivo invecchiamento dei tessuti e creano le condizioni ideali per lo sviluppo del fungo. Altri agenti di marciumi Numerosi altri patogeni possono causare marciumi, soprattutto in seguito a lunghi periodi di conservazione refrigerata. Tra essi, Botrytis cinerea, Aspergillus niger, Septoria spp., Diplodia natalensis, Phomopsis citri, Fusarium spp., Rhizopus stolonifer, e l’agente della piticchia batterica, Pseudomonas syringe pv syringe. Sanitizzazione L’igiene degli ambienti di lavorazione è di fondamentale importanza per il buon controllo dei marciumi, specie di quelli causati dai penicilli, le cui spore si diffondono facilmente nell’aria e possono restare vitali per molto tempo. Un buon programma di sanitizzazione parte dalla progettazione dei locali. Di fondamentale importanza è, per quanto possibile, prevedere ambienti separati per le diverse operazioni (stoccaggio, celle frigorifere, preselezione, locali di deposito per cassette per la raccolta, locali per il confezionamento) perché ciò facilita le pulizie e costituisce un ostacolo alla diffusione delle spore. La sanitizzazione si basa su alcune regole fondamentali come: a) allontanare giornalmente dagli ambienti di lavoro e dalle macchine tutti i frutti marci, le foglie, i rami e la sporcizia; b) evitare di lasciare i frutti marci a contatto con l’aria durante la selezione, depositandoli in contenitori richiudibili e avendo cura di allontanarli quanto più frequentemente dai locali; c) non accatastare frutti marci, residui di rami e foglie negli spazi attorno alla centrale in attesa di rimuoverli periodicamente; d) pulire periodicamente l’ambiente di lavoro, le macchine, le attrezzature, le cassette ecc. con vapore caldo o con opportuni agenti sanitizzanti (ipoclorito di sodio, sali quaternari, acido iperacetico); e) educare il personale a lavarsi le mani ogniqualvolta rientra al lavoro e a non toccare i frutti sani se è venuto a contatto con frutti marci.
Antracnosi su arancia
Sanitizzazione
• La pulizia e sanitizzazione
delle macchine e dei locali di lavorazione è un fattore determinante per ridurre il rischio di contaminazione dei frutti • Un buon programma di sanitizzazione prevede: - l’allontanamento dei frutti infetti, specie se affetti da muffa verde, le cui spore si diffondono con estrema facilità in presenza di correnti d’aria; - il lavaggio periodico dei locali, delle macchine e delle cassette con vapore caldo o agenti sanitizzanti (ipoclorito di sodio, sali quaternari, acido iperacetico) • La dispersione di spore derivanti da reinfezioni di frutti già trattati con fungicidi deve essere assolutamente evitata per prevenire lo sviluppo di ceppi di patogeni resistenti ai fungicidi
Agenti sanitizzanti Il cloro è l’agente sanitizzante più utilizzato per le sue proprietà disinfettanti. Il suo impiego, oltre che come agente sanitizzante per la disinfezione dei locali e delle macchine, è consentito anche per la sanitizzazione dell’acqua di lavaggio e per abbassare la carica microbica sulla superficie dei frutti per il largo spettro di azione che lo caratterizza. La sua attività si limita solo alle spore presenti sulla superficie dei frutti; non è in grado di agire contro le infezioni già in atto per l’incapacità di penetrare nei tessuti. In commercio sono disponibili ipoclorito di sodio, ipoclorito di calcio e cloro allo stato gassoso; le prime due forme sono facilmente utilizzabili, mentre 296
raccolta e post-raccolta l’ultima richiede dispositivi di sicurezza specifici essendo molto rischiosa per gli operatori. I sali quaternari rappresentano una buona alternativa per mantenere l’igiene degli ambienti di lavoro e delle macchine operatrici, ma il loro impiego non è ammesso sui prodotti alimentari; per cui bisogna evitare che nella linea di lavorazione e nelle superfici che vengono a contatto con i frutti restino residui. L’acido iperacetico, oltre a poter essere utilizzato per la pulizia degli ambienti di lavoro, si presta a essere impiegato per la sanitizzazione dell’acqua di lavaggio dei frutti. Promettente appare anche l’impiego dell’ozono per la sanitizzazione dell’acqua di lavaggio dei frutti. Fungicidi Il mezzo più efficace per ridurre le alterazioni microbiologiche è l’impiego di fungicidi in post-raccolta. Tuttavia la loro efficacia è condizionata dallo stato dei frutti al momento della raccolta: in partite provenienti da campi con elevata pressione dei patogeni sarà molto difficile controllare opportunamente i marciumi dopo la raccolta. È necessario, pertanto, adottare opportune misure profilattiche durante il ciclo produttivo. Adeguati interventi di potatura, che riducano il rischio di danni meccanici per lo sfregamento dei frutti contro i rami, equilibrate concimazioni azotate e alcuni trattamenti di campo con sali di rame a fine autunno-inizio inverno possono efficacemente contenere l’incidenza dei marciumi post-raccolta, specie in annate particolarmente favorevoli allo sviluppo dei patogeni. In Italia gli unici fungicidi consentiti per il post-raccolta sono l’ortofenilfenato sodico (SOPP), il tiabendazolo (TBZ) e l’imazalil (IMZ). Il SOPP è molto solubile in acqua. In soluzione acquosa dà origine all’ortofenilfenato (OPP) e all’ortofenifenolo (HOPP). L’equilibrio dei due composti dipende dal pH della soluzione e dalla concentrazione di SOPP disciolta in acqua. La forma indissociata (HOPP) possiede un ampio spettro di azione ed è letale per molti microrganismi alla concentrazione di 200-400 ppm. Sotto questa forma è in grado di penetrare rapidamente nei tessuti, superando la cuticola, ma può dare origine a gravi fenomeni di fitotossicità, in particolare se la temperatura della soluzione è elevata e i tempi di contatto prolungati. Al contrario, l’OPP è meno attivo ma anche meno fitotossico; non è in grado di superare la cuticola, ma entra attraverso le ferite legandosi ai tessuti danneggiati, in cui, in presenza di acidi organici, si trasforma nella forma indissociata (HOPP). Il risciacquo con acqua fresca rimuove quasi tutto l’OPP e l’HOPP presenti sulla superficie del frutto ma lascia gran parte dell’OPP venuto a contatto con le ferite. Grazie a questi aspetti particolari il trattamento con SOPP garantisce una buona sanitizzazione della superficie dei frutti e assicura una certa protezione anche dopo il risciacquo. La somministrazione dei fungicidi come doccia sui frutti appena giunti in centrale, ancora sistemati in cassette o in cassoni palettizzati, è diffusa in molti paesi. La sospensione può essere erogata senza recupero o essere riutilizzata, in tal caso è importante aggiun-
Muffa grigia su arancia
Contemporanea presenza di Penicillium spp. e Rhizopus stolonifer su clementine
Le sollecitazioni meccaniche che subiscono i frutti lungo la linea di lavorazione possono favorire lo sviluppo dei marciumi e deprezzare l’aspetto visivo
