Le Insalate - Coltivazione

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Le insalate botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Concimazione e irrigazione Antonio Ferrante

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Concimazione e irrigazione Foto R. Angelini

Introduzione alla concimazione delle insalate La concimazione è una pratica agronomica spesso sottovalutata ed effettuata in modo approssimativo, in quanto anche gli errori più grossolani sono difficilmente tangibili a livello colturale. La natura chimico-fisica del terreno, l’assorbimento radicale e il metabolismo delle colture fungono da tampone entro determinati intervalli. La disponibilità degli elementi nutritivi per la coltura è la risultante dell’interazione di molteplici fattori biotici e abiotici in un determinato contesto pedologico e climatico. Per effettuare una corretta concimazione bisogna conoscere la dotazione e la biodisponibilità degli elementi nutritivi nel terreno, le asportazioni colturali degli stessi, l’indice di raccolta e il metabolismo della coltura in funzione delle disponibilità termiche. Nell’ambito della concimazione, notevole attenzione deve essere riservata a quella azotata e in particolare alla forma nitrica che, non essendo trattenuta dai colloidi del terreno, può essere persa per lisciviazione. Un’eccessiva distribuzione di azoto nitrico può spesso causare problemi ambientali come l’inquinamento delle falde acquifere e/o delle acque superficiali (Direttiva UE 96/676). Nel caso delle insalate, a differenza di altre colture agrarie, la gestione dei nitrati deve avvenire sotto stretto controllo agronomico per evitare che, una volta assorbiti, si accumulino nelle foglie compromet-

Nelle insalate la gestione dei nitrati deve essere fatta sotto stretto controllo agronomico per evitare accumuli nelle foglie

Foto R. Angelini

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concimazione e irrigazione Tenore massimo di nitrati nelle foglie di lattuga e spinacio nei diversi periodi dell’anno, in pieno campo e all’interno di strutture serricole (Direttiva UE, 1881/2006) Prodotto

Periodo di raccolta

NO3– (mg/kg p.f.)

Spinaci freschi

Dal 1o ottobre al 31 marzo

3000

Dal 1 aprile al 30 settembre

2500

o

Lattughe (tranne iceberg)

Foto M. Curci

Dal 1 ottobre al 31 marzo o

Coltivata al coperto

4500

Coltivata in piena aria

4500

Dal 1o aprile al 30 settembre

Lattughe del tipo iceberg

Coltivata al coperto

3500

Coltivata in piena aria

2500

Tutto l’anno Coltivata al coperto

2500

Coltivata in piena aria

2000

tendone la qualità commerciale; questo discorso è più che mai valido per lattuga e spinacio. Infatti la legge ha stabilito precisi limiti per la commercializzazione di queste due specie, differenziati a seconda dell’ambiente di coltivazione (in pieno campo o in serra) e del periodo stagionale (Direttiva UE 2006/1881).

I residui colturali rilasciano quantità di elementi fertilizzanti

Lattughino appena sfalciato

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coltivazione Rese e asportazioni di nutrienti delle principali insalate destinate al consumo fresco e alla filiera della quarta gamma Coltura

Indivia

Indivia scarola (Cichorium endivia L. var. crispum Hegi) Indivia riccia (Cichorium endivia L. var. latifolium Hegi) Lattuga (Lactuca sativa L.) Lattuga cappuccio (Lactuca sativa L. var. capitata)

Rese t/ha

N kg/ha

P2O5 kg/ha

K2O kg/ha

Ca kg/ha

Mg kg/ha

50

89

40

227

29

9

50

250

150

200

50

250

200

400

40

130

60

180

52

234

156

265,2

41,6

20,8

25

90

50

150

50

235

150

255

35

20

35

80,5

28

168

40

88

40

200

30

130

60

180

25

55

20

120

25

6

Pan di zucchero

60

300

180

102

Chioggia

30

150

90

51

Cicoria

50

110

60

280

106

23

Radicchio

25

55

30

140

53

12

Asportazioni colturali La concimazione deve essere effettuata considerando le asportazioni delle colture, ma anche corretta per la quantità di elementi fertilizzanti rilasciati dai residui colturali, tenendo conto degli apporti biotici e abiotici, delle perdite per denitrificazione e di quelle per lisciviazione. Tuttavia, molti di questi parametri possono essere irrilevanti per le colture a breve o brevissimo ciclo colturale come le baby leaf o per quelle coltivate in serra con sistemi idroponici. Le asportazioni sono calcolate considerando la biomassa prodotta, pertanto sono molto variabili in funzione della zona di coltivazione (interazione tra caratteristiche del terreno e ambiente) e della base genetica delle diverse specie. Tutti questi fattori portano a determinare asportazioni diverse per le stesse specie, come è possibile osservare nella tabella di riferimento. L’innovazione colturale condiziona spesso anche i valori delle asportazioni. Pertanto le prove varietali, se effettuate con rigore scientifico, offrono informazioni utili per la gestione della fertilizzazione nelle diverse zone geografiche.

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Concimazione La concimazione è una pratica agronomica che deve essere coordinata e gestita in funzione della coltura. Oltre alla quantità di concime da apportare, devono essere determinati anche i tempi e le modalità di distribuzione.

Erpicatura sotto tunnel

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concimazione e irrigazione Concimazione organica Una buona dotazione di sostanza organica nel terreno è fondamentale per il mantenimento di una struttura del terreno atta a garantire: – il giusto equilibrio tra porosità e ritenzione idrica; – una maggiore capacità di scambio cationico; – una più varia e attiva microflora, capace di meglio mineralizzare la sostanza organica e apportare elementi nutritivi per le piante. Un terreno è considerato ben dotato quando possiede un contenuto di sostanza organica compreso tra l’1,5 e il 3%. I terreni destinati a colture orticole sono molto più suscettibili alla perdita di sostanza organica a causa delle lavorazioni frequenti. Le arature e ancor più le fresature, in particolare, favoriscono una forte ossigenazione del terreno con conseguente riduzione della sostanza organica e perdita accentuata, nel periodo estivo, dal fenomeno di eremacausi. Per questo motivo bisogna ricorrere all’apporto periodico di sostanza organica al fine di mantenere nel tempo un’adeguata concentrazione. Laddove è possibile si ricorre al letame, purché sia ben maturo, onde evitare l’apporto di semi di infestanti. Nelle insalate baby leaf destinate alla filiera della quarta gamma, il problema del depauperamento della sostanza organica è molto accentuato a causa della brevità dei cicli colturali, variabili da 20 a 40 giorni a seconda della stagione e della specie. Cicli colturali corti impongono lavorazioni del terreno frequenti che, ossigenando il suolo, accentuano la mineralizzazione della sostanza organica. Purtroppo, dato il costo, la carenza di un mercato per il letame

Specie per il sovescio

• In orticoltura le specie più utilizzate

per questa pratica sono Trifolium incarnatum, T. alexandrinum, T. resupinatum, Lupinus luteus, L. angustifolius, Vicia faba minor, V. sativa, V. villosa, Sinapis alba, Brassica napus oleifera, Raphanus sativus, Secale cereale, Hordeum vulgare, Lolium spp., Phacelia tanacetifolia (fam. Hydrophillaceae)

• Sovesci mirati per il contenimento

dei nematodi sono effettuati con la Calendula officinalis e il Tagetes spp. Queste specie rilasciano secrezioni radicali che contrastano lo sviluppo di nematodi

• Il sovescio il Melilotus albus, invece,

ha un’azione repellente per le arvicole grazie all’elevato contenuto in cumarina della pianta

Il letame può apportare semi di infestanti

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coltivazione costringe gli agricoltori all’acquisto di prodotti organici pellettati come stallatico e borlande di diversa origine, con un apporto di carbonio organico variabile dal 30 al 50%. Inoltre, proprio per i costi elevati, è difficile fornire le quantità in grado di mantenere o incrementare un buon livello di sostanza organica. Il problema del reperimento della sostanza organica è ancor più sentito dalle aziende biologiche, data la carenza di questo prodotto “biologico”. Infatti, le aziende zootecniche biologiche reimpiegano il letame nei propri terreni, cosicché le aziende orticole biologiche sono costrette a mantenere il contenuto di sostanza organica mediante l’uso di pellettati certificati e attraverso la programmazione di sovesci. Le colture da sovescio utilizzabili appartengono principalmente alle famiglie delle Graminacee, Leguminose e Brassicacee. Il sovescio migliora le proprietà fisiche e chimiche del terreno, riduce la lisciviazione dei nitrati, limita l’erosione e la crescita delle infestanti; inoltre, mediante alcune specie può contenere lo sviluppo di patogeni e parassiti per il rilascio di sostanze biocide. I sovesci di leguminose possono rendere disponibili fino a 70-80 kg N ha–1.

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Concimazione azotata L’azoto ha un’importanza fondamentale essendo un componente essenziale delle proteine e degli acidi nucleici, le due principali classi di macromolecole biologiche. Le piante soddisfano il proprio fabbisogno di questa sostanza assorbendo prevalentemente azoto nitrico, che rappresenta la forma chimica più abbondante nella soluzione circolante del terreno.

Serra tunnel con bietoline o “erbette”

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concimazione e irrigazione L’azoto si trova nell’ambiente inanimato prevalentemente in forma ossidata, essendo presente principalmente come N2 nell’atmosfera o come ione nitrato (NO3–) nel suolo. La sua organicazione nei sistemi biologi è accompagnata dalla sua riduzione ad ammonio (NH4+) e dall’incorporazione nei composti organici sotto forma di gruppo amminico o ammidico. Lo ione nitrico, una volta assorbito dalla pianta, è traslocato dalle radici alle foglie, dove avviene la principale riduzione dapprima a nitrito, poi ad ammonio. Alcune specie vegetali effettuano l’assimilazione direttamente nelle radici. La riduzione di nitrato ad ammonio è effettuata dalle piante per mezzo di una via metabolica composta da due principali tappe, conosciuta come “assimilazione del nitrato”. La prima reazione è catalizzata dalla nitrato reduttasi, localizzata nel citoplasma, la seconda dalla nitrito reduttasi, localizzata nei cloroplasti delle foglie e nei proplastidi delle radici. Infine, l’ammonio è assimilato attraverso varie vie metaboliche nei composti organici, principalmente aminoacidi, mediante la trasformazione dell’acido glutammico in glutammina a opera della glutammino sintetasi. La nitrato reduttasi aumenta la sua attività in funzione della concentrazione del substrato (NO3–) e dell’intensità della radiazione luminosa seguendo i ritmi cicardiani (alternanza giorno-notte). Per tale ragione nei mesi invernali negli ortaggi si registrano accumuli di quantità di nitrato superiori rispetto a quelle registrate durante l’estate, visto che d’inverno il fotoperiodo è ridotto rispetto al periodo estivo. Qualora l’assorbimento di NO3– superi l’assimilazio-

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Lattughino biondo o batavia appena sfalciato

Lattughino rosso subito dopo lo sfalcio (al centro)

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coltivazione ne, esso si accumula nelle cellule dove, al contrario di NH4+, non è tossico. All’interno della cellula si formano un piccolo pool metabolico citoplasmatico, interessato direttamente dalla riduzione enzimatica, e un pool di riserva di grosse dimensioni nel vacuolo (fino a 10 volte il pool metabolico). Si ritiene che all’interno del vacuolo il nitrato svolga funzione di regolazione osmotica del turgore cellulare, in alternativa ai composti di carbonio non strutturali (zuccheri semplici e acidi organici), scarsamente sintetizzati in condizione di bassa radiazione. Il ruolo del nitrato nel vacuolo non è specifico, tanto che esso può essere sostituito, per esempio dallo ione cloro (Cl–). Numerosi sono i fattori che influenzano l’accumulo di nitrato; tra questi rivestono maggiore importanza quelli genetici, ambientali e colturali.

Concimi azotati

• Nella coltivazione in campo con buona dotazione di sostanza organica, per ridurre l’accumulo di nitrato sono da preferire concimi a lento rilascio e ammoniacali

• In idroponica invece si è dimostrato

che l’apporto in azoto ammoniacale, per non creare danni alla pianta, non deve superare il 50%, per quanto nella pratica, per non rischiare, si cerchi di mantenerlo intorno al 25% del totale

Concimazione fosfatica e potassica Il fosforo e il potassio sono poco mobili nel terreno. Il primo non ha problemi di lisciviazione, mentre il secondo può essere lentamente allontanato in terreni sabbiosi o comunque molto porosi. Il fosforo nel suolo è presente sotto forma organica e minerale (le forme minerali più diffuse sono quelle di calcio, ferro e alluminio). Le riserve del suolo sono costituite principalmente dalle forme insolubili. Il potassio, invece, è trattenuto nel terreno dai complessi di scambio e rilasciato alla soluzione circolante man mano che le piante lo assorbono. Nei piani di concimazione delle orticole questi due elementi nutritivi sono generalmente distribuiti all’impianto. La concimazione fosfatica e potassica deve essere

• I concimi semplici che si possono utilizzare sono, in dipendenza dalla stagione colturale, l’urea, il solfato ammonico e il nitrato ammonico. Il solfato ammonico, che ha una reazione fisiologicamente acida, deve essere preferito nei suoli alcalini o tendenzialmente alcalini • L’azoto ammoniacale deve essere

fornito in modo particolare durante il periodo autunnale o primaverile, quando avvengono intense e frequenti precipitazioni, per evitare problemi di dilavamento. In caso di visibili carenze, i concimi nitrici sono i più adatti a risolvere i problemi

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concimazione e irrigazione effettuata considerando la dotazione del terreno e il fabbisogno delle colture. Le quantità di concime devono essere determinate in modo da lasciare nel suolo una sufficiente o buona dotazione dei due elementi nutritivi.

Concimi fosfatici e potassici

• I concimi fosfatici disponibili sono il

Irrigazione L’acqua è uno degli elementi più importati delle piante e nelle insalate la sua percentuale può raggiungere il 90-95%. È indispensabile per la crescita e lo svolgimento dei processi fisiologici. Le colture la assorbono dal terreno e la rilasciano nell’atmosfera con la traspirazione. Circa il 99% dell’acqua traspirata è utilizzato per il raffreddamento, mentre il resto ha una funzione di trasporto dei nutrienti e di idratazione dei tessuti. Per effettuare una corretta irrigazione bisogna conoscere l’evapotraspirazione, ossia la combinazione dell’evaporazione del suolo e della traspirazione della coltura. Il valore di questo parametro è influenzato sia dall’ambiente sia dallo sviluppo della coltura. L’evapotraspirazione si distingue in potenziale e reale: la prima è calcolata attraverso equazioni o modelli matematici oppure attraverso una coltura di riferimento come la Festuca arundinacea; la seconda rappresenta la perdita di acqua reale della coltura ed è inferiore a quella potenziale. Per passare da quella potenziale a quella reale si utilizza un coefficiente colturale (Kc) che dipende dalla specie, dalla copertura vegetale e dallo stadio di sviluppo. In serra, invece, per automatizzare questa pratica si utilizzano metodi indiretti che correlano la radiazione globale con il calo-

superfosfato semplice e triplo, il fosfato ammonico e le scorie Thomas

• Tra i concimi potassici invece possono essere utilizzati il solfato, il cloruro e il nitrato di potassio

• Tuttavia, in commercio esistono concimi binari PK che apportano entrambi gli elementi nutritivi

• La scelta dell’uso di concimi semplici

o composti deriva dalla disponibilità nel suolo e dai fabbisogni delle colture. In generale, comunque, le piante non hanno mai un assorbimento costante e proporzionale ai titoli dei concimi composti presenti in commercio. Pertanto, utilizzando questi concimi, è facile incorrere in una concimazione eccedente o insufficiente per uno dei due elementi apportati

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coltivazione re latente di vaporizzazione e il coefficiente colturale. Attraverso soft­ware specifici l’irrigazione è gestita in funzione della radiazione cumulata. Per la gestione dell’irrigazione si fa ricorso alla seguente formula:

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ETE = Kc RG / λ dove ETE è l’evapotraspirazione effettiva (in L m–2), Kc il coefficiente colturale, RG la radiazione globale interna (MJ m–2) e λ il calore latente di vaporizzazione. Nelle orticole in serra la radiazione globale può essere utilizzata per la gestione informatizzata dell’irrigazione. Nel caso di gestione non informatizzata, oltre a determinare la quantità di acqua da distribuire, bisogna definire anche i volumi per ciascun intervento irriguo, il turno, il numero di interventi e infine il metodo di distribuzione. La quantità di acqua da distribuire per ciascun intervento irriguo dipende dalla capacità di ritenzione idrica del terreno o del substrato e dalla qualità dell’acqua. Molto importante è garantire un giusto rapporto tra acqua e aria, per favorire lo sviluppo delle radici e della pianta stessa. Conoscendo la curva di ritenzione idrica di un substrato e l’evapotraspirazione potenziale si può definire anche il turno, ossia la distanza tra un intervento irriguo e il successivo. Per favorire la crescita della coltura bisogna intervenire quando la quantità di acqua si riduce fino alla soglia dell’acqua facilmente disponibile. Se il contenuto di acqua si abbassa oltre questo limite la pianta per assorbirla dal terreno deve consumare energia, riducendo la crescita.

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Le infestanti competono con la coltura sia per l’acqua sia per i nutrienti

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concimazione e irrigazione Parametri in base ai quali valutare la qualità dell’acqua d’irrigazione Parametro

Unità di misura

Reazione (pH)

Foto R. Angelini

Limiti per colture in serra

Limiti per colture di pieno campo

6-8

6-8 <1,5

Conducibilità (EC)

dS m (25 °C)

<0,75

Calcio

mg l–1

<150

Magnesio

mg l–1

<35

Sodio

–1

mg l

<50

<150

Cloruri

mg l–1

<50

<200

Carbonati e bicarbonati

mg l–1

<250

Solfati (S)

mg l–1

<50

<300

–1

Ferro

mg l

<1

<3

Manganese

mg l–1

<0,6

<2

Rame

–1

mg l

<0,3

<1

Zinco

mg l–1

<0,3

<3

Boro

mg l

<0,3

<2

–1

–1

Molibdeno

mg l

<0,05

<0,05

Tensioattivi

mg l–1

<0,5

<0,5

Cadmio

mg l

–1

<0,01

<0,01

Cromo

–1

mg l

<0,1

<0,1

Nichel

mg l–1

<0,2

<0,2

–1

Piombo

mg l

<5

<5

Mercurio

mg l–1

<0,002

<0,002

Fluoruri

mg l–1

<1

<1

Solidi sospesi

mg l

<30

<30

–1

–1

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

La quantità di acqua presente nel terreno può essere determinata con tensiometri che misurano il potenziale idrico del terreno. Con la progressiva perdita di acqua il potenziale idrico diminuisce e aumenta di riflesso la forza con cui le particelle di terreno trattengono l’acqua. Più si abbassa il potenziale idrico, maggiore è il lavoro che le piante devono svolgere per sottrarre l’acqua al terreno. Ogni specie vegetale ha una soglia di potenziale idrico oltre la quale la sua crescita comincia a rallentare. Le insalate in genere presentano apparati radicali superficiali e quindi capaci di investigare una ridotta profondità del suolo; ciò significa che, rispetto a molte altre colture, bisogna intervenire con maggiore frequenza, ma comunque senza eccessi, che causano sempre un abnorme sviluppo di malattie e una crescita più lenta. 225


coltivazione Curva semplificata della ritenzione idrica del suolo del substrato, che evidenzia la capacità per l’aria e per l’acqua. Sulla base delle proprietà idrauliche del suolo è possibile determinare l’acqua facilmente disponibile (AFD) e l’acqua disponibile (AD) in funzione della facilità di assorbimento da parte della coltura

Tensiometro

• Il tensiometro è costituito da un setto

poroso in ceramica fissato a un tubo di vetro, contenente acqua distillata; all’estremità opposta è presente un sensore di pressione. Questo strumento, che è stato sviluppato da Richards negli anni ’30 del secolo scorso, permette di controllare l’irrigazione. Per il suo corretto funzionamento, bisogna prestare attenzione che il setto poroso aderisca al terreno. La perdita di acqua dal substrato crea una depressione che viene misurata dal manometro. I tensiometri commerciali normalmente hanno un intervallo di lettura da 0 a 1000 hPa, con un’accuratezza di 1-10 hPa

100 90

Aria

80

Volume (%)

70 60

AFD

50

AD

40 30 20 10 0

0

–1

–2

–3

–4

–5

–6

–7

–8

–9

–10

Tensione (kPa)

Il tensiometro misura il potenziale idrico e quindi la quantità di acqua del terreno. Questo strumento può essere utilizzato per la gestione informatizzata dell’irrigazione. Per ogni coltura è possibile definire soglie di potenziale idrico d’intervento. In questo modo le irrigazioni saranno effettuate quando la quantità di acqua scende al di sotto della soglia prefissata. Siccome i tensiometri hanno una prontezza limitata, si consiglia di utilizzare una soglia d’intervento leggermente superiore a quella reale. Il numero d’interventi, al giorno o per ciclo colturale, dipende dall’ambiente e dal tasso di crescita della coltura. La scelta del sistema irriguo, invece, dipende dall’organizzazione e dal grado di innovazione tecnologica dell’azienda. I sistemi meno efficienti sono quelli gravimetrici (scorrimento e infiltrazione da solco: 50-60%) e per aspersione (60-80%), mentre i più efficienti sono quelli per microportata (per es. a goccia), con un’efficienza del 90-98%. Fertirrigazione La fertirrigazione è una pratica agronomica attraverso la quale gli elementi nutritivi sono distribuiti mediante l’acqua di irrigazione. Possono essere distribuiti tutti gli elementi nutritivi o solo alcuni di essi, per esempio l’azoto e, in particolare, la frazione nitrica o i mi-

Tensiometro

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concimazione e irrigazione cronutrienti. La distribuzione può avvenire sulla chioma (concimazione fogliare) o nel terreno/substrato in prossimità della pianta. L’impianto di fertirrigazione è costituito da due vasche contenenti le soluzioni madri concentrate 100 volte e una vasca con l’acido necessario alle correzioni del pH. La separazione degli elementi nutritivi nelle due vasche è importante al fine di evitare la precipitazione dei nutrienti e/o la loro insolubilizzazione. La distribuzione in linea viene effettuata con opportuni dosatori. La concentrazione di elementi nutritivi da distribuire varia in funzione dello stadio fenologico della coltura. Nelle prime settimane dopo la semina o il trapianto, quando le plantule sono piccole, si distribuisce solo acqua, mentre nel corso della crescita si distribuiscono i fertilizzanti in funzione del tasso stesso di crescita delle insalate. Pertanto, una buona gestione della fertirrigazione può essere effettuata conoscendo il ritmo di crescita e di assorbimento degli elementi nutritivi di una coltura, in modo da modulare la quantità di nutrienti da distribuire nell’arco del ciclo colturale, soddisfacendo le esigenze.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Concimazione e irrigazione per coltura Cicorie e radicchi Le cicorie e i radicchi coltivati sono diversi e hanno una buona resistenza al freddo. Per alcuni è fondamentale soddisfare il fabbisogno in freddo per attivare la biosintesi degli antociani e la colorazione nelle varietà rosse.

Contenitori per separare gli elementi nutritivi concentrati da utilizzare per la fertirrigazione ed evitare la precipitazione

Posizionamento di tubi per la fertirrigazione e/o l’irrigazione a microportata tra le file di insalate in una coltivazione in serra a più campate

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coltivazione Lo zero di vegetazione (temperatura minima biologica) è intorno ai 10 °C. Esistono varietà precoci e tardive, con una durata del ciclo colturale che nelle prime va da 55 a 85 giorni e nelle seconde da 85 a 170 giorni. I fabbisogni nutritivi delle cicorie e dei radicchi sono molto simili a quelli delle indivie. Le rese sono variabili da 30 a 70 t ha–1; le asportazioni kg/t di prodotto per macro- e mesoelementi sono: 2,2 N; 1,2 P2O5; 5,6 K2O; 2,12 Ca; 0,48 Mg. All’impianto si distribuisce un terzo o i due terzi di azoto a seconda del periodo di coltivazione, mentre il fosforo e il potassio vengono distribuiti totalmente in preimpianto. La distribuzione in copertura deve essere completata 30 giorni circa prima della raccolta per evitare problemi di accumulo di nitrati nelle foglie. L’irrigazione è molto importante nella fase iniziale, dopo il trapianto ma prima dello sviluppo radicale. In seguito è necessario seguire il contenuto idrico del suolo secondo quanto detto prima.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Lattuga La lattuga ha un apparato radicale superficiale che non supera i 40 cm di profondità; di conseguenza, la disponibilità di elementi nutritivi e di acqua deve interessare questo strato di terreno. Dal punto di vista termico ha uno zero di vegetazione di 7 °C; pertanto, le concimazioni a base di azoto nitrico in copertura devono essere effettuate quando le minime termiche giornaliere sono superiori a questa soglia, altrimenti le piante non assorbono il nitrato e le eventuali piogge, nei periodi inverno-primaverili, allontanano l’elemento fertilizzante, che si perde per lisciviazione. La lattuga

Radicchi Lattughino

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concimazione e irrigazione Rese e asportazioni delle principali insalate da foglia e da taglio tipo baby leaf destinate alla filiera della quarta gamma Rese t/ha

N kg/ha

P2O5 kg/ha

K2O kg/ha

Lattughino taglio (Lactuca sativa L. var. acephala)

30

90

50

150

Lattuga (Lactuca sativa L.)

15

61

8

Rucola (Diplotaxis tenuifolia L.)

10

123

Valerianella (Valerianella olitoria L., Valerianella locusta L. Laterr.)

10

52

Coltura

Foto R. Angelini

Ca kg/ha

Mg kg/ha

87

23

7

16

121

90

11

7

51

26

7 Foto R. Angelini

si avvantaggia di un buon contenuto della sostanza organica nel terreno, con valori del 3-4%. Le asportazioni della coltura, espresse per kg t–1 di biomassa fresca, in media sono riportate nella tabella e presentano un rapporto di 1:0,4:2,3 rispettivamente per N, P e K. Sperimentalmente è stato osservato che il 70% degli elementi nutritivi viene assorbito nei 20-30 giorni che precedono la raccolta. La quantità di concimi da distribuire deve essere determinata in funzione del piano di concimazione e dei vincoli vigenti (Direttiva 91/676 e disciplinari di produzione regionali) nella zona dove viene effettuata la coltivazione.

La lattuga necessita di umidità del terreno costantemente elevata per tutto il ciclo colturale

Foto R. Angelini

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coltivazione Il fabbisogno di azoto è generalmente distribuito per un terzo in preimpianto e per due terzi in copertura. Il fosforo e il potassio, invece, sono distribuiti totalmente in preimpianto. Dal punto di vista idrico, la lattuga necessita di un’umidità del terreno costantemente elevata per tutto il ciclo colturale, con valori del 65% della capacità di campo fino all’inizio della formazione del grumolo e del 75% successivamente. Infatti, la massima richiesta di acqua si ha durante la fase del ciclo produttivo (per alcune nel corso della formazione del grumolo). I valori di Kc variano da 0,5 (dopo il trapianto) a 0,8 (dallo stadio di 7-9 foglie) fino a raggiungere l’1,2 (nello stadio finale). Gli interventi irrigui sono effettuati quando il terreno ha perso il 30% dell’acqua facilmente disponibile (il 20% in serra). Il volume stagionale è di circa 1500-2000 m3/ha. I metodi di distribuzione sono l’aspersione e la microportata (manichetta forata e tubi gocciolanti). La lattuga da taglio coltivata in idroponica con sistema floating ha un ciclo colturale molto breve, anche di 2 settimane. Il fabbisogno idrico e minerale è soddisfatto da una soluzione nutritiva contenente i seguenti elementi nutritivi, espressi in mM: 12 N-NO3; 3,8 N-NH4; 2,8 P; 8,4 K; 3,5 Ca; 1,4 Mg; 2 S; 0,04 Fe e micronutrienti; questa soluzione può essere utilizzata per tre cicli colturali senza altre aggiunte di sali minerali. Tra un ciclo e l’altro è sufficiente riportare la soluzione nutritiva al volume iniziale con sola acqua. Nel caso di utilizzo di una soluzione nutritiva che si rinnova a ogni ciclo colturale, le concentrazioni degli elementi nutritivi da utilizzare sono da ridurre di tre quarti rispetto a quelli sopra riportati. Il pH della soluzione nutritiva deve essere corretto con acido solforico e mantenuto a 5,5-6,5. I valori

Foto R. Angelini

Lattuga cappuccia

Irrigazione con mini-irrigatori dinamici su lattuga

Foto R. Angelini

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concimazione e irrigazione di conducibilità elettrica sono fortemente condizionati dalla qualità dell’acqua ed è consigliabile non superare i 2,2 µS cm–1.

Foto M. Curci

Indivie Le indivie coltivate sono la scarola e la riccia. Le coltivazioni di indivia riccia e scarola sono effettuate nel periodo maggio-giugno e ottobre-novembre. Il prodotto può essere consumato fresco o destinato all’industria della quarta gamma. Per quest’ultimo utilizzo le varietà da scegliere sono quelle con alta attitudine all’imbianchimento, al lavaggio e alla conservazione dopo il confezionamento. L’indivia riccia ha uno zero di vegetazione di 10 °C, mentre la scarola subisce un arresto della crescita quando le temperature scendono al di sotto di 5 °C. Le rese di prodotto utile sono variabili da 30 a 40 t ha–1; i fabbisogni di elementi nutritivi da fornire, espressi come kg t–1, per l’indivia riccia sono i seguenti: 3,9 N; 2,5 P2O5; 5,2 K2O; 0,7 Ca; 0,3 Mg. Per l’indivia scarola le asportazioni per kg t–1 sono le seguenti: 4,2 N; 2,5 P2O5; 5,6 K2O; 0,7 Ca; 0,4 Mg. Il fabbisogno idrico è molto basso e l’irrigazione spesso è limitata al solo trapianto.

Foto M. Curci

Rucola La rucola coltivata e quella selvatica appartengono alla famiglia delle Brassicacee. Dal punto di vista termico lo zero di vegetazione è prossimo a 5 °C. La rucola non è una pianta molto esigente (la resa e le asportazioni sono riportate nella tabella di riferimento). Per la produzione di 15 t ha–1 i fabbisogni di elementi fertilizzanti espressi in kg t–1 di sostanza fresca sono i seguenti: 12,3 N; 1,6 P2O5; 12,1 K2O; 9,0 Ca; 1,1 Mg. Poche sono le informazioni relaFoto R. Angelini

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coltivazione tive alle esigenze irrigue di questa coltura. In generale, si cerca di mantenere una buona disponibilità idrica nei primi 15-20 giorni di coltivazione e diradare gli interventi successivamente, soprattutto per ridurre le incidenze delle malattie, che rappresentano un grosso problema nel periodo invernale. La rucola destinata alla quarta gamma in genere è coltivata fino al III-IV taglio. Gli interventi irrigui devono essere effettuati 2-3 giorni dopo la raccolta per favorire la cicatrizzazione delle ferite ed evitare patologie fungine.

Foto R. Angelini

Valerianella La valerianella è una pianta rustica, resistente al freddo, che può essere coltivata nelle zone meno favorite dal clima. La pianta trova l’optimum di vegetazione a circa 18-20 °C. Durante il periodo estivo teme le temperature troppo elevate, che ne determinano la scarsa vegetazione, la produzione di foglie di sapore sgradito e la prefioritura. La valerianella non presenta grandi esigenze per quanto riguarda i terreni, vegetando bene sia in quelli sciolti sia in quelli pesanti, purché risultino sani, possibilmente freschi e di facile sgrondo. La coltivazione è abbastanza semplice, la semina è scalare dalla fine di luglio a tutto ottobre; al momento della semina è bene tenere presente che il seme incontra difficoltà ad assorbire acqua a temperature inferiori a 15 °C, mentre germina rapidamente a una temperatura di 18-20 °C. Per quanto riguarda le esigenze nutritive, la pianta preferisce trovare nel suolo una buona fertilità residua. La valerianella destinata alla quarta gamma tipo baby leaf ha il seguente fabbisogno di elementi nutritivi, espressi per kg t–1 di sostanza fresca prodotta: 5,2 N; 0,7 P2O5; 5,1 K2O; 2,6 Ca; 0,7 Mg. La sua resa è in media di 10 Foto R. Angelini

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concimazione e irrigazione Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

t ha–1 e le asportazioni sono riportate nella tabella di riferimento. Durante il periodo estivo (luglio-agosto) possono verificarsi elevati livelli di nitrati nelle foglie a causa del lento metabolismo e della rallentata organicazione dell’azoto. Pertanto, dal punto di vista irriguo, è indispensabile un primo intervento subito dopo le semine, specialmente per quelle estive. La valerianella si adatta bene alla coltivazione fuori suolo nel sistema floating con perlite. La resa è circa del 50% più elevata di quella che si ottiene su terreno. La soluzione nutritiva migliore è ridotta del 75% rispetto a quella standard di Hoagland.

Valerianella in diversi stadi di sviluppo

Foto R. Angelini

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le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Tecnica colturale per la quarta gamma Pietro Di Benedetto, Annalisa Giordano

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Tecnica colturale per la quarta gamma Coltivazione

Ortaggi da foglia da taglio (baby leaf)

Ambiente di coltivazione La coltivazione di ortaggi a foglia da taglio può essere vista come la prima parte di un articolato processo produttivo, che inizia nel campo per continuare negli stabilimenti di lavorazione e confezionamento, fino ad arrivare alla distribuzione al dettaglio. Per questo motivo dal processo produttivo deve nascere un prodotto che abbia i requisiti idonei per le fasi successive. Questo ha influito anche sulla scelta dell’ambiente di coltivazione, oggi realizzata quasi esclusivamente sotto serra (serre multitunnel nel Sud Italia e serre-tunnel al Nord), dove si possono avere le maggiori garanzie di pulizia del prodotto (evitando l’imbrattamento e l’allettamento dovuti alla pioggia, nonché i danni da grandine), si può programmare la produzione per l’intero arco dell’anno e si ottiene un maggior numero di cicli produttivi rispetto alla coltivazione in pieno campo; infine, anche la gestione degli interventi fitosanitari e fertirrigui è più controllata. Gli apprestamenti protettivi più largamente utilizzati sono rappresentati da serre-tunnel di cubatura unitaria variabile da 1,5 a 5 m3 m–2 con copertura in materiale plastico. Le strutture delle serre vengono realizzate in modo da consentire il passaggio di macchine operatrici sempre più grandi, motivo per cui i tunnel sono sempre più larghi (oggi la larghezza più diffusa è di 8 m) e l’intera

• Le colture utilizzate come ortaggi da foglia da taglio sono, in ordine di importanza, la rucola selvatica, che da sola interessa quasi la metà della superficie coltivata a baby leaf, il lattughino, che ne occupa circa un terzo, quindi valerianella o dolcetta, spinacio, cicorino e bietole a foglia (principalmente Red Chard e Bull’s Blood). Tuttavia vengono coltivate anche molte altre essenze, meno diffuse, come per esempio le cosiddette “orientali” (Mizuna, Mustard, Tatsoi, Pak Choi, Kale Russian)

Serra tunnel nel nord Italia

Foto R. Angelini

234


tecnica colturale IV gamma luce all’ingresso del tunnel è lasciata libera. Le scoline di testata sono rese carrabili (generalmente realizzate con tubi di drenaggio interrati) e l’impianto di irrigazione è del tipo per aspersione (con 0,05-0,10 microirrigatori/m–2 della portata di 110-205 l/h), sospesi a circa 2 m di altezza per non essere di intralcio alle macchine. I materiali di copertura adoperati per le serre-tunnel sono principalmente film di PE, PVC, EVA, dello spessore di 0,18-0,20 mm. Per la scelta dei materiali di copertura si prendono in debita considerazione le caratteristiche ottiche, che incidono in modo decisivo sulla qualità della produzione. Nel caso delle colture da foglia da taglio, soprattutto quando praticate in periodi dell’anno caratterizzati da scarsa intensità luminosa, sono frequenti fenomeni di filatura, problemi di scarsa consistenza (e conseguente ridotta shelf-life) con foglie di superficie e spessore ridotti, colore pallido nelle tipologie con foglie verdi oppure colorazioni opache e spente nelle tipologie a foglia rosso brillante (per incremento della sintesi di clorofilla rispetto alle xantofille e ai caroteni), picciolo allungato, aroma poco intenso e contenuto di nitrati elevato. Quando invece si coltiva nei periodi caldi con intensità luminosa elevata, può risultare utile l’ombreggiamento praticato tramite l’applicazione di reti ombreggianti o la tinteggiatura delle coperture (eseguita con calce o apposite tempere commerciali). Risulta essere di fondamentale importanza il monitoraggio di parametri climatici come l’umidità relativa (UR), che possono essere gestiti mediante sistemi di apertura e chiusura delle aperture perimetrali delle serre. Infatti l’eccesso di UR, e quindi la durata

Serre per la quarta gamma

• Gli impianti serricoli realizzati per la

produzione di baby leaf sono concepiti per ospitare processi altamente meccanizzati. Infatti le serre realizzate oggi hanno le seguenti caratteristiche: – l’altezza della struttura è tale da consentire l’ingresso di trattrici sempre più grandi (circa 3 m alla gronda) – la larghezza dei tunnel, sempre maggiore, è un multiplo della larghezza delle macchine operatrici (si pensi alle ortoraccoglitrici), per non avere tare improduttive, come si osserva nella foto in basso – l’impianto di irrigazione è realizzato con microaspersori sospesi a 2 m di altezza, come pure le tubazioni, in modo da non intralciare il movimento delle macchine

Foto M.V. Del Grosso

Macchine raccoglitrici che operano in una serra multitunnel. Si noti la facilità di accesso per le macchine e l’uso razionale degli spazi

Coltivazione di valerianella: si notino le reti ombreggianti appoggiate sul film plastico

235


coltivazione di bagnatura della vegetazione, è un fattore limitante per tutte le specie da foglia da taglio, che diventano suscettibili di attacco fungino: poche ore di bagnatura del fogliame bastano per vedere segni di peronospora, moria delle piantine, gamba nera, marciumi basali e del colletto e altre malattie che provocano danni sempre molto consistenti, soprattutto nei casi in cui non sono prevedibili ampie successioni interannuali. Per questo si stanno estendendo ricerche finalizzate all’individuazione di tecniche di coltivazione razionali anche nel fuori suolo, attraverso le quali si potranno meglio programmare i rapidi cicli produttivi delle baby leaf.

Gestione del clima in serra

• Gestione dell’umidità relativa (UR):

con l’apertura delle serre è possibile, entro certi limiti e in presenza di vento, limitare l’eccesso di UR; specialmente dopo le irrigazioni è necessario fare asciugare la coltura. Questa esigenza si scontra, nel periodo invernale, con quella di elevare la temperatura nella serra

Tipo di terreno e lavorazioni I terreni da destinarsi alla coltivazione di questa tipologia di ortaggi, considerati la rapidità e il numero di cicli produttivi annuali, devono essere facilmente lavorabili e presentare un buona capacità di drenaggio; per questo, un’eccessiva presenza di scheletro è di ostacolo, come pure un’alta percentuale di argilla o di limo. Di fatto una tessitura tendente al sabbioso è preferita, proprio per la maggiore facilità nell’esecuzione delle lavorazioni. Nella maggior parte dei casi la coltivazione ha inizio con la semina diretta; ne deriva che è indispensabile procedere a un’ottima preparazione del letto di semina. Generalmente, nei terreni franco-argillosi si ricorre a una vangatura profonda 0,30-0,35 m, eseguita con un certo anticipo sulla data della semina o del trapianto, soprattutto quando si devono interrare eventuali residui della coltura precedente e/o ammendanti. Seguiranno lavorazioni per amminutare le zolle, di solito con fresatrice e quindi con baulatrice

• Protezione dalle brinate/gelate:

mediante impianto anti-brina oppure coprendo la coltura con TNT

• Raffrescamento nel periodo estivo:

avviene mediante imbiancamento del film plastico o con la sovrapposizione di reti ombreggianti, queste ultime molto usate per valerianella e spinacino

Rucola selvatica: coltura ottenuta da trapianto

Foto C. Chiantese

236


tecnica colturale IV gamma interrasassi, la quale forma delle prose di larghezza variabile da 1 a 2 m sulle quali può essere praticata la semina o, nel caso della rucola selvatica allevata “a mazzetti”, anche il trapianto. Le prose dovranno comunque avere una larghezza compatibile con le esigenze delle macchine operatrici (seminatrici e, ancor più, raccoglitrici) e risulta sempre molto importante livellarne la superficie per avere maggiori garanzie sull’uniformità della profondità di semina. Nella pratica, la formazione della prosa avviene più spesso all’atto della semina, con il passaggio della trattrice sul terreno finemente lavorato e livellato. Dopo il ripetersi di numerosi cicli colturali si va incontro frequentemente a un eccessivo compattamento del terreno, nel qual caso è utile intervenire con una ripuntatura abbastanza profonda da rompere la suola di lavorazione, in modo da ripristinare la capacità di sgrondo delle acque in eccesso ed evitare l’asfissia degli apparati radicali. È consigliabile non interrare i residui freschi della coltura precedente, che dovranno essere asportati (con trincia-caricatrici) oppure disseccati (per es. con pirodiserbo), soprattutto quando è elevato il potenziale di inoculo di patogeni. Spesso, nelle aziende specializzate nella produzione di questi ortaggi, si osserva un rapido susseguirsi di cicli colturali, e molte volte viene ripetuta la stessa coltura sulla stessa superficie (monosuccessione): questo a lungo termine porta a un aumento di patogeni e parassiti e, più in generale, al declino della produttività, dovuto a un complesso di fenomeni riconducibili alla “stanchezza del terreno”. Pertanto è sempre consigliabile la pratica periodica del sovescio, abbinato o meno alla solarizzazione, cercando pe-

Foto R. Angelini

Pirodiserbo in presemina. La stessa attrezzatura è utilizzabile per disseccare i residui colturali

237


coltivazione raltro, dove l’ordinamento colturale lo consenta, di attuare una rotazione con altre tipologie di ortaggi. È altresì importante considerare che alcune specie, come la rucola, possono avere effetti allelopatici su piante appartenenti alla famiglia delle Leguminose, Apiacee, Cucurbitacee e Solanacee, soprattutto laddove non venga operata una corretta gestione dei residui colturali.

Foto R. Angelini

Semina e densità colturale Generalmente la semina diretta è la tecnica maggiormente usata per gli ortaggi da foglia da taglio. La densità colturale varia a seconda della specie coltivata e del periodo di coltivazione: per esempio per la rucola si parte da un minimo di 1800 piante per metro quadrato (pari a circa 5 kg/ha di seme) nel periodo invernale, fino ad arrivare a superare le 2800 in estate (pari a 8 kg/ha). Densità colturale, clima e irrigazioni sono i parametri più importanti per una buona riuscita della coltura. Infatti, se è vero che una densità colturale eccessivamente bassa comporta una diminuzione della resa e rende difficoltosa la raccolta meccanica (la fittezza fa sì che le foglie si mantengano erette), è altrettanto vero che con densità troppo elevate si ottengono foglie di colore chiaro, allungate e molto tenere, inadatte a essere manipolate e conservate. Inoltre le colture molto fitte sono particolarmente esposte ad attacchi di patogeni fungini durante la coltivazione e all’aumento del contenuto in nitrati per carenza di luce perché di fatto le foglie si ombreggiano tra loro, e in tali condizioni viene ridotta l’attività della nitrato reduttasi che, come noto, è foto-dipendente. La quantità di seme per unità di superficie dovrà essere calcolata tenendo conto del peso e della germinabilità reale del seme e, per specie soggette a foto-termodormienza, come il lattughino, nel

Batavia rossa (lattughino da taglio)

Principali parametri riguardanti la semina Seme g/m–2

Profondità di semina (mm)

Germinabilità minima commerciale (%)

Temperatura ottimale di germinazione (°C)

1500-2000

10

8-10

70

25

Cicoria

2500-3000

6-8

5-7

65

27

Lattuga

2500-3000

2-5

5-7

75

20

5-7

85

27

3-5

80-85

27

Densità colturale (piante m–2)

Bietola

Specie

Rucola coltivata (Eruca vesicaria) - Nord Italia

3000-3500

6-7

Rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia) estate

2500-2800

0,7-0,8

Rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia) inverno

1800-2200

0,5-0,6

Spinacio

800-1100

12-14

8-10

75

21

Valerianella (seme piccolo)

1800-2200

2-3

5-7

65

15-18

Valerianella (seme grosso)

2500-3000

4-5

8-10

65

15-18

238


tecnica colturale IV gamma periodo estivo si dovrà aumentare la quantità di seme. Nella tabella di riferimento sono indicati i principali fattori da considerare per pianificare una semina. La semina viene realizzata con seminatrici meccaniche o pneumatiche, che garantiscono una distribuzione continua del seme lungo la fila. Le file sono generalmente distanti da 50 a 100 mm in funzione della specie. Le seminatrici, disponibili di varia larghezza, semoventi o portate, generalmente si scelgono della stessa larghezza delle ortoraccoglitrici, per ottimizzare il lavoro delle macchine e per non lasciare tare improduttive. La profondità di semina è massima (8-10 mm) per i semi più grossi, come nel caso dello spinacio, i cui semi (o meglio, acheni) hanno un peso medio di 10-17 g per 1000 semi, mentre è minima per la rucola selvatica (3-5 mm) che ha semi molto piccoli (1000 semi pesano solo 0,28-0,30 g). Per la valerianella, invece, il seme viene lasciato in superficie e poi ricoperto con uno strato di sabbia tramite appositi sabbiatori. In alcuni casi, specialmente nel Sud Italia, la rucola selvatica viene seminata a postarelle, depositando 25-30 semi con distanze di 0,10-0,12 m sulla fila e di 0,15-0,20 m tra le file (questo sesto di impianto prevede la raccolta a mazzetti di 40-60 g). Un sesto d’impianto analogo può essere ottenuto, anziché da semina diretta, anche partendo da piantine, ottenute in cubetti di torba pressati da 40 × 40 × 40 mm con 8-20 semi per cubetto. Le piantine si trapiantano allo stadio di 3 foglie vere con sesti da 0,20 × 0,10 a 0,20 × 0,15 m (50-35 cubetti/m2) su terreno nudo o

Importanza della gestione agronomica

• Anche per le baby leaf, come per tutti

gli ortaggi, è fondamentale una corretta gestione agronomica; i principali punti critici sono: – adottare fittezze non troppo elevate che, soprattutto per le semine autunnali di rucola, portano a un auto-ombreggiamento della coltura, con aumento dei nitrati e produzione di foglie chiare e tenere. Inoltre aumenta il rischio di malattie fungine perché in una coltura molto fitta le foglie rimangono bagnate più a lungo – preferire varietà con resistenze e/o tolleranze ai patogeni – gestire oculatamente i volumi e i turni irrigui: irrigare sempre al mattino in modo che la coltura possa asciugarsi riduce il rischio di attacchi fungini; la stessa regola vale anche per le applicazioni fogliari di agrofarmaci – asportare o disseccare i residui della coltura precedente prima di preparare il letto di semina – attuare rotazioni (dove possibile), sovesci, solarizzazione

Foto C. Chiantese

Rucola selvatica raccolta a mazzetti

239


coltivazione su pacciamatura forata (nel caso di coltura pacciamata l’irrigazione avviene con manichetta forata o ala gocciolante, quindi senza bagnare le foglie). Dopo la semina, per ottenere una germinazione uniforme, è possibile utilizzare una copertura di tessuto non tessuto (TNT), del peso di 17 g/m2, il quale viene lasciato a terra da 1-2 giorni (in estate) a 3-5 giorni (nei periodi freddi), comunque fino a completa emergenza della coltura. Il TNT può essere usato in inverno, anche in postemergenza, per difendere la coltura da gelate e/o accelerare il ciclo colturale, soprattutto su rucola selvatica. Raccolta e altre operazioni colturali La raccolta consiste nel recidere, con una lama, le giovani foglie (nel caso della valeriana si recide al fittone), destinate a essere consumate fresche, dopo essere state lavate, imbustate e aver raggiunto il banco frigo. Da questo quadro emerge che la raccolta non costituisce il termine del processo produttivo, ma anzi è la fase iniziale del percorso, che deve consentire a un prodotto tenero e facilmente deperibile di mantenere il più possibile inalterate la freschezza, le qualità estetiche e organolettiche. Le operazioni di raccolta dovranno quindi rispettare il più possibile il prodotto che, essendo caratterizzato da tessuti giovani e quindi molto teneri, può riportare ferite e schiacciamenti, in seguito ai quali si innescano rapidi processi di ossidazione. Nel periodo estivo, per ridurre il rischio di una rapida disidratazione dei tessuti, è di fondamentale importanza operare nelle prime ore del mattino e mantenere la

Raccolta manuale

Ortoraccoglitrici

Particolare della lama a nastro Rucola ricoperta con TNT per proteggere la coltura dalle gelate

240


tecnica colturale IV gamma catena del freddo utilizzando camion refrigerati per il trasporto dal campo agli stabilimenti di lavorazione. Sempre per non maltrattare il prodotto vengono adoperate lame molto affilate, in grado di eseguire un taglio netto, che deve interessare il picciolo. La raccolta può avvenire manualmente, tramite falcioni opportunamente modificati (nel caso della rucola a mazzetti, con semplici coltelli), oppure attraverso macchine semoventi con testate provviste di lama-nastro rotativa e di un tappeto, sul quale cadono le foglie appena recise per essere trasportate sul pianale della macchina, dove vengono raccolte in apposite casse di plastica. In queste macchine, sempre più complesse, è possibile regolare la velocità dei singoli componenti (avanzamento, lama, tappeto) e sono disponibili diversi accessori, come per esempio il tappeto scuotitore, che funziona come un vaglio, separando dal prodotto i residui di terra e le foglie (o parti di esse) più piccole delle sue maglie (questo dispositivo è spesso usato per allontanare le foglie cotiledonari dello spinacino). La raccolta generalmente avviene quando le prime 3-6 foglie vere sono quasi completamente accresciute, ma il parametro principale è la lunghezza che deve avere la foglia per poter essere commercializzata. Con lattughino, spinacino e bietole a foglia si ottiene perlopiù un solo raccolto per ogni semina, mentre più raramente si procede a un secondo raccolto sfruttando la capacità di ricaccio della coltura, perché sui secondi tagli è più difficile mantenere gli standard di misura delle foglie.

