Le insalate botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato
le insalate Foto M. Curci
paesaggio Insalate in Puglia Vitangelo Magnifico, Angelo Parente
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
paesaggio Insalate in Puglia In Puglia, la maggiore e la più variegata regione orticola italiana, l’utilizzazione degli ortaggi da foglia, allo stato crudo o cotto, ha radici antichissime, tanto da aver influenzato nel tempo sia l’estensione della coltivazione delle specie più idonee all’alimentazione e di maggior valore nutrizionale, sia la conservazione dell’uso di alcune specie spontanee come la rucola, che in tempi più recenti ha conquistato grandi fette di mercato nazionale e internazionale come prodotto di quarta gamma. Pertanto, non deve stupire se ancora oggi la produzione dell’insieme delle specie da foglia, quali lattuga, scarola, indivia, cicoria, radicchio, rucola ecc., rappresenta quasi il 10% dell’intera produzione orticola nazionale e circa il 20% di quella pugliese. La caratteristica della produzione orticola pugliese di realizzarsi quasi esclusivamente in pieno campo ovviamente si estende alla coltivazione delle insalate, che di per sé appartengono in prevalenza a specie idonee a essere coltivate durante i cicli autunnoprimaverili, allorché forniscono le produzioni migliori dal punto di vista quali-quantitativo. Tra le province pugliesi quella di Bari la fa da padrona, con una produzione dell’insieme delle insalate che sfiora il 40% (seguita da Foggia con il 28%) e con la produzione della metà delle cicorie. In seguito alla creazione della sesta provincia (BT, Barletta con Andria e Trani), le province di Bari e Foggia insieme hanno perso quasi il 15% della produzione delle insalate, ugualmente distribui te per le diverse tipologie.
In sintesi
• La Puglia, con circa 100.000 ha, è la
prima regione orticola d’Italia. Di questi, più di 10.000 ha sono coltivati a “insalate” (indivia e scarola, lattuga nelle diverse tipologie, cicoria e radicchio), che forniscono una produzione di quasi 2 milioni di quintali. Delle sei province pugliesi quelle maggiormente coinvolte sono Bari e Foggia, che insieme contribuiscono per due terzi alla produzione totale regionale (ISTAT 2010)
Tipica coltivazione di lattuga lungo la costa nel sud barese
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insalate in Puglia In generale, in Puglia, negli ultimi anni si è avuta una notevole contrazione della produzione della lattuga soprattutto sul fronte delle tipologie. La tradizionale cappuccina ha ceduto il passo, un po’ ovunque, alle tipologie romana, lollo, iceberg, scarola e indivia. 30 120 300
Ruolo di Polignano a Mare È innegabile che la prevalente produzione di insalate nel Barese è dovuta in gran parte all’antica tradizione orticola dell’area di Polignano a Mare (comune a sud di Bari, da cui dista poco più di 30 km), zona prevalentemente costiera compresa tra i comuni di Mola di Bari, Polignano a Mare, Monopoli in provincia di Bari e Fasano in provincia di Brindisi. Già agli inizi del secolo scorso Polignano a Mare era famosa per la produzione della lattuga cappuccina di Polignano, che affiancava le produzioni precoci di zucchine, cetrioli e patate, e per formare uno dei primi distretti italiani di produzione di primizie, che venivano esportate in Europa, in particolare in Germania e in Svizzera, tanto che è ancora vivo nella popolazione contadina più anziana il ricordo del “treno delle cucuzzelle” (treno delle zucchine), che partiva da Lecce e che la sera agganciava a Polignano a Mare i vagoni con le primizie prodotte in zona, da portare sui mercati del Nord Italia e del Nord Europa. Polignano a Mare, già apprezzata dai turisti per il meraviglioso paesaggio creato dalla sua alta scogliera, in seguito acquisterà importanza mondiale per aver dato i natali al grande cantante e musicista Domenico Modugno, internazionalmente conosciuto come Mister Volare, dal sottotitolo della sua canzone più famosa, Nel blu dipinto di blu. Dopo la metà del Novecento, con l’ampliamento delle aree irrigue pugliesi, le insalate conquisteranno notevoli superfici anche
450 1167
1050
Superficie (ha) coltivata a indivia (riccia e scarola) in Puglia
140
650
1267
380 700 1700
Superficie (ha) coltivata a lattuga in Puglia
300
467
250 145 900
Foggia
Taranto
Lecce
Bari
Brindisi
BarlettaAndria-Trani
Superficie (ha) coltivata a cicoria in Puglia Veduta di Polignano a Mare (BA)
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paesaggio nel Tavoliere di Puglia dove troveranno posto nella successione al frumento, spesso anche come intercalare tra due colture principali come i cereali e le Solanacee (pomodoro, prevalentemente). Nel Salento, invece, è stata la cicoria a rappresentare tradizionalmente il gruppo delle insalate nelle piccole aziende, che le inserivano in sistemi colturali comprendenti il tabacco, la patata primaticcia e altri ortaggi minori (cime di rapa, caroselli, pomodori da serbo). Il tutto avveniva prevalentemente in coltivazioni in asciutto spesso realizzate negli ampi spazi tra gli uliveti. C’era una volta Il naturale ciclo autunno-primaverile delle insalate e l’esigenza di basse temperature per la germinazione dei semi, nonché la necessità di produrre in asciutto ricorrendo solo a irrigazioni di soccorso nelle primissime fasi di post-trapianto, facevano partire la preparazione dei semenzai a terra, in aiuole, a fine agosto. Il seme, autoprodotto dall’agricoltore scegliendo e portando a seme le piante migliori, veniva coperto leggermente con terra finissima e con uno strato di paglia per mantenere il giusto livello di umidità del terreno (e quindi del seme in germinazione) e impedire la formazione di crosta. Man mano che le piantine emergevano, la paglia veniva in parte rimossa per non ostacolare l’intercettazione della luce da parte delle foglie. Le piantine appena pronte, in genere dopo un mese e mezzo, venivano strappate dal semenzaio e immediatamente trapiantate in campo in quadro alla distanza di 35-40 cm di lato. Tanto la scalarità delle semine nei semenzai quanto l’utilizzazione delle piantine man mano che diventavano idonee al trapianto consentivano una programmazione colturale
Statua di Domenico Modugno a Polignano a Mare (BA)
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insalate in Puglia (e di conseguenza delle raccolte) che attraversava tutto l’inverno fino a raggiungere le festività pasquali e la primavera inoltrata. Parallela alla coltivazione della lattuga correva quella delle cicorie, che impegnava superfici minori perché destinate in prevalenza al mercato nazionale. Esisteva anche una produzione estiva di cicorie da taglio (cicorielle) che integrava il consumo di quelle erbe spontanee della famiglia delle Composite tanto care ai pugliesi e che formava, con la purea di fave e l’olio di oliva, il famoso piatto, ora tanto apprezzato, di fave e cicorie. All’epoca, le coltivazioni delle insalate erano realizzate prevalentemente tra gli spazi di terreno lasciati dalle colture arboree tipiche della zona, come l’ulivo, il mandorlo e il fico, con il contorno, ai bordi dei campi, di piantagioni di fichidindia. Al trapianto, onde impedire la disidratazione delle piantine e facilitarne l’attecchimento, si effettuava a mano un’irrigazione di soccorso versando, con annaffiatoio o altro recipiente di latta, intorno alle medesime un po’ di acqua piovana raccolta nelle cisterne, spesso a cielo aperto, tipiche della zona e che ancora oggi è possibile ritrovare. Questa operazione veniva ripetuta in funzione dell’andamento delle piogge, che nella zona diventavano abbondanti solo verso novembre, cioè quando i primi cespi di lattuga raggiungevano dimensioni idonee alla commercializzazione. Appena le piantine superavano la crisi di trapianto, si provvedeva alla concimazione distribuendo intorno a esse solfato ammonico e perfosfato minerale, miscelati in parti uguali. Determinanti ai fini dell’accrescimento dei cespi erano anche le sarchiature manuali, eseguite con le zappe per eliminare le infestanti in emergenza e, quindi, ogni forma di competizione con le piantine.
Coltivazione contemporanea di diverse tipologie di insalate
Consociazione delle insalate con l’ulivo
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paesaggio I trattamenti antiparassitari venivano effettuati prevalentemente contro peronospora e afidi con i pochi agrofarmaci dell’epoca utilizzati anche per i trattamenti alle altre colture. Alla raccolta, i cespi venivano lavorati direttamente sul campo e imballati in cassette di legno a seconda dei mercati di destinazione. Il prodotto veniva lavato immergendo le cassette direttamente in acqua e/o bagnandole con la manichetta. All’epoca non esistevano celle frigorifere e la bagnatura delle confezioni era l’unico metodo per cercare di conservare la freschezza del prodotto. Questi modelli produttivi e di post-raccolta dureranno per quasi un secolo, fino a quando l’uso di seme sempre più selezionato e/o ibrido e la produzione delle piantine in vivaio, nonché le sempre più rigorose esigenze dei mercati, non stimoleranno l’adeguamento di tutte le altre tecniche agronomiche e fitosanitarie e l’avvio di coltivazioni sempre più specializzate. L’evoluzione Attualmente anche in Puglia la coltivazione delle diverse specie e tipologie di insalate, come la maggior parte delle produzioni orticole, si avvale di tutte le moderne tecniche di produzione, nel rispetto delle norme e dei parametri fondamentali per garantire un prodotto sano per il consumatore e di basso impatto per l’ambiente. Già da tempo le grandi organizzazioni commerciali richiedono protocolli di coltivazioni predefiniti e il loro rigoroso rispetto, per non tradire la fiducia dei consumatori e non incorrere in sanzioni penali a causa dei residui di agrofarmaci fuori norma o di un accumulo eccessivo di nitrati nelle parti eduli. Se per decenni è stata coltivata la lattuga cappuccina tipica di Polignano a Mare, l’introduzione della famosa trocadero negli anni ’60
Scarola in cassetta di legno
Confezionamento delle cassette direttamente in campo
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insalate in Puglia del secolo scorso ha segnato il punto di svolta dell’innovazione varietale, che ha permesso l’introduzione anche di nuove tipologie come l’iceberg, la maggiore diffusione delle scarole e delle indivie per arrivare ai nostri giorni con la massiccia introduzione di lollo biondo e rosso e foglie di quercia, che hanno stravolto il panorama delle coltivazioni delle lattughe in Puglia. Nel Barese, infatti, la tipologia cappuccina è stata in gran parte sostituita da scarola e lollo e da lattuga romana, mentre nelle aree del Tavoliere, a causa delle basse temperature invernali, predominano scarola, indivia, iceberg e cappuccina. Queste sono ormai del tutto specializzate anche se nell’area di Polignano a Mare è ancora comune la coltivazione nei vasti spazi lasciati liberi dagli ulivi. Sempre più rara è invece la consociazione con il fico e, soprattutto, con il mandorlo, ormai diventato marginale tra le coltivazioni della zona. Nel Barese e nel Salento ancora importante è la coltivazione della cicoria, nelle tradizionali tipologie cicoria di Molfetta e catalogna di Galatina, ampiamente selezionate in funzione sia della frastagliatura delle foglie sia della più o meno accentuata formazione dei turioni detti puntarelle. In Puglia, la produzione di insalate del tipo baby leaf e di rucola per la quarta gamma è quasi trascurabile; mentre è da segnalare, nel Barese, l’inizio della produzione di puntarelle di cicoria per questa categoria di prodotto. Tra le tecniche tradizionali va citata quella dell’imbianchimento del cespo di scarola, ottenuto racchiudendo le foglie con spago o elastico o incartando alla base la pianta (scarola imbustata). Questa tecnica, tipica della zona di Andria e Barletta, è stata recentemente adottata anche nel Barese. Come per le altre specie orticole, il produttore di insalate compra le piantine allevate in contenitore da un vivaio specializzato. Ormai è il cubetto di torba a predominare la scena per la coltivazione
Scarole imbustate per esaltare l’imbianchimento delle coste
Lavaggio delle cassette
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paesaggio di lattughe, scarole, indivie e cicorie. Sul cubetto, macchine precisissime depositano il seme confettato. Al trapianto, quando le piantine mostrano le prime 4-5 foglie vere ben espanse, il cubetto viene poggiato al suolo accostandogli un po’ di terreno. L’irrigazione, attenta e razionale, impedisce la crisi di trapianto e permette l’attecchimento delle piantine con l’emissione delle superficiali radici. Allo scopo di evitare l’azione negativa dei ristagni d’acqua e i conseguenti attacchi di sclerotinia, è stato del tutto abbandonato il trapianto su porche a esclusivo vantaggio della posa delle piantine sulla cresta di solchi preparati da macchine operatrici, che amminutano il terreno e aprono da uno a tre solchi. Le lavorazioni del terreno vengono eseguite con cura onde ottenere un amminutamento perfetto che garantisca una maggiore efficienza della concimazione e del diserbo. Il sesto di impianto varia in funzione della tipologia di insalata coltivata: è minore per i lolli e la lattuga romana (25-30 cm sia sulla fila sia tra le file), per le minori dimensioni delle piante dei primi e l’accrescimento assurgente della seconda, e maggiore (30-35 cm) per le tipologie indivia e scarola, i cui cespi hanno portamento prostrato e raggiungono dimensioni superiori alle comuni cappuccine e iceberg. In funzione delle densità, il numero di piante per ettaro varia da 70.000-80.000 fino a poco più di 100.000, soprattutto per le tipologie di dimensioni più piccole. In generale, gli ortaggi da foglia vengono raccolti quando le piante sono al massimo dell’accrescimento e con un elevato contenuto di acqua, che nel caso delle insalate può arrivare al 95%. L’accrescimento delle piante e, quindi, l’asportazione degli elementi nutritivi, procedono lentamente nei due terzi del ciclo colturale per subire brusche accelerazioni nel periodo che precede la raccolta,
Irrigazione per aspersione a microportata
Campo coltivato a scarola
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insalate in Puglia quando oltre il 50% della massa verde viene prodotta. Pertanto, è opinione comune presso i produttori di insalate che il prodotto migliore sia quello ottenuto nel minor tempo possibile. Perciò la concimazione, nella produzione delle insalate, assume particolare importanza influenzando direttamente la qualità del prodotto. Se consideriamo le specie che formano il cespo, cioè lattuga, scarola, indivia e radicchio, le asportazioni totali da parte di un ettaro di coltivazione sono alquanto modeste, perciò apporti di 120-130 unità di azoto (N), 60-80 di fosforo (P2O5) e 100-150 di potassio (K2O) sono in genere sufficienti, anche se queste dosi vanno adeguate alle effettive condizioni pedoclimatiche e alla tipologia coltivata. Comunemente, fosforo e potassio vengono distribuiti subito prima del trapianto al momento della preparazione finale del terreno. La gestione dell’azoto, invece, richiede maggiore attenzione a causa della capacità delle insalate di accumulare nitrati, il cui livello è regolamentato da norme comunitarie ben precise e costituisce un parametro di qualità fondamentale per la commercializzazione. Perciò, l’azoto viene distribuito in parte al momento del trapianto (50-60% del fabbisogno totale della coltura) e con uno, due o anche più interventi in copertura, in relazione all’epoca di coltivazione e alla durata del ciclo colturale, allo scopo di scongiurare sia la lisciviazione durante i periodi piovosi sia l’accumulo dei nitrati nella parte edule nei periodi più freddi e di bassa intensità luminosa. In genere, l’ultima somministrazione di azoto precede la raccolta di almeno una ventina di giorni. Ovviamente, una certa fertilità di base e/o una buona dotazione di sostanza organica del terreno possono consentire di dimezzare quasi le dosi di fertilizzanti senza incidere sulla produzione, come è emerso
Irrigazione sovrachioma
Trapianto delle piantine sui solchi Campi con file miste
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paesaggio anche da diverse prove sperimentali condotte negli ambienti meridionali. Tra le esigenze nutrizionali delle insalate, in particolare della lattuga, va tenuta in debita considerazione l’importanza del calcio, la cui carenza, spesso determinata anche da una cattiva gestione dell’irrigazione durante gli autunni caldi, è responsabile della necrosi marginale delle foglie (tip burn) e del conseguente deprezzamento della qualità; da qui la tecnica, molto comune negli ambienti meridionali, di fornire azoto anche sotto forma di nitrato di calcio. Nella coltivazione delle insalate, il controllo delle malerbe è piuttosto complesso da realizzare, considerata la mancanza di un ampio spettro di principi attivi selettivi per le specie coltivate che appartengono alle stesse famiglie delle spontanee più comuni. Ne deriva l’esigenza di ampie rotazioni per non selezionare una flora di sostituzione praticamente ingestibile con l’aiuto degli erbicidi. Normalmente, il controllo delle infestanti si realizza con un trattamento in pre-trapianto e su terreno sgombro di malerbe, lasciando alle sarchiature manuali l’eliminazione delle erbe che sfuggono all’azione dell’erbicida. Rispetto al passato, in coerenza con la comune coltivazione delle insalate nel mondo, anche in quelle pugliesi risulta totalmente rivoluzionato il controllo dei tanti parassiti, sia per la disponibilità di un’ampia gamma di principi attivi, sia per la sempre maggiore disponibilità di cultivar dotate di resistenze genetiche a fattori tanto biotici quanto abiotici. Anche in Puglia, le coltivazioni di lattuga utilizzano cultivar con elevata resistenza alla Bremia (1-27), all’afide rosso (Nasonovia ribis-nigri razza 0) e al Fusarium oxysporum f. sp. lactucae razza 1 e tolleranti al tip burn e alla salita a seme. Lattughino per la quarta gamma
Foto R. Angelini
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insalate in Puglia Questo ultimo carattere è molto importante per le coltivazioni a cicli autunnali-primaverili sia in pieno campo sia in serra. Gli attacchi di Sclerotinia restano, comunque, i più temuti anche dai produttori pugliesi, i quali, oltre a ricorrere ai comuni trattamenti, usano, prima del trapianto, immergere le piantine in contenitori con sospensioni di agrofarmaci specifici. La raccolta viene effettuata manualmente e i cespi vengono mondati dalle foglie esterne e confezionati direttamente in campo con un cantiere completo di lavoro. In caso di esigenze particolari di pulizia e di packaging, prevalentemente per la grande distribuzione e il mercato estero, il prodotto viene rilavorato e refrigerato presso appositi impianti. I maggiori esportatori e le grandi associazioni di produttori sono attrezzati anche con sistemi di refrigerazione tipo vacoom o hydro-cooling, con conseguenti celle frigorifere e catena del freddo anche per il trasporto e la distribuzione. I piccoli produttori, invece, per soddisfare il mercato interno e regionale, utilizzano solo l’acqua per lavare e rinfrescare il prodotto. Nel futuro, la grande tradizione della coltivazione delle insalate in Puglia, unitamente alle condizioni pedoclimatiche, non lascia prevedere importanti variazioni, le quali saranno certamente limitate all’adozione di nuove tipologie e alla migrazione su nuove aree per fronteggiare nuove esigenze agronomiche ed economiche, come già osservato in un recente passato. Pertanto, aree tradizionali come il Salento, Polignano a Mare, Molfetta, Andria, Barletta, Canosa, Trinitapoli, Cerignola e il Tavoliere fino ai piedi del Gargano, a lungo continueranno a presentare, durante il periodo autunnoprimavera, paesaggi agrari dominati dai cereali e dai diversi ortaggi, tra i quali spiccheranno i diversi colori delle insalate.
Il tricolore garantisce la produzione italiana
Raccolta di lattuga romana
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le insalate Foto M. Curci
paesaggio Insalate in Basilicata Carmelo Mennone
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paesaggio Insalate in Basilicata Premessa La Basilicata, regione a forte vocazione agricola, rappresenta una delle realtà più dinamiche e stimolanti dell’intera ortofrutticoltura nazionale. L’orticoltura lucana incide per circa il 3% su quella nazionale in termini sia di superficie sia di produzione; sicuramente rappresenta solo una piccola parte, ma per alcune produzioni (brassicacee e fragola) riveste un ruolo di leader. La Riforma agraria diede un ulteriore impulso con l’introduzione di specie che fino a quel momento non erano presenti in quantità significative, come il carciofo e altre solanacee (peperone), sintomo dell’“intensivizzazione” dell’orticoltura. La diffusione delle insalate ha inizio a partire dagli anni ’60 del secolo scorso con circa 200 ha, e in un decennio supera i 1000 ha. Negli anni ’80 e ’90 rimane stabile mentre nel nuovo secolo raggiunge il picco di circa 1500 ha. Nell’ultimo decennio si è registrata una diminuzione a partire dal 2004, quando la superficie è scesa a 750 ha; da qualche anno a questa parte si è attestata intorno ai 1150 ha, dei quali 623 in provincia di Matera e 535 nel Potentino. Le insalate incidono per circa il 13% sulla superficie orticola coltivata in Basilicata. I principali areali di coltivazione sono il Metapontino e la Valle dell’Ofanto-Bradano, mentre areali minori emergenti sono la Valle del Mercure, la Valle del Sauro, la Val d’Agri, la vecchia orticoltura periurbana degli orti di Sant’Arcangelo e Senise.