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coltivazione gere un agente con funzione sanitizzante per devitalizzare le spore dei funghi verso cui il fungicida non è attivo. In Florida, per esempio, il TBZ è impiegato in associazione con il cloro. In alternativa alla somministrazione del fungicida sotto forma di doccia, le unità palettizzate possono essere immerse in voluminosi vasconi. Nel caso si intenda associare uno o più prodotti bisogna sempre verificarne la compatibilità (l’IMZ, per esempio, non è compatibile con il cloro). La sospensione fungicida somministrata anche per nebulizzazione direttamente nei magazzini di stoccaggio o nelle celle frigorifere è una valida alternativa al trattamento per doccia e all’immersione per la sua facilità di applicazione, anche se meno efficace. La nebulizzazione si presta anche per sanitizzare le celle frigorifere. Mezzi di difesa fisici I mezzi fisici per il controllo dei marciumi suscitano molto interesse per il fatto che non lasciano residui sui frutti, tuttavia il loro trasferimento a livello commerciale stenta ad affermarsi per i maggiori costi rispetto a quelli chimici. L’impiego delle radiazioni ionizzanti e dei raggi ultravioletti è ampiamente sfruttato in molti settori del sistema agroalimentare, ma trova scarsa applicazione nel post-raccolta degli ortofrutticoli. Il condizionamento termico mediante esposizione dei frutti a temperature di 36-38 °C in ambiente saturo di umidità per periodi di 2-3 giorni ha dato risultati interessanti nel controllo dei marciumi causati dai penicilli, riducendo la vitalità delle spore e facilitando la cicatrizzazione delle ferite. Il condizionamento termoigrometrico può migliorare la tolleranza dei tessuti alle basse temperature. Tuttavia in alcune prove sperimentali è stata riscontrata una maggiore suscettibilità dei frutti nei confronti degli agenti responsabili del marciume bruno. I trattamenti per immersione dei frutti per 2-3 minuti in acqua riscaldata a 50-53 °C sono efficaci per ridurre e/o rallentare lo sviluppo dei penicilli. L’uso combinato dei fungicidi con acqua calda consente di esaltare l’efficacia dei principi attivi e di ridurne le concentrazioni (sino a 4-5 volte) rispetto ai trattamenti a temperatura ambiente. I trattamenti con acqua calda trovano applicazione in quei paesi in cui è previsto un prelavaggio dei frutti per immersione, come in California, in cui all’acqua calda sono aggiunte sostanze, come i carbonati, ad azione detergente e/o fungicida/ fungistatica. L’applicazione non corretta della termoterapia (condizionamento termico o immersione in acqua calda) può causare effetti fitotossici sui frutti (imbrunimento, ustioni, disidratazione).
Disseccamento della rosetta ed estese dermatosi in seguito a errato trattamento di deverdizzazione, esaltato dalla ceratura
Disinfestazione Gli agrumi destinati ai mercati esteri devono essere soggetti a disinfestazione contro gli insetti della frutta, specialmente la mosca. Nel passato la disinfestazione dei frutti era eseguita mediante fumigazioni con bromuro di metile o di etilene, ma a causa della loro tossicità il loro uso non è più consentito. Attualmente la disinfe-
Sporificazione della muffa verde e azzurra su frutti di limone
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raccolta e post-raccolta stazione dei frutti viene eseguita mediante trattamenti con flussi di aria umida riscaldata o vapore riscaldato o mediante trattamenti di quarantena a regime di freddo. In tutti i casi si deve operare secondo protocolli internazionali per assicurare la completa devitalizzazione di tutti gli stadi degli insetti da quarantena. Per esempio, gli agrumi possono essere disinfestati sottoponendoli a un flusso di aria calda a 44 °C per 100 minuti, dopo che il centro del frutto avrà raggiunto l’equilibrio termico. Non tutte le cultivar sono tolleranti ai trattamenti a caldo per cui è importante verificarne la risposta prima di ogni trasferimento a livello commerciale.
La frigoconservazione e il danno da freddo
• La frigoconservazione consente
di estendere la vita post-raccolta degli agrumi da alcune settimane a 2-3 mesi. Prolungati periodi di esposizione a temperature inferiori a 10-12 °C ma al di sopra del punto di congelamento possono causare danni da freddo • La suscettibilità al danno da freddo è influenzata dalle condizioni pedoclimatiche, dalle operazioni colturali e dall’epoca di raccolta • La tolleranza dei frutti alle basse temperature può essere aumentata con i seguenti interventi: - temperature intermittenti (interruzioni periodiche delle basse temperature di conservazione); - condizioni di elevata umidità nell’ambiente di conservazione; - applicazione di cere; - confezionamento con film plastici; - trattamenti con fungicidi (tiabendazolo, imazalil); - trattamenti di termoterapia
Frigoconservazione La vita post-raccolta degli agrumi è limitata dallo sviluppo dei patogeni, dai cambiamenti dei parametri di qualità interna (riduzione dell’acidità, degli zuccheri, della vitamina C ecc.) per effetto dell’attività respiratoria e dalla perdita di peso e dalla comparsa di alterazioni visive indotte dalla traspirazione. Riducendo la temperatura nell’ambiente di conservazione si creano condizioni sfavorevoli per lo sviluppo dei patogeni e si abbassa l’attività respiratoria e la traspirazione, effetti che si traducono in un prolungamento della vita post-raccolta. Tuttavia, come in tutti i prodotti ortofrutticoli, basse temperature di conservazione possono causare danni da freddo. Le potenzialità di vita post-raccolta e la risposta alla frigoconservazione dipendono da molti fattori, come la varietà, l’area geografica, le particolari condizioni pedoclimatiche, le pratiche colturali e l’andamento climatico stagionale. Per esempio, le arance prodotte in Florida possono essere conservate per diversi mesi a 0-1 °C, mentre le temperature consigliate per le stesse varietà prodotte in California sono di 3-5 °C; allo stesso modo, i pompelmi prodotti in Florida sono più tolleranti alle basse temperature di quelli californiani. Il grado di maturazione al momento della raccolta è un altro fattore che ne condiziona la risposta alle basse temperature; normalmente più avanzato è il grado di maturazione, minore è la potenziale vita post-raccolta, anche se la suscettibilità alle basse temperature è più marcata nei frutti raccolti a inizio e a fine stagione. Le arance bionde e gran parte dei mandarino-simili sono meno sensibili ai danni da freddo e sono conservati a 5-6 °C e 90-95% UR, anche se possono sopportare temperature di 1-2 °C. La risposta delle arance pigmentate alle basse temperature è molto variabile, anche perché esistono numerosi cloni con caratteristiche fisiologiche ben differenziate, soprattutto per quanto riguarda il Tarocco. Le condizioni suggerite sono di 8-10 °C e 90-95% UR, anche se in varie prove sperimentali non è stata osservata comparsa di danni da freddo in seguito a prolungati periodi di esposizione a 1-2 °C. Limoni, limette e pompelmi sono le specie più suscettibili, in cui temperature inferiori a 10 °C possono causare gravi danni a livello sia di epicarpo sia dei tessuti dell’endocarpo; le condizioni di conservazione suggerite sono di 10-12 °C e 90-95% UR.