Lattughino biondo e rosso pronti per la raccolta Foto C. Chiantese

Spinacino a foglia liscia Foto C. Chiantese

Bietole a foglia Accessori delle ortoraccoglitrici: il tappeto scuotitore

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coltivazione Fa eccezione la rucola, in particolare quella selvatica, per la quale i tagli successivi al primo sono maggiormente apprezzati sul mercato perché presentano foglie con margine più inciso e aroma più intenso. Per questa coltura, infatti, vengono realizzati 4-5 tagli nel periodo autunno-vernino, mentre solitamente non si realizzano più di 2 tagli nel periodo estivo quando, a causa del fotoperiodo lungo, si ha una rapida differenziazione degli steli fiorali, che rendono il prodotto non commercializzabile. Sempre per la rucola, al momento della raccolta le foglie hanno una lunghezza di almeno 12-15 cm, e si opera un taglio a circa 5 cm dal suolo, così da non recidere il germoglio necessario per la formazione della rosetta fogliare per la raccolta successiva. In questo modo si ottengono foglie in linea con lo standard generalmente richiesto di 7-11 cm. Le operazioni colturali sono sempre più meccanizzate e ridotte al minimo; la mondatura manuale viene effettuata raramente in pre-raccolta (per es. al fine di eliminare gli scapi fiorali nella rucola) e in post-raccolta si esegue solo per le colture da cui si devono ottenere ulteriori sfalci, come ancora nel caso della rucola, dove si vanno ad asportare le eventuali foglie (o parti di esse) rimaste a terra o sui monconi della coltura. Infatti questo materiale vegetale, se non rimosso, diviene marcescente e fonte di inoculo per gli agenti causali del marciume al colletto. Questa mondatura viene fatta utilizzando semplici rastrelli oppure macchine con lama-nastro rotativa dotate di aspiratore, usate per livellare l’altezza di taglio, capaci di aspirare e caricare i residui colturali che vengono poi scaricati fuori dalla serra. I cicli colturali delle varie specie da taglio hanno durata differente in funzione del periodo e della latitudine della zona di coltivazio-

Foto C. Chiantese

Le più diffuse tipologie di bietola a foglia: la Bull’s Blood (a sinistra) e la Red Chard (a destra) Foto M.V. Del Grosso

Coltivazione di valerianella: parte del prodotto è stato raccolto e si può vedere lo strato di sabbia sul terreno

Mondatura con rastrello Rucola selvatica di quarto taglio

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tecnica colturale IV gamma Durata dei cicli colturali e rese orientative delle principali baby leaf

Bietola

Durata del ciclo colturale (giorni)

Italia

Specie

primavera

estate

autunno

inverno

Nord

50-35

25-20

30-50

70-90

Tagli n. 2-3

Rese (kg m–2) primo taglio

successivi

2-2,2

1,5-2

Cicoria

Nord

60-30

25-18

30-40

70-80

1

1-1,5

Lattuga

Nord

50-20

25-18

25-40

60-70

1

0,8-1,2

Rucola coltivata (Eruca vesicaria)

Nord

60-30

25-18

25-35

40-70

2-4

0,8-1,2

0,5-1

Rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia)

Nord

60-40

30-20

25-40

50-80

2-4

0,8-1,2

0,8-1,2

Spinacio

Nord

45-25

25-18

30-50

60-80

1-2

1,5-1,8

1,2-1,5

Valerianella

Nord

75-40

35-25

40-60

70-90

1

0,7-1

Bietola

Sud

30-20

20-15

20-40

40-50

1-2

0,8-1,2

1,2-1,5

Cicoria

Sud

30-20

20-15

25-35

30-40

1

1-1,2

Lattuga

Sud

40-20

25-20

30-40

50-60

1

0,7-1,2

Rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia)

Sud

30-25

20-15

25-35

35-50

3-5

0,8-1

0,5-0,8 0,8-1,2

Spinacio

Sud

25-20

20-15

20-40

40-50

1-2

1,2-1,5

Valerianella

Sud

50-30

30-20

30-40

50-70

1

0,5-1

ne. In generale si osserva che al Nord queste colture si realizzano quasi esclusivamente tra la primavera e l’autunno, mentre al Sud, e in particolare nella zona della Piana del Sele, si coltiva durante tutto l’anno e assume grande importanza economica la produzione invernale. Nella tabella in alto sono indicate lunghezza del ciclo e rese (dati indicativi).

Rucola prima e dopo la mondatura; si noti la quantità di materiale allontanato dalle piante

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le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Coltivazione nel Lazio Andrea Mazzucato, Gian Piero Soressi, Tiziano Biancari

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Coltivazione nel Lazio Foto F. Abbondanza

Cenni storici L’utilizzo e la coltivazione delle “insalate”, intese come ortaggi da foglia consumati prevalentemente crudi, hanno origini remote. Note agli antichi Egizi e Persiani già intorno al 4500 a.C., come dimostrano anche raffigurazioni tombali, con l’avvento delle civiltà greca ed etrusco-romana diventano di largo consumo nel bacino del Mediterraneo. I Romani usano mangiarle crude, condite con olio di oliva e aceto. In quel periodo, secondo la citazione di Columella nel De re rustica, si riconoscono ben quattro tipologie di lattuga: la Ceciliana, a foglia riccia, la Cappadocia, a foglia liscia e spessa, la Betica bianca, riccia, e quella di Cipro, le cui foglie presentano macchie rosse. Nel Settecento anche nel Lazio si moltiplicano i tipi e le varietà, tra le quali primeggia sempre la Romana, che persiste fino ai nostri giorni. Per quanto riguarda il “paesaggio”, inteso come posizione spaziale di queste colture nel territorio laziale, possiamo farci un’idea della sua evoluzione immaginando ripetute riprese aeree dall’epoca etrusco-romana a oggi. Avremmo iniziato rilevando le “specifiche macchie” nei pressi delle dodici principali città etrusche (lucumonie) passando via via a una fascia più estesa di intensa coltivazione intorno a Roma, ormai una megalopoli, con puntini sparsi qua e là, che rappresentano i primi orti familiari. Nel Medioevo, pur permanendo relativamente estese aree di coltivazione nei pressi delle città più popolose, ne sarebbero apparse altre, seppure di dimensioni ridotte, in corrispondenza dei numerosi monasteri e abbazie. Successivamente, dal Settecento in poi, di Foto F. Abbondanza

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coltivazione nel Lazio fronte all’incremento dei punti verdi relativi agli orti familiari, si sarebbero ridotte le già piccole macchie dei monasteri e sarebbe aumentata l’estensione delle stesse nelle aree extraurbane, progressivamente più lontane dal centro, coltivate a lattughe, indivia e radicchio. Dalla seconda metà del secolo scorso fino ai giorni nostri avremmo rilevato aree sempre più estese concentrate nella provincia di Latina e Roma, con Frosinone in terza posizione, località dove si riscontrano anche apprestamenti protetti. Nelle altre due province (Viterbo e Rieti) la coltivazione delle insalate sarebbe apparsa molto ridotta. Nella regione Lazio si possono riconoscere almeno tre estesi pae­saggi con caratteristiche peculiari, nei quali si inserisce un elevato numero di colture, tra cui quelle orticole che comprendono le insalate. Il paesaggio della Tuscia, caratterizzato da necropoli, selve, gole, dirupi e ripiani tufacei, permette ancora oggi di scorgere i segni di un’organizzazione territoriale antica che ebbe negli Etruschi i primi artefici di un paesaggio produttivo fondato sulla bonifica, sulla regolazione dei bacini lacustri, sulla tenuta dei suoli argillosi, sullo sviluppo delle prime colonie agricole. Roma non sarebbe stata Roma senza gli Etruschi, dai quali ha ricevuto molto, non solo per arte e architettura, ma soprattutto per l’agricoltura. Più a sud si manifesta il paesaggio della campagna romana, con le suggestive arcate degli acquedotti, le rovine di ville e monumenti sepolcrali, l’emergere di basolati stradali, il bucolico disporsi dei casali e delle vaste tenute della nobiltà romana, la bizzarria del gioco dei tufi nell’ariosità dei pini a ombrello. Infine, le pianure tirreniche della bonifica con piccole case basse e bianche che ripetono le sequenze dei lotti; paesaggio cui ap-

Foto F. Abbondanza

Foto F. Abbondanza

245


coltivazione partiene Latina, impronta urbana in un territorio eminentemente rurale, dove oggi spiccano e si alternano serre in legno e tunnel. È difficile immaginare questi paesaggi dell’Agro Pontino o della Maremma prima dei grandi interventi di bonifica, che costituiscono la più intensa e radicale trasformazione del paesaggio mai avvenuta in Italia. Essi riflettono sistemi diversi di organizzazione del territorio, nel quale non mancano colture promiscue con gli ulivi alternati spesso alle viti lasciando spazio tra le piante per colture erbacee.

Lattuga 3% 31% 66%

Statistiche produttive Attualmente nel Lazio circa il 7-8% della superficie complessiva coltivata a ortaggi è destinato alle insalate. Considerando le sole colture in serra, questi ortaggi da foglia ne rappresentano il 6-7%, con un trend in crescita rispetto al pieno campo. Lattuga Secondo i dati ISTAT, la superficie complessiva destinata alla coltura della lattuga è leggermente aumentata nell’ultimo decennio (da 2000 a 2500 ha circa) in quanto la coltivazione in serra è triplicata, compensando così la diminuzione di quella in campo. Parallelamente, la produzione in serra si è quadruplicata mentre quella in campo è diminuita, passando da 36.000 a 32.000 t. Se osserviamo la distribuzione dei dati di superficie nelle cinque province ne deduciamo che Latina e Roma primeggiano sempre con il 66 e il 31% rispettivamente, distaccando di molto le altre tre, soprattutto per la coltivazione in serra. Mentre Frosinone registra un incremento del 10% nell’ultimo decennio sia in campo

Lattuga in pieno campo 1% 5% 41% 53%

Foto R. Angelini

Lattuga in serra 1% 18%

81%

Roma

Frosinone

Latina

Viterbo e Rieti

Fonte: ISTAT

Superfici investite nel 2009

246


coltivazione nel Lazio sia in serra, Rieti e, soprattutto, Viterbo subiscono drastiche riduzioni in campo, essendo quasi inesistenti in serra. Andamento simile hanno le produzioni, che si riducono in pieno campo ma complessivamente quadruplicano in serra, dato il forte incremento verificatosi a Latina.

Lattuga 2% 18%

Superfici investite e produzioni di lattuga nel Lazio in totale, in pieno campo e in serra

ha (× 1000)

2

1

0

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

80 70 60 50 40 30 20 10 0

80%

t (× 1000)

Lattuga

3

Lattuga in pieno campo 4%1%

Lattuga in pieno campo

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Lattuga in serra

1,4

ha (× 1000)

1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Superficie

40 35 30 25 20 15 10 5 0

64%

t (× 1000)

1,8 1,6 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0

Lattuga in serra 8%

45 40 35 30 25 20 15 10 5 0

92% t (× 1000)

ha (× 1000)

31%

Roma

Frosinone

Latina

Viterbo e Rieti

Fonte: ISTAT

Produzione

Produzioni suddivise per provincia (2009)

Fonte: ISTAT

247


coltivazione Indivia I grafici a fianco mettono chiaramente in evidenza la diminuzione di superficie e produzione complessiva di indivia nel decennio 1999-2009, a fronte di un deciso e progressivo incremento della stessa coltura in serra nel quinquennio 2000-2005, raggiungendo una produzione di 1400 t. Esaminando l’andamento di superficie e produzione di pieno campo, che sono diminuite progressivamente nel decennio, si evidenziano due annate (2003 e 2005) non particolarmente favorevoli (infatti, all’incremento della superficie non corrisponde l’atteso incremento di produzione). Nella ripartizione di superficie per provincia troviamo che Latina e Roma, seppure in flessione nel decennio, mantengono una percentuale del 55 e 29% rispettivamente, mentre Frosinone passa dal 5 al 15%, Rieti rimane all’1% e Viterbo si azzera, verosimilmente per mancanza di dati statistici. Occorre comunque rilevare che in questa provincia nei numerosi e relativamente piccoli comuni sono molto frequenti gli orti familiari nei quali si coltivano sempre le insalate, ma che difficilmente vengono censiti. Per il pieno campo Latina detiene il 50% della superficie mentre Roma regredisce, con riferimento all’ultimo decennio, dal 40 al 33%. Interessante la situazione di Frosinone, che dal 4 passa al 16%, al contrario di Viterbo, che perde completamente la sua posizione iniziale (5%), mentre Rieti rimane all’1%. Interessante la superficie protetta, che dallo zero registrato nel 1999 un decennio dopo (2009) è passata all’88% a Latina, al 9% a Roma e al 3% a Frosinone, a indicare l’incremento del consumo di indivie nel periodo invernale.

Indivia 1% 15%

29%

55%

Indivia in pieno campo 1% 16% 33%

50%

Foto F. Abbondanza

Indivia in serra 3% 9%

88%

Roma

Frosinone

Latina

Rieti

Fonte: ISTAT

Superfici investite di indivia (2009)

248


coltivazione nel Lazio Le produzioni complessive di indivia ripartite per provincia seguono l’andamento delle superfici, come avviene anche quando si considera separatamente la produzione di pieno campo. Lo stesso dicasi delle produzioni in serra che evidenziano un trend in crescita parallelamente a quello delle superfici per Latina con Roma e Frosinone stabili.

Indivia 1% 14%

800 700 600 500 400 300 200 100 0

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Indivia in pieno campo

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Indivia in serra

70 60

ha

50 40 30 20 10 0

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Superficie

18 16 14 12 10 8 6 4 2 0

18 16 14 12 10 8 6 4 2 0

1,6 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0

58%

t (× 1000)

Indivia

Indivia in pieno campo 1% 16%

30%

53% t (× 1000)

800 700 600 500 400 300 200 100 0

27%

Indivia in serra 3% 7%

90% t (× 1000)

ha

ha

Superfici investite e produzioni di indivia nel Lazio in totale, in pieno campo e in serra

Roma

Frosinone

Latina

Rieti

Fonte: ISTAT

Produzione

Produzioni suddivise per provincia (2009)

Fonte: ISTAT

249


coltivazione Radicchio o cicoria Per la coltura del radicchio, la cui superficie è andata aumentando a discapito dell’indivia, si riscontrano produzioni in crescita in linea con le relative superfici coltivate. Anche per questa coltura il 2003 si è rivelata un’annata poco favorevole, come dimostra la piccola forbice del grafico con l’andamento delle superfici e delle produzioni. La ripartizione dei dati per provincia vede Roma più in crescita di Latina, rispettivamente con il 45 e il 49% del 2009, mentre per Viterbo mancano i dati 2006-2009; Rieti rimane pressoché stabile a fronte del balzo degli ultimi due anni (2008-2009) che caratterizza Frosinone. Relativamente alla produzione, si nota un buon progresso per Roma, che la raddoppia nell’ultimo decennio, mentre Latina rallenta la crescita; nel 2009, con una superficie coltivata superiore a quella di Roma (263 contro 240 ha), produce meno di questa (5,2 contro 5,5 kt). Superfici e produzioni risultano limitate e parecchio variabili a Rieti. Per Frosinone si ha un netto incremento di superficie e produzione nel 2008 e nel 2009, ma con rese unitarie inferiori a quelle di Roma e Latina (12 contro 23 e 20 t/ha rispettivamente).

Superficie cicoria 1% 5% 45%

Produzione cicoria 1% 3% 49%

47%

Roma

Frosinone

Latina

Rieti

Valeriana Questo ortaggio spontaneo nell’area mediterranea, che un tempo veniva raccolto allo stato selvatico per utilizzarne le foglie fresche in insalata, da sole o miste, ora viene coltivato sia in campo sia in serra per un totale, secondo i dati ISTAT, di 37 ha nel 2009. Poiché la coltura è fatta prevalentemente in serra o in tunnel, dove sono possibili fino a 8 cicli per anno, l’investimento complessivo per questa specie deve essere valutato intorno ai 400-500 ha/ anno. In provincia di Roma si è passati dai 7 ha del 1999 ai 24 ha

Fonte: ISTAT

Superfici investite e produzioni suddivise per provincia (2009)

ha

Superfici investite e produzioni di radicchio o cicoria nel Lazio in totale 600

12

500

10

400

8

300

6

200

4

100

2

0

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Superficie Fonte: ISTAT

250

Produzione

0

t (× 1000)

49%


coltivazione nel Lazio del 2009, con una produzione di 240 t. A Latina la coltura della valeriana è iniziata un po’ più tardi, ma ora su 13 ha si ottengono 195 t. Mentre negli anni ’60 in Italia si coltivavano quattro varietà di valeriana, oggi due sono le più diffuse: Dolcetta a cuore pieno e Verde a cuore pieno. La coltura della valeriana è in continua evoluzione anche perché, per i problemi creati dal Fusarium, alcuni produttori del Nord si sono spostati in aree laziali più idonee (Fondi e Terracina).

Superficie valeriana in serra

35% 65%

Orti familiari e agriturismo Dove non mancano mai le insalate sono gli orti familiari, di cui si registra la crescente diffusione soprattutto nelle periferie delle città e nei comuni di provincia, per l’aumento dei pensionati e la propensione verso un nuovo stile di vita e di alimentazione che privilegia ortaggi e frutta di stagione. Tra le coltivazioni su scala minore, un posto speciale spetta alle aziende agrituristiche, che nel Lazio trovano una collocazione ambientale e architetturale invidiabile. Anch’esse sono in aumento, comprese quelle che assicurano produzioni biologiche per l’autoconsumo, tra cui primeggiano insalate e pomodori. Nel 2009 le aziende agrituristiche nella regione Lazio erano 78, così ripartite per provincia: 29 a Roma, 23 a Viterbo, 7 a Latina, 11 a Frosinone e 8 a Rieti. Se diamo uno sguardo al numero di operatori che producono esclusivamente in biologico, osserviamo che nel Lazio ne operano 2553 su 40.462 in tutt’Italia (6%), in quinta posizione dopo Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata.

Produzione valeriana in serra

45%

Roma

Specie spontanee: cicoria selvatica e “misticanze” Seppure meno che in passato, ancora oggi nel Lazio vengono utilizzate come verdure da consumarsi crude o cotte molte “erbe selvatiche”, così chiamate perché crescono spontanee nei prati e

55%

Latina

Fonte: ISTAT

Superfici investite e produzioni suddivise per provincia (2009) Foto R. Angelini

Superfici investite e produzioni di valeriana in serra nel Lazio 500

40

400 300

20

t

ha

30

200

10 0

100 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Superficie

0

Produzione

Valeriana

Fonte: ISTAT

251


coltivazione nei pascoli senza bisogno di essere coltivate. Tra queste meritano una menzione speciale la diffusissima cicoria selvatica (Cichorium intybus) e la saporita “misticanza di campo”, composta da numerose erbe selvatiche da consumarsi all’agro (olio, sale e limone) o da aggiungere alle varie zuppe (tipica l’acquacotta di Viterbo) oppure “strascinate” in padella previa sobbollitura. “Misticanza” o “mesticanza” è un termine del dialetto laziale che significa verdura mista condita con olio, sale, pepe e aceto. È costituita da erbe raccolte nei prati e nei terreni incolti della campagna, che sono chiamate con nomi dialettali spesso differenti da paese a paese. Oltre alla cicoria di campo, vi si trovano il crespigno, detto anche lattuga pungente, il caccialepre, la cresta di gallo, il dente di leone, la pimpinella, la ruchetta, i raponzoli, la cipiccia (lattughetta o radichiello), la valerianella (dolcetta), la pápala (pianticella di papavero), gli strigoli, l’orecchio o schiena d’asino. Per rendere più fresca e variopinta questa misticanza si aggiunge anzitutto la rucola coltivata, oggi divenuta onnipresente, o quella spontanea, poi i germogli delle piante di fava, la cicoria coltivata e i suoi derivati come la riccetta, il radicchio e le puntarelle di catalogna.

Acquacotta

• A testimonianza del ruolo importante

svolto dalle “misticanze” nella cucina tradizionale del Lazio si riporta la poesia di Giuseppe Zena, poeta dialettale viterbese, tratta dal libro Ricette di vita. Giuseppe “Peppe” Zena, viterbese della frazione La Quercia, è stato falegname e anche ferroviere, ma la sua creatività lo ha portato, negli anni, a cimentarsi nella scultura, oltre a dipingere e scrivere poesie nel dialetto della sua terra natale. La sua vena poetica trae ispirazione dalla quotidianità, ma anche dalla natura, dalle antiche radici etrusche, dal Natale, dalla città di Viterbo; alcune gustose ricette locali non mancano di stimolare la sua voglia di descrivere il mondo che lo circonda, fatto di valori autentici e saggezza antica. Il titolo della sua raccolta di poesie è un invito a riflettere, a recuperare valori come la semplicità e la concretezza, attraverso i quali si può tentare di ritrovare il senso della vita, soffermandosi, guardandosi intorno, cercare di capire e, soprattutto, di sorridere

Tecnica colturale Le tecniche colturali impiegate per la produzione di insalate nel Lazio vengono descritte con riferimento ai comprensori di maggiore importanza per superfici investite e produzioni: il comprensorio di Maccarese-Fiumicino (Roma) e il comprensorio di SezzeFondi (Latina). Foto R. Angelini

• Tra gli ingredienti dell’acquacotta,

piatto povero della cucina viterbese, l’autore menziona la “cicorietta” e poi “strigole, spinace, pratarole e pastenache”, a testimoniare l’importanza delle insalate spontanee nelle ricette tradizionali segue

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coltivazione nel Lazio Comprensorio di Maccarese-Fiumicino Il comprensorio di Maccarese-Fiumicino, in virtù delle caratteristiche pedologiche dei suoi terreni, risulta particolarmente interessante per la coltivazione delle insalate (indivie, scarole, cicoria pan di zucchero, radicchio), soprattutto nel periodo primaverile. Caratteristica funzionale di questi areali sono infatti i terreni ricchi di sabbia (fino al 90%), di colore scuro, che tendono a scaldarsi molto e quindi consentono di anticipare i trapianti addirittura nei mesi invernali. La coltivazione viene svolta adottando tutte le precauzioni per ridurre al minimo l’anticipo della fioritura, problema principale delle colture che si svolgono in un periodo così particolare, caratterizzato da basse temperature e fotoperiodo crescente. Tra i principali accorgimenti adottati ricordiamo: – impiego di piantine allevate in serre riscaldate, in contenitori di polistirolo o, meglio ancora, in cubetti di torba pressata; – copertura della coltura con tessuto-non tessuto (TNT, tessuto di polipropilene), per ridurre gli stress da basse temperature. Questa pratica di fatto influenza molto il paesaggio dell’areale in quanto comporta la copertura di vaste superfici di terreno; – concimazioni equilibrate; – scelta di varietà adatte al periodo di coltivazione (per es. con resistenza alla prefioritura); – legatura dei cespi con elastici (nel caso delle indivie riccia e scarola) 4-5 giorni prima della raccolta, per favorire l’imbianchimento del cuore; – raccolta manuale o con macchine raccoglitrici monofila o multifila.

continua

“So’ passate ’n sacco d’anne ma ’l sapore de quel piatto nu’ lo posso più scordà. Ero fijo, sett’ott’anne, e ’l mi patre me portava ogni tanto a trovà ’l nonno, lui contento ce ’nvitava a magnà quello che c’era, e fra tutte quelle cose nun me posso più scordà acquacotta e baccalà. Vojo datte la ricetta de ’sto pasto profumato ’n po’ da tutte ricercato, ma che poche sanno fa’: La mentuccia e ’na patata, pommidore e cicorietta spicchie d’ajo e cipolletta e quant’altro troverai, loffe, strigole, spinace, pratarole e pastenache; tutto dentro la pignatta con ’n po’ d’acqua e ’n po’ de sale; poi se tu la voe speciale metti ’n ovo o ’l baccalà. Quann’è cotta la patata, giù ’sta broda profumata nel bacile sopra ’l pane e poe ojo a profusione. Me dirai poe se ho ragione, quanno tu rimangarae soddisfatto, a bocca aperta, specie se ’n te scordarae d’aggiuntacce ’l peparone”

Foto R. Angelini

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coltivazione Il periodo di trapianto nel comprensorio di Maccarese-Fiumicino va dal 20 gennaio alla fine di febbraio. La raccolta si colloca dal 10 aprile al 20 maggio circa. Tale epoca di raccolta, benché limitata, risulta estremamente remunerativa perché la produzione italiana in quel periodo è circoscritta a quest’area in virtù delle sue caratteristiche pedoclimatiche. Il prodotto raccolto è destinato in parte al mercato fresco, ma una fetta importante viene assorbita all’industria della quarta gamma. Le rese si aggirano intorno a 500 q/ha per le indivie, 300 per il radicchio e 700 per il pan di zucchero. Il prodotto raccolto sul campo viene disposto in bins di plastica e caricato su camion diretti verso le varie destinazioni di mercato. Mediamente negli ultimi anni il comprensorio di Maccarese ha visto investimenti di circa 15 ha per il radicchio tondo e lungo, 15 ha per il pan di zucchero e un centinaio di ettari per le indivie (riccia e scarola). Le varietà più usate nelle ultime campagne di coltivazione sono: – indivia riccia: Ascari, Maratoneta, Cigal; – indivia scarola: Natacha, Tarquinis, Kethel, Congo, Parmance; – pan di zucchero: Virtus, Jupiter, Uranus; – radicchio tondo: Leonardo, Indigo, Caspio; – radicchio lungo: Giove, Fiero, Granato.

Cespo di indivia riccia

Comprensorio di Sezze-Fondi Tale comprensorio presenta superfici più estese rispetto a quello di Maccarese-Fiumicino e una maggiore varietà di prodotto e di tipologia di coltivazione.

Copertura con tessuto non tessuto per favorire la germinazione della valerianella

Foto R. Angelini

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coltivazione nel Lazio Cicoria pan di zucchero (circa 130 ha), radicchio tondo (circa 280 ha) e indivie (riccia e scarola, circa 250 ha) sono coltivati esclusivamente in pieno campo nella zona di Sezze e Latina. Per queste specie la tecnica di coltivazione è la stessa adottata nel comprensorio di Maccarese-Fiumicino; la protezione con teli di TNT viene adottata solo per i trapianti di fine inverno. In genere sono possibili due cicli di coltivazione: uno con trapianto a febbraio-marzo e raccolta a maggio-giugno, l’altro con trapianto ad agosto-settembre e raccolta tra novembre e febbraio. La lattuga è coltivata ampiamente nelle sue tipologie romana, cappuccina e canasta. La produzione laziale di questa specie è concentrata principalmente nella provincia di Latina, con la distinzione dei due metodi di coltivazione, in pieno campo e in coltura protetta. La produzione di pieno campo è concentrata nel comune di Sezze, area particolarmente vocata per queste specie, date le sue caratteristiche pedoclimatiche. La superficie di pieno campo è ripartita in circa 230 ha per la romana, 200 per la cappuccina e 100 per la canasta. Il periodo di coltivazione vede i primi trapianti a febbraio e gli ultimi ad agosto; le rispettive raccolte spaziano da aprile a novembre. I trapianti di febbraio impiegano circa 60 giorni per raggiungere lo stadio di raccolta, mentre l’aumento del fotoperiodo e della temperatura nel periodo primaverile-estivo riducono tale ciclo a 35-40 giorni. Nei mesi prettamente invernali la produzione si sposta in serra, con trapianti che iniziano a settembre e durano fino a febbraio. Foto R. Angelini

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coltivazione Le raccolte vanno da novembre ad aprile. La superficie della coltivazione protetta è ripartita in circa 30 ha di romana (70% Fondi, 20% Sabaudia, 10% Nettuno), 30 ha di cappuccina (70% Sabaudia, 30% Fondi) e 10 ha di canasta (80% Fondi). Le varietà adottate sono numerose e il rinnovamento dei cataloghi è molto rapido, soprattutto per il problema della Bremia lactucae che, grazie alla sua elevata variabilità, ascrivibile a fenomeni di ricombinazione genetica e mutazioni spontanee, si è rivelata in grado di superare le nuove fonti di resistenza pochi anni dopo la loro introduzione. Le varietà più usate sono: per la romana, Legenda, Profeta, Sele, Volturno, Integral, Cassiopea e Paspartu; per la cappuccina, Sanacore, Menzana, Sintia, Penelope, Ballerina, Valentina, Baglin, Essenzia, Touareg, Paola, Colbert e Aguaverde. Le buone rese, garantite dalla perfetta adattabilità alle condizioni pedoclimatiche dell’Agro Pontino, e l’elevata possibilità di meccanizzazione sono alla base del recente successo ottenuto dalla valeriana in questa zona. La coltura può essere svolta nel periodo invernale in coltura protetta oppure nel periodo primaverile-estivo in pieno campo. Destinata in massima parte al mercato di quarta gamma, la tecnica colturale della valeriana (irrigazione e trattamenti) può essere modulata adeguatamente al fine di ottenere foglie della consistenza e qualità desiderata. Una peculiarità della coltivazione della valeriana è quella dell’utilizzo di teli ombreggianti per ridurre la luminosità nel periodo tardo primaverile-estivo. La coltivazione, che considerando più cicli riguarda circa 400 ha, avviene su aiuole

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Coltivazione di valeriana in serra nel comprensorio di Latina

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coltivazione nel Lazio baulate di circa 1,5 m, seminate con seminatrici pneumatiche. La raccolta, che può essere completamente meccanizzata, rappresenta uno dei punti di forza per la competitività e redditività della coltura. Varietà di valeriana molto utilizzate sono Trophi, Audace, Baron, Eurion e Accent.

Foto R. Angelini

Ricerca L’attività di ricerca pubblica sulle insalate nella regione Lazio è stata svolta principalmente presso l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e presso l’Università degli studi della Tuscia di Viterbo. Presso l’INRAN le ricerche hanno riguardato soprattutto aspetti qualitativi e organolettici in relazione alla lavorazione e alla conservazione del prodotto destinato alla quarta gamma. Presso l’Università di Viterbo le ricerche, svolte dal gruppo coordinato dal professor Giuseppe Colla, hanno riguardato la messa a punto di idonee soluzioni nutritive per l’allevamento di lattughe baby leaf in coltura idroponica e l’utilizzo di metodi di coltivazione di lattuga in “acquaponica”, ossia lo sfruttamento di sistemi colturali che abbinano l’idroponica all’acquacoltura permettendo il riciclo dei residui di allevamenti ittici nella concimazione dell’ortaggio a foglia. A livello privato, la regione Lazio ospita i centri di ricerca di due grandi realtà del mercato sementiero mondiale, Enza Zaden e Monsanto, nei quali si pratica il miglioramento genetico e lo screen­ing per diverse specie di ortaggi a foglia. Il Centro di ricerca della Divisione Vegetables di Monsanto, in provincia di Latina, è impegnato nel miglioramento genetico della lattuga. Sorto quasi trenta anni fa, nel 1981, come stazione di ricerca della Petoseed, il centro si dedica alla costituzione varietale in specie orticole, tra cui pomodoro (da mensa e da industria), peperone, melone, finocchio e zucchina. I programmi di miglioramento genetico delle lattughe, che si avvalgono di metodi convenzionali e avanzati, hanno portato alla costituzione di varietà di lattuga romana che hanno avuto discreta diffusione nel nostro Paese, quali per esempio Messapia e Ninfha. La fondazione di Enza Zaden Italia Research S.r.l. nel 2004 ha condotto alla costruzione di un centro di ricerca inaugurato nel giugno del 2006, nel comune di Tarquinia, in provincia di Viterbo. Il comprensorio di Tarquinia rappresenta una località molto importante per le attività di breeding e screening comparativo per tutto il bacino del Mediterraneo. Il centro si occupa prevalentemente di finocchio, radicchio e cavolfiore, con programmi di breeding dedicato, mentre per gli ortaggi a foglia in genere e per alcuni frutti quali melone e zucchina è in atto un’intensa attività di screening di primo e secondo livello.

Foto F. Abbondanza

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le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Parassiti animali Aldo Pollini

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coltivazione Parassiti animali Introduzione Nel generico gruppo delle “insalate” rientrano ortaggi da foglia appartenenti alla famiglia Compositae, rappresentati da lattughe, scarole, indivie e cicorie, mentre nel gruppo improprio di “lattughesimili” sono incluse la valerianella o dolcetta e la rucola, rispettivamente appartenenti alle famiglie Valerianaceae e Brassicaceae. Trattandosi di ortaggi da foglia, gli attacchi da parte di avversità del regno animale, a carico soprattutto della parte aerea, riescono a comprometterne in parte o del tutto il valore commerciale. Non da meno, o addirittura più penalizzanti, sono i danni su valerianella e rucola che, essendo destinate principalmente alle produzioni della “quarta gamma”, devono presentarsi perfettamente integre. Per le ridotte dimensioni delle loro foglie è praticamente impossibile effettuare operazioni di cernita volte all’eliminazione di quelle danneggiate. Le diverse tipologie di insalate e di lattughe-simili presentano un diverso grado di suscettibilità agli attacchi degli insetti, legato alle caratteristiche intrinseche varietali, all’ambiente nel quale sono coltivate e al periodo stagionale in cui avviene il loro ciclo vegetativo. Ai danni diretti arrecati dagli insetti, in alcuni ambienti e in alcuni periodi stagionali si associano quelli indiretti degli afidi che, con le loro punture, riescono a trasmettere virus in modo semipersistente o persistente. Non meno temibili sono i cicadellidi afferenti ai generi Aphrodes, Euscelidius ed Euscelis, che vivono in genere su piante erbacee infestanti presenti nelle vicinanze delle coltivazioni e che sfuggono anche ai più attenti controlli in quanto sono pre-

Principali parassiti animali delle insalate Insetti terricoli Afide ceroso delle radici Afidi flavescenti delle radici Epialidi Agrotidi Tipule Elateridi Maggiolino Grande maggiolino di san Giovanni Bacherozzo o zurrone Insetti della parte aerea Tripide occidentale Miridi Afide giallastro delle lattughe Afide verde delle lattughe Afide nero delle cicorie Afide verde del pesco Afide del ribes e delle insalate Afidi bruni delle cicorie Nottue fogliari Piralide defogliatrice Agromize degli orti Mosca minatrice sudamericana Mosca della cicoria Acari Ragnetto rosso comune o ragnetto bimaculato

Foto R. Angelini

Nematodi Nematodi galligeni Gasteropodi Chiocciole e limacce Mammiferi Arvicola del Savi

Coltivazione di insalate a pieno campo

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parassiti animali senti con individui isolati le cui forme adulte si intrattengono sulle piante per periodi brevi, ma più che sufficienti per trasmettere fitoplasmi (Mycoplasma-Like Organism, MLO). Questi cicadellidi, che svernano con adulti o con forme giovanili, negli ambienti ove il clima è mite sono attivi anche in inverno, riuscendo a trasmettere infezioni fitoplasmatiche alle colture in atto o a piante spontanee, le quali fungono da serbatoi infettivi per le successive coltivazioni primaverili. Considerate la brevità del ciclo di questi ortaggi, l’imprevedibilità e la rapidità degli attacchi di alcune specie di insetti, è necessario controllare costantemente le coltivazioni al fine di adottare tempestivi provvedimenti atti a evitare o a contenere i danni da esse arrecati.

Foto N. Calabrese

Insalate (lattughe, cicorie, indivie, scarole) Le specie di insetti che danneggiano le insalate appartengono ai più importanti ordini entomologici; alcune di esse attaccano l’apparato radicale mentre altre, più numerose, vivono sulla parte aerea. Insetti dannosi per l’apparato radicale Trattasi di specie che possono danneggiare l’apparato radicale determinando erosioni e causando la morte della pianta, oppure che si nutrono attraverso un’attività di suzione della linfa, nel qual caso rallentano lo sviluppo del cespo e ne inducono talvolta l’avvizzimento. Ai danni diretti si accompagnano talora quelli indiretti in quanto le lesioni compiute da insetti con apparato boccale masticatore

Coltivazioni in serra-tunnel per la produzione della quarta gamma

Foto R. Angelini

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coltivazione (larve di epialidi, nottue terricole, elateridi e melolontini) possono favorire l’insediamento di tracheofusariosi (Fusarium oxysporum f. sp. lactucae).

Danni provocati dagli insetti terricoli

Afide ceroso delle radici (Pemphigus bursarius) L’afide, appartenente alla famiglia Pemphigidae, compie solo una parte del suo ciclo su lattughe e cicorie in quanto svolge un ciclo dioico. L’ospite primario è rappresentato dai pioppi (soprattutto Populus nigra): nei piccioli delle foglie giovani la fondatrice compie punture che causano la formazione di una galla a spirale, all’interno della quale si insedia e partorisce per partenogenesi una discendenza di femmine attere (fondatrigenie). Le migranti alate, che abbandonano le galle nella seconda metà di maggio o in giugno, raggiungono le piante di lattuga, al cui colletto partoriscono una discendenza di attere che infestano le radici di lattughe, indivie e cicorie. In autunno, con il ritorno dell’afide sui pioppi, si conclude il ciclo annuale, ma alcuni individui possono permanere nel terreno, resistendo bene al freddo, per poi attaccare precocemente le radici delle insalate dei cicli di fine invernoinizio primavera. Maggiormente danneggiate dall’afide risultano essere le lattughe e le cicorie dei cicli di coltivazione del periodo compreso tra la tarda primavera e l’autunno, in quanto esposte alle colonizzazioni da parte delle femmine alate provenienti dai pioppi. Ancor più suscettibili sono le coltivazioni nelle cui vicinanze si trovano pioppi infestati. Attacchi sono possibili anche su piantine in fitocella quando si utilizzano substrati di coltivazione che sono stati stoccati senza cura all’esterno, soprattutto all’ombra di pioppi infestati dall’afide.

• Sottrazioni di linfa da parte degli afidi radicicoli

• Rallentamenti vegetativi e avvizzimento della parte aerea

• Erosioni radicali e al colletto,

troncamento del cespo al colletto con morte della pianta

• Insediamento di agenti tracheomicotici

attraverso le ferite causate dagli insetti con apparato buccale masticatore

Afide ceroso delle radici

• Svolge la prima parte del ciclo

sul pioppo (ospite primario) per poi migrare su lattughe e cicorie (ospiti secondari)

• Può riprodursi solo su lattughe

e cicorie attraverso generazioni partenogenetiche, svolgendo in tal modo un anolociclo

• Le sue colonie producono una

secrezione cerosa bianca e fioccosa Colonia di Pemphigus bursarius

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parassiti animali Afidi flavescenti delle radici (Protrama flavescens, Neotrama caudata, Trama troglodytes) Trattasi di afidi della famiglia Lachnidae che si moltiplicano ininterrottamente attraverso generazioni anolocicliche di forme attere sulle insalate e, nei periodi tra un ciclo di coltivazione e l’altro, su composite spontanee dei generi Sonchus, Cichorium, Taraxacum. Le colonie raggiungono la massima densità in piena estate e sono frequentate dalle formiche; queste ultime svolgono un’azione di vigilanza e protezione da predatori ad habitat terricolo e diffondono le infestazioni trasportando gli afidi da una pianta all’altra, traendo vantaggi nutritivi dalle loro liquide deiezioni zuccherine. Gli attacchi sono resi evidenti da stati di sofferenza dei cespi, più accentuati sulle insalate dei cicli estivi di coltivazione e nelle situazioni di carenza idrica. Epialidi (Hepialus aemilianus, Hepialus humuli, Korscheltellus lupulinus) Le infestazioni sono occasionali e riguardano soprattutto le coltivazioni di radicchio che vengono realizzate dopo la rottura di prati, in quanto gli epialidi trovano condizioni favorevoli di sviluppo nei terreni non sottoposti a lavorazioni per periodi più o meno lunghi. Hepialus humuli è localmente presente nella parte più settentrionale della Penisola, ove per il completamento di una generazione vengono attraversati due inverni e i voli degli adulti avvengono in giugno, mentre per H. aemilianus il ciclo si completa in un anno, con voli degli adulti nel periodo luglio-settembre. Korscheltellus lupulinus è più comune in quanto, essendo caratterizzato da una maggiore polifagia, è in grado di attaccare anche

Colonia di Trama troglodytes

Epialidi

• Sono lepidotteri primitivi • Hanno corte antenne • Sono omoneuri, nel senso che

il decorso delle nervature è simile nelle due paia di ali

• Gli adulti hanno un apparato buccale primitivo con palpi mascellari minuti o assenti

• Le larve attraversano in genere 12 stadi di sviluppo

• Al minimo allarme la larva degli epialidi scende rapidamente nel terreno

Forma attera di Trama troglodytes

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coltivazione diverse altre colture (per es. patata, sedano, pisello, aglio, cereali). Il volo degli adulti avviene da aprile a giugno e le larve, dopo aver svernato, completano lo sviluppo nel mese di aprile dell’anno successivo. Le larve degli epialidi vivono isolate, all’interno di una galleria scavata nel terreno, che risale verso l’alto a ridosso della radice principale, a spese della quale compiono erosioni, causando l’avvizzimento e la morte del cespo d’insalata. Il loro ritrovamento in prossimità dei cespi danneggiati è reso difficoltoso dalla loro abitudine di approfondirsi nel terreno, all’interno della loro galleria, non appena avvertono il minimo allarme. Agrotidi (Agrotis ipsilon, Agrotis segetum) Agrotis ipsilon ha adulti le cui ali anteriori presentano essenzialmente una macchia a forma di Y posta a un terzo dalla radice, una piccola tacca nera cuneiforme posizionata all’altezza del terzo distale e altre tre tacche nere a punta di freccia poste nella parte distale. Le larve, color grigio piombo, sono lunghe a maturità 40-50 mm, presentano una lucente microscultura granulosa e su ciascun segmento addominale sono visibili quattro piccole macchie disposte a trapezio, con quelle della coppia anteriore molto più piccole di quelle posteriori. La specie è caratterizzata da due principali periodi di volo: uno in giugno e l’altro tra la fine di luglio e la metà di agosto con un prolungamento fino a settembre-ottobre. Tuttavia, almeno negli ambienti meridionali, individui isolati possono essere riscontrati già dalla fine di febbraio o in marzo e in novembre-dicembre. I voli nell’arco di un anno sono complicati da quelli di popolazioni mi-

Adulto di Hepialus aemilianus

Attacco larvale di Hepialus spp. Attacco larvale di Korscheltellus lupulinus

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parassiti animali gratorie, che compiono voli primaverili provenienti dai territori posti a sud-est del Mediterraneo e diretti verso il centro Europa e altri autunnali di ritorno, che si aggiungono a quelli delle popolazioni stanziali. Lo svernamento avviene con larve di diverse età, con uova nel caso di ovodeposizioni tardive, con crisalidi delle popolazioni autoctone e perfino con qualche adulto. Tutte le suddette situazioni complicano ulteriormente il ciclo annuale della nottua. Agrotis segetum ha le ali anteriori interessate da macchie reniformi, ocellari e claviformi bordate di bruno. Le larve sono apparentemente simili a quelle di A. ipsilon, ma il tegumento è liscio con una piatta microscultura poligonale e su ogni segmento le macchie anteriori sono solo un terzo più piccole della coppia posteriore. Questa nottua ha un lungo periodo di volo, da marzo-aprile a tutto ottobre e oltre, con presenze importanti da aprile-maggio a giugno e voli più abbondanti in luglio-agosto, destinati a prolungarsi fino agli ultimi giorni di settembre o all’inizio di ottobre. L’inverno è trascorso da larve mature, da quelle immature derivanti da ovodeposizioni tardive e, meno frequentemente, da crisalidi. Per l’eterogeneità degli stadi svernanti, nel corso della stagione possono essere presenti tutti gli stadi di sviluppo del lepidottero. Le due nottue depongono le uova, isolate o in piccoli gruppi, sulle foglie che toccano il terreno, talora sulla vegetazione verde o disseccata di piante spontanee e addirittura sul terreno umido e recentemente lavorato. La fertilità media varia dalle 200 a un migliaio di uova per A. segetum e fino a 2500 per A. ipsilon. Le larve vivono, fino alla terza o quarta età, sulla parte aerea alimentandosi durante le ore diurne; in seguito divengono lucifughe e si interrano per poi compiere nottetempo erosioni al colletto delle piante. Raggiunta la

Agrotis ipsilon

• È nota come “nottua dei seminati” • Gli adulti hanno un’apertura d’ali di 40-50 mm

• Le femmine depongono fino a 2500 uova

• Il tegumento delle larve mature

presenta una lucida microcultura granulare

• Le larve dopo la terza o quarta età

divengono lucifughe e si interrano per danneggiare la parte sotterranea e il colletto

• Le larve raggiungono la maturità

attraversando 6-8 stadi di sviluppo

• L’incrisalidamento avviene nel terreno

Larva di Agrotis ipsilon Adulto di Agrotis ipsilon

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coltivazione maturità, attraversando 6-8 stadi per A. ipsilon e 6 per A. segetum, si incrisalidano nel terreno entro una cella i cui granelli terrosi sono tenuti insieme solo dalle secrezioni boccali prodotte dalla larva. I danni più frequenti sono quelli causati da A. segetum. Gravi possono essere le infestazioni di A. ipsilon che si ripetono ciclicamente ogni 8-10 anni, nella tarda primavera, nella parte orientale delle regioni centro-settentrionali; esse derivano da masse migratrici di adulti che, spostandosi dalle regioni poste a sud-est del Mediterraneo verso il centro Europa, sono costrette a interrompere il volo e a soffermarsi nei territori raggiunti in seguito all’incontro di fronti freddi.

Agrotis segetum

• È conosciuta come “nottua delle messi”

• Gli adulti hanno un’apertura d’ali di 35-40 mm

• L’attività di volo è notturna • La fertilità delle femmine varia da 200 a un migliaio di uova

Tipule (Tipula italica, Tipula oleracea) Gli adulti sono comunemente noti come “zanzaroni degli orti” in quanto, se si esclude la loro taglia considerevolmente maggiore (15-25 mm di lunghezza), sono dal volgo ritenute vagamente somiglianti alle comuni zanzare essendo caratterizzate da lunghe zampe e da ali strette e membranose. Le uova, di colore nero e fusiformi, sono deposte nel terreno, nel quale le femmine fanno penetrare l’estremità dell’addome. Le larve sono di colore grigio terra, apode e con processi caudali conici, la cui forma, grandezza e disposizione costituiscono elementi distintivi della specie. Per la presenza tra queste appendici carnose di due rotondi e vistosi spiracoli tracheali, la parte caudale vista frontalmente somiglia a una maschera. Tipula italica è diffusa con la sottospecie italica nella metà settentrionale della Penisola e localmente in Calabria, mentre in Sardegna è presente la sottospecie errans. Gli adulti volano tra la

• Le uova sono deposte sulle foglie più basse che toccano il suolo, talora sul terreno bagnato o recentemente lavorato

• Le larve sono color grigio piombo, con il corpo liscio e interessato da una piatta microscultura poligonale

• Le larve divengono lucifughe e terricole dopo la terza o quarta età

• La maturità larvale viene raggiunta dopo 6 stadi di sviluppo

• L’incrisalidamento avviene nel terreno

Adulto di Agrotis segetum Larva di Agrotis segetum

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parassiti animali metà di settembre e quella di novembre e le larve sono attive per gran parte dell’annata, riducendo l’attività solo durante i mesi più freddi. All’inizio della primavera le larve raggiungono la quarta e ultima età per poi rallentare sensibilmente il loro sviluppo durante la stagione estiva e impuparsi all’inizio di settembre. Tipula oleracea compie in genere due voli, uno primaverile e l’altro nel periodo autunnale, ma in alcuni ambienti gli adulti possono comparire solo in primavera o nel periodo autunnale. Ne consegue che la tipula può svolgere 2 generazioni all’anno oppure solo la generazione primaverile o quella autunnale. I danni delle tipule consistono in erosioni a carico della parte ipogea delle piante e delle foglie che toccano il terreno, rivelandosi più temibili nell’immediata fase di post-trapianto. Le infestazioni interessano le insalate dei cicli di coltivazione autunnali e primaverili, soprattutto quelli realizzati in successione al prato o all’erba medica.

Tipule

• Le femmine depongono uova fusiformi e di colore nero, che misurano 1 × 0,4 mm

• Le uova sono deposte nel terreno

umido, nel quale la femmina fa penetrare l’estremità dell’addome

• Le larve sono lisce, apode, color grigio piombo, lunghe fino a 35 mm

Elateridi (Agriotes spp.) Comprendono diverse specie, le più comuni delle quali sono rappresentate da Agriotes sordidus, A. litigiosus, A. brevis e A. lineatus, mentre meno comuni sono A. ustulatus, A. sputator, A. obscurus, Agripnus murinus ecc. La predominanza di una o più specie rispetto alle altre è legata all’area geografica e, ancor più, alla natura del terreno. Gli adulti di diverse specie hanno una livrea unicolore ferruginea o nero-bruna, mentre quelli di A. ustulatus presentano le ali di colore testaceo chiaro e il torace nero pece. La taglia varia dai 22-25 mm per le specie di maggiori dimensioni (per es. A. sputator) ai 6-8 mm per A. brevis.

Larve di Tipula spp.

Adulto di Tipula spp. Attacco larvale di Tipula spp.

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coltivazione Le uova sono deposte in piccoli gruppi negli strati superficiali dei terreni umidi e ricchi di vegetazione e ogni femmina riesce a deporne quasi un centinaio. Le larve sono cilindriche, allungate, con tegumento coriaceo, di colore giallastro. Per la loro somiglianza a pezzi di filo di ferro, sono conosciute come “ferretti”. Alcune specie, rappresentate da A. litigiosus e A. ustulatus, hanno adulti che compaiono dal mese di giugno a quello di settembre, con massime fuoriuscite in luglio. Questi vivono meno di un mese, terminando le ovodeposizioni entro un paio di settimane dalla loro fuoriuscita. Lo sviluppo embrionale si conclude in una quindicina di giorni e alla fine della stagione, in funzione del momento delle nascite, le larve hanno compiuto 2-4 mute, raggiungendo il terzoquinto stadio di sviluppo e una lunghezza di 5-7 mm. Durante l’inverno le larve si approfondiscono nel terreno per 30-40 cm per poi risalire verso gli strati superficiali all’inizio della primavera e continuare lo sviluppo fino all’autunno, epoca in cui raggiungono i 15 mm di lunghezza; in seguito si approfondiscono nuovamente fino a 70 cm per superare il secondo inverno. Nella tarda primavera del terzo anno le larve raggiungono la maturità dopo 12 età per poi compiere la metamorfosi e dare i nuovi adulti dopo gli stadi di prepupa e di pupa. Le altre specie (A. sordidus, A. brevis, A. obscurus e Agripnus murinus) hanno adulti che trascorrono l’inverno all’interno delle loro celle d’impupamento, per cui la fuoriuscita avviene all’inizio della primavera, con presenze massime riscontrabili durante il mese di aprile e destinate a esaurirsi alla fine di maggio. Le nascite larvali iniziano generalmente in maggio. In autunno le larve raggiungono circa il centimetro di lunghezza. Superato l’inverno approfondite nel terreno, senza entrare in diapausa, risalgono verso gli strati superficiali per poi procedere celermente nello sviluppo e raggiungono la maturità attraversando 8-10 età. Le infestazioni larvali degli elateridi sono spesso costituite da popolazioni disetanee, legate alla scalarità di comparsa degli adulti e, conseguentemente, a quella delle ovodeposizioni, nonché al sovrapporsi di nascite avvenute in anni diversi. Gli attacchi larvali su piante giovani ne causano la morte, riducendo conseguentemente la densità d’investimento; quelli su piante più sviluppate ne ritardano l’accrescimento. Le larve sono molto sensibili alle condizioni di umidità e di temperatura del terreno, per cui si approfondiscono nel terreno in estate per trovare maggiori livelli di umidità e per ripararsi dalle basse temperature in inverno. Considerate le frequenti irrigazioni cui sono sottoposte le coltivazioni delle insalate, le larve riescono a trovare continuamente condizioni ideali per permanere negli strati superficiali del terreno e compiere gli attacchi alla parte ipogea delle piante anche durante il periodo estivo. Solo le coltivazioni autunno-invernali sono meno attaccate in quanto le larve si approfondiscono nel terreno per trovare migliori condizioni di

Larva di Agriotes spp.

Adulti di Agriotes litigiosus

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parassiti animali temperatura. Maggiori rischi di danno si riscontrano negli appezzamenti che, avendo ospitato il prato o il medicaio, sono stati lavorati in autunno, nonché in quelli investiti con colture che hanno mantenuto coperto a lungo il terreno. Per accertare la presenza di larve negli appezzamenti destinati alla coltivazione delle insalate è possibile ricorrere a operazioni di monitoraggio attraverso l’impiego di vasetti-trappola, riempiti con semi di grano in germinazione mescolati con torba o con vermiculite e interrati, nei quali le larve si introducono essendo attratte dall’anidride carbonica prodotta dal seme in germinazione. Per appezzamenti di un ettaro sono indicative le catture realizzate con 3-4 vasetti-trappola e il rinvenimento di una larva per vasetto costituisce la soglia di rischio di danni per la coltura. Per il monitoraggio degli adulti sono invece disponibili le trappole Yatlor-Funnel innescate con specifici feromoni sessuali di sintesi, le cui catture possono essere indicative anche per i cicli di coltivazione dei due anni successivi. Maggiolino (Melolontha melolontha) È un coleottero scarabeide della sottofamiglia Melolonthinae i cui adulti volano in maggio. Essi raggiungono i boschi di latifoglie, nei quali si alimentano per raggiungere la maturità sessuale. Le femmine ritornano generalmente nei terreni ove sono nate per deporre mediamente 20-30 uova, dalle quali nascono le larve nei mesi di giugno e luglio. Dopo aver superato l’inverno al secondo stadio di sviluppo, le larve risalgono verso gli strati superficiali del terreno e crescono rapidamente per compiere una seconda muta e passare alla terza età. È appunto durante il secondo anno che le larve sono particolarmente voraci e distruttive. Superato il secondo inverno riprendono a nutrirsi nel terzo anno, ma la loro attività è più ridotta e cala progressivamente con l’approssimarsi della maturità, che viene raggiunta in giugno-luglio. A quest’epoca le larve mature compiono la metamorfosi per dare origine agli adulti in agosto, ma questi rimangono nelle loro celle pupali da cui fuoriescono solo nel mese di maggio del quarto anno. Le larve compiono erosioni sulla radice principale causando l’avvizzimento e la morte del cespo. Le infestazioni non sono comuni in quanto legate alla presenza di boschi ubicati nelle vicinanze e, soprattutto, alla realizzazione delle coltivazioni delle insalate su terreni investiti a prato negli ultimi due anni, nei quali è più probabile la presenza di larve.

Trappola artigianale per accertare la presenza delle larve nel terreno

Grande maggiolino di san Giovanni (Amphimallon solstitialis) Trattasi di un coleottero scarabeide della sottofamiglia Melolonthinae le cui larve hanno il raster ornato di 24-30 spine in doppia fila e la cui apertura anale presenta tre fessure disposte a stella. Gli adulti compaiono durante il mese di giugno, con maschi che compiono brevi voli nelle ore del tramonto, mentre le femmine si

Trappola Yatlor-Funnel

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coltivazione limitano a brevi spostamenti sulla superficie del terreno. Come negli altri melolontini, le uova sono deposte nel terreno in modo isolato, formando intorno a esse una piccola palla di terra. Le larve nascono in agosto-settembre e si nutrono a spese delle radici di diverse piante ospiti.

Maggiolino

• Il nome gli deriva dal fatto che gli adulti volano durante il mese di maggio

Bacherozzo o zurrone (Pentodon bidens punctatum) È un coleottero appartenente alla famiglia Dynastinae, i cui adulti sono color nero pece lucente e raggiungono i 20-25 mm di lunghezza. Le larve, lunghe 30-40 mm a completo sviluppo, hanno zampe ben sviluppate e adatte all’attività locomotoria, l’ultimo segmento antennale fornito sul lato superiore di un’ampia area sensoriale di forma ellittica-allungata, il dorso dell’ultimo segmento interessato da un’incisione semiellittica e il raster ventrale ornato di setole diffusamente distribuite. Gli adulti compaiono tra l’inizio della primavera e tutto il mese di giugno, prolungando talora la loro presenza in campo fino all’autunno. Gli accoppiamenti avvengono dopo un periodo di alimentazione di 5-12 giorni, necessario per il raggiungimento della maturità sessuale. Le uova (mediamente 20-30 unità per femmina) sono deposte, in gruppi di pochi elementi, nel terreno in prossimità delle piante ospiti. Le larve entrano subito in attività e superano l’inverno in diapausa. Riprendono l’attività nella successiva primavera per poi trascorrere un secondo inverno in diapausa a sviluppo ultimato, quindi compiono la metamorfosi entro una cella terrosa impastata con deiezioni larvali. Adulti e larve compiono erosioni che interessano il colletto o la radice principale, con conseguente avvizzimento e morte dei cespi.

• Gli adulti volano nei boschi di latifoglie per nutrirsi e raggiungere la maturità sessuale

• Le femmine ritornano nei terreni dai quali emersero per deporvi le uova

• Ciascuna femmina depone mediamente 20-30 uova

• Le larve delle diverse specie

di melolontini sono riconoscibili essenzialmente per la disposizione delle spine nella parte ventrale dell’ultimo segmento dell’addome

Larva di Amphimallon solstitialis Larve di melolontini

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parassiti animali Importanti infestazioni possono essere riscontrate nei terreni che hanno subito abbondanti letamazioni in quanto la sostanza organica costituisce un forte richiamo per le femmine ovideponenti. Bacherozzo o zurrone

Insetti della parte aerea Diverse sono le specie che contraggono rapporti con l’apparato fogliare, compiendo diverse tipologie di danno, rappresentate da erosioni, lesioni necrotiche a carico del lembo o della nervatura principale, mine, sottrazione di linfa attraverso un’attività di suzione. Temibili sono i danni indiretti arrecati dai fitomizi, consistenti nella trasmissione di fitovirus (per es. virus del mosaico della lattuga e virus del giallume occidentale della bietola) e fitoplasmi (MLO).

• È un pigro coleottero di colore nero che non vola, ma si sposta camminando nel terreno

• Gli attacchi avvengono soprattutto

nei terreni sottoposti ad abbondanti apporti di letame, in quanto la sostanza organica esercita un forte potere attrattivo verso le femmine ovideponenti

Tripide occidentale (Frankliniella occidentalis) Il tripide è una specie termofila, nel senso che trova condizioni favorevoli al suo sviluppo soprattutto nelle regioni centrali e meridionali, in particolare nella Piana del Fucino, ove la contiguità con coltivazioni di numerose altre colture orticole suscettibili (pomodoro, peperone, carciofo, fagiolino, sedano, bietola da foglie e da costa ecc.) assicura il susseguirsi pressoché ininterrotto di generazioni dalla tarda primavera all’inizio dell’autunno. La riproduzione può essere anfigonica oppure può avvenire per partenogenesi arrenotoca, nel qual caso dalle uova hanno origine solo maschi. La fertilità media si aggira intorno alle 40 uova, ma aumenta allorquando le femmine si sono alimentate su piante in fiore presenti nelle vicinanze delle coltivazioni delle insalate. Le uova sono inserite entro i tessuti delle varie piante ospiti. Lo sviluppo embrionale si conclude in 3 giorni a 26 °C e il tempo rad-

Pentodon bidens punctatum

Insetti epigei

• Compiono diverse tipologie di danno, rappresentate da sottrazione di linfa, punteggiature necrotiche, mine ed erosioni fogliari

• Provocano pure danni indiretti, consistenti nella trasmissione di fitovirus e fitoplasmi

Danni da Pentodon bidens punctatum

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coltivazione doppia con temperature di 15 °C. Il ciclo di sviluppo di una generazione è strettamente influenzato dalla temperatura ambientale: da 13-14 giorni con temperature intorno ai 25 °C si passa a 26-27 giorni con 18 °C e a 40 giorni con 15 °C. In un anno si susseguono in genere 5-7 generazioni e lo svernamento avviene nel terreno con individui in diapausa. Nonostante il tripide sia presente anche nelle regioni settentrionali, dove arreca danni ad altre piante ortive che si sviluppano nel periodo caldo dell’estate (per es. cetriolo, melanzana), alle fragole e ai frutti delle varietà di nettarine con colorazione rossa del pericarpo, gli attacchi sulle insalate sono più sporadici. Le numerose punture inflitte dal tripide causano la comparsa di lesioni necrotiche puntiformi che, soprattutto sulle lattughe pronte per la raccolta, diminuiscono il valore commerciale e compromettono la conservabilità degli ortaggi. Il tripide è alquanto temibile in quanto è vettore del virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro (Tomato Spotted Wilt Virus, TSWV), acquisito su piante infette, coltivate e spontanee, responsabile della comparsa di maculature fogliari clorotiche e necrotiche, accompagnate dal nanismo delle piante, con danni che interessano fino al 50% delle piante di lattuga e fino al 100% dei cespi di indivia. Sulle piante di cicoria, oltre a causare maculature clorotico-necrotiche, che dal lembo si estendono poi lungo le nervature, il suddetto virus causa uno sviluppo cespuglioso delle foglie centrali del cespo. Il tripide acquisisce il virus TSWV durante i primi due stadi di sviluppo neanidale, non nello stadio adulto, in quanto le particelle virali non riescono a superare l’epitelio dell’intestino medio e a raggiungere le ghiandole salivari.

Tripide occidentale

• È alquanto polifago, vivente su svariate ortive, piante ortive e infestanti

• Compie svariate generazioni all’anno, con cicli la cui durata è legata alle condizioni ambientali

• Oltre a causare danni diretti, è vettore di virus

Miridi (Lygus rugulipennis, Lygus pratensis) Le forme giovanili e gli adulti compiono punture che interessano soprattutto i tessuti della nervatura principale. Particolarmente suscettibili sono le lattughe delle tipologie romana e iceberg. Sulle prime le punture inferte nella parte superiore delle nervature causano lesioni necrotiche che, con l’accrescimento fogliare, portano alla comparsa di profonde solcature necrotiche che talora interessano gran parte della lunghezza della nervatura centrale. Sulle tipologie iceberg le lesioni interessano entrambi i lati della nervatura centrale delle foglie più esterne, ma in non pochi casi il danno riguarda spesso le foglie interne. Anche se il danno rimane limitato ai primi giri di foglie, l’operazione di monda comporta un aggravamento dei costi di mano d’opera e i cespi rischiano di non raggiungere il peso richiesto e i necessari requisiti commerciali. L’entità dei danni arrecati dai miridi raggiunge talora notevoli livelli e può essere addirittura coinvolta la totalità dei cespi se gli attacchi non vengono individuati per tempo. Colpite sono soprattutto le coltivazioni di fine estate-inizio autunno, periodo in cui i miridi presenti nell’ambiente sono più numerosi. Particolarmente danneggiate sono le coltivazioni nelle cui vicinanze sono presenti

Frankliniella occidentalis

Miridi

• Sono conosciuti come “camicette”

e hanno una taglia intorno ai 6-7 mm

• Gli adulti si spostano con rapidi e brevi voli

• Le uova sono deposte entro i tessuti delle nervature fogliari

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parassiti animali fossi e cavedagne con erbe spontanee, sulle quali gli insetti si sono sviluppati; in seguito al disseccamento della vegetazione spontanea o a sfalci i miridi si trasferiscono sulle lattughe. Gli insetti compiono di solito 2 generazioni all’anno e svernano con adulti riparati alla superficie del suolo, in mezzo alla vegetazione spontanea o ai suoi resti disseccati. Essi fuoriescono in genere nel mese di aprile, allorquando la temperatura supera i 10 °C, e in maggio depongono le uova, conficcandole nei tessuti della parte aerea delle numerose piante ospiti che visitano, in campo o, più frequentemente, su piante di Sonchus arvensis, S. oleraceus e altre specie congeneri. In piena estate l’afide attacca anche le infiorescenze delle colture montate a seme. Ai danni diretti, consistenti in rallentamenti vegetativi e increspamenti delle foglie del germoglio, si associano quelli indiretti connessi alla trasmissione del virus del giallume occidentale della bietola (Beet Western Yellow Virus, BWYV) e del virus del mosaico della lattuga (Lettuce Mosaic Virus, LMV).

Lygus pratensis

Afide verde della lattuga (Hyperomyzus lactucae) Questo fitomizo svolge un ciclo dioico, con ospite primario rappresentato da Ribes nigrum, sul quale sverna come uovo durevole. Gli ospiti secondari sono le piante di lattuga, Sonchus arvensis, S. oleraceus e Rhagadiulus stellatus, volgarmente conosciuto come radicchio stellato o lattugaccio. Negli ambienti con clima temperato riesce a sopravvivere sugli ospiti secondari, svolgendo in tal modo un anolociclo. Questa modalità di svernamento avviene anche nelle aree in cui l’ospite primario è assente.

Colonia di forme attere e alate di Acyrthosiphon lactucae

Forme alate e attere di Acyrthosiphon lactucae Lesioni necrotiche derivanti dalle punture dei miridi

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coltivazione Le colonie dell’afide infestano le foglie più esterne delle lattughe, causando deperimenti vegetativi e appassimenti fogliari. Come gli altri fitomizi è probabilmente vettore dell’LMV e del “giallume necrotico” (Lettuce Necrotic Yellow Virus, LNYV), virosi sporadicamente segnalata nelle coltivazioni di lattughe tipo romana e Great Iakes dell’Italia centro-meridionale. Afide nero delle cicorie (Aphis intybi) È un afide di colore nero che attacca la cicoria (Cichorium intybus) e l’indivia (Cichorium endivia), le cui colonie si localizzano sulla parte basale delle coste fogliari e, nelle piante che montano a seme, sugli scapi fiorali, formando manicotti di individui. Trattasi di una specie monoica che, svernando come uovo durevole, origina popolazioni iniziali dapprima modeste, ma destinate ad aumentare progressivamente fino a raggiungere densità massime nei mesi di giugno e luglio. Afide verde del pesco (Myzus persicae) È un fitomizo a comportamento dioico, il cui ospite primario è il pesco, sul quale all’inizio di ottobre depone le uova durevoli destinate a superare l’avversa stagione. In maggio-giugno le femmine alate abbandonano il pesco per formare, su insalate e altre svariate piante erbacee, coltivate e spontanee (ospiti secondari), colonie di esuli atteri e alati. In autunno, con la reimmigrazione sul pesco e la deposizione delle uova durevoli, si chiude il ciclo annuale dell’afide. In base al suddetto comportamento, le lattughe dei cicli estivi ed estivo-autunnali possono essere esposte a infestazioni, mentre quelle dei cicli primaverili e autunno-invernali riescono a sfuggire alle colonizzazioni da parte dell’afide. Negli ambienti con clima mite e sulle colture in ambiente protetto l’afide può permanere anche in inverno sulle lattughe, seppure con colonie ridotte e con attività fortemente rallentata. I danni che arreca sono connessi alla sottrazione di linfa dalle foglie, con conseguenti rallentamenti vegetativi; inoltre la presenza di afidi all’interno dei cespi delle varietà della tipologia “lattughe cappuccio” ne compromette il valore commerciale. Oltre ai danni diretti, l’afide è temibile in quanto vettore dei fitovirus BWYV, LMV e del giallume fitoplasmatico che colpisce il radicchio.

Cespo di cicoria infestato da Aphis intybi

Afide del ribes e delle insalate (Nasonovia ribis-nigri) Trattasi di una specie il cui ciclo completo (olociclo) si svolge sui Ribes spp. (R. grossularia, R. rubrum, R. nigrum), che costituiscono gli ospiti primari sui quali lo svernamento avviene allo stato di uovo durevole, e su ospiti secondari rappresentati da lattughe, cicorie e Composite spontanee (Lactuca serriola, Crepis spp., Hieracium spp., Lapsana communis, Picris hieracioides e P. echioides). Negli ambienti con clima mite riesce a sopravvivere

Colonia di Myzus persicae

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parassiti animali in inverno con isolati individui atteri e alati su lattughe e cicorie coltivate, nonché sulle Composite spontanee. Questa modalità di svernamento avviene evidentemente anche nelle aree di coltivazione ove mancano gli ospiti primari. Come altre specie afidiche, trasmette i virus BWYV e LMV. Grazie al miglioramento genetico sono ora disponibili varietà resistenti all’afide (per es. Panisse per le “lattughe a foglia di quercia bionda”, Eluarde per la tipologia “lattuga a foglia di quercia rossa”, Mercury per la “lattuga cappuccina”, Bengala per la tipologia “Parella rossa” ecc.). Afidi bruni delle cicorie (Uroleucon sonchi e U. cichorii) Sono afidi di colore bruno-rossastro con lunghi sifoni neri. Entrambe le specie sono a comportamento monoico e svernano con uova durevoli. Vivono abitualmente sulla cicoria (Cichorium intybus), più raramente sulle lattughe. Infestano anche diverse altre Composite spontanee, rappresentate soprattutto da Sonchus oleraceus e S. asper per Uroleucon sonchi e da altre Composite spontanee riferibili a diversi generi (Cirsium, Crepis, Hieracium, Lapsana, Leontodon, Picris ecc.). Le piante attaccate non sembra subiscano apprezzabili danni e, per quanto si conosce, i due fitomizi non risultano vettori di fitovirus.

Forma attera di Nasonovia ribis-nigri

Nottue fogliari (Mamestra brassicae, Lacanobia oleracea, Autographa gamma, Noctua pronuba, Trichoplusia ni, Helicoverpa armigera, Spodoptera exigua, Spodoptera littoralis ecc.). Diverse sono le specie di nottue che sono in grado di danneggiare l’apparato aereo delle insalate, ma qui appresso vengono prese

Nottue fogliari

• Le nottue appartengono alla famiglia

Noctuidae, la più numerosa dell’ordine dei Lepidotteri. Essa è rappresentata da oltre 25.000 specie mondiali, circa 1100 delle quali europee. Gran parte di esse ha le ali anteriori di colore bruno e presenta costumi notturni

• Le larve delle specie più comuni sono

pressoché completamente glabre e quelle di una medesima specie possono presentare una diversa colorazione

Colonia di Uroleucon sonchi su Sonchus spp.

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coltivazione in considerazione solo quelle di maggiore importanza mentre ne vengono trascurate altre che compaiono sporadicamente, perlopiù con individui isolati, e compiono danni di scarso interesse. La mamestra (Mamestra brassicae) è presente in tutte le aree di coltivazione delle insalate e attacca preferibilmente le varietà di lattuga cappuccio. Trattasi di una nottua polifaga che compie 2 generazioni all’anno, con voli dalla fine di aprile a tutto maggio, quindi dal mese di luglio a quello di ottobre, con massime presenze tra la seconda decade di settembre e la prima di ottobre. La nottua è tuttavia interessata da complessi fenomeni di diapausa delle crisalidi, indotta da diversi fattori interagenti (fotoperiodo, temperatura e umidità relativa, tipo e quantità di alimentazione), per cui le crisalidi della prima generazione possono subire un lungo periodo di diapausa, fino alla primavera successiva. Il ciclo può complicarsi ulteriormente per la presenza di popolazioni univoltine il cui volo degli adulti può sovrapporsi a quello delle bivoltine. Le uova sono deposte in ovoplacche monostratificate comprendenti fino a 350 elementi e ciascuna femmina può deporne fino a 1500. Lo sviluppo embrionale dura circa 5 giorni con temperature intorno ai 25 °C per poi salire a 10-12 giorni in presenza di condizioni meno favorevoli. Le larve completano lo sviluppo attraversando 6 stadi e a maturità si incrisalidano nel terreno, a qualche centimetro di profondità. Siccome la nottua sverna allo stato di crisalide e le larve della prima generazione sono attive nella tarda primavera, i cicli di coltivazione invernali e di inizio primavera non sono esposti ad attacchi. Sono invece le popolazioni larvali della seconda generazione che compiono i danni più importanti nelle coltivazioni di lattughe del ciclo autunnale, tanto nella fase di post-trapianto quanto in quella di completo sviluppo dei cespi e della raccolta. La nottua degli orti (Lacanobia oleracea) compie in genere 2 generazioni all’anno, ma nelle regioni meridionali può svolgerne fino a 3-4, solitamente indistinte. I voli nelle regioni meridionali avvengono dal mese di aprile a ottobre, con punte in maggiogiugno, luglio e settembre. Nelle regioni settentrionali il primo volo ha inizio intorno alla metà di aprile per poi proseguire in maggio e giugno, mesi durante i quali si registrano le massime presenze. Il secondo volo inizia alla fine di luglio per poi raggiungere punte massime in agosto, ma le presenze degli adulti continuano anche in settembre. Le uova sono deposte in diverse ovoplacche irregolari, pluristratificate, comprendenti all’inizio 200 e più elementi per poi scendere gradualmente a una trentina di elementi per le ultime ovodeposizioni. Ciascuna femmina può deporne 200-800. Lo sviluppo embrionale si conclude nell’arco di 5-10 giorni, in funzione della temperatura. Le larve conducono inizialmente vita gregaria, per poi separarsi nei successivi stadi di sviluppo. Raggiunta la matu-

Larva di Mamestra brassicae

Adulto di Mamestra brassicae

Lacanobia oleracea

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parassiti animali rità dopo 5 mute, si interrano fino a circa 10 cm di profondità per poi incrisalidarsi entro un bozzolo terroso, rivestito internamente da una rada tessitura sericea. Sono soprattutto le popolazioni larvali autunnali che, essendo più numerose, arrecano i danni maggiori. Nelle coltivazioni settentrionali i danni si arrestano in genere nella seconda metà di ottobre, epoca in cui le larve si interrano per trasformarsi in crisalidi destinate a superare l’inverno in diapausa. La nottua gamma (Autographa gamma) è caratterizzata da adulti le cui ali anteriori portano un piccolo disegno che ricorda la lettera greca gamma. Le larve sono di colore verde e hanno il dorso percorso da sottili linee sinuose di colore chiaro. I voli hanno inizio in aprile o, negli ambienti meridionali, già in marzo, spesso con movimenti migratori provenienti dal Nord Africa, ma le presenze degli adulti continuano pressoché ininterrotte fino al mese di ottobre. Le uova, di colore verde, sono deposte isolatamente per cui non sono facilmente rintracciabili. In un anno si susseguono in genere 3 generazioni, destinate a salire a 4-5 negli ambienti più favorevoli dell’Italia meridionale. Lo svernamento avviene prevalentemente allo stato di crisalide sulle foglie delle diverse piante ospiti. La nottua è estremamente polifaga potendo attaccare svariate ortive, foraggere, colture industriali e piante ornamentali. Gli attacchi riguardano i cicli di coltivazione primaverili e, più frequentemente, quelli di fine estate-inizio autunno, con danni più temibili per le piante recentemente trapiantate. La nottua pronuba (Noctua pronuba) ha adulti che volano dalla fine di aprile a tutto maggio e ai primi di giugno, quindi dal mese di

Larva di Lacanobia oleracea

Autographa gamma

Larva di Autographa gamma Cespo danneggiato dalla nottua gamma

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coltivazione settembre a quello di novembre. Gli adulti che volano in primavera sono in genere sessualmente immaturi e, non essendo in grado di accoppiarsi e compiere ovodeposizioni, trascorrono l’estate inattivi. Le femmine sono caratterizzate da un’elevata fertilità, essendo in grado di deporre fino a 4000 uova, formando ovature monostratificate comprendenti alcune centinaia di elementi. Le larve, che possono presentarsi di colore bruno o verde, sui lati del corpo sono contraddistinte da una linea di tacche lineari di colore nero. Inizialmente vivono gregarie per poi separarsi negli stadi successivi. Divenendo lucifughe dopo la terza età, sono attive durante le ore notturne, mentre nelle ore diurne rimangono nascoste nel terreno sotto il cespo. Raggiunta la maturità si incrisalidano nel terreno all’interno di un bozzolo poco compatto, con particelle terrose imbrigliate da pochi filamenti sericei. Le popolazioni larvali più importanti sono presenti in autunno, con danni che interessano le coltivazioni autunno-invernali e perfino quelle invernali e di inizio primavera, in quanto le larve mature si incrisalidano da dicembre a gennaio, mentre quelle dell’ultima età svernano per poi compiere danni all’inizio della primavera, prima di raggiungere la maturità. La nottua gialla del pomodoro (Helicoverpa armigera) non è diffusa solo nelle regioni meridionali, ma le sue infestazioni sono ormai comuni anche nella Pianura padana, tanto in serra quanto in pieno campo, con danni che interessano insalate, pomodoro, peperone, fagiolo e fagiolino, fava, melanzana, Cucurbitacee, cipolla da seme, mais dolce ecc. Le larve presentano un diverso aspetto cromatico, legato alla pianta ospite, per cui esistono forme cromatiche grigie, gialle, rosa e bruno-nerastre. Gli adulti volano dalla metà di aprile fino a ottobre-novembre, con le presenze più numerose da luglio a tutto settembre e oltre. Accoppiamenti e ovodeposizioni avvengono nel volgere di appena 48 ore, seguiti dalla deposizione di un ragguardevole numero di uova (da 300 a 2700, in funzione delle condizioni ambientali), isolate o in gruppi di pochi elementi. Anche lo sviluppo embrionale procede rapidamente, tanto che in piena estate si conclude in appena 2-3 giorni. Con temperature intorno ai 25-30 °C le larve completano lo sviluppo in 11-15 giorni per poi incrisalidarsi nel terreno, per cui in estate ciascuna generazione richiede circa un mese. Lo svernamento avviene nel terreno allo stato di crisalide diapausante. Nelle regioni meridionali i danni interessano tutti i cicli stagionali di coltivazione, soprattutto le colture in serra; nella Pianura padana sono maggiormente suscettibili i cicli di coltivazione estivo-autunnali, soprattutto il radicchio e le lattughe della tipologia “iceberg”. Sul radicchio le nottue compiono profonde erosioni sul lato interno della nervatura principale e divorano le foglie della parte centrale del cespo.

Larve di Noctua pronuba

Adulto di Noctua pronuba

Helicoverpa armigera

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parassiti animali La nottua piccola o spodoptera minore (Spodoptera exigua) dà luogo a infestazioni che ricorrono ciclicamente, in quanto legate a flussi migratori di masse di adulti provenienti dalle regioni a sud del Mediterraneo, mentre quelle derivanti dalle popolazioni stanziali sono poco significative in quanto disperse su diverse piante erbacee, coltivate e spontanee. Negli ambienti italiani compie almeno 3 generazioni all’anno, con voli che avvengono in maggio-giugno o, per gli individui provenienti con movimenti migratori dal Nord Africa, già in marzo. I voli continuano poi fino a novembre, con punte in piena estate. Appunto la generazione estiva è responsabile dei maggiori danni, riguardanti diverse colture ortive (cipolla, insalate, patata) e industriali (barbabietola in particolare). L’attività degli adulti è notturna e ciascuna femmina depone svariate centinaia di uova, con un massimo di 1700 unità o poco più, formando ovature comprendenti molte decine di elementi, mascherati da un feltro di peluria e squame color nocciola chiaro. Le uova sono deposte sulle insalate, ma più frequentemente su piante erbacee spontanee che crescono ai lati delle coltivazioni. Lo sviluppo embrionale durante il periodo estivo si conclude in soli 2-3 giorni. Le larve vivono inizialmente gregarie per poi disperdersi, ma in caso di forte infestazione un cespo di insalata può ospitarne diverse. Esse possono presentare una notevole variabilità cromatica, soprattutto se nate su piante diverse dalle insalate. Raggiunta la maturità, attraversando di norma 5 età, si interrano per poi incrisalidarsi entro un bozzolo terroso tappezzato internamente da una rada tessitura sericea. I nuovi adulti sfarfallano dopo circa una settimana per poi avviare una nuova generazione. Solitamente, a una forte infestazione estiva non segue

Larva di Helicoverpa armigera

Erosioni compiute dalle larve di nottua gialla lungo il lato interno della costa fogliare

Larve di Spodoptera exigua Scheletrizzazioni causate da Spodoptera exigua

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coltivazione una generazione di particolare importanza in quanto i nuovi adulti si spostano con voli migratori verso altre aree geografiche. Lo svernamento avviene con crisalidi formatesi nel tardo autunno, ma la maggior parte di esse non riesce, a quanto pare, a dare adulti nella successiva primavera; ne deriva che gli adulti che volano in marzo sono generalmente quelli provenienti dalle regioni nordafricane. La nottua mediterranea (Spodoptera littoralis) è una nottua le cui infestazioni, inizialmente presenti in alcune province della Sicilia e in Liguria, si sono poi gradualmente diffuse nelle diverse regioni centro-meridionali, tanto da assumere un ruolo di notevole importanza per diverse colture orticole (insalate, pomodoro, peperone, melanzana, fagiolino, spinacio, cavolo, carciofo ecc.). Compie fino a 7-9 generazioni all’anno e nelle serre è continuamente attiva, tranne nei mesi più freddi. Le femmine depongono le uova formando placche coperte da un feltro di peli, comprendenti diverse centinaia di elementi. La fertilità è legata alle condizioni ambientali. Infatti, con le elevate temperature raggiunte all’interno delle serre e tassi di umidità che sfiorano il 90%, le femmine depongono un migliaio di uova, mentre con aria secca il numero medio di uova deposte scende a 150. Inoltre, l’irrigazione realizzata per favorire l’attecchimento delle piante svolge un’azione attrattiva sulle femmine ovideponenti. Le larve nascono dopo un periodo d’incubazione che in estate, a 26 °C, è di soli 3-4 giorni e con tali temperature completano lo sviluppo in un paio di settimane, svolgendo la loro attività durante le ore notturne. Raggiunta la maturità si incrisalidano nel terreno, entro una cella, senza previa costruzione di un bozzolo.

Spodoptera exigua

• È una nottua alquanto polifaga • È caratterizzata da popolazioni locali

e da altre migratrici provenienti dalle regioni poste a sud del Mediterraneo

• Le massicce infestazioni, collegabili a popolazioni migratrici, avvengono ciclicamente con lunghi intervalli di tempo

• Le larve sono caratterizzate

da una notevole varietà cromatica

Ovature su foglia di lattughino

Adulto di Spodoptera littoralis Cespo di lattuga danneggiato dalle nottue fogliari

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parassiti animali Le infestazioni più gravi si riscontrano sul finire dell’estate o durante i mesi autunnali, soprattutto nelle annate particolarmente calde. I danni maggiori riguardano le colture in serra, in quanto in questi ambienti esistono condizioni termiche e igrometriche favorevoli allo sviluppo delle popolazioni del lepidottero. Inoltre, le larve immature rimaste nel suolo alla fine del ciclo colturale attaccano le successive coltivazioni nell’immediata fase di posttrapianto. Popolazioni di larve immature, dopo aver distrutto una coltivazione, possono compiere “migrazioni trofiche” per raggiungere nuove fonti alimentari e questi spostamenti sono solitamente accompagnati da un cambiamento dell’originaria livrea verso il colore bruno. Piralide defogliatrice (Udea ferrugalis) Trattasi di un piraloideo alquanto polifago, in grado di attaccare piante spontanee (chenopodio in particolare), svariate piante erbacee (soia in particolare), nonché numerose piante ortive, tra cui radicchio e lattughe. Gli adulti compaiono in maggio, con femmine che depongono le uova in piccole ovature, comprendenti fino a una ventina di elementi disposti in maniera embricata. Le larve nascono dopo un periodo d’incubazione di 2-3 settimane e completano lo sviluppo verso la fine di giugno o all’inizio di luglio, per poi incrisalidarsi in una ripiegatura del bordo fogliare. Nel corso della rimanente parte dell’anno seguono diverse generazioni, con voli che continuano talora fino all’inizio di dicembre. Dagli adulti che volano all’inizio di ottobre prende origine una generazione di larve che, raggiunta la maturità, svernano nel terreno all’interno di una cella terrosa. Gli adulti di tardiva comparsa depongono uova che vanno inevitabilmente perdute in seguito al sopraggiungere dei primi freddi. Le colture di radicchio, meno frequentemente quelle di lattuga, sul finire dell’estate o all’inizio dell’autunno sono soggette a occasionali attacchi da parte delle larve dell’ultima generazione. Queste divorano il parenchima fogliare, rispettando solo le nervature più grosse. Particolarmente suscettibili sono le coltivazioni con limitrofi campi di soia infestata dal lepidottero.

Larva di Spodoptera littoralis

Larve di Udea ferrugalis

Agromize degli orti (Chromatomyia horticola, Chromatomyia syngenesiae) Trattasi di due specie i cui adulti (3 mm di lunghezza) hanno un aspetto alquanto simile, distinguibili solo attraverso l’esame degli apparati genitali. Possono attaccare piante coltivate e spontanee appartenenti a diverse famiglie (Composite, Cucurbitacee, Leguminose, Solanacee, Crucifere, Labiate ecc.). Riescono a compiere 6-7 generazioni all’anno, che durano mediamente 25-30 giorni, e svernano con larve e pupari nelle mine fogliari.

Esiti di un attacco larvale di Udea ferrugalis

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coltivazione Le femmine depongono complessivamente alcune decine di uova, in maniera isolata, entro i tessuti fogliari, che riescono a perforare con il loro ovopositore. Lo sviluppo embrionale dura mediamente 2-4 giorni e le larve completano lo sviluppo in un paio di settimane, scavando lunghe mine serpentiformi, all’estremità delle quali si impupano; dalla corrispondente porzione di epidermide emergono leggermente gli spiracoli tracheali del pupario. Le due minatrici possono attaccare le lattughe in pieno campo e le giovani piante in fitocella. Mosca minatrice sudamericana (Liriomyza huidobrensis) Il dittero danneggia anche numerose altre piante ortive (sedano, rucola, pomodoro, melanzana, peperone, melone, cetriolo, cipolla, fagiolo, bietole da orto, spinacio, fagiolo). Compie diverse generazioni all’anno (5-7), con cicli di sviluppo che su lattuga durano poco meno di 3 settimane a 25 °C e passano a 50-55 giorni in autunno inoltrato e in primavera. Le larve mature si impupano generalmente all’interno delle mine. L’inverno è trascorso in genere allo stadio pupale e, in serra, anche con larve nelle mine fogliari. Delle insalate risultano suscettibili le varietà di lattuga cappuccio, nelle cui foglie le larve scavano mine serpentiformi. I danni riguardano le foglie esterne del cespo, che alla fine marciscono e divengono potenziali focolai di infezioni botritiche. Non meno dannose sono le femmine, che con il loro ovopositore infliggono ferite di ovodeposizione e una moltitudine di punture a fini alimentari per consentire la fuoriuscita dei succhi cellulari dai tessuti lesionati, di cui si nutrono insieme ai maschi. Queste numerose

Adulto di Chromatomyia horticola

Mine (ofionomi) scavate da Chromatomyia horticola

Adulto di Liriomyza huidobrensis

Lesioni puntiformi causate dalle punture di nutrizione di Liriomyza huidobrensis

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parassiti animali lesioni puntiformi compromettono o annullano il valore commerciale dei cespi. Colpite sono anche le piantine in fitocella, che hanno lo sviluppo irrimediabilmente compromesso o non sono commerciabili.

Liriomyza huidobrensis

• È un dittero di origine sudamericana,

Mosca dell’indivia (Ophiomyia pinguis) È una specie che, contrariamente alle altre minatrici delle insalate, ha adulti interamente di colore nero brillante. Gli adulti del primo volo compaiono alla fine di marzo o in aprile, con temperature minime oltre i 10 °C. Nel corso dell’anno si susseguono 3-4 generazioni, con cicli di 40-60 giorni in funzione dell’epoca stagionale, e con larve dell’ultima generazione che trascorrono l’inverno per poi impuparsi all’inizio della primavera. Le infestazioni maggiori sono quelle dell’ultima generazione, con larve nate dalle ovodeposizioni che avvengono dall’inizio di settembre a tutto ottobre. Le larve, nate da uova deposte entro i tessuti fogliari, scavano mine nel tessuto a palizzata e nel mesofillo della parte basale delle coste fogliari. Il percorso delle gallerie è reso evidente dall’arrossamento dei tessuti lesionati. Suscettibili sono le cicorie, soprattutto le varietà Pan di zucchero, Spadona, Rossa di Treviso, Scireu e Witloof, i cui cespi subiscono notevoli danni, fino alla perdita totale del valore commerciale.

introdotto accidentalmente in Inghilterra nel 1980, diffusosi poi negli altri stati europei e rinvenuto in Italia all’inizio degli anni ’90

• I danni sono compiuti dalle femmine,

attraverso punture di nutrizione e di ovodeposizione, e dalle larve che scavano mine fogliari

Ragnetto rosso comune o ragnetto bimaculato (Tetranychus urticae) Trattasi di una specie notevolmente polifaga, in grado di attaccare svariate piante spontanee e coltivate, in pieno campo e in serra. Foglie minate e marcescenti, danneggiate da Liriomyza huidobrensis

Larva di Ophiomyia pinguis

Mine scavate da Ophiomyia pinguis, con arrossamento dei tessuti minati dalle larve

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coltivazione Le femmine misurano circa 0,5 mm di lunghezza. Quelle presenti nel periodo primaverile-estivo sono di colore giallo rosato o rosso aranciato con due macchie laterali di colore bruno; le femmine svernanti sono invece di colore rosso aranciato uniforme. Il maschio è leggermente più piccolo (circa 0,3 mm di lunghezza), di colore giallo con due macchie puntiformi rosse sui lati del corpo. L’acaro sverna con femmine in diapausa, riparate in mezzo alla vegetazione spontanea, disseccata o ancora verde, e in primavera inizia a moltiplicarsi deponendo piccole uova rotondeggianti del diametro di 0,12-0,13 mm. Nel corso della stagione vegetativa delle piante riesce a compiere 7-10 generazioni sulle colture di pieno campo, che in serra possono salire fino a una trentina. Le infestazioni colpiscono esclusivamente le colture di radicchio, con danni saltuari, e avvengono con estate calda, interessando inizialmente i bordi degli appezzamenti vicini a colture di mais e soia infestate dal ragnetto, per poi estendersi nell’interno delle coltivazioni. Le più penalizzate sono le piante giovani, le cui foglie sono interessate da una moltitudine di punteggiature necrotiche che ne ostacolano lo sviluppo o ne causano addirittura il disseccamento. Su piante fino all’ottava foglia, presenze superiori a 4-5 acari/foglia sono tali da giustificare provvedimenti di difesa.

Tetranychus urticae

• È un ragnetto alquanto polifago,

vivente su svariate piante spontanee e su ortive, con attacchi sporadici in coltivazioni estive di radicchio

Nematodi galligeni (Meloidogyne spp.) Trattasi di organismi animali appartenenti al phylum Nemata, viventi nel terreno, che attaccano l’apparato radicale delle insalate e di svariate altre piante coltivate e spontanee, erbacee e arboree. Le larve di questi nematodi sgusciano dalle uova al secondo stadio di sviluppo. In tale stadio sono lunghe 350-600 micron e, muovendosi nel terreno, penetrano nei tessuti del cilindro centrale delle radici. Inserendosi a livello dei tessuti vascolari, nel volgere di appena 48 ore stimolano la formazione di un gruppetto di cellule ipertrofiche e polinucleate (cellule giganti), che impediscono la regolare funzionalità dell’apparato radicale, ostacolando in tal modo l’assorbimento dei componenti della soluzione circolante presente nel terreno. All’interno della galla la femmina raggiunge il completo sviluppo e un aspetto piriforme, con la sua parte posteriore che sporge dai tessuti per consentire l’accoppiamento con il maschio vivente libero nel terreno. Avvenuta la fecondazione, la femmina produce una matrice gelatinosa inglobante diverse centinaia o addirittura un migliaio di uova. Completato lo sviluppo embrionale, la larva della prima età rimane all’interno dell’uovo per compiere una muta e passare alla seconda età. Allorquando nel terreno si trova l’apparato radicale della pianta ospite suscettibile, la larva di seconda età si libera dall’uovo per poi muoversi attivamente e penetrare nelle radici dell’ospite. Subisce poi altre 3 mute per trasformarsi in larva della terza e della quarta età, quindi nella forma adulta. Il ciclo biologico è influenzato dalle condizioni ambientali (temperatura e grado

Tetranychus urticae

Nodosità radicali causate da Meloidogyne spp.

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parassiti animali di umidità del terreno) e durante il periodo estivo si completa in 4-5 settimane. Le specie maggiormente diffuse sono Meloidogyne incognita, M. arenaria, M. hapla e M. javanica; di queste, M. incognita è la più diffusa e dannosa, almeno nelle regioni meridionali e nelle zone litoranee. Delle prime tre specie esistono popolazioni, indicate come razze biologiche, che presentano livelli di dannosità e aspetti biologici differenti in funzione della pianta ospite. Le piante attaccate dai nematodi crescono in maniera stentata e manifestano ingiallimenti e avvizzimenti vegetativi. Maggiormente attaccate sono le insalate coltivate nei terreni sabbiosi, nei quali le popolazioni dei nematodi sopravvivono per svariati anni in assenza di piante ospiti, per poi attaccare le diverse piante ortive che vengono coltivate, nonché quelle infestanti.

Meloidogyne spp.

• I nematodi galligeni sono chiamati

tali in quanto capaci di causare la comparsa di ingrossamenti e noduli (galle) a carico dell’apparato radicale delle piante ospiti

• Suscettibili sono piante erbacee

spontanee e diverse ortive (insalate, carota, pomodoro, Cucurbitacee, Liliacee, Ombrellifere ecc.) e perfino alcuni fruttiferi (kiwi, pesco)

Chiocciole e limacce Si tratta di molluschi terrestri inclusi nella sottoclasse Polmonata, in quanto dotati di una cavità palleale (del mantello) trasformata in un sacco con pareti riccamente vascolarizzate (sacco polmonare), comunicante con l’esterno tramite un’apertura (pneumostoma) posta sul lato destro del corpo. Essi appartengono all’ordine Sty­ lommatophora, essendo il loro capo fornito di due paia di tentacoli retrattili: quelli del primo paio, più lunghi e orientati verso l’alto, portano gli occhi alla loro sommità, mentre quelli inferiori sono rivolti verso il basso e hanno una funzione tattile e gustativa. Questi gasteropodi sono ermafroditi insufficienti, nel senso che per riprodursi hanno la necessità di accoppiarsi tra loro, e depongono alcune centinaia di uova bianche e sferiche in luoghi

• Le infestazioni più comuni

si riscontrano nei terreni sabbiosi

Chiocciole e limacce

• Le chiocciole sono fornite di una conchiglia calcarea, in grado di contenerne l’intero corpo

• Le limacce non sono protette da una

conchiglia e di questa sono rimasti solo granuli o una sottile lamella entro il clipeo

• Limacce e chiocciole sono ermafrodite

insufficienti, nel senso che gli individui devono fecondarsi a vicenda

Cespo di indivia riccia con apparato radicale infestato da nematodi del genere Meloidogyne

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coltivazione riparati (nel terreno, sotto sassi, pietre, teli di pacciamatura ecc.). Gli accoppiamenti e le ovodeposizioni avvengono soprattutto in primavera e autunno, ma alcune specie possono riprodursi tutto l’anno se esistono condizioni favorevoli. Le chiocciole sono fornite di una conchiglia in grado di contenerne l’intero corpo e nell’interno della quale si ritirano chiudendone l’apertura con un diaframma (epifragma) durante i periodi di estivazione o di ibernazione, per ripararsi dalle avverse condizioni ambientali. Esse sono rappresentate principalmente da Helix pomatia, H. aspersa ed H. pisana, appartenenti alla famiglia Helicidae. Le limacce sono invece sprovviste di conchiglia e di questa sono rimasti solo i residui, sotto forma di granuli calcarei o di una lamina, nascosti sotto il clipeo o mantello (sorta di calotta ricoprente dorsalmente la parte anteriore del corpo). Quelle dannose alle coltivazioni delle insalate appartengono alle famiglie Agriolimacidae, Arionidae e Milacidae. Alla famiglia Agriolimacidae appartengono la comune limaccia grigia (Deroceras reticulatum), nonché le congeneri D. agreste, D. panormitanum e D. laeve. La prima è la specie più diffusa, con individui che raggiungono la lunghezza di 50 mm, di colore grigio chiaro con macchie più scure e la suola biancastra con una zona centrale più scura. La limaccia grigia può riprodursi tutto l’anno, se le condizioni ambientali sono favorevoli, svolgendo la sua attività a spese dell’apparato fogliare. Deroceras agreste è comune quanto D. reticulatum, da cui si distingue per la colorazione grigio-giallastra senza reticolature bru-

Chiocciola del genere Helix

Chiocciole in accoppiamento

Limacce

• La famiglia Agriolimacidae comprende limacce nel cui clipeo la conchiglia è sostituita da una sottile lamina calcarea; lo pneumostoma è posto nella metà posteriore del mantello e il dorso termina appuntito, con una corta carena dorsale

Deroceras reticulatum

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parassiti animali ne. Questa specie, diffusa in tutta l’Italia continentale e nelle Isole, può compiere 2-3 generazioni all’anno. Alla famiglia Arionidae appartengono piccole limacce, con lunghezza massima di circa 30 mm, comprendenti Arion hortensis e altre specie affini meno diffuse (A. distinctus, A. silvaticus, A. circumscriptus, A. fasciatus e A. intermedius); di grandi dimensioni sono invece gli arionidi Arion lusitanicus, A. rufus e A. subfuscus, la cui taglia può raggiungere i 20 cm. Arion hortensis è un piccolo arionide caratterizzato da una colorazione grigio scura o olivastra, con suola giallo-arancio o biancastra e tentacoli rossicci. Esso svolge la sua attività sulla parte aerea e su quella sotterranea delle piante. Arion lusitanicus è invece un arionide di grandi dimensioni, originario del Portogallo e attualmente in progressiva espansione. Caratteristica è la sua colorazione giallo-arancio, mentre gli individui giovani si distinguono dall’affine A. rufus per i tentacoli oculari neri e per due bande scure che percorrono i lati del corpo. Arion subfuscus è di colore giallo-bruno o leggermente aranciato, con una sfumata banda scura sui lati. Le diverse specie compiono una generazione ogni 1-2 anni, svolgendo la loro attività sulla parte aerea delle piante, con i danni più gravi arrecati dagli arionidi di piccole dimensioni. Alla famiglia Milacidae appartengono Tandonia budapestensis e T. sowerbyi. In Italia la prima è presente solo nelle regioni settentrionali, ove è la specie più diffusa della famiglia. Raggiunge i 6 cm di lunghezza, ha una colorazione scura o olivastra con suola di colore bianco-giallastro e una banda centrale più scura, e compie una generazione all’anno.

Deroceras agreste

• Nelle limacce della famiglia Arionidae,

lo pneumostoma è posizionato nella metà anteriore del clipeo e il dorso è sprovvisto di carena mediana; il clipeo contiene granuli calcarei, residui della conchiglia

Deroceras agreste

Arion lusitanicus

Arion hortensis

• La famiglia Milacidae ha individui

in cui il residuo della conchiglia è costituito da una rudimentale lamella calcarea nascosta entro il clipeo; lo pneumostoma è posto nella metà posteriore del clipeo e il dorso è interamente percorso da una carena

Arion hortensis

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coltivazione Tandonia sowerbyi, lunga fino a 12 cm, ha una colorazione che varia dal giallo-grigiastro al bruno-rossiccio, con clipeo più chiaro del corpo e maculato di bruno, la suola biancastra o giallastra. In Italia è comune nelle regioni centro-meridionali e in Sicilia. I suddetti gasteropodi sono attivi soprattutto durante i mesi primaverili e quelli autunnali, mentre temono il caldo-secco estivo: le limacce, non essendo fornite di guscio protettivo, sono esposte alla disidratazione e cercano quindi rifugio nel terreno o sotto ripari presenti alla superficie del suolo, ove possono trovare un ambiente sufficientemente umido, mentre le chiocciole si chiudono con l’epifragma nell’interno della conchiglia ed estivano. Chiocciole e limacce svolgono la loro attività generalmente durante le ore notturne, in quanto i loro spostamenti sono favoriti dalla bagnatura della vegetazione e del terreno. Tra le diverse tipologie di insalate, le lattughe sono quelle più attaccate. Nella fase di post-trapianto la coltivazione può subire notevoli danni: infatti le piante possono andare completamente distrutte, soprattutto quelle delle fasce perimetrali vicine a fossi, cavedagne e zone inerbite, costituenti luoghi di rifugio. Un altro periodo di forte vulnerabilità della coltura è quello che precede la raccolta, sia per i danni diretti che subiscono i cespi, sia per quelli indiretti rappresentati dalla presenza di feci, tracce di secrezioni mucose e individui annidati in mezzo alle foglie.

Tandonia budapestensis

Microtus savii

• È un mammifero di piccole

dimensioni, dell’ordine Roditori, al quale appartengono ben 2277 specie, che rappresentano il 42% di quelle conosciute nell’ambito dei mammiferi

• Come le altre arvicole, appartiene alla

famiglia Cricetidae e alla sottofamiglia Microtinae

Arvicola del Savi (Microtus savii) Trattasi di una specie diffusa in gran parte del territorio italiano, tranne la parte nordorientale e la Sardegna. Gli adulti hanno un pelame bruno chiaro, il corpo con contorni arrotondati, padiglioni auricolari assai ridotti, talora mascherati dal pelo delle guance, occhi piccoli e coda molto breve. Essi pesano appena 15-25 g, ma nonostante il corpo minuto sono alquanto distruttivi. L’arvicola vive preferibilmente nei terreni non soggetti a lavorazioni, per cui frequenta soprattutto le rive dei fossi e le prode di campi, ma invade anche le coltivazioni delle insalate, in particolare quelle di radicchio e lattuga. Essa scava una rete sotterranea di cunicoli, a una profondità di 10-30 cm, con una camera di nidificazione imbottita di foglie sfilacciate di Graminacee e altre camere in cui accumula provviste di cibo. Le gallerie presentano diversi sbocchi non contornati da mucchietti di terra. La riproduzione avviene da aprile a ottobre, talora anche durante i mesi invernali negli ambienti meridionali. In un anno compie 4-5 parti, con gestazioni di 24 giorni e figliate medie di 2-3 piccoli, che vengono svezzati al 15° giorno e raggiungono la maturità sessuale a un’età media di 50 giorni. Pur nutrendosi per l’intero arco della giornata, è attiva soprattutto nelle ore serali e nell’ultima parte della notte; compie erosioni a carico del cuore del cespo e della radice, causando l’avvizzimento e la morte del cespo.

Microtus savii

Sbocco delle gallerie di Microtus savii

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parassiti animali Valerianella e rucola Queste “insalate-simili” sono destinate soprattutto all’ottenimento di produzioni destinate alla quarta gamma, per cui è indispensabile che le foglie siano esenti da infestazioni e non presentino tracce di danno in quanto le operazioni di cernita sarebbero alquanto onerose o addirittura insostenibili. La valerianella è interessata da attacchi a carico essenzialmente della parte aerea, compiuti da Mamestra brassicae, dalle agromize degli orti (Chromatomyia horticola e Ch. syngenesiae), dalla minatrice sudamericana e infine da limacce e chiocciole. La rucola è invece interessata principalmente da attacchi di insetti legati essenzialmente alle Crucifere, rappresentati dalla tignola delle crucifere e dalla piralide della rucola, ma è soggetta anche alle infestazioni della minatrice sudamericana e della drosofila fillominatrice delle crucifere.

Principali parassiti animali della valerianella e della rucola Valerianella Mamestra brassicae Chromatomyia horticola e Ch. syngenesiae Liriomyza huidobrensis Limacce e chiocciole Rucola Plutella maculipennis Hellula undalis Liriomyza huidobrensis Scaptomyza flava Phyllotreta spp.

Tignola delle crucifere (Plutella xylostella) È un lepidottero della famiglia Plutellidae, comune su molte Crucifere spontanee e coltivate, per cui le infestazioni interessano anche le coltivazioni di rucola. Il lepidottero compie svariate generazioni all’anno, il cui numero è legato alle condizioni ambientali. Ciascuna femmina può deporre oltre 300 uova, isolate o in piccoli gruppi con elementi parzialmente sovrapposti, sulla pagina inferiore delle foglie. Lo sviluppo embrionale richiede pochi giorni in estate. Le larve della prima età conducono vita minatrice nelle foglie; in seguito però fuoriescono e compiono numerose erosioni rotondeggianti sulla pagina inferiore delle foglie, rispettando l’epidermide opposta che poi si lacera. Lo sviluppo larvale, con temperature intorno ai 30-35 °C, è completato in appena 7-10 giorni e le larve mature (6 mm di lunghezza) si incrisalidano sulla pagina inferiore delle foglie, all’interno di un bozzoletto di forma allungata, con rada reticolatura bruna. È in estate che si riscontrano le infestazioni maggiori, in seguito alle quali la vegetazione è talora completamente divorata.

Larva di Plutella xylostella

Piralide della rucola (Hellula undalis) Appartenente alla famiglia Crambidae, sottofamiglia Glaphyriinae, ha un vasto areale di distribuzione, comprendente non solo l’Europa, ma anche l’Asia, l’Africa, l’Australia, il Perù e le isole del Pacifico. In Italia è presente ovunque. Gli adulti hanno un’apertura d’ali intorno ai 10-12 mm e le larve a maturità sono lunghe 12-15 mm. Il lepidottero attacca numerose Crucifere coltivate e spontanee. Nei nostri ambienti compie di solito 4 generazioni all’anno con popolazioni più consistenti nel periodo luglio-settembre. Ogni femmina riesce a deporre anche più di 200 uova, in piccoli gruppi, alla base delle foglie. Le larve svolgono inizialmente at-

Adulto di Hellula undalis

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coltivazione tività minatrice subepidermica nelle foglie e dopo la prima o la seconda età raggiungono la zona del colletto per penetrare nella gemma centrale e scavarvi una galleria. Raggiunta la maturità in 2-3 settimane, attraversando 5 età, la larva si incrisalida alla base delle piante attaccate o, più frequentemente, nel terreno. Le colture che subiscono i danni maggiori sono quelle realizzate in serra. Mosca minatrice sudamericana (Liriomyza huidobrensis) Trattasi di una specie che attacca diverse altre piante ortive; neppure la rucola e la valerianella sfuggono ai suoi danni. Le femmine riescono a compiere, con il loro ovopositore, numerose punture di alimentazione, alle quali si associano quelle di ovodeposizione. Le larve scavano gallerie serpentiformi nelle foglie, per cui queste non sono commerciabili e, considerata l’onerosità di un’operazione di cernita tesa all’eliminazione di quelle minate, il danno economico è notevole. Gli attacchi più importanti si riscontrano nel periodo di fine estate, in seguito al progressivo incremento delle popolazioni che si sono sviluppate sulle diverse piante ospiti.

Uova di Hellula undalis

Drosofila fillominatrice delle Crucifere (Scaptomyza flava) Vive abitualmente su diverse Crucifere, preferibilmente su quelle dei generi Brassica, Diplotaxis e Rhaphanus, ma è in grado di attaccare piante di altre famiglie (Capparidacee, Asteracee, Leguminose, Resedacee ecc.). L’insetto compie presumibilmente 3-4 generazioni all’anno; gli adulti si nutrono dei succhi cellulari che gemono dalle ferite compiute dalle femmine con il loro ovopositore sclerificato. Le uova sono deposte entro fori di ovodeposizione praticati sulla pagina inferiore delle foglie e le larve completano lo sviluppo in un paio di settimane per poi impuparsi nel terreno. Le suddette larve danneggiano le foglie scavando mine individuali, dapprima filiformi, quindi molto ampie e spesso confluenti, che interessano gran parte del lembo fogliare. I danni, seppur saltuari, possono rivelarsi gravi su colture protette di rucola per la produzione della quarta gamma, in particolare sul secondo taglio pronto per la fine dell’inverno.

Larva di Hellula undalis

Altiche (Phyllotreta atra, Ph. nigripes, Ph. cruciferae) Trattasi di specie i cui adulti sono di colore nero o blu con riflessi metallici, la cui taglia si aggira intorno ai 2,5-3 mm, caratterizzati da femori posteriori molto ingrossati atti al salto. Compiono una sola generazione all’anno e svernano con adulti sessualmente immaturi riparati alla superficie del suolo, in mezzo a resti vegetali disseccati. Le uova sono deposte nel terreno, in modo isolato, vicino al colletto delle piante. Le larve si nutrono compiendo erosioni sulle radici.

Foglie di rucola minate da Liriomyza huidobrensis

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parassiti animali I danni sono conseguenti all’attività degli adulti, che compiono piccole erosioni fogliari del diametro di 1-3 mm, rispettando la corrispondente porzione dell’epidermide opposta. Con il disseccamento di quest’ultima le foglie appaiono interessate da numerose bucherellature e pertanto non sono commerciabili. I danni divengono gravi per le coltivazioni di rucola destinate alla produzione della quarta gamma. Quelli maggiori si riscontrano all’inizio della primavera, in seguito all’assidua attività degli adulti per raggiungere la maturità sessuale, ma significativi danni possono essere arrecati anche dagli adulti di nuova comparsa che si nutrono fino a tutto ottobre. Difesa Per il contenimento delle infestazioni degli insetti possono essere adottati provvedimenti di difesa di tipo agronomico e altri basati sul ricorso a trattamenti con i preparati più efficaci e a basso impatto ambientale, il tutto nel pieno rispetto delle più scrupolose norme igienico-sanitarie, onde fornire al consumatore prodotti con i requisiti commerciali richiesti e con totali garanzie di igienicità. Nelle aziende altamente specializzate nella produzione delle insalate i cicli di coltivazione ritornano spesso, con turni molto stretti, sugli stessi terreni per cui non è facile rispettare rotazioni che, con il succedersi di colture differenti, potrebbero ridurre gli attacchi di diverse avversità. È inoltre importante eliminare, dalle vicinanze delle coltivazioni, le erbe infestanti, sulle quali trovano ospitalità insetti che, spostandosi nei campi delle insalate, possono compiere danni diretti o trasmettere temibili malattie da virus e da fitoplasmi. Le piantine da trapiantare devono essere esenti da infestazioni onde evitare che anche minime presenze di insetti nel substrato o sulle piante possano poi originare in campo intollerabili infestazioni. Attraverso la coltivazione di varietà poco suscettibili e la scelta di coltivare tipologie di insalate in determinati periodi stagionali e non in altri, è possibile ridurre i rischi di danno di alcune specie di insetti. Alla fine dei cicli di coltivazione è importante procedere all’asportazione dei residui della coltivazione o al loro interramento con una profonda lavorazione, onde ridurre la popolazione di stadi degli insetti rimasti nel terreno dopo la raccolta. Attraverso attenti controlli di campo o con l’impiego di mezzi di monitoraggio (per es. trappole a feromoni sessuali di sintesi per il controllo dei voli dei lepidotteri, vasi-trappola per le larve degli elateridi e trappole Yatlor-Funnel per gli adulti degli stessi ecc.) è possibile valutare quando sussiste la necessità di ricorrere a trattamenti. Per questi è opportuno utilizzare preparati che possano fornire le massime garanzie di efficacia, onde evitare ulteriori

Phyllotreta spp.

Foto R. Angelini

Danni da minatrice su valerianella

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coltivazione interventi che implicherebbero ripercussioni a livello economico e ambientale. Per quanto riguarda le infestazioni dei nematodi galligeni, il ricorso alla solarizzazione consente di ridurre il livello delle loro popolazioni. Per combatterle si può ricorrere alla sterilizzazione del terreno con vapore acqueo surriscaldato, alla coltivazione intercalare di piante biocide, rappresentate da Rhaphanus sativus var. oleifera, Brassica juncea (senape bruna), Ruta spp. e Tagetes spp. Interessante è l’impiego dell’antagonista fungino Paecilomyces lilacinus, che agisce sulle uova e sulle larve di secondo stadio dei nematodi. Sono inoltre possibili trattamenti disinfestanti sul terreno con preparati chimici o con altri di derivazione naturale come l’azadiractina, estratta dai semi della pianta del Neem (Azadirachta indica). Contro gli insetti ad habitat terricolo si può ricorrere alla distribuzione, in pre-trapianto, dei geodisinfestanti microgranulari ammessi. Contro gli afidi sono applicabili preparati specifici, preferendo quelli con attività sistemica in quanto in grado di agire anche contro gli individui non direttamente colpiti dall’aficida. Contro le giovani larve delle nottue terricole ancora in attività sulla parte aerea possono essere utilizzati preparati che agiscono per ingestione, mentre contro quelle già interrate sono efficaci gli interventi con piretroidi, purché la vegetazione dei cespi non sia

Foto R. Angelini

La protezione dai parassiti inizia dalle prime fasi vegetative in vivaio

Foto R. Angelini

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parassiti animali già sviluppata e tale da impedire agli stessi di giungere a contatto con le larve. Contro le larve delle nottue fogliari e degli altri lepidotteri sono disponibili diversi preparati (chimici e microbiologici) che agiscono per ingestione, la cui applicazione deve avvenire alla nascita delle larve o durante gli stadi iniziali di sviluppo. I danni dei ditteri fillominatori possono essere contrastati con l’impiego di spinosine, tra l’altro notevolmente efficaci contro le larve dei lepidotteri e il tripide occidentale, mentre i danni degli adulti delle altiche possono essere contrastati ricorrendo al trattamento con i piretroidi ammessi. Nell’eventualità di attacchi di ragnetto rosso su radicchio, solo con presenze superiori ai 4-5 acari/foglia può rendersi necessario ricorrere al trattamento acaricida. Relativamente a limacce e chiocciole, mantenendo pulito l’ambiente limitrofo dei campi di insalate dalle erbe infestanti è possibile ridurre l’invadenza di questi gasteropodi, per combattere i quali sono disponibili efficaci esche. Per quanto riguarda le arvicole, la difesa presenta non poche difficoltà, soprattutto quando in vicinanza dei campi delle insalate sono presenti incolti prativi nei quali i roditori scavano le loro tane. Contro questi minuti mammiferi sono disponibili esche alimentari, da localizzare nelle gallerie con l’eventuale ausilio di una doccetta ricavata da un pezzo di canna comune tagliata a becco di clarino.

Foto M. Curci

La difesa dai parassiti animali è fondamentale oltre per i danni diretti anche per quelli estetici o per la possibilità di trovarli dentro le confezioni

Solarizzazione in serra multitunnel nella Piana del Sele

Foto R. Angelini

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le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Malattie Maria Lodovica Gullino, Angelo Garibaldi, Giovanna Gilardi

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Malattie Lattuga, indivia, cicoria, rucola e valerianella negli ultimi anni hanno visto, soprattutto in alcune aree geografiche, tra cui l’Italia, un notevole incremento delle superfici coltivate anche grazie al successo riscosso dalle produzioni destinate alla cosiddetta quarta gamma. Tale intensificazione colturale non poteva non portare alla comparsa di problemi fitopatologici nuovi, talvolta anche assai gravi, sui quali ci soffermeremo in modo particolare. La risoluzione di tali problemi pone non poche difficoltà in un settore sempre più orientato verso la produzione secondo le norme dell’agricoltura biologica.

Peculiarità del comparto

• La patologia delle orticole da foglia

è caratterizzata da aspetti peculiari, quali l’importanza degli aspetti estetici della produzione orticola, la globalizzazione delle produzioni, che in questo settore porta a un continuo movimento di materiale vegetale da una zona all’altra dei diversi continenti, con il conseguente facile trasferimento e ingresso di nuovi parassiti, l’adozione di tecniche colturali innovative (si può citare come esempio l’aumento rapido delle coltivazioni fuori suolo) che comportano una profonda modificazione dell’importanza relativa dei diversi parassiti e delle tecniche di lotta. Per tutti questi aspetti, il panorama fitopatologico di queste colture è in continua, rapidissima evoluzione

Lattuga Malattie fungine Tra i patogeni della lattuga (Lactuca sativa) il Fusarium oxysporum f. sp. lactucae, agente della tracheofusariosi, causa un ridotto sviluppo delle piante colpite, clorosi fogliare, epinastia e appassimenti; sezionando le radici si osservano evidenti imbrunimenti vascolari, estesi anche alla nervatura della lamina fogliare. F. oxysporum f. sp. lactucae risulta al momento presente nel nostro Paese in Lombardia, Piemonte, Emilia e Veneto causando gravi danni alla coltura in presenza di temperature comprese tra i 25 e 34 °C. La tracheofusariosi della lattuga è stata segnalata in altre parti del mondo come Giappone, Stati Uniti, Taiwan, e risulta in continua diffusione, con le recenti osservazioni in Portogallo e Brasile. F. oxysporum f. sp. lactucae è trasmissibile mediante

Foto R. Angelini

Sintomi iniziali di tracheofusariosi

Particolare dei sintomi causati da Fusarium oxysporum f. sp. lactucae su lattuga (cultivar Salad bowl)

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malattie seme; l’impiego di materiale riproduttivo infetto rappresenta una delle possibili vie di diffusione del patogeno in tutto il mondo. L’analisi della compatibilità vegetativa e l’impiego di tecniche molecolari hanno permesso di caratterizzare gli isolati di questo patogeno presenti in Italia come appartenenti tutti alla razza 1, che è quella più diffusa a livello mondiale. In Giappone sono note anche le razze 2 e 3, mentre a Taiwan è stata recentemente identificata un’ulteriore razza; queste non risultano ancora segnalate in Italia. Tra gli altri patogeni tellurici della lattuga, Verticillium dahliae è stato osservato, per la prima volta nel nostro Paese, in Emilia e Piemonte nell’autunno 2006 su piante adulte della tipologia cappuccio, alla fine del ciclo produttivo, in prossimità della maturazione commerciale. Sulla base della biologia ed epidemiologia di tale patogeno sono da considerare a rischio di attacco le piante allevate in sistemi colturali per la produzione di lattughe da cespo e non quelle coltivate per la quarta gamma. I sintomi osservati a carico delle piante colpite consistono in clorosi fogliare, riduzione dello sviluppo e imbrunimento dei tessuti vascolari. Al momento, gli attacchi del patogeno non sono di particolare gravità e sono limitati a poche aree di coltivazione in Italia, mentre tale patogeno è noto da più tempo in California e Grecia. In considerazione delle caratteristiche ottimali di sviluppo del patogeno in presenza di una temperatura dell’aria e del suolo di 20-25 °C, sono particolarmente a rischio di comparsa della verticilliosi i cicli di coltivazione primaverili e autunnali. Il marciume del colletto, dovuto agli attacchi separati o combinati di Sclerotinia minor e S. sclerotiorum, colpisce le piante in tutti gli stadi di sviluppo, ma è dannoso soprattutto su piante adul-

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Fusarium oxysporum f. sp. lactucae

Particolare dei sintomi causati da Verticillium dahliae su lattuga della tipologia cappuccina

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coltivazione te, prossime alla maturazione commerciale. Le infezioni partono dalle foglie più vecchie, a contatto con il terreno, interessando soprattutto il colletto e producendo in pochi giorni il disfacimento molle dei tessuti. Le foglie più esterne ingialliscono, avvizziscono e marciscono. La rapida distruzione dei tessuti può portare al distacco della parte aerea dal fittone oppure può interessare l’interno del cespo, che si trasforma in una massa molle. Le parti colpite vengono ricoperte da un feltro bianco sul quale si distinguono sclerozi, masserelle globose inizialmente grigiastre e mollicce, in seguito nere e consistenti, di dimensioni variabili da pochi millimetri a 1 cm. Gli attacchi di Sclerotinia spp. si accompagnano spesso a quelli di Botrytis cinerea (vedi oltre). Rhizoctonia solani provoca, oltre a morie nei semenzai, un marciume basale i cui sintomi compaiono soprattutto su piante adulte, iniziando sulle foglie basali a contatto con il terreno. Il marciume colpisce le lamine fogliari, con comparsa di necrosi sulle nervature principali e sui piccioli. Contrariamente a quanto detto per gli attacchi di marciume del colletto, l’alterazione da R. solani in genere non interessa il fusto. Sugli organi colpiti, in particolare sulla base dei piccioli fogliari, il patogeno può formare talvolta ragnatele di ife e sclerozi piatti di colore bruno. La malattia, grave nelle colture estive ed estive-autunnali, è favorita dal clima caldo-umido, da eccessi di acqua e di azoto. In coltivazioni di lattuga per la quarta gamma gli attacchi di R. solani assumono una caratteristica diffusione ad aree circolari di superficie coltivata colpita. Una particolare alterazione della lattuga è la tracheopitiosi. Botrytis cinerea, causa della classica muffa grigia, determina la comparsa di marciumi e imbrunimento dei cespi, che in segui-

Marciume basale causato da Sclerotinia sclerotiorum su lattuga

Necrosi basali estese all’apparato fogliare causate da Rhizoctonia solani su cicoria

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malattie to si ricoprono del micelio e delle fruttificazioni di colore grigio. Su lattuga sono state recentemente segnalate infezioni latenti e sistemiche di B. cinerea come conseguenza della presenza del patogeno sui semi. Il patogeno è stato isolato su substrati selettivi da semi disinfettati, superficialmente e non. L’antracnosi, causata da Microdochium panattonianum (= Marssonina panattoniana) determina la comparsa sul lembo e sui piccioli fogliari di macchioline dapprima translucide, quindi giallo-brune, di forma tendenzialmente circolare, in corrispondenza delle quali i tessuti necrotizzano e si distaccano, lasciando i lembi perforati in modo caratteristico (si parla di vaiolatura). In presenza di elevata umidità, dall’epidermide dei tessuti colpiti erompono le minutissime fruttificazioni del patogeno. Temperature di 18-22 °C consentono una rapida evoluzione della malattia, che può assumere carattere epidemico in stagioni fresche e piovose. Il patogeno sverna nei residui della vegetazione ed è trasmesso con i semi. Stemphylium botryosum è l’agente di una malattia fogliare segnalata solo nell’Italia meridionale, che determina la comparsa, soprattutto su lattuga della tipologia romana, di macchie necrotiche irregolari, ad anelli concentrici, di colore più scuro nella zona centrale. Septoria lactucae è l’agente di una malattia fogliare di secondaria importanza che consiste nella comparsa di maculature fogliari regolari. Il patogeno può essere trasmesso per seme. Un marciume del colletto, causato da Phoma exigua, è stato osservato negli Stati Uniti su lattuga della tipologia romana. La peronospora della lattuga, causata da Bremia lactucae, è una malattia diffusa nelle regioni e nei periodi a clima fresco e umido. Le

Tracheopitiosi

• Tracheopitiosi, causata da Pythium

tracheiphilum, si osserva soprattutto in colture tardive di pieno campo su piante ben sviluppate e determina l’arrossamento e l’appassimento prima delle foglie più esterne, poi di quelle interne. Le piante colpite cessano di accrescersi, si appiattiscono sul terreno assumendo un aspetto a rosetta molto tipico e avvizzendo completamente. Il cilindro centrale e i vasi legnosi risultano imbruniti

Particolare dei sintomi dell’antracnosi della lattuga causata da Microdochium panattonianum

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coltivazione piante colpite presentano sulla pagina superiore delle foglie macchie giallastre, che si ricoprono sulla pagina inferiore di un’efflorescenza biancastra costituita dai conidiofori e dai conidi del fungo. In Italia la malattia interessa soprattutto le colture autunno-invernali, divenendo dannosa soprattutto nelle annate molto piovose. Il patogeno presenta una specializzazione biologica molto spinta, con la presenza di diverse razze fisiologiche, e può conservarsi sui semi. Peraltro, la trasmissione del patogeno attraverso semi infetti non è mai stata considerata rilevante per la sua diffusione. Batteriosi Tra le numerose malattie batteriche segnalate su lattuga, sono importanti soprattutto quelle causate da Pseudomonas cichorii e Xanthomonas campestris pv. vitians, patogeni trasmessi per seme. P. cichorii è presente talora in forma grave in numerose zone di coltura italiane e determina la comparsa di macchie giallastre e brune che si fondono a formare lesioni allungate lungo le nervature centrali. X. campestris pv. vitians provoca la comparsa di lesioni fogliari simili a quelle causate da P. cichorii, nonché di marciume del fusto. Indivia e cicoria Una nuova malattia causata da un Fusarium oxysporum è stata osservata per la prima volta in Italia nell’estate del 2007, su piante di indivia (Cichorium endivia) cultivar Myrna, in Piemonte. I sintomi osservati a carico delle piante colpite consistono in un accrescimento ridotto, clorosi fogliari, un evidente sviluppo asimmetrico del cespo e vistosi fenomeni di collasso seguiti da avvizzimento.

Necrosi fogliari causate da Pseudomonas cichorii su lattuga allevata in campo

Sintomi degli attacchi di Bremia lactucae su lattuga

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malattie Le foglie basali presentano aree necrotiche e vanno incontro a una precoce senescenza. Le piante in sezione presentano un imbrunimento dei tessuti xilematici prevalentemente localizzato nella regione del colletto, mentre l’apparato radicale risulta normale. I tessuti alterati non mostrano la comparsa di marciumi. Alla luce delle limitate conoscenze di questo patogeno repentinamente comparso su indivia in un’area di coltivazione tipica per la produzione di tale coltura e attualmente in fase di espansione, sarà necessario un approfondimento degli studi sulla sua biologia ed epidemiologia. Tra i patogeni che attaccano l’indivia sono riportati in bibliografia Rhizoctonia solani e Sclerotinia spp., responsabili dei marciumi parenchimatici descritti nel paragrafo dedicato alla lattuga. Recentemente sono stati segnalati in Italia su cicoria (Cichorium intybus), cultivar pan di zucchero, marciumi del colletto, causati da Phytophthora tentaculata. I sintomi consistono in clorosi fogliare, riduzione dello sviluppo, necrosi al colletto e imbrunimento dei tessuti radicali. Alternaria cichorii provoca la comparsa, soprattutto sulle foglie più vecchie, di macchioline circolari o angolari, nerastre, che in seguito si accrescono a formare chiazze più estese, spesso di diametro superiore a 1 cm, a contorno irregolare. A completo sviluppo le macchie presentano zonature concentriche e necrosi della parte centrale. Le macchie, in presenza di condizioni ambientali favorevoli, possono confluire producendo dapprima l’accartocciamento, poi la rapida senescenza, l’ingiallimento e il disseccamento delle foglie. Il patogeno sverna sui semi o su residui di piante infette. Le infezioni sono favorite da piogge, elevata umidità ambientale

Attacchi in campo di Fusarium oxysporum su indivia: particolare dei sintomi dell’imbrunimento dei vasi e necrosi delle foglie basali

Manifestazione dei sintomi degli attacchi di Phytophthora tentaculata su cicoria Necrosi fogliari causate da Alternaria cichorii su cicoria

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coltivazione e temperature intorno ai 20-24 °C, ma possono verificarsi anche entro limiti termici più ampi (10-30 °C). In alcune aree di coltivazione è presenti anche Erysiphe cichoracearum, agente del mal bianco, che può causare gravi danni a carico dell’apparato fogliare delle piante colpite. Attacchi di Septoria intybi su indivia, osservati in Umbria, sono stati attribuiti all’impiego di semi contaminati. Il patogeno causa la comparsa sulle foglie delle piante colpite di macchie regolari, sulle quali si formano minutissimi picnidi contenenti i conidi del fungo. L’antracnosi, causata da Microdochium panettonianum (= Marssonina panattoniana), colpisce indivia e cicoria. A tale proposito, si rimanda a quanto detto per la lattuga.

Rucola selvatica e rucola coltivata

• A livello commerciale è possibile

trovare la rucola coltivata, destinata essenzialmente alla preparazione di mazzetti, e la rucola selvatica, presente sul mercato come ibrido e principalmente impiegata per allestire confezioni pronte per l’uso. In provincia di Bergamo, nel corso del 2002, è stata osservata la presenza di tracheofusariosi su rucola coltivata e selvatica. Su entrambe le specie la malattia è causata da F. oxysporum f. sp. raphani e da F. oxysporum f. sp. conglutinans, due formae speciales capaci di colpire anche altre piante appartenenti alle Brassicacee, quali cavolo, cavolo di Bruxelles, rapa

Batteriosi Tra gli agenti di batteriosi, Pseudomonas cichorii attacca anche indivia e cicoria, causando la comparsa di macchie giallastre e brune che si fondono a formare lesioni allungate lungo le nervature centrali. Rucola Malattie fungine La produzione della rucola nell’Italia settentrionale si estende da aprile a ottobre integrandosi in modo perfetto con le coltivazioni di lattuga, di valerianella e di spinacio. In provincia di Bergamo, nel corso del 2002, è stata osservata la presenza di tracheofusariosi su rucola coltivata (Eruca sativa) e su rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia). Su entrambi i tipi di rucola

Diffusione degli attacchi di Rhizoctonia solani in coltivazioni di rucola per la quarta gamma

Sintomi di tracheofusariosi causata da Fusarium oxysporum ff. sp. conglutinans e raphani su rucola coltivata

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malattie la malattia è causata da F. oxysporum f. sp. raphani e da F. oxysporum f. sp. conglutinans, due formae speciales capaci di colpire anche altre piante appartenenti alle Brassicacee, quali cavolo, cavolo di Bruxelles, rapa. La tracheofusariosi su rucola è stata osservata, oltre che in Lombardia, anche in Piemonte e risulta particolarmente grave nel periodo primaverile-estivo con temperature dell’aria comprese tra 23 e 34 °C. Anche per le due formae speciales di Fusarium agente della tracheofusariosi della rucola è stata dimostrata la trasmissibilità mediante seme. I marciumi basali causati da Rhizoctonia solani e Sclerotinia sclerotiorum su rucola selvatica e coltivata sono responsabili di gravi danni nelle coltivazioni di rucola per la quarta gamma. A livello dell’apparato fogliare è nota la presenza in Italia, sempre su E. sativa e su Diplotaxis tenuifolia, della peronospora causata da Peronospora parasitica. L’alterazione è favorita da condizioni di elevata umidità relativa prolungata, bagnatura fogliare e temperature miti (12-15 °C). I sintomi si manifestano sotto forma di ingiallimenti più o meno marcati del lembo fogliare seguiti, in presenza di alta umidità relativa ambientale, dalla produzione, sulla pagina fogliare inferiore e superiore, di una rada fruttificazione ialino-grigiastra. Nelle fasi più avanzate della malattia le piante appaiono completamente ingiallite e con fogliame di consistenza alterata.

Particolare dei sintomi causati da Peronospora parasitica su rucola selvatica

Batteriosi Su rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia) sono stati segnalati attacchi di Xanthomonas campestris, che causa la comparsa di clorosi e necrosi diffuse sulle foglie prossime alla raccolta. Serra tunnel di rucola

Foto R. Angelini

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coltivazione Valerianella Malattie fungine Sempre in Lombardia, anche su valerianella (Valerianella olitoria) è stata osservata una nuova tracheofusariosi, causata dalle due formae speciales F. oxysporum f. sp. raphani e F. oxysporum f. sp. conglutinans segnalate anche su rucola. Gli attacchi di F. oxysporum su valerianella si manifestano con un ridotto sviluppo, una clorosi diffusa all’intero lembo fogliare e lievi imbrunimenti vascolari seguiti da fenomeni di epinastia. Gli attacchi sono gravi, soprattutto in presenza di intervalli di temperatura compresi tra 25 e 30 °C. Sempre in presenza di livelli termici medio-elevati, compresi tra 24 e 30 °C, Rhizoctonia solani, gruppo di anastomosi AG4, agente del marciume del colletto, recentemente è risultata responsabile di gravi perdite di produzione della coltura. In presenza di livelli termici diurni variabili tra i 10 e i 20 °C, sono stati osservati su tale coltura attacchi di Thielaviopsis basicola. Questo patogeno è responsabile di una ridotta crescita delle piante infette, che risultano interessate da una clorosi diffusa all’intero lembo fogliare con sintomi che possono far supporre la presenza di carenze nutrizionali, mentre a carico dell’apparato radicale risulta visibile la presenza di imbrunimenti radicali che si estendono fino alla zona del colletto. Oltre alle problematiche fitopatologiche emergenti, la valerianella è interessata da una recrudescenza degli attacchi di patogeni già noti da tempo con particolare riferimento a Phoma valerianellae e

Sintomi di tracheofusariosi su valerianella in coltivazioni per la quarta gamma Clorosi fogliari causate da Thielaviopsis basicola su valerianella in coltivazioni per la quarta gamma

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malattie Sclerotinia minor. P. valerianellae determina sulle piante molto giovani un leggero imbrunimento ed evidenti strozzature a livello del colletto; successivamente l’imbrunimento si accentua in tonalità e si estende alla porzione basale dello stelo. Le piante colpite avvizziscono completamente nel giro di 3-4 giorni, andando soggette a un marciume che interessa tutti i tessuti della zona del colletto. Il patogeno è trasmissibile per seme con una percentuale di semi contaminati che varia tra lo 0,6 e il 15%, valori del tutto sufficienti a permettere una rapida diffusione del patogeno in campo. La possibilità di impiegare tecniche molecolari per il rilevamento rapido e affidabile del patogeno sui semi di valerianella contribuisce a ridurre il rischio di introduzione del patogeno in campo. Sclerotinia minor causa la comparsa di un marciume del colletto e può colpire le piante a ogni stadio di sviluppo, causando però i danni più gravi alle piante adulte, vicine alla maturità commerciale. Le infezioni partono dalle foglie più vecchie, vicine al terreno, che cominciano ad andare incontro a degradazione completa. La rapida distruzione dei tessuti può portare al distacco della parte aerea dal fittone. Le piante colpite sono ricoperte da un feltro bianco sul quale si distinguono gli sclerozi del fungo. Attacchi sporadici, ma anch’essi in aumento, sono quelli causati a livello fogliare da Peronospora valerianellae, che può causare gravi lesioni deprezzando notevolmente il prodotto. Sempre a carico dell’apparato fogliare è recente la segnalazione di attacchi di un mal bianco responsabile di clorosi e disseccamenti fogliari, generalmente accompagnati da una riduzione dello

Marciumi causati da Rhizoctonia solani su valerianella

Particolare dei sintomi degli attacchi di Phoma valerianellae su valerianella

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coltivazione sviluppo che può causare la morte dell’ospite. La malattia, osservata in Liguria e in Lombardia, si manifesta sul fogliame con la presenza di un micelio compatto di colore bianco, abbondante in particolare sulla pagina fogliare superiore e meno evidente su quella inferiore. Il patogeno, inizialmente attribuito a Oidium subgen. Pseudooidium, è stato identificato mediante il ricorso alla tecnica ITS come Golovinomyces orontii.

Concetti generali della difesa

• Gli ingenti investimenti di capitale

e i notevoli costi di esercizio rendono del tutto inaccettabile, dal punto di vista tecnico ed economico, per l’operatore orticolo il rischio di subire danni alle colture a causa di attacchi parassitari. Se si aggiunge il fatto che molto spesso, nel campo delle colture prese in esame, ci si trova a operare in ambiente protetto e quindi in condizioni molto favorevoli allo sviluppo epidemico di alcune malattie e che il fattore estetico riveste un’importanza notevole nel determinare il prezzo del prodotto finale, appaiono evidenti l’elevata importanza assunta in questo campo dall’adozione di una corretta e tempestiva difesa, che viene condotta integrando metodi diversi, e la conseguente disponibilità dell’operatore a dedicare a essa notevole attenzione in termini di tempo e denaro

Batteriosi Tra i patogeni a potenziale rischio di introduzione nelle aree di coltivazione della valerianella è da considerare Acidovorax valerianellae, di cui è nota la trasmissibilità mediante seme. Tale batterio è stato già osservato in diversi Paesi dove tale coltura è effettuata, tra cui la Francia, dove annualmente causa il 10% delle perdite di prodotto, il Belgio e la Germania, mentre, allo stato attuale delle conoscenze, non è ancora presente nel nostro Paese. Prevenzione e difesa Pratiche colturali e coltura fuori suolo Le colture orticole oggetto di questa nota sono frequentemente effettuate in serra di vetro o plastica o in tunnel e quindi in ambiente protetto. Tali coltivazioni si attuano in assenza di rotazioni, con fittezza di impianto molto elevata, in substrati abbondantemente concimati, con forti apporti idrici e di elementi minerali: tutti questi fattori, in genere, favoriscono gli attacchi parassitari. Inoltre, nell’ambiente confinato della serra o del tunnel si instaurano condizioni di umidità, temperatura, luminosità e ventilazione fonda-

Sintomi di mal bianco causato da Golovinomyces orontii su valerianella

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malattie mentalmente diverse da quelle che interessano le piante coltivate in piena aria, condizioni tendenzialmente costanti, più stabili di quelle del pieno campo, più favorevoli a molti parassiti e, nel contempo, perlopiù sfavorevoli alla produzione di tessuti resistenti a funghi e batteri. Il ricorso a semplici norme igieniche può risultare molto utile per un’efficiente profilassi. D’altra parte, l’ambiente confinato della serra e del tunnel si presta molto meglio dell’ambiente esterno a essere controllato dall’orticoltore. Temperatura e umidità dell’aria e del terreno, pH e struttura del suolo possono essere fatti variare opportunamente in modo da ostacolare lo sviluppo dei patogeni. Per esempio, il riscaldamento e la ventilazione permettono di ridurre l’incidenza degli attacchi di specie di Alternaria e di tutti quei funghi e batteri che sono favoriti da lunghi periodi di bagnatura degli organi suscettibili. Questi interventi, pur accrescendo i costi di produzione, presentano il vantaggio non indifferente di consentire una riduzione dell’uso di mezzi chimici, evitando la presenza di residui di agrofarmaci alla raccolta e la comparsa di non infrequenti fenomeni di fitotossicità. Il ricorso a modifiche del pH e della struttura del terreno e dei substrati di coltura può fortemente influenzare l’incidenza di alcuni parassiti terricoli. Per esempio, l’uso di ammendanti a pH acido, come la torba, riduce l’incidenza di alcune Phytophthorae. La sistemazione del terreno in aiuole baulate e l’uso di ammendanti per migliorare la struttura del terreno, al fine di impedire ristagni di acqua in punti diversi della serra, permettono di ridurre anche il problema degli attacchi di diverse specie di Pythium e Phytophthora. L’impiego di compost e di terreni repressivi trova nell’ambiente confinato della serra le condizioni per poter essere utilizzato. In

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Avvizzimento a seguito di attacco di Sclerotinia

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coltivazione colture protette possono, poi, essere impiegati i bancali sopraelevati e, più in generale, strutture atte da un lato a favorire il corretto sviluppo della pianta e dall’altro a consentire un migliore contenimento di alcuni patogeni, riducendo la possibilità di reinfestazione di terreni disinfettati a vapore o con fumiganti. Nel caso dei patogeni terricoli, una pratica agronomica interessante è rappresentata dalla biofumigazione, che consiste nel sovescio di piante ad azione biocida con l’incorporazione nel terreno di grandi quantità di biomassa fresca. Se questa tecnica è compatibile con gli avvicendamenti colturali, la coltivazione e il sovescio di specie appartenenti alla famiglia delle Brassicacee permette l’apporto al terreno di sostanze a elevata azione fungitossica. Un’ulteriore possibilità è oggi offerta dal ricorso alle colture fuori suolo. Tale tecnica colturale, peraltro piuttosto costosa dal punto di vista degli investimenti, ha profonde implicazioni sotto il profilo fitopatologico, in quanto determina una notevole riduzione dell’incidenza di malattie radicali e vascolari causate da alcune formae speciales di Fusarium oxysporum, da Verticillium dahliae, da Sclerotinia sp. e da Rhizoctonia solani. Tuttavia, in queste condizioni, l’eventuale introduzione di un patogeno talvolta comporta la sua veloce diffusione, con conseguenti gravi danni. Le condizioni in cui vengono mantenute le piante in tali sistemi colturali le rendono particolarmente suscettibili agli attacchi da parte di parassiti secondari (per es. alcune specie di Penicillium, Pythium, Phytophthora), ma anche di alcuni Fusarium, determinando situazioni fitopatologiche molto peculiari e rendendo necessario ricorrere a metodi di difesa innovativi.

Importanza delle norme igieniche

• La scrupolosa osservanza di alcune

norme igieniche essenziali risulta di sufficientemente facile attuazione e di estrema utilità nel caso di colture protette. Esse consistono nella rimozione delle piante della coltura precedente e dei detriti rimasti nel terreno o substrato di coltura; nella disinfezione di vasi, attrezzi e abiti degli operatori; nel lavaggio delle mani prima e dopo il lavoro. Le piante dovrebbero essere maneggiate il meno possibile e, soprattutto, gli operatori non dovrebbero mai toccare piante sane dopo aver maneggiato piante infette. Si deve inoltre ricordare come l’acqua di irrigazione possa essere facile veicolo di patogeni

Attacco di Sclerotinia dopo rimozione del cespo

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malattie Difesa genetica L’impiego di cultivar resistenti costituisce la scelta dell’operatore più valida sotto il profilo tecnico ed economico. Almeno nel caso di alcune delle colture prese in esame in questo volume (lattuga, rucola ecc.) esistono sul mercato cultivar resistenti nei confronti di alcuni dei principali parassiti. Tuttavia, ciò che spesso scoraggia l’impiego del miglioramento genetico e, più in generale, della resistenza genetica come mezzo di lotta è l’estrema dinamicità che caratterizza le colture orticole, con il continuo aggiornamento delle specie e varietà coltivate. Inoltre, l’impiego di cultivar resistenti spesso da solo non sempre riesce a risolvere integralmente i problemi causati dai parassiti del terreno. Infatti, la comparsa sul mercato di varietà resistenti a uno o più parassiti non pone al riparo dalla diffusione di altri agenti di malattia contro i quali le piante si comportano come suscettibili. È questo un fenomeno assai frequente, per esempio, nel caso delle tracheofusariosi: su molte colture si selezionano nel tempo razze fisiologiche di Fusarium oxysporum diverse da quelle presenti originariamente e contro le quali erano state selezionate le cultivar resistenti. Considerata l’importanza economica della lattuga, l’industria sementiera si sta rapidamente attrezzando per mettere sul mercato varietà resistenti. Anche nel caso della tracheoverticilliosi della lattuga sono state selezionate varietà resistenti. Su rucola, sempre nel caso della tracheofusariosi, l’impiego di cultivar resistenti o tolleranti rappresenta una soluzione soltanto parziale. Le diverse cultivar di Eruca sativa presenti sul mercato sementiero italiano risultano comunque suscettibili alla malattia in

Terricci e compost repressivi

• Terreni, terricci e compost repressivi

possono trovare impiego soprattutto nel settore vivaistico. In questi substrati, noti e segnalati da anni in diversi Paesi, non si osserva né lo sviluppo del patogeno né la comparsa della malattia o, comunque, non si riscontrano gravi danni, provocati da questa, nonostante il patogeno sia naturalmente presente o sia introdotto artificialmente. Terreni e substrati repressivi nei confronti di diversi patogeni terricoli sono stati ripetutamente segnalati: nel caso dei compost l’azione repressiva sarebbe dovuta non soltanto all’azione di microrganismi antagonisti presenti nei compost, ma anche, in alcuni casi, alla presenza di particolari composti chimici formatisi nel corso del compostaggio. Di particolare interesse risulta poi la possibilità di colonizzazione controllata dei compost, utilizzando microrganismi antagonisti da essi stessi ottenuti

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Biofumigazione

• La famiglia delle Brassicacee si

caratterizza per l’abbondante produzione di metaboliti secondari derivanti dalla degradazione enzimatica via mirosinasi di glucosinolati, sostanze naturali accumulate nei tessuti di queste piante. Tali prodotti appartengono in larga parte agli isotiocianati, che sono in grado di svolgere nel terreno una significativa azione biocida per la lotta a numerosi parassiti vegetali e animali. Applicata tal quale e/o combinata con la solarizzazione, la biofumigazione può risultare pertanto interessante per alcune colture, soprattutto nel caso dell’adozione di tecniche di produzione biologica

Sclerotinia su lattuga

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coltivazione misura superiore rispetto a quanto osservato per gli ibridi coltivati di Diplotaxis tenuifolia. Va detto che nel caso di E. vesicaria e D. tenuifolia l’industria sementiera sta attuando intensi programmi di miglioramento genetico, che stanno fornendo i primi risultati, anche se poche sono finora le varietà resistenti o tolleranti alla malattia. Nel caso della valerianella, al momento è nota l’elevata suscettibilità delle cultivar Trophy e Palmares, le più diffusamente impiegate nel nostro Paese nelle coltivazioni destinate alla quarta gamma, nei confronti della tracheofusariosi. Una fonte genetica di resistenza all’alternariosi della cicoria (Alternaria cichorii) è stata rinvenuta nelle due cultivar Pan di zucchero e Verde di Milano. Lactuca saligna risulta resistente all’antracnosi, causata da Microdochium panattonianum. Alcune cultivar di lattuga, appartenenti soprattutto alle tipologie romana e cappuccio, sono meno sensibili di altre all’antracnosi. In Australia, Lactuca serriola, indivia e cicoria risultano resistenti all’antracnosi. In generale, va ricordato che in presenza di una resistenza genetica parziale è comunque ipotizzabile l’integrazione con altri mezzi di difesa.

Disinfezione della soluzione nutritizia nel fuori suolo

• Le colture fuori suolo rappresentano

la situazione ideale per consentire l’adozione di tecniche di difesa innovative: dall’impiego di raggi UV, di ozono o di filtri ad azione lenta a sabbia per la disinfezione della soluzione nutritizia, in modo da eliminare i propaguli degli eventuali patogeni trasportati dall’acqua, all’introduzione mirata di microrganismi antagonisti o anche di dosi limitate di fungicidi. L’impianto di distribuzione della soluzione nutritizia può essere realizzato seguendo due differenti strategie: senza recupero del percolato (ciclo aperto), garantendo solo un limitato sfruttamento della dotazione di sostanze nutritizie di partenza, o con riciclo del percolato (ciclo chiuso). Rispetto al primo metodo, quest’ultimo utilizza sistemi di controllo più sofisticati per valutare in entrata e, soprattutto, in uscita le caratteristiche della soluzione che deve essere sottoposta a disinfezione con metodi diversi, al fine di garantire un basso rischio di ridistribuzione di eventuali patogeni tramite la stessa soluzione ricircolata

Difesa fisica La possibilità dell’impiego della disinfestazione fisica del terreno con l’uso del vapore è tra le strategie di difesa dai patogeni tellurici che riscuotono un crescente interesse a seguito della scomparsa e delle limitazioni di alcuni fumiganti; tuttavia, numerose sono le problematiche di natura tecnica ed economica che rendono Foto R. Angelini

Ridotto sviluppo a seguito di attacco di tracheofusariosi

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malattie difficile tale tecnica in trattamenti di pieno campo. I risultati relativi al contenimento dei patogeni tellurici in condizioni controllate evidenziano come l’iniezione di vapore in profondità risulti la tecnica più efficiente, rispetto all’impiego del trattamento in superficie con piastra, nel ridurre la sopravvivenza delle strutture di resistenza di agenti di fusariosi e dei propaguli di Rhizoctonia solani. Sulla base dei risultati ottenuti, pare prossima la messa a punto di una macchina per la disinfestazione del terreno con vapore in grado di soddisfare la necessità di ridurre sia i tempi sia i costi del trattamento. Un altro metodo parzialmente fisico è rappresentato dalla solarizzazione, che risulta assai interessante per la disinfezione del terreno nelle aree geografiche in cui i suoli possono raggiungere temperature sufficienti a devitalizzare i principali parassiti terricoli (e semi di infestanti) quando il trattamento è applicato per 4 settimane. La solarizzazione può, con successo, essere combinata con l’uso di dosi ridotte di fumiganti, con mezzi biologici e con la biofumigazione. Pertanto, essa rappresenta una pratica pienamente sostenibile e di grande interesse per le colture prese in esame in questo volume. Purtroppo il suo impiego pratico trova forte ostacolo a causa della necessità di sospendere la coltura per un mese (nelle nostre condizioni luglio o agosto), periodo questo in cui alcune delle colture di cui ci occupiamo sono in atto. Un’ulteriore possibilità applicativa dei mezzi fisici è rappresentata dai trattamenti di concia delle sementi, come sarà illustrato nel paragrafo successivo.

Varietà di lattuga resistenti alla tracheofusariosi

• Nel caso di F. oxysporum f. sp. lactucae

in Italia è presente attualmente soltanto la razza 1 del patogeno, contro la quale l’industria sementiera si sta attrezzando per produrre cultivar resistenti. Sono però già state individuate in Asia altre tre razze in grado di superare la resistenza inserita nelle cultivar di lattuga nostrane. Le cultivar da noi saggiate, appartenenti alla tipologia romana, mostrano un comportamento variabile. Mentre le varietà a foglia riccia della tipologia lollo dimostrano, complessivamente, un buon livello di resistenza alla tracheofusariosi, le cultivar a foglia di quercia, diffusamente impiegate nel settore della quarta gamma, presentano invece un’elevata suscettibilità a F. oxysporum f. sp. lactucae. Per le lattughe della tipologia cappuccio, prevalentemente impiegate nelle coltivazioni di lattuga da cespo, poche sono ancora le cultivar resistenti commercializzate in Italia

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Imbrunimento vascolare su stelo di insalata attaccato da Sclerotinia

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coltivazione Difesa chimica L’impiego di mezzi chimici, che ha svolto un ruolo fondamentale in passato, trova attualmente crescenti restrizioni normative. Questo è dovuto alla continua perdita di prodotti registrati per l’impiego su colture che sono considerate minori a livello mondiale e all’adozione di normative sempre più restrittive per la registrazione di nuovi agrofarmaci. Peraltro, la perdita, attraverso il processo di rivalutazione di un gran numero di prodotti ad ampio spettro di azione, e la scarsa disponibilità di nuovi principi attivi favoriscono la comparsa di resistenza nei confronti dei pochi fungicidi che rimangono disponibili. Per evitare pertanto che, in futuro, l’insorgere e il diffondersi della resistenza renda necessario abbandonare completamente alcuni gruppi di fungicidi, è estremamente importante che l’orticoltore acquisisca sempre più la consapevolezza dell’esigenza di alternare l’impiego di fungicidi dotati di un diverso meccanismo di azione. Soltanto in questo modo sarà possibile garantire una lunga durata di impiego a prodotti estremamente attivi e spesso indispensabili per un’efficace protezione delle colture orticole. Tra i mezzi chimici, azoxystrobin e pyraclostrobin + boscalid hanno fornito risultati interessanti per il contenimento di Phoma exigua su lattuga, quando applicati come trattamenti fogliari immediatamente dopo il trapianto. Trattamenti fogliari con prodotti a base di rame, applicati in vivaio su piante di lattuga ottenute da semi infetti da X. campestris pv. vitians, hanno fornito un significativo contenimento della batteriosi in coltura protetta. Molti orticoltori fanno ricorso alla disinfestazione chimica del terreno: tra i prodotti disponibili a questo scopo, possiamo citare la

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Sclerotinia su radicchio

La solarizzazione è interessante per la disinfestazione e anche per la devitalizzazione dei semi delle infestanti

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malattie cloropicrina e i precursori di isotiocianato (metham sodio, metham potassio e dazomet), applicati mediante iniezione o irrigazione. La scelta del fumigante va effettuata in funzione del problema fitopatologico da affrontare, del tipo di terreno da trattare, dell’epoca del trattamento oltre che, naturalmente, del costo dello stesso. Temperatura, umidità, struttura e condizioni fisiche del terreno sono tutti fattori critici nell’impiego efficace dei fumiganti. La disinfestazione chimica del terreno può determinare, inoltre, squilibri microbiologici: per esempio, nel caso in cui si operi in terreni “repressivi” nei confronti delle fusariosi, è stato dimostrato che interventi con dosi elevate di fumiganti possono ridurre fortemente questo fenomeno positivo. Va ricordato che l’impiego di alcuni fumiganti non è previsto dai disciplinari di produzione in vigore per le produzioni integrate o è del tutto vietato in coltivazioni biologiche. Diversi fungicidi possono realizzare una disinfezione parziale del terreno. Data la loro specificità, essi vanno scelti di volta in volta in funzione del o dei patogeni presenti: la combinazione di due o più di essi consente di combattere una più vasta gamma di parassiti. Negli ultimi trent’anni l’ingresso sul mercato dei fungicidi sistemici ha provocato profonde modificazioni nell’uso di tali prodotti nel terreno, consentendo per esempio di intervenire con successo contro agenti di tracheofusariosi e di verticilliosi. I fungicidi possono, inoltre, essere utilizzati in trattamenti di concia dei semi, come descritto nel paragrafo successivo.

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L’irrigazione per aspersione favorisce l’attacco delle malattie

Difesa biologica Purtroppo ancora pochi sono i microrganismi utilizzabili nella pratica in quanto registrati. Tra i pochi mezzi biologici disponibili o Sviluppo ridotto di pianta colpita da tracheofusiarosi

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coltivazione vicini alla registrazione, attivi contro patogeni tellurici, si citano forme saprofite di Fusarium, isolate da terreni repressivi e attive contro agenti di tracheofusariosi, utilizzabili nella lotta alle tracheo­ fusariosi. Fusarium spp., saprofiti e ceppi di Trichoderma sono risultati efficaci nei confronti della tracheofusariosi della lattuga. Sempre per la lotta a funghi terricoli sono stati selezionati ceppi di Trichoderma harzianum e Gliocladium virens attivi contro specie di Pythium e Phytophthora e contro Rhizoctonia solani. Tra i pochi microrganismi in uso va ricordato un ceppo di Streptomyces griseoviride, isolato da torba di sfagno, che presenta una certa efficacia, seppur variabile, nei confronti di agenti di marciumi radicali. Microrganismi antagonisti possono anche essere utilizzati in trattamenti di concia, come riportato in seguito.

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Prodotti naturali L’impiego di sostanze naturali diverse da zolfo e rame rappresenta un’ulteriore possibilità di un certo interesse per le colture orticole. La molteplicità delle sostanze utilizzabili, l’eterogeneità della loro natura, la scarsità di precise e, soprattutto, attendibili indicazioni derivanti da una seria e accurata sperimentazione rende questo settore di difficile caratterizzazione. Le sostanze prodotte naturalmente dalle piante o da microrganismi rappresentano, comunque, un’enorme riserva di molecole potenzialmente dotate di attività biocida. Alcuni sali minerali (silicato di sodio e di potassio, bicarbonato di sodio e di potassio, fosfati) presentano un’attività fungicida inLa difesa dalle malattie inizia in vivaio

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malattie teressante, anche se non sempre chiarita nei suoi meccanismi. In particolare, i fosfati possono trovare interessanti prospettive d’impiego nella lotta ai mal bianchi delle Cucurbitacee, mentre i silicati rivestono un notevole interesse per possibili applicazioni nelle coltivazioni fuori terra, ove hanno dimostrato di rendere le piante più resistenti agli attacchi di alcuni parassiti. Assai intensa è poi la ricerca di sostanze di origine naturale attive nei trattamenti di concia delle sementi. Il crescente interesse creatosi, in particolare, attorno ai prodotti di origine naturale sta stimolando un’intensa sperimentazione che consentirà di valutare realisticamente le possibilità di impiego di questi prodotti naturali.

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Considerazioni conclusive Le orticole da foglia, in particolare quelle coltivate per la quarta gamma, rappresentano un ulteriore esempio di come l’intensificazione colturale possa portare all’insorgenza di nuovi problemi fitopatologici, di non facile soluzione in un contesto sempre più caratterizzato da un lato dalla conversione delle produzioni verso tecniche di produzione che seguono le norme dell’agricoltura biologica e dall’altro da una sempre più limitata disponibilità di mezzi chimici di difesa. Di non secondaria importanza è poi la diffusione di gravi parassiti mediante semente già infetta. Come verrà evidenziato in un successivo capitolo, appare molto importante il ricorso a tutte quelle tecniche che permettono di ridurre fortemente il rischio di

Sclerotinia L’impiego di seme sano favorisce l’uniformità di emergenza

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coltivazione trasmissione per seme dei parassiti. Per evitare l’uso di materiale infetto svolge, inoltre, un ruolo importante la disponibilità di tecniche diagnostiche utilizzabili per evidenziare rapidamente l’eventuale presenza di patogeni, che oggi si avvalgono soprattutto di tecniche molecolari. La difficoltà maggiore nell’applicazione di efficienti strategie di difesa è in primo luogo dovuta alla difficoltà di chiarire immediatamente e con certezza l’origine geografica del materiale propagativo. L’uso di seme sano, o opportunamente trattato con le varie opzioni disponibili, rappresenta un pilastro delle strategie di difesa integrata. Un grosso aiuto può essere fornito dalla diagnostica molecolare e dagli studi filogenetici attuabili con tecniche di biologia molecolare: la rapida individuazione di rapporti tra parassiti di nuova segnalazione e potenziali fonti già individuate in altre parti del mondo potrebbe, infatti, attivare strategie preventive basate sul controllo fitosanitario del materiale propagativo. Per esempio, gli studi condotti sull’agente della tracheofusariosi della lattuga hanno permesso di confermare che gli isolati rinvenuti in Italia sono sostanzialmente identici a quelli ritrovati in Giappone e negli Stati Uniti d’America e di conseguenza l’impostazione della lotta può essere identica. Queste misure, insieme all’adozione di varietà dotate almeno di un certo livello di resistenza e al ricorso ai trattamenti strettamente necessari, possono contribuire significativamente al miglioramento qualitativo delle sementi e a garantire qualità e salubrità dei prodotti orticoli.

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Le orticole per la quarta gamma rappresentano un ulteriore esempio di insorgenza di nuovi problemi fitopatologici

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malattie Nel complesso, almeno per la tracheofusariosi della lattuga, l’impiego della resistenza genetica è la scelta tecnicamente ed economicamente consigliabile, anche se tale scelta presuppone una continua attività di sperimentazione sul materiale vegetale immesso sul mercato e un costante monitoraggio della situazione razziale del patogeno. L’impiego della resistenza genetica è, inoltre, una strategia facilmente combinabile con altri mezzi di difesa ed è, infatti, già ampiamente utilizzata su lattuga per la difesa da Bremia lactucae e parzialmente per la lotta a Sclerotinia minor. Su rucola, invece, la situazione attuale non permette di considerare la lotta genetica come la soluzione del problema della tracheo­ fusariosi: il numero ridotto di varietà tolleranti alla malattia renderebbe necessario da parte dell’industria sementiera un grosso sforzo, volto a programmi di miglioramento genetico di Diplotaxis tenuifolia ed Eruca vesicaria. La disinfestazione del terreno rientra, comunque, tra le strategie di difesa potenzialmente adottabili nella lotta a tutti i patogeni terricoli: la scelta è tuttavia vincolata, come già detto, a fattori economici, tecnici e normativi. Di grande importanza sono tutti gli interventi agronomici volti a contenere l’incremento del potenziale di inoculo dei parassiti nel terreno e a creare condizioni ambientali non predisponenti per le infezioni fogliari. È facile, infatti, prevedere che in un contesto di limitata disponibilità di mezzi chimici sarà sempre più necessario fare ricorso a metodi agronomici e genetici per contenere gli attacchi dei parassiti agenti di malattie fogliari e radicali.

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La semente già infetta è determinante per la diffusione di gravi parassiti

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le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Virosi Donato Gallitelli, Tiziana Mascia

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Virosi Foto R. Angelini

Il numero di virus potenzialmente capaci di infettare le insalate (in genere lattuga, scarola e indivia) è alto, ma di essi solo alcuni inducono danni rilevanti. La specie virale più nota e diffusa è Lettuce Mosaic Virus (LMV), seguita da Tomato Spotted Wilt Virus e da due virus, spesso associati, che inducono una malattia nota come “big vein”, ovvero Mirafiori Lettuce Big-Vein Virus (MLBVV) e Lettuce Big-Vein associated Virus (LBVaV). L’elenco dei virus economicamente più importanti può essere chiuso da Lettuce Infectious Yellows Virus (LIYV), Tomato Chlorotic Spot Virus (TCSV) e Groundnut RingSpot Virus (GRSV), non ancora presenti negli areali italiani. Altre specie virali rivestono importanza perlopiù a livello locale poiché diffuse in funzione delle condizioni agroclimatiche dei diversi Paesi. Solo alcuni dei virus citati infettano in modo specifico le insalate: la maggioranza è patogena di un numero più o meno elevato di altre specie, coltivate e spontanee. Variabili sono anche le loro modalità di trasmissione, il che complica le possibilità di intervento, che vanno predisposte caso per caso. In questa sede sono fornite indicazioni che riguardano gli aspetti eco-epidemiologici delle principali virosi delle insalate e le possibilità di un loro contenimento.

Myzus persicae Foto B. Espinosa

Lettuce Mosaic Virus (LMV) Tra i virus che infettano in modo specifico le insalate, LMV è il più diffuso in tutte le aree di coltivazione, dove induce danni economicamente molto rilevanti. LMV è una specie del genere Potyvirus, famiglia Potyviridae, le cui vie di trasmissione naturale sono attraverso il seme e gli afidi. Il seme rappresenta la modalità di trasmissione più rilevante ed è stato stimato sia sufficiente lo 0,1% di seme infetto per introdurre nella coltura un numero di foci utili alla successiva estensione dell’infezione alle altre piante mediante afidi. La trasmissione di LMV attraverso il seme è molto efficiente, tanto che, nell’esperienza di chi scrive, non sono mancati casi in cui oltre il 70% dei semi di uno stesso lotto è risultato infetto. Tuttavia, la percentuale di trasmissione dipende dal genotipo dell’ospite, dalla variabilità genetica intrinseca del virus e dalle condizioni ambientali. A tal proposito è stato dimostrato che una più elevata trasmissione attraverso il seme si verifica in concomitanza con periodi caratterizzati da temperature miti. Tra le specie afidiche più attive nella trasmissione del virus vi sono Myzus persicae, Acyrthosiphon pisi, Aphis gossypii e Macrosiphon euphorbiae. La trasmissione è di tipo non persistente ed è un fenomeno molto specifico, mediato dalla proteina di rivestimento del virus o da una particolare proteina, definita “componente helper”, tipica dei potyvirus. Il prolungarsi del periodo di saggio sulla

Femmina di Aphis gossypii partenogenica partoriente

Aphis gossypii

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virosi pianta causa la riduzione dell’efficienza di trasmissione perché le particelle virali adsorbite sullo stiletto dell’afide sono facilmente rimosse, così che il periodo di infettività dei vettori è stimato nell’ordine di una o due ore. L’infettività è perduta più rapidamente se i vettori effettuano ulteriori punture di saggio, mentre può persistere anche fino a 24 ore se essi non hanno la possibilità di accedere alle piante. Così, i principali responsabili della diffusione dei virus trasmessi in modo non persistente non sono gli afidi che colonizzano la coltura, ma quelli che la visitano occasionalmente. Sotto questo profilo, la capacità di LMV di infettare anche composite spontanee come, per esempio, Sonchus oleraceus, Senecio vulgaris e Picris echioides rappresenta un aspetto di rilevante importanza nell’epidemiologia della malattia. LMV può infettare specie vegetali di 20 generi appartenenti a 10 diverse famiglie botaniche e tra queste non meno di 9 generi tra le Composite. I sintomi indotti da LMV variano per tipologia e intensità in funzione delle cultivar, ma in genere consistono in malformazioni più o meno accentuate a carico delle foglie, che possono anche apparire accartocciate verso il basso, mosaico, maculature e in qualche caso scolorazione e necrosi delle nervature. Le piante, inoltre, presentano accrescimento stentato e taglia più piccola di quelle non infette. Tali sintomi sono aggravati nei casi, non infrequenti, di infezioni miste con altri virus. Relativamente alla possibilità di ottenere livelli utili di resistenza a LMV, sono stati identificati due alleli recessivi denominati mo11 e mo12 che possono conferire tolleranza (assenza di sintomi ma capacità di invadere sistemicamente l’ospite) o resistenza (assenza di sintomi e inibizione della diffusione sistemica del virus). Le cultivar di lattuga che esprimono il gene mo1, oltre che da livelli utili di resistenza, sono caratterizzate anche da trasmissibilità attraverso il seme ridotta o assente. Tuttavia nelle aree in cui è diffuso l’impiego di tali varietà sono apparsi isolati di LMV, definiti Resistance-Breaking (RB), che combinano la capacità di superare la resistenza con quella di essere trasmissibili attraverso il seme. Uno studio di caratterizzazione filogenetica ha dimostrato che tali isolati formano un gruppo, probabilmente monofiletico, chiaramente differenziato da quello degli isolati non RB di LMV. Agli isolati capaci di superare la resistenza conferita dal gene mo1 è stato assegnato il nome di LMV-Most (per LMV-Mo1-breaking, Seed-Transmitted), mentre quelli incapaci di causare infezione nelle piante di lattuga esprimenti il gene mo1 sono stati identificati come isolati LMV-Common. A differenza degli isolati Most, gli isolati Common non riescono a raggiungere l’embrione delle piante esprimenti il gene mo1 e quindi, in questi casi, è anche inibita la trasmissione attraverso il seme. La diagnosi, possibile anche su piantine molto giovani, può essere effettuata con approcci di tipo sierologico (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay, ELISA) o con metodi basati sulle proprietà

Trasmissione dei virus mediata da insetti

• Il processo della trasmissione

attraverso insetti è complesso in quanto è il risultato di specifiche interazioni tra il virus e il vettore che determinano i parametri che caratterizzano la trasmissione stessa. La trasmissione non persistente si realizza allorché gli afidi selezionano le piante ospiti attraverso punture di saggio di 10-20 secondi. Durante questo periodo gli insetti perforano la cuticola, la parete e la membrana delle cellule epidermiche e del mesofillo per poi ritirare gli stiletti lasciando la membrana intatta. Durante la fase di ingestione del succo vegetale, le particelle virali, se presenti, sono trascinate con esso restando adsorbite alla cuticola degli apparati boccali, dalla quale possono altrettanto facilmente distaccarsi durante la fase di salivazione

• La trasmissione persistente, invece,

si realizza durante la vera fase di alimentazione: le particelle virali attraversano le membrane cellulari del canale intestinale, entrano nell’emocele o nelle fibre muscolari dell’intestino medio dell’insetto e si accumulano nelle ghiandole salivari, da dove possono essere trasmesse alle piante con la saliva escreta durante l’inizio dell’attività trofica. Quando il virus si moltiplica nel vettore può anche essere trasmesso da uno stadio all’altro dello sviluppo (trasmissione transtadiale) oppure alle generazioni successive (trasmissione transovarica)

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coltivazione degli acidi nucleici, come l’ibridazione a macchia (dot blot) o la reazione a catena della polimerasi (Polymerase Chain Reaction, PCR) standard o in tempo reale. La PCR è una tecnica utile a rilevare, anche in un solo saggio, infezioni miste, ma il protocollo di reazione e il disegno dei primer vanno attentamente calibrati perché possono verificarsi casi di amplificazione preferenziale di un virus e mascheramento del segnale generato dagli altri. Sono anche disponibili protocolli di PCR per la specifica identificazione degli isolati LMV-Most. Per il rilevamento del virus nei semi è consigliabile farli germinare in piastra e utilizzare i giovani germogli per gli accertamenti del caso. Il ricorso alla germinazione consentirà unicamente il rilevamento del virus presente nell’asse embrionale ed eviterà quella del virus eventualmente presente sui tegumenti seminali. Relativamente al contenimento della malattia in pieno campo, le possibilità di intervento diretto sono scarse perché la lotta ai vettori, ancorché possibile, è poco efficace. La modalità di trasmissione di tipo non persistente vanifica, infatti, l’azione di un qualunque insetticida sul vettore, che può trasmettere il virus prima di subirne l’effetto letale. Anche per evitare effetti negativi sull’ambiente derivanti dall’uso di insetticidi, la lotta si dovrebbe basare prevalentemente sull’impiego di seme sano per il quale l’ISTA (International Seed Testing Association) raccomanda l’impiego di lotti di seme in cui non sia presente più dello 0,01% di semi infetti. È consigliato l’uso delle varietà esprimenti il gene mo1 con le limitazioni a cui si è accennato in precedenza.

Diagnosi delle virosi

• Le virosi sono malattie indotte

da virus che, a loro volta, sono agenti infettivi submicroscopici costituiti da un elemento infettante racchiuso in un involucro di proteina. L’elemento infettante è un acido nucleico e può essere DNA o RNA, a singolo o doppio filamento, mentre l’involucro proteico o capside virale racchiude l’acido nucleico proteggendolo dall’attacco di enzimi. Il capside, inoltre, è fondamentale sia per il movimento del virus all’interno della pianta sia per la sua trasmissibilità da un ospite all’altro. La diagnosi delle virosi si attua attraverso l’identificazione dell’agente eziologico utilizzando metodiche che riconoscono l’acido nucleico virale o il capside. Nel primo caso si usa l’ibridazione molecolare, che prevede il riconoscimento specifico della sequenza virale in un pool di sequenze appartenenti alla pianta, sfruttando il principio della complementarietà tra filamenti di acido nucleico. Nel secondo caso si utilizzano le caratteristiche antigeniche dell’involucro proteico, per cui si parla di diagnosi sierologica. In particolare, la diagnosi mediante ibridazione molecolare si basa su riconoscimento tra un molecola “bersaglio” (l’acido nucleico del virus) e una molecola “sonda” recante un marcatore: il succo della pianta da saggiare viene applicato su una membrana di nylon ed esposto all’interazione con la molecola sonda. L’avvenuto riconoscimento tra le due molecole è rivelato dal marcatore legato alla sonda. Nella diagnosi sierologica si sfrutta, invece,

Foto A. Fereres

segue Mosaico e distorsione fogliare indotti da LMV

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virosi Tomato Spotted Wilt Virus (TSWV) TSWV è tra i virus di più recente segnalazione sul territorio nazionale. È una specie del genere Tospovirus, famiglia Bunyaviridae. Si tratta di un virus ubiquitario e polifago, così che la gamma di ospiti suscettibili comprende un migliaio di specie in diverse famiglie botaniche, includendo anche colture di rilevante importanza economica come peperone, carciofo, pomodoro, melanzana, patata, tabacco, lattuga, scarola, cicoria e indivia. TSWV è trasmesso in modo persistente propagativo e transtadiale dal tripide Frankliniella occidentalis che, comunque, non è il suo unico vettore, in quanto nelle condizioni climatiche italiane spesso si alterna con Thrips tabaci. Il virus è acquisito solo dalle neanidi di prima e seconda età, mentre gli adulti possono solo trasmettere il virus acquisito durante le fasi giovanili e successivamente moltiplicatosi nell’insetto così da passare attraverso gli stadi di neanide di prima e seconda età, preninfa, ninfa e adulto. A causa di una particolare conformazione del canale alimentare, gli adulti non possono acquisire nuovo virus anche se si alimentano su piante infette. In questo caso, il virus è semplicemente ingerito ma non sembrerebbe rilevante ai fini della trasmissione, anche se è stata paventata la possibilità che le particelle virali presenti nelle deiezioni degli insetti possano stabilire nuove infezioni, penetrando nell’ospite attraverso ferite o aperture naturali. Gli individui adulti possono continuare a trasmettere il virus per tutta la durata della loro vita che si aggira, in media, intorno ai 35-40 giorni. Non sono riportati casi di trasmissione transovarica alle successive generazioni di individui viruliferi, ma la loro perma-

continua

il riconoscimento tra antigene (la particella virale, in questo caso) e anticorpo. Gli anticorpi sono la risposta del sistema immunitario animale alle infezioni. Pertanto, se si inietta un virus delle piante in una cavia da laboratorio, questa produrrà anticorpi specifici per l’antigene che potranno essere recuperati dal siero dell’animale. La capacità dell’anticorpo di riconoscere il proprio antigene si mantiene inalterata anche al di fuori del corpo animale, il che rende possibile l’uso della sierologia come tecnica diagnostica. La tecnica sierologica oggi più in uso è l’ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay): un saggio molto sensibile che consente anche la quantificazione dell’antigene Foto G. Bubici

Necrosi variamente estese indotte da TSWV

Parte centrale di un cespo di scarola interessato da estese necrosi indotte da TSWV

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coltivazione nenza in campo, anche dopo l’espianto della coltura, espone al rischio di infezioni anche le colture successive. Come in altre essenze vegetali, il fenotipo della malattia indotta da TSWV è necrotico e spesso uccide la pianta. La necrosi che interessa il tessuto internervale fogliare inizia con piccole macchie che poi si estendono progressivamente fino a interessare porzioni sempre più consistenti della foglia e in modo particolare della parte centrale, che è quella che risulta più danneggiata. Le piante infette mostrano taglia ridotta e vistose distorsioni fogliari. Almeno nelle condizioni italiane, TSWV si conferma il virus più dannoso per le Composite. Le possibilità di controllo della malattia in campo sono, di fatto, inesistenti. La lotta ai tripidi è difficoltosa, anche per la tendenza di questi insetti a insediarsi nelle parti più protette della pianta, per cui sarebbero raggiungibili solo impiegando insetticidi sistemici il cui uso frequente è sconsigliato per la documentata insorgenza di fenomeni di resistenza. Inoltre, il numero di ospiti naturali del virus rende inesauribili le fonti di inoculo anche se l’accurata eliminazione di piante spontanee, prima del trapianto della coltura, potrebbe apportare sensibili benefici. Il ricorso a varietà resistenti, qualora identificate, potrebbe risolvere solo temporaneamente il problema. Per il pomodoro, infatti, l’impiego di varietà resistenti ha portato alla selezione di ceppi RB capaci di superare la resistenza conferita dal gene Sw5. La diagnosi della malattia è possibile sia mediante ELISA sia attraverso ibridazione di acidi nucleici, inclusa la PCR in formato standard o in formato real-time. Tuttavia, il virus è poco stabile nei tessuti vegetali raccolti e conservati a +4 °C per cui è consigliabile effettuare il saggio entro due o tre giorni dalla raccolta del campione. Attenzione deve essere posta alla possibile introduzione di altri Tospovirus che possono infettare le insalate, come Tomato Chlorotic Spot Virus (TCSV) e Groundnut RingSpot Virus (GRSV), presenti in Brasile e in altre aree di coltivazione di queste Composite.

Un tipo particolare di ibridazione molecolare: la PCR

• La PCR, o reazione a catena della

polimerasi, è un tipo di ibridazione molecolare in fase liquida il cui principio di funzionamento si basa su una reazione, che viene ripetuta ciclicamente per 35-40 volte attraverso fasi di denaturazione, appaiamento e allungamento di una data sequenza nucleotidica, portando all’aumento esponenziale dell’acido nucleico del virus presente nelle piante infette. La reazione è resa possibile dall’uso di un particolare enzima (DNA polimerasi) che entra in funzione durante la fase di allungamento e resiste alla temperatura di 95 °C necessaria per la fase di denaturazione della doppia elica. Questo particolare enzima termoresistente si chiama Taq polimerasi ed è stato isolato dal batterio termofilo Thermus aquaticus. Il ripetersi ciclico della reazione si svolge in uno strumento definito termociclatore. Grazie a questa tecnica, anche tracce di acido nucleico sono amplificate e rese rilevabili. Oggi è molto usato un formato di PCR che consente di rilevare e quantificare in tempo reale (cioè mentre avviene la reazione) l’incremento della molecola bersaglio

Beet Western Yellows Virus (BWYV) BWYV appartiene ai Luteovirus e, come tutti i virus di questo genere, invade essenzialmente il floema dove, anche a causa delle risposte di difesa della pianta consistenti in accumulo di callosio, determina l’occlusione dei tubi cribrosi. Sono stati identificati diversi isolati del virus, alcuni specifici per la lattuga, altri per la bietola. La gamma di ospiti naturali è comunque vasta e include almeno 150 specie appartenenti a 23 distinte famiglie botaniche. Tra le specie coltivate suscettibili si ricordano cetriolo, fava, lupino, pisello, patata, peperone, prezzemolo e zucchino, mentre tra le specie spontanee vanno menzionate Sonchus oleraceus, S. asper, Senecio vulgaris, Stellaria media, Raphanus raphanistrum, Capsella bursa-pastoris e Amaranthus spp.

Foto M. Conti

Giallumi e ispessimento dei margini fogliari con fenomeni di antocianosi imputabili a BWYV

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virosi La trasmissione del virus è di tipo persistente ed è mediata da diverse specie di afidi, tra cui Aphis craccivora, Macrosiphum euphorbiae, Brevicoryne brassicae e i già ricordati M. persicae e A. gossypii. Le modalità di trasmissione del tipo persistente prevedono periodi lunghi di suzione (12-24 ore) e un periodo di circa 24 ore necessario al virus per raggiungere le ghiandole salivari, da dove può essere ritrasmesso. Negli insetti, il virus attraversa l’apparato digerente e l’emolinfa, senza moltiplicarsi, ma gli individui rimangono viruliferi attraverso le eventuali mute e per tutta la durata della loro vita. Le caratteristiche della trasmissione persistente rendono possibile lo spostamento del virus anche sulle distanze lunghe e medio-lunghe, così che lotti di piante destinate alla commercializzazione, se infestate da afidi viruliferi, possono introdurre il virus in aree in cui era precedentemente assente. Come per molti luteovirus (luteus in latino significa “giallo”), i sintomi indotti da BWYV su lattuga consistono in ingiallimenti internervali che nelle cultivar incappucciate sfociano anche in antocianosi, soprattutto a carico dei margini fogliari. Il floema appare necrotizzato, come è possibile osservare tagliando trasversalmente l’asse vegetativo. A causa del malfunzionamento del sistema conduttore della pianta, i fotoassimilati tendono ad accumularsi nelle foglie sotto forma di amido, così che esse appaiono ispessite e caratterizzate da frattura vitrea. La diagnosi è possibile sia mediante ELISA utilizzando corredi commerciali, sia mediante protocolli di ibridazione molecolare degli acidi nucleici, inclusa la PCR. La lotta è prevalentemente basata sul controllo delle popolazioni afidiche mediante applicazioni di insetticidi che, di solito, sortiscono un buon effetto trattandosi di un virus trasmesso in modo persistente. Un ulteriore intervento può consistere nella rimozione delle piante spontanee prima del trapianto della coltura.

Trasmissione dei virus mediata da funghi

• La trasmissione avviene secondo due

distinti meccanismi caratterizzati dal differente modo di acquisizione delle particelle virali. In un caso le zoospore e le spore durevoli provenienti dai tessuti radicali di una pianta virosata sono esenti dal virus, il quale viene poi acquisito al di fuori delle piante ospiti. Nell’altro caso le particelle virali penetrano nel tallo del vettore mentre questo si sviluppa in un ospite infetto e da lì passano alle zoospore e alle spore durevoli. Nel caso di Olpidium brassicae, le particelle virali rilasciate dalle cellule epidermiche e corticali delle radici di piante infette si legano alla membrana plasmatica e ai flagelli delle zoospore attraverso la formazione di specifici legami. Affinché si realizzi la trasmissione è però necessario che il virus sia portato dalla superficie esterna della zoospora al suo interno, in quanto solo il protoplasma fungino viene trasferito nella cellula vegetale all’atto della infezione. Questo trasferimento si attua sia durante la ritrazione dei flagelli al momento della trasformazione della zoospora in cisti, sia attraverso piccole invaginazioni della mambrana plasmatica, così che le particelle virali vengono a trovarsi nel protoplasma fungino pronto ad avviare il processo infettivo nell’ospite

Complesso del “big vein” La malattia è nota come ispessimento nervale della lattuga (Lettuce big vein disease) e, sebbene sia stata descritta nel 1934, solo di recente ne è stata dimostrata l’eziologia virale. Il quadro sintomatologico è evidente nei mesi più freddi e consiste in ispessimenti più o meno accentuati della lamina fogliare localizzati lungo il decorso delle nervature. Tali aree appaiono clorotiche e le foglie presentano, nel complesso, un caratteristico arricciamento che ne determina un forte scadimento qualitativo. La manifestazione dei sintomi dipende da una serie di fattori ambientali quali temperatura, luminosità e tasso di umidità del suolo. Temperature superiori a 20 °C portano al mascheramento dei sintomi ma non alla riduzione della carica virale nei tessuti infetti, mentre temperature superiori a 28 °C ne inibiscono la trasmissione da parte del vettore Olpidium brassicae, anche a causa della diminuita umidità del suolo. 319


coltivazione Il virus responsabile è stato identificato in Mirafiori Lettuce BigVein Virus (MLBVV), un Ophiovirus trasmesso dal fungo Olpidium brassicae che è un noto infestante del terreno. Le infezioni di MLBVV su lattuga sono spesso associate a quelle di Lettuce Big-Vein associated Virus (LBVaV), una specie virale del genere Varicosavirus che però non sembra essere coinvolta nell’induzione dei sintomi, in quanto le sue infezioni su lattuga sono latenti. Anche LBVaV è trasmesso da O. brassicae. Le spore durevoli del fungo possono rimanere vitali nel suolo fino a 20 anni e mantenere la capacità di trasmissione del virus per almeno 15 anni. O. brassicae è coinvolto nella trasmissione di un’altra specie virale che infetta la lattuga, Tobacco Necrosis Virus (TNV) i cui esiti consistono nella comparsa di maculature necrotiche a carico delle foglie e la cui dannosità dipende dal momento in cui è avvenuta l’infezione. Tra le piante infestanti, MLBVV e LBVaV sono stati isolati da Sonchus oleraceus, che evidentemente deve anche essere ospite di O. brassicae. La diagnosi può essere realizzata sia per via sierologica sia attraverso PCR utilizzando come matrice sia radici sia foglie prelevate non prima di 40-50 giorni dopo il trapianto, ovvero quando il virus raggiunge il massimo della concentrazione nei tessuti infetti e iniziano a comparire i sintomi. Dal confronto della sequenza nucleotidica del gene che codifica la proteina capsidica virale – nel quale può essere presente o meno un sito di restrizione Rsal – è stata proposta la suddivisione degli isolati di MLBVV nei sottogruppi A (isolati brasiliani) e B (isolati spagnoli). È ovvio che la lotta a questi virus deve essere prevalentemente indirizzata verso il fungo vettore contro il quale, per il vero, con l’abolizione del bromuro di metile, restano poche possibilità d’intervento, come il ricorso alle rotazioni colturali e, ove possibile, alla solarizzazione. Nel caso di colture fuori suolo, invece, il problema può essere più agevolmente contenuto utilizzando substrati nuovi o sterilizzati. Lettuce Infectious Yellows Virus (LIYV) Il virus non è stato ancora segnalato nei Paesi della cosiddetta “regione EPPO” ma poiché è largamente diffuso il suo vettore, l’aleurodide Bemisia tabaci, è da attendersi la sua comparsa in tempi brevi. LIYV, che è un crinivirus, ha una gamma di ospiti naturali comprendente almeno 45 specie in 15 diverse famiglie botaniche, includendo bietola, spinacio, Cucurbitacee e carota. I sintomi consistono in vistosi ingiallimenti dei tessuti internervali che, come nel caso di BWYV, tendono a ispessirsi presentando frattura vitrea. I margini fogliari sono spesso anche interessati da necrosi. Come per tutti i crinivirus e i virus localizzati nel floema, la diagnosi non è facile, ma può essere realizzata sia utilizzando reagenti di tipo sierologico sia mediante PCR.

Ispessimenti nervali su lattuga iceberg indotti da MLBVV

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virosi Altri virus che infettano le insalate In aggiunta ai casi trattati, vi sono reperti da considerare minori come quelli di Cucumber Mosaic Virus (CMV), Turnip Mosaic Virus (TuMV), Tobacco Rattle Virus (TRV), Alfalfa Mosaic Virus (AMV) e Beet PseudoYellows Virus (BPYV), anche se i risvolti epidemiologici possono essere rilevanti per altre colture orticole come, per esempio, pomodoro e carciofo. CMV è trasmesso in modo non persistente da circa 80 diverse specie di afidi ed è un virus ubiquitario e polifago, la cui gamma di ospiti naturali comprende oltre 1000 specie in non meno di 70 famiglie botaniche. Su lattuga viene spesso trovato in associazione a LMV ma, a differenza di quest’ultimo, non è trasmissibile attraverso il seme. I sintomi ascrivibili a CMV sono simili a quelli indotti da LMV, anche se su particolari varietà di lattuga le aree clorotiche sono più intensamente colorate in giallo. L’incidenza della malattia può anche raggiungere il 30% se si verifica in concomitanza con migrazioni afidiche piuttosto consistenti. A oggi non esistono varietà commerciali di lattuga resistenti a CMV. La diagnosi è possibile con approcci sia di tipo sierologico sia basati sulle proprietà dell’acido nucleico. TRV è trasmesso attraverso nematodi del genere Trichodorus nel momento in cui il vettore accede alle radici della pianta per alimentarsi, ma poiché TRV è anche capace di invadere i meristemi, esso è efficacemente trasmesso anche attraverso il seme. I sintomi, più facilmente distinguibili sulle colture autunno-vernine, consistono in chiazze clorotiche spesso contornate da alone necrotico. Diverse Composite spontanee sono ospiti di TRV. AMV è l’unica specie virale conosciuta del genere Alfamovirus, famiglia Bromoviridae, come CMV caratterizzato da un ampio spettro di ospiti, che supera le 250 specie in almeno 50 famiglie botaniche. La gamma di ospiti coltivati include fagiolo, pisello, erba medica, patata, peperone e pomodoro, ma attacchi di AMV anche su lattuga e indivia sono stati segnalati soprattutto in Campania. I sintomi consistono in vivaci decolorazioni gialle, accompagnate da sensibile riduzione del cespo. L’incidenza della malattia è contenuta in un 5-10%, probabilmente in conseguenza della bassa efficienza di trasmissione mediata da afidi. TuMV è un potyvirus che, come ricorda il nome stesso, è tipicamente infeudato alle Crucifere sulle quali provoca danni di un certo rilievo soprattutto il ceppo “cabbage”, responsabile della malattia nota come maculatura anulare nera. Tuttavia il virus è segnalato, con crescente intensità, anche su Composite quali carciofo e lattuga. I sintomi consistono nello sviluppo asimmetrico delle foglie a causa della distorsione della nervatura mediana. Se l’infezione è precoce, le piante restano di taglia ridotta e presentano schiarimenti più o meno accentuati della lamina fogliare.

Trasmissione dei virus attraverso il seme

• Il virus può essere localizzato sul seme

o nel seme. Nel primo caso si parla di contaminazione e non è garantito il passaggio alla pianta. Nel secondo caso occorre distinguere fra virus localizzato nei tegumenti seminali o nell’endosperma e virus presente nell’embrione. Se il virus è presente nell’embrione ne è certa la trasmissione alla nuova pianta, mentre negli altri due casi non ci può essere questa certezza perché la trasmissione dipende dalla frequenza di lesioni che si formano durante le fasi di germinazione. I recenti sviluppi delle conoscenze nel campo dei sistemi biologici hanno chiarito molti aspetti dei meccanismi che regolano la trasmissibilità del virus attraverso il seme, individuando fattori dell’ospite e determinati genetici virali, spesso legati al silenziamento genico post-trascrizionale. Grandi progressi sono stati compiuti anche nel settore della diagnosi precoce sia su seme germinato (da consigliare) sia su embrione, tegumenti ed endosperma. Molto resta ancora da fare relativamente al problema delle soglie di seme infetto che possono essere tollerate nelle partite destinate alla semina, senza pregiudicare la produttività della coltura. Tali soglie vanno determinate caso per caso, tenendo conto delle altre modalità di trasmissione naturale utilizzate dal virus infettante

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le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Prevenzione dei patogeni trasmessi per seme Maria Lodovica Gullino, Angelo Garibaldi, Giovanna Gilardi

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coltivazione Prevenzione dei patogeni trasmessi per seme

Foto F. Abbondanza

Introduzione La sanità rappresenta, oggi più che mai, un imprescindibile fattore di qualità delle sementi e può contribuire significativamente alla qualità dei prodotti orticoli da commercializzare. L’importanza del seme come vettore di patogeni viene accresciuta dall’intensità degli scambi oggi caratteristica del settore orticolo, in Italia e nel mondo. Come si è già detto nel capitolo precedente, alcune delle problematiche emergenti nel settore possono essere in parte o totalmente imputabili all’uso di sementi infette. Infatti diversi patogeni terricoli, tra cui Fusarium oxysporum e Verticillium dahliae, possono raggiungere il terreno, nel quale poi si manterranno e diffonderanno, mediante seme infetto o contaminato. Le colture protette e le moderne tecniche di coltivazione fuori suolo, soprattutto per la ridotta presenza di microflora antagonista nelle fasi iniziali di sviluppo, sono particolarmente vulnerabili alle infezioni fungine e batteriche trasmesse per seme. Nelle fasi iniziali della coltivazione, anche modeste quantità di inoculo presenti sul seme possono causare infezioni, talora difficilmente rilevabili a occhio nei semenzai, che possono successivamente dare luogo a epidemie rilevanti nel corso della coltura. Come abbiamo visto, numerosi patogeni fungini e batterici sono trasmessi attraverso semi: questo è uno dei più efficaci mezzi di trasporto a lunga distanza di parassiti, soprattutto nel caso di materiale prodotto in pochi stabilimenti specializzati e di qui

Foto R. Angelini

Particolari dell’attacco di Bremia lactucae su insalata

Foto R. Angelini

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trasmissione per seme inviati in tutto il mondo. Questa tendenza, sempre più diffusa, ha comportato da un lato un netto innalzamento dei livelli qualitativi del materiale riproduttivo grazie alla possibilità di utilizzare tecnologie molto sofisticate, ma dall’altro ha favorito la rapida diffusione di parassiti di maggiore o minore importanza economica precedentemente del tutto ignoti in certe aree geografiche. Innumerevoli, nel settore delle colture orticole, sono gli esempi di diffusione a livello internazionale di parassiti, verificatasi proprio attraverso semi infetti. Basta ricordare, a titolo di esempio, gli agenti di tracheo­fusariosi di lattuga (Fusarium oxysporum f. sp. lactucae), rucola (F. oxysporum f. sp. conglutinans e F. oxysporum f. sp. raphani), l’alternariosi di lattuga, indivia, scarola (Alternaria cichorii), la muffa grigia (Botrytis cinerea) della lattuga, la cladosporiosi (Cladosporium variabile). Anche alcuni batteri appartenenti ai generi Erwinia, Pseudomonas, Xanthomonas, Acidovorax sono trasmissibili per seme. In alcuni casi sono sufficienti percentuali assai basse di semi infetti per permettere la rapida diffusione della malattia in aree geografiche diverse. Per esempio, nel caso della Phoma valerianellae percentuali dell’1-2% di semi infetti possono provocare danni

Attacco di Marssonina panattoniana

Malattie fungine e batteriche di lattuga, indivia, cicoria, rucola e valerianella causate da patogeni trasmessi per seme Lattuga (Lactuca sativa)

Indivia (Cichorium endivia)

Cicoria (Cichorium intybus)

Rucola coltivata (Eruca vesicaria)

Rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia)

Valerianella (Valerianella olitoria)

Tracheofusariosi

2002

2009

2010

2002

2002

2003

Verticilliosi

2007

Phoma spp.

2006**

Alternariosi

1968*

Peronospora

1863*

Malattie Malattie fungine

1987 1966* 1968*

1968* 2004

1966*

Cladosporiosi Septoriosi

1951*

1996

1996

Antracnosi

1895*

1895*

1895*

Marciumi da Phytophthora

2007**

2010

Batteriosi Erwinia carotovora

1977*

Acidovorax valerianellae

2003**

Pseudomonas spp.

1969*

Xanthomonas campestris pv. vitians

1969*

1969*

Xanthomonas campestris pv. raphani

2005

* Noto da tempo in Italia ** Non segnalato in Italia

323


coltivazione elevati. In altri casi, come in quello delle tracheofusariosi, i danni evidenti si manifestano dopo 2-3 colture della stessa specie nel terreno a seguito dell’uso di semi contaminati. Le colture orticole da foglia sono pertanto soggette a numerose malattie, causate da funghi e batteri che possono essere presenti nel terreno, conservandosi nei residui colturali o infettando piante infestanti o essere introdotti mediante l’impiego di semi infetti. I danni diretti conseguenti a tali malattie sono ingenti e possono manifestarsi sul seme in germinazione, sui semenzali e sulle piante in campo, a carico di colture sia per la produzione sia per l’ottenimento di seme. A questi danni si devono aggiungere le maggiori spese che l’operatore deve sostenere nella difesa e nella prevenzione, incluse quelle relative alle misure di quarantena e alla certificazione delle sementi. Come per qualsiasi malattia, anche nel caso delle malattie trasmesse per seme, la conoscenza della biologia dei patogeni, nonché del loro rapporto con l’ospite e con l’ambiente, sono premesse indispensabili per il successo nella difesa. Molti patogeni si conservano da un ciclo colturale all’altro per mezzo del seme e vengono definiti “patogeni portati da seme”. Il seme rappresenta per questi patogeni un mezzo di diffusione spesso assai efficiente nell’ambito di una coltura. Basta spesso un seme infetto ogni 10.000 usati al momento della semina per avere gravi danni nel giro di qualche coltura. Inoltre, il seme stesso, in relazione agli scambi commerciali (e a quelli a scopo di studio e ricerca) di cui è oggetto, può permettere a specie patogene, e alle loro eventuali varianti, di raggiungere aree nuove anche molto lontane.

Danni dovuti ad attacco di Pseudomonas cichorii

Contaminazione di semi di lattuga, rucola, valerianella, indivia, cicoria e spinacio, commercializzati in Italia e all’estero, con alcuni patogeni fungini e batterici

Danni dovuti ad attacco di Pseudomonas cichorii

Coltura

Patogeno

Percentuale di semi infetti

Lattuga

Fusarium oxysporum f. sp. lactucae

0,1%

Lattuga

Verticillium dahliae

66-90%

Lattuga

Botrytis cinerea

30%

Lattuga

Xanthomonas campestris pv. vitians

1-18%

Rucola

Fusarium oxysporum

0,1%

Valerianella

Phoma valerianellae

0,6-15%

Valerianella

Acidovorax valerianellae*

0,1-0,9%

Endivia e cicoria

Alternaria cichorii*

0,6-13,75%

* Non segnalato in Italia

324


trasmissione per seme Il seme può essere contaminato esternamente dalla presenza del patogeno o infetto (in questo caso il parassita è già presente nei tessuti del seme stesso). L’inoculo può, infine, accompagnare il seme, per esempio sotto forma di sclerozi, o essere insediato in residui vegetali infetti o su particelle contaminate di terreno, particolarmente in lotti di scarsa qualità generale. Un patogeno presente in una partita di seme può passare direttamente da questo alla pianta che ne deriva, causando una malattia trasmessa per seme propriamente detta, oppure può insediarsi nel terreno e da qui raggiungere la pianta ospite. Dai focolai iniziali potrà poi diffondersi con diversi mezzi (vento, pioggia, insetti, uccelli, vettori, strumenti di lavoro ecc.) ad altre piante della stessa o di eventuali altre colture. In generale, il modello di trasmissione è funzione della specifica combinazione ospite-patogeno, piuttosto che della localizzazione dell’inoculo nelle partite di seme. Un’infezione seminale profonda, con infezione dello stesso embrione, può essere seguita da infezione locale, mentre una semplice contaminazione superficiale può causare un’infezione sistemica. L’importanza pratica di una malattia trasmissibile per seme dipende dalla quantità dell’inoculo trasmesso con la semente, dalla maggiore o minore virulenza del parassita trasmesso, dall’indice di trasmissione da seme a pianta (rapporto tra percentuale di semi infetti e percentuale di piante infette derivanti da tale seme) e dalla rapidità di diffusione della malattia in campo. La prevenzione si basa sulla disponibilità di tecniche diagnostiche rapide e accurate e sulla concia dei semi.

Foto R. Angelini

Attacco batterico di Xanthomonas campestris pv. vitians

325


coltivazione Metodi diagnostici Per evitare l’uso di materiale infetto svolge un ruolo importante la disponibilità di tecniche diagnostiche utilizzabili per evidenziare rapidamente l’eventuale presenza di patogeni.

Foto R. Angelini

Analisi fitosanitaria delle sementi È importante ricordare che gli scopi cui tende l’analisi fitosanitaria di un lotto di semi sono essenzialmente due: – intercettare eventuali parassiti da quarantena; – quantificare la presenza di patogeni che influiscono sulla qualità delle sementi. Almeno teoricamente, per evitare l’introduzione di un patogeno da quarantena trasmesso per seme in un’area esente, ci si dovrebbe attenere al principio della “tolleranza zero”. I metodi adottati devono perciò essere quanto più sensibili possibile, per ridurre al minimo il rischio di introdurre pericolosi patogeni. La quantificazione di patogeni che influiscono sulla qualità fa rien­ trare l’analisi fitosanitaria nel novero delle determinazioni che comunemente vengono effettuate per ogni lotto di semente (germinabilità, purezza ecc.) e che, ciascuna nel proprio ambito, contribuiscono a definire la qualità del materiale riproduttivo. Il responso numerico (per es. la percentuale di semi infetti) che si ottiene al termine di un’analisi non è, di per sé, sufficiente a definire se il lotto è di buona o cattiva qualità. In alcuni casi il livello di soglia può essere posto eguale a zero (esenzione): ciò vale, per esempio, per patogeni tellurici (come Fusarium oxysporum) trasmessi per seme in specie di particolare valore economico. In altri casi, invece, possono essere individuati due valori di soglia: al di sotto

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

326


trasmissione per seme della soglia più bassa si può utilizzare il seme tal quale, mentre al di sopra di essa e fino alla soglia più alta, si deve intervenire con trattamenti di concia. Al di sopra della soglia più alta si deve evitare di impiegare tale semente per la semina.

Foto R. Angelini

Principali tecniche analitiche Di seguito si riportano in modo molto sintetico le principali tecniche analitiche impiegabili per la diagnosi di patogeni fungini e batterici, rimandando a rassegne specifiche per la loro descrizione. I metodi impiegabili per ottenere una stima quantitativa della presenza di un patogeno fungino in un lotto di seme si distinguono anche sulla base del patogeno da individuare. I funghi, grazie alla differenzazione di organi di riproduzione, possono essere riconosciuti al microscopio e in tal caso i metodi devono consentire un adeguato sviluppo delle colonie. Questi metodi, che rappresentano la grande maggioranza di quelli descritti nelle normative ufficiali di analisi nazionali e internazionali, sono molto affidabili ma hanno il difetto di richiedere tempi lunghi di indagine, quantificabili dai 7 ai 10 giorni. Questi tempi male si adattano alle leggi del commercio internazionale e nazionale. Per accorciare i tempi sono stati messi a punto metodi più rapidi e meno costosi, di tipo immunologico, che si basano sulla reazione antigene-anticorpo. Tra le tecniche più usate per anni per funghi e batteri fitopatogeni si ricorda l’ELISA (Enzyme Linked ImmunoSorbent Assay, Saggio di immunoassorbimento enzimatico). Oggi il settore che offre più prospettive è quello della diagnostica molecolare applicata agli acidi nucleici. Batteriosi su lattuga

Foto R. Angelini

327


coltivazione Concia del seme Da quanto sopra detto appare molto importante, per la prevenzione della trasmissione per seme di importanti patogeni, il ricorso a tutte quelle tecniche che permettono di ridurre fortemente il rischio di trasmissione per seme dei parassiti. Nel settore delle malattie fungine appare assai importante il ricorso alla concia, che può essere effettuata con mezzi chimici, fisici o biologici.

Metodi molecolari

• Non ci sono metodi molecolari recepiti

dalla normativa, ma la letteratura si sta sempre più arricchendo di applicazioni che, seppur non ancora validate, presto offriranno possibilità applicative rapide e affidabili. In generale, i metodi molecolari sviluppati negli ultimi anni per la diagnosi di malattie fungine si basano sull’ibridazione degli acidi nucleici e sull’amplificazione del DNA mediante la reazione a catena catalizzata dalla polimerasi (PCR, Polymerase Chain Reaction). La PCR e la real time PCR sono, infatti, tra le tecniche più utilizzate per funghi e batteri. La tecnica del DNA array, che permette di analizzare contemporaneamente diversi geni, è molto sensibile e specifica, con enormi potenziali di impiego per il futuro. Lo stesso vale per future applicazioni delle conoscenze sui biosensori, che sfruttano reazioni biologiche per individuare l’organismo target e che sono già utilizzati in diagnostica clinica

Mezzi fisici Da anni la concia dei semi in acqua calda costituisce un mezzo di lotta efficace nei confronti di malattie batteriche e fungine. Questo tipo di trattamenti, un po’ trascurati negli scorsi decenni a vantaggio dell’uso di fungicidi nel caso di malattie fungine, ha ritrovato interesse con l’affermarsi della necessità di produrre semi sani o risanati per le aziende che praticano agricoltura biologica. In particolare, i trattamenti di termoterapia in acqua forniscono risultati interessanti nel caso di diverse batteriosi. Un trattamento che può essere consigliato, in via generale, è l’immersione in acqua calda a temperature variabili tra 45 e 50 °C per un tempo compreso tra 20 e 60 minuti. Anche trattamenti con aria calda possono risultare efficaci: nel caso di semi di lattuga, esposizioni a 70 °C per periodi variabili da 1 a 4 giorni sono risultati efficaci nei confronti di Xanthomonas campestris pv. vitians. Nell’ambito di un progetto finanziato dalla Commissione Europea è stata sviluppata, in Svezia, una macchina innovativa che permette di utilizzare vapore aerato. La disinfezione dei semi con acqua calda risulta efficace nei confronti di Alternaria cichorii su lattuga. La concia di semi di valeFoto R. Angelini

Foto R. Angelini

Tracheofusariosi

328


trasmissione per seme rianella a temperature variabili da 40 a 55 °C per periodi da 10 a 30 minuti ha fornito ottimi risultati nei confronti di Phoma valerianellae e Peronospora valerianellae su valerianella. Campioni di semi di spinacio contaminati da Cladosporium variabile, Verticillium dahliae e Stemphylium botryosum possono essere trattati con acqua calda a 50 °C per 20 minuti ottenendo un effetto di eradicazione per i primi due patogeni e di riduzione per S. botryosum. Tale trattamento non ha mostrato effetti negativi sulla qualità del seme e risulta anche efficace nei confronti di altri patogeni trasmissibili mediante seme, quali Fusarium e Alternaria. Recenti studi nel settore hanno portato allo sviluppo di metodi innovativi di applicazioni del vapore aerato e di elettroni. Per esempio, l’impiego del vapore aerato applicato per 2 o 5 minuti e il trattamento con elettroni hanno ridotto la contaminazione dei semi di valeriana da Phoma valerianellae come o meglio del thiram. Tra i metodi di concia biologica, buoni risultati sono stati ottenuti impiegando l’olio di timo all’1%.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Mezzi chimici La concia delle sementi con fungicidi consentirebbe di limitare la diffusione dei principali patogeni fungini nel mondo, tuttavia pochi sono i mezzi chimici autorizzati per tale impiego. Purtroppo, oggi e ancor più in futuro, sarà sempre più difficile disporre di fungicidi registrati per l’uso in trattamenti di concia. Per ridurre la contaminazione dei semi di spinacio da C. variabile e V. dahliae, risultati incoraggianti sono stati ottenuti immergendo

Contaminazione di semi di lattuga, rucola, valerianella, indivia, cicoria e spinacio, commercializzati in Italia e all’estero, con alcuni patogeni fungini e batterici Trattamento

Percentuale di riduzione della contaminazione dei semi rispetto al testimone Campione 1

Campione 2

Testimone non trattato

0 (65)*

0 (14)

Vapore aerato (2 minuti)

92

71

Vapore aerato (5 minuti)

85

35

Acqua calda (50 °C per 30 minuti)

92

57

Acqua calda (53 °C per 10 minuti)

87

78

Elettroni (110 KV/12 kGy)

46

70

Elettroni (110 KV/24 kGy)

53

71

Olio di timo (0,1%)

41

71

Streptomyces griseoviridis k61 (5 g/kg di seme)

15

35

Thiram (670 g/kg di seme)

15

71

Foto R. Angelini

* (n.) percentuale di semi contaminati nel testimone non trattato in pre-trattamento

329


coltivazione i semi in soluzioni di ipoclorito di sodio all’1,2% per un tempo compreso tra i 10 e i 40 minuti. Contro S. botryosum è necessario prolungare il tempo del trattamento ad almeno 60 minuti. Nel caso di semi di lattuga contaminati da Xanthomonas campestris pv. vitians buoni risultati sono stati ottenuti lavando i semi in soluzione all’1% di ipoclorito di sodio per 5-20 minuti senza causare alterazioni alla qualità del seme. Tra i prodotti chimici applicati in trattamenti di concia, il perossimonosolfato di potassio e formulati a base di rame in combinazione con mancozeb hanno ridotto del 90-96% la contaminazione dei semi di lattuga da parte di Xanthomonas campestris pv. vitians. Tra i trattamenti di concia, l’uso di mancozeb ha ridotto almeno dell’80% la contaminazione di semi di lattuga da Fusarium oxysporum f. sp. lactucae, mentre inferiore è stato l’effetto del thiram. L’effetto positivo della concia di semi di spinacio con thiabendazole è stata dimostrata nei confronti di contaminazioni dei semi da Verticillium spp. e Fusarium spp., mentre nessuna efficacia è emersa nei confronti di Stemphylium botryosum e Alternaria spp.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Mezzi biologici Tra i microrganismi formulati, Bacillus subtilis, applicato in trattamenti di concia, ha ridotto del 20-40% il livello di infezione da F. oxysporum f. sp. lactucae, confermando anche la buona efficacia

Efficacia dell’impiego di microrganismi e diversi fungicidi in trattamenti di concia del seme di lattuga nei confronti della contaminazione da Fusarium oxysporum f. sp. lactucae Trattamento

Foto R. Angelini

Dose p.a./g seme

Efficacia*

Bacillus subtilis QST 713

0,01 mg

++

Bacillus subtilis (FZB24)

0,01 mg

±

Bacillus subtilis (MB1 600)

0,01 mg

±

Streptomyces griseoviridis K61

0,002 mg

±

Fusarium oxysporum 251/2

1x107 CFU**

+

0,3 mg

±

1x107 CFU

++

Mancozeb

4,8 mg

++++

Carbendazim

0,8 mg

+++

Procloraz

0,9 mg

+++

Tiram

1,47 mg

++

– (dal 20 al 39%)***

Pseudomonas chlororaphis MA342 Fusarium oxysporum MSA35

Testimone inoculato non trattato

* (±) efficacia rispetto al testimone 0-20%; (+) efficacia rispetto al testimone 21-40%; (++) efficacia rispetto al testimone 41-60%; (+++) efficacia rispetto al testimone 61-80%; (++++) efficacia rispetto al testimone 81-100% ** CFU, Unità formanti colonia *** Tra parentesi è indicata la percentuale di piante morte nel testimone non trattato

330


trasmissione per seme già dimostrata contro S. botryosum e Alternaria spp. su semi di spinacio. Ottimo è risultato l’effetto di Streptomyces griseoviridis, che su spinacio ha ridotto la contaminazione dei semi da S. botryosum, Verticillium e Alternaria spp. rispettivamente dell’88%, 74% e 84% . Fusarium spp. saprofiti e ceppi di Trichoderma sono risultati efficaci nei confronti della tracheofusariosi della lattuga. Anche altri microrganismi antagonisti possono anche essere utilizzati in trattamenti di concia. Trattamenti con Gliocladium catenulatum sono risultati efficaci nel contenere la tracheofusariosi dello spinacio in prove sperimentali condotte in serra, mentre la concia con un compost a base di tè e con Bacillus pumilis ha fornito risultati più variabili.

Foto M. Curci

Prodotti naturali Le sostanze prodotte naturalmente dalle piante o da microrganismi rappresentano un’enorme riserva di molecole potenzialmente dotate di attività biocida. Assai intensa è poi la ricerca di sostanze di origine naturale attive nei trattamenti di concia delle sementi: oli e altri estratti sono in grado di fornire una parziale protezione nei confronti di patogeni trasmessi per seme di specie diverse. In particolare, trattamenti con olio di timo allo 0,1% sono risultati efficaci nei confronti di Phoma valerianellae su valerianella. Considerazioni conclusive La disponibilità di tecniche molecolari rapide e accurate e trattamenti di concia con mezzi fisici, chimici e/o biologici consente di prevenire la trasmissione di importanti patogeni mediante semente infetta e di risanare eventuale materiale infetto. È particolarmente importante per l’industria sementiera poter disporre di tecniche diagnostiche affidabili per eseguire analisi di routine sulle sementi.

Foto F. Abbondanza

Foto R. Angelini

331


le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Flora spontanea delle insalate Pasquale Viggiani

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Flora spontanea delle insalate Quarta gamma delle infestanti

Porcellana comune

“… Αïσωπος (…) ήγαγεν επί τι σύνδενδρον καί προέθηκεν (…) άρτον καί ελαίας καί άγρια λάχανα αποκείρας εκόμισεν…”

• Come si legge in V.V. Bianco (2001), la

porcellana comune (Portulaca oleracea) “è particolarmente ricca di acidi grassi essenziali (α-linolenico e γ-linolenico), precursori delle prostaglandine, che migliorano l’efficienza metabolica con la formazione di acidi particolari che contribuiscono a diminuire l’aggregazione delle piastrine, a stimolare la contrazione muscolare e il funzionamento dell’apparato circolatorio e a diminuire l’incidenza delle malattie delle arterie coronarie”

“…Esopo (…) la portò in un boschetto ed estrasse (…) pane e olive, tagliò erbette (λάχανα) selvatiche (άγρια) e gliele offrì…” Così recita un passo del Romanzo di Esopo, dove il protagonista, il balbuziente quasi muto Esopo, eccelso inventore della favola ma dall’aspetto orripilante (deforme come il bulbo d’una canna), è in condizione di schiavo e sta zappando in un campo. Esopo rimette sulla retta via una sacerdotessa di Iside che aveva smarrito la strada, dopo averla rifocillata con pane ed erbette selvatiche. Per questo suo generoso gesto riceve, dalla dea Iside e dalle sue nove Muse, il bene della favella e l’eccellenza della parola: dono che gli servì per affrancarsi dalla schiavitù, ma che, dopo altalenanti peripezie, fu anche causa della sua morte, precipitato in un burrone dagli abitanti di Delfi, che, in un impeto di rabbiosa eloquenza, egli denigrò, paragonandoli a ortaggi.

Porcellana comune (Portulaca oleracea)

Aspraggine comune (Picris hieracioides) Erbe selvatiche al mercato

332


flora spontanea

Ruchetta

• Ovidio, nel libro II della sua Ars

amatoria, chiama la ruchetta herba salax o erba lussuriosa: “ex horto quae venit, herba salax”

• Columella, nel libro X del De re rustica,

sostiene che la rucola eccita a Venere i mariti “pigri”: “Priapo excitet ut Veneri tardos eruca maritos”

Borragine comune (Borago officinalis)

La scena iniziale si svolge, tra il mitico e il bucolico, in una data imprecisata, tra il VII e il VI secolo prima della nascita di Cristo, presso Amorion, città della Frigia, regione dell’Anatolia (nell’attuale Turchia): uno dei luoghi dove si ritiene abbia avuto origine la coltivazione del frumento. Le erbette selvatiche, raccolte così allo stato fresco e mangiate da Esopo e dalla sacerdotessa di Iside, hanno costituito, con la cacciagione e altri vegetali, la fonte di Ruchetta violacea (Diplotaxis erucoides)

Cardo mariano (Silybum marianum) Soffione (Taraxacum officinale)

333


coltivazione

Cardo mariano

• Il nome di questo cardo ha radici

bibliche ed è dedicato a Maria, madre di Gesù. Si racconta, infatti, che durante la fuga in Egitto la Madonna nascose sotto le foglie spinose di questa pianta il Sacro Bambino, celandolo, in tal modo, ai soldati di Erode che volevano ucciderlo. Passato il pericolo, Maria volle ricompensare il cardo versando sulle sue foglie qualche goccia del suo latte e da allora le foglie assunsero la tipica variegatura bianca che mitiga il loro aspetto spinoso e feroce Ravanello selvatico (Raphanus raphanistrum)

sostentamento dell’uomo sin da epoche anche molto anteriori a quelle cui si riferisce la storia di Esopo, come si apprende dalla Bibbia (Genesi, 3, 17-18): “sia maledetta la terra per cagion tua; con fatica trarrai da essa il nutrimento per tutto il tempo della tua vita; essa ti produrrà spine e triboli e ti nutrirai dell’erba dei campi”. Epoche remote, dunque, e comunque di molto antecedenti la lunga rivoluzione neolitica che, circa una decina di millenni Cardo mariano (Silybum marianum)

Varie, da sinistra a destra: millefoglio (Achillea millefolium), camomilla comune (Matricaria camomilla), fumaria (Fumaria officinalis), carota selvatica (Daucus carota) Papavero comune (Papaver rhoeas)

334


flora spontanea or sono, millennio più millennio meno, pose le basi per l’avvento dell’agricoltura. Tutto questo raccontai tempo fa a una mia conoscente, la quale, consapevole del mestiere che m’ero scelto, un giorno mi portò in visione un rametto di erbaccia, ch’ella temeva fosse velenosa, che aveva trovato in una confezione di insalata pronta all’uso comprata in un supermercato. Le spiegai che quella che lei temeva essere una “velenosa erbaccia” era, in realtà, chiamata in latino Portulaca oleracea (in italiano porcellana comune) e che l’aggettivo oleracea stava per “verdura buona da mangiare”. Le spiegai che molte delle specie che si possono rinvenire come infestanti tra le foglie di insalata, e che sono descritte nelle pagine che seguono, non sono velenose, anzi, si possono ancora trovare in vendita, presso i fruttivendoli, nei mercati rionali delle città. Così è della cicoria selvatica e del soffione, del papavero comune e dell’aspraggine, dei grespini, dei ravanelli selvatici e dell’ortica. Anche della ruchetta selvatica, decantata da Ovidio e da Columella, e ancora del cardo mariano, il cui nome è dedicato alla Madonna, e che, con la borragine, è sempre vivo tra i ricordi culinari (pinzimonio) della mia, ormai lontana, fanciullezza. Insomma, piante spontanee, allo stadio giovanile, con le quali teo­ricamente si potrebbe arricchire il comparto della quarta gamma delle insalate. Molte altre sono comunemente usate anche in erboristeria, solitamente negli stadi adulti, tal quali o dopo l’essiccazione o come infusi ed estratti, per le loro proprietà medicinali. Per citarne qualcuna: il fiorrancio e la camomilla, che contribuiscono ad abbassare il livello di colesterolo nel sangue, il poligono degli

Ortica (Urtica)

Caglio (Galium aparine) Silene bianca (Silene alba)

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coltivazione uccellini, molto ricco di fibra, l’amaranto e la falsa ortica, ricchi di calcio, il chenopodio bianco, ricco di vitamina A, e ancora il caglio, così chiamato perché gli antichi pastori greci lo usavano per far cagliare il latte. Alcune delle specie sopra citate sono descritte e illustrate nelle pagine seguenti; in questo paragrafo ne vengono presentate altre che, accidentalmente, si possono rinvenire tra le foglie di insalata già pronte per essere consumate.

Morte di Socrate

• Così è descritta la morte di Socrate,

con un infuso di cicuta, nel Fedone di Platone: “E Critone, allora, fece cenno a un suo servo (...) che, in una ciotola, portava già tritato il veleno che doveva somministrargli. ‘Tu, brav’umo, che sei pratico di queste cose’, disse Socrate vedendolo, ‘cos’è, allora, che bisogna fare?’ ‘Nient’altro che bere e poi passeggiare un po’ per la stanza finché non ti senti le gambe pesanti; poi ti metti disteso e così farà il suo effetto.’ Così dicendo porse la ciotola a Socrate. La prese (...) tutto d’un fiato, vuotò tranquillamente la ciotola. E noi (...) trattenemmo il pianto. Egli, allora, andò un po’ su e giù per la stanza, poi disse che si sentiva le gambe farsi pesanti e così si stese supino come gli aveva detto l’uomo del veleno (...). Dopo un po’ ebbe un sussulto. (...) aveva gli occhi fissi. Vedendolo, Critone gli chiuse le labbra e gli occhi”

Specie tossiche e velenose Tuttavia, spiegai alla mia interlocutrice che, accanto a piante commestibili, come la portulaca, nel novero delle piante infestanti delle insalate vi sono anche specie tossiche o addirittura velenose, la maggior parte delle quali, in verità, risulta tossica solo se ingerita (accidentalmente) in quantità significative. A dosi massicce e ripetute anche la stessa portulaca può provocare intossicazioni, dato il suo alto contenuto in acido ossalico, così come è sconsigliata l’assunzione ripetuta di papavero comune e della stessa rucola (anche di quella coltivata), per il loro alto contenuto di nitrati, e di molte altre specie ritenute comunemente buone da mangiare (amaranto, chenopodio, romice, senecione comune ecc.). Ciò premesso, nell’incertezza, occorre sempre evitare di mangiare qualsiasi piantina o foglia estranea che si trovino tra le foglie delle insalate. Tale precauzione è anche, e soprattutto, valida per tutti gli appassionati raccoglitori e utilizzatori di erbe selvatiche, dati

Cicuta maggiore (Conium maculatum) Cicuta maggiore (Conium maculatum)

336


flora spontanea

Erba morella

• Plinio, nella sua Naturalis Historia

(21, 180), dice: “Quin est alterum (...) soporiferum est atque etiam opio velocius ad mortem, ab aliis morion, ab aliis moly appellatum”, cioè: l’erba morella (morion) è più veloce dell’oppio nel procurare la morte

Belladonna (Atropa belladonna)

le frequenti intossicazioni e gli avvelenamenti segnalati anche di recente (mi viene alla mente, in proposito, un articolo del “Corriere della Sera” del 31 luglio 2010: Piante velenose, boom di ricoveri, a firma di Paola D’Amico). Tra le specie spontanee più tossiche vi sono le cicute, riconoscibili da adulte per le infiorescenze bianche a ombrello, e tra

Erba morella (Solanum nigrum)

Stramonio comune (Datura stramonium)

Il latice bianco contenuto nelle piante di lattuga selvatica (a sinistra) ed euforbia (a destra) è tossico e caustico

337


coltivazione

Triste storia della ninfa Clizia

• Ovidio ci racconta, nelle sue

Metamorfosi (libro IV), della ninfa Clizia, innamorata del dio Apollo, ma da questi respinta. La delusione per Clizia fu grande ed essa vagò senza meta, nutrendosi solo di lacrime e rugiada, seguendo con lo sguardo il dio che guidava il carro del Sole, senza mai riuscire a toccarlo. Infine ella perì di stenti ma si trasformò in una pianta di eliotropio, che con i suoi fiori continua ancora oggi a seguire l’eterno tragitto del Sole, nell’intento di impietosire il suo amato

Ranuncolo (Ranunculus)

esse quella che potrebbe trovarsi più frequentemente nei campi di insalate (specialmente negli appezzamenti di radicchio del Nord Italia e nelle zone più umide, rasenti i canali) è la cicuta maggiore (Conium maculatum), tristemente famosa per aver dato la morte a Socrate. Le cicute sono piante molto pericolose, anche perché hanno foglie simili a quelle delle piante di prezze-

Eliotropio selvatico (Heliotropium europaeum) Aconito napello (Aconitus napellus)

338


flora spontanea molo (la cicuta maggiore) o a quelle di carota (la cicuta aglina [Aethusa cynapium]) o a quelle di canapa (la cicuta acquatica [Cicuta virosa]), pur non avendo lo stesso aroma di queste specie coltivate. La cicuta maggiore è caratteristica perché ha il fusto macchiettato di rosso: a questa sua caratteristica allude l’aggettivo maculatum, mentre il nome cicuta le viene dalla parola greca kikys = forza, energia, con riferimento alla potenza del veleno in essa contenuto. Molte piante tossiche o velenose appartengono alla famiglia delle Solanacee, come la belladonna (Atropa belladonna) dalle lucide bacche nere, lo stramonio comune (Datura stramonium) dai grandi fiori bianchi conformati a imbuto e dalle capsule spinose, e la pomidorella (Solanum nigrum), per la quale si rimanda al paragrafo “Descrizione delle specie”, della quale però pare siano velenose solo le bacche nere. Una delle famiglie botaniche più ricche di specie tossiche è sicuramente quella delle Ranuncolacee, alla quale appartengono i ranuncoli, l’aconito, l’adonide estiva, la speronella e altre specie, fortunatamente poco comuni nei campi di insalata. L’aconito (Aconitum napellus), dai bellissimi fiori azzurri a forma di elmo, particolarmente diffuso nei prati di montagna, era impiegato anticamente per avvelenare i topi, come ricorda il suo nome (dal greco akoniton). Comuni, invece, nei campi coltivati, specialmente del Meridione, sono l’adonide estiva (Adonis aestivalis) e la speronella (Consolida regalis), entrambe con fiori bellissimi: di

Adonide estiva (Adonis aestivalis)

Speronella comune (Consolida regalis)

Cocomero asinino (Ecbalium elaterium) Euforbia calenzuola (Euphorbia helioscopia)

339


coltivazione

Lattuga selvatica (Lactuca serriola) Mercorella comune (Mercurialis annua)

colore rosso nella prima specie e cerulei con uno sperone chiaro nella seconda. Tutte le piante citate fin qui hanno foglie con lamina molto frastagliata, che sono facilmente distinguibili da quelle delle comuni insalate. Alle foglie delle lattughe coltivate, però, somigliano molto quelle delle lattughe selvatiche, appartenenti allo stesso genere bo-

Eliotropio selvatico (Heliotropium europaeum)

Mordigallina (Anagallis arvensis) Senecione comune (Senecio vulgaris)

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flora spontanea tanico Lactuca, il cui nome ricorda la ricchezza in latice bianco dei fusti e dei piccioli fogliari. Tra le lattughe selvatiche due sono potenzialmente tossiche, proprio a causa della loro ricchezza in latice, caustico e corrosivo: la lattuga lattona (Lactuca serriola) e la lattuga velenosa (Lactuca virosa); le foglie di entrambe queste specie si riconoscono, tuttavia, per la presenza di piccole spine arrossate, ben visibili sul fusto delle piante e sulla nervatura centrale della pagina inferiore delle foglie stesse. Piante contenenti latice bianco tossico sono anche le euforbie, alcune specie delle quali si possono trovare tra le foglie di insalata, come l’euforbia calenzuola (Euphorbia helioscopia). Alla famiglia delle Euforbiacee appartiene anche un’altra specie tossica: la mercorella comune (Mercurialis annua), che però è priva di latice. Molto comune nelle coltivazioni dell’Italia meridionale è il cocomero asinino (Ecbalium elaterium), caratteristico per le sue foglie ruvide e, come ricorda il nome Ecbalium (dal greco ekballein = lanciare), per il comportamento dei suoi frutti che a maturità spruzzano violentemente i semi mescolati a un liquido tossico e caustico. Gli effetti tossici provocati da questa pianta sono conosciuti da tempi remoti e ricordati nell’aggettivo specifico che la contraddistingue: dal greco elatér = stimolo… al vomito per gastroenteriti e altri effetti negativi. Un cenno merita, in questo contesto, uno stretto parente della borragine: l’eliotropio (Heliotropium europaeum), con foglie morbide e infiorescenze a forma di coda di scorpione, composte di fiori bianchi orientati verso il sole, come specifica il nome latino Heliotropium (dal greco hélios = sole e trepomai = mi volgo) e

Gigaro chiaro (Arum italicum)

Tipica infestazione primaverile, con prevalenza di Graminacee a nascita autunno-invernale, nelle colture meridionali

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coltivazione come vuole una triste lirica di Ovidio che tratta della ninfa Clizia e del suo amore impossibile per il dio Apollo. Diverse altre specie sarebbero qui da ricordare ma, schiavo dello spazio a disposizione, dico solo di altre tre. Della mordigallina (Anagallis arvensis), dal sapore acre, e del senecione comune (Senecio vulgaris), dalle foglie dentate sul bordo, vi è da segnalare la tossicità controversa che le fa ritenere tossiche da alcuni, mentre altri le considerano persino mangerecce. Tutti d’accordo però nel riconoscere la tossicità del gigaro (Arum), dalle foglie lucide screziate di bianco o macchiate di nero.

Esopo e l’ortolano

• Nel Romanzo di Esopo, di autore

anonimo, si legge questo dialogo: “L’ortolano: ‘Sono afflitto da un piccolo problema che però mi leva il sonno: perché pianto i germogli, li sarchio, li innaffio, adopero ogni premura e invece le erbe selvatiche spuntano molto più in fretta di quelle seminate da me’. Esopo: ‘Ascolta attentamente! Pensa a una donna vedova con figli che si risposa con un uomo che, a sua volta, ha figli. La donna avrà più attenzione per i suoi figli, anziché per i figli del nuovo marito, che per lei sono figliastri. Allo stesso modo la terra, che è madre, ha per figliastri i semi che tu semini ed ha per figli quelli delle piante selvatiche in essa contenuti, ed è a questi che lei dedica tutte le sue attenzioni’ ”

Piante infestanti nelle coltivazioni di pieno campo In Italia, la coltivazione in pieno campo delle insalate si svolge prevalentemente dalla primavera all’autunno inoltrato, con propaggini invernali nelle regioni meridionali, isole maggiori comprese. I terreni, perciò, sono soggetti a essere infestati ovunque specialmente da erbe che nascono nel corso della primavera, ma le coltivazioni meridionali ospitano anche avventizie che emergono nel periodo autunno-invernale, come avviene per esempio in Puglia, dove praticamente la produzione delle varie insalate è continua nel corso dell’anno. L’assortimento floristico spontaneo potenziale dipende perciò in massima parte dalla stagione considerata, ma anche da altri fattori, in particolare da quelli connessi con le modalità di semina e con le problematiche legate al tipo di rotazione agraria adottato nelle diverse realtà regionali.

Infestazione autunnale in una coltivazione di insalata dell’Emilia-Romagna

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flora spontanea In assenza di operazioni di diserbo l’insediamento della flora infestante è molto agevolato là dove viene eseguita la semina diretta delle insalate, seguita da un’abbondante irrigazione per permettere la germinazione dei semi. In tali circostanze germinano anche grandi quantità di semi infestanti e le piantine nate da essi si accrescono molto rapidamente, sfruttando lo spazio a loro disposizione. Questa è una delle ragioni per le quali la semina diretta è stata ovunque quasi del tutto abbandonata e sostituita dal trapianto, su terreno precedentemente mondato dalle erbe infestanti. La messa a dimora di piantine di insalata già sviluppate consente, infatti, nonostante un loro lento accrescimento iniziale per superare la crisi di trapianto, una pronta (seppure parziale) copertura del terreno, che ostacola, almeno in parte, la nascita di nuove piante avventizie. C’è da dire però che anche in queste condizioni, in assenza di ripetute sarchiature, le coltivazioni sono molto soggette a infestazione, in considerazione della taglia ridotta delle piante di insalata durante tutto il ciclo vegetativo e della loro velocità di accrescimento, che è più lenta rispetto a quella delle piante infestanti. Un ulteriore aspetto che influenza la diffusione della vegetazione spontanea, e in particolare la sua composizione specifica, riguarda il tipo di rotazione agraria cui è sottoposta la coltura. In questo senso è valido il principio generale che la coltivazione di una stessa specie ripetuta in modo continuativo sullo stesso appezzamento (o, come si dice in gergo, la mancanza di rotazione) favorisce una spiccata specializzazione della flora avventizia. Tale specializzazione sfocia nella selezione di un numero limitato di specie infestanti che diventano però sempre più aggressive verso la coltura. Situazioni analoghe si osservano anche adottando la rotazione insistita con colture ortive, che necessitano di cure colturali e trattamenti diserbanti simili a quelli fatti per le insalate. Problemi di insorgenza di una flora spontanea difficile da controllare possono però nascere anche con l’adozione di rotazioni particolari, come quelle che, specialmente nelle condizioni ambientali siciliane, riguardano le colture di insalate in rotazione con quella del frumento, invase da massicce rinascite del cereale. Grandi difficoltà si incontrano anche nelle coltivazioni di insalata consociate con quelle arboree, come, per esempio, in quelle fatte sotto chioma degli oliveti pugliesi, sovente invase da specie infestanti particolarmente virulenti e persistenti, quali il fiorrancio selvatico, l’acetosella gialla e la ruchetta violacea. Le considerazioni fatte fin qui, che saranno approfondite nel corso di un ulteriore capitolo dedicato specificamente al controllo della flora infestante, ci consentono di suddividere il complesso della vegetazione spontanea, ospite delle coltivazioni di insalate, in tre gruppi di specie e di elencare quelle (specie) più caratteristiche.

Cicoria catalogna infestata da centocchio comune (Stellaria media), infestante che si trova in tutte le stagioni dell’anno Foto R. Angelini

Infestazione su insalata

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coltivazione Specie a nascita autunno-invernale. Sono prevalentemente diffuse nelle coltivazioni di insalate dell’Italia meridionale, isole comprese: avena, camomilla comune, crisantemo campestre, falsa ortica reniforme, fumaria, loglietto, poligono degli uccellini, ruchetta violacea, scagliola. Specie a nascita primaverile. A seconda della loro diffusione, si dividono in: – presenti ovunque: amaranto, aspraggine volgare, chenopodio, giavone, pabbio, poligono convolvolo, pomidorella, porcellana comune, sanguinella; – presenti più probabilmente nelle colture di insalate dell’Italia settentrionale: acalifa, cencio molle, falsa ortica purpurea, galinsoga, miagro rostellato, persicaria, poligono nodoso, sorghetta. Specie a nascita indifferente dalla stagione. Nascono in tutto l’arco dell’anno, tranne che nei periodi più freddi e in quelli più caldi. A seconda della loro diffusione, si dividono in: – presenti ovunque: borsa del pastore, grespino, centocchio comune; presenti nell’Italia meridionale: acetosella gialla e fiorrancio – selvatico.

Saeppola canadese (Conyza canadensis)

Descrizione delle specie Acalifa (Acalypha virginica). Il nome di questa pianta viene direttamente dalla Grecia antica, ma essa è molto diffusa negli Stati Uniti, come ricorda l’aggettivo virginica. In Italia si trova confinata, per il momento, in aree limitate del Nord-Est. Tende a nascere più spesso verso la metà della primavera e sta diventando un’infestante pericolosa, soprattutto nelle colture di radicchio del Veneto, in particolare in quelle seminate precocemente. Dal punto di vista botanico è affine all’euforbia e alla mercorella comune (appartengono tutte alla famiglia Euforbiacee), già nominate tra le piante tossiche. Dal punto di vista morfologico l’acalifa è molto simile alla mercorella, anche se di taglia più ridotta rispetto a questa: le foglie di entrambe le specie hanno un picciolo evidente e la lamina lanceolata, il cui margine è denticolato in mercorella e seghettato in acalifa. Acetosella gialla (Oxalis pes-caprae). È tipica dei campi della Puglia e della Basilicata, specialmente nelle colture di insalata in consociazione con gli uliveti, ma di recente anche in colture specializzate che seguono in rotazione altre orticole di pieno campo. Il nome della specie si riferisce al sapore acido delle sue foglie, ricche di ossalati (dal greco oxys = acuto e hals = sale).

Acalifa

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flora spontanea L’aggettivo latino pes-caprae richiama gli zoccoli delle capre, simili nella forma alle radici della pianta (secondo Carlo Linneo che le ha dato il nome nel 1753): le radici, in realtà, sono rizomatose e bulbose. Le piante di acetosella non fiorite si possono confondere con quelle di trifoglio, per le quali spesso vengono spacciate: in entrambi i casi le foglie sono formate ognuna da tre segmenti, ma in acetosella i segmenti sono visibilmente cuoriformi con insenatura apicale molto accentuata. Aspraggine volgare (Picris echioides). I nomi di questa specie mettono in rilievo il suo sapore amarognolo (dal greco picris), molto apprezzato nella cucina popolare, dove le piante sono consumate cotte in vario modo per insaporire piatti di carne. Come le insalate, l’aspraggine appartiene alla famiglia delle Composite (= Asteracee) perché ha fiorellini (ligule gialle) riuniti in capolini. Pianta diffusa in tutta Italia, sebbene sia più facile incontrarla nei campi di insalate del Settentrione (in autunno) che nelle coltivazioni centro-meridionali (in primavera e in estate). Le foglie, di forma spatolata, sono ricoperte di piccole pustole biancastre, con corte setole che conferiscono un’accentuata rugosità e rendono le lamina, oltre che ruvida, anche scabra al tatto, come quella delle foglie della boraginacea Echium, cui si riferisce l’aggettivo echiodes.

Acetosella gialla

Blito o amaranto comune (Amaranthus retroflexus). È una delle piante infestanti più comuni, dalla primavera all’autunno: le prime plantule appaiono già nel mese di marzo e si accrescono molto velocemente. Le foglie hanno lamina intera, romboidale, con nervature molto evidenti sulla pagina superiore, chiare e sporgenti sulla pagina inferiore. Sovente accompagnata da colorazione amaranto, la pianta adulta ha fusto eretto, tenace e striato. I suoi fiori, piccolissimi e privi di petali colorati, sono raccolti su grandi e talvolta recline (retroflexus) pannocchie di spighe; essi sono molto persistenti, tanto che sembra non abbandonino mai le piante, neanche quando queste sono ormai secche: sta in ciò il significato del suo nome (dal greco a = non e maraino = appassisco). Le centinaia di migliaia di semi che una pianta produce, piccolissimi, neri, lenticolari e lucidi come lustrini, si trovano racchiusi in piccole capsule che a maturità si aprono con una calotta apicale. Oltre alla specie precedente, che ha fusto eretto, nei campi di insalata si trova sempre più frequentemente, in particolare in quelli del Centro-Sud della Penisola, anche l’amaranto blitoide (Amaranthus blitoides) con fusti solitamente di colore rosa e prostrati, almeno in parte, sul terreno.

Aspraggine volgare

Blito o amaranto comune

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coltivazione Le foglie di questa specie sono grassette e lucide, più piccole di quelle dell’amaranto comune, ottime (dicono) se consumate in insalata (l’aggettivo blitum deriva dal latino bliton = con foglie edibili). L’amaranto blitoide differisce da quello comune anche per il modo in cui i fiorellini si raggruppano: in questo caso in glomeruli lungo i rami fogliosi. Simile a questa specie è l’amaranto bianco (Amaranthus albus), che si riconosce per la colorazione molto chiara dei fusti e dei rami, nonché delle nervature fogliari. Borsa del pastore (Capsella bursa-pastoris). I nomi borsa e capsella sono equivalenti e alludono ai frutti di questa pianta, simili a piccole capsule a forma di cuore (in realtà sono note botanicamente con il nome di siliquette). La specie appartiene alla famiglia delle Crucifere, detta anche, dai più eruditi, Brassicacee, per riprendere il nome di uno dei generi più conosciuti della famiglia stessa, cioè quello dei cavoli, appartenenti al genere Brassica: io preferisco usare il nome tradizionale, egualmente corretto, che mi ricorda la disposizione a croce dei quattro petali di ogni fiore. La capsella ha la prerogativa di poter nascere durante tutto l’anno, specialmente nel Meridione, dove si giova in un clima non molto rigido durante l’inverno. Le prime foglie emesse hanno lamina intera, che diventa, però, sempre più incisa e frastagliata nelle foglie più giovani.

Amaranto blitoide

Camomilla comune (Matricaria chamomilla). Le piante di camomilla non sono molto alte, in compenso hanno un gradevole odore di mela: in queste due caratteristiche è da ricercare il significato del termine camomilla (dal greco chamai = piccolo, o a terra, e melon = mela). L’aroma della pianta è molto intenso, specialmente nei fiori, con i quali, una volta seccati, si prepara un gradevole infuso con azione generalmente rilassante, ma anche eccitante della muscolatura dell’utero (in latino matrix = utero). La sua famiglia è quella delle Composite, così detta per via dei fiori (in parte ligulati bianchi e in parte tubulosi gialli) raccolti su capolini, ma detta anche delle Asteracee, ricordando il genere Aster. Le foglie della camomilla hanno forma particolare, per via della lamina incisa talmente in profondità da essere composta da miriadi di segmenti filiformi.

Borsa del pastore

Cencio molle (Abutilon theophrasti). Le foglie morbide e vellutate sono l’origine del nome italiano di questa specie, il cui appellativo latino riprende, invece, quello persiano datole da Avicenna (il naturalista islamico forse più famoso, operante attorno al Mille) e dedicato all’antico Teofrasto, filosofo e allievo di Aristotele, vissuto a cavallo tra il III e il II secolo a.C.

Camomilla comune

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flora spontanea È della stessa famiglia della malva, che ricorda nella mollezza delle foglie e nel fusto robusto. Dalla malva, però, si discosta specialmente per i frutti, a forma di corona, formati da molti follicoli che si aprono a maturità e liberano moltissimi semi, che rappresentano il mezzo di diffusione della specie. La nascita delle piantine inizia durante la stagione primaverile, ma si protrae anche durante l’estate e persino durante l’autunno se queste stagioni decorrono miti e piovose. Centocchio comune (Stellaria media). Specie onnipresente, in ogni stagione e in ogni coltivazione. Già dalla fine dell’inverno le sue piante formano tappeti che mostrano miriadi di fiorellini bianchi stellati (ricordati nel nome latino), vispi come occhi splendenti (ricordati nel nome italiano). Il centocchio è difficile da eliminare meccanicamente dagli appezzamenti di insalate, a causa del portamento prostrato delle piante adulte, ed è molto difficile da eliminare anche dalla preparazione dei prodotti di quarta gamma, specialmente a causa delle dimensioni ridotte delle sue foglioline. Queste ultime hanno forma ovale, ma sono acute alla sommità; hanno una consistenza floscia e delicata che le rende velocemente deperibili dopo la loro recisione. I semi sono piccolissimi, lenticolari, ricoperti di rilievi stellati e sono contenuti in piccole capsule coronate.

Cencio molle

Chenopodio o farinello (Chenopodium). La specie più diffusa di questo gruppo di spontanee è il chenopodio bianco (Chenopodium album), ostinato frequentatore delle coltivazioni di insalate di tutta Italia, nelle quali biancheggia, se scosso dal vento, grazie alla presenza su tutti gli organi della pianta di una pruina farinosa biancastra che è ricordata nel nome italiano. Caratteristiche sono anche le sue foglie, la lamina delle quali è incisa sul bordo, quel tanto da conferirle una forma che è stata associata a quella dei piedi delle oche, forma che, nel 1753, ha ispirato il nome di questo genere di piante a Carlo Linneo (dal greco chen = oca e podion = piede). Anche il nome della famiglia (Chenopodiacee) ha questo significato, nome che sarà valido almeno fino a quando l’intera famiglia non sarà ufficialmente inglobata in quella delle Amarantacee, come auspicano le recenti teorie di sistematica molecolare. Questa specie è caratteristica anche dal punto di vista fisiologico, per la sua peculiare capacità di emergere durante un lungo periodo dell’anno; la sua diffusione prevalente è estiva nelle regioni centro-settentrionali, ma moltissimi semi contenuti nel terreno possono germinare anche verso la fine dell’inverno nelle regioni meridionali e nelle annate particolarmente miti e piovose.

Centocchio comune

Chenopodio bianco

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coltivazione Nelle coltivazioni dell’Italia meridionale è sempre più presente anche il chenopodio rosso (Chenopodium rubrum), il cui nome ricorda il colore dei fusti: per il resto la pianta è molto simile nell’aspetto alla specie precedente. Somigliante al chenopodio bianco è anche il chenopodio puzzolente (Chenopodium vulvaria), il quale però cresce adagiato sul terreno e ha foglie ovali lisce sul bordo che, come dice il nome, emanano un odore nauseante se sfregate tra le dita. Privo di pruina biancastra è, infine, il polisporo (Chenopodium polyspermum), dalle foglie colorate di smeraldo e dai minuti semi lenticolari e lucidi. Crisantemo campestre (Chrysanthemum segetum). Della famiglia delle Composite, tipico delle coltivazioni pugliesi primaverili, nasce verso la fine dell’inverno. La vocazione infestante di questo crisantemo è insita nell’aggettivo segetum (da segétis = dei seminati) che lo individua. Brillante è il colore giallo oro (in greco chrysós) dei suoi bellissimi fiori (in greco ánthemon) raccolti su capolini: fiori tubulosi al centro del capolino, sul disco, e fiori ligulati tutt’intorno al disco centrale. Da ogni fiore si sviluppa un frutticino ad achenio, quasi cilindrico e con una coroncina alla sommità. Dagli acheni, contenenti ognuno un seme, nascono piante che da adulte hanno foglie grigio-verdastre, grassette e spatolate, incise sul bordo in denti evidenti. Crescendo, la pianta emette rami fioriferi con foglie amplessicauli, cioè che abbracciano i rami con la loro base.

Chenopodio polisporo

Falsa ortica (Lamium). Il nome latino di questo genere è ripreso anche per l’intera famiglia di cui esso fa parte: Lamiacee, conosciuta anche con il termine Labiate, ispirato dai petali dei fiori saldati in labbra. Il nome italiano si riferisce, invece, alla rugosità delle foglie che le rende simili a quelle delle piante dell’ortica, seppure esse non siano urticanti. Del genere Lamium fanno parte molte specie, due delle quali si trovano con una certa frequenza nei campi di insalate: la falsa ortica purpurea (Lamium purpureum) e la falsa ortica reniforme (Lamium amplexicaule), i cui nomi ricordano caratteristiche delle foglie. La prima specie ha foglie apicali purpuree ed è diffusa maggiormente nelle coltivazioni del Settentrione. La seconda specie, più presente nelle coltivazioni meridionali, ha foglie reniformi che abbracciano (in un evocativo amplex) il fusto con la loro base.

Crisantemo campestre

Fiorrancio selvatico (Calendula arvensis). Il nome Calendula, come il termine calendario, deriva dal primo giorno di ogni mese (kalendae) del calendario Giuliano, istituito da Giulio Cesare nel

Falsa ortica

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flora spontanea 46 a.C. e rimasto in uso fino all’avvento del calendario Gregoriano, nel 1582. Il riferimento alle kalendae riguarda la fioritura della specie, che avviene durante un lungo periodo dell’anno in primavera e in autunno (e ciò è vero), e si rinnova (e ciò è vero) al principio di ogni mese (e ciò non è vero, ma il nome rende l’idea della persistenza e della ripetitività della fioritura). La pianta presenta aspetti contrastanti: le foglie infatti, a causa del loro colore glauco, sembrano vellutate, ma la loro consistenza è piuttosto rude; la delicatezza del colore arancio dei fiori, inoltre, contrasta con il loro spiccato odore fetido se strofinati tra le dita. Fumaria o fumosterno (Fumaria officinalis). I botanici sistematici moderni hanno iscritto la fumaria nella stessa famiglia del papavero. Le due piante, però, hanno ben poco in comune, a parte il numero di petali (quattro) e di sepali precocemente caduchi (due). I petali di ogni fiore di fumaria sono, però, saldati alla loro sommità facendo assumere al fiore stesso una struttura irregolare. Pianta officinale per eccellenza, come sottolinea anche l’aggettivo latino che la contraddistingue, la fumaria è diffusa ovunque e infesta le coltivazioni di insalate di tutt’Italia. La pianta adulta ha architettura irregolare per via dei suoi rami a prima vista disordinati: per questo suo portamento e a causa delle sue foglioline glauche e frastagliate, il suo aspetto complessivo è simile a una nuvoletta di fumo che si sprigiona dalla terra, giustificando così, per molti autori, il suo nome.

Fiorrancio selvatico

Galinsoga (Galinsoga). I capolini di questa pianta rimarcano la sua appartenenza alla famiglia delle Composite (= Asteracee). Molto comune in tutta Italia, la galinsoga, il cui nome è dedicato al naturalista spagnolo Martinez Galinsoga, tuttavia si trova più facilmente nelle coltivazioni del Settentrione: nei campi emiliani di lattuga e in quelli veneti di radicchio. Del genere Galinsoga la specie più diffusa come infestante è la galinsoga ispida (Galinsoga ciliata), così detta per avere i rametti e le brattee dei capolini ricoperti di una cortissima peluria (ciliata) ispida, ben visibile in controluce. Senza peluria sono, invece, le piante di galinsoga comune (Galinsoga parviflora), così detta per le piccole dimensioni dei capolini (dal latino parvus = piccolo). Entrambe le specie nascono in primavera e continuano a nascere anche durante la stagione estiva se questa decorre piovosa.

Fumaria o fumosterno

Graminacee a ciclo autunno-primaverile. Nella famiglia delle Graminacee, detta anche delle Poacee, per via dell’appartenenza a essa del genere Poa, sono raggruppate moltissime specie. Il nome della famiglia deriva dal termine latino gramen = erba

Galinsoga

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coltivazione o filo d’erba, per l’aspetto delle foglie: allungate, nastriformi e sottili. Le specie che compongono questo gruppo si distinguono tra loro, oltre che per le caratteristiche fisiologiche e morfologiche, soprattutto per l’epoca della loro nascita, che, nelle condizioni climatiche italiane, può avvenire durante la stagione autunno-invernale oppure in quella primaverile. Le specie a nascita autunno-invernale maturano i loro semi verso la fine della primavera successiva; tra queste, quelle che si possono trovare con maggiore probabilità nei campi di insalata sono: forasacchi (Bromus), avena maggiore (Avena sterilis), loglietto (Lolium multiflorum) e scagliole (Phalaris). La distinzione tra le diverse specie non è agevole, soprattutto quando le piante sono allo stadio giovanile, prima dell’emissione dei fiori. Le piante del loglietto si riconoscono, nondimeno, per le foglie lucide, per l’assenza di peli e per i fiori raccolti in spighe sottili e compresse. L’avena ha foglie un po’ pelose, di colore verde scuro, mentre i suoi fiori sono distribuiti su pannocchie ramose e ampie, come quelle dei forasacchi, che hanno piante giovani interamente ricoperte di una corta peluria. Pressoché cilindriche sono, invece, le infiorescenze delle scagliole, le foglie delle quali hanno una delicata colorazione verde chiara. Anche l’areale di distribuzione più probabile di ogni specie può costituire un valido indizio per l’identificazione. Le scagliole, per esempio, sono una presenza costante solo nei campi di insalate dell’Italia meridionale, e in particolare in quelli siciliani e sardi. Il loglietto e l’avena si trovano con maggiore frequenza nei campi pugliesi e campani, pur non disdegnando apparizioni autunnali nelle colture padane. I forasacchi, infine, hanno areali di distribuzione a macchia d’olio, ovunque in Italia, ma sono meno frequenti delle altre specie qui citate.

Graminacee autunno-primaverili: avena maggiore

Graminacee autunno-primaverili: loglietto

Graminacee a ciclo primaverile-estivo. Le Graminacee che nascono in primavera e che maturano i semi durante l’autunno si trovano con maggiore frequenza negli appezzamenti di insalate dell’Italia settentrionale, ma spesso abitano anche le corrispondenti coltivazioni estive del Meridione. Giavone, pabbio, sanguinella e sorghetta sono i generi più diffusi in queste stagioni dell’anno; la loro distinzione, anche allo stadio giovanile, è più agevole di quella necessaria per individuare le varie specie di Graminacee a nascita autunnale. Per questo scopo, infatti, oltre alla forma delle infiorescenze ci si avvale, tra l’altro, della presenza o dell’assenza della ligula e di rizomi radicali. La ligula è una scaglietta erbacea che si trova alla base della lamina fogliare, dove questa si divarica dal fusto; è presente in tutte le specie, anche se varia di forma e dimensioni, ma manca nelle piante di giavone (Echinochloa crus-galli). Tra le piante dei generi elencati solo la sorghetta (Sorghum halepense) ha rizomi radicali, capaci di generare altre piante: questa specie

Graminacee primaverili-estive: giavone

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flora spontanea perciò si può riprodurre tanto tramite semi quanto per mezzo di tali organi. La riproduzione delle altre piante qui citate avviene solo mediante semi, poiché esse sono sprovviste di rizomi e di altre strutture perennanti. L’infiorescenza della sanguinella, che è così detta per via del colore rosso che spesso caratterizza il fusto e le foglie, ha rami disposti come le dita d’una mano e per questo il nome latino della specie è Digitaria sanguinalis. Il riferimento alla forma dell’infiorescenza si legge anche nell’aggettivo specifico crus-galli (zampa di gallo) che accompagna il nome generico del giavone: Echinochloa, che in greco vuol dire “erba a riccio”, per via delle infiorescenze munite spesso di lunghe reste che ricordano gli aculei dei ricci. Particolarmente setolose sono infine le pannocchie, quasi cilindriche, del pabbio, e questa loro caratteristica è messa in luce dal termine latino: Setaria.

Graminacee primaverili-estive: pabbio

Grespi(g)ni (Sonchus). I crespi(g)ni (o Cicerbite) sono presenti sempre e ovunque. Il loro nome italiano è quello più usato nel lessico contadino toscano, mentre il latino Sonchus deriva dal greco sonkos (che indicava, forse, una pianta erbacea dal fusto cavo). Appartengono alla famiglia delle Composite (= Asteracee), così detta perché i fiori (ligule gialle) sono raggruppati in capolini. Il portamento delle piante è eretto e il fusto, se rotto, emette un latice bianco. Le foglie hanno lamina espansa e incisa profondamente sul bordo in segmenti triangolari che terminano con morbide spine nelle piante di grespino spinoso (Sonchus asper). Prive di spine sul bordo della lamina sono, invece, le foglie di grespino comune (Sonchus oleraceus), il cui aggettivo latino rievoca l’uso alimentare che da tempo immemorabile si fa di questa specie (oler = verdura e -aceus = simile).

Grespino comune (sopra), spinoso (sotto)

Miagro rostellato (Calepina irregularis). Della stessa famiglia (Crucifere) della borsa del pastore descritta sopra, il miagro rostellato allo stadio di adulto ha fusto molto ramificato con fiori e frutti distribuiti lungo sottili racemi. I fiorellini sono bianchi e raggruppati all’apice del racemo stesso; ognuno di essi ha corolla formata da quattro petali incrociati. I frutti, sorretti da peduncoli incurvati verso l’asse del racemo, sono piccole (2-3 mm) siliquette ovoidali contenenti ognuna un seme globoso. Le piante giovani sono molto simili alle piante di cicoria, con la lamina fogliare a forma di spatola ma lobata sul bordo e incisa profondamente. Si trova spontaneo prevalentemente nei vigneti e nelle colture arboree del Settentrione e in quelle del Centro lungo la fascia tirrenica, dove l’insalata viene coltivata in successione (o in vicinanza) a tali coltivazioni.

Miagro rostellato

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coltivazione Poligoni (Polygonum). Nel nome di queste piante, dai fiori piccolissimi, e in quello della famiglia di riferimento (Poligonacee) non ha nessuna influenza la geometria; il loro significato, infatti, non è da ricercare nella lingua italiana ma in quella greca, che mette in risalto la nodosità del fusto e dei rami con i termini polys = molti e gonu = ginocchi, articolazioni. Questa caratteristica è particolarmente evidente nel poligono nodoso (Polygonum lapathifolium), spontaneo nelle coltivazioni primaverili-estive di tutta Italia. Un’altra specie, contemporanea alla precedente ma con un areale di distribuzione preferibilmente più settentrionale, è la persicaria (Polygonum persicaria), molto simile all’altra, ma con foglie che ricordano quelle dall’albero del pesco, come mette in risalto l’aggettivo persicaria. Accanto a questi due poligoni, sono da considerare qui altri due. Il poligono degli uccellini (Polygonum aviculare), che vegeta praticamente durante tutto l’anno, è così chiamato per i suoi semi particolarmente appetiti dagli uccelli. Ha foglie lanceolate, come i precedenti, ma più piccole rispetto a quelle delle altre specie; i suoi rami sono adagiati in parte sul terreno. A forma di cuore o di asta sono le foglie del poligono convolvolo (Polygonum convolvulus = Fallopia c. = Bilderdykia c.), che delle quattro specie è forse quella più diffusa allo stato spontaneo nelle coltivazioni. Esso differisce dalle specie descritte prima anche, e soprattutto, per la volubilità del fusto, messa in rilievo anche dal termine convolvulus (dal latino convolvere = avvolgere). Questa sua caratteristica ha indotto diversi autori a riclassificarlo in generi diversi dal Polygonum, all’interno del quale lo aveva collocato Carlo Linneo nel 1763; infatti nello stesso anno la specie venne dedicata, dal botanico francese Michel Adanson, all’anatomista italiano del XVI secolo Gabriele Falloppio, mentre nel 1827 il botanico belga Barthélemy Charles Joseph Dumortier coniò il sinonimo Bilderdykia.

Poligoni: persicaria

Poligoni: poligono degli uccellini

Pomidorella o erba morella comune (Solanum nigrum). Le bacche di questa specie sono sferiche e simili nella forma a quelle di molte varietà di pomodoro, ma molto più piccole e di colore nero: è a questo che si riferiscono i nomi italiani. L’appellativo latino esalta, invece, le proprietà terapeutiche (da solamen = conforto) di questa specie e delle altre piante appartenenti alla stessa famiglia (Solanacee). I fiori, inseriti in cime (grappolini) all’apice dei rami, hanno forma di stella, con ognuno cinque petali bianchi saldati tra loro alla base; al centro dei petali si nota un grumo giallo costituito dall’insieme degli stami. La lamina fogliare ha forma ovale, con grossi denti sul bordo, colore verde scuro e consistenza molle e vellutata. La specie rappresenta una delle infestanti a nascita primaverile più invadenti e pericolose nei campi di insalate.

Pomidorella o erba morella comune

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flora spontanea Porcellana comune o erba porcella (Portulaca oleracea). I due nomi italiani di questa specie sottolineano la sua appetibilità per i maiali, quantunque in essi, e specialmente nel secondo, si potrebbero ravvisare tendenze particolari, in verità più consone al regno animale che non a quello vegetale. Il suo nome latino, invece, si riferisce alla piccola portula apicale con la quale si aprono frutti; il termine oleracea, infine, la eleva al rango di verdura da orto (dal latino oleraceus = da orto). La porcellana nasce, da seme, nella tarda primavera e continua a nascere anche in estate se questa stagione decorre piovosa. Ha foglie molto piccole, carnosette, spatolate, lisce e un po’ lucide come il suo fusto che è spesso arrossato e generalmente appoggiato sul terreno. È spontanea in molte colture, specialmente lungo le coste e nei terreni sabbiosi. Porcellana comune o erba porcella

Ruchetta violacea (Diplotaxis erucoides). Della rucola ha l’odore e il sapore asprigno. Ogni fiore ha quattro petali bianchi, la cui disposizione a croce ha suggerito il nome della famiglia cui appartiene: Crucifere (= Brassicacee). Il nome del genere deriva, invece, dalle parole greche diplús = doppio e taxis = serie, per ricordare la disposizione dei semi all’interno dei frutti maturi (silique), inseriti in duplice serie, sui margini di una membrana ialina posta all’interno di ogni frutto. Le foglie sono molto rugose; quelle inferiori hanno il bordo profondamente inciso. Allo stato naturale la specie nasce verso la fine dell’inverno e si trova fiorita in primavera; essa perciò infesta maggiormente le insalate durante questi periodi, in particolare nelle colture consociate con arboreti (per esempio negli oliveti pugliesi), ma anche in colture specializzate.

Ruchetta violacea Anche la malva (Malva sylvestris) si può trovare (raramente) nei campi di insalata

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le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Diserbo nel Nord Italia Gabriele Rapparini, Giovanni Campagna

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coltivazione Diserbo nel Nord Italia Foto R. Angelini

Le insalate sono colture orticole da foglia e piccioli utilizzate prevalentemente per il consumo fresco. Come tutte le orticole, sono molto importanti nell’agricoltura mediterranea e in genere vengono trattate separatamente da quelle più estensive utilizzate per la trasformazione industriale (patata, pomodoro, spinacio, mais dolce, pisello, fagiolo e fagiolino), perché presentano problematiche differenti dalle colture di pieno campo, se non altro per le più limitate superfici di coltivazione, che necessitano di un maggior grado di intensivizzazione. Le orticole per la produzione del seme differiscono a loro volta per l’utilizzazione non alimentare del prodotto. A livello botanico le differenti specie di insalate appartengono alla famiglia delle Composite e sono: lattuga (Lactuca sativa), indivia (Cichorium endivia var. crispum), scarola (Cichorium endivia var. latifolium), radicchio e cicoria (Cichorium intybus). In questi ultimi anni è stato riscontrato un notevole successo dei prodotti orticoli freschi già confezionati e pronti al consumo (prodotti di quarta gamma), tra i quali è molto diffusa una miscela di lattughe da taglio tipo “Lollobrigida” (circa 30%), indivie e scarole (circa 30%), spesso mescolate a rucola (circa 20%) e valerianella (circa 20%). Queste specie da insalata sono coltivate su oltre 3000 ha, concentrati prevalentemente nelle zone di Battipaglia e di Bergamo, dove risiedono le principali industrie di preparazione. Parte di queste insalate viene coltivata in serra o fuori suolo, dove la pratica del diserbo non viene presa in considerazione. Altre coltivazioni vengono effettuate in aree limitate, dove per l’inten-

Le insalate coltivate in Italia sono rappresentate da diverse varietà delle specie di lattuga, indivia, radicchio e cicoria, che trovano più specifici adattamenti in diversi ambienti pedoclimatici e periodi di coltivazione

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diserbo nel Nord Italia sità colturale e le esigue superfici si manifestano problematiche riconducibili a quelle degli orti familiari. Pur rivestendo complessivamente una notevole importanza, sono caratterizzate da superfici limitate, frammentate e promiscue, dove si tende all’autoconsumo e si applicano tecniche di lotta non imperniate sul diserbo chimico, bensì sui mezzi manuali e sulle zappature. Più importanti sono le coltivazioni che vengono effettuate in pieno campo, dove la pratica della lotta alle malerbe deve essere impostata allo scopo di ottenere produzioni di elevata qualità. Danni della flora infestante La limitata densità di investimento e la lenta crescita iniziale delle insalate espongono queste colture orticole alla competizione esercitata dalle malerbe. La flora infestante costituisce un’importante fonte di disturbo, a causa della competizione luminosa, nutritiva e idrica, che può ridurre consistentemente la potenziale produttività di queste colture. Ciò è particolarmente evidente nelle coltivazioni seminate o infestate dalle specie più concorrenziali, come le perennanti e quelle che si sviluppano più rapidamente. Minori sono in generale i danni che si riscontrano nel caso di coltivazioni trapiantate, applicando correttamente le pratiche agronomiche di gestione delle infestanti. Le specie annuali più competitive, come Amaranthus retroflexus, possono causare una perdita di produzione fino a oltre il 50% se non adeguatamente contenute nel mese successivo al trapianto. Nel caso di colture seminate, tutte le malerbe non controllate nel periodo più critico, rappresentato dai primi 25-30 giorni dall’emergenza, possono annullare completamente la produzione.

Nei terreni litoranei di natura sabbiosa, dove si ricorre principalmente all’irrigazione con manichetta, i trattamenti erbicidi vengono eseguiti in pre-trapianto, su tutta la superficie del terreno, ovviando alla disformità di nascita delle infestanti Nei terreni sabbiosi dell’Italia settentrionale trovano una facile diffusione, nei mesi primaverili-estivi, le infestazioni di Galinsoga parviflora (nella foto) e Galinsoga ciliata che, al pari delle altre specie composite (Sonchus, Senecio, Lactuca, Picris, Matricaria), sono favorite nel loro sviluppo dal ripetuto impiego degli erbicidi selettivi

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coltivazione Composizione floristica Nelle colture di insalate la composizione floristica può essere molto variabile e dipende prevalentemente da: – condizioni pedoclimatiche; – riserva di semi nel terreno; – tecnica colturale adottata; – durata e periodo del ciclo colturale. Nei mesi autunno-invernali tra le Graminacee si possono rilevare principalmente Avena sterilis, Alopecurus myosuroides, Lolium spp., Poa spp. e Phalaris spp., che possono continuare a germinare anche nei primi mesi primaverili e verso la fine dell’estate. Nei mesi estivi prevalgono invece le infestazioni di Echinochloa crus-galli, Setaria spp., Digitaria sanguinalis e Sorghum halepense sia da seme sia da rizoma, insieme talvolta a Cynodon dactylon. Tra le infestanti dicotiledoni annuali, si possono prevedere nel periodo autunno-invernale le emergenze di Veronica spp., Stellaria media, Fumaria officinalis, Papaver rhoeas, Matricaria spp., Anthemis arvensis, Chrysanthemum segetum, Sinapis arvensis, Raphanus raphanistrum, Rapistrum rugosum, Myagrum perfoliatum, Diplotaxis spp., Thlaspi arvense, Calepina corvini, Capsella bursa-pastoris, Ranunculus spp., Galium aparine, Galinsoga spp. ecc.; molte di queste specie possono protrarre la loro germinazione fino a primavera inoltrata e riprenderla al termine del periodo estivo. A partire dai mesi primaverili fanno la loro comparsa le malerbe maggiormente concorrenziali per la maggior parte delle colture, tra cui Poligonacee, Chenopodiacee e Amarantacee, oltre a Labiate, Euphorbia spp., Mercurialis annua, Datura stramonium, Solanum nigrum, Abutilon theophrasti, Portulaca oleracea, Heliotropium europaeum ecc.

Grave infestazione di Galinsoga parviflora che, per inquinamento dei cubetti di torba di provenienza extra-aziendale, in pochi anni ha reso impraticabile le coltivazione della lattuga Nei periodi estivi, tra le infestazioni più dannose per le insalate sono da annoverare quelle di Portulaca oleracea, fortunatamente contenute dai trattamenti preventivi con propizamide, nelle miscele con i complementari benfluralin, oxadiazon e pendimetalin

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diserbo nel Nord Italia Particolarmente presenti tra le colture orticole risultano inoltre alcune infestanti perenni, tra cui Convolvulus arvensis, Calystegia sepium, Cirsium arvense, Artemisia vulgaris, Rumex spp. ecc., molto dannose a causa dell’elevata competizione che possono esercitare e per le difficoltà di contenimento con colture in atto. In ogni caso nella generalità delle insalate, notoriamente poco concorrenziali, tutte le malerbe, comprese quelle meno competitive, possono essere dannose (per es. le dicotiledoni Capsella bursa-pastoris, Euphorbia spp., Lamium spp., Veronica spp., Fumaria officinalis, Senecio vulgaris, mentre tra le Graminacee Poa annua). Per questo è importante un’impostazione integrata delle strategie di contenimento con tutti i mezzi a disposizione, evitando di utilizzare irrazionalmente la ristretta gamma di erbicidi. La scarsa disponibilità di principi attivi, infatti, comporta l’impiego ripetuto dei medesimi prodotti che, insieme all’adozione delle minime lavorazioni e alle strette successioni colturali, è causa della comparsa di una flora di sostituzione costituita in prevalenza da specie botanicamente affini alle insalate: Senecio vulgaris, Sonchus asper e S. oleraceus, Xanthium italicum, Matricaria chamomilla, Anthemis arvensis, Galinsoga parviflora e G. ciliata, Lactuca serriola, Picris echioides, Carduus spp., Cirsium vulgare, Silybum marianum ecc. Aspetti agronomici e necessità di una gestione integrata Il ciclo colturale delle insalate può variare notevolmente in funzione dell’ampio intervallo delle esigenze termiche: il minimo di accrescimento è di 5-8 °C, mentre le temperature elevate sono tollerate mediante irrigazioni a effetto climatizzante. Per questo le insalate sono coltivate in quasi tutti i periodi dell’anno, anche in

Per ottimizzare il contenimento delle infestanti risultano vantaggiose le lavorazioni superficiali di affinamento del terreno con erpici a denti rigidi o a molla, le quali permettono di interrompere la germinazione dei semi e lo sviluppo iniziale delle malerbe

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coltivazione pieno campo. In genere, queste orticole sono riconducibili a cicli autunno-invernali, primaverili ed estivo-autunnali. La tecnica colturale può prevedere la semina diretta, come in genere avviene su piccole superfici e negli orti familiari. Più di frequente, nelle coltivazioni specializzate di pieno campo o in coltura protetta, le insalate vengono trapiantate, impiegando piantine seminate in semenzaio (produzione di piantine a radice nuda, maggiormente utilizzate nel passato) o riprodotte in serra in contenitori alveolari con substrato torboso (piantine con cubetto o pane di terra). In quest’ultimo caso la tecnica colturale è più semplice e assicura un miglior attecchimento delle piante, con indiscutibili vantaggi sia per lo sviluppo, sia, soprattutto, per la facilitazione nella pratica del diserbo. La frammentata realtà della coltivazione delle insalate dà luogo a notevoli problematiche di diserbo. Benché le insalate rappresentino un’importante realtà per molte aziende, le problematiche del diserbo, come per tutte le orticole, sono difficili da risolvere per la mancanza da parte dell’industria chimica di un interesse tale da giustificare la produzione o lo sviluppo di nuovi agrofarmaci specifici. Questo fa sì che i pochi erbicidi autorizzati all’impiego siano spesso obsoleti e non vengano rimpiazzati in caso di revoca delle sostanze attive. La ristretta gamma di prodotti efficaci e selettivi comporta spesso il ripetuto ricorso agli stessi erbicidi, causando la selezione di una flora infestante di compensazione molto affine alle specie coltivate. Nell’ambito di una breve ciclicità colturale (intorno a un mese) il rispetto dei tempi di carenza porta spesso a escludere l’impiego di molte sostanze attive, soprattutto in post-emergenza, come nel

L’erpicatura superficiale si rivela particolarmente utile nelle colture sia seminate sia trapiantate per l’interramento dei prodotti più volatili, come benfluralin, ma anche per predisporre i terreni alle applicazioni anticipate di pre-trapianto con erbicidi residuali, quali oxadiazon e pendimetalin

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diserbo nel Nord Italia caso più frequente dei graminicidi specifici. La stretta successione delle coltivazioni comporta invece l’esclusione degli erbicidi più persistenti, per evitare che eventuali residui attivi danneggino le colture seguenti. Occorre inoltre considerare che le aree orticole più vocate si trovano spesso su terreni sciolti, i quali richiedono frequenti e abbondanti apporti irrigui, con conseguenti problematiche di lisciviazione, inquinamento ambientale e danni da fitotossicità, che riducono o talvolta impediscono il ricorso agli erbicidi meno selettivi. La selettività risulta spesso influenzata dalle diverse tecniche di coltivazione (semina diretta o trapianto, coltivazione in pieno campo, sotto film plastico, tunnel o serra ecc.), ma soprattutto dall’eterogeneità del panorama varietale, caratterizzato da un continuo ricambio. Da ciò deriva la necessità di integrare e valorizzare tutte le tecniche alternative a disposizione: pratica della falsa semina, trapianto, solarizzazione, pacciamatura, sarchiatura, pirodiserbo, ecc. L’integrazione tra tutte queste tecniche è particolarmente importante in considerazione della scarsa competitività delle insalate, dovuta alla limitata densità di investimento e alla lenta crescita iniziale. Strategie di intervento integrate La ristretta gamma di molecole disponibili per il diserbo chimico, accanto alle pressanti normative di carattere ecologico-sanitario, porta a valorizzare, per una corretta gestione della flora infestante, le più recenti innovazioni e conoscenze acquisite dalle varie discipline agronomiche, meccaniche, biologiche ed ecologiche.

Per l’attivazione dei prodotti a prevalente azione antigerminello, come propizamide, è indispensabile effettuare interventi irrigui dopo le applicazioni di pre- e post-trapianto

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coltivazione Un aspetto di basilare importanza è la necessità di impostare strategie di lotta che limitino la comparsa di una flora di sostituzione o di compensazione. Da qui la necessità di alternare le sostanze attive e applicarle in miscela tra loro, preferendo l’impiego di prodotti residuali dotati di meccanismi d’azione meno specifici. Le strategie di lotta alle malerbe adottate in agricoltura poggiano, secondo le più recenti acquisizioni, su alcuni principali concetti di base: il diserbo chimico selettivo e i mezzi agronomici, nonché meccanici, debitamente integrati per sortire i migliori effetti sinergici. Ne scaturisce il concetto di controllo integrato delle malerbe, o meglio di gestione integrata, che prevede tra l’altro di contenere le infestanti presenti al di sotto di una soglia economica di intervento. Mezzi alternativi o integrativi al diserbo chimico Attualmente si presta particolare attenzione a questi mezzi per motivazioni di carattere ecologico-sanitario, ma anche per questioni legate alla sostenibilità degli interventi chimici. Inoltre, il ricorso a queste pratiche deriva dall’orientamento verso coltivazioni biologiche e dalla mancanza di nuove molecole per il controllo delle infestanti. Queste metodologie possono essere schematizzate come segue: – mezzi indiretti di regolazione delle emergenze delle malerbe (rotazione, lavorazioni, falsa semina, cover crops, concimazioni e irrigazioni) e di aumento della competitività della coltura (accurata scelta di specie e varietà, epoca di semina e trapianto); – mezzi diretti in assenza di coltura (pacciamatura, solarizzazione, pirodiserbo) e in presenza di coltura (sarchiatura, fresatura, rincalzatura, pacciamatura, pirodiserbo).

I mezzi alternativi o integrativi rispetto al diserbo chimico assumono sempre maggiore importanza per i moderni sistemi di coltivazione (quarta gamma e colture protette), con la valorizzazione delle tecniche di gestione dell’emergenza delle malerbe (rotazione, lavorazioni, falsa semina, concimazioni e irrigazioni) e di aumento della competitività delle colture (scelta di specie e varietà, epoca di semina e trapianto)

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diserbo nel Nord Italia L’utilizzo di queste tecniche prevede, ancor più della lotta chimica, la conoscenza dei meccanismi che regolano l’emergenza e la competitività delle infestanti. Partendo dal presupposto che le infestanti divengono più difficili da contenere con la pratica della monosuccessione colturale, in quanto l’utilizzo ripetuto degli stessi erbicidi e delle medesime tecniche colturali esercita una forte pressione selettiva, occorre programmare a priori un’adeguata successione delle colture. I vantaggi che derivano dall’utilizzo di opportune tecniche colturali sono legati prevalentemente alla maggiore differenziazione delle specie infestanti (biodiversità) che si viene a creare, con reciproca competizione esercitata tra le diverse piante a favore della coltura e conseguente facilitazione del contenimento delle stesse malerbe. I mezzi indiretti agiscono mediante la regolazione delle emergenze delle malerbe nei tempi e nelle modalità a noi vantaggiose e l’aumento della competitività della coltura nei confronti delle malerbe. La rotazione assume un ruolo di primaria importanza nella gestione integrata della flora infestante, mentre le lavorazioni profonde esplicano effetti positivi nel breve periodo, in quanto i semi delle infestanti, interrati a una certa profondità, non si trovano più nella condizione di germinare. Laute concimazioni effettuate a pieno campo possono favorire lo sviluppo delle erbe infestanti, pertanto occorre localizzare i fertilizzanti allo scopo di avvantaggiare il più possibile la coltura a discapito delle malerbe. Le irrigazioni concorrono, insieme alla tecnica della falsa semina, a favorire la germinazione

Diverse specie e varietà di insalate trapiantate a strisce, per la raccolta scalare a fine ciclo

In presenza di ridotte infestazioni di composite annuali (Sonchus, Senecio, Matricaria ecc.) e più elevate nascite primaverili di dicotiledoni comuni, come Poligonacee, Chenopodiacee, Amarantacee, Solanacee e Graminacee, l’applicazione della miscela di propizamide + oxadiazon anticipata di 7-8 giorni rispetto al trapianto assicura un buon controllo per tutta la durata del ciclo colturale di cicoria e lattuga

Risultati di una prova sperimentale con trattamenti anticipati a 8 giorni prima del trapianto di radicchio variegato e lattuga gentilina. L’impiego della miscela di pendimetalin + propizamide ha permesso di contenere perfettamente la prevalente infestazione di Chenopodium album, Solanum nigrum e Portulaca oleracea e le Graminacee primaverili-estive (Echinochloa, Digitaria ecc.)

361


coltivazione dei semi che si trovano nei primi strati di terreno (circa 5 cm) prima della semina della coltura, allo scopo di diminuire il potenziale di infestazione successivo, con una riduzione che mediamente è del 70-80%. La scelta della specie e delle varietà più competitive, insieme a un’ottimale epoca e densità di semina, può avere una notevole influenza sui rapporti competitivi tra la coltura e le malerbe. Il successo delle specie coltivate è direttamente correlato con il ritardo dell’emergenza e la limitazione dello sviluppo della vegetazione spontanea rispetto alla coltura. La tecnica del trapianto permette alla coltura di sfuggire inizialmente alla competizione esercitata dalla flora infestante, in quanto si pone a dimora una piantina già sviluppata. In questi casi, anche in assenza di diserbo chimico, si può ridurre notevolmente il ricorso alle scerbature manuali. I mezzi diretti permettono di distruggere direttamente le infestanti in assenza o in presenza della coltura. In assenza di questa può essere utilizzata la tecnica della solarizzazione, che consiste nella stesura di film plastici su terreno umido nei periodi di maggior insolazione, allo scopo di riscaldare il terreno fino a devitalizzare molti semi che si trovano nei primi strati. Il pirodiserbo agisce nei confronti delle malerbe, determinando la distruzione delle membrane cellulari grazie alle elevate temperature (superiori a 50-70°) che si vengono a creare per brevissimi periodi sulle foglie delle stesse. Può essere effettuato anche in presenza della coltura, purché si operi con schermi protettivi e sulle specie più tolleranti. Sul medesimo principio si basano, seppure a prevalente uso sperimentale per il momento, le microonde, le scariche elettriche, i raggi termici e il vapore acqueo, quest’ultimo utilizzato nella geosterilizzazione delle serre.

L’Emilia-Romagna è la regione italiana più interessata alla coltivazione di colture portaseme di piante industriali come la barbabietola, ma anche di specie orticole come le insalate. Grazie alla maggiore distanza di trapianto tra le file in queste coltivazioni, è possibile attuare una lotta integrata alle più comuni infestanti con un solo trattamento di pre-semina o di pre-trapianto nei terreni argillosi e una o più complementari sarchiature meccaniche in post-trapianto

362


diserbo nel Nord Italia Le sarchiature, come le fresature, sono le pratiche più utilizzate contro le malerbe con coltura in atto, permettendo di eliminare tutte le infestanti presenti nell’interfila. Esse, tuttavia, non consentono di contenere le infestanti sulla fila, e pertanto si possono rendere necessari interventi di lieve rincalzatura. Inoltre, nella moderna tecnica di coltivazione delle insalate, la sarchiatura meccanica in genere non può essere eseguita a causa della ridotta distanza tra le file. In alternativa si può ricorrere alla pacciamatura, che porta a ulteriori vantaggi, tra cui la diminuzione delle perdite d’acqua per evaporazione, e ad altri effetti benefici sulla struttura e sulla microflora del terreno. Tutti questi interventi devono essere effettuati con estrema professionalità, e soprattutto con tempestività, complementarietà e sinergismo, allo scopo di ottenere il migliore contenimento delle malerbe. Saranno pertanto le specie infestanti presenti, le condizioni colturali e pedoclimatiche, la redditività del prodotto finale e le attrezzature disponibili a suggerire la scelta della più opportuna combinazione di mezzi da adottare. Importanza della gestione dei letti di semina e di trapianto L’ottimale gestione del terreno in pre-semina o in pre-trapianto è fondamentale per contenere le infestanti e mettere le colture in condizione di sfuggire alla loro competizione. Le preparazioni anticipate favoriscono, oltre che la migliore strutturazione del suolo, anche la nascita della maggior parte delle malerbe che si trovano mediamente nei primi 5 cm di terreno, le quali possono essere devitalizzate con erbicidi ad azione totale o anche mediante lavorazioni superficiali. In assenza di piogge, alla pratica della co-

Danni di un formulato di pendimetalin su piantine trapiantate della più sensibile lattuga, che si manifestano con malformazioni fogliari e transitori ritardi di sviluppo, e che possono essere evitati con un anticipo delle applicazioni a 7-10 giorni prima del trapianto, facendo seguire un’immediata e leggera irrigazione

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coltivazione siddetta “falsa semina” si può far precedere un intervento irriguo; in questo modo, se si effettua il trapianto di piantine di insalate in cubetto di torba e su terreni non particolarmente infestati, l’obiettivo del contenimento delle malerbe può essere quasi raggiunto. In questi casi i cicli colturali si possono ridurre da 40-45 giorni fino a 35 nel caso di forzature e ancora meno nel caso del taglio (quarta gamma). È ovvio che con questa pratica la coltura risulta più competitiva nei confronti della flora infestante, in quanto si mette a dimora una piantina già sviluppata, che quindi sarà meno sensibile alle infestanti che devono ancora emergere. Diserbo chimico Visti i crescenti standard qualitativi richiesti, le coltivazioni di insalate non possono prescindere da una corretta applicazione di razionali strategie integrate che prevedano anche l’impiego del diserbo chimico. Le epoche di impiego degli erbicidi sono: – pre-semina o pre-trapianto, per la devitalizzazione delle malerbe già emerse con erbicidi non selettivi ad azione fogliare (per es. glifosate); – pre-emergenza, pre-trapianto o post-trapianto immediato con l’utilizzo di erbicidi residuali dotati di azione preventiva (per es. propizamide, benfluralin, pendimetalin, oxadiazon, clorprofam); – post-emergenza o post-trapianto con l’utilizzo di erbicidi selettivi dotati di azione fogliare (per es. graminicidi specifici). Per il diserbo delle numerose specie di insalate, sia seminate sia trapiantate, si ricorre prevalentemente all’impiego della più selettiva propizamide, utilizzabile in tutte le fasi di sviluppo. L’attuale tendenza è quella di ridurre le dosi di impiego ricorrendo a miscele con altri erbicidi, per completarne lo spettro d’azione e per ridurre i rischi di danno sulle colture di successione. Nei trattamenti di pre-semina e pre-trapianto può essere utilizzato il benfluralin, che richiede l’immediata incorporazione a causa della sua volatilità e fotodegradabilità. Nelle applicazioni di pre-trapianto possono essere cautelativamente impiegati oxadiazon, per limitare lo sviluppo delle infestanti composite, e pendimetalin, più attivo verso Poligonacee e Portulaca oleracea. Le applicazioni di pre-trapianto eseguite con i prodotti meno selettivi, come pendimetalin e oxadiazon, vengono generalmente effettuate almeno 8-10 giorni prima della messa a dimora delle piantine, in modo da evitare danni da fitotossicità. Alle applicazioni effettuate con erbicidi residuali deve seguire, in assenza di precipitazioni, un intervento irriguo che ne permetta l’attivazione. Occorre tuttavia prestare attenzione all’intensità dell’irrigazione, in funzione della tipologia di terreno, allo scopo di non arrecare danni da fitotossicità. L’acqua è infatti il vettore degli erbicidi nel suolo e ne determina i movimenti orizzontali (ruscellamento) e verticali (percolazione); oltre determinati livelli, questi movimenti possono essere negativi, sia per la perdita 364


diserbo nel Nord Italia di prodotto e il conseguente danno economico e ambientale, sia per i danni da fitotossicità che possono verificarsi a seguito di assorbimento radicale. Interventi irrigui variabili da 15 a 25 mm sono ritenuti adeguati rispettivamente in suoli sciolti o argillosi. Per il controllo delle infestanti graminacee, che normalmente sono ben contenute dalle applicazioni di benfluralin, propizamide e anche pendimetalin, si può disporre in post-emergenza o posttrapianto di graminicidi specifici, che su colture precoci e nei periodi di più breve durata del ciclo vegetativo devono essere scelti tenendo presente il relativo periodo di sicurezza. Per il futuro si intravedono nuove possibilità di diserbo in grado di migliorare la lotta contro le infestanti di difficile eliminazione, con possibile estensione di impiego di erbicidi utilizzati su altre colture.

Elenco prodotti per il diserbo delle insalate, periodi di sicurezza, dosi, settori d’impiego e attività erbicida Indivia

Scarola

Radicchio

Cicoria

Benfluralin (180 g/l)

Bonalan

Xn

6-9,5

X

X

X

X

X

Pendimetalin (455 g/l)

Stomp Aqua

n.c.

1,5-2,5

X

X

X

X

X

Oxadiazon (380 g/l)

Ronstar FL

n.c.

1-2

X

X

X

Principio attivo

Formulato commerciale

Sigla di pericolo Periodo di sicurezza

Lattuga

Settore d’impiego

Dosaggio (l/ha o kg/ha)

Diserbanti

Principali infestanti controllate

Erbicidi di pre-trapianto

X

Graminacee, Amaranthus, Chenopodium, Poligonacee, Portulaca Graminacee, Chenopodium, Solanum, Polygonum, Portulaca Amaranthus, Chenopodium, Solanum, Poligonacee, Veronica

Erbicidi di pre-trapianto e post-trapianto Propizamide (400 g/l)

Kerb Flo

Xn

3,5-4,5

X

X

X

X

Clorprofam (400 g/l)

CP 40 Agro

Xn

30

4-6

X

X

Fluazifop-p-butile (125 g/l)

Fusilade Max

Xn

30

1-2/2,5*

X

X

Propaquizafop (100 g/l)

Agil

Xi

15

1-1,2/1,5*

X

Quizalofop-etile isomero D (50 g/l)

Targa Flo

Xi

60

1-1,5/2*

X

Quizalofop-p-etile (50 g/l)

Leopard 5EC

n.c.

60

1-1,5/2*

X

Ciclossidim (100 g/l)

Stratos Ultra

Xn

30

1,5-2,5/4-5*

X

X

X

X

X

Ciclossidim (200 g/l)

Stratos

n.c.

30

0,75-1,25 /2,5*

X

X

X

X

X

Graminacee, Chenopodium, Poligonacee, Solanum, Portulaca

Erbicidi di post-trapianto

X

* Dosi indicate per il disseccamento del Sorghum halepense da rizoma

365

X

X

X

Graminacee, Portulaca, Poligonacee, Papaver Sorghum, Setaria, Echinochloa, Avena Echinochloa, Sorghum, Setaria, Alopecurus Echinochloa, Setaria, Sorghum, Lolium Echinochloa, Setaria, Sorghum, Lolium Echinochloa, Setaria, Sorghum, Avena Echinochloa, Setaria, Sorghum, Avena


coltivazione Insalate portaseme Il settore della moltiplicazione delle sementi di colture ortive, comprese le insalate, riveste in Italia un notevole interesse economico. Le sementi di ortive rappresentano una rilevante fonte di reddito per gli agricoltori che hanno la possibilità di intraprendere colture alternative e, mediante la loro elevata professionalità, garantiscono produzioni di elevata qualità destinate per la maggior parte al mercato estero, con un indotto di non trascurabile importanza. L’impiego di semente di elevato standard qualitativo crea i presupposti per il buon esito della coltivazione, rappresentando talvolta un aspetto fondamentale per raggiungere l’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale, oggigiorno sempre più sentito dall’opinione pubblica. Per raggiungere un elevato standard qualitativo delle sementi, il moltiplicatore deve porre particolare cura nella protezione fitosanitaria delle insalate portaseme, caratterizzate, rispetto a quelle destinate all’alimentazione, dall’essere prima di tutto un mezzo tecnico di produzione.

Foto R. Angelini

Flora infestante e fonti di inquinamento Nelle coltivazioni per la moltiplicazione del seme, l’inquinamento delle sementi da parte delle infestanti costituisce un’ulteriore e importante problematica. A causa dell’estrema somiglianza di molti semi di infestanti con quelli delle colture ortive, essi risultano talvolta di difficile separazione industriale, con conseguente enorme danno economico; per avere un buon valore commerciale e agronomico, il prodotto ottenuto, infatti, deve essere di buona germinabilità, ma anche di elevata purezza. I problemi di contenimento delle malerbe derivano spesso dal fatto che gli erbicidi disponibili per il diserbo delle colture orti-

Sintomi dell’azione fitotossica su lattuga trocadero, causati da un trattamento di oxadiazon in pre-trapianto, il quale richiede un’immediata irrigazione e l’impiego a dosi ridotte

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diserbo nel Nord Italia cole sono pochi, e talvolta dotati di limitato spettro d’azione. Ne conseguono notevoli difficoltà, soprattutto per contenere malerbe appartenenti alla stessa famiglia della specie coltivata. Nel caso della lattuga e del radicchio risulta difficile contenere le specie appartenenti alla famiglia delle Composite, la maggior parte delle Crucifere e delle Ombrellifere, nonché Mercurialis annua, Euphorbia spp. e tutte le infestanti perenni a foglia larga. La maggior parte delle malerbe di più difficile contenimento appartiene alla stessa famiglia botanica della coltura. Ne consegue l’esigenza, da parte delle aziende produttrici di sementi, di rispettare un’appropriata rotazione con colture estensive in cui è possibile impiegare erbicidi attivi verso le malerbe di più difficile contenimento, comprese le rinascite dei semi delle colture caduti in fase di raccolta. Nel caso di lattuga e radicchio, le sementi di più difficile separazione durante la cernita sono quelle delle specie Picris echioides, Lactuca serriola, Cichorium intybus, Daucus carota e Solanum nigrum; queste malerbe presentano infatti semi di dimensione e densità simili a quelli delle insalate. Per evitare danni alle piantine di insalate diserbate in pre-trapianto con i prodotti più aggressivi, occorre utilizzare le più moderne trapiantatrici munite di dischi

Raccomandazioni in fase di raccolta Le sementi possono essere inquinate, oltre che da semi di malerbe molto simili, anche da quelli di altre orticole da seme o di colture estensive, che dopo la fase di trebbiatura siano rimasti nella tramoggia della mietitrebbia o nei mezzi di trasporto. Per questo occorre prestare particolare attenzione alla pulizia di tutte le macchine utilizzate, in particolare quando si passa da una coltura all’altra. In ogni caso occorre effettuare ripetuti controlli all’inizio delle operazioni di trebbiatura, sia per accertare l’eventuale presenza di semi estranei, avendo cura di separare la prima partita di seme

In considerazione dei brevi cicli che vengono effettuati con le coltivazioni per quarta gamma e la conseguente necessità del rispetto dei tempi di carenza, il contenimento delle infestanti diventa più difficile anche se, una volta adottati i mezzi integrativi di lotta, la pratica del diserbo chimico rimane indispensabile, nonostante la maggiore competizione delle colture e i più frequenti tagli

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coltivazione eventualmente inquinata, sia per effettuare la messa a punto e le regolazioni della macchina allo scopo di ridurre al minimo perdite e rotture. Nel caso in cui nelle colture da seme vi siano aree particolarmente inerbite, occorre procedere prima alla trebbiatura delle zone più pulite, lasciando per ultime quelle più infestate, con l’accorgimento di mantenere separate le differenti partite di seme. Non è inoltre consigliabile effettuare le operazioni di pulizia delle mietitrebbie in campo, in particolare qualora gli stessi terreni debbano essere destinati a ospitare colture da seme negli anni successivi. Tecniche di gestione colturale Le colture destinate alla produzione di semente possono essere seminate direttamente in campo o trapiantate, in particolare su terreni di medio impasto o argillosi. In questo caso la fase di vivaio viene realizzata generalmente in serra, in alveolari o paper-pots, così come avviene per le coltivazioni destinate alla produzione alimentare. Nella fase di campo occorre rispettare un avvicendamento minimo di 5 anni e sono sconsigliate in precessione tutte le Composite. Le distanze minime di coltivazione da rispettare, da 500 a 2000 m, dipendono dal materiale di moltiplicazione e devono essere superiori nel caso di ibridi. In ogni caso va prestata particolare attenzione alle piante spontanee e a quelle coltivate negli orti. La semina viene generalmente effettuata a settembre ed è seguita, in febbraio, dal diradamento, che ha lo scopo di ottimizzare l’investimento. Nel caso del trapianto si interviene poco più tardi rispetto alla semina. Quando la coltura inizia la salita a seme (circa in maggio) occorre effettuare una duplice cimatura all’altezza di 50-60 cm, allo scopo di uniformare la fioritura e favorire lo sviluppo laterale delle infiore-

In tutte le prove di diserbo effettuate su radicchio è stata osservata una buona selettività di tutti gli erbicidi autorizzati in pre-trapianto, come oxadiazon, pendimetalin e clorprofam, associati a propizamide sulle più comuni varietà variegato di Chioggia (sopra) e rosso di Treviso (sotto)

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diserbo nel Nord Italia scenze, che creano maggiore competizione nei confronti delle malerbe. La trebbiatura viene effettuata circa 7-12 giorni dopo il taglio, eseguito durante i mesi di luglio o agosto, a seconda delle varietà. Gestione integrata delle infestanti Il diserbo chimico ricopre un ruolo fondamentale nel controllo delle malerbe, assieme all’applicazione di tutte le pratiche integrate. Allo scopo di poter effettuare le sarchiature meccaniche, è consigliabile effettuare impianti a file distanziate, soprattutto nel caso di semina diretta della coltura. Per il diserbo delle numerose specie di insalate e radicchi seminati, e nelle più generalizzate coltivazioni trapiantate, si ricorre in prevalenza all’impiego di propizamide, utilizzabile in tutte le fasi di sviluppo, con la tendenza a ridurre le dosi ricorrendo a miscele o a integrazioni con benfluralin. Per limitare lo sviluppo delle Composite, nei trattamenti di pre-trapianto può essere utilizzato oxadiazon a scopo cautelativo; nella stessa epoca può essere applicato anche il pendimetalin. Per il controllo delle infestanti graminacee, che normalmente sono ben contenute con applicazioni preventive della miscela di benfluralin + propizamide, ma anche di pendimetalin, si può disporre dei preparati specifici.

Nell’ambito delle numerose specie coltivate che possono essere seminate in successione alle insalate, occorre considerare la breve durata del ciclo agronomico delle colture trapiantate (che, a eccezione di radicchio e cicoria, non supera quasi mai i 2 mesi), e che i pochi erbicidi residuali selettivi possiedono una persistenza nel terreno superiore a quella agronomica, con possibilità di causare danni ai frumenti e ad altre specie graminacee dopo l’impiego di propizamide e pendimetalin

Persistenza agronomica degli erbicidi: colture di successione o di sostituzione Sulla base delle esperienze maturate in questi ultimi decenni e delle informazioni derivanti da nuove acquisizioni riguardo la persistenza e la percolazione dei più importanti erbicidi che si impiegano sulle insalate, è possibile prevedere danni di una certa gravità nei confronti delle colture di successione a semina diretta, qualora gli avvicendamenti risultino particolarmente stretti e prevedano colture intercalari. Ciò obbliga a prestare particolare attenzione nella scelta dei prodotti diserbanti e delle specie che comunemente vengono inserite in rotazione nelle aziende a prevalente indirizzo orticolo. Tra i diserbanti selettivi impiegati su insalate, quelli che con maggior frequenza possono causare danni alle colture di successione sono pendimetalin e propizamide, in particolare se impiegati ripetutamente per più cicli colturali. Nell’ambito delle numerose specie coltivate che possono essere seminate in successione, la maggior parte presenta una spiccata sensibilità verso gli erbicidi di possibile impiego. Problematica rimane la scelta delle specie che devono sostituire colture danneggiate irrimediabilmente da avversità climatiche, parassitarie o da cause accidentali. Le risemine di altre specie orticole o del frumento, che spesso è inserito nella rotazione aziendale, in genere avvengono subito dopo che la coltura sostituita è stata diserbata; in questo caso i rischi di conseguenze negative derivanti dall’effetto residuo dei diserbanti sono piuttosto elevati.

Per il diserbo delle insalate seminate è preferibile ricorrere all’impiego, in preemergenza, della più selettiva propizamide, che nei terreni più infestati da Graminacee, Poligonacee e Portulaca, può essere integrata in post-emergenza da clorprofam

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le insalate Foto R. Angelini

coltivazione Diserbo nel Centro-Sud Italia Pasquale Montemurro

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coltivazione Diserbo nel Centro-Sud Italia Introduzione La flora infestante che in Italia può inerbire le coltivazioni di insalate si presenta, generalmente, costituita da un certo numero di specie che sono più o meno comuni in tutta la penisola, insieme con altre che, invece, si trovano quasi esclusivamente in certi areali. Tra le cause di questa conformazione della flora vi sono le differenti tipologie di specie di insalate utilizzate che, tra l’altro, sono coltivate in epoche e in aree diverse tra loro anche per l’andamento climatico e per alcune delle pratiche agronomiche che sono adottate. Infatti, la lattuga risulta concentrata in Puglia, Campania, Lazio e Sicilia e un po’ in Emilia-Romagna, Veneto, Sardegna e Calabria, mentre per le indivie le zone di maggiore importanza sono localizzate nelle regioni della Puglia, delle Marche e dell’Abruzzo e in minor misura in quelle della Campania, della Sicilia, della Basilicata e del Veneto. La coltivazione del radicchio, poi, è assai concentrata nel Veneto, seguito a distanza dalla Puglia, dall’Abruzzo e dall’Emilia-Romagna. Nell’ambito delle specie di malerbe che in pratica sono frequentemente reperibili un po’ in tutti i territori coltivati a insalate, vi sono dicotiledoni come l’erba morella (Solanum nigrum), la porcellana comune (Portulaca oleracea), l’amaranto comune (Amaranthus retroflexus), il farinello comune (Chenopodium album), lo stoppione (Cirsium arvense), la borsa del pastore (Capsella bursa-pastoris), il papavero comune (Papaver rhoeas), l’erba stella (Coronopus squamatus), il centocchio comune (Stellaria media), il senecione comune (Senecio vulgaris), la fumaria comune (Fumaria offi-

Nozione di malerba

• Non è possibile stabilire in modo

assoluto che cosa sia da intendere per “malerba”, “erba infestante” o “erbaccia”; differenti sono, infatti, le definizioni esistenti a riguardo. Secondo la European Weed Research Society (Società Europea di Malerbologia), “infestante è qualunque specie di pianta che interferisce con gli obiettivi e le esigenze umane”. Un’altra definizione è la seguente: le piante infestanti sono “piante adattate ad ambienti antropogeni, dove interferiscono con le attività, la salute e i desideri degli uomini”

Forte infestazione su lattughino rosso in serra

Foto R. Angelini

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diserbo nel Centro-Sud Italia cinalis), il grespino comune (Sonchus oleraceus), l’attaccaveste (Galium aparine), la camomilla comune (Matricaria chamomilla), la senape selvatica (Sinapis arvensis) e l’erba ruota (Lamium amplexicaule), oltre a Graminacee quali l’avena selvatica (Avena sterilis), la coda di volpe (Alopecurus myosuroides) e le diverse specie di pabbio (Setaria spp.) e di fienarola (Poa spp.) Per quanto concerne la specificità territoriale, nel Nord e nel Centro Italia si rinvengono prevalentemente Graminacee quali il loglio maggiore (Lolium multiflorum), il giavone comune (Echinochloa crus-galli), la sanguinella comune (Digitaria sanguinalis) e la sorghetta (Sorghum halepense), mentre tra le specie a foglia larga si trovano l’erba storna comune (Thlaspi arvense), l’aspraggine volgare (Picris echioides), il cencio molle grande (Abutilon theophrasti), l’eliotropio selvatico (Heliotropium europaeum), il poligono persicaria (Polygonum persicaria), il poligono convolvolo (Fallopia convolvulus), la galinsoga comune (Galinsoga parviflora), la mordigallina (Anagallis arvensis), gli amaranti, che comprendono il bianco (Amaranthus albus), il livido (Amaranthus lividus), il blitoide (Amaranthus blitoides) e il blito minore (Amaranthus graecizans), e le veroniche, a foglie d’edera (Veronica hederifolia) e quella comune (Veronica persica); si ritrovano, invece, quasi esclusivamente negli areali meridionali e insulari alcune specie a foglia stretta, come il loglio rigido (Lolium rigidum) e le scagliole (Phalaris spp.), mentre nell’ambito di quelle a foglia larga il cardo mariano (Silybum marianum), l’acetosella (Oxalis pes-caprae), la ruchetta violacea (Diplotaxis erucoides) e il cappuccino dei campi (Calendula arvensis); in particolare, le ultime due si sono particolarmente diffuse e presentano un’alta densità di infestazione da un paio di decenni a

Malerbe nel mondo antico

• Nel mondo latino si trovano riferimenti

riguardo alle malerbe; nei libri delle Georgiche di Virgilio si legge: “inutile domina il loglio (zizzania) e la sterile avena”, “alta si sporge la felce nemica dell’aratro”, e ancora: “ogni anno bisogna per tre-quattro volte sarchiare il terreno” (in altre parole, togliere le malerbe nate nella coltura). Columella, nel De re rustica, afferma: “a me sembra l’indicazione di un’agricoltura povera il permettere alle erbacce di crescere tra le colture poiché i raccolti diminuiscono fortemente”

Senape selvatica in un campo di indivia scarola Erba ruota

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coltivazione questa parte, non essendo disponibili erbicidi efficaci e selettivi sia per le insalate sia per le colture orticole praticate. Nei confronti delle piante delle insalate, le erbe infestanti possono mettere in atto una competizione per i fattori principali ai fini dello sviluppo delle piante e quindi per l’acqua, gli elementi nutritivi e la luce. In funzione dell’entità dell’inerbimento, la competizione porta come effetto dannoso innanzitutto una minore crescita delle piante, alla quale corrisponde, in generale, una diminuzione della produzione totale commerciabile e una riduzione del loro peso medio. Date le caratteristiche morfologiche delle piante delle insalate, se la coltivazione non è opportunamente protetta si può verificare anche il completo annullamento della produttività. Tuttavia, l’indispensabilità di un ottimale controllo delle infestanti deriva pure dal fatto che queste erbe “indesiderate” possono deprimere quanti-qualitativamente il raccolto oltre che in modo diretto, per effetto della competizione, anche indirettamente; infatti, vi sono specie di malerbe che sono capaci di fungere da ospiti di nematodi e virus; tra i nematodi, il Pratylenchus penetrans risulta in grado di annidarsi nelle radici della galinsoga comune. Nell’ambito dei virus, tra le numerose specie capaci di comportarsi da ospiti, una particolare attenzione dovrebbe essere rivolta al grespino comune, perché dotato di un’alta potenzialità di trasmissione; infatti, può sia ospitare tutti i tre virus segnalati (mosaico della lattuga, avvizzimento maculato del pomodoro e giallume occidentale della bietola) sia inerbire praticamente i campi durante tutto l’anno.

Come si distinguono le malerbe

• Le malerbe possono essere distinte,

in base alla forma delle foglie, in malerbe a “foglia larga” e a “foglia stretta”; sinonimo della “foglia larga” è “dicotiledone”, mentre della “foglia stretta” è “graminacea”

Stoppione

Specie infestanti ospiti di alcuni virus delle insalate Avvizzimento maculato del pomodoro (TSWV, Tomato Spotted Wilt Virus)

Giallume occidentale della bietola (BWYV, Beet Western Yellows Virus)

Mosaico della lattuga (LMV, Lettuce Mosaic Virus)

Amaranthus retroflexus

amaranto comune

Amaranthus spp.

amaranto

Anagallis arvensis

centocchio dei campi

Calendula officinalis

fiorrancio selvatico

Capsella bursa pastoris

borsa del pastore

Capsella bursa pastoris

borsa del pastore

Capsella bursa pastoris

borsa del pastore

Raphanus raphanistrum

ravanello selvatico

Chenopodium album

farinello comune

Chrysanthemum spp.

crisantemo

Senecio vulgaris

senecione comune

Chenopodium murale

farinello murale

Datura stramonium

stramonio comune

Sonchus oleraceus

grespino comune

Erodium cicutarium

cicutaria

Papaver rhoeas

papavero comune

Stellaria media

centocchio comune

Lactuca serriola

lattuga selvatica

Portulaca oleracea

porcellana comune

Lamium amplexicaule

erba ruota

Sonchus oleraceus

grespino comune

Malva parviflora

malva minore

Stellaria media

centocchio comune

Picris echioides

aspraggine comune

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Senecio vulgaris

senecione comune

Silybum marianum

cardo mariano

Sonchus oleraceus

grespino comune


diserbo nel Centro-Sud Italia Diserbo Come per tutte le altre colture agrarie, pure per quelle delle insalate è sempre stata molto sentita dagli orticoltori la necessità di effettuare il diserbo, cioè la soppressione o almeno la limitazione delle infestanti, con lo scopo di annullare o se non altro diminuirne il più possibile gli effetti dannosi, effetti che derivano, come è stato precedentemente indicato, sia dalla competizione sia dall’instaurarsi di malattie di carattere virale; solo tutelando nel modo adatto la coltura, appunto, diventa fattibile salvaguardarne il potenziale produttivo sotto il duplice aspetto quali-quantitativo. Le spese che gli orticoltori devono sostenere per il diserbo si aggirano in media intorno al 18-20% di quella totale.

Diserbo e malerbe

• Con il termine diserbo si intende

un’azione volta a eliminare una o più piante infestanti utilizzando uno o più metodi idonei, che possono essere di tipo diretto o indiretto, e generalmente sono attuati con interventi meccanici e/o chimici

• Il motivo per cui viene effettuato

il diserbo risiede essenzialmente nella necessità fondamentale di preservare le coltivazioni agrarie dagli effetti negativi che le malerbe sono in grado di provocare, e cioè dai danni che queste arrecano, consistenti in una diminuzione sia quantitativa sia qualitativa della produzione

Metodi di diserbo Le metodologie di diserbo attualmente realizzabili nei riguardi delle malerbe che invadono le colture delle insalate sono di tipo sia indiretto sia diretto, e nella maggior parte dei casi sono gestite in modo integrato. Metodi di diserbo indiretti, denominati anche preventivi, sono tutti quelli che hanno in generale la finalità di prevenire il più possibile l’inerbimento, impedendone o almeno limitandone l’insediamento, in modo da togliere spazio vitale alle infestanti e ridurne le capacità di estrinsecare la competizione. In pratica, con il diserbo indiretto si cerca innanzitutto di evitare e/o di ridurre l’arrivo nei campi di nuovi semi di infestanti o comunque di altri organi di riproduzione di tipo vegetativo (bulbi, rizomi, stoloni ecc.) delle stesse e/o di impedire la riproduzione e la disseminazione delle specie di malerbe già presenti, specialmente se di tipo perenne.

Campo di lattuga “lollo rossa” ben diserbato

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coltivazione Ancora un’altra strategia è quella di selezionare e mettere in atto le normali pratiche colturali che si utilizzano nella conduzione della coltivazione delle insalate, anche nell’ottica di limitare l’infestazione che potrebbe svilupparsi nel campo e, contemporaneamente, di porre le piante in condizione di vegetare il meglio possibile, condizione che permette loro di essere meno suscettibili alla competizione delle infestanti. Tra i fondamentali “consigli” per attuare il diserbo indiretto, vi è quello di scegliere una sensata rotazione colturale; infatti, la scelta di un’idonea sequenza delle colture costituisce una delle accortezze più utili da un lato per evitare che venga a stabilirsi in generale un forte inerbimento, dall’altro per ridurre la presenza di specie di piante infestanti che sarebbe difficile controllare successivamente nella coltivazione delle insalate; in altri termini, una corretta rotazione colturale consente l’inserimento di colture nelle quali è più agevole il controllo delle infestanti “difficili” per le insalate. Un’idonea rotazione coadiuva, tra l’altro, nel diminuire la presenza di organismi nocivi, quali insetti e funghi patogeni. Ciò accade proprio perché tale pratica contribuisce a determinare un forte calo del contenuto di semi e di altri organi riproduttivi delle malerbe, quali bulbi, bulbetti, rizomi, stoloni ecc., all’interno nel terreno, contenuto che viene denominato tecnicamente “infestazione potenziale” o seed bank. Ancora, tra le possibilità di tipo preventivo c’è la pratica detta della “falsa semina”, che consiste nel preparare anticipatamente il terreno sul quale verrà appunto impiantata la coltura, allo scopo di far emergere ed eliminare una parte dell’inerbimento che avrebbe potuto insediarsi successivamente nella coltura stessa.

Metodi di diserbo indiretti

• Impiegare concimi organici, come

il letame, che abbiano subito un giusto grado di maturazione, in modo che non contengano semi ancora vitali di erbe infestanti

• Ridurre l’esecuzione di erpicature

meccaniche nei campi particolarmente infestati da specie di malerbe dotate di organi di riproduzione di tipo vegetativo, come gli stoloni o i rizomi, al fine di impedirne la frammentazione, che è poi causa di una maggiore diffusione

• Rimuovere dai campi, alla fine di

una coltivazione, le piante infestanti sopravvissute, ritenute dannose e/o di costoso controllo in una o più delle colture previste nella rotazione, prima che sia avvenuta la disseminazione dei loro semi, al fine di ridurre la seed bank

• Attuare la “falsa semina” prima

dell’impianto dell’insalata, che consiste nel preparare anticipatamente il terreno sul quale verrà appunto impiantata la coltura, allo scopo di far emergere ed eliminare una parte dell’inerbimento che avrebbe potuto insediarsi nella coltura stessa

• Ricorrere a una distribuzione

dei concimi localizzata sulle file al momento del trapianto, per ridurre la crescita dell’infestazione negli spazi interfilari

Le insalate “lasciano sempre spazio” alle infestanti

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diserbo nel Centro-Sud Italia Metodi di diserbo diretti sono appunto quelli che si praticano direttamente sugli inerbimenti già in atto, e quindi sulle piante infestanti ormai nate, come pure su quegli inerbimenti che stanno per svilupparsi, e cioè sui semi in via di germinazione, su bulbi, rizomi o qualsiasi altra forma di riproduzione in fase di risveglio vegetativo. Rientrano nell’ambito dei metodi diretti quelli meccanici e quelli chimici.

Importanza della rotazione

• Il valore della rotazione, in rapporto

al diserbo, consiste nell’opportunità di impiantare appropriate colture in grado di frenare fortemente la crescita e la disseminazione delle malerbe grazie al fatto di essere: – praticate in spazi di tempo diversi da quello delle insalate, condizione che acconsente di interrompere il ciclo vitale di determinate specie di malerbe; – suscettibili di un diserbo molto efficiente; – “rinettanti”, cioè idonee a rendere difficile alle malerbe di insediarsi, di vegetare e di proliferare, in virtù della loro naturale capacità di crescere molto velocemente e di realizzare una vegetazione molto rigogliosa

Diserbo meccanico Nelle coltivazioni delle insalate, il diserbo meccanico può essere praticato mediante l’esecuzione delle lavorazioni superficiali, come le fresature e le erpicature, e delle sarchiature. Le prime due si effettuano per preparare il terreno e liberarlo dalle erbe infestanti che sono nate prima dell’impianto della coltura. Invece le sarchiature, dal latino sarculum (sarchiatore), che era l’attrezzo utilizzato per eliminare le malerbe, sono effettuate per diserbare una coltivazione già in atto; data la ristrettezza del sesto d’impianto della coltura, le sarchiature si praticano esclusivamente in modo manuale con l’ausilio di opportuni utensili come le zappette, per eliminare le erbe infestanti nate dopo il trapianto dell’insalata sulle file e tra le file delle piante. Il diserbo meccanico è certamente il sistema più utilizzato nell’agricoltura convenzionale, come in quella integrata e biologica; in quest’ultima, in particolare, è in pratica la più importante, per non dire l’unica, metodologia di diserbo diretto che è consentita, come in tutte le altre colture sempre in biologico. Il controllo meccanico delle erbe infestanti è molto efficiente nei confronti delle specie annuali, anche perché normalmente gli in-

• Un’idonea rotazione coadiuva, tra

l’altro, a diminuire la presenza di organismi nocivi, quali insetti e funghi patogeni. Ciò che accade proprio perché tale pratica contribuisce a determinare un forte calo della livello di semi e di altri organi riproduttivi delle malerbe, quali bulbi, bulbetti, rizomi, stoloni ecc., all’interno nel terreno, livello che viene denominato tecnicamente come “infestazione potenziale” o seed bank

Borsa del pastore

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coltivazione terventi vengono eseguiti molto prima che le piante infestanti abbiano prodotto i semi, fatto che di conseguenza ne limita la disseminazione e quindi la diffusione nei campi. È meno efficace, invece, nei riguardi delle specie di piante infestanti di tipo biennale e perenne, specialmente di quelle che, in possesso di organi riproduttori come gli stoloni e i rizomi, sono in grado di ricacciare e quindi di produrre un nuovo inerbimento; inoltre, i rizomi e gli stoloni possono arrotolarsi intorno agli organi rotanti delle fresatrici e delle erpicatrici con la conseguenza che non solo tali macchine non sono in grado di devitalizzarli completamente, bensì ne provocano contemporaneamente la frammentazione e, quindi, una maggiore propagazione nei campi. In ogni modo, se utilizzate in modo razionale, le fresature e le erpicature permettono, tra l’altro, oltre al controllo delle erbe infestanti, di conseguire una migliore infiltrazione dell’acqua, piovana e irrigua, nel terreno, e di ottenere l’interramento dei fertilizzanti, degli ammendanti e dei residui colturali. Il numero di sarchiature manuali, di regola indispensabili soprattutto a causa alla scarsa disponibilità di erbicidi, operate contemporaneamente sia sulle file sia nelle interfile, varia in genere da un minimo di una fino a un massimo di tre, in funzione soprattutto della tipologia di insalata, dell’epoca di coltivazione e dell’andamento climatico.

Cardo mariano

Diserbo chimico L’eliminazione delle erbe infestanti, o quantomeno la limitazione del loro sviluppo e, quindi, della loro dannosità, risulta possibile

Campo di due varietà di lattuga ben diserbate

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diserbo nel Centro-Sud Italia anche mediante l’impiego degli erbicidi (o diserbanti chimici) resi disponibili in commercio dalle industrie degli agrofarmaci. Il ricorso al diserbo chimico avviene soprattutto nelle aziende che destinano superfici di media e grossa dimensione a queste colture. I diserbanti rappresentano un valido strumento nella coltivazione delle insalate, anche se da soli non consentono quasi mai di gestire in modo completo ed efficace il controllo delle malerbe; vi sono, infatti, alcuni erbicidi abbastanza efficaci da utilizzare prima del trapianto, ma è estremamente ridotta la disponibilità di formulati da applicare sulle infestanti nate dopo l’impianto. Ed è proprio tale ridotta disponibilità di diserbanti che non permette di eliminare le infestanti, soprattutto quelle a foglia larga nate dopo il trapianto della coltura, la motivazione principale che rende indispensabile, nella stragrande maggioranza dei casi, l’esecuzione di una o più sarchiature manuali. Il ricorso agli erbicidi costituisce, in ogni caso, un’opportunità per limitare le spese del personale agricolo richiesto appunto per l’effettuazione di tali necessarie sarchiature manuali. Tra le altre possibilità che il diserbo chimico offre, c’è quella di liberare il terreno dall’inerbimento che dovesse verificarsi prima del trapianto della coltura, vuoi per aver praticato la “falsa semina”, vuoi per colpa di una pioggia che ha reso momentaneamente impraticabile il terreno stesso per l’impianto dell’insalata.

Diserbanti o erbicidi

• I diserbanti o erbicidi sono agrofarmaci adoperabili per il controllo delle erbe infestanti, denominate anche malerbe ed erbacce. Sono commercializzati come formulati commerciali, in varie forme (liquida, polvere bagnabile, emulsione ecc.), e sono composti da una sostanza attiva e da altri componenti chiamati co-formulati. La sostanza attiva è la parte che è in grado di controllare effettivamente le malerbe; i co-formulati possono essere inerti oppure avere un ruolo, come per esempio quello di favorire la penetrazione del diserbante all’interno delle foglie

Gestione del diserbo chimico. Attualmente (luglio 2011), nell’agrofarmacopea consentita dalla legislazione europea sugli agrofarmaci sono disponibili solamente otto sostanze attive er-

Grespino comune Centocchio comune

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coltivazione bicide registrate all’impiego per il diserbo selettivo (peraltro non tutte applicabili sulle varie specie di insalate), e due di tipo non selettivo; in particolare, tra le selettive ritroviamo il benfluralin, il chlorpropham, l’oxadiazon, il pendimethalin e la propyzamide, che posseggono uno spettro d’azione largo, e il propaquizafop, il cycloxydim e il quizalofop-p-etile (isomero d), in grado di agire da graminicidi. Per la loro attività di tipo totale (non selettivo), sono adoperabili i prodotti contenenti il diquat e il glifosate. La scelta dell’erbicida più indicato, nell’ambito di quelli registrati per la specie di insalata coltivata, deve avvenire tenendo presente innanzitutto il loro spettro d’azione, che deve essere tale da consentire di eliminare le specie infestanti previste (che emergeranno dal terreno) o presenti (già emerse); al momento di effettuare la scelta occorre inoltre tenere conto dei vincoli dettati dai disciplinari di “produzione integrata”, di tipo sia comunitario, fissati dai regolamenti regionali, sia privato, come quelli prescritti dalle aziende della GDO (Grande Distribuzione Organizzata), che appunto provvedono alla commercializzazione e alla distribuzione dei prodotti agricoli; tali vincoli, infatti, obbligano a scegliere gli erbicidi, come tutti gli altri agrofarmaci, esclusivamente nell’ambito di liste che sono state all’uopo predisposte. L’oxadiazon, ammesso su lattuga e indivia, e non su scarola e radicchio, deve essere impiegato prima del trapianto. Questa sostanza attiva possiede un ampio spettro d’azione, nel quale rientrano la stragrande maggioranza delle infestanti che comunemente inerbiscono le coltivazioni di insalata; in particolare, risultano sensibili alla sua azione, esercitata per contatto al

Criteri di classificazione dei diserbanti

• Selettività: i diserbanti si dicono

“selettivi” se rispettano o, in altre parole, se non sono fitotossici verso la coltura, “non selettivi” o “totali” nel caso contrario

• Spettro d’azione: sono del tipo a “largo

spettro” se risultano efficaci contro sia malerbe graminacee (a foglia stretta) sia dicotiledoni (a foglia larga), mentre sono “specifici” se colpiscono solo le dicotiledoni (e in tal caso si chiamano “dicotiledonicidi”) o solo le Graminacee (nel qual caso vengono denominati “graminicidi”)

• Azione erbicida: si dicono

“disseccanti”, “di contatto” o “topotossici” se agiscono solo sulle parti della pianta con le quali sono appunto entrati in contatto; “antigerminello” se sono attivi per assorbimento da parte dei germinelli, cioè dei semi in via di germinazione; “sistemici”, “traslocabili” o “teletossici” radicali e fogliari, se svolgono la loro azione fitotossica solo dopo essere entrati nella linfa delle piante tramite l’assorbimento da parte rispettivamente delle radici e delle foglie

• Tipo di assorbimento: si distinguono

in “fogliari” e “residuali”. Nei primi, che sono naturalmente applicati sulla vegetazione delle piante infestanti, rientrano i diserbanti “topotossici”, mentre nei secondi sono compresi i “sistemici radicali” e gli “antigerminello”. Questi ultimi sono denominati anche “residuali”, poiché segue Ortica comune

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diserbo nel Centro-Sud Italia momento della loro emergenza, Graminacee quali il giavone, la sanguinella comune, le diverse specie di fienarola e di pabbio, e dicotiledoni come l’acetosella (da seme), l’erba morella, la porcellana comune, il farinello comune, la correggiola, la borsa del pastore, il papavero comune, il senecione comune, la galinsoga comune, la fumaria comune, la mercurella comune, il grespino comune, la camomilla comune, la senape selvatico, il ravanello selvatico e le varie specie di veronica, di poligono e di amaranto, oltre all’ortica (Urtica spp.), talvolta “inopportunamente” presente. Una pioggia molto forte e/o un’irrigazione a pioggia praticata con un’intensità bassa, avvenute a breve distanza di tempo dal trapianto, possono determinare l’“effetto schizzo” (particelle di terreno che, assorbito il prodotto, lo portano a contatto con le foglie dell’insalata), i cui effetti consistono in ustioni delle foglie basali e in conseguenti ritardi del ciclo vegetativo della coltura. Pur rimanendo attivo nel terreno per un periodo compreso tra due e cinque mesi, l’impiego dell’oxadiazon non limita nella scelta delle colture in successione. Per quanto riguarda il pendimethalin, impiegabile su tutte le specie di insalata, va applicato prima del trapianto su terreno naturalmente ben preparato; un buon tenore di umidità del terreno è una condizione necessaria per ottenere un migliore effetto da parte di questo diserbante, al punto che è raccomandabile un intervento irriguo qualora sussistano condizioni di aridità. L’attività del pendimethalin si estrinseca anch’essa sui germinelli di numerose malerbe a foglia larga, quali l’erba

continua

permangono attivi nel terreno per un certo periodo di tempo e quindi sono assorbibili; quest’ultima caratteristica di rimanere attivi nel tempo viene definita tecnicamente “persistenza d’azione” o “residualità”

• Epoca di distribuzione: vengono detti di “pre-” o di “post-impianto”, a seconda che siano applicabili prima o dopo l’impianto dell’insalata

Criteri che guidano la scelta dei diserbanti

• Spettro d’azione: lo spettro d’azione

dei diserbanti deve essere tale da consentire di eliminare le specie infestanti previste (che emergeranno dal terreno) o presenti (già emerse). Nel caso in cui un solo diserbante non risulti in grado da solo di controllare tutte le infestanti, se ne scelgono altri (uno o più) da affiancare magari in miscela, in modo da ottemperare alle esigenze

• Condizioni pedoclimatiche: le più

Principali componenti che influenzano la pratica del diserbo Erbicidi

importanti sono quelle che riguardano la natura del terreno; gli erbicidi di tipo residuale, per esempio, vanno adoperati con cautela nei suoli di tipo sabbioso, nei quali sono possibili fenomeni di fitotossicità, più o meno importanti

Mezzi di distribuzione Tecnica colturale

Normative comunitarie e nazionali

Caratteristiche del terreno

• Vincoli dettati dai disciplinari

di “produzione integrata”: tali vincoli sono di tipo sia comunitario, fissati dai regolamenti a livello regionale, sia privato, come quelli prescritti dalle aziende della GDO (Grande Distribuzione Organizzata), che obbliga a scegliere gli erbicidi esclusivamente nell’ambito di liste che sono state all’uopo predisposte

Rotazione

Flora infestante

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coltivazione morella, la porcellana comune, l’attaccaveste, il farinello comune, la borsa del pastore, il poligono persicaria, il centocchio comune, il papavero comune, la fumaria comune, la mercurella comune, l’eliotropio selvatico, il grespino comune, la camomilla comune, l’erba storna comune, la senape selvatica e le varie specie di veronica e di amaranto. Tra le infestanti graminacee, sono suscettibili all’azione del pendimethalin la coda di volpe, la sanguinella comune, il giavone comune, la sorghetta da seme, e le varie specie di fienarola e di pabbio. Risultano, invece, resistenti la correggiola, il senecione comune, il centocchio comune e l’avena selvatica. Considerata la prolungata persistenza di questa sostanza attiva, devono intercorrere almeno sei mesi dal trattamento prima della semina di qualunque specie, mentre per le colture da trapianto non vi sono problemi. Il benfluralin è applicabile in tutte le insalate prima del loro trapianto. Abbastanza buona è la sua efficacia verso la porcellana comune, la correggiola, il papavero, il centocchio comune e il farinello, gli amaranti; tra le Graminacee, la sanguinella comune, il giavone comune, le fienarole e i pabbi mostrano una buona sensibilità verso questa sostanza attiva. Data la sua veloce fotodegradabilità, è necessario interrare il diserbante a 5-10 cm di profondità, affinché possa agire al meglio; l’operazione deve avvenire entro 30 minuti nel periodo estivo e al massimo in 3-4 ore nei periodi freddi o piovosi e nelle altre stagioni. A causa della sua prolungata persistenza d’azione, che può raggiungere anche i cinque mesi, la scelta del benfluralin su-

Acetosella

Cappuccino dei campi Senecione comune

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diserbo nel Centro-Sud Italia scita perplessità per quanto riguarda le successive semine di bietola e di spinacio. L’impiego della propyzamide, che deve avvenire in pre-trapianto, è particolarmente indicato nei terreni molto infestati da Graminacee annuali, quali l’avena selvatica, la coda di volpe, la sanguinella comune, e le diverse specie di loglio, di pabbio e di fienarola; nel suo spettro d’azione sono anche comprese dicotiledoni quali il farinello comune, il papavero comune, la porcellana comune, l’erba morella, il centocchio comune, il poligono persicaria, il farinello comune, la correggiola e le varie specie di veronica e di ortica. Considerata la durata della sua persistenza d’azione che può oscillare tra un minimo di due e, nel caso di un andamento climatico freddo, un massimo di sei mesi, bisogna porre attenzione alle specie colturali che devono essere impiantate in successione; in particolare, devono decorrere almeno quattro mesi dal momento del trattamento prima di impiantare colture di Solanacee (pomodoro, melanzana, peperone, patata), Liliacee (aglio, cipolla) e spinacio. Il chlorpropham è applicabile subito dopo il trapianto di qualunque specie di insalata, o al massimo appena si intravede la nascita delle prime malerbe, in quanto agisce appunto sulle infestanti in via di germinazione e/o nelle prime fasi di sviluppo. Nel suo spettro d’azione risultano comprese specie sia a foglia larga, quali la porcellana comune, il farinello comune, la borsa del pastore, il papavero comune, la correggiola, il centocchio comune, e le differenti specie di veronica e di poligono, sia a foglia stretta, come la coda di volpe, la sanguinella comune, le diverse specie di loglio, di pabbio e di fienarola.

Euforbia calenzuola

Attaccaveste Camomilla comune

381


coltivazione Data la sua scarsa residualità nel terreno (3-5 settimane), l’utilizzo del chlorpropham non pone particolari problemi per la scelta delle colture da praticare in successione. Registrata per tutte le specie di insalata, la propyzamide è l’unica distribuibile sia prima del trapianto, provvedendo al suo interramento, sia dopo, con malerbe ancora non presenti o emerse da non molto tempo; l’utilizzo in post-trapianto è possibile limitatamente alle coltivazioni effettuate durante il periodo compreso tra l’autunno e l’inverno e purché il terreno risulti ben umido. L’efficacia erbicida risulta migliorata qualora la sua applicazione avvenga subito dopo le irrigazioni effettuate successivamente alla messa a dimora delle piantine. Le sostanze attive ad azione totale, quali il diquat, con attività disseccante (topotossica), e il glifosate, con azione sistemica (teletossica), sono consentite prima di procedere al trapianto della coltura, per liberare il terreno dall’inerbimento formatosi a causa di piogge che lo hanno reso impraticabile o della pratica della falsa semina. A uno dei due erbicidi totali ne può essere miscelato un altro a base di chlorpropham, oxadiazon, pendimethalin o propyzamide. A trapianto avvenuto, ogni qualvolta la coltura risulti infestata da una o più specie di malerbe a foglia stretta, annuale e/o perenne, comprese la sorghetta, nata sia da seme sia da rizoma, ed eventualmente la gramigna (Cynodon dactylon) e la gramaccia (Agropyron repens), può essere distribuito uno dei graminicidi scelti tra quelli a base di propaquizafop, cycloxydim o quizalofopp-etile.

Malva

Sarchiatura manuale

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diserbo nel Centro-Sud Italia Diserbo integrato Anche nelle coltivazioni delle insalate, un diserbo di tipo integrato è certamente utile ai fini del conseguimento di obiettivi importanti quali la tutela della salute dei consumatori, la salvaguardia, ovviamente, degli aspetti ecologici, e la riduzione dei costi colturali. Considerato, inoltre, che gli erbicidi attualmente a disposizione sono in numero esiguo e non consentono quasi mai di raggiungere risultati del tutto soddisfacenti, soprattutto nei confronti delle specie infestanti dicotiledoni emerse durante la coltivazione, risulta quanto mai indispensabile gestire il diserbo integrando il mezzo chimico con altre pratiche agronomiche di controllo delle infestanti, sia preventive sia dirette. Nella realizzazione del diserbo integrato si può fare affidamento su un certo numero, seppure piuttosto limitato, di pratiche di controllo delle erbe infestanti, sia indirette sia dirette. Nell’ambito delle pratiche indirette, è indubbiamente rilevante la scelta di effettuare la “falsa semina” e di adottare opportune rotazioni colturali. Ancora, valida allo scopo è la strategia di localizzare i fertilizzanti soltanto lungo la fila delle piante di insalata, scelta che permette di minimizzare la potenzialità competitiva delle malerbe. Relativamente alle metodologie di diserbo di tipo diretto, è senz’altro utile attuare l’integrazione tra il mezzo chimico e meccanico, integrazione in grado di contribuire a rendere nell’insieme il diserbo più efficace ed economico. Infatti, qualora le sarchiature manuali venissero effettuate da sole, comporterebbero costi molto elevati, mentre la loro esecuzione risulta più economica proprio quando vanno a completare l’azione degli erbicidi, consentendo di eliminare in questo modo l’infestazione “sfuggita” al mezzo chimico. Mediante l’impiego degli erbicidi, appunto, è certamente inferiore la spesa da sostenere per l’effettuazione degli interventi di sarchiatura manuale. Infine, non vanno dimenticati eventuali interventi finalizzati all’eliminazione dai bordi del campo delle specie infestanti suscettibili di ospitare nematodi e/o virus dannosi.

Il diserbo integrato

• Il diserbo integrato consiste

nell’attuare tutte le modalità di controllo delle malerbe possibili, scelte in un’ottica di razionale integrazione reciproca e di ottimizzazione con le altre pratiche colturali, rifacendosi in modo particolare alle conoscenze in materia di biologia ed ecologia delle infestanti, di agronomia, di tecnologia del diserbo e di impatto ambientale

• Due sono i principi base per gestire

in modo integrato le erbe infestanti: – adottare innanzitutto una serie di azioni che servano per prevenire l’introduzione e la diffusione delle malerbe; – selezionare, tra le pratiche colturali da effettuare, quelle che permettano alla specie coltivata di risentire il meno possibile della competizione

Esempio di riduzione dell’infestazione dell’acetosella mediante erbicidi impiegabili nelle colture in rotazione Colture

Erbicidi

Frumento

Tribenuron metile 2,4-D Dicamba Diclobenil MCPA

Cavolfiore, melanzana, finocchio, peperone, pomodoro, tabacco

Oxadiazon

Pomodoro

Metribuzin

Fumaria comune

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