In sintesi
• 1150 ha è la superficie coltivata
a insalate (13% della superficie orticola della Basilicata
• Principali areali di coltivazione sono il Metapontino e la valle dell’Ofanto-Bradano
• La raccolta è autunno-vernina, inizia
a novembre e si prolunga fino ad aprile
• Rispetto alla tipologia coltivata prevale la lattuga, diffusa principalmente in provincia di Potenza, mentre le indivie, la lollo e il radicchio sono coltivati in provincia di Matera
Panoramica di campo di scarola liscia con il monte Pollino sullo sfondo
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insalate in Basilicata Andamento della superficie coltivata a insalata (espressa in ettari) dal 1963 al 2010 in Basilicata
Foto R. Angelini
Specie
1963
1973
1983
1993
2003
2010
Indivia (riccia e scarola)
36
178
136
318
570
395
Lattuga in piena aria
78
861
578
629
660
598
Radicchio o cicoria
81
98
125
56
220
165
Superficie totale
195
1137
839
1003
1450
1158
La strutturazione di questi areali determina complementarietà tra le diverse produzioni in termini sia di stagionalità sia di differenziazione di prodotto. Tutte le zone di coltivazione sono irrigue, con approvvigionamento, nella maggior parte dei casi, consortile e in alcune aree con pozzi aziendali. Per la produzione di insalate l’areale in cui è ubicato circa il 60% della superficie è il Metapontino con: – produzioni destinate ai mercati nazionali e stranieri; – orticoltura intensiva praticata secondo disciplinari di produzione; – certificazioni di prodotto (Global-gap). Nel Metapontino le insalate si coltivano su circa 650 ha, mentre la restante parte si localizza in provincia di Potenza, principalmente nel Lavellese.
Lattuga da taglio a foglia di quercia rossa e verde
Andamento della superficie coltivata a insalata nell’ultimo decennio in Basilicata 1600 1400
Superficie (ha)
1200 1000 800 600 400 200 0
2001
2002
Indivia (riccia e scarola)
2003
2004
Lattuga in piena aria
2005
2006 Radicchio o cicoria
141
2007
2008 Lattuga in serra
2009 Totale
2010
paesaggio Calendario di produzione In Basilicata la coltivazione è autunno-vernina, con la raccolta che inizia a novembre e si prolunga fino ad aprile. I cicli precoci si concludono dopo un mese mentre quelli tardivi, anche per le condizioni climatiche invernali che ritardano l’accrescimento delle piante, si concludono tra fine marzo e inizio aprile. Specie e varietà coltivate Con il termine “insalate” si indica una serie di specie e varietà che negli anni hanno subito un’evoluzione rispetto alle richieste del mercato. La maggiore diffusione ce l’hanno le insalate a foglia larga, normalmente conosciute con il nome di lattuga romana, seguite da scarola, scarola riccia, conosciuta come indivia, radicchio, iceberg e lollo bionda e rossa. Negli ultimi anni si è avuta la diffusione della rucola commercializzata come prodotto di prima gamma. Nell’ambito delle insalate nell’introduzione delle innovazioni varietali sono stati considerati i seguenti obiettivi: – miglioramento delle caratteristiche qualitative (consistenza dei cespi e dei tessuti, idoneità alle nuove utilizzazioni ecc.); – resistenza e tolleranza ad avversità biotiche e abiotiche; – creazione di nuove tipologie che hanno affiancato la classiche lattughe (lollo bionda e rossa, rucola ecc.). Il rinnovamento varietale è continuo per cui le cultivar variano di anno in anno cercando di soddisfare aspetti tanto agronomici quanto di mercato.
Lollo rossa
Iceberg Lollo bionda
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insalate in Basilicata Le varietà utilizzate sono per la scarola Nuance per produzioni precoci e Torino per quelle tardive, per la lollo bionda Mercato e Aleppo, per la lollo rossa Cavernet e Bastille, per la foglia di quercia Muray. La produzione in vivaio delle piantine assume una rilevanza fondamentale in quanto fornisce materiale vegetale di buona qualità, controllato dal punto di vista genetico e fitosanitario, aspetti che consentono di ottenere risultati commerciali migliori sia per la qualità sia per la possibilità di coltivare varietà che meglio rispecchiano gli standard richiesti dal mercato. Esigenze climatiche I terreni, quasi tutti pianeggianti, sono fertili e profondi con buone caratteristiche fisico-chimiche; a questo si aggiunga il clima di tipo mediterraneo, mitigato dalla presenza del mar Ionio e protetto dall’Appennino lucano, che consentono la coltivazione di specie sia in pieno campo sia in coltura protetta. Le insalate si adattano bene alle condizioni ambientali metapontine, con l’adozione di tecniche di produzione (in piena aria o in coltura forzata, con pacciamatura, epoche di trapianto differenziato ecc.) il cui obiettivo è produrre per un ampio arco temporale con risvolti positivi sulla commercializzazione. Le temperature troppo basse, che inibiscono la crescita, vengono ovviate con i sistemi di forzatura, mentre la coltura in piena aria permette di affrontare meglio periodi con alte temperature e giorno lungo che potrebbero determinare riflessi negativi sulla pianta come la fioritura e la scarsa qualità dei cespi, anche perché nelle Lattuga romana
Canasta Foglia di quercia
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paesaggio nostre aree in questo periodo le superfici sono dedicate ad altre coltivazioni ortive a ciclo primaverile-estivo. Sistemi di forzatura
Tecnica colturale Le tecniche colturali adottate hanno subito una notevole trasformazione nel corso degli anni, con cambiamenti che hanno interessato il tipo di conduzione, le modalità di impianto della coltura, l’irrigazione, la fertilizzazione, la difesa dai parassiti. La preparazione del terreno prevede un’accurata lavorazione e sistemazione del terreno, solitamente in baule, in file da 2 a 5. La lavorazione principale, la cui profondità non supera i 30-35 cm, è seguita da erpicature che consentono di ottenere un letto di semina/trapianto uniforme e omogeneo, evitando zone depresse che potrebbero favorire eventuali ristagni di acqua, con conseguenti riflessi negativi sullo sviluppo delle piante. Rispetto alla rotazione c’è da sottolineare che negli ultimi anni vi è un maggiore sfruttamento del capitale terra, con un accorciamento dei cicli colturali. La rotazione è biennale in piena aria, mentre in coltura forzata è annuale, in successione a una ortiva a ciclo primaverile-estivo. La semina, che è stata via via abbandonata a vantaggio del trapianto, viene effettuata solo per le lattughe da taglio, come la rucola, in quanto richiede una preparazione molto accurata, con terreno ben amminutato, in grado di creare le migliori condizioni per la germinazione del seme. Alle motivazioni suddette bisogna aggiungere che la semina può comportare diradamento delle piantine, con un aggravio dei costi colturali e della gestione della manodopera.
• La coltura forzata è praticata
soprattutto nelle rotazioni in successione a ortive a ciclo primaverile-estivo (fragola in particolare) e prima di una coltura ortiva a ciclo estivo. Ciò per ridurre al massimo l’impatto ambientale, in quanto si sfruttano materiali pacciamanti e strutture di forzatura esistenti, senza contare la riduzione dell’impiego di manodopera per il montaggio delle stesse strutture
• La coltivazione delle insalate
è effettuata in piena aria, ma anche in coltura forzata. In questo caso si riescono a gestire meglio i tempi e le fasi di trapianto, e conseguentemente si programmano al meglio i periodi di commercializzazione
• Le strutture utilizzate sono
tunnel-serra non riscaldati di larghezza variabile da 5-5,5 a 8 m. Le strutture non fisse vengono utilizzate per altre specie, come la fragola, in quanto assicurano la giusta rotazione limitando al massimo gli interventi geodisinfestanti. Nel caso di strutture fisse le rotazioni sono più lunghe, e in tal caso per la disinfestazione del terreno si combinano mezzi chimici e biotecnici (solarizzazione)
Tunnel-serra per la coltivazione di lollo bionda
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insalate in Basilicata A questo si aggiunge uno sgravio in termini economici, in quanto diminuiscono i rischi diretti in campo e migliora la gestione dell’attività prettamente di campo da parte dell’imprenditore agricolo, che può dedicarsi maggiormente alle successive fasi di sviluppo della coltura, con risultati soddisfacenti. Il trapianto consente di avere maggiore velocità nell’avvicendamento colturale e un migliore attecchimento delle piantine, con risvolti positivi sui costi di gestione; permette inoltre un accorciamento dei cicli colturali di circa 20-30 giorni, aspetto importante che rende possibile una programmazione più precisa del calendario di commercializzazione. Il trapianto viene effettuato manualmente o con trapiantatrici, di solito su terreno libero, in condizioni forzate e in piena aria. I sesti di impianto variano in base alla specie, alla varietà e al periodo di produzione, con un investimento di piante/ha variabile secondo il seguente schema: – scarola e lattuga 50.000 e 60.000, rispettivamente per trapianti precoci e tardivi; – lollo 80.000; – foglia di quercia 80.000. La fertilizzazione è effettuata rispettando i limiti previsti dalla normativa vigente; infatti in presemina/trapianto viene utilizzato il 30% dell’azoto, mentre in copertura il 70%, frazionato in 3-4 interventi, evitando comunque concimazioni tardive e ponendo la massima attenzione sul contenuto dei nitrati nelle parti eduli della pianta per scongiurare la possibilità di danni alla salute dei consumatori. Relativamente al fosforo, sono sufficienti apporti massimi di 90 unità per ettaro. Il potassio è un elemento in genere
Foto V. Ancona
Particolare della macchina trapiantatrice
Foto R. Angelini
Piante di lollo bionda e rossa in contenitori di polistirolo pronte per il trapianto
Coltivazione di rucola in fase di pre-taglio Stesura automatica delle casse di lattuga appena germinata
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paesaggio ben presente nei nostri terreni; pertanto, nonostante le elevate quantità asportate, il suo impiego deve essere limitato al mantenimento di un buon livello della frazione assimilabile: risultano sufficienti 70 unità per ettaro. L’interramento dei concimi fosfatici e potassici va effettuato all’impianto della coltura. In copertura vengono apportate microdosi variabili rispetto alle esigenze della pianta. Questa tecnica viene utilizzata sia per rinvigorire le piante in fase di post-trapianto sia per intervenire in cicli tardivi, quando la concimazione di fondo non è sufficiente a coprire l’intera durata del ciclo colturale. L’irrigazione è fondamentale tanto per soddisfare le esigenze idriche della pianta a supporto delle diverse fasi fenologiche quanto per apportare i fertilizzanti. I sistemi irrigui utilizzati sono spesso combinati; infatti, per favorire la fase di attecchimento post-trapianto si utilizza il sistema per microaspersione soprachioma, mentre per le fasi successive si adotta il sistema a goccia attraverso ali gocciolanti. I volumi utilizzati variano in base a diverse condizioni come l’andamento climatico, il tipo di terreno, la specie e la varietà, la lunghezza del ciclo, la forzatura ecc. I turni medi sono di 3-4 giorni e il volume medio è circa 2500 m3/ha. La raccolta avviene a mano, con l’ausilio di macchine agevolatrici per il trasporto. Qualora il confezionamento avvenisse direttamente in campo (come per scarola, lattuga e indivie), si pratica una mondatura del cespo e l’imballaggio in cassette in legno o in materiale plastico riutilizzabile. Il confezionamento avviene in magazzino per specie particolari, come la rucola, o per determinate confezioni monodose e di peso
Impianto di irrigazione a goccia
Foto V. Ancona
13%
87%
Insalate Altri ortaggi Incidenza della superficie coltivata a insalata su quella orticola in Basilicata Fase della raccolta e confezionamento in campo
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insalate in Basilicata
Fase del trattamento di scarola con hydro cooling
Particolare dell’impianto di irrigazione per microaspersione soprachioma
legalizzato. Per le insalate vengono utilizzate cassette in legno o in materiale plastico riutilizzabile, con 6-9-12 pezzi per cassa, fino a 18 per i mercati dell’Est europeo. Dopo la raccolta il prodotto è sottoposto a trattamenti di prerefrigerazione come il vacoom e l’hydro cooling. Situazione attuale e prospettive La coltivazione delle insalate in Basilicata si è mantenuta abbastanza stabile nel corso degli ultimi anni. Un punto di forza del-
Trattamento della scarola con vacoom cooling Foto R. Angelini
Piantine di foglia di quercia in cubetto
Lavorazione e confezionamento in magazzino di lollo rossa, lollo bionda e foglia di quercia
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paesaggio
Rucola
• Interessante è la produzione di rucola
in coltura forzata. La semina diretta è effettuata con 4-5 kg di seme/ha, in strutture (tunnel-serra freddi) sistemate in prose. La raccolta viene eseguita con tagli che hanno inizio a dicembre; se ne effettuano 3-4 a distanza di 30-40 giorni nei mesi invernali, mentre con l’allungamento del giorno e l’aumento delle temperature l’intervallo è di 20 giorni. Per ogni taglio vengono prodotti circa 50 q/ha di rucola
In primo piano, campo di rucola prossimo al taglio; sullo sfondo, campo già sottoposto al taglio
• Il confezionamento avviene in
la nostra orticoltura sono le condizioni climatiche favorevoli, che consentono di produrre ortaggi quasi tutto l’anno e quindi di ottenere anche produzioni extrastagionali. Rispetto alle altre regioni interessate da questo gruppo di specie, la coltivazione e la commercializzazione è rimasta legata ai canali tradizionali, soprattutto stranieri, come GDO e mercati generali. La quarta gamma non si è radicata, in parte per la scarsa presenza di gruppi industriali nel territorio, ma soprattutto per la minore redditività che questa produce. Nel corso degli anni si è avuta una grossa specializzazione tanto tecnica quanto commerciale, con il
contenitori di materiale plastico avvolti in flow-pack delle dimensioni di 100-125-150 g; questi a loro volta vengono riposti in contenitori di cartone o plastica riutilizzabili, in numero variabile da 6-12
• Il prodotto è destinato a GDO e mercati generali tedeschi e austriaci
165 395 598
Indivia (riccia e scarola) Lattuga in piena aria Radicchio o cicoria Incidenza delle diverse tipologie su base regionale
Particolare del confezionamento di lollo rossa, lollo bionda e foglia di quercia
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insalate in Basilicata
Packaging
• Negli ultimi per gli imballaggi viene
ulteriormente privilegiato l’uso di materiale plastico in cassette richiudibili e riutilizzabili. Questo consente di abbattere notevolmente i costi di confezionamento evitando sprechi dei materiali tradizionalmente utilizzati, come il legno e il cartone pressato Foto R. Angelini
Confezione di scarola in cassette di legno
raggiungimento di elevati standard di qualità, con produzioni di notevole pregio e certificazioni di prodotto, volte a tutelare sia il consumatore sia l’ambiente di coltivazione. Si effettuano produzioni secondo disciplinari di produzione integrata, con eventuali certificazioni tipo Global-gap. La produzione è gestita da pochi gruppi, che alla fase produttiva hanno coniugato quella commerciale. I grossi gruppi associati, che riescono a concentrare il prodotto e a programmare con i distributori l’offerta, risentono meno delle fasi congiunturali negative dei mercati.
Iceberg
Incidenza delle diverse tipologie di insalate tra le province di Matera e Potenza 700
Superficie (ha)
600 500 400 300 200 100 0
Insalata (totale) Potenza
Indivia (riccia e scarola)
Lattuga in piena aria
Radicchio o cicoria
Confezione di lollo rossa in cassette di plastica riutilizzabili
Matera
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le insalate Foto M. Curci
paesaggio Insalate in Campania Ernesto Lahoz, Gennaro Coppola
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
paesaggio Insalate in Campania Introduzione In Campania esistono due sistemi di coltivazione delle insalate: in pieno campo e in serra. Le specie maggiormente coltivate in pieno campo sono lattuga, indivia e cicoria, mentre in serra le più diffuse sono le insalate per la quarta gamma, seguite dalla lattuga. Le superfici coltivate in pieno campo sono della grandezza di centinaia di ettari e non hanno fatto registrare grossi cambiamenti nell’ultimo decennio. La lattuga e l’indivia nella Piana del Sele, con 1100 e 890 ha, hanno visto diminuire di poco la superficie coltivata, mentre altri 600 e 300 ha sono coltivati rispettivamente in provincia di Napoli e Caserta. Fenomeno ancora marginale, ma in via di sviluppo, è la coltivazione di cicoria e radicchio, lattughe a cespo (specialmente iceberg) nelle province di Avellino e Benevento nell’ambito di rotazioni utili per sostituire le coltivazioni di tabacco, attualmente in forte decremento. In serra sono circa 3500 gli ettari investiti a insalate. La lattuga rimane importante con 1500 ha. Nell’ambito delle colture in serra sono avvenuti, negli ultimi 10 anni, i cambiamenti maggiori. Infatti le colture sottoserra, destinate alla trasformazione in quarta gamma, hanno raggiunto in Campania oltre 1900 ha nel 2010 (fonte ISTAT). In questo segmento sono riportate, in maniera cumulativa, molte specie, tra le quali spiccano la rucola, la valerianella, il lattughino ecc. Il cambiamento più significativo è stato registrato nella provincia di Salerno, in particolar modo nella Piana del Sele, dove le serre destinate alla quarta gamma hanno raggiunto nel 2009 i 1750 ha, che rappresentano oltre il 30% della superficie totale na-
In sintesi
• Due sono i sistemi di coltivazione: in pieno campo (lattuga, indivia, cicoria) e in serra (insalate per la quarta gamma e lattuga)
• In serra, 3500 ha investiti a insalate
di cui 1500 ha a lattuga e oltre 1900 ha destinati alla quarta gamma (rucola, valerianella, lattughino)
• I metodi di coltivazione delle insalate,
in particolare della lattuga, sono diversi nei vari comprensori campani: – Piana del Sele – Agro Nocerino Sarnese – Casertano – Pianura campana
La Piana del Sele si incurva nell’ampia falce del Golfo di Salerno, protetta dalla poderosa mole degli Alburni e dei contrafforti del massiccio del Cilento, attraversata dal fiume Sele e arricchita dall’antica Poseidonia-Paestum
Foto R. Angelini
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insalate in Campania zionale. Dall’analisi dei cambiamenti di destinazione delle superfici coltivate sembrerebbe che solo per pochi ettari si sia trattato di sostituzione di colture tradizionali, mentre nella maggioranza dei casi sarebbero stati utilizzati terreni destinati ex novo alla coltivazione in serra. Questo aumento cospicuo delle colture sottoserra ha anche contribuito al cambiamento del paesaggio della Piana del Sele con le implicazioni di cui si parlerà in seguito.
Insalate alla conquista delle montagne
• Già da alcuni anni, sotto la spinta
di aziende di quarta gamma, gli ex tabacchicoltori stanno coltivando, nel periodo estivo, lattughe, indivia e cicoria. Per ora una delle zone che ha avuto maggiore sviluppo in tal senso è situata nell’Avellinese, a circa 600 m slm. Il clima estivo più fresco rispetto alle zone pianeggianti tipiche di coltivazione delle insalate permette alle aziende di trasformazione di approvvigionarsi con maggior continuità di prodotti, senza per questo rivolgersi a zone alternative non campane, anche nel periodo estivo
Metodi di coltivazione della lattuga nelle varie province campane Nelle province della Campania il sistema di coltivazione delle insalate, in particolare della lattuga, differisce alquanto sotto molti aspetti: preparazione del terreno, adozione della pacciamatura, sistemi di fertilizzazione e irrigui, investimenti adottati. Nella Piana del Sele normalmente è adottata la sistemazione a porche con file binate, con applicazione della pacciamatura; diffusissima è la fertirrigazione, caratterizzata dall’uso di sistemi a microportata (ali gocciolanti) sia in serra sia in pieno campo. L’investimento varia tra 8 e 10 piante a metro quadrato. Il prodotto raccolto è destinato all’esportazione dopo trasformazione e di norma la dimensione aziendale è di un certo rilievo. In questa zona è notevole la variabilità di specie e colore, sia per la presenza dei prodotti da sfalcio, sia per la molteplicità di tipologie dei prodotti a cespo. Nei prodotti da sfalcio si passa dal verde scuro della rucola al verde chiaro, biondo o rosso del lattughino; per i cespi, dal verde di indivia, cicoria, pan di zucchero, lattughe, cappuccina, iceberg, romana, lollo verde al rosso di radicchio, lollo rossa, batavia rossa.
• Le insalate maggiormente coltivate
sono pan di zucchero, radicchio, indivia scarola e riccia, lattuga iceberg: insomma, tutte quelle specie e tipologie che con il caldo risultano più soggette a fenomeni di “salita a seme”
• La tecnica di coltivazione per ora
adottata vede la realizzazione di impianti a file binate o singole, in piano e nella maggior parte dei casi senza impiego di irrigazione
Foto G. Coppola
• Dati i positivi risultati ottenuti, non solo si continuerà ad affinare la tecnica di coltivazione in queste zone, ma si comincia a prendere in considerazione altre zone di alta collina, per progetti simili. Quale influenza si avrà sul paesaggio, anche in queste zone? Staremo a vedere
Coltivazione di cicoria pan di zucchero nell’avellinese
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paesaggio Ma nei prodotti a cespo, oltre alla variabilità di sfumature e tonalità di colore, si assiste anche a una notevole diversità di forma e margini fogliari. Questo soprattutto nei prodotti che oggi conquistano sempre più gli impianti serricoli della Piana del Sele, ovvero le lattughe “multifoglia”. Nell’Agro Nocerino Sarnese la sistemazione del terreno è sempre a porche, ma la pacciamatura è poco o per nulla adottata; la fertilizzazione è di tipo tradizionale e l’irrigazione avviene per manichetta forata; solo da qualche anno ha cominciato a diffondersi la fertirrigazione, che sostituirà la pratica della distribuzione localizzata manuale del concime. Gli investimenti sono analoghi a quelli della Piana del Sele. Il prodotto in gran parte è conferito a commercianti intermediari e la sua destinazione varia moltissimo. La dimensione aziendale è di solito piccola. Questi ultimi aspetti limitano di molto la diversificazione dei prodotti, sia nella forma sia nel colore. Il paesaggio appare molto più monotono. L’ortaggio principe è la lattuga cappuccina, con piccole quote di iceberg, romana e indivia. Molto spesso per ogni tipologia e specie ci sono al massimo una o due varietà coltivate dai tanti piccoli agricoltori che rappresentano questa realtà produttiva, limitando sempre di più la diversità di tonalità e sfumature anche all’interno dello stesso colore. Un livello intermedio invece è rappresentato da alcune zone del Casertano, laddove la possibilità di trovare aziende di grosse dimensioni ha permesso lo sviluppo di accordi con industrie di trasformazione, consentendo la crescita di zone con una notevole variabilità di colore, come è avvenuto nella Piana del Sele.
Agro Nocerino Sarnese: nuovo impianto di lattuga con ali gocciolanti e fertirrigazione Foto G. Coppola
Piana del Sele: coltivazione di iceberg in pieno campo Iceberg a campo aperto nella Piana del Sele
Foto G. Coppola
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insalate in Campania Infine nella Pianura campana la lattuga è trapiantata su terreno in piano a file semplici, normalmente senza pacciamatura per facilitare i movimenti all’interno degli apprestamenti, che in questo caso sono in prevalenza tunnel. La fertirrigazione è applicata solo dalle aziende di maggiori dimensioni. Gli investimenti sono più elevati, fino a raggiungere le 14 piante al metro quadrato, onde ottenere pezzature dei cespi più ridotte e idonee al conferimento presso la grande distribuzione. In molti casi sono i commercianti intermediari, provenienti da altre zone della regione, a giocare un ruolo importante nella commercializzazione.
Foto G. Coppola
Influenza della coltivazione sul paesaggio Nel paragrafo precedente si è messo in evidenza come partendo dal tipo di coltivazione e, conseguentemente, dalle tecniche adottate sia possibile tracciare un quadro dello sviluppo raggiunto e della storia dei comprensori. La coltivazione delle insalate su larga scala in pieno campo, sia per la brevità del ciclo colturale sia per il ridotto sviluppo in altezza, influenza poco l’orizzonte visivo. D’altra parte, però, l’osservazione del tipo di coltivazione può essere utile per avere un’idea quasi immediata sull’utilizzo dei suoli agrari e sul tipo di aziende presenti in un dato territorio a vocazione orticola. Discorso a parte merita l’enorme sviluppo avuto dalle coltivazioni in serra delle insalate per la quarta gamma che non a caso ha interessato la Piana del Sele, comprensorio della Campania tecnicamente più avanzato e con dimensioni aziendali maggiori. Tale sviluppo ha contribuito al profondo cambiamento dello sce-
Pontecagnano (SA): campo sperimentale di lattughe. È ben evidente la variabilità di colori e tipologie di foglia
Foto G. Coppola
Foto G. Coppola
Foto G. Coppola
Serre di nuovo impianto che cambiano il paesaggio rurale e lo caratterizzano fortemente Battipaglia (SA): macchine per la raccolta di “erbette” in azione
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paesaggio nario e del panorama del comprensorio. Si pensi che oltre 1900 ha di serre e tunnel in plastica hanno visto la luce negli ultimi anni creando un nuovo paesaggio, soprattutto in aree dove spesso le coltivazioni o non erano presenti o erano di altra natura. Tale sviluppo ha avuto ripercussioni anche sulla biocenosi del territorio; si pensi all’effetto che ha su insetti e uccelli il forte riflesso prodotto dalla plastica di copertura. La copertura di grosse estensioni influenza anche la composizione floristica, la qualità e quantità dei patogeni e dei parassiti delle piante, lo stato di fertilità e le comunità microbiche dei suoli. Inoltre le acque meteoriche, non potendosi infiltrare, devono trovare nuove strade con la conseguente necessità di attuare più efficienti sistemazioni, che contribuiscono a cambiare ulteriormente la struttura del territorio. È chiaro che come diretta conseguenza si verifica anche il cambiamento delle professionalità richieste per gli operatori in questo settore. Sempre di più, infatti, la richiesta di manodopera è legata alla ricerca di operai specializzati nell’utilizzo di macchine raccoglitrici, trattrici e seminatrici. Sempre minore è invece la richiesta di operai non specializzati, tanto che nelle aziende che coltivano solo prodotti da sfalcio non è raro ritrovare pochi operai specializzati a gestire la produzione di molti ettari di serre. Anche i professionisti, che dapprima erano impegnati nel seguire diverse aziende, ora sono spesso legati a una sola realtà aziendale; questo sia per l’estensione delle singole aziende sia per il sempre più marcato bisogno di
Avversità che colpiscono la lattuga in Campania
• Accanto alle principali avversità
fungine (Sclerotinia spp., Bremia lactucae e Botrytis cinerea), trattate in un’altra sezione del volume, negli ultimi anni le coltivazioni di lattuga in Campania hanno subito danni a opera di due agenti eziologici fino a oggi poco presenti: il virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro (Tomato Spotted Wilt Virus, TSWV) e il Fusarium oxysporum f. sp. lactucae, agente di tracheomicosi. Negli anni 2008-2010 in coltivazioni in pieno campo sono stati osservati danni con perdite di prodotto che hanno raggiunto il 50-60% per il TSWV e anche oltre il 60% per la tracheomicosi. Il TSWV determina foglie di forma irregolare con necrosi a chiazze che somigliano a danni da bruciature da agrofarmaci o fertilizzanti. Il virus è trasmesso da tripidi in maniera persistente e sembra essere più presente laddove esistono nell’areale coltivazioni in serra che possono ospitare il virus e/o i vettori (peperone, pomodoro ecc.). I sintomi da tracheomicosi osservati consistono in uno sviluppo ridotto con crescita non uniforme delle piante, che presentano clorosi e successivo avvizzimento con necrosi tipica dei fasci vascolari
Foto E. Lahoz
Pianta con sintomi di TSWV
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insalate in Campania Foto E. Lahoz
Foto G. Coppola
Caivano (NA): coltivazione di lattuga iceberg. Pieno campo realizzato scoprendo vecchi tunnel per la coltivazione della fragola
Foto E. Lahoz
Pianta di lattuga con sintomi di TSWV
seguire tutta la burocrazia alla base delle certificazioni, molto ampia soprattutto per i prodotti di quarta gamma. La figura dell’agronomo come “tecnico aziendale” impegnato a tempo pieno in una sola realtà produttiva sta ormai diventando realtà. Da questo quadro è facile immaginare quali cambiamenti possano essere indotti da questo tipo di coltivazione dal punto di vista sia dell’impatto ambientale, sia sociale ed economico. Foto E. Lahoz
Agro Nocerino Sarnese: coltivazione multivarietà a stretto contatto, con tunnel coltivato a peperone ospite di tripidi vettori di TSWV
Foto E. Lahoz
Gravi danni da marciume dovuto a Sclerotinia sclerotiorum in una serra della Piana del Sele
Pianta di lattuga con sintomi di tracheomicosi a confronto con due piante sane
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le insalate Foto M. Curci
paesaggio Insalate in Abruzzo Domenico D’Ascenzo, Battista Bianchi
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
paesaggio Insalate in Abruzzo Nella regione Abruzzo il comparto orticolo riveste, nel complesso, una notevole importanza e costituisce più del 20% della produzione lorda vendibile (PLV) agricola, secondo solo alla viticoltura. Le coltivazioni sono essenzialmente localizzate, per le aree prospicienti la costa, nei numerosi fondovalle che solcano trasversalmente la regione e, per l’entroterra, nel bacino del Fucino, altopiano di circa 13.000 ha a circa 700 m slm, che presenta una naturale vocazionalità per queste colture grazie alle sue caratteristiche pedoclimatiche (terreni freschi, sciolti, naturalmente dotati di macro- e micronutrienti ricchi di sostanza organica, elevata capacità idrica dovuta alla risalita capillare della sottostante falda freatica, possibilità di irrigazione mediante i canali di bonifica) e che consente di ottenere prodotti di eccellente qualità. Da circa un decennio, poi, si è sviluppata un’interessante area serricola nei comuni di Miglianico e Ripa Teatina, nella vallata del Foro. Riguardo alle insalate (lattughe, indivie) e al radicchio, l’Abruzzo rappresenta circa l’8% della superficie nazionale coltivata. Le prime, per un totale di circa 1850 ha, sono così distribuite: provincia di Teramo 600 ha (equamente ripartite tra lattughe e indivie), provincia di Chieti 200 ha, provincia di Pescara 50 ha (in entrambi i casi quasi esclusivamente lattuga), provincia de L’Aquila (Fucino) 1000 ha (500 scarola, 450 indivia, 50 lattuga). Il radicchio, invece, si attesta intorno ai 1400 ha, l’80% dei quali viene coltivato nell’areale fucense, ponendo la regione, con una produzione superiore alle 20.000 t, al secondo posto nel panorama nazionale, seconda solo al Veneto.
In sintesi
• Le insalate (lattuga e indivia)
rappresentano l’8% della superficie nazionale coltivata, per un totale di 1850 ha di cui 1000 nel Fucino
• Il radicchio si attesta sui 1400 ha
coltivati, di cui l’80% nell’areale fucense, con una produzione superiore alle 20.000 t, seconda solo al Veneto
• Produzione a ciclo estivo-autunnale,
caratteristica che la diversifica da tutte le altre produzioni italiane
Canale di bonifica
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insalate in Abruzzo È importante sottolineare che questa produzione è, per la quasi totalità, a ciclo estivo-autunnale, caratteristica che la diversifica da tutte le altre produzioni italiane (destagionalizzazione della produzione fucense). Ovviamente da un anno all’altro si registrano oscillazioni negli investimenti in relazione agli andamenti di mercato, che negli ultimi anni sono risultati, purtroppo, particolarmente altalenanti e che in alcuni casi hanno addirittura scoraggiato gli agricoltori, tanto da indurli al mancato raccolto. Le rese produttive oscillano per i radicchi tra i 150 e i 300 q/ha a seconda della maggiore o minore precocità delle coltivazioni, ovviamente con valori maggiori per le varietà più tardive, mentre si attestano intorno ai 250 q/ha per le lattughe a cappuccio, 300350 q/ha per le lattughe romane e 350-400 q/ha per indivie ricce e scarole. Riguardo alle varietà, vengono coltivate molte tipologie di lattughe, sebbene si registri una prevalenza di quella romana, seguita dalla cappuccio e, in minore quantità, da iceberg, batavie e, ultimamente, piccoli quantitativi di altre tipologie, quali gentilina e foglie di quercia. Per i radicchi prevalgono le varietà a palla rossa, tipo Chioggia (Indico e Caspio a ciclo precoce, Leonardo a ciclo medio e molto produttivo, Rossini tra le varietà a ciclo tardivo), e in minor misura quello lungo, rosso, tipo trevigiano (tra questi la varietà più coltivata e affermata risulta essere il Fiero, a ciclo precoce, 70 giorni dal trapianto). Tra le cicorie, infine, prevale senz’altro quella “pan di zucchero”, della quale si ha una discreta produzione nell’altopiano del Fucino, con coltivazioni estive e autunnali; le varietà più affermate risultano essere la Jupiter, a ciclo precoce (70 giorni dal trapianto), e la Uranus, a ciclo medio-tardivo (80-90 giorni dal trapianto).
Campo di radicchio tondo
Campo di scarola e radicchio Campo di radicchio
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paesaggio Queste produzioni vengono destinate interamente ai cosiddetti “tagliatori” per produzione di insalate miste in quarta gamma. Anche una buona parte delle scarole e un quantitativo minore di indivie vengono raccolti per questa utilizzazione. La scelta varietale è condizionata essenzialmente dalle caratteristiche morfologiche e dalla resistenza genetica alla peronospora (Bremia lactucae), oltre che dalla produttività. Particolarmente apprezzati sono, dal punto di vista morfologico, la colorazione (verde chiaro o scuro), la brillantezza e caratteristiche come foglie poco bollose, colletto piccolo, pezzatura dei cespi ecc. Condizionante è anche la destinazione finale del prodotto: per esempio, i mercati laziali e, in genere, quelli dell’Italia centro-meridionale prediligono lattughe e scarole a colorazione verde chiaro, le cosiddette “bionde”, mentre i mercati dell’Italia settentrionale le preferiscono di tonalità verde scuro; per le scarole destinate al taglio in quarta gamma è importante una dimensione medio-grande dei cespi, mentre, al contrario, per il mercato del fresco classico è richiesta una dimensione piccola dei cespi. Ovviamente la scelta delle varietà viene effettuata anche in funzione del ciclo di coltivazione poiché quelle a giorno corto, meno esigenti riguardo a luminosità e temperatura, vengono utilizzate nelle produzioni primaverili e autunnali, mentre quelle a giorno lungo trovano impiego nei trapianti estivi. L’offerta di prodotto regionale copre quasi l’intero arco dell’anno in quanto nelle aree costiere, caratterizzate da climi miti, prevalgono i cicli autunno-vernini, mentre nel Fucino prevalgono i cicli primaverili-estivi a partire dal mese di aprile.
Campo di scarola
Campo di lattuga romana
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insalate in Abruzzo Frequentemente, soprattutto nel Fucino, per anticipare le coltivazioni (trapianti precoci a metà marzo-fine aprile) e proteggerle dal ritorno di freddi improvvisi con “gelate tardive”, si fa ricorso alla protezione degli impianti con teli bianchi di TNT (tessuto-non tessuto), che vengono rimossi con tempestività non appena le temperature tornano ad alzarsi, al fine di evitare inconvenienti legati a scottature superficiali dei cespi e al ristagno dell’umidità, che predispongono agli attacchi delle crittogame. Ultimamente gli impianti vengono effettuati ricorrendo quasi per intero alla tecnica del trapianto; la semina diretta non viene più praticata per evitare le onerose pratiche del diradamento e le successive scerbature manuali, e quindi anche per sopperire alla mancanza di manodopera necessaria per l’esecuzione di tali operazioni colturali. Inoltre con tale tecnica, abbreviandosi il ciclo colturale della pianta di alcune settimane (3 o 4, a seconda delle varietà interessate), si riesce a effettuare anche due cicli di coltivazione; nel Fucino tale evenienza è frequente, in modo particolare dopo i primi trapianti primaverili. Per le lattughe, i sesti di impianto consigliati oscillano tra i 30 cm lungo le file e i 40 cm tra di esse, con investimenti di circa 80.000 piante/ha; per indivie e scarole, invece, si tende a realizzare investimenti minori, circa 60.000-70.000 piante/ha, con distanze tra le file non inferiori a 40 cm, al fine di garantire la necessaria compattezza dei cespi. Naturalmente la scelta dei sesti d’impianto più confacenti dipende da molteplici aspetti, tra i quali giocano un ruolo di primaria importanza le caratteristiche varietali (dimensione dei cespi), come pure l’adozione di alcune pratiche colturali
Campo protetto da teli di TNT
Campo scoperto da teli di TNT Trapianto di radicchio
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paesaggio (per esempio l’impiego dell’irrigazione a goccia anziché di quella a pioggia o per aspersione). Le piantine provengono, in massima parte, dai vivai operanti in regione. Altri aspetti molto importanti riguardano le tecniche colturali relative all’irrigazione, al diserbo e alla difesa fitosanitaria. L’irrigazione per aspersione è ancora il sistema più utilizzato, soprattutto quello a bassa pressione, al fine di evitare l’eccessivo compattamento del terreno (con irrigatori fissi e mobili, ala piovana); negli ultimi anni sta assumendo, però, sempre maggiore interesse e diffusione il sistema della microirrigazione attraverso impianti a manichetta che, tra l’altro, vengono utilizzati anche per la fertirrigazione. Riguardo al diserbo, prevale quello effettuato in pretrapianto e pre-emergenza delle infestanti. Com’è noto, le caratteristiche merceologiche di tutte le insalate giocano un ruolo determinante ai fini commerciali, tanto che la presenza di imperfezioni di qualsiasi natura non è tollerata e comporta spesso l’impossibilità di collocare il prodotto. In quest’ottica la difesa fitosanitaria assume senz’altro un ruolo strategico, anche perché è sempre più pressante la richiesta da parte dei consumatori, e quindi della filiera distributiva, di prodotti “sicuri” per quel che riguarda i residui di agrofarmaci. Le strategie di difesa più comunemente adottate sono essenzialmente di tipo preventivo nei confronti delle malattie crittogamiche, essendo le soglie di intervento nulle o molto basse; per i fitofagi, invece, gli interventi vengono effettuati, generalmente all’inizio delle infestazioni, attraverso un accurato e frequente controllo visivo. Molta cura è posta, ovviamente, nella scelta degli agrofarmaci e in questo senso vengono largamente utilizzati i Disciplinari reIrrigazione per aspersione
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insalate in Abruzzo gionali di produzione integrata, ormai largamente condivisi dalle organizzazioni dei produttori e dalla GDO. Un sicuro elemento di semplificazione della difesa è costituito dalla scelta e dall’impiego di cultivar resistenti e/o tolleranti ad alcune avversità che vengono proposte dalle ditte sementiere e dai vivaisti, sebbene molto spesso la ricerca e il miglioramento genetico siano vanificati dall’estrema dinamicità del comparto per quanto attiene al continuo aggiornamento varietale. Tra le crittogame, la patologia che più preoccupa gli agricoltori per diffusione e intensità di attacco è la peronospora (Bremia lactucae), soprattutto nel Fucino, a causa delle caratteristiche climatiche della zona, segnatamente le rugiade, che spesso assumono il carattere di vere microprecipitazioni. Invece il marciume del colletto, causato da Sclerotinia sclerotiorum e S. minor, determina danni soprattutto in prossimità della raccolta, con marcescenze e scadimenti qualitativi delle produzioni. Tra i fitofagi le nottue fogliari, in particolare Mamestra spp. e Autographa gamma, e gli afidi, segnatamente Nasanovia ribis-nigri su lattuga, Myzus persicae e Macrosiphum euphorbiae su radicchio e scarola, sono le specie più diffuse e pericolose. Sono senz’altro da segnalare, limitatamente all’areale fucense, significative e sempre più diffuse infezioni del virus dell’appassimento maculato del pomodoro (Tomato Spotted Wilt Virus, TSWV), veicolato dalle neanidi di tripidi, che sta diventando il fattore limitante per la produzione estiva (nei mesi di luglio e agosto) di radicchio e indivia, con danni talora molto elevati. Infine, per quanto riguarda la commercializzazione, la quasi totalità delle produzioni è destinata al mercato fresco e l’immissione sul mercato viene gestita, in egual misura, da operatori privati, cooperative e associazione di produttori. Quasi il 70% della produzione è destinato ai mercati nazionali, anche se sono in costante aumento le esportazioni verso i Paesi europei, in modo particolare per i radicchi del Fucino a produzione estiva. Sono altresì in diminuzione gli agricoltori che vendono la produzione “a campo”, conferendo il prodotto a terzi che ne curano anche la fase di raccolta. Sempre maggiore attenzione viene posta anche alla produzione di quarta gamma, soprattutto per quel che riguarda la cicoria pan di zucchero e le indivie (indivia riccia e indivia scarola); non mancano cooperative e operatori privati specializzati in questo segmento, con produzioni altamente qualificate. Sicuramente, un maggiore impulso nella fase di commercializzazione dovrebbe essere fornito dai Consorzi di valorizzazione già presenti sul territorio, attraverso operazioni di marketing, sui mercati nazionali ed esteri, che sottolineino la tipicità di un prodotto dalle elevate caratteristiche organolettiche e lo pongano in risalto legandolo a un ambiente di coltivazione “salubre”, al fine di premiare, anche dal punto di vista economico, gli agricoltori che operano in un comparto altamente qualificato.
Trattamento antiparassitario
Particolare della raccolta
Raccolta della scarola
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le insalate Foto M. Curci
paesaggio Insalate nel Lazio Enrico Barcella
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
paesaggio Insalate nel Lazio Premessa La regione Lazio, con circa 5 milioni e mezzo di abitanti e 17.227 km2, è la terza regione italiana in ordine di popolazione e la nona in ordine di superficie. Nonostante l’elevata antropizzazione, il Lazio conserva un forte legame con il comparto agricolo e in particolare con le produzioni ortofrutticole. Secondo i dati diffusi dall’Arsial (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio), la produzione ortofrutticola complessiva nel 2008 è stata di circa 10 milioni di quintali, derivati dalla coltivazione di 52.000 ha di terreno. La produzione di ortaggi e frutta rappresenta il 35% della PLV agricola regionale e, in termini di quantità, risulta pari al 7% di quella nazionale. L’export regionale annuo di ortofrutta ha un valore di 188.000.000 di euro, il 90% dei quali derivato da vendite nel Nord Europa. Produzione di insalate e indivie nel Lazio Il Lazio, nel contesto della produzione italiana di insalate, secondo i dati ISTAT del 2010, con 1322 ha e 252.000 q, si colloca al quinto posto per la produzione di lattughe e, con 391 ha e una produzione raccolta di 73.000 q, all’ottavo posto per quanto riguarda la produzione di indivie (ricce e scarole). Nell’ambito regionale, le maggiori produzioni, nel corso degli ultimi 5 anni, si riscontrano nella provincia di Latina, seguita da quella di Roma. Nelle province di Frosinone, Rieti e Viterbo, invece, le produzioni sono molto limitate. Nella campagna romana la colti-
Confezionamento della lattuga cappuccina
Lattuga iceberg o brasiliana a maturazione completa
Foto R. Angelini
162
insalate nel Lazio Indivie: superfici (ha) nella regione Lazio Province
2006
2007
2008
2009
2010
Latina
204
190
176
181
200
Roma
150
140
130
120
130
Frosinone
50
50
60
60
57
Rieti
3
5
5
5
4
Viterbo
–
–
–
–
–
Totale Lazio
407
385
371
366
391
Dati ISTAT
vazione è tradizionalmente legata ai consumi della capitale, che richiede soprattutto lattuga romana e lattughini da taglio, la cosiddetta “misticanza”. Più ampia e variegata è invece la produzione di insalate nella provincia di Latina. Le coltivazioni si susseguono per tutto l’anno con coltivazioni in campo aperto dalla primavera all’autunno inoltrato, effettuate soprattutto nei comuni di Cisterna, Latina e Sezze. Quelle in serra, che si realizzano nel periodo invernale, in coltura protetta, sono diffuse nei comuni di Sezze, Pontinia, Sabaudia, Terracina, San Felice Circeo, Fondi ma anche, in piccole quantità, nei centri di Formia e Gaeta. Secondo i dati ISTAT nel corso degli anni la coltivazione laziale di indivie e lattughe si è mantenuta sufficientemente costante, con una flessione tra il 2008 e il 2009, dovuta probabilmente alla crisi generale dei consumi, decremento che comunque risulta quasi completamente riassorbito già nel 2010.
Lattuga cappuccina vista dall’alto
Lattuga tipo classico
Foto R. Angelini
163
paesaggio Indivie: produzioni (q) nella regione Lazio Foto R. Angelini
Province
2006
2007
2008
2009
2010
Latina
42.000
39.000
36.000
37.000
40.000
Roma
29.700
25.870
25.740
20.400
24.003
Frosinone
6840
7152
7500
12.000
8884
Rieti
472
900
950
950
750
Viterbo
–
–
–
–
–
Totale Lazio
79.012
72.922
70.190
70.350
73.637
Dati ISTAT
Considerazioni sulle superfici e produzioni censite Per quanto riguarda i dati di superficie e produzione delle lattughe, bisogna sottolineare che per la provincia di Latina, sia per la dinamicità con cui vengono realizzate le coltivazioni, sia per la frequente ripetizione di più cicli colturali sullo stesso terreno, tanto in pieno campo quanto in serra, le quantità realmente coltivate probabilmente sono molto maggiori di quelle censite. Mercati di destinazione La produzione laziale, oltre che al grande mercato di Roma, è destinata anche a piazze poste oltre i confini regionali. In particolare, nel periodo invernale, la produzione serricola di insalate della provincia pontina viene destinata ai mercati campani, a quelli del Nord Italia e, in quantità crescenti, all’esportazione. Le insalate destinate al consumo della capitale confluiscono al centro agroalimentare di Roma oppure, attraverso contratti diretti tra aziende e GDO, direttamente alle piattaforme di distribuzione
Lattughino verde in raccolta
Quintali
Produzioni di indivia
Lattuga cappuccina
164
90.000 80.000 70.000 60.000 50.000 40.000 30.000 20.000 10.000 0
2006
2007
Latina
Frosinone
Roma
Rieti
2008
2009 Totale Lazio
2010
insalate nel Lazio Lattughe: superfici (ha) nella regione Lazio Province
2006
2007
2008
2009
2010
Latina
683
678
692
708
710
Roma
500
520
540
550
537
Frosinone
55
55
65
65
65
Rieti
9
6
5
5
4
Viterbo
3
3
4
3
6
Totale Lazio
1250
1262
1306
1331
1322
Dati ISTAT
(per es. centro di Pomezia), da cui vengono smistate ai supermercati della città. Analogamente, per ciò che riguarda la distribuzione fuori regione, parte del prodotto passa attraverso il mercato ortofrutticolo di Fondi, ma sempre più frequentemente dai centri di produzione va direttamente alle piattaforme distributive della GDO del Nord Italia. In questi ultimi anni una quota sempre maggiore di insalate, grazie alla specializzazione produttiva delle aziende, capaci di far fronte all’esigenza di una gestione veloce della logistica, riesce a giungere ai banchi dei supermercati con un unico passaggio. L’esportazione delle insalate dalla regione Lazio, in particolare dal territorio della Pianura pontina, è un fenomeno in forte crescita, trascinato dalla corrente di esportazione di particolari specie di ortaggi destinati specificamente ai consumatori del Nord Europa. Da un trentennio infatti rape lunghe, kohlrabi, ravanelli tondi, rape bianche tonde, rape rosse e cavolo cinese sono referenze orticole la cui produzione avviene solo nelle aree sabbiose della piana
Superfici coltivate a lattuga
Superfici in ha
1500
1000
500
0
2006
2007
2008
Latina
Frosinone
Rieti
Roma
Viterbo
Totale Lazio
2009
2010 Raccolta della lattuga cappuccina
165
paesaggio Lattughe: produzioni (q) nella regione Lazio Province
2006
2007
2008
2009
2010
Latina
149.000
170.000
176.000
180.200
148.000
Roma
88.000
91.520
97.200
81.400
90.040
Frosinone
7560
7708
6000
13.000
13.000
Rieti
1509
1100
950
950
750
Viterbo
291
262
350
262
524
Totale Lazio
246.360
270.590
280.500
275.812
252.314
Dati ISTAT
pontina. Queste alimentano una forte flusso di esportazione verso il mercato tedesco e ora anche verso i Paesi dell’Europa dell’Est e dell’ex Unione Sovietica. In mancanza di dati ufficiali, si stima che alla coltivazione di queste tipologie di ortaggi siano dedicati circa 3000-4000 ha, con una produzione di circa 800.000 q di prodotto. Le insalate, in special modo le cappucce, hanno cominciato a essere spedite assieme a questi ortaggi trovando forte gradimento soprattutto in Polonia e nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. Quadro varietale Nel Lazio la varietà di insalata più coltivata, in termini di superfici investite e di quantità prodotta, sia in pieno campo sia in serra, è la lattuga romana, a cui si può attribuire circa il 60% della produzione; seguono la cappuccina, con una percentuale del 30%, e il rimanente 10% lo si può suddividere tra le varietà canasta, batavia, iceberg, gentilina, foglia di quercia e lattughini da taglio. La tipologia delle diverse cultivar è legata alle richieste dei consumatori
Ripulitura della lattuga cappuccina
Produzioni di lattuga 300.000 250.000 Quintali
200.000 150.000 100.000 50.000 0
Taglio di pulitura
166
2006
2007
2008
2009
Latina
Frosinone
Viterbo
Roma
Rieti
Totale Lazio
2010
insalate nel Lazio della zona di destinazione. Le famiglie del Centro-Sud richiedono soprattutto lattughe romane dalla foglia scura ben matura, con grumolo ben serrato e peso consistente che va dai 600 ai 1500 g. Il mercato di Roma e, in genere, i mercati del Centro-Nord richiedono lattughe romane con cespi meno serrati, con foglia più chiara e tenera. Per ciò che riguarda le lattughe cappucce, il mercato interno e anche quello estero (Polonia), soprattutto per il prodotto coltivato in serra, richiedono cespi poco serrati con grumolo non chiuso e peso che si aggira dai 250 ai 350 g. Per le altre varietà le produzioni sono meno legate alle abitudini dei consumatori. Negli ultimi anni le proporzioni tra le produzioni delle diverse tipologie di insalate sono rimaste stabili, tranne che per la varietà iceberg, che negli ultimi tempi sta mostrando una sensibile crescita. Tra le varietà di lattughe romane ben due importanti cultivar la cui coltivazione si è diffusa in tutta Europa hanno preso origine nella Pianura pontina. Si tratta di due lattughe romane: la Leggenda e la Profeta, selezionate sulle terre nere (torbose) di una storica azienda di Borgo Tor Tre Ponti. Varietà molto produttive e rustiche hanno incontrato un forte apprezzamento sui mercati spagnoli, inglesi e dell’Est Europa. Tunnel
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le insalate Foto M. Curci
paesaggio Insalate nelle Marche Nazzareno Acciarri, Emidio Sabatini
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paesaggio Insalate nelle Marche Geografia e clima della regione Le Marche sono una regione dell’Italia centrale di 1,5 milioni di abitanti; si affacciano a est sul mare Adriatico con un territorio di circa 936.000 ha, di cui il 31% montano e il 69% collinare, in assenza di un paesaggio realmente pianeggiante. A riprova che il loro territorio è completamente montuoso e collinare, la SAU delle Marche si aggira sui 490.000 ha, che rappresenta poco più della metà della superficie totale regionale. Le poche aree pianeggianti sono limitate alla fascia costiera e ai fondovalle più prossimi a fiumi o torrenti. A ovest la regione è delimitata dalla catena appenninica umbro-marchigiana, il cui tratto con le vette più alte è quello centro-meridionale che prende il nome di catena dei monti Sibillini; la montagna più alta è il Vettore. Quasi tutti i fiumi e i torrenti delle Marche nascono dagli Appennini o dalle colline interne per poi scendere a est verso il mare Adriatico con un andamento “a pettine”. Dunque le vallate, come i fiumi, corrono da ovest a est. La costa marchigiana è bassa, prevalentemente sabbiosa o ghiaiosa, interrotta solo da due promontori: il monte San Bartolo vicino Pesaro e il famoso e paesaggisticamente splendido promontorio del monte Conero, subito a sud di Ancona. Il paesaggio collinare è caratterizzato da un andamento solitamente dolce con alcuni tratti più aspri, localizzati soprattutto nelle zone interne e nella parte meridionale, dove frequenti sono le formazioni calanchifere. Ampi tratti delle colline marchigiane, con una percentuale crescente andando dai monti verso il mare, sono magistralmente coltivati nonostante un terreno spesso molto ar-
In sintesi
• Le condizioni climatiche fanno sì che le
province meridionali (Macerata, Fermo e Ascoli Piceno) vedano una prevalenza di colture di insalate, radicchi e finocchi rispetto al cavolfiore, diffuso nel nord della regione
• È prevalentemente un’orticoltura invernale, con insalate e cicorie a raccolta autunno-vernina
• Scarole (a foglia liscia), indivie (a foglia riccia) e altre cicorie sono trapiantate in settembre e raccolte fino a tutto marzo
Appezzamenti a scarola e indivia in prossimità del mare a Massignano (AP)
168
insalate nelle Marche gilloso e pendii in alcuni casi estremamente ripidi. Le sistemazioni che consentono coltivazioni anche in tratti scomodi derivano dalla tradizione mezzadrile della regione. Le famiglie contadine, che hanno per secoli caratterizzato il paesaggio con campi ordinati e splendide case coloniche in mattoni sparse sul territorio, oggi abbandonate o trasformate in belle residenze restaurate o in agriturismi, hanno tramandato alle generazioni successive un esempio di ordine, pulizia, razionalità agronomica e amore per la terra, tutte caratteristiche che da sempre contraddistinguono il popolo marchigiano. Gli agricoltori marchigiani, pur in un contesto geologico difficile dovuto a un territorio prevalentemente argilloso (anche se non mancano colline ghiaiose in prossimità del mare) e soggetto a smottamenti ed erosioni, ha saputo conservare il paesaggio con sapienti lavorazioni a rittochino e filari di vite, oggi scomparsi, o alberate di ulivi e tratti di boschi di querce e acacie spesso ridotti a filari perpendicolari al pendio. Il clima della regione è più subcontinentale che mediterraneo, infatti, estati calde ma non eccessivamente, grazie alle brezze marine, si alternano a inverni spesso piuttosto freddi con temperature medie relativamente basse: nella zona di Pesaro, nel mese di gennaio, si ha sovente una temperatura media inferiore a 4 °C. Il monte Conero fa da vero e proprio spartiacque climatico: infatti, a sud di questo promontorio roccioso le temperature medie invernali sono più alte, il che consente la coltivazione di molte insalate più sensibili del cavolfiore alle escursioni di alcuni gradi sotto lo zero. Durante i mesi invernali, e specialmente da gennaio, si verificano ripetuti episodi con temperature notturne di diversi gradi sotto lo zero e gelate frequenti nei fondovalle. Questi episo-
Un casolare abbandonato e un allevamento di scarola su terreno molto argilloso in Val Menocchia (AP)
L’allevamento della scarola in collina è una caratteristica delle Marche
169
paesaggio di si manifestano più spesso nel nord della regione e nelle zone interne, mentre nelle province meridionali e nella fascia litoranea raramente si scende sotto i –4-5 °C, anzi, le gelate, per quanto frequenti, non sono mai molto intense. Anche le precipitazioni, concentrate soprattutto in autunno e in primavera, sono più abbondanti a nord del Conero rispetto al sud, e nella fascia montana e pedemontana; comunque, la media annua regionale è inferiore agli 800 mm. Rari ma presenti annualmente sono gli episodi di neve lungo la costa; più frequenti, invece, sono le precipitazioni nevose all’interno della regione e sulle colline più alte, anche non lontano dal mare. Queste manifestazioni si hanno per effetto di correnti nordorientali provenienti dai Balcani, dalle quali la regione non è protetta da barriere montuose. Le condizioni climatiche descritte fanno sì che le province meridionali (Macerata, Fermo e Ascoli Piceno) vedano una prevalenza di colture di insalate, radicchi e finocchi rispetto al cavolfiore, diffuso nel nord della regione. Orticoltura marchigiana È stata ed è ancora un’orticoltura prevalentemente “invernale”. La fanno da padrone cavolfiore e altre brassicacee, insalate e cicorie a raccolta autunno-vernina, finocchi e, in modo più ridotto, porri, mentre in estate le specie prevalenti fino a qualche tempo fa erano il pomodoro, il melone e il peperone, coltivati su superfici abbastanza ampie, per l’esportazione, o specie al sud, in piccoli orti oggi trasformati quasi ovunque in più redditizi vivai di piante ornamentali. La coltivazione e il commercio delle insalate hanno nelle Marche una consolidata e antica tradizione, non inferiore a quella del ca-
Episodi di neve non sono rari negli inverni marchigiani
Scarole e brassicacee si alternano frequentemente nelle campagne marchigiane
170
insalate nelle Marche volfiore, che ha trovato in questa regione un importante centro di differenziazione. Soprattutto le scarole sono molto diffuse e alcune cultivar si sono differenziate in questo territorio grazie anche alla presenza di un importante centro di ricerca, il CRA-ORA (Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura – Unità di ricerca per l’orticoltura), già sezione dell’Istituto sperimentale per l’orticoltura, che ha una tradizione di conservazione, ricerca e costituzione varietale in questa specie come in altre. Sul territorio marchigiano, specie nella provincia di Ascoli Piceno, esistono antiche e importanti ditte private specializzate tanto nell’esportazione di prodotti ortofrutticoli quanto nel commercio sui mercati interni, mentre di origine più recente sono organizzazioni cooperative e consorzi. Molti commercianti, non riuscendo a trovare prodotto sufficiente alle proprie necessità commerciali nelle Marche e nel vicino Abruzzo, cominciarono a far coltivare scarole e indivie in Puglia, Molise e Basilicata, da cui in seguito queste colture si diffusero largamente. Non va dimenticato che proprio dalle Marche, poco meno di un secolo fa, partirono i primi vagoni di cavolfiore destinati ai mercati esteri; il cavolfiore fece, poi, da apripista ad altri prodotti tra cui, principalmente, le insalate a raccolta autunno-vernina. La coltivazione di scarola è molto diffusa in Val d’Aso (FM). Sullo sfondo il monte Vettore
Scarole e indivie Come si è detto, le cultivar a produzione autunnale e vernina si coltivano soprattutto nelle province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata che, trovandosi a sud del Conero, hanno un territorio con un clima invernale più mite rispetto alle province settentrionali di Ancona e Pesaro. Le raccolte delle varie tipologie iniziano a no-
Appezzamento di radicchio e sullo sfondo un vivaio di piante ornamentali. I vivai, nelle Marche, hanno spesso sostituito la coltivazione delle orticole
171
paesaggio vembre per terminare alla fine di marzo. Le aree interessate sono quelle delle pianure litoranee, dei fondovalle prossimi al mare, ma anche delle colline meno soggette alle basse temperature, in particolare nei versanti esposti a sud. Proprio la coltivazione collinare di queste specie è una caratteristica peculiare del territorio e della tradizione marchigiana. In generale, la coltivazione difficilmente viene attuata a distanze dal mare superiori ai 15 km, essendo l’entroterra piuttosto freddo in inverno. Fin dai tempi della mezzadria scarole e indivie hanno sempre costituito un’importante fonte di reddito anche perché la coltivazione è attuabile con relativa disponibilità di acqua e quindi accessibile anche ai piccoli poderi di collina, dove altre specie orticole estive non erano e non sono economicamente coltivabili e proprio la carenza di acqua di irrigazione rende oltremodo rischioso l’investimento. Le insalate vernino-primaverili, per il ciclo che svolgono nel periodo più piovoso dell’anno, possono essere coltivate con pochissimi interventi irrigui a inizio ciclo e anche su terreni ghiaiosi o molto sciolti, frequenti lungo le colline litoranee del Piceno dove la coltivazione di altre orticole sarebbe a forte rischio. Infatti, quasi tutte le scarole (a foglia liscia), indivie (a foglia riccia) e altre cicorie vengono trapiantate nel mese di settembre quando, solitamente, cominciano a essere più frequenti le piogge, tanto che a volte sono sufficienti uno o due interventi irrigui in post-trapianto per garantire il regolare attecchimento e sviluppo. Fino a una ventina di anni fa, prima della diffusione delle piantine provenienti da vivai specializzati, si effettuava la semina diretta nelle zone a maggiore disponibilità di acqua o il trapianto a radice nuda in collina e nelle zone difficilmente irrigabili. L’opportunità
Foto R. Angelini
Cicoria appena germinata
Piccolo appezzamento in provincia di Fermo
172
insalate nelle Marche che queste specie offrono per un allevamento con pochi interventi irrigui rende la loro coltivazione più economica e il clima, che facilita un rapido sviluppo durante un autunno solitamente caldo seguito da inverni abbastanza rigidi ma con temperature sopportabili dalle piante senza danni, garantisce l’ottenimento di un prodotto di elevata qualità, con ottimo peso per pianta grazie a un “cuore” denso, molto apprezzato sul mercato. Attualmente, sia in collina sia in pianura, il trapianto di piantine provenienti da vivai specializzati è la pratica universalmente adottata. Più recente è la coltivazione di scarole e ricce per la quarta gamma grazie allo sviluppo sul territorio di un’importante impresa privata, che dalla sola coltivazione per il mercato fresco è passata anche alla produzione e al confezionamento, con un proprio marchio, di diverse combinazioni di insalate fresche pronte di quarta gamma. La nascita di questa impresa, che coltiva su propri terreni e su grossi appezzamenti presi con contratti di affitto, ha incrementato la coltivazione soprattutto nelle province di Fermo e Macerata. Nella provincia di Macerata è pure tradizionalmente diffusa la coltivazione della scarola a raccolta autunnale denominata “coppa” (il nome deriva dalla conformazione del cespo), caratterizzata da una pianta compatta, con numerose foglie di lunghezza molto uniforme, un cuore molto denso e “autoimbiancante”, la cui cultivar antesignana prende il nome di “Gigante degli ortolani”. È una scarola che si trapianta prima di quelle più prettamente invernali (le “fiorentine”) e si raccoglie a novembre e inizio dicembre. Per le prime varietà standard utilizzate, più sensibili al gelo delle scarole invernali, la raccolta veniva completata prima del manifestarsi
Radicchio e un’antica abitazione mezzadrile in provincia di Macerata
Antico e moderno nelle Marche: un vecchio casolare, un moderno impianto fotovoltaico e un appezzamento di scarola
173
paesaggio delle gelate più intense e diffuse. Una volta la raccolta terminava con l’inizio della produzione della scarola della tipologia “fiorentina” poiché quest’ultima era preferita dai consumatori per la superiore bontà. Oggi anche le fiorentine sono state quasi sostituite da “coppe” invernali resistenti al freddo, per avere minori scarti di produzione e una pianta più pesante e compatta. Forse questo è uno dei casi in cui la necessità del commercio è prevalsa sul gusto del prodotto. Sono in molti a ricordare la maggior “croccantezza” e bontà della scarola fiorentina rispetto alle moderne e più diffuse cultivar. Anche nelle Marche si attua un’importante e fondamentale pratica colturale nell’allevamento delle indivie ricce e delle scarole a foglia liscia denominata “legatura”; si tratta, appunto, della legatura della pianta con un elastico che permette la protezione del cuore della pianta dalla luce, al fine di garantire uno spiccato “autoimbiancamento” delle foglie. La pianta rimane legata per una decina di giorni e questo intervallo non deve protrarsi molto più a lungo prima della raccolta, in modo che ci sia un sufficiente “autoimbiancamento” prima che inizino gli effetti dannosi della pratica, che consistono nella comparsa di marciumi fogliari dovuti a una prolungata “chiusura”. Vengono legate le piante il cui prodotto è destinato al mercato interno italiano e alla quarta gamma, mentre per le scarole e le ricce destinate all’estero la legatura non è necessaria poiché i consumatori esteri sono soliti cuocere l’insalata e non la mangiano cruda come la maggior parte degli italiani. Da oltre venti anni si è affermata anche la coltivazione di una tipologia di insalata che localmente prende il nome di “coppetta”
Legatura delle piante di scarola e indivia, pratica molto diffusa nelle Marche
Caratteristico portamento di una scarola “coppa”
Allevamento di scarola per la produzione di “coppetta” nel mese di marzo ad Altidona (Fermo)
174
insalate nelle Marche per la raccolta di marzo. Questo nome sembra sia derivato da una prima produzione, ottenuta nel comune di Altidona (FM), dove una coltura di Samy, della Clause, rimasta invenduta, e poi danneggiata dal gelo, riprese a vegetare a fine inverno dando luogo a una pianta più piccola (da qui il nome “coppetta”) ma dal cuore serrato che conobbe una vera e propria fortuna commerciale. Da allora si sviluppò un notevole interesse per questo periodo produttivo e si affermò come cultivar una scarola “coppa” denominata Samoa, appositamente trapiantata a fine settembre e ai primi di ottobre. Tutti gli operatori marchigiani, oramai diffusamente, definiscono questa varietà, come altre più recenti, con il nome di “coppetta” se trapiantata a fine settembre-primi di ottobre e raccolta a marzo. Riguardo alle cultivar diffuse in coltivazione, per l’indivia riccia si segnalano Marathoneta, Milady, Emily, Myrna, Atleta, Thebas, Isola, Jolie, Bekele, Snoopie, mentre per la scarola, oltre a Quintana, certamente la più coltivata, si hanno: Kethel, Kokyta, Natacha, Seychel, Tarquinis, Congo, Sardana, Bober, Dimara, Seance, Flester, Parmance, Alexia, Samoa, Dafne. Purtroppo si è molto ridotta la coltivazione della scarola tipicamente fiorentina denominata Ascolana 77, che per moltissimi anni ha dominato in modo incontrastato il mercato. Essa era stata costituita presso l’ex Sezione di Monsampolo del Tronto dell’Istituto sperimentale per l’orticoltura (ora CRA-ORA) da Lelio Uncini, che l’aveva selezionata da una popolazione rinvenuta presso un agricoltore di Massignano (AP), il quale coltivava scarola su un terreno ghiaioso e povero, ottenendo comunque una pianta di pregevole qualità e di notevole vigoria e peso.
Scarole “coppa” e “coppetta”, due denominazioni marchigiane
• Sono due denominazioni esclusive
della regione Marche. La prima si riferisce a una tipologia di scarola a raccolta autunnale caratterizzata, come dice il nome, da una pianta con conformazione “a coppa” per avere le foglie esterne non prostrate a terra, come nelle fiorentine, ma angolate e rivolte verso l’alto. Ne deriva una pianta più eretta rispetto alle scarole fiorentine a produzione tipicamente invernale. Scarola “coppetta” è invece la denominazione acquisita da una coppa trapiantata molto più tardi rispetto alle “coppe”, e cioè alla fine di settembre e ai primi di ottobre con raccolta da metà marzo. Il suo nome si fa risalire alla produzione che per la prima volta si ottenne da una “rivegetazione” di una “coppa” rimasta invenduta in autunno e che, raccolta a fine marzo prima della salita a seme, ebbe un notevole successo commerciale
Allevamento di Ascolana 77, originaria delle Marche, per anni la più diffusa cultivar di scarola fiorentina in molte regioni italiane Le scarole vengono diffusamente coltivate anche in terreni ghiaiosi
175
paesaggio Radicchi e pan di zucchero Sono le altre cicorie più diffusamente coltivate nelle Marche. Il radicchio, in particolare, ha trovato nella regione una vero e proprio secondo habitat di elezione, tanto che la superficie investita è praticamente raddoppiata in poco più di un decennio e oggi supera la ragguardevole quantità di 800 ha. Vengono coltivate tre tipologie: Chioggia, Verona e Treviso, con estensioni diverse tanto che il solo radicchio di Chioggia supera il 60-70% della produzione, dominando nettamente sulle altre due. I radicchi vengono allevati, in modo particolare, a cavallo delle province di Macerata e Fermo anche per fornire prodotto destinato alla quarta gamma. Per molti anni sono state soprattutto le varietà standard a essere coltivate, ma più di recente si sono diffusi gli ibridi F1, in particolare, attualmente, si segnalano per diffusione Leonardo (ibrido precoce), Indigo, Caspio, Firestorm, Rossini, Rubro, Giove. Più limitata è invece la coltivazione della cicoria pan di zucchero che si distribuisce un po’ a macchia di leopardo, in tutte e tre le province meridionali. La raccolta di radicchio e pan di zucchero termina, in linea di massima, nei mesi di dicembre e gennaio mentre la commercializzazione, grazie all’ottima conservabilità in frigorifero, si protrae molto più a lungo. Le cultivar più diffuse di pan di zucchero sono Uranus, Mercurius, Jupiter, Virtus, tutte della società Bejo, che quindi domina il mercato del seme di questa specie.
Allevamento di radicchio nella Val di Chienti, in provincia di Macerata
Lattuga Contrariamente a quanto avviene nella vicina Romagna dove la lattuga, soprattutto in pieno campo, è molto diffusa in tutte le sue
Pan di zucchero e sullo sfondo il paesino di Monterubbiano, in provincia di Fermo
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insalate nelle Marche svariate tipologie di cultivar, nelle Marche questa specie ha una estensione molto limitata sia in pieno campo sia in coltura protetta. Se ne registrano pochi ettari, soprattutto sotto tunnel freddo per produzioni vernine, dove vengono allevate, in modo particolare, cultivar di trocadero e lollo. Una produzione di ottima qualità, se pure molto limitata quantitativamente, si ottiene in comune di Grottammare (AP). La coltivazione della nota lattuga romana o di altre tipologie è invece limitata ai piccoli orti per i mercati rionali, per la vendita in azienda o per uso familiare. Nelle Marche anche un centro di ricerca Come precedentemente evidenziato, nelle Marche esiste un importante centro di ricerca che si occupa, tra l’altro, di recupero, miglioramento genetico e valorizzazione di germoplasma di indivie e scarole. Si tratta del CRA-ORA (Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura – Unità di ricerca per l’orticoltura di Monsampolo del Tronto). Qui fu selezionata, da Lelio Uncini, la scarola fiorentina Ascolana 77 che ha avuto un incontrastato successo commerciale e di diffusione durato oltre venti anni. La sua coltivazione era diffusa soprattutto dalle Marche fino a tutta la Puglia, ma anche in altre regioni italiane. Anche attualmente è in atto un’importante attività selettiva e un arricchimento della variabilità disponibile attraverso incroci e reincroci tra tipologie diverse. Questa attività, che vede in fase di preiscrizione alcune nuove varietà, viene portata avanti in collaborazione con la ISI Sementi.
Radicchio e pan di zucchero sono molto diffusi nelle Marche
Campo di selezione presso il CRA-ORA di Monsampolo del Tronto (AP)
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le insalate Foto M. Curci
paesaggio Insalate in Emilia-Romagna Sergio Gengotti, Vanni Tisselli
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
paesaggio Insalate in Emilia-Romagna Introduzione Da quanto riportato da illustri autori del passato emerge chiaramente la storica vocazionalità delle terre emiliano-romagnole per un’agricoltura professionale. La produzione delle insalate, tuttavia, è ancora concentrata intorno ai centri urbani, principalmente Bologna, Cesena e Rimini, dove tra l’altro sono sorti importanti mercati ortofrutticoli. La coltivazione delle insalate è effettuata durante tutto l’anno ma, per motivi di ordine climatico, prevalentemente nel periodo primaverile, estivo e autunnale. Nel periodo estivo un importante bacino di consumatori è costituito dai turisti che frequentano i numerosi ristoranti e alberghi della costa romagnola. La produzione invernale di insalate in Emilia-Romagna è in gran parte da ascrivere alla diffusione della coltivazione del radicchio nella fascia litoranea della pianura ferrarese limitrofa ai confini con la regione Veneto. Le tre principali zone produttive emiliano-romagnole, rappresentate dalle pianure del Bolognese, del Ferrarese e delle province romagnole di Forlì-Cesena e Rimini, presentano caratteristiche ben distinte tra loro. Le aziende agricole della provincia di Bologna dispongono di una superficie agricola utilizzabile (SAU) media di 10,7 ha e hanno la possibilità di effettuare ampie rotazioni intercalando la lattuga e l’indivia a seminativi e a numerose ortive diverse dalle insalate. Analoga è la situazione nelle aziende del Ferrarese,
In sintesi
• Superficie coltivata 2795 ha di cui
1683 ha di lattuga, 883 ha di radicchio e 239 ha di indivia
• Produzione di 822.367 q di cui lattuga
573.530 q, radicchio 162.267 q e indivia 86.570 q
• La produzione di semente di insalate rappresenta circa l’80% di quella italiana, le province più coltivate sono Forlì-Cesena, Rimini, Bologna e Ravenna
Lattuga cappuccina in fase di raccolta
Foto R. Angelini
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insalate in Emilia-Romagna dove la maglia poderale è ancora superiore, con una SAU media di 16,4 ha. Al contrario, le aziende agricole in Romagna hanno una superficie media di 6,6 ha per Forlì-Cesena e 4,5 ha per Rimini, ma non mancano i casi di aziende molto piccole, con superficie coltivata di poche migliaia di metri quadrati. Si tratta delle aziende serricole della fascia costiera a nord di Rimini, caratterizzata da produzioni ortive molto intensive. La commercializzazione della lattuga fino ad alcuni decenni fa era attuata direttamente dal produttore nei mercati all’ingrosso. Questi, a seguito del forte sviluppo della grande distribuzione organizzata, hanno perso gradualmente di interesse e mantengono una certa importanza solo nel periodo estivo, in particolare a Rimini e a Cesena. L’esigenza di una standardizzazione del prodotto, unitamente alla richiesta di elevati quantitativi, che il singolo agricoltore spesso non era in grado di garantire, ha portato allo sviluppo di numerose cooperative e strutture private, che si sono sviluppate soprattutto negli ultimi 40 anni. La presenza di cooperative operanti sul territorio nazionale e internazionale (Agribologna, Orogel Fresco, Agrintesa ecc.) e la capacità imprenditoriale di numerosi commercianti privati (Ortogest, Fellini ecc.) consentono oggi la commercializzazione della produzione regionale sui principali mercati italiani ed esteri. La competenza e la professionalità degli agricoltori, unite a un sistema di assistenza tecnica di prim’ordine, hanno portato a sviluppare tecniche di coltivazione integrata e biologica che hanno
Costanzo Felici (1565): Dell’insalata e piante che in qualunque modo vengono per cibo del’homo (Biblioteca Universitaria di Bologna)
• “Dirò così: che l’insalata è nome
de’ Italiani solamente, avendo la denominatione da una parte del suo condimento, cioè dal sale, perhò che si chiama così un’herba o più miste insieme a questo nostro proposito, o altra cosa, con condimento d’olio, sale et aceto generalmente, o cotte o crude che siano, misticando tutto in un corpo”
Trattamento refrigerante con acqua fredda e acido citrico con pompa a spalla per evitare l’ossidazione della sezione di taglio della lattuga
Foto R. Angelini
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paesaggio reso l’Emilia-Romagna pioniera nelle produzioni a basso impatto ambientale. Negli ultimi anni si è sviluppata anche una produzione di insalate destinate alla quarta gamma. La produzione è limitata alle insalate da taglio “cuori di lattuga”, delle tipologie “cappuccio” e “iceberg”, oltre alle indivie e ai radicchi. La tecnica colturale è la stessa delle insalate destinate al mercato fresco, ma vengono utilizzate varietà che hanno la caratteristica di formare un cespo che imbianchi bene la parte centrale, ben chiuso anche se non troppo compatto per favorire il processo di lavorazione meccanica in stabilimento. In Emilia-Romagna, nonostante la presenza di aziende storiche produttrici di quarta gamma, è invece praticamente assente la coltivazione di insalate da taglio, che sono invece ampiamente coltivate in Lombardia e in altre regioni dell’Italia centrale e meridionale.
1,1% 9,8% 28,9%
11,2%
24,7%
25,2%
Ferrara
Bologna
Rimini
Ravenna
Forlì-Cesena
Altre
Situazione statistica
Superficie coltivata a insalate: distribuzione percentuale nelle diverse province (anno 2010)
Superficie investita In Emilia-Romagna nel 2010 sono stati coltivati 1673 ha di lattuga, 883 di radicchio e 239 di indivia, per un totale di 2795 ha di insalate. Con il 59,9% della superficie totale investita a insalata, la lattuga è senza dubbio la coltura che occupa la maggiore superficie in regione; seguono il radicchio (31,6%) e l’indivia (8,6%). Negli ultimi 15 anni si è osservato un trend crescente con un incremento medio annuo della superficie coltivata a insalata dell’1,9%. L’incremento ha interessato in particolare la lattuga (+2,5%) e il radicchio (+1,6%), mentre la superficie a indivia è rimasta sostan-
Foto R. Angelini
Ettari
Evoluzione della superficie investita a insalate in Emilia-Romagna nel periodo 1996-2010 (ettari) 3000 2750 2500 2250 2000 1750 1500 1250 1000 750 500 250 0
1996
1998
Lattuga
180
2000
2002
Radicchio
2004 Indivia
2006
2008
2010
Insalate (tot)
insalate in Emilia-Romagna zialmente inalterata (–0,2%). Il radicchio è coltivato prevalentemente nel Ferrarese, dove è presente l’83,4% della superficie totale di questa coltura, mentre la lattuga si concentra tra Rimini e Forlì-Cesena, con il 78,7% del totale.
1,4% 10,6%
Produzione Nel 2010 in regione sono stati prodotti 822.367 q di insalata ripartiti tra lattuga (573.530 q), radicchio (162.267 q) e indivia (86.570 q). La lattuga rappresenta ben il 69,7% dell’insalata prodotta in EmiliaRomagna, mentre il radicchio e l’indivia ne costituiscono, rispettivamente, il 19,7% e il 10,5%. Dal 1996 al 2010 si è assistito a una produzione crescente, con un ritmo medio annuo del 5,3% per la lattuga, dell’1,6% per il radicchio e dello 0,7% per le indivie. L’86,3% della produzione regionale di radicchio si concentra nel Ferrarese, mentre nelle province di Forlì-Cesena e Rimini è prodotto il 72% della lattuga emiliano-romagnola.
17,2%
Resa La quantità di insalata prodotta in Emilia-Romagna è aumentata negli anni in modo più che proporzionale rispetto alle superfici coltivate. Ciò è dovuto a un aumento delle rese, che sono passate da 262 a 343 q/ha per la lattuga (+2,0% medio annuo) e da 315 a 362 per l’indivia (+1,0%). Per il radicchio non si sono invece registrati significativi incrementi della produzione unitaria.
Bologna
Forlì-Cesena
Ravenna
Ferrara
Altre
Produzione di insalate: distribuzione percentuale nelle diverse province (anno 2010)
Foto R. Angelini
Evoluzione della produzione di insalate in Emilia-Romagna nel periodo 1996-2010 (quintali) 900.000 800.000 700.000 Quintali
600.000 500.000 400.000 300.000 200.000 100.000 1996
1998
Lattuga
2000
2002
Radicchio
2004
2006
Indivia
2008
23,1%
Rimini
Principali tipologie e loro diffusione La superficie coltivata a lattuga in Emilia-Romagna è destinata per il 50% alla tipologia cappuccio, per il 19% alla gentilina, per
0
33,7%
14,0%
2010 Radicchio
Insalate (tot)
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paesaggio il 18% alla romana, per il 10% alla iceberg e per il 3% ad altre tipologie (lollo e foglia di quercia). Questi valori, derivanti dall’elaborazione di dati forniti dalle principali associazioni di produttori regionale, sono suscettibili di rapido cambiamento in funzione delle mutevoli esigenze del mercato. La cappuccio rappresenta senza dubbio la tipologia di lattuga più importante in Emilia-Romagna, sebbene negli ultimi anni la gentilina stia suscitando un crescente interesse, soprattutto nel comprensorio bolognese. Ciò è dovuto non solo alle richieste dei consumatori, ma anche a motivi tecnici in fase sia di produzione sia di commercializzazione. Rispetto alla cappuccio, infatti, la gentilina è meno delicata nelle fasi di coltivazione e di raccolta, subendo meno danni in caso di sbalzi termici o di condizioni atmosferiche avverse (vento forte, pioggia battente o grandinate). La gentilina, inoltre, resiste meglio alle manipolazioni manuali e meccaniche all’interno dei magazzini di lavorazione e permette una maggiore elasticità nella fase di raccolta. La cappuccio, infatti, non appena raggiunge lo stadio ottimale di maturazione deve essere prontamente tagliata e commercializzata, pena il rischio di rapido scadimento delle caratteristiche merceologiche in seguito a salita a seme o a eccessiva chiusura del grumolo. La tipologia iceberg è in fase di moderata espansione in EmiliaRomagna, di pari passo con l’aumento di interesse per la quarta gamma, sebbene in questa regione sia poco coltivata nel periodo estivo a causa delle difficoltà di raggiungimento degli standard qualitativi richiesti. La coltivazione della lattuga romana appare, nella media, stazionaria. Essa, nello specifico, sta subendo un calo di interesse nel
Domenico Tamaro (1937): Ortaggi di grande reddito
• “L’Emilia abbraccia il meglio dei terreni
alluvionali della Val Padana: profondità, freschezza, buona composizione, clima continentale, tutte condizioni che favoriscono la industrializzazione scientifica di tutte le colture... La Campania fa i prodigi per il suo sole, l’Emilia li fa pel suo terreno ed acqua” Editore Ulrico Hoepli, Milano
Pietro Vani (1929): Trattato di orticoltura
• “La fertile pianura che si estende al
sud delle valli formate dagli Appennini tosco-emiliani si divide in una zona marittima e in una zona continentale. In entrambe la coltivazione degli ortaggi si esercita attorno ai centri abitati, per il puro uso locale” Editore Francesco Battiato, Catania
Stesura automatica delle casse con piantine di lattuga appena germinate
Foto R. Angelini
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insalate in Emilia-Romagna Bolognese, dove non incontra un particolare favore dei consumatori, mentre sta al contrario vivendo una rinnovata attenzione nelle aree produttive romagnole, soprattutto in seguito alla comparsa di alcune nuove varietà dotate di interessanti caratteri di resistenza. Praticamente assente in Emilia-Romagna è la coltivazione del lattughino da taglio e di altre colture utilizzate per la quarta gamma, come la valerianella e la rucola. L’evoluzione del panorama varietale delle lattuga è estremamente rapido: una varietà rimane sul mercato mediamente per due anni. Ogni cinque anni si assiste al completo rinnovamento del panorama varietale. Uno dei fattori principali che determinano la rapida obsolescenza di una varietà è il superamento delle resistenze alla peronospora. Al giorno d’oggi, infatti, il carattere di resistenza ai patogeni e ai parassiti è senza dubbio il più importante tra quelli che guidano gli operatori del settore nella scelta varietale. Mentre la resistenza a Nasonovia ribis-nigri, il più diffuso degli afidi che infestano la lattuga, sta ormai dimostrando da anni la sua affidabilità, la resistenza alla peronospora, causata dal fungo Bremia lactucae, viene continuamente superata dalla comparsa di nuovi ceppi del patogeno, costringendo gli agricoltori a coltivare varietà sempre nuove. Un’altra caratteristica che sta assumendo un’importanza sempre maggiore nella scelta varietale, soprattutto nelle aree altamente specializzate per la produzione di lattuga della provincia di Forlì-Cesena e Rimini, è il carattere di resistenza alla tracheofusariosi, pericolosa malattia tellurica causata dal fungo Fusarium oxysporum f. sp. lactucae. Altre caratteristiche agronomiche e merceologiche che orientano i tecnici e gli agricoltori nel-
Foto R. Angelini
Piantine di foglia di quercia rossa
Lattuga in pane di torba: le piantine sono pronte per il trapianto mediamente 30-35 giorni dopo la germinazione
Foto R. Angelini
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paesaggio la scelta delle varietà da coltivare sono, tra le altre, la produttività, la forma del cespo e delle foglie, la brillantezza e il colore delle foglie. La maggior parte delle lattughe coltivate in Emilia-Romagna è costituita da varietà “bionde”, ovverosia di un colore verde chiaro. Poco diffuse sono invece le varietà verde scuro e rosse. Un aspetto che sta assumendo una rilevanza sempre maggiore nella scelta varietale è rappresentato dalla qualità organolettica. Le varietà di lattuga impiegate in agricoltura biologica non sono diverse da quelle in uso in convenzionale sebbene, per ovvi motivi, un’attenzione ancora maggiore venga posta dedicata ai caratteri di resistenza ai patogeni e ai parassiti. Per quanto concerne le indivie, esse sono coltivate in Emilia-Romagna sia per il mercato fresco sia per la quarta gamma. La scarola è più diffusamente coltivata della riccia. A differenza della lattuga, che annovera molte varietà resistenti alla peronospora e agli afidi, le indivie presentano meno resistenze ma, fortunatamente, non sono sensibili alla tracheofusariosi. Negli ultimi anni si sta assistendo a un notevole sviluppo della produzione di radicchio che, insieme al pan di zucchero e alla catalogna, costituiscono le cicorie coltivate in Emilia-Romagna. I radicchi più ampiamente diffusi in regione, principalmente nella provincia di Ferrara, sono il “tondo rosso”, il “lungo rosso” e il “variegato”. Nel Bolognese, oltre al lungo rosso, si coltiva il “radicchio di campo”. Il panorama varietale del radicchio è più ridotto rispetto a quello delle lattughe ed è caratterizzato da un rinnovamento più lento. Pratica ancora diffusa in regione è l’impiego di selezioni locali. In una zona produttiva importante per il radicchio, come il Ferrarese, si coltivano selezioni venete di elevata qualità che, per
Campo sperimentale di confronto varietale
Lattuga in serra di allevamento
Foto R. Angelini
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insalate in Emilia-Romagna epoca di trapianto e di raccolta oltre che per colorazione, si sono dimostrate particolarmente adatte.
Foto R. Angelini
Tecnica colturale La tecnica di coltivazione è fortemente condizionata dalla tipologia di insalata, dalle caratteristiche pedoclimatiche della zona di produzione e dalla destinazione commerciale. La coltivazione della lattuga in Emilia-Romagna si svolge prevalentemente nel periodo primaverile, estivo e autunnale. Nel Bolognese i trapianti primaverili iniziano generalmente i primi giorni di marzo per terminare i primi di settembre. La coltivazione nelle province di Forlì-Cesena e Rimini vede un anticipo dei trapianti di una decina di giorni a inizio stagione e un posticipo di circa due settimane a fine stagione. Trapianti troppo precoci a fine inverno e più tardivi in autunno comporterebbero elevati rischi di danni da freddo e, spesso, la concorrenza sul mercato di insalate provenienti da altre aree produttive. I primi trapianti in pieno campo richiedono in genere una protezione dal freddo realizzata con teli di tessuto-non tessuto. La durata del ciclo vegetativo della lattuga va da 28 a 60 giorni a seconda della varietà e del periodo di coltivazione. I cicli più brevi sono quelli effettuati nel periodo estivo, più favorevole allo sviluppo della coltura. La raccolta copre un periodo che si estende da metà aprile a metà novembre. Nel corso della stagione i trapianti di lattuga si susseguono con cadenza settimanale e senza soluzione di continuità. Uno stesso campo ospita di norma 3-4 trapianti adiacenti, di circa 1000 piante l’uno. Nell’arco della stagione si succedono, su uno stesso appezzamento, da uno a tre cicli colturali. Nelle aziende del Bolo-
Indivia pronta per il trapianto
Moderno vivaio con serre di allevamento a San Mauro Pascoli (FC)
Foto R. Angelini
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paesaggio gnese, caratterizzate da superfici elevate, si effettua normalmente un solo ciclo all’anno in alternanza con altre colture. Nelle aziende più piccole della Romagna si eseguono normalmente due cicli all’anno, benché in quelle più specializzate ci si spinga a effettuare anche tre cicli. In queste realtà produttive generalmente la lattuga torna sullo stesso terreno ad anni alterni, in successione a cereali o a colture da sovescio. Diffuso è anche l’avvicendamento ad altre orticole come il sedano, il finocchio o la bietola da orto. Negli anni più recenti le aree a maggiore specializzazione hanno visto una riduzione dell’intensità di coltivazione, soprattutto in seguito all’insorgenza di problematiche fitosanitarie di difficile controllo, come la tracheofusariosi. La produzione invernale della lattuga, limitata alla cappuccio e alla gentilina, è confinata alle poche serre fredde presenti nella zona costiera del Riminese e, soprattutto, del Bolognese, con cicli della durata di 75-90 giorni. In serra i trapianti si eseguono a partire dai primi giorni di settembre fino ai primi di dicembre. Il periodo di raccolta, pertanto, si estende da metà novembre a metà febbraio. In serra si possono eseguire al massimo due cicli colturali in stretta successione, con trapianto rispettivamente ai primi di settembre e ai primi di novembre. Il trapianto delle insalate è effettuato con piantine coltivate in aziende vivaistiche specializzate e capaci di garantire la massima qualità e sanità del materiale vegetale prodotto. La densità di impianto in campo aperto varia da 9 a 10 piante/m2 a seconda della fertilità del terreno, della varietà e della destinazione commerciale del prodotto. Le densità maggiori riguardano la lattuga destinata
Foto R. Angelini
Lattuga a cespo morbido e margine crespato
Coltivazione di insalate nel riminese e, sullo sfondo, la sagoma del monte Titano e la Repubblica di San Marino
Foto R. Angelini
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insalate in Emilia-Romagna al mercato fresco, che viene raccolta generalmente a uno stadio di maturazione più precoce per soddisfare i gusti del consumatore. Nella grande maggioranza dei casi il trapianto viene eseguito a mano. Solo nelle aziende specializzate è diffuso l’impiego di trapiantatrici o di macchine agevolatrici. Le piante vengono disposte a fila singola o, in taluni casi, su prose che facilitano lo sgrondo dell’acqua piovana o irrigua e favoriscono la circolazione dell’aria in prossimità del colletto, contribuendo a ridurre i rischi di attacchi di marciume basale. La fertilizzazione della lattuga e delle altre insalate riserva un’attenzione particolare all’apporto dell’azoto, elemento fondamentale per sostenere gli elevati ritmi di sviluppo di queste colture. La brevità del loro ciclo colturale conferisce inoltre un’importanza primaria alla concimazione di fondo. Le difficoltà di reperimento del letame sono parzialmente sopperite dall’impiego di fertilizzanti chimici complessi, di fertorganici o di pollina ben compostata. Il ricorso a quest’ultima è diffuso soprattutto nella provincia di ForlìCesena, dove è abbondantemente disponibile in loco. Nel corso dello sviluppo colturale, particolare attenzione è posta a soddisfare le esigenze non solo di azoto ma anche di calcio, magnesio e potassio, elementi di grande impatto sugli aspetti qualitativi del prodotto finale. Il rischio di accumulo dei nitrati nelle foglie non rappresenta particolare motivo di preoccupazione nelle produzioni di pieno campo, mentre richiede un’attenzione maggiore nei trapianti invernali in serra che però, come si è detto, rappresentano solo una percentuale molto piccola dell’insalata prodotta in Emilia-Romagna.
Foto R. Angelini
Attacco di sclerotinia su colletto e radice in sezione con caratteristico micelio biancastro e sclerozi neri
Sclerotinia della lattuga con caratteristico micelio biancastro
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paesaggio L’impiego di film pacciamanti, con materiale plastico biodegradabile o meno, trova diffusione quasi esclusivamente nelle coltivazioni in serra poiché in campo aperto, al momento, non si intravede una sufficiente giustificazione economica se non nelle aziende di più ampia dimensione; ciò malgrado gli evidenti vantaggi, quali l’eliminazione dei diserbanti, l’ottenimento di un prodotto esente da residui di materiale terroso e la riduzione dell’incidenza delle batteriosi. Un discorso analogo può essere fatto per l’irrigazione localizzata a mezzo di manichette forate, che allo stato attuale non ha ancora trovato impiego nelle colture di insalata di pieno campo. Queste ultime, pertanto, sono ancora tutte irrigate con metodi per aspersione. Negli ultimi anni, tuttavia, i microirrigatori hanno quasi completamente sostituito gli irrigatori tradizionali di media o alta portata, con evidenti vantaggi di risparmio idrico e di minore azione battente sul terreno e sulle delicate foglie della lattuga. L’adozione dei microirrigatori permette, tra l’altro, l’esecuzione di interventi di fertirrigazione azotata, con un miglioramento dell’assorbimento di questo elemento da parte della coltura. Nelle aziende più ampie è diffusa anche l’irrigazione con l’ala piovana. La tecnica colturale delle indivie rispecchia a grandi linee quella della lattuga. A differenza di quest’ultima, tuttavia, le indivie vengono coltivate principalmente nel periodo primaverile e autunnale, molto meno in quello estivo e invernale. In virtù di un ciclo colturale più lungo (40-70 giorni), nel periodo autunnale i trapianti di indivia sono interrotti una decina di giorni prima di quelli della lattuga. Le dimensioni del cespo più elevate consigliano una densità di impianto generalmente inferiore (7-8 piante/m2). Una carat-
Foto R. Angelini
Fusariosi: con il progredire della malattia si formano delle cavità a livello dei fasci vascolari Fusariosi della lattuga: le piante infette mostrano in sezione evidenti imbrunimenti o arrossamenti vascolari
Foto R. Angelini
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insalate in Emilia-Romagna teristica particolarmente apprezzata nelle indivie è il colore bianco del “cuore”, ovverosia della parte interna del cespo; questo può essere ottenuto attraverso la legatura dei cespi negli ultimi 4-5 giorni del ciclo colturale oppure attraverso un’intensificazione della densità di impianto, che non di rado si allinea a quella della lattuga. La coltivazione del radicchio si attua solo nel periodo autunnale e invernale, poiché il clima estivo non si addice alla produzione di questi ortaggi. I trapianti delle tipologie precoci si effettuano prevalentemente da metà giugno a metà agosto, con raccolte da settembre a novembre, mentre per le tipologie tardive si trapianta da metà luglio a metà settembre e si raccoglie da novembre a marzo. La produzione del radicchio in Emilia-Romagna è effettuata esclusivamente in campo aperto: solo nei periodi a maggiore rischio di gelate le coltivazioni vengono protette attraverso l’impiego di teli di tessuto-non tessuto. La densità di impianto comunemente adottata è di circa 8 piante/m2. Nel Bolognese e in Romagna la tecnica colturale è per il resto del tutto simile a quella delle lattughe. Maggiori differenze contraddistinguono la tecnica colturale nel Ferrarese, dove il terreno particolarmente sabbioso induce all’esecuzione di abbondanti fertilizzazioni organiche (letamazioni) e di frequenti interventi irrigui. A tal proposito, i metodi più utilizzati in questa zona sono la subirrigazione per innalzamento della falda e l’aspersione attraverso l’impiego dei “rotoloni”. Tale metodo è giustificato dalla tessitura sabbiosa del terreno, non soggetto alla formazione di crosta superficiale, dall’ampiezza degli appezzamenti e dall’elevata disponibilità della risorsa idrica.
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Irrigazione delle insalate Aiuole di coltivazione pronte per il trapianto delle insalate. Si formano prelevando il terreno dalle corsie destinate al passaggio delle ruote mediante organi, generalmente a disco, che convogliano il terreno sull’aiuola, leggermente rialzate rispetto alla superficie di coltivazione e meno compattato con un contemporaneo abbassamento del piano di calpestamento delle ruote del trattore
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paesaggio Colture da seme L’impiego di semente di elevata qualità è una delle condizioni preliminari per il buon esito delle coltivazioni e rappresenta un aspetto fondamentale per raggiungere l’obiettivo, oggigiorno molto sentito dall’opinione pubblica, di minimizzare l’impatto dell’attività agricola sull’ambiente e sulla salute umana. L’Emilia-Romagna è nota per la sua lunga tradizione di colture da seme relative a numerose colture ortive e non solo. Quello della moltiplicazione delle sementi è un settore altamente professionalizzato, che richiede sicuramente ambienti pedoclimatici vocati, ma anche la presenza di una filiera produttiva ben organizzata e orientata all’ottenimento di un materiale di elevata qualità sotto il profilo sia agronomico sia fitosanitario. In tale contesto gli agricoltori e i tecnici svolgono un ruolo di primaria importanza. La produzione di semente di insalate in Emilia-Romagna rappresenta circa l’80% di quella italiana e si concentra prevalentemente sulle varietà cosiddette “standard” di lattuga, indivia e cicoria e sulle varietà ibride di cicoria. Le province più coinvolte nella produzione di semente sono, rispettivamente, quella di ForlìCesena, Bologna, Ravenna e Rimini. Il ciclo colturale della lattuga è annuale, con semina a marzo e raccolta del seme in luglio-agosto. Quello delle indivie e delle cicorie è invece biennale: la semina viene effettuata a settembre direttamente in campo oppure in vivaio per la produzione di piantine che vengono trapiantate in primavera in pieno campo. Fondamentale, al momento dell’impianto di una coltura da seme, è il rispetto di adeguate distanze da altri campi che possano rappresentare fonte di inquinamento genetico della varietà che ci
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
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insalate in Emilia-Romagna si accinge a moltiplicare. Il rispetto delle distanze minime, secondo le indicazioni fornite dalla legislazione regionale e nazionale, è particolarmente importante per le cicorie ibride. Queste ultime sono caratterizzate da un prodotto lordo vendibile particolarmente elevato e giustificano l’adozione di tecniche colturali relativamente costose quali l’irrigazione per manichetta forata. Poiché il seme può essere veicolo di trasmissione di parassiti, il moltiplicatore deve porre estrema cura nella difesa delle colture porta-seme. Le problematiche fitosanitarie delle colture da seme sono solo in parte analoghe a quelle delle medesime colture destinate al mercato da consumo. Per le composite, così come per altre famiglie botaniche (ombrellifere, chenopodiacee e liliacee), il ciclo delle colture sementiere è di diverse settimane più lungo di quello della stessa specie destinata a scopi alimentari e presenta una fase aggiuntiva costituita dalla fioritura e dalla formazione del seme. La maggiore permanenza in campo comporta maggiori rischi causati da agenti climatici (per es. piogge in fase di raccolta, grandine) e da patogeni e parassiti. Inoltre, la fioritura e lo sviluppo del seme sono fasi estremamente delicate in quanto soggette ad avversità specifiche, contro le quali spesso non esistono agrofarmaci sufficientemente efficaci e in grado di garantire un’accurata protezione della coltura. Il rischio è tanto più elevato quanto più la fioritura è scalare e prolungata: infatti durante tale periodo, che nelle cicorie può durare oltre 60 giorni, occorre estrema cautela nell’esecuzione di eventuali trattamenti fitosanitari per motivi di fitotossicità o di dannosità verso gli insetti pronubi.
Foto R. Angelini
Al centro, pianta con sintomi di tracheofusariosi
Foto R. Angelini
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le insalate Foto M. Curci
paesaggio Insalate nel Veneto Pietro Berton, Cesare Bellò, Angelo Squizzato
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paesaggio Insalate nel Veneto È il Veneto la terra delle insalate, meglio della cicoria, della lattuga e dell’indivia. Sono le verdure più popolari che vengono tradizionalmente insaporite con olio, aceto, sale, pepe e altri condimenti. Con il termine dialettale salata, insalata, nel Veneto si indica specificamente la lattuga; celebri sono la Gentile e la Cappuccia di Lusia. L’insalata più diffusa e gustata è sicuramente il radicchio (Cichorium intybus silvestre, della famiglia delle Asteraceae), del quale si coltivano le varietà più pregiate. Primeggia il Tardivo di Treviso, il fiore che si mangia, ed è splendida la Rosa di Castelfranco. Una bella storia hanno il Rosso tondo di Chioggia e il Rosso semilungo di Verona, due varietà pregevoli per gusto e croccantezza. Sono ortaggi che vestono le tonalità del paesaggio e dell’ambiente veneto. Fanno parte della storia alimentare dei veneti, è dentro la loro anima. Sono serenissimi come Serenissima è stata la repubblica di San Marco.
Nell’orto Veneto svettano le insalate
• Nel Veneto sono coltivati a orto
32.600 ha di terreno: un patrimonio di ortaggi che si distingue per qualità, varietà, innovazione, compatibilità con l’ambiente. Un fatturato che si aggira attorno ai 700 milioni di euro
• Brillano in particolare i radicchi,
le lattughe e le indivie. Svettano su tutti i radicchi tardivi, i magnifici “fiori d’inverno”, ma anche i precoci si piazzano bene sul mercato. La coltivazione è in crescita: si è arrivati a 120.000 tonnellate (ben oltre il 50 per cento della produzione nazionale). Se ne seminano o trapiantano 8400 ha
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• Si trova nel Trevigiano, nelle fertili
terre del Sile, la capitale indiscussa del radicchio: qui primeggia il Rosso di Treviso IGP tardivo, “re spadone”, il “fiore che si mangia”, padre nobile degli altri straordinari IGP veneti: il Variegato di Castelfranco, il Rosso di Chioggia, il Rosso di Verona. Gli è autorevolmente accanto il Rosso di Treviso precoce
• Tra i fiumi Adige e Po, nel Medio
Polesine c’è, invece, il regno delle lattughe e delle indivie. Si differenziano per croccantezza, turgidità e assenza di fibre le lattughe cappuccia e gentile di Lusia, le sole insalate in Europa che si possono fregiare del marchio IGP
• Sono colture che fanno parte della storia
rurale del Veneto, che scienza e attenta selezione hanno impreziosito e innovato, sulle quali gli orticoltori puntano molto affidando a esse il loro domani. Cibo ieri della povera gente, cibo oggi nobile e apprezzato per virtù alimentari e dietetiche. Un alimento del nostro tempo
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insalate nel Veneto Il radicchio ha sfamato per secoli la povera gente. Era il piatto quotidiano del popolo rurale. “Polenta e radici anca uncò!” (Polenta e radici anche oggi!) si diceva rassegnato il contadino mettendosi a tavola. E per di più erano spesso malconsài, mal conditi, perché si doveva andare piano con aceto, olio e sale. Bisognava risparmiare su tutto. “Andar per radici” era un compito quotidiano assegnato in particolare alle donne, che lo curavano con amore, spesso accanto alle fontane, mentre attorno gironzolavano i bambini che, se stavano buoni, erano compensati con un pezzettino di coa (fittone) ben pulita. Una caramella campagnola. Era un’arte poi sgocciolarli, con a sestèa (cestello) in fili di ferro, che si faceva oscillare con una mano, mentre con l’altra si imprimeva una spinta per dare maggiore forza e velocità al movimento. Si usava, in alternativa, un canovaccio di canapa, ricavato spesso da piante coltivate e lavorate in casa. Il radicchio ha accompagnato gli emigranti nelle terre promesse, soprattutto nelle Americhe. Lo troviamo sulle loro tavole in Argentina, in Brasile, nel Messico, negli Stati Uniti, in Australia. È ricordato nei racconti, nelle poesie e nelle canzoni dell’emigrazione: “Se no la cambia, per noi infelici, polenta e radici ci tocca mangiar”. Si sognava che cambiasse per non mangiare più soltanto “polenta e radici”. Eppure è un ortaggio amato dai veneti. È da sempre raccolto e coltivato con cura ovunque: nelle terre e negli orti di pianura, di collina e di bassa montagna. Si seminava tra i filari di vite o di piante da frutta, sui prati, sui campi a mais assieme ai ravi (ravizzone), piante simili alla colza, per essere raccolti in particolare a primavera. “Chi magna radici e salata fa vita beata”, recita un detto molto popolare anche oggi. L’ortaggio ha una storia millenaria che è difficile seguire nella sua evoluzione. C’è quello selvatico, che cresce spontaneo e tuttora viene raccolto, e c’è quello coltivato, che è una continua evoluzione del primo.
Radicchio rosso di Treviso IGP precoce
• Delizia croccante e moderatamente
amara, viene prodotto nel periodo tra fine estate e autunno. Il cespo è voluminoso, allungato, ben chiuso. Le foglie sono caratterizzate da una nervatura principale molto accentuata di colore bianco che si dirama in molte piccole penninervie nel rosso intenso
• Area di produzione: – provincia di Treviso, comuni di Breda di Piave, Carbonera, Casale sul Sile, Casier, Castelfranco Veneto, Castello di Godego, Istrana, Loria, Maserada, Mogliano Veneto, Monastier, Morgano, Paese, Ponzano Veneto, Preganziol, Quinto di Treviso, Resana, Riese Pio X, Roncade, San Biagio di Callalta, Silea, Spresiano, Trevignano, Treviso, Vedelago, Villorba, Zenson di Piave, Zero Branco – provincia di Padova, comuni di Borgoricco, Camposampiero, Loreggia, Massanzago, Piombino Dese, Trebaseleghe – provincia di Venezia, comuni di Martellago, Mirano, Noale, Salzano, Santa Maria di Sala, Scorzè, Spinea
Rosso di Treviso In particolare, la varietà che ha dato origine all’attuale radicchio rosso di Treviso, il padre degli altri radicchi veneti maggiormente coltivati (variegato di Castelfranco, rosso tondo di Chioggia, rosso semilungo di Verona), sarebbe originaria dell’Oriente, da dove sarebbe stata portata in Veneto, attorno al XV secolo, dai veneziani della Serenissima repubblica. Nella pianura, attraversata da una rete di piccoli e grandi fiumi, ha trovato condizioni ottimali di crescita e di sviluppo. Il cuore della coltivazione è Treviso, il regno del rosso precoce e tardivo, quest’ultimo chiamato poeticamente “il fiore che si mangia”, o “il fiore d’inverno”, o, in maniera più superba, “re 193
paesaggio spadone”, per la forma delle foglie che sembrano piccole rosseggianti spade che si alzano verso la luce. Ha la dolcezza, il calore e l’armonia delle acque del Sile, fiume di risorgiva, che zigzaga per un centinaio di chilometri fino a sposarsi con il mare, poco distante da Venezia. Bagna terreni fertilissimi, ricchi di sostanze nutrienti che danno vita e sapore al radicchio, che si ristora delle tiepide acque che sgorgano a temperatura pressoché costante da fontanassi (sorgenti) e pigramente si insinuano per campi formando una trama di rii. Da mangiare dei poveri, il radicchio è diventato cibo presente nelle cucine più raffinate di mezza Europa e oltre. Lo si trova, ortaggio assolutamente d’élite, a New York e a Tokyo. Sull’origine del “fiore che si mangia” ci sono tante simpatiche versioni più o meno credibili. Attorno ai prodotti di successo si tende spesso a fantasticare per fini di nobiltà e di promozione. La bella storia suggestiona, incuriosisce, attira e favorisce il consumo. Così i coltivatori trevigiani amano raccontare che il loro radicchio è un dono del cielo. Magici uccelli ne avrebbero lasciato cadere i semi sul campanile di Dosson, località oggi periferia di Treviso, ma che i più vecchi ricordano come una manciata di case strette attorno alla chiesa, piccolo isolotto in un mare di campi. I frati li avrebbero raccolti e conservati. Con cura li avrebbero regalati alla terra dalla quale sarebbero spuntati meravigliosi radicchi. È una delle tante storie da filò, spontanee assemblee di contadini, organizzate nelle stalle nelle lunghe sere invernali, al lume di debolissime candele, in cui si raccontavano vicende del paese, fatti accaduti e verosimili, fantasie e suggestioni di un mondo semplice e spontaneo.