Piticchia batterica su limone
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Alterazioni non parassitarie Salvatore Spezziga D’Aquino, Mario Schirra
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).
coltivazione Alterazioni non parassitarie Sono squilibri di processi fisiologici che possono presentarsi in seguito a stress abiotici, quali temperatura, umidità relativa, vento, squilibri idrici, carenza o eccesso di sostanze nutritive, e alterazioni legate allo stadio di maturazione dei frutti, la cui manifestazione spesso è esaltata dall’interazione con i fattori pedoclimatici e nutrizionali. Di notevole rilevanza economica sono anche i danni meccanici contratti durante lo sviluppo e la maturazione dei frutti (vento, grandine) e le operazioni di raccolta, trasporto e lavorazione. In molti casi i danni interessano l’epicarpo e possono evidenziare quadri sintomatologici molto complessi, in particolare quando concorrono più fattori di stress. Anche se tali alterazioni raramente pregiudicano la qualità chimico-nutrizionale e gustativa, la loro manifestazione può danneggiare pesantemente il prodotto sotto l’aspetto commerciale e portare al deprezzamento di intere partite di frutta nei casi più gravi. La suscettibilità ai disordini fisiologici dipende dalla specie, dalla cultivar e dalle condizioni ambientali, nonché dalle tecniche colturali e dagli interventi post-raccolta. Di seguito è data una descrizione dei principali disordini, dei loro sintomi e delle misure da adottare in campo e nella fase postraccolta per prevenirne la comparsa o ridurne la gravità.
Decolorazione della buccia e disidratazione della polpa causate da congelamento
Pre-raccolta Danni da congelamento I danni da congelamento sono comuni nelle principali aree in cui gli agrumi sono coltivati (bacino mediterraneo, Stati Uniti, America Danni da gelo su mandarini Nova
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alterazioni non parassitarie Latina, Cina e Giappone); in genere colpiscono i frutti, ma nei casi più gravi possono interessare l’intera pianta. I frutti danneggiati manifestano gravi alterazioni delle membrane intercapillari e ampie aree disidratate della porzione di endocarpo a partire dalla rosetta. Granulazione Tipica di molte varietà di mandarino-simili e arance raccolti in stadio avanzato di maturazione, consiste nell’asciugamento delle vescicole che può avvenire prima della raccolta o durante la frigoconservazione, specie se prolungata. L’alterazione inizia nell’estremità basale e si estende gradualmente fino all’altra estremità interessando tutti i segmenti. È un’alterazione di tipo genetico, ma fortemente influenzata dalle condizioni pedoclimatiche e dall’epoca di raccolta. La raccolta anticipata e i trattamenti con acido gibberellico ritardano o riducono l’intensità del danno.
Granulazione su mandarino Primosole
Spaccatura dei frutti È un’alterazione caratterizzata da lacerazioni della buccia che in genere hanno origine nella parte apicale del frutto, in corrispondenza della cicatrice stilare, e che possono estendersi anche all’endocarpo. Si manifesta in seguito ad abbondanti disponibilità idriche seguite da periodi di siccità, specialmente nelle fasi di maggiore accrescimento del frutto. La raccolta precoce, il diradamento, che favorisce l’ispessimento della buccia, e trattamenti di campo con cloruro di calcio e/o nitrato di potassio, nella fase di ingrossamento dei frutti, possono contenere l’entità del danno. Inizio di spaccatura dalla parte apicale del frutto, in corrispondenza della cicatrice stilare
Infezioni latenti sulla cicatrice stilare di Alternaria citri ed eccessiva esposizione favoriscono la spaccatura dei frutti Spaccatura su mandarino Nova
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coltivazione Spigatura È conseguente a una senescenza precoce del frutto che porta a un abnorme sviluppo e al successivo rilassamento e lacerazione dell’albedo, che tende a restare aderente all’epicarpo e a staccarsi dall’endocarpo. I frutti alterati diventano parzialmente o uniformemente soffici al tatto e la superficie esterna si presenta irregolare con numerose protuberanze. Incrinatura dell’albedo È un disordine fisiologico legato a un irregolare e ridotto ritmo di accrescimento dell’albedo. Il più intenso ritmo di accrescimento del flavedo causa la lacerazione e la discontinuità dell’albedo, che si evidenzia con strette scanalature e depressioni sulla buccia. La comparsa di quest’alterazione è legata a fattori genetici e a squilibri. La gravità dell’alterazione aumenta con la maturazione dei frutti, per cui nelle varietà suscettibili è consigliabile non ritardare la raccolta dei frutti. Trattamenti con acido gibberellico e nitrato di potassio quando i frutti hanno un diametro di 30-50 mm possono ritardarne l’insorgenza e alleviare la gravità del danno.
Spigatura: il frutto di sinistra è sano, quello di destra è alterato
Insolazione È un’alterazione comune nelle zone tropicali aride o semiaride, dove l’intensità della luce è molto elevata. È caratterizzata da macchie comparse in seguito a insolazione, che nelle situazioni più gravi si evidenziano con aree imbrunite per la necrosi delle cellule del flavedo. Queste alterazioni sono più frequenti su piante giovani, i cui frutti sono più esposti alle radiazioni solari. L’ombreggiamento riduce questo disordine.
Incrinatura su arancia Navelina: a sinistra frutto alterato, a destra frutto sano
Incrinatura su arance Tarocco
Danni da eccessiva insolazione su mandarino Avana Danni da eccessiva insolazione su mandarino Page
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alterazioni non parassitarie Macchiato d’acqua È una fisiopatia frequente su clementine e mandarino che si evidenzia sull’epicarpo sotto forma di macchie di colore chiaro per effetto della penetrazione e diffusione dell’acqua negli spazi intercellulari del flavedo e dell’albedo. Quest’alterazione si manifesta in forma grave in annate particolarmente piovose, in frutti in fase avanzata di maturazione, ed è favorita da trattamenti con oli minerali effettuati in tarda estate o inizio autunno. Interventi in campo con sostanze di tipo ceroso, che rendono il flavedo meno permeabile all’acqua, e con acido gibberellico, che rallenta la senescenza dei tessuti, possono ridurre o ritardare la manifestazione di quest’alterazione. Nei casi meno gravi se a condizioni umide fanno seguito periodi asciutti i sintomi possono essere reversibili; nei casi più gravi la zona affetta assume una colorazione brunastra e lignificata. Se le condizioni di umidità permangono le zone affette rappresentano siti di infezione per i patogeni, in particolare penicilli e marciume acido.
Macchiato d’acqua su mandarino Simeto
Altri danni Altre alterazioni che possono avere un forte impatto economico, soprattutto in certe annate e in aree con condizioni climatiche particolari, sono quelle di natura meccanica causate dal vento, dallo sfregamento dei frutti contro i rami e dalla grandine. Da non trascurare, per la loro aspecificità, sono infine i danni derivanti da errate pratiche agronomiche, come i trattamenti con agrofarmaci e/o concimi fogliari. Macchiato d’acqua su arancia Washington Navel
Area suberosa causata dallo sfregamento contro i rami per l’azione del vento
I danni causati dalle spine possono favorire lo sviluppo di marciumi per l’instaurarsi di patogeni saprofiti o a debole attività parassita
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coltivazione Post-raccolta Danni da freddo Sono alterazioni che compaiono in seguito all’esposizione dei frutti per periodi prolungati a temperature inferiori a 10-12 °C ma superiori al punto di congelamento. I sintomi si evidenziano principalmente a carico dell’esocarpo sotto varie forme di dermatosi, ma possono estendersi anche all’albedo e ai segmenti. Le dermatosi possono svilupparsi in maniera discontinua e puntiforme, con aree imbrunite e depresse, o con imbrunimenti omogenei diffusi su estese porzioni, sulla superficie del frutto, o con forme più complesse. Anche se l’esposizione alle basse temperature può causare la comparsa di danni da freddo in tutti gli agrumi, la suscettibilità e la forma dei sintomi variano in base alla cultivar e allo stadio di maturazione. I danni da freddo si evidenziano principalmente in seguito al trasferimento dei frutti dalle basse temperature di conservazione a temperatura ambiente. I tessuti danneggiati diventano più suscettibili all’attacco dei patogeni, la cui prevalenza è in parte legata all’età fisiologica dei frutti; per esempio nei frutti giovani si sviluppano più frequentemente i penicilli, mentre in quelli in stadio più avanzato di maturazione o senescenti è più probabile la comparsa di Alternaria citri. I danni da freddo possono verificarsi anche in campo, specie nelle varietà più tardive e sensibili alle basse temperature, come nei mandarini Fortune o in frutti raccolti in stadio avanzato di maturazione. In questo caso il quadro sintomatologico può essere più complesso, per la sovrapposizione di danni di altra natura. La sensibilità dei frutti alle basse temperature dipende da diversi fattori, tra cui la specie, la varietà, il grado di maturazione raggiunto al momento della raccolta, l’epoca di raccolta, l’ambiente di coltivazione, le operazioni colturali ecc. Oltre alla manifestazione di sintomi percepibili visivamente, prolungate esposizioni alle basse temperature possono alterare significativamente il normale metabolismo dei frutti, come la riduzione della funzionalità delle membrane cellulari (aumento della perdita di elettroliti), l’incremento dell’attività respiratoria e della produzione di etilene e di composti tipici del metabolismo anaerobico (acetaldeide ed etanolo), che oltre a ridurre la durata della vita post-raccolta alterano in maniera più o meno grave le caratteristiche nutrizionali e gustative. I pompelmi e i limoni sono le specie più sensibili, seguiti dalle arance pigmentate e dalle arance bionde. Diverse pratiche post-raccolta possono contribuire efficacemente a ridurre e prevenire i danni da freddo, tra le quali meritano una menzione i trattamenti fungicidi con tiabendazolo e imazalil, l’immersione preconservazione dei frutti in acqua a 5052 °C per 2-3 minuti, elevati livelli di umidità nell’ambiente di conservazione, temperature intermittenti di conservazione (cicli
Dermatosi da freddo su arance Tarocco
Danni da freddo su pompelmi Red Blush
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alterazioni non parassitarie di basse temperature intervallati da brevi periodi con temperature più elevate). Di seguito sono descritte le manifestazioni visive più frequenti riscontrabili in seguito a esposizione a basse temperature di conservazione. Maculatura e macchiato. Si manifesta sotto forma di aree imbrunite puntiformi e depresse che tendono ad allargarsi con l’intensità del danno e a confluire, interessando ampie porzioni del flavedo con margini ben definiti, la cui colorazione varia dal bruno al nero in funzione della gravità del danno. Una forma di dermatosi simile alla maculatura (segnalata in Giappone soprattutto su frutti di mandarino Hassaku), denominata “Kohansho”, si caratterizza per la comparsa di macchie depresse di colore bruno, a margine ben definito, a carico dell’epicarpo. La suscettibilità dei tessuti alle dermatosi da freddo è minore nei frutti posti all’interno della chioma o nella parte di essi meno esposta alla luce diretta del sole. Imbrunimento dell’albedo. Si riscontra nei limoni conservati a temperature molto basse, in celle frigorifere scarsamente ventilate, e si manifesta con imbrunimenti, raggrinzimenti e depressioni dell’albedo. I frutti verdi sono più suscettibili di quelli in fase di invaiatura o completamente colorati.
Danni da freddo su arancia Tarocco
Membranosi. È un’alterazione che interessa principalmente i limoni e si manifesta con il progressivo imbrunimento delle membrane carpellari, estendendosi nelle forme più gravi anche all’asse carpellare. Membranosi su limone
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coltivazione Oleocellosi Si tratta di un disordine comune a tutte le specie di agrumi, causato da rottura e fuoriuscita nei tessuti circostanti degli oli essenziali che, per la fitotossicità dei terpeni in essi contenuti, porta alla necrosi delle cellule con cui vengono a contatto. I sintomi dell’oleo cellosi si manifestano come macchie gialle o brune, di forma e dimensione variabili in relazione alla gravità del danno. In genere, la rottura delle ghiandole avviene durante la raccolta, specialmente se si opera con frutti bagnati o in condizioni di elevata umidità, quando più elevato è il turgore cellulare. In giornate umide è raccomandabile cominciare la raccolta in tarda mattinata, quando i frutti sono asciutti. La rottura delle ghiandole oleifere può verificarsi anche nel corso del trasporto e della lavorazione. I frutti raccolti all’invaiatura sono più suscettibili all’oleocellosi rispetto a quelli completamente colorati. La necrosi dei tessuti in seguito al contatto con gli oli essenziali non è immediata e la comparsa dei sintomi può evidenziarsi a distanza di giorni. L’immersione dei frutti in acqua tiepida subito dopo la raccolta e l’esposizione per 1-2 giorni a temperatura ambiente, che favorisce una leggera disidratazione della buccia, possono ridurre notevolmente la gravità dei sintomi in condizioni particolarmente favorevoli alla manifestazione dell’oleocellosi.
Oleocellosi su arancia Tarocco
Riscaldo Consiste in alterazioni dovute a lievi abrasioni che si verificano durante le operazioni di raccolta, imballaggio e trasporto, più frequenti in frutti in avanzato stadio di maturazione, nei quali le cere epicuticolari tendono ad assumere una consistenza soffice e appiccicosa. Le aree danneggiate acquisiscono una colorazione rosso-bruna. Queste alterazioni possono essere controllate mediante un’accurata manipolazione dei frutti e con trattamenti preraccolta con acido gibberellico. Piticchia o peteca È un disordine che interessa soprattutto i limoni. I danni da piticchia si presentano in forma di maculature chiare, leggermente depresse che, con l’evolvere dell’alterazione, diventano scure e disidratate. Le operazioni di spazzolatura, l’impiego di cere poco permeabili ai gas, condizioni di elevata umidità e squilibri nutrizionali (per esempio elevati livelli di azoto e calcio e bassa disponibilità di fosforo) favoriscono la comparsa di questo disordine. Maculatura asfittica È un’alterazione indotta da condizioni asfittiche causate dall’applicazione di cere e che si manifesta dopo il trasferimento dei frutti in condizioni di mercato o in frutti conservati a temperature superiori a 10-12 °C.
Adustiosi su limone
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alterazioni non parassitarie Concentrazioni endogene di ossigeno inferiori al 12% possono già predisporre i frutti alla comparsa della maculatura asfittica. La gravità dei sintomi aumenta se si passa da condizioni refrigerate con bassa umidità a temperature più alte associate a elevata umidità. Nelle prime fasi la maculatura asfittica è facilmente distinguibile dalla maculatura causata dalle basse temperature, perché le prime cellule a essere affette sono quelle delle ghiandole oleifere; successivamente i sintomi possono essere confusi. Tale alterazione è stata riscontrata per la prima volta in Florida, su pompelmi sottoposti a ceratura con prodotti poco permeabili ai gas. Alterazioni simili sono state osservate anche su arance del gruppo Navel. I danni possono essere ridotti evitando l’impiego di cere poco permeabili (cere tipo shellac o ottenute da resine possono far scendere la concentrazione di O2 all’interno del frutto al 3-4%) a favore di cere molto permeabili ai gas (carnauba, polietilene). Adustiosi Si tratta di piccole macchie superficiali di colore rosso che compaiono in seguito a ferite di lieve entità e che interessano sia i tessuti lesi sia quelli adiacenti. L’adustiosi colpisce soprattutto i limoni, in particolare quelli raccolti precocemente e in periodi freddo-umidi. Danni molto gravi possono manifestarsi in partite suscettibili in seguito al trattamento con etilene per la deverdizzazione. La comparsa dei sintomi è stata associata alla cicatrizzazione delle ferite. L’applicazione di antiossidanti può attenuare la gravità dei danni.
Necrosi peripeduncolare su arancia dopo prolungata conservazione refrigerata
Necrosi peripeduncolare È un’alterazione dei tessuti circostanti la rosetta che, in seguito all’imbrunimento e al successivo collasso, danno origine a un cerchio più o meno esteso di cellule morte. In genere si manifesta nei frutti raccolti in stato avanzato di maturazione ed è causato dall’eccessiva traspirazione, che nella zona peduncolare è più accentuata. L’insorgenza di questi disordini può determinare la comparsa di retrogusti e rendere i frutti suscettibili allo sviluppo di patogeni (Diplodia natalensis e altri funghi). La conservazione in ambiente con elevata umidità o la ceratura possono alleviare la gravità dei sintomi. Necrosi stilare È frequente nei frutti di Persian Lime, meno frequente su frutti di altre specie. Inizialmente compare nella zona dell’apice stilare sotto forma di leggeri imbrunimenti, che gradualmente si estendono su buona parte del frutto assumendo un aspetto depresso e disidratato. I frutti di grossa pezzatura sono più suscettibili di quelli più piccoli.
Danni da ceratura su arancia Tarocco
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gli agrumi Foto Sibarit
coltivazione Parametri di qualità Paolo Inglese, Carmelo Mennone
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coltivazione Parametri di qualità Specie e varietà condizionano dimensioni e forma del frutto degli agrumi, che può essere ovale, piriforme, sferico o appiattito ai poli. Il frutto è costituito da diverse parti: esocarpo (o epicarpo), mesocarpo ed endocarpo; l’epicarpo è conosciuto come flavedo. I frutti di agrumi hanno un periodo di sviluppo molto prolungato, variabile da 6 a oltre 12 mesi, in funzione della specie e delle varietà. Nell’emisfero settentrionale, il calendario di maturazione va sostanzialmente da settembre, con i limoni “primofiore”, a luglio, con le arance tardive, non considerando i limoni a maturazione estiva. In generale la crescita del frutto, in termini di peso, segue un andamento a sigmoide semplice, con una terza fase più o meno prolungata. I frutti di agrumi hanno tassi di respirazione in genere bassi e, diversamente dai frutti climaterici, possono essere mantenuti sulla pianta per periodi più o meno lunghi dopo il raggiungimento della maturazione fisiologica con minime perdite delle caratteristiche qualitative. Specie e varietà hanno, però, un’assai diversa resistenza al distacco dei frutti,
Limone femminello maturo
Incidenza percentuale delle varie parti che costituiscono i frutti, variabile in funzione della tipologia di agrume %
Arancia
Limone
Mandarino
Pompelmo
Buccia
20-40
30-45
25-35
34-36
Polpa
60-80
50-65
65-75
63-67
Succo
25-50
20-30
30-38
30-35
Ciclo di sviluppo del frutto di agrumi Stadio I
A
Cascola dei frutti
308
M
Stadio II
G
L
A
S
Stadio III
O
N
D
G
parametri di qualità Andamento del contenuto in zuccheri solubili (E) e acidità titolabile (A), nel succo di arance, durante la maturazione 12 E
°Brix
11 10 0 8
g/100 ml
20 1,5 A
10 0,5 0
cui corrisponde un’ampia variabilità della cascola pre-raccolta: intensa in alcuni casi, ridotta in altri. Le arance bionde a maturazione tardiva come Valencia Late mantengono quasi inalterate le caratteristiche qualitative per un lungo periodo (3-4 mesi), mentre le cultivar pigmentate vanno soggette a un progressivo deterioramento. Raccogliere al giusto grado di maturazione e con tempo asciutto è importante per la conservazione dei frutti. Durante la maturazione l’acidità diminuisce e i fenomeni di senescenza aumentano più rapidamente nei frutti rimasti sulla pianta rispetto a quelli frigoconservati. Anche le cultivar bionde tardive non sono esenti da problemi correlati a raccolte dilazionate nel tempo (granulazione e rinverdimento dei frutti), con scadimento qualitativo delle caratteristiche organolettiche e commerciali del prodotto. Inoltre il mantenimento dei frutti sulla pianta richiede generalmente interventi anticascola e il controllo della mosca della frutta. Il grado di maturazione delle diverse varietà al momento della raccolta è determinante per la resistenza del frutto alle sollecitazioni mec-
Arance in vendita in un mercato asiatico
Zuccheri nei frutti di agrumi Specie
Glucosio
Fruttosio
Saccarosio
TSS
Arance comuni
19,3
22,6
44,2
10,7
Arance rosse
24,0
30,0
46,9
12,5
Mandarini
12,2
11,5
70,8
11,6
Clementine
14,4
16,6
62,7
11,2
Limoni
7,8
7,7
4,1
7,6
Limoni Genova al mercato di Buenos Aires
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coltivazione caniche provocate dai trattamenti post-raccolta e per il mantenimento delle caratteristiche organolettiche del prodotto in conservazione. Una raccolta estremamente precoce dovrebbe essere evitata, perché comporta un decremento delle caratteristiche organolettiche di qualità, come sapore, colore, struttura, così come di valore nutritivo. Anche la raccolta molto ritardata dovrebbe essere evitata, perché i frutti troppo maturi sono delicati e facilmente inclini a fitopatie fisiologiche e parassitarie. Occorre raccogliere con tempo asciutto o comunque aspettando che i frutti si siano liberati dalla rugiada condensatasi durante la notte precedente, per evitare che i frutti turgidi siano più suscettibili ai danni da urti, che possono causare la rottura delle ghiandole oleifere e la conseguente fuoriuscita degli oli essenziali. La normativa italiana non fa riferimento a un particolare indice di maturazione; a differenza di altri paesi produttori, ci si affida a quanto definito dal Regolamento (CE) 1221/2008, che stabilisce che i frutti “debbono essere raccolti con cura e aver raggiunto un adeguato grado di sviluppo e di maturazione, rispondente alle caratteristiche della varietà, dell’epoca di raccolta e della zona di produzione” (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ. do?uri=OJ:L:2008:336:0001:0080:it:PDF) limitandosi a indicare il contenuto in succo minimo (%). La colorazione dell’epicarpo non sempre rappresenta un valido indice di maturazione dei
Pummelo
Agrumi in vendita a Londra
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parametri di qualità frutti, mentre il rapporto SST/acidità titolabile (E/A) costituisce un parametro di maturità molto sensibile. I parametri qualitativi da considerare nella raccolta degli agrumi sono di due ordini: commerciali e organolettici. Parametri commerciali: si tratta di caratteri di tipo visivo, quali forma, colore, uniformità, calibro; la forma deve essere regolare, il colore della buccia intenso e uniforme, la superficie del frutto priva di alterazioni e patologie. Parametri organolettici: riguardano tutte le proprietà percepibili dai nostri sensi, quali il sapore e l’odore; di particolare importanza è la succosità. Per verificare lo stato di maturazione è possibile utilizzare gli indici, rilevabili con metodologia e strumentazioni di ampia diffusione, descritti di seguito.
Pompelmi al mercato di Saint Germain a Parigi
Indici fisici: consistono nel colore di fondo e nel sovraccolore, determinabili strumentalmente (colorimetri) o per mezzo di carte colorimetriche comparative, e permettono di raccogliere i frutti quando raggiungono una tonalità tipica della cultivar. È opportuno notare come la colorazione della buccia possa permanere verde anche quando il contenuto in zuccheri e aromi ha già raggiunto un livello più che soddisfacente per il consumo. La colorazione, infatti, è favorita dalle escursioni termiche giorno/notte. Il colore di fondo non è in genere considerato un indice di maturazione affidabile per definire l’epoca di raccolta, sebbene, in molti casi, lo sia. Indici chimici: sono il contenuto in zuccheri e l’acidità titolabile della polpa. Il contenuto in zuccheri, espresso in °Brix, si determina con il rifrattometro. Il dosaggio dell’acidità totale esprime
Limoni al mercato di Damasco
Valori di riferimento di alcuni parametri di qualità dei frutti relativi alle principali cultivar di arancio e del gruppo mandarini (Fonte: AA.VV.) Varietà
Resa in succo Solidi totali (SS) Acidità totale (AT) SS/AT Vitamina C valore minimo (%) valore minimo (%) valore massimo (g/100 ml) valore minimo valore medio (g/100 ml)
Tarocco
40
10
1,4
7
50-60
Moro
35
10
1,5
6,5
45-55
Sanguinello
40
10
1,4
7
45-55
Naveline
35
10
1,2
8
40-50
Washington navel
35
10
1,2
8
40-50
Valencia Late
40
12
1,2
10
40-50
Mandarino Avana e Tardivo di Ciaculli
35
10
1,5
8
40-45
Clementine comune
35
10
1,5
8
45-50
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coltivazione il contenuto di acidi presenti nel frutto ed è ottenuto neutralizzando gli acidi totali liberi presenti nel succo (acido citrico) con una soluzione 0,1 N di idrossido di sodio (NaOH). Il rapporto tra i solidi solubili totali e l’acidità totale (SS/AT) costituisce un altro importante parametro utilizzato per la valutazione della maturazione degli agrumi ed estensivamente studiato in molte aree di produzione. Per quanto riguarda l’arancia è consigliabile che il valore minimo del rapporto solidi solubili/acidità per le cultivar precoci sia pari almeno a 8; fa eccezione la cultivar Moro, per la quale può essere abbassato a 5. Tale valore s’innalza a 10-12 per le cultivar più tardive. Per i mandarini si consiglia un rapporto solidi solubili/acidità non inferiore a 7. Tuttavia, è da considerare che esistono caratteristiche peculiari per ogni specie e cultivar di agrumi (contenuto in zuccheri e acidi organici differenti) che non permettono di uniformare i valori del rapporto SS/AT o di altri parametri qualitativi. Gli indici di maturazione previsti dalle norme di commercializzazione dalla legislazione italiana fanno sostanzialmente riferimento al contenuto in succo e alla colorazione dei frutti. Per quanto riguarda il primo parametro, valori del 20% di resa in succo sono frequenti per il limone “primofiore”, mentre nel caso dei limoni comuni la resa in succo non deve essere inferiore al 25% e arriva al 30-35% nei casi di eccellenza. Per le arance rosse si oscilla intorno al 30%, fino ad arrivare a valori del 33% per le ombelicate, del 35% per le arance bionde comuni, di media epoca, e a valori >45% tipici del Valencia Late e di alcuni ibridi come Clara, Alkantara, Mandared. I clementine raggiungono valori compresi tra il 35 e il 40%. Il limone, oltre ad avere colore giallo intenso e uniforme, deve essere privo di rammollimenti nella polpa, privo di difetti, di danni da freddo, da secco, da raccolta meccanica, esente da macchie brune e rosse, raggrinzimenti e decolorazioni. I limoni raccolti con una colorazione verde scuro hanno una più lunga vita in post-raccolta, mentre quelli raccolti quando presentano una colorazione gialla intensa devono essere commercializzati più rapidamente. I mandarini devono aver raggiunto il colore (giallo e/o rosso) di fondo su almeno il 75% della superficie; il rapporto solidi solubili/ acidi sarà compreso tra 7-8.
Contenuto di vitamina C nei frutti di agrumi Specie
Vitamina C (mg 100 ml-1)
Arancia comune
40,0
Arancia rossa
60,0
Mandarini
25,0
Clementine
48,2
Limone
50,0
Fattori che influenzano la maturazione Tra i numerosi fattori che influenzano la maturazione degli agrumi si ricordano la cultivar, la potatura, la concimazione, l’irrigazione e l’uso di fitoregolatori. Una buona esposizione alla luce dei frutti influisce in maniera positiva sulle caratteristiche qualitative. Eccessivi apporti di concimazioni azotate aumentano la produzione a discapito della qualità; in particolare aumentano l’incidenza di frutti affetti da spigatura, lo spessore e la rugosità della buccia. Di segno opposto sono le concimazioni fosfopotassiche. Una
Mandarino Tardivo di Ciaculli alla raccolta
312
parametri di qualità carenza idrica provoca alterazioni del metabolismo della pianta che possono comportare un ridotto accrescimento dei frutti e una cascola più consistente. Eccessi idrici favoriscono una diminuzione del contenuto in zuccheri solubili e l’insorgenza di frutti marci durante il post-raccolta. Raccolta La raccolta avviene manualmente con l’ausilio di scale, utilizzando le forbici per operare il taglio del peduncolo dell’arancio, sopra la rosetta. Il prodotto così raccolto viene depositato in cassette o bins puliti e senza residui di terra, dove i frutti devono essere fatti rotolare delicatamente, e infine portato nei centri di raccolta. Nella stagione calda i bins devono essere mantenuti umidi per rinfrescare i frutti e ridurre la disidratazione e devono essere posti all’ombra e trasportati al magazzino il più presto possibile. La raccolta va effettuata con la massima cura per evitare danni ai frutti che favorirebbero la penetrazione di parassiti. Tecniche colturali e qualità La qualità dei frutti è determinata, oltre che dalla varietà e dal portainnesto, anche da fattori ambientali e tecniche colturali che condizionano lo sviluppo dei frutti, nonché dalla presenza di eventuali difetti sulla buccia e di colorazione. Tra le tecniche colturali, certamente l’irrigazione svolge un ruolo importante; infatti tutte le sperimentazioni effettuate hanno mostrato come irrigazioni costanti durante il periodo estivo determinino una maggiore pezzatura dei frutti. Da diverse ricerche è emerso che quanto più breve è il turno irriguo, tanto più aumenta
Water spot
Foto R. Piazza
Pompelmi israeliani al mercato di Bologna
Frutti di mandarino e di arancio, venduti sbucciati al mercato di Katmandu (Nepal)
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coltivazione il calibro dei frutti; al contrario, man mano che si allunga la pezzatura diminuisce. Per affrontare tale tecnica risulta importante tarare i coefficienti colturali tra 0,7 e 0,8, valori che consentono di ottenere il miglior calibro. Lo stress idrico con la riduzione del 7090% del volume irriguo può indurre una diminuzione del calibro. L’azoto incrementa la produzione ma diminuisce la pezzatura. Il suo apporto consente il conseguimento di una maggiore produzione in arance e clementine, che però è dovuta all’aumento del numero dei frutti a danno della pezzatura. Un eccesso di questo minerale può determinare un rinverdimento dei frutti, soprattutto nelle varietà tardive. È fondamentale frazionare in fertirrigazione l’apporto azotato, o utilizzare fertilizzanti che rendono disponibile l’azoto in maniera graduale. Il fosforo ha lo stesso effetto dell’azoto: infatti all’aumentare della quantità di fosforo aumenta la produzione, caratterizzata da un incremento del numero dei frutti, che però sono di dimensioni minori. Questo incide sulle caratteristiche esterne, ritardando la colorazione, e interne del frutto, comportando la diminuzione dei solidi solubili e dell’acidità. Nell’arancio il potassio aumenta la quantità di prodotto, con un incremento del numero e del peso dei frutti. Questo elemento ha un effetto positivo entro un certo range, ma il suo eccesso genera frutti con precoci marciumi in post-raccolta. D’altra parte, si incrementa il rinverdimento, si ritarda il cambio di colore, il creasing decresce, diminuiscono leggermente i solidi solubili e aumenta lievemente l’acidità, con una diminuzione del rapporto di maturazione.
Composizione di frutta: melograno e arance
Foto R. Piazza
Particolare dei terrazzamenti di mandarineti della Conca d’Oro a Palermo: cultivar Tardivo di Ciaculli
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parametri di qualità Applicazioni fogliari di nitrato di potassio, con concentrazione a partire da 0,5% fino a 1,5%, determinano un incremento di pezzatura, quando si effettuano tre interventi a cadenza mensile in maggio, giugno e luglio, senza differenze significative per solidi solubili e acidità. L’aumento della pezzatura può essere conseguito con l’uso di fitoregolatori a base auxinica, irrorati dopo la cascola fisiologica di giugno. L’impiego di queste sostanze deve avvenire quando i frutti hanno raggiunto un diametro di 20 mm e 30 mm, rispettivamente per clementine e arancio.
Foto R. Piazza
Norme di qualità per gli agrumi - Regolamento (CE) n. 1221/2008 della Commissione del 5 dicembre 2008 Definizione del prodotto La presente norma si applica ai seguenti frutti classificati sotto la denominazione “agrumi”, destinati a essere forniti allo stato fresco al consumatore, esclusi quelli destinati alla trasformazione industriale: – limoni delle varietà (cultivar) derivate dalla specie Citrus limon (L.) Burm. f.; – mandarini delle varietà (cultivar) derivate dalla specie Citrus reticulata Blanco, compresi i satsuma (Citrus unshiu Marcow.), le clementine (Citrus clementina Hort. ex Tan.), i mandarini comuni (Citrus deliciosa Ten.) e i tangerini (Citrus tangerina Hort. ex Tan.) derivati da queste specie e dai loro ibridi, in appresso denominati “mandarini”, arance delle varietà (cultivar) derivate dalla specie Citrus sinensis (L.).
Foto R. Piazza
Disposizioni relative alla qualità La norma ha lo scopo di definire le caratteristiche qualitative che gli agrumi devono presentare dopo il condizionamento e l’imballaggio. A. Caratteristiche minime In tutte le categorie, tenuto conto delle disposizioni specifiche previste per ogni categoria e delle tolleranze ammesse, gli agrumi devono essere: – i nteri; – privi di ammaccature e/o lesioni cicatrizzate estese; – sani; sono esclusi i prodotti affetti da marciume o che presentino alterazioni tali da renderli inadatti al consumo; – puliti, praticamente privi di sostanze estranee visibili; – praticamente privi di parassiti; – praticamente esenti da danni provocati da attacchi di parassiti; – esenti da segni di essiccamento interno; – esenti da danni dovuti alle basse temperature o al gelo; – privi di umidità esterna anormale; – privi di odore e/o sapore estranei. 315
coltivazione Gli agrumi devono essere stati raccolti con cura e aver raggiunto un adeguato grado di sviluppo e di maturazione rispondente alle caratteristiche della varietà, dell’epoca di raccolta e della zona di produzione. Lo sviluppo e il grado di maturazione degli agrumi devono essere tali da consentire il trasporto e le operazioni connesse, l’arrivo al luogo di destinazione in condizioni soddisfacenti. Gli agrumi rispondenti ai criteri di maturazione di cui al presente allegato possono essere “deverdizzati”. Tale trattamento è consentito soltanto a condizione che non vengano modificate le altre caratteristiche organolettiche naturali.
Foto R. Piazza
B. Requisiti di maturazione Il grado di maturazione degli agrumi è definito dai parametri seguenti, indicati per ciascuna specie sotto menzionata: 1. contenuto minimo di succo; 2. colorazione. Il grado di colorazione deve essere tale che, al termine del normale processo di sviluppo, gli agrumi raggiungano al punto di destinazione il colore tipico della varietà. Limoni. Limoni verdelli e primofiore: 20%; Altri limoni: 25% Colorazione: la colorazione deve essere quella tipica della varietà. Tuttavia, i frutti che presentano una colorazione verde (purché non scura) sono ammessi a condizione che soddisfino i requisiti in materia di contenuto minimo di succo. Mandarini. Mandarini, escluse le clementine: 33%; Clementine: 40% Colorazione: la colorazione deve essere quella tipica della varietà su almeno un terzo della superficie del frutto. Arance. La colorazione deve essere quella tipica della varietà. I frutti che presentano una colorazione verde chiara sono ammessi a condizione che tale colorazione non superi un quinto della superficie totale del frutto. I frutti devono presentare il seguente contenuto minimo di succo: Arance sanguigne: 30%; Gruppo Navel: 33%; Altre varietà: 35% Tuttavia, le arance prodotte in zone caratterizzate da temperature atmosferiche elevate e da forte umidità relativa durante il periodo di sviluppo possono presentare una colorazione verde su più di un quinto della superficie totale del frutto a condizione che abbiano un contenuto minimo di succo del 35-45%. C. Classificazione Gli agrumi sono classificati nelle tre categorie seguenti: Categoria “Extra”. Gli agrumi di questa categoria devono essere di qualità superiore. La loro forma, l’aspetto esteriore, lo sviluppo e la colorazione devono presentare le caratteristiche della varietà e/o del tipo commerciale. Devono essere privi di difetti, salvo lievissime alterazioni superficiali, purché non pregiudichino la qualità, la conservabilità e 316
parametri di qualità l’aspetto generale del prodotto e la sua presentazione nell’imballaggio. Categoria I. Gli agrumi di questa categoria devono essere di buona qualità. Essi devono presentare le caratteristiche della varietà e/o del tipo commerciale. Sono ammessi i seguenti leggeri difetti, che non devono tuttavia pregiudicare l’aspetto generale, la qualità, la conservazione e la presentazione nell’imballaggio del prodotto: lievi difetti di forma, lievi difetti di colorazione, lievi difetti dell’epidermide congeniti alla formazione del frutto, per esempio rameggiatura argentata, rugginosità ecc., lievi difetti cicatrizzati dovuti a cause meccaniche, per esempio grandine, sfregamento, urti durante la manipolazione ecc. Categoria II. Questa categoria comprende gli agrumi che non possono essere classificati nelle categorie superiori, ma che corrispondono alle caratteristiche minime sopra definite. Essi possono presentare i seguenti difetti, purché non pregiudichino le caratteristiche essenziali di qualità, conservazione e presentazione del prodotto: difetti di forma, difetti di colorazione, rugosità della scorza, difetti dell’epidermide congeniti alla formazione del frutto, per esempio rameggiatura argentata, rugginosità ecc., difetti cicatrizzati dovuti a cause meccaniche, per esempio grandine, sfregamento, urti durante la manipolazione ecc., alterazioni superficiali e cicatrizzate dell’epidermide, lieve e parziale distacco del pericarpo per le arance (il distacco essendo normale per i mandarini).
Pummelo Goliath alla raccolta
Mandarino maturo con piccoli danni all’epicarpo Pompelmo rosso a Istanbul
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