Il Mais - Storia e Arte

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Il mais botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


il mais

storia e arte Origine e diffusione Aureliano Brandolini, Andrea Brandolini

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storia e arte Origine e diffusione Introduzione La specie Zea mays L. – da 500 anni nota in Italia come Formentone, Granturco o Meliga – comprende numerose forme coltivate (cultivar o agroecotipi), risultato di un lungo e diversificato processo evolutivo che, negli ultimi 7000-10.000 anni, è stato condizionato e orientato dall’uomo in funzione degli specifici ambienti e delle diverse esigenze e culture alimentari. Il mais, specie monocotiledone polimorfa, con forme specializzate alle più diverse condizioni ambientali, è una graminacea diclina (con fiori unisessuati), monoica (con infiorescenze separate sulla stessa pianta), caratterizzata da un culmo principale, talora accompagnato da steli secondari (polloni), con radici fascicolate secondarie e avventizie. La pianta presenta infiorescenze maschili terminali a pannocchia e femminili laterali ascellari a spadice, inserite in corrispondenza dei nodi fogliari e costituite da un asse rigido più o meno lignificato (tutolo), di forma cilindroconica, non disarticolabile, sul quale sono inserite cariossidi di forma, colore e tessitura differenti, tipiche di ciascuna varietà. Le cariossidi (frutti/semi delle Graminee) si presentano come frutti indeiscenti, monospermi, con pericarpo inseparabile dal seme vero e proprio.

Tassonomia Zea mays L.

• Regno: Plantae

Divisione: Spermatophyta Subregno: Embryophyta Phylum: Tracheophyta Subphylum: Pteropsida Classe: Angiospermae Subclasse: Monocotyledonae Ordine: Graminales Famiglia: Gramineae/Poaceae Tribù: Andropogoneae Subtribù: Maydeae Genere: Zea Specie: mays Subspecie o sezione: everta, indurata, indentata, amylacea, amylosaccharata, hybrida

Origine e relazioni filogenetiche del genere Zea La famiglia botanica delle Poaceae (Gramineae), a cui appartiene il mais, si articola in numerosi generi e specie raggruppabili, per le caratteristiche genetiche e morfo-biologiche, in gruppi di affinità (clades o rami), le subfamiliae: – Panicoideae, con i generi Zea, Sorghum, Pennisetum, Saccharum, ecc. –P ooideae, con i generi Triticum, Hordeum, Secale, Avena, ecc. –O ryzoideae, con i generi Oryza, Zizania, ecc. –B ambusoideae, con i vari generi di Bambusia e affini. Il riconoscimento di segmenti di DNA omologhi nei genomi delle Panicoideae e delle Pooideae induce a considerare le Gramineae come un singolo sistema genetico, del quale Oryza rappresenta un genoma ancestrale di base. Per il genere Zea sono stati individuati sei intervalli evolutivi, delimitati da eventi divergenti principali: – Ancestrale, prima della divergenza Oryzoideae-Panicoideae; – Progenitore delle Panicoideae, precedente la divergenza tra Paniceae e Andropogoneae-Maydeae; – Progenitore delle Andropogoneae-Maydeae, prima della divergenza delle Andropogoneae dalle Maydeae; – Progenitore delle Maydeae, prima della divergenza tra Tripsacum e progenitore del genere Zea;

Caroli Linnaei: Species Plantarum. Tomus II:971-972. Holmiae, 1753

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origine e diffusione Iter evolutivo del cultigeno Zea mays Zea diploperessis Zea perennis Tripsacum (2n = 18, 36, 72, x = 9) Andropogoneae (sorghum (x = 10), sugarcane (x = 8 e/o 10)) Paniceae (millets (2n = 20, x = 10)) Oryzoldeae (2n = 24, 48, x = 12)

Zea luxurians Zea euchlaena Zea mays (2n = 20, x = 10) 6. Tetraploid Zea 5. Progenitor Zea (2n = 16, x = 8)

4. Progenitor Maydeae (2n = 20, x = 10) 3. Progenitor Andropogoneae/Maydeae (2n = 20, x = 10)

Tripsacum dactyloides

Zea mexicana

2. Progenitor Panicoideae 1. Ancestral (basal grass lineages, many at 2n = 24, x = 12)

Dendrogramma proposto da Wilson et al. (1998) e completato per le fasi relative al genere Zea. Gli intervalli internodali rappresentano taxa progenitori di quelli successivi

– Progenitore di Zea, dopo la divergenza da Tripsacum e prima di un evento poliploidizzante (duplicazione alloploidica tra due specie affini o per autoploidia di un genoma ancestrale) del genoma Zea; ea tetraploide, con genoma duplicato e successiva riduzione –Z da tetrasomico a disomico; ea diploide, progenitore di Zea perennis, Zea diploperennis, –Z Zea euchlaena e Zea mays. Come risultato dei processi evolutivi ricordati, le Maidee americane (o Tripsacine) si presentano attualmente con forme diverse che, alla luce degli studi citologici, genetici, fisiologici, strutturali, biochimici e immunologici, appaiono ascrivibili a due generi: Tripsacum e Zea, a loro volta differenziati in specie linneane, caratterizzate da peculiarità discriminanti di ordine morfologico e bio-ecologico. Tali specie sono sistemi dinamici definiti e ben delimitati, differenziati a livello intraspecifico in tipi ecologici e geografici, a loro volta articolati in un elevato numero di varietà, ecotipi e agroecotipi. Il genere Tripsacum si differenzia da Zea per il numero cromosomico base X = 18 (in Zea tale numero è X = 10). Le piante hanno portamento cespuglioso, rizomi carnosi o radici stolonifere, fiori maschili e femminili riuniti nella medesima infiorescenza ma separati (i primi nella parte superiore e i secondi in quella inferiore della pannocchia). Ciascuna cariosside è racchiusa da una guaina indurita; mancano le brattee ricoprenti le singole spighe, che carat-

Zea parviglumis

Mais ramificato (Succi, 1931)

Popcorn prolifico

Popcorn Ladyfinger (Vandoni, 1968)

Immagini di piante appartenenti ai generi Tripsacum e Zea

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storia e arte Caratteristiche differenziali tra teosinte e mais Tassonomia del genere Zea Il genere Zea, che comprende il mais e i suoi parenti più prossimi (teosinte) appare suddiviso in due subgeneri:

• il subgenere Euchlaenoides (Euchlaena

Wilkes), a sua volta articolato in due settori: - il settore luxuriantes Iltis e Doebley, che comprende le forme cespitose, perenni o perennanti, cui sono ascritte le specie: –Z ea perennis (Hitch.) Mangelsdorf: tetraploide, rizomatosa, perenne, cespitosa: Jalisco, Messico. – Z ea diploperennis Iltis, Doebley, Guzman: diploide, rizomatosa, perenne, cespitosa: Jalisco, Messico. – Z ea luxurians Wilkes: diploide, perennante, cespitosa: Guatemala sud-orientale i l - settore silvestris, diploide, monospecifico, annuale; riprodotto per seme, adattato a zone con stagionalità siccitosa prolungata: –Z ea euchlaena Grant: monospecifico, diploide, annuale; articolato nei taxa subspecifici: -Z ea euchlaena ssp. mexicana (Schrader) Iltis e Doebley: diploide, annuale: Chalco, Nabogame, Mesa Central, Messico - Zea euchlaena ssp. huehuetenangensis Iltis e Doebley: diploide, annuale: Huehuetenango, Guatemala - Zea euchlaena ssp. parviglumis Iltis e Doebley: diploide, annuale, pollonante: Balsas e Oaxaca, Messico

Teosinte

Mais

Spiga distica: 2 ranghi

Spiga decussata o polistica: 4 o più ranghi

Rachide fragile, articolato in segmenti

Spiga con asse cilindrico, non segmentabile

Spighette sessili semifere

Coppie di spighette fertili, una sessile e una pedicellata

Glume molto indurite

Glume soffici

Glume ricoprenti il seme

Glume corte, eccetto il tipo tunicata

Seme incluso nella cupula del rachide

Seme esposto, alloggiato nelle glume del tutolo

Seme triangolare o trapezoidale

Seme globoso, con apice tondo o appuntito

Pianta rizomatosa, perenne/annuale

Pianta stagionale

Tendenza cespitosa per ramificazioni numerose e steli secondari dal rizoma

Apparentemente cespitosa per ramificazioni basali condensate e portatrici di spighe