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Legatura del radicchio rosso di Treviso precoce
Radicchio rosso di Treviso precoce
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insalate nel Veneto Si perde nel mito rurale anche il racconto di come si sia arrivati all’imbianchimento. Una casualità. Un contadino abbandonò nell’angolo di una stalla una carriola con mazzi di radicchi appena raccolti. Fu proprio durante un filò che un familiare, dopo parecchi giorni, buttò l’occhio sulla carriola e prese in mano un cespo che sembrava da gettare perché tutte le foglie esterne erano marce. Ma, prima di farne letame, curioso, volle verificare se si poteva salvare almeno il cuore del radicchio, e fu premiato. Le foglie interne esibirono tutta la loro bontà e delicatezza: belle, di un colore teneramente rosseggiante, croccanti, gustose. La storiella, che viene raccontata con tante variazioni, conferma come nel mondo contadino, ma non solo, siano spesso casuali pratiche, accorgimenti, rimedi, scoperte a fare la storia di un prodotto di successo. Secondo altri, ed è una versione piuttosto diffusa, sarebbe stato il belga Francesco Van Den Borre, esperto giardiniere, a portare a Treviso il segreto dell’imbianchimento nella seconda metà dell’Ottocento. Egli non avrebbe fatto altro che divulgare una pratica consolidata per le cicorie belghe. Il fatto però è poco convincente e ha scarso fondamento: non ne fa riferimento il figlio Aldo scrivendo sul radicchio rosso di Treviso, ma soprattutto ci sono testimonianze, sia pure vaghe e poco documentate, di imbianchimento del radicchio sin dal XVI secolo. La storia del “fiore che si mangia”, così come noi lo gustiamo oggi, incomincia e si afferma nella seconda metà dell’Ottocento. In un’inchiesta del Comizio agrario di Treviso (1870) si legge che
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paesaggio l’ortaggio “ha già acquistato una buona rinomanza in tutta Italia per la sua bellezza (che somiglia ad un fiore) e pel suo gusto”. Viene apprezzato all’estero. Su “Il contadino, giornale di agricoltura” del 31 gennaio 1884 si mette in risalto con soddisfazione come raggiunga Francoforte sul Meno, Vienna, Colonia, Monaco e Praga. È interessante a proposito un articolo di Giuseppe Benzi, agronomo, sulla “Gazzetta di Treviso” (19 dicembre 1900): “Il radicchio! E chi non lo conosce, chi non ne ha apprezzato la bellezza del fogliame, la fragilità del tessuto, la delicatezza del gusto?”. Modesto dapprima, quasi pauroso, di cattiva accoglienza, non usciva dalla provincia se non per ricordare a qualche lontano amico “i dì felici”, mentre “esce oggi a quintali, a carri, a vagoni interi, penetra in tutte le regioni italiane, da Genova a Palermo, da Firenze a Napoli, supera il mare arrivando a Tunisi, al Cairo, ad Ismaelia; valica l’alpe, giungendo nel cuore dell’Europa, recando ai freddi popoli del nord la nota gaia, gioconda, passionale dei meridionali, e trionfa – superbo di foglie, di forme, di tinte – nelle piazze e nelle tavole, sui tanti legumi che l’industria accuratamente conserva per la morta stagione”. Il 20 dicembre 1900 sotto la Loggia dei Signori, cuore della città di Treviso, si organizza la prima mostra del radicchio, un appuntamento annuale che crescerà per importanza, valore commerciale e coinvolgimento dei produttori. Nel frattempo si perfezionano tecniche e criteri di coltivazione e di lavorazione sino ai livelli attuali, considerati ottimali. Soprattutto, si ampliano le superfici di produzioni e si migliora la qualità, dando risposte puntuali ai consumatori. Dal 1o luglio 1996 si può fregiare del marchio di tutela europeo IGP (Indicazione Geografica Protetta): è il primo radicchio a ot-
Radicchio rosso di Treviso IGP tardivo
• Croccante con leggero sentore di
amaro e di acqua sorgiva, si raccoglie a novembre, dopo che la campagna ha subito almeno due brinate. Inizia la misteriosa fase di imbianchimento. Sarà l’acqua cristallina di risorgiva (10-12 °C) a risvegliarlo. Tipico e inimitabile, viene chiamato “il fiore che si mangia”
• Area di produzione: – provincia di Treviso, comuni di Carbonera, Casale sul Sile, Casier, Istrana, Mogliano Veneto, Morgano, Paese, Ponzano Veneto, Preganziol, Quinto di Treviso, Silea, Spresiano, Trevignano, Treviso, Vedelago, Villorba, Zero Branco – provincia di Padova, comuni di Piombino Dese, Trebaseleghe – provincia di Venezia, comuni di Martellago, Mirano, Noale, Salzano, Scorzè Foto Archivio OPO VENETO - Paolo Spigariol e Mara Zanato
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Radicchio rosso di Treviso tardivo
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insalate nel Veneto tenerlo assieme al “fratello” variegato di Castelfranco. Si attiva il Consorzio di tutela, che diventa un punto di riferimento, di coesione e di formazione per i coltivatori. Decolla la “qualità” e lievitano le quotazioni, con grande gratificazione e soddisfazione degli orticoltori. La produzione attuale si aggira sulle 8000 tonnellate; 1000 gli ettari coltivati. Il rosso di Treviso si distingue in precoce e tardivo, che è quello più noto, più affermato e più pregiato. L’area di coltivazione rientra per gran parte nel Parco naturale del fiume Sile, un territorio protetto, pulito, coltivato con metodi rispettosi dell’ambiente. È la condizione ottimale per ottenere un prodotto eccezionale, amico della salute del consumatore. Un prodotto ottenuto in un ambiente sano si esalta e dà il massimo dei valori in termini di qualità, sicurezza alimentare, proprietà nutritive. In omaggio al magnifico radicchio sono organizzate splendide mostre e feste popolari, con eventi culturali, premiazioni dei più bravi, allegre rassegne gastronomiche. È molto attivo il Consorzio dei ristoratori del radicchio di Treviso, impegnato a far conoscere e a esportare le virtù eccezionali dell’ortaggio in cucina, la sua straordinaria versatilità e capacità di abbinamento con altri cibi.
Radicchio variegato di Castelfranco IGP
• Dolce, gradevolmente amarognolo
e molto delicato, è l’unico tra i radicchi veneti a essere commercializzato a cespo aperto: più la caratteristica “rosa” è “fiorita” e mostra delicati colori e intense variegature, più il prodotto è pregiato. Il cespo è bello di forma e splendido di colori
• Area di produzione: – provincia di Treviso, comuni di Breda di Piave, Carbonera, Casale sul Sile, Casier, Castelfranco Veneto, Castello di Godego, Istrana, Loria, Maserada, Mogliano Veneto, Morgano, Paese, Ponzano Veneto, Preganziol, Quinto di Treviso, Resana, Riese Pio X, San Biaggio di Callalta, Silea, Spresiano, Tevignano, Treviso, Vedelago, Villorba, Zero Branco
Variegato di Castelfranco Figlio del radicchio rosso di Treviso e dell’indivia scarola è il variegato di Castelfranco, la rosa che si mangia. L’incrocio, non si sa bene se spontaneo o voluto, avviene con ogni probabilità due secoli fa, nel Settecento. Più che un ortaggio sembra un fiore, una rosa sbocciata, tanto che spesso è impiegato come tale per abbellire tavole, cucine, ambienti. È un’armonia di colori e di linee, suggestiva ed emozionante. Richiama la pittura tonale veneta, della quale il Giorgione, pittore di Castelfranco, è uno dei primi e grandi maestri. Lo scrittore e gastronomo Giuseppe Maffioli ha descritto con immaginifiche parole le differenza tra il papà e il figlio: “Il ‘rosso’ del radicchio di Treviso, con l’intera tavolozza dei gialli, dei verdini, dei rossi, dei bianchi, degli ocra, nelle magnifiche rose del radicchio di Castelfranco, diviene più dolce e più morbido. Strano, ma nel radicchio di Treviso, dalla linea gotica slanciata, ed in quel di Castelfranco, dalle morbide volute rococò, sembra sintetizzarsi quasi l’antica anima veneta, dalle ancestrali osservanze religiose, dal profondo rigore morale, dalle speranze rivolte ai cieli, sino alla delicata contemplazione della natura, ed al gusto di aderirvi serenamente con una semplicità assoluta che diviene raffinato uso delle gioie che essa propone saggiamente e onestamente ai sensi”. La culla del variegato è collocata nella campagna di Castelfranco Veneto e dintorni, dove in particolare nasce il fiume Sile, lo stesso ambiente del rosso di Treviso: scampolo felice di pianura veneta
– provincia di Padova, comuni di Albignasego, Battaglia Terme, Borgoricco, Camposampiero, Cartura, Casalserugo, Conselve, Due Carrare, Loreggia, Masera di Padova, Massanzago, Monselice, Montagnana, Montegrotto Terme, Pernumia, Piombino Dese, Ponte San Nicolò, San Pietro Viminario, Trebaseleghe – provincia di Venezia, comuni di Martellago, Mira, Mirano, Noale, Salzano, Santa Maria di Sala, Scorzè, Spinea
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paesaggio con una ricchissima presenza di acque. I canali e i fossati, spesso alberati, delimitano i campi e gli orti e si accompagnano a strade campagnole. È dunque un radicchio bello da contemplare, ma presenta elevati costi di produzione e la resa non sempre soddisfa, tanto che nella sua zona di origine ha ceduto il passo al rosso di Treviso. Ha trovato, invece, condizioni e possibilità di crescita in altre aree, in provincia di Venezia, ma soprattutto nella Bassa padovana, dove di fatto ha sostituito il locale “fior di Maserà”. L’adattamento al nuovo territorio ha comportato alcuni aggiustamenti nei criteri e metodi di coltivazione, di forzatura e di imbianchimento, che però non ne hanno intaccato la sostanza e la tradizione. La fase più delicata è sempre l’imbianchimento, vale a dire la ripresa vegetativa del radicchio in ambiente privo di luce, per cui non si forma la clorofilla, il pigmento che colora le foglie di verde, sulle quali, invece, restano delicatamente presenti le venature rosse tipiche della varietà. L’operazione un tempo avveniva nelle stalle. La sua origine si perde nella tradizione familiare contadina. Ma da varie testimonianze si deduce che si praticasse l’imbiancamento già alla fine del Settecento, sicuramente a partire dall’Ottocento. Ogni anno (dal 1924) Castelfranco Veneto dedica al suo radicchio una fiera con concorsi, manifestazioni collaterali, rassegne gastronomiche, eventi culturali. Il variegato castellano ha ottenuto il riconoscimento IGP contestualmente al rosso di Treviso; comune è il Consorzio di tutela,
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Radicchio variegato di Castelfranco
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insalate nel Veneto impegnato nella promozione del prodotto, nella salvaguardia dell’ambiente, nella formazione e nell’aggiornamento dei soci, nella valorizzazione commerciale. La produzione complessiva è stimata attorno alle 3000 tonnellate per una superficie di 5000 ettari.
Radicchio di Chioggia IGP
• Leggermente amarognolo e
mediamente croccante, si può trovare in ogni momento dell’anno. È un radicchio con foglie rotondeggianti strettamente sovrapposte l’una all’altra, che formano un grumolo di forma sferica; il colore è rosso più o meno intenso con nervature centrali bianche
Rosso di Chioggia Hanno due millenni di storia gli orti di Chioggia, in provincia di Venezia, dove i fiumi Adige e Brenta finiscono nel mare Adriatico. Godono di un elogio di Plinio il Vecchio, scrittore romano del I secolo d.C. Il terreno è prodigioso grazie all’apporto di detriti fluviali che il tempo e l’opera del mare e dell’uomo hanno reso fertilissimo. Il processo di umificazione si è consolidato nei secoli. Qui la coltivazione del radicchio rosso variegato è incominciata negli anni ’30 del secolo scorso. Gli orticoltori scopersero e acquistarono le prime sementi al mercato di Venezia, dove portavano i loro prodotti. Fu una felice intuizione, l’inizio di un percorso che avrebbe cambiato in maniera sensibile l’orticoltura della zona di Chioggia. La rosa castellana, un ortaggio adattabile, non ha avuto difficoltà a emigrare dalle sorgenti del fiume Sile, un’esemplare zona umida, alle foci dell’Adige e del Brenta. Trovò anzi condizioni climatiche e di suolo che ne favorirono le potenzialità: vicinanza del mare, escursione termica contenuta, estate abbastanza piovosa, autunno asciutto e inverni con temperature normalmente sempre
• Area di produzione: – provincia di Venezia, comuni di Chioggia, Cona e Cavarzere – provincia di Padova, comuni di Codevigo, Correzzola – provincia di Rovigo, comuni di Rosolina, Ariano Polesine, Taglio di Po, Porto Viro, Loreo
• Il radicchio di Chioggia della tipologia
precoce viene prodotto nell’ambito dei comuni litoranei di Chioggia (VE) e Rosolina (RO), dove le particolari condizioni pedoclimatiche consentono di esaltare le peculiari caratteristiche di questa tipologia
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Radicchio di Chioggia
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paesaggio sopra lo zero, terreni sciolti e fertili che favoriscono lavorazione e colture. Attraverso un’intensa opera di ricerca e selezione massale, partendo dal variegato castellano, sono state messe a punto nuove tipologie che si distinguono sensibilmente dall’originale e hanno una loro genuina tipicità: sono arrivati il variegato e il bianco di Chioggia e, soprattutto, è stato creato il rosso tondo, chiamato anche “rosso ciosoto”, che in termini di quantità e di superfici coltivate batte tutti. La produzione cominciò a lievitare a partire dalla seconda metà del secolo scorso. L’ortaggio incontrò il favore dei consumatori tanto che l’area di coltivazione si è sempre più allargata e oggi comprende anche comuni delle province di Padova e Rovigo. Il rosso di Chioggia si differenzia in precoce e in tardivo. Si distingue per la croccantezza e il sapore amarognolo. Se ne coltivano 55.000 tonnellate su 4000 ettari. Dal 2008 al radicchio di Chioggia è stato riconosciuto il marchio di tutela europea IGP. La varietà, nel frattempo, è imitata e coltivata in diverse altre aree d’Italia e del mondo, con il risultato che l’originale IGP è soggetto a un’aggressiva concorrenza.
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Rosso di Verona L’attuale radicchio rosso semilungo di Verona è il risultato di un’intensa selezione incominciata sulla cicoria locale sin dal Settecento, la quale ha avuto un’accelerazione a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Lo testimoniano documenti e studiosi. Il suo padre più autorevole è il radicchio rosso di Treviso. Nell’inchiesta agraria del 1882 si sottolinea come fosse un’“insalata frequentissima in ogni stagione” e si accenna alla tecnica di imbianchimento per ricavare “foglie lunghe, tenere, bianche e dolci”. Era dunque ortaggio generalmente coltivato nelle campagne veronesi e consumato in tutte stagioni. Lo si seminava ovunque potesse crescere: tra i filari di viti e alberi da frutta, sui campi a foraggio o a mais o a frumento, su fazzoletti di terra che venivano a essi riservati, lungo le rive. Non è delicato, ma ama i terreni alluvionali, sabbiosi, ricchi di sostanze organiche, profondi e drenanti, come sono, in generale, quelli attraversati dal fiume Adige. Sono sempre stati considerati una chicca raffinata e ricercata, piatto nobilissimo, i zermoi (germogli), così chiamati i radicchi imbiancati che allietavano le tavole invernali. Si ottenevano collocando i cespi in buche scavate direttamente nei letamai, dai quali ricevevano il calore, oppure ammassandoli nelle stalle, dove avveniva la pulitura con l’eliminazione delle foglie esterne inutilizzabili come cibo. Si sono evolute le pratiche di imbianchimento, ma i zermoi mantengono intatti gusto, freschezza, croccantezza, bellezza: un ra-
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insalate nel Veneto dicchio sfizioso e allegro, ricercato da chi ama le cose belle e buone della vita. Il rosso veronese oggi è un gioiello di ortaggio che ha raggiunto eccellenti livelli sotto tutti gli aspetti. È il risultato di un’intensa azione di ricerca, di selezione per migliorane la qualità, la delicatezza e l’appetibilità, di perfezionamento delle tecniche di coltivazione e lavorazione. Viene chiamato l’“oro rosso” della campagna veronese, che pure è ricchissima di altre verdure e di frutta. Se ne esaltano la tipicità e il valore commerciale. Dal 2008 si fregia del marchio europeo di tutela IGP. Gli si dedicano mostre, rassegne gastronomiche, manifestazioni culturali e colturali. Siamo nella terra di Giulietta e Romeo e qualche orticoltore in vena di poesia li chiama “i radicchi di Giulietta” o “i cuori di Giulietta”. Le foglie si chiudono formando un grumolo ovale, pieno e compatto. Sul mercato arrivano i cuori dei cespi, di forma rotondeggiante e allungata. Si dividono in precoci e tardivi: i primi si seminano a luglio e si raccolgono nei mesi di ottobre e novembre; i tardivi si seminano ad agosto e si consumano da dicembre a gennaio. La produzione annua è di circa 15.000 tonnellate e si estende su quasi 2000 ettari.
Radicchio di Verona IGP
• Questo radicchio, dal leggero gusto
amarognolo e mediamente croccante, ha un cespo compatto, di forma lievemente ellittica, con nervature della lamina fogliare ben evidenti e aperte; ha un colore rosso brillante senza variegature, su cui spicca la nervatura principale completamente bianca
• Area di produzione: – provincia di Verona, comuni di Trevenzuolo, Salizzole, Nogara, Concamarise, Sanguinetto, Cerea, Casaleone, Legnago, Minerve, Roveredo di Guà, Cologna Veneta, Veronella, Arcole, Zimella, Isola della Scala, Bovolone, Bevilacqua, San Pietro di Morubio, Roverchiara, Gazzo Veronese, Sorgà, Erbè, Oppeano, Isola Rizza, Albaredo d’Adige, Pressana, Villa Bartolomea, Castagnaro, Terrazzo, Boschi Sant’Anna, Angiari, Bonavigo
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– provincia di Vicenza, comuni di Asigliano Veneto, Pojana Maggiore, Noventa Vicentina, Campiglia dei Berici, Agugliaro, Sossano, Villaga, Albettone, Orgiano, Alonte, Lonigo, Barbarano Vicentino, San Germano dei Berici – provincia di Padova, comuni di Casale di Scodosia, Castelbaldo, Masi, Megliadino San Fidenzio, Megliadino San Vitale, Merlara, Montagnana, Ospedaletto Euganeo, Saletto, Santa Margherita d’Adige, Lozzo Atesino, Urbana
Radicchio di Verona
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paesaggio Verdolino Da alcuni anni si sta riscoprendo il “verdolino”, chiamato anche “verdòn” o “verdòn da cortèl”, un radicchio rustico che era stato un po’ dimenticato, sacrificato alle grandi varietà che hanno conquistato mercato e consumatori. Il nome deriva dal colore verde lucido delle foglie esterne, mentre il cuore è di un delicato verde-giallo. Viene detto “da cortèl” perché viene raccolto con il coltello, recidendolo con qualche centimetro di fittone, che, dolcissimo, viene mangiato con le foglie. Lo si sta valorizzando, come si sta facendo con altre cicorie selvatiche ed erbe spontanee appartenenti alla tradizione alimentare popolare. Le donne che in primavera, ma anche in altri periodi, raccoglievano erbe campestri facevano parte del paesaggio rurale. Vincenzo Tanara, marchese di origine bolognese, nel suo pregevole L’economia del cittadino in villa (1644), dedica un quadretto alle villanelle che, non appena sbocciava la primavera, andavano a raccogliere “con loro utile, quantità di cicoria, quale tenera per le passate nevi, mortificata da ghiacci, con un dito di radichetta, e però radicchi le chiamano” e la portavano “a vendere per gratissima insalata”. Per erbe si è sempre continuato ad andare, e si va anche oggi, spinti non più dalla fame, ma dalla passione per i cibi genuini, freschi, naturali, diversi, per vivere momenti tonici all’aperto, per godere un paesaggio libero, per amore della biodiversità.
Verdolino
• Il verdolino, detto anche radicio verdòn
da cortèl, è una pianta rustica, con forma a rosetta, di colore verde intenso e cuore verde-giallo. La consistenza delle foglie è mediamente croccante, più marcata rispetto ai consimili a grumolo bianco, ma più sottile rispetto alle altre cicorie a grumolo verde. Il sapore è fresco, gradevolmente erbaceo, lievissimamente amarognolo
• Area di produzione: – provincia di Treviso, comuni di Quinto di Treviso, Zero Branco, Casale sul Sile, Preganziol, Casier, Ponzano Veneto, Roncade, San Biagio di Callalta, Monastier, Paese, Istrana
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Verdolino
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insalate nel Veneto Il verdolino ha avuto sicuramente un nobile posto nell’alimentazione della misera gente; era considerato per eccellenza il radicchio dei poveri. La documentazione è molto scarna. Lo si ricorda in un testo del Seicento dove si parla di radicchio “scoltellato”, che sembra essere il verdolino. Per la verità con il coltello da sempre si raccolgono tutti i radicchi e le erbe da campo. Potrebbe essere verdolino il radicchio selvatico, che si mangia tra l’inverno e la primavera, di cui parla Guillaume Luis Figuier nella Storia delle piante, edita nel 1887: “La povera gente di campagna va ad estrarlo, insieme ad altre radicchielle, col coltello lungo le ripe e nei luoghi soleggiati, onde il nome di radicchio scoltellato”. Oggi viene coltivato in particolare in un ampio territorio del medio Sile, in provincia di Treviso. Una produzione, comunque, limitata, per buongustai. L’ortaggio dà lo spunto a feste, mostre e rassegna gastronomiche: particolarmente vivace la manifestazione organizzata a Roncade.
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Insalata di Lusia Ha un primato assoluto europeo l’insalata di Lusia, nel Polesine: è la sola in Europa tutelata dal marchio IGP, che è stato ottenuto nel 2009. La sua storia è più che centenaria: si iniziò a coltivarla Foto Archivio OPO VENETO - Paolo Spigariol e Mara Zanato
Insalata di Lusia IGP
• Si tratta della specie Lactuca
sativa, varietà capitata (denominata cappuccia) e crispa (denominata gentile). Il fusto è corto, molto carnoso; il gusto è fresco e croccante. È una lattuga caratterizzata da una grande morbidezza, dovuta all’assenza di fibrosità, con una spiccata turgidità anche molte ore dopo la raccolta
• Area di produzione: – provincia di Rovigo, comuni di Lusia, Badia Polesine, Lendinara, Costa di Rovigo, Fratta Polesine, Villanova del Ghebbo, Rovigo – provincia di Padova, comuni di Barbona, Vescovana e Sant’Urbano Insalata di Lusia
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paesaggio nella prima metà dell’Ottocento, ma è un secolo dopo che a Lusia decolla la produzione di ortaggi e diventa un’importante attività commerciale oltre che agricola. Il territorio, visto dall’argine del fiume Adige, appare come un’immensa opera patchwork, lavorata da abili mani. Distese di orti, ben tracciati e coltivati, nei quali si alternano il verde di diverse gradazioni degli ortaggi e il colore ocra della terra. Tra i campi sono seminate le case, protette da siepi e abbellite da piante ornamentali o da frutta. È un paesaggio incantevole, tipico del Medio Polesine. Il suolo è formato da un metro di sabbia depositata dall’Adige nel corso di tante alluvioni che, con il tempo e con il lavoro dell’uomo, è stata umificata. Particolarmente disastrosa fu l’inondazione del 1882 che mise in ginocchio la già grama economia locale, avendo reso pressoché improduttivi tanti terreni. Seguì una terribile carestia che fu causa di una massiccia emigrazione: dal Polesine partì il 30% della popolazione attiva. I braccianti, nella morsa della fame, disperati, nel giugno del 1884 si ribellarono contro gli agrari, rifiutandosi di raccogliere il frumento. Lo sciopero dei mietitori e altre manifestazioni di protesta, che si estesero, per le stesse ragioni di povertà del mondo rurale, in altre aree del Veneto e nel Mantovano, sono ricordate con il nome La boje. “La boje! E dobòto la va fora” (“La bolle – è sottinteso la pentola – e presto trabocca”) era lo slogan con il quale si esprimeva la rabbia. Intervennero carabinieri ed esercito: oltre 200 arresti. Contribuì ad aumentare il malessere e la protesta anche l’abolizione, nel 1882, del Vagantivo, conosciuto come il diritto del povero, sancito da una legge di Napoleone
Foto Archivio OPO VENETO - Paolo Spigariol e Mara Zanato
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insalate nel Veneto (1810). Dava la possibilità di raccogliere erbe, di pescare e di coltivare terre incolte. Sono eventi storici che spiegano lo sviluppo della coltivazione degli ortaggi nelle terre di Lusia e dintorni. Chi non è partito per le Americhe, ha reagito ai disastri naturali e sociali, si è rimboccato le maniche, ha bonificato i terreni alluvionati e ha spianato le piccole dune che si erano formate. Ha fatto di una terra che sembrava mortalmente colpita un meraviglioso orto che ha ridato speranza e prospettive alle famiglie. L’humus, che si era creato sul terreno sabbioso, arricchito da abbondante letame, se si confermava non idoneo per la produzione di tradizionali colture (mais, cereali e barbabietola), era invece particolarmente adatto per gli ortaggi, la cui coltivazione con il passare degli anni sarebbe diventata l’attività prevalente, in particolare nel territorio attorno a Lusia, favorita da razionali impianti di irrigazione e da una rete di canali di scolo. La falda superficiale dell’acqua viene mantenuta costante a un metro di profondità, e il fatto è importante perché rende possibile la coltivazione di verdure in tutte le stagioni. Venivano bene in particolare le salate, nome generico con il quale si indicavano sia le lattughe sia le indivie, e questo fino agli anni ’30, da quando con la parola lattuga o insalata si cominciò a indicare la cappuccia. Si sviluppò un fiorente commercio di ortaggi. Gli orticoltori si fecero anche commercianti e con i carretti, trainati dai cavalli, portavano il prodotto freschissimo nei mercati locali; i più intraprendenti si spingevano sino a Ferrara, Padova, Verona e in altre città. La lattuga finì per essere l’ortaggio simbolo di Lusia e salatari vennero chiamati i loro abitanti, un soprannome che resiste tuttora, benché nel frattempo molte cose siano cambiate e l’economia orticola, pur mantenendo una posizione rilevante, abbia ceduto molto spazio ad altre attività. Negli anni ’60 prese piede un’altra lattuga, la gentile, portata dai commercianti di Lusia che praticavano il mercato di Verona. La trovavano molto interessante e meritevole quindi di essere sperimentata. Incontrò immediatamente condizioni favorevolissime e fu un successo. Cappuccia e gentile, attraverso un’attenta selezione, vennero migliorate quanto a caratteristiche organolettiche, gusto, sapidità, croccantezza, turgidità e fibrosità, che è pressoché assente. Si perfezionarono criteri e tecniche di lavorazione sia per le coltivazioni a campo aperto sia per quelle in serra. Si migliorò l’ambiente. È significativo che un’azienda di insalate sia stata certificata “amica della biodiversità” (biodiversity friend) e che si discuta per l’affermazione della cultura della biodiversità nel territorio. Nel 2009 per cappuccia e gentile è arrivato il riconoscimento europeo IGP, che ne certifica la qualità. È stato immediatamente co-
Foto Archivio OPO VENETO - Paolo Spigariol e Mara Zanato
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paesaggio stituito il Consorzio di tutela per vigilare sulla produzione e garantire la bontà del prodotto. Le insalate IGP sono commercializzate in confezioni contenenti una sola varietà, che si deve presentare con tutte le caratteristiche e i valori previsti dal disciplinare. La parte superiore dell’imballaggio è coperta da un foglio trasparente in materiale per alimenti, nel quale è impresso il logo “IGP insalata di Lusia”: un contenitore che lascia respirare il prodotto e che lo lascia ammirare. La produzione annua è stimata attorno alle 15.000 tonnellate. Alle sue insalate Lusia dedica mostre, concorsi, rassegne del gusto, esibizioni gastronomiche, eventi vari. Per la promozione, uno dei punti di riferimento è il Mercato ortofrutticolo, operativo dal 1955.
Quarta gamma
• Si dà il nome di “quarta gamma”
prodotti ortofrutticoli pronti all’uso: fresche foglioline appena raccolte e subito lavorate, ideali per offrire ai consumatori che amano risparmiare tempo in cucina una ricca gamma di insalate o altri mix-fantasia. Il prodotto viene selezionato, lavato, asciugato e confezionato in atmosfera protetta ed è pronto per essere gustato
Quarta gamma Si sta facendo strada la quarta gamma, verdura e frutta fresche, pronte per l’uso. Radicchi e insalate di diverse varietà, spesso mescolati con altri ortaggi (rucola, valeriana, spinaceti, carote, pomodorini, olive) sono i prodotti maggiormente utilizzati. Sono presentati in vaschette, in buste, in una o più dosi. Le monodosi, Foto Archivio OPO VENETO - Paolo Spigariol e Mara Zanato
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insalate nel Veneto molto pratiche, sono spesso completate da posate, condimento, tovagliolino di carta per facilitarne il consumo. Nel Veneto le aziende dedite alla quarta gamma si sono sviluppate in particolare in provincia di Padova. Si impongono per innovazione tecnologica, ma soprattutto per la qualità del prodotto che offrono. Gli ortaggi, dopo la raccolta, vengono selezionati, puliti, tagliati, lavati e posti in contenitori sigillati. Devono essere consumati, generalmente, entro otto giorni. Infatti, oltre questo termine i tessuti vegetali si degradano e corrono il rischio di essere contaminati da microrganismi patogeni. Alcune indagini dicono che siano preferiti da un italiano su due, benché il prezzo sia decisamente superiore alla verdura fresca sfusa. Il mercato sta rispondendo bene e il fatto è facilmente spiegabile. La quarta gamma calza perfettamente allo stile di vita moderno, che richiede praticità, funzionalità, cibi genuini e a basso valore calorico. I pasti sono consumati velocemente. È un’indubbia comodità trovare verdura e frutta fresche a portata di mano, senza la necessità di pulirle e di prepararle. Il risparmio di tempo è la grande convenienza che garantiscono. Si stima che il 10% della verdura prodotta sia assorbito dalla quarta gamma.
Foto Archivio OPO VENETO - Paolo Spigariol e Mara Zanato
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le insalate Foto M. Curci
paesaggio Insalate in Lombardia Tommaso Maggiore
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
paesaggio Insalate in Lombardia Foto R. Angelini
Il paesaggio lombardo non è mai stato caratterizzato dall’orticoltura. François Maxmilien Missan nel suo Voyage d’Italie classificava i luoghi e le strade con asterischi, a seconda del loro interesse e della loro bellezza: con ben cinque asterischi si trova solo la strada tra Milano e Cremona perché “attraversa un paese estremamente fertile e bello”. Alla fine del XIX secolo Stendhal vede la pianura lombarda come un’alternarsi di praterie e campi di mais, riso, frumento sui quali s’alzano vigneti, piantate di gelsi, noci, olmeti, salici, pioppi a formare una sorta di foresta “sì che non si vede a cento passi di distanza”. A metà del Novecento Piovene e Gadda descrivono una campagna ordinata e silente, che Gadda in Terra Lombarda dice segnata dal “popolo stupefatto dei pioppi”. Oggi qualsiasi viaggiatore vede un paesaggio in via di omologazione, riconoscendo tuttavia un ruolo di grande rilievo all’agricoltura, che occupa la maggior parte dell’area di pianura, sulla quale ha implementato schemi di organizzazione che hanno contribuito in modo sostanziale a modellare il paesaggio sviluppandone nel contempo il tessuto sociale ed economico. La pianura lombarda si presenta come un territorio fortemente antropizzato e altamente produttivo, ricco ancora di spazi agricoli, di risorse naturali e di presenze culturali di grande valore. Certo, l’armonia di sviluppo in questi ultimi decenni è andata in crisi a causa dell’invadenza dell’urbanesimo, che consuma spazio e risorse.
Valeriana a 1/3 di ciclo Foto R. Angelini
Batavia rossa (lattughino da taglio) Coltivazione di rucola in serra tunnel a Costa di Mezzate (BG)
Foto R. Angelini
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insalate in Lombardia Il paesaggio è il risultato di numerosi elementi che concorrono alla sua formazione: le acque, i suoli, le coltivazioni, la vegetazione, gli insediamenti, nonché la presenza e l’azione quotidiana dell’uomo. L’orticoltura lombarda fino alla metà degli anni ’50 del secolo scorso era localizzata intorno agli agglomerati urbani, quindi a chilometri zero dai cittadini, come è di moda dire oggi. Dal momento però che più del 50% della popolazione abitava in campagna e in complessi rurali, era nelle vicinanze delle “cascine” che si trovavano gli orticelli assegnati a tutte le famiglie. Nel primo caso era possibile identificare un paesaggio caratteristico e molto mosso in quanto determinato dalle diversissime specie coltivate. Nel secondo, invece, gli orti occupavano una superficie limitata e si sperdevano in un paesaggio diversamente caratterizzato. Ovviamente le colture delle insalate (così chiamate per semplicità, pensando alla loro prevalente utilizzazione) rientravano nell’ambito dell’orticoltura descritta e non era possibile misurarne il contributo paesaggistico. A ciò si deve aggiungere che spesso non solo negli orticelli campagnoli, ma anche in quelli paesani, più specializzati, molte delle insalate coltivate venivano consociate e “concatenate” con altre colture ortive mostrando così una forte intensificazione, possibile solo grazie alla grande quantità di manodopera impegnata. A questo proposito è bene ricordare che nella bella stagione negli orti periurbani si considerava normale un impiego di circa 10 unità lavorative per ettaro, occupate a svolgere manualmente le diverse operazioni colturali: concimazione, lavorazioni, semina, trapianto, diradamento, diserbo, sarchiature, irrigazione, raccolta e confezionamento per la presentazione del prodotto al mercato.
Colture ortive a Milano
• Come mostrano le mappe antiche, nel
Seicento le colture ortive si trovavano localizzate tra la cerchia dei navigli e le mura. Due secoli dopo erano già fuori dalle mura, ma tutte a ridosso e a cavallo della cosiddetta “linea delle risorgive”. Sia ai tempi in cui erano all’interno delle mura sia dopo, l’irrigazione era effettuata prelevando l’acqua (piuttosto “sporca”) in piccola parte dai navigli, ma anche dal fosso denominato Vettabia. Pochi orti venivano irrigati con acque provenienti da fontanili
Foto R. Angelini
Pianta di Milano del 1625, opera di J.H. Pflaumern, tratta da Mercurius italicus
Milano nel Seicento Coltivazioni in serra nel mantovano
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paesaggio È poi da ricordare che raramente nel periodo invernale erano coltivate insalate e ciò sia perché il clima non lo consentiva, sia perché non si disponeva di strutture protettive adatte allo scopo. A Milano, per esempio, durante l’inverno la specie più utilizzata, tagliata tal quale e condita con olio e aceto, era il cavolo verza. Dagli anni ’50 in poi si verificano via via fenomeni che fanno profondamente evolvere l’orticoltura in generale e le colture delle insalate in particolare; tra questi i più importanti sembrano essere: – una maggiore facilità dei trasporti, con conseguente localizzazione delle colture delle varie specie negli areali ritenuti più idonei; – il consumo di tutti gli ortaggi, e in particolare delle insalate, non per un periodo limitato, bensì in tutto l’arco dell’anno; – una profonda modifica delle strutture distributive e il sempre maggior sviluppo della grande distribuzione; – il notevole aumento dei consumi; – la messa a disposizione del consumatore di nuovi prodotti per un “rapido utilizzo” (quarta gamma). Anche in Lombardia le aziende dove le colture ortive sono preponderanti rispetto alle altre possono essere di tre tipi: – solo in pieno campo; – in pieno campo e sotto strutture protette; – solo sotto strutture protette. È prevalentemente nei primi due tipi che le caratteristiche distintive del paesaggio sono le varie specie e le diverse colorazioni delle foglie o il loro portamento, nonché il rapido susseguirsi di specie differenti. Foto R. Angelini
Visioni che si presentano a chi percorre le strade di pianura, in Lombardia
Valeriana
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insalate in Lombardia Il terzo tipo il paesaggio è caratterizzato dalla presenza delle coperture in plastica delle strutture impiegate per proteggere le colture o per anticipare o posticipare l’immissione dei prodotti sul mercato. Di certo la presenza diffusa di queste strutture è un qualcosa di artificiale, che appare agli occhi di molti poco naturale, talvolta addirittura deturpante il paesaggio. Proprio per questa ragione oggi si tende a vietare i tunnel in alcuni Comuni ove la loro presenza si è molto sviluppata, provvedimento che costringe i produttori a spostare l’attività in altri Comuni o, peggio, in altre regioni, anche molto lontane dai luoghi di consumo, dove non vengono poste limitazioni allo sviluppo della serricoltura. Quanto sopra è ciò che si sta verificando in alcuni Comuni lombardi, soprattutto in quelli ove di recente si è sviluppata la coltivazione delle insalate per la quarta gamma, e più in particolare di quelle da baby leaf. Chi scrive non concorda con gli orientamenti di queste amministrazioni comunali e ricorda loro che non esistono paesaggi statici, bensì paesaggi che si modificano continuamente al cambiare delle esigenze della collettività. Vietare la diffusione di queste strutture, in un contesto quale quello attuale, significa non solo incidere direttamente sui costi delle derrate che il consumatore deve subire, ma anche aumentare i costi ambientali. Le zone lombarde dove oggi si trovano le più vaste colture di insalate in pieno campo sono in provincia di Mantova, al confine con le province di Brescia e Verona, come per esempio nei comuni di Asola e Guidizzolo, che presentano terreni molto sciolti,
Foto R. Angelini
Valeriana seminata e coperta con TNT
Serra pronta a ricevere le colture di insalate
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paesaggio ben dotati in sostanza organica e con profili colturali non molto profondi, posti su ghiaie più o meno grossolane, capaci di sostenere il rapido susseguirsi delle colture. Altre aziende si trovano, a macchia di leopardo, nei dintorni di Milano, per esempio a Cernusco sul Naviglio; nate di recente, sono collegate a strutture di commercializzazione per servire in modo più puntuale la grande distribuzione. Le colture in serre-tunnel sono presenti con una certa densità in alcune aree del Bergamasco e del Bresciano quasi alla base delle Prealpi, ma nella maggior parte già in pianura, e destinate prevalentemente alla quarta gamma. In termini paesaggistici l’impatto di queste strutture è diverso, più accentuato nella pedecollina e sicuramente meno in pianura. Nel primo caso, infatti, si osserva dalla strada un territorio coperto di “plastica” e quasi privo di vegetazione in qualsiasi stagione dell’anno, molto organizzato, ordinato e in assoluto non “brutto”; nel secondo l’impressione che si riceve è ancor più positiva e, sempre dalla strada, si possono osservare le colture che spesso presentano colorazioni e stadi di sviluppo diversi con, all’interno delle strutture, un’intensa attività lavorativa. Al viandante attento, ma ignaro di cose agricole, queste visioni indicano chiaramente quanto si fa per ottenere l’alimento che poi si ritroverà in tavola, e ciò perché è più difficile osservare quanto si effettua in termini lavorativi nel più vasto spazio del pieno campo. È da ricordare in ogni caso che i tunnel ricoperti di materiale plastico trasparente sono sicuramente meno impattanti delle strutture edilizie ai bordi delle strade e che, almeno in alcune zone, non
Grosso complesso serricolo visto dall’alto, nel territorio di Lurano (BG)
Territorio di Telgate (BG) visto dall’alto. Complessi serricoli destinati alle colture di quarta gamma Coltivazione delle insalate nelle serre-tunnel
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insalate in Lombardia Foto R. Angelini
Insalate negli orti periurbani
• In questi ultimi anni, per soddisfare
la domanda di molti, soprattutto dei pensionati, i comuni lombardi organizzano nella loro periferia delle superfici da destinare a orti e da assegnare ai soggetti che ne fanno domanda e che ne hanno “diritto”, quasi sempre prevedendo un canone di affitto. Questo è giustificato dal fatto non solo che viene ceduta una superficie di 60-80 m2 recintata e attrezzata con capanni per gli attrezzi, ma anche che tale area viene fornita di acqua potabile
• In questi orti non dovrebbero essere
consentono più l’osservazione del paesaggio agrario, cioè delle colture praticate in quel comprensorio. Diversa in entrambi i casi è la visione dall’alto dove le strutture protettive, a prescindere dal tipo di copertura, sono estremamente visibili, contrastando in modo marcato con i campi che ospitano le colture tipiche dell’area considerata. Aziende dedicate alle colture da quarta gamma si trovano anche nelle province di Mantova, Cremona e Milano, ma, non essendo concentrate, costituiscono elementi di diversificazione paesistica.
utilizzate piccole strutture coperte con plastica nella stagione invernale, ma in realtà la regola non si fa rispettare e pertanto vengono prodotte anche insalate per un periodo dell’anno più lungo di quello che il clima consentirebbe. Lo stesso si verifica nei piccoli orti ricavati ai margini delle strade o comunque su superfici di risulta. Dal punto di vista paesistico in entrambi i casi non è certo una bella visione!
Foto R. Angelini
Insalate coltivate negli orti di periferia
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