terizzano mais e teosinte. I Tripsacum, durante la loro evoluzione, hanno diffusamente colonizzato ambienti diversi delle Americhe, sia tropicali che subtropicali, spingendosi fino a latitudini di 4042° N (Kansas e Illinois). L’evoluzione della forma coltivata mais, come quella degli affini silvestri (teosinte: tutte le specie e sottospecie nel genere Zea, escluso il mais: Zea mays L.), è avvenuta per differenziazione in gruppi ecologici e geografici, nel corso del progressivo processo di specializzazione e diffusione dai Centri primari e secondari di insediamento, attraverso fenomeni di mutazione, combinazione e ricombinazione genica. Una revisione critica delle ipotesi tassonomiche e filogenetiche ha indotto a riconsiderare la sistematica tradizionale delle Maidee riunendo nel genere Zea sia i taxa precedentemente inclusi nell’ex genere Euchlaena (teosinte), sia le forme cultigene tradizionalmente ascritte alla specie Zea mays L. A nostro avviso, la divergenza plurisecolare (10.000 anni) tra teosinte e mais, la separazione di fatto dovuta a barriere genetiche, fenologiche, geografiche ed ecologiche e le differenze discriminanti di ordine linneano: struttura delle infiorescenze, delle spighe, del seme e di architettura della pianta, giustificano pienamente il tradizionale riconoscimento del mais come specie propria, associata nel genere Zea alle specie del settore Euchlaenoides (ex Euchlena) per una comune origine. Le forme di teosinte, perenni e annuali, appaiono invece strettamente omologhe per i caratteri distintivi di spighe distiche fa-

• il subgenere Agrestis, monospecifico: – Zea mays L., diploide, annuale, con

forme everta, indurata, amylacea, indentata, amylosaccharata e hybrida

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origine e diffusione scicolate, cariossidi capsulate, rachidi disarticolabili, portamento cespitoso e habitat tradizionali specifici, in funzione adattativa perfettamente evoluta. Riteniamo pertanto opportuno riconoscere nel genere Zea due subgeneri: Euchlaenoides, articolato nei settori luxuriantes e silvestris, e nel subgenere Agrestis, che include la sola specie Zea mays, articolata in sezioni differenziate per tipo e struttura delle cariossidi. All’inizio i naturalisti furono perplessi e indecisi nei riguardi del mais, cereale di grande sviluppo, che si adatta a differenti condizioni geoclimatiche, assai variabile nelle strutture produttive, con cariossidi inserite in file regolari su spighe mostruose, se raffrontate a quelle dei cereali tradizionali europei. Inspiegabile e difficilissima (in assenza di forme selvatiche) appariva inoltre la sua capacità di sopravvivere in natura senza l’intervento dell’uomo. L’accenno a una relazione con una graminacea simpatrica era peraltro già indicato nella Historia General de las cosas de Nueva España del Sahagun (1569) e nell’opera di Francisco Hernandez (1576), che menzionava il teosinte sotto il nome di “concopi, seu planta simili tlaolli (mais) … planta æmulator maizii sed semen est triangulare” (… concopi, cioè una pianta simile al mais… pianta simile al mais ma con un seme triangolare). La straordinaria variabilità dei mais coltivati, la mancanza di forme atte a propagarsi senza l’intervento antropico e l’assenza di materiali archeologici probanti il processo evolutivo del mais hanno indotto vari Autori a formulare ipotesi filogenetiche basate su comparazioni morfo-biologiche, citologiche e genetiche con le specie affini Tripsacum e teosinte. Le varie ipotesi avanzate per chiarire le relazioni tra le Maydeae e fornire una definizione più esatta dei possibili processi evolutivi nell’ambito della subtribus possono essere riassunte in tre possibili iter evolutivi: – derivazione dei generi Tripsacum, Zea ed Euchlaena da una forma ancestrale comune, secondo l’ipotesi di Weatherwax e Randolph; erivazione del teosinte da ibridazione tra una forma ancestrale –d di mais e il genere Tripsacum, sostenuta da Mangelsdorf e Reeves, o un’Andropogonea estinta, come proposto da Mangelsdorf, successivamente; – Beadle ha fatto derivare la specie mays da uno o più taxa di teosinte (ex Euchlaena Schrader). Reeves e Mangelsdorf li hanno riuniti quindi in un comune genere Zea, mentre Iltis e Doebley hanno pensato a una specie Zea mays di livello subspecifico. Le ricerche tese a verificare le varie ipotesi filogenetiche hanno contribuito a chiarire il percorso evolutivo del mais, in un primo tempo basandosi sulle risultanze morfologiche, organografiche, citologiche e genetiche e, più recentemente, sulla analisi del DNA. L’apporto determinante dei reperti archeologici, la loro più o meno precisa datazione e il riconoscimento delle sequenze di DNA

Pianta di teosinte

Esemplare di pianta polispiga

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storia e arte delle diverse forme reperite nei giacimenti archeologici principali di Meso- e Sud-America hanno inoltre consentito di convalidare, con una certa sicurezza, le ipotesi circa i cammini evolutivi e le datazioni del processo di domesticazione del mais. La certezza definitiva si avrà solo allorché il completamento degli studi genomici e la comparazione più estesa e approfondita delle sequenze geniche di interesse evolutivo tra i diversi genotipi potranno confortare le ipotesi finora avanzate. Nell’ambito del genere Zea si rileva un elevato livello di diversità tra le diverse specie: Zea perennis (tetraploide) e Zea diploperennis (diploide) risultano indistinguibili, per una loro recente divergenza. A esse risulta associabile la specie guatemalteca Zea luxurians, diploide, a disseminazione annuale, cespitosa, ma con tendenza perennante in condizioni favorevoli. Una serie di dati analitici provenienti da studi citogenetici, isozimici e molecolari, insieme agli studi morfo-evolutivi, hanno fornito numerosi elementi a conferma della proposta filogenetica fatta da Doebley circa l’addomesticamento del cultigeno mais da popolazioni messicane di teosinte annuali (ex Euchlaena mexicana Schrader) avvenuta circa 7000 anni fa, in un areale nel quale ancora attualmente coesistono forme di mais coltivato e popolazioni di teosinte annuali o perennanti. I dati molecolari suggeriscono inoltre che il cultigeno mais si è separato prima o contemporaneamente all’evento divergente di Zea euchlena subsp. mexicana della subsp. parviglumis, diversamente da quanto desunto da altri approcci metodologici. La razza di teosinte gualtemalteca denominata huehuetenangensis risulterebbe basale nell’ipotesi di una derivazione del cultigeno mais dal teosinte. L’epoca della divergenza della specie mais dagli altri taxa è ipotizzabile nel periodo comprendente la fase terminale del Pleistocene e l’inizio dell’Olocene (circa 10.000 anni fa), durante la fase di sedentarizzazione delle etnie amerindie.

Domesticazione del mais

• Il mais è stato probabilmente

addomesticato in Messico circa 7000-9000 anni fa

• Il suo parente più prossimo è il teosinte della sottospecie parviglumis

• Dal Messico razze molto primitive di

mais si diffusero dapprima in Centro e Sudamerica, in seguito in Nordamerica

Classificazioni intraspecifiche storiche

• Mathieu Bonafous in Histoire naturelle, agricole et économique du maïs (1836-42): Zea mays subsp. minima, praecox, subpraecox, aestiva, autumna, (alba, versicolor, rubra, seminibus variis), turgida, cymosa, polystachytes, rugosa, graeca, hispanica, canariensis, syrtica, virginica, pennsylvanica, guasquinensis, quillotensis Zea erythrolepis Zea hirta Zea curagua Zea cryptosperma Zea rostrata

Domesticazione del mais Migrazioni infracontinentali, diversificazioni geografiche o climatiche, differenze etniche e culturali hanno giocato un ruolo fondamentale nel processo di adattamento del genere Zea alle diverse situazioni agroecologiche e hanno condotto, in epoca preistorica, alla costituzione di un’ampia variabilità genetica, in soddisfacente equilibrio con gli ambienti e le esigenze etniche. In particolare ricorderemo che, mentre le specie di Tripsacum avevano vigorosamente colonizzato con cloni cespitosi i vari ambienti delle regioni temperato-calde subtropicali e tropicali del Nuovo Mondo, il genere Zea, con le sue specie silvestri (teosinte) a fotoperiodo breve, si era affermato solo e limitatamente nella Mesoamerica, con specie perennanti, rizomatose o no, o con specie annuali che peraltro non sembrano essere state utilizzate in misura rilevante dall’uomo né come cereale né come foraggio, anche per la mancanza di erbivori ruminanti domestici.

• E. Lewis Sturtevant in USDA Bulletin n°57: Varieties of corn (1899): Zea mays subsp. everta Zea mays subsp. indurata Zea mays subsp. indentata Zea mays subsp. amylacea Zea mays subsp. saccharata Zea mays subsp. amylosaccharata Zea mays subsp. tunicata

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origine e diffusione La specie Zea mays, che con le altre specie di Zea condivide la interfertilità biologica, il sistema cromosomico X = 10 e numerose caratteristiche strutturali ereditarie, già in epoca precolombiana si era venuta differenziando sotto la pressione umana, fino a occupare un ruolo fondamentale nell’alimentazione di varie etnie Meso- e Sud-americane, nelle condizioni più varie: zone costiere tropicali e subtropicali, vallate e altopiani centroamericani, alte vallate e pianure costiere sudamericane e infine coltivazioni itineranti del bacino amazonico. Di fatto, nel XVI secolo la coltivazione del mais era diffusa a livello familiare in regioni che spaziavano dall’Equatore alle latitudini 50° N e 45° S, con altitudini che variavano da 0 a 4500 m s.l.m.; in situazioni climatiche caratterizzate da temperature medie tra 15° e 45° C; con precipitazioni da 300 a 4000 mm/anno; e infine con durata del fotoperiodo da 12 a 16 ore/giorno durante la stagione colturale estiva. Mais e teosinte divergono morfologicamente in architettura della pianta e della spiga, ma sono citologicamente simili, sino a essere indistinguibili nel caso del taxon parviglumis. Gli ibridi tra forme diverse risultano fertili e le analisi molecolari indicano proprio il taxon parviglumis come il più prossimo parente di Zea mays, e forse il progenitore diretto come sostenuto da Beadle. La differenziazione del mais fu enormemente complessa e articolata, e coinvolse nella selezione, oltre ai tratti ereditari responsabili dell’architettura di pianta (robustezza del culmo, numero e dimensione di foglie e nodi, infiorescenza), quelli relativi alla dimensione della cariosside, alla sua composizione e palatabilità e alla germinazione del seme. Rimangono tuttavia ancora da identificare e valutare molti dei fattori ereditari di minore o maggior effetto, il poliformismo dei geni che controllano il fenotipo e le modalità attraverso le quali la combinazione degli effetti individuali e interattivi avrebbe consentito la conversione del teosinte primitivo annuale in cultigeno mais. Camara-Hernández e Gambino hanno chiarito in modo definitivo i processi e i passi differenziali di formazione delle strutture florali terminali e laterali del mais e del teosinte: l’evento divergente che ha separato il percorso evolutivo del mais da quello del teosinte è identificato nella diversificazione distico/polistico che ha interessato, rendendole antitetiche, le strutture di sviluppo vegetativo dei due taxa/specie: un fenomeno occorso anche in altre clades del sistema dinamico delle graminacee (orzo, frumento). L’evento divergente viene collocato in un’epoca di predomesticazione, che risale all’epoca della differenziazione/speciazione della Protozea, nel periodo che intercorre tra la fine del Pleistocene e l’inizio dell’Olocene.

Spighe di teosinte fascicolata e singola

Tripsacum

Mais Tehuacan (ric. Mangelsdorf)

Mais archeologico (ric. Beadle)

Mais archeologico (ric. Doebley)

In alto sono riportate spighe di teosinte e Tripsacum. Le immagini centrali e in basso rappresentano ricostruzioni di spighe primitive di mais

Riscontri archeologici e storici Di particolare importanza e interesse appaiono i granuli di polline, recuperati nei depositi lacustri del Messico e datati 80.000 a.C. da 51


storia e arte Barghoorn et al. (1964), che attestano la presenza di Zea in epoca pre-agricola. La ricostruzione della storia evolutiva delle Maydeae per via genetica e genomica ha trovato importanti seppur limitati riscontri sia nei frammenti di strutture maidiche reperiti nelle tombe dei progenitori amerindi a partire dal 5000 a.C., sia nelle indicazioni storiche lasciateci dai cronisti della scoperta e della colonizzazione europea, soprattutto in lingua Nahuatl, Quechua e Spagnola. Residui di spighe, granella e strutture caulinari sono stati ritrovati in località di Messico, Arizona, Guatemala, Panama, Colombia, Ecuador, Perù e Cile; la loro datazione stratigrafica, dendrocronologica e con il radiocarbonio 14 (C14) ha consentito di determinarne l’antichità e le sequenze temporali della progressiva adozione e utilizzazione da parte delle popolazioni residenti. I più antichi reperti maidici messicani della grotta di Guilá Naquiz (Piperno e Flannery, 2001), datati 5400 a.C., e delle serie di Tehuacan (Mangelsdorf, McNeish e Galinat, 1967), datati 4900 a.C., sono anteriori agli analoghi reperti andini di Huaca Prieta (Bird, 1946), Ayacucho (McNeish, 1970), Los Gavilanes in Huarmey, (Grobman, Bonavia, Mangelsdorf e Camara, 1967, 1989) e Los Cerrillos (Moseley, 1974), datati rispettivamente 4380-2000 a.C., 1750 a.C., 29002700 a.C. e 2000-1800 a.C. Le caratteristiche morfologiche dei tutoli di Guilá Naquiz sono state interpretate come una conferma dell’ipotesi di diretta discendenza del mais dal teosinte. Gli studi dei materiali ritrovati hanno consentito la ricostruzione delle serie di tipologie maidiche rispettivamente per la regione mesoamericana e per quelle vallive e costiere delle Ande. Lo studio delle forme di mais reperite nelle grotte di Tehuacán nel Messico ha permesso inoltre a Mangelsdorf, McNeish e Galinat di precisare le caratteristiche dei progenitori del mais nelle fasi di raccolta e prima domesticazione, nonché delle forme successive gestite dai coltivatori della valle a partire dal 6500 a.C. Tali Autori, sulla base dei reperti trovati in corrispondenza delle fasi Riego e Coxcatlán (5200-3400 a.C.) ne riportano le seguenti caratteristiche: spighe di 19-25 mm, 8 file (talune 4), con 36-72 semi per spiga; glume relativamente lunghe, soffici, glabre; rachide relativamente fragile con cupule superficiali; semi duri, tipo everta; spiga frequentemente con rachide terminale portatore di spighette staminate. Tale ideotipo è presente anche nella successiva fase Abejas nella quale è pure presente (47% dei reperti) un tipo simile, coltivato, di maggiori dimensioni. Mc Neish e collaboratori descrivono un mais ancestrale caratterizzato da una spiga con due brattee sciolte, inserzione alta, senza polloni, grani rotondi color arancio o bruno, rachide fragile con glume lunghe e soffici. Un’analoga sequenza, pure basata su centinaia di reperti di epoche successive, è stata riconosciuta da Grobman e collaboratori nelle serie di Los Gavilanes nella valle di Huarmey (Perù) con datazione 2900-2700 a.C. I mais di Los Gavilanes presentano spighe di dimensioni simili a quelle di

I reperti antichi di mais

• Tutti i reperti antichi di mais sono

attribuibili a mais da scoppio, a frattura interamente vitrea (popcorn), con glume allungate non indurite: in genere i mais primitivi mostrano un incremento di dimensioni lento e ridotto nei primi 2000 o 3000 anni

Tutoli di mais dalla grotta di Guilá Naquiz (Piperno e Flannery, 2001)

I reperti archeologici

• Polline di mais di 80.000 anni fa • Tutoli di mais di 7000 anni fa

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origine e diffusione Cronologia dei reperti maidicoli Nordamerica

Centroamerica

Sudamerica

80.000 a.C.

Mexico city (polline)

5500 a.C.

Guila Naquitz Tehuacan

5000 a.C.

El Riego

Panama

Calima

Coxcatlan

S. Andres de la Venta

Cueva Guitarrero

Bat Cave

4500 a.C. 4000 a.C. 3500 a.C. 3000 a.C.

Bat Cave Abejas

2500 a.C. 2000 a.C.

Puceron

1500 a.C. 1000 a.C.

Alpan

500 a.C.

S. Maria

Valdivia Cueva Perra

Quexil

Los Gavilanes

Tamaulipas

S. Ana Peten

Los Cerrillos

Valenzuela

Belize

Huarmey (costa)

Hohokam Peten

0 500 d.C.

Culebras Chavin

Tutoli dalle grotte di Tehuacan (Mangelsdorf, McNeish e Galinat, 1967). È evidente l’aumento di dimensioni dei tutoli più recenti

Manabi Viru

Palo Blanco Venta Salada

SW USA

Gallinazo

1000 d.C.

NC USA

Trujillo

1500 d.C.

NE USA

Tehuacan, ma con caratteristiche tipiche dei popcorn andini: piante basse, pigmentate; culmo unico con diametro 6-8 mm; radici avventizie; pennacchi lassi; 4-2 spighe medio-basse; grani piccoli, isodiametrici; spighe lunghe 25-94 mm, di diametro 7-14 mm; 13 semi per fila, colore rosso bruno-porpora; peduncolo sottile e corto. Negli strati più recenti (Paracas antico, 300-500 a.C.) la spiga si allunga da 49 a 80 mm, con diametro da 18 a 26 mm.; nella fase successiva (Nazca tardivo, 500 a.C.-800 d.C.) le spighe aumentano di dimensioni, mentre nell’ulteriore fase di Tiahuanaco si nota l’avvento di nuovi tipi più corti, con maggior numero di ranghi. Concludendo: tutti i reperti antichi di mais sono attribuibili a mais da scoppio (pop-corn), a frattura interamente vitrea, con glume allungate non indurite: in genere i mais primitivi mostrano un incremento di dimensioni lento e ridotto nei primi 2000 o 3000 anni. Mc Neish ha rilevato un limitato consumo di granella in Mesoamerica nel periodo 5000-2500 a.C.; Piperno e Pearsall notano invece come la presenza precoce del mais in Perù, Ecuador, Panama e Colombia, associata alla tecnologia litica per lo sfarinamento,

Valle di Tehuacan

Zea euchlaena ssp. parviglumis

Guilà Naquiz

Localizzazione in Messico della Valle di Tehuacan, delle grotte di Guilá Naquiz e dell’area di origine di Zea euchlaena ssp. parviglumis

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storia e arte sembri confermare che il consumo di mais in tale regione abbia preceduto quello del Centro e Nordamerica. Possiamo pertanto concludere circa una datazione dell’uso alimentare (iniziale e molto ridotto) dei mais duri selvatici raccolti a partire dal 5500 a.C.; un’utilizzazione agricola dei mais duri dal 3500 a.C.; un’espansione della specie nell’agricoltura amerindia meso e sudamericana a partire dal 2500 a.C., con una prevalenza di tipi everta e indurata nell’intero areale, mentre i tipi farinosi si affermavano in particolari zone a partire dal 1000 a.C. I tipi dentati si presentarono solo tardivamente in Mesoamerica e Sudamerica, attendibilmente come conseguenza di incroci tra forme vitree e altre più o meno farinose preesistenti. Il ritrovamento in alcuni giacimenti archeologici di semi vestiti di Tripsacum e di teosinte ha fatto pensare a una loro sporadica utilizzazione come semi da scoppio o, come ipotizzato da Iltis e da Smalley e Polese, a un precedente uso del succo zuccherino contenuto nel culmo delle maidee americane come fonte di un dolcificante più o meno concentrato e/o impiegato per la produzione di bevande alcoliche. La testimonianza di vari Autori del XVI secolo fornisce una conferma circa le diverse modalità di utilizzazione tradizionale delle cariossidi, delle spighe immature e dello stesso succo estraibile.

Diffusione mais

• La diffusione del mais nelle Americhe

a partire dal Messico avviene secondo rotte spazio-temporali diverse

Differenziazione e diffusione del mais nelle Americhe Nell’assenza di forme di mais capaci di sopravvivere e di diffondersi senza intervento umano diretto o indiretto e in considerazione dell’amplissima variabilità morfo-strutturale e fenologico-adattiva delle forme coltivate, non è stato sinora possibile pervenire a una conclusione certa circa l’origine unica o policentrica della specie Zea mays L. De Candolle ha ipotizzato il sito di origine nel Centroamerica, come successivamente sostenuto anche da Vavilov, in considerazione della compresenza di teosinte e del presupposto della maggior variabilità esistente in Mesoamerica rispetto a Nord e Sud America. Reperti archeologici e analisi genomiche indicano anch’essi una probabile origine monocentrica, identificabile nella zona del fiume Balsas (Oaxaca), nel Mexico meridionale, dove il mais è simpatrico al taxon parviglumis del teosinte. Recenti evidenze genetiche confermano infatti che i teosinte di tale sottospecie hanno la massima similarità genetica con il cultigeno mais, possono ritenersi i suoi parenti più prossimi ed eventualmente i diretti progenitori. Di qui il mais sarebbe emigrato con le successive ondate etniche verso il Sudamerica, attraverso l’istmo di Panama e l’adiacente mare Caraibico, secondo percorsi differenziati: l’uno con direzione sud-orientale, utilizzando la via caraibica e risalendo i percorsi fluviali amazonici; l’altro con percorso sud-occidentale, attraverso le vallate del Solco Andino. Tale secondo percorso migratorio attraverso l’istmo di Panama e il Solco Andino avrebbe consentito alle forme primitive originarie

Centri di differenziazione del mais

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origine e diffusione di altitudini mesoamericane di diffondersi nelle vallate andine e di qui nei litorali del Pacifico, per ricongiungersi infine con i mais delle pianure sud-orientali attraverso i passi delle Ande cilene. Una migrazione più tarda, diretta al Nord, avrebbe consentito l’insediamento di forme più o meno evolute nel sud-ovest degli Stati Uniti (zona dei Pueblos), e di lì nelle pianure costiere sudatlantiche degli USA e successivamente nelle regioni Nord-orientali e Centro-settentrionali degli attuali Stati Uniti. I processi migratori dal Centroamerica si sarebbero sviluppati, secondo i dati archeologici, nel corso di tre millenni nell’America australe e di due millenni nell’America settentrionale. La grande variabilità delle razze centroamericane e di quelle andine fanno ritenere molto probabile un monocentrismo di domesticazione accompagnato da un policentrismo di diversificazione nelle zone che sono state sedi di avanzate culture capaci di intelligente e differenziato intervento migliorativo. La grande variabilità di forme rinvenute nelle diverse zone delle Americhe nel corso delle spedizioni di raccolta degli anni 1950 e 1970-1980, studiata ampiamente negli ultimi decenni, ha consentito a vari Autori di classificare in razze locali il vasto materiale reperito in ogni regione del continente e di ipotizzarne le relazioni con le etnie insediate nei diversi ambienti agricoli. Sulla base di tali relazioni nazionali preliminari e dello studio delle proprie collezioni Ecuadoriana e Boliviana, Brandolini ritenne di individuare 12 centri primari (precolombini) e 5 centri secondari (post-colombini) di differenziazione razziale, collegati con le civiltà agricole autoctone, cui potevano essere ascritti (o collegati) i vari complessi razziali e le razze locali individuati sulla base di elementi citogenetici e morfobiologici. Tale ipotesi ha trovato conferma nei lavori successivi di Brown e Goodman,Goodman e Brown, Matsuoka e collaboratori.

Variabilità del mais nelle Americhe. (Fields Natural History Museum, Chicago, USA 1955)

Coltivazione di mais presso i Pueblos dell’Arizona

Foto R. Angelini

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storia e arte Classificazioni moderne del mais La prima descrizione comparativa, basata su rilevazioni dirette delle diverse forme di mais ritenute rappresentative di ambienti europei e americani è dovuta a Mathieu Bonafous, agronomo sabaudo che operò principalmente a Torino come Direttore dell’Orto Botanico della Reale Accademia di Agricoltura. Il Bonafous prese in considerazione, oltre alle varietà della Pianura Padana, varietà provenienti dalla Spagna, dalla Grecia e dalla Francia, come pure mais inviatigli dal Cile, dall’Argentina e dal Nordamerica (Pennsylvania, Virginia e California). Come risultato di tale studio sperimentale e della sua profonda conoscenza dell’agricoltura italiana e francese, il Bonafous pubblicò nel 1836 la monografia Histoire naturelle, agricole et économique du maïs (Storia naturale, agricola ed economica del mais), in una pregevole edizione francese in quarto, nella quale oltre ai dati numerici, forniva rappresentazioni iconografiche a colori delle spighe (a grandezza naturale) e delle piante (ridotte a ¼) insieme a una tuttora fondamentale descrizione dei metodi colturali e delle utilizzazioni del mais. L’edizione italiana (1842), curata dal Pasini e

Histoire naturelle, agricole et économique du maïs

• Nel 1836, Matteo Bonafous pubblica

l’Histoire naturelle, agricole et économique du maïs • Bonafous propone un catalogo entro il quale ordinare la gamma dei ceppi della specie coltivati, descrive le tecniche di coltivazione e le pratiche di conservazione della granella raccolta, nonché i parassiti e le malattie che insidiano la pianta. Riveste un interesse particolare la ricerca dell’origine geografica della specie

Mais americani (Bonafous, 1836)

Z.m. Virginica mais d. Virginia

Z.m. Pennsylvanica mais d. Pennsylvania

Z.m. Rugosa mais grinzoso

Z.m. Hirta mais peloso

Z.m. Erythrolepsis mais tutolo rosso

Z.m. Curagua mais Curagua

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Z.m. Sem. variis mais Arlecchino

Z.m. Guasquinensis mais di Guasco

Z.m. Polystachytes mais ramificato

Z.m. Quillotensis mais di Quillota

Z.m. Cymosa mais a fiocco

Z.m. Cryptosperma mais tunicato


origine e diffusione pubblicata tra Torino e Milano, ebbe una tiratura più modesta sia per formato che per modello editoriale, ma trovò un’ampia diffusione e accoglienza nell’agricoltura italiana. Nel 1842, in una memoria all’Accademia Piemontese di Agricoltura, Bonafous volle aggiungere una nuova forma, il mais rostrato, cui attribuiva rango di specie. La classificazione assegnata dal Bonafous alle diverse forme ha dovuto essere rivista, anche per i dubbi che lo stesso Autore aveva espresso sul livello (specifico o infraspecifico) da assegnare alle diverse forme. La classificazione infraspecifica del mais tuttora più diffusa è quella proposta dallo Sturtevant nel 1899. Essa, basata esclusivamente sulle varietà indigene o commerciali presenti nella vastissima area degli Stati Uniti, ha condotto al riconoscimento di 7 gruppi razziali distinti – everta, indurata, indentata, amylacea, saccharata, tunicata e amylosaccharata – caratterizzati dal diverso tipo di granella. Ogni gruppo è a sua volta suddiviso in tre classi, in base al rapporto fra lunghezza e larghezza della cariosside, alla forma della spiga, nonché alla forma e alla disposizione delle cariossidi. La classificazione dello Sturtevant è stata giustamente criticata da Anderson e Cutler (1942) per la sua insufficienza dal punto di vista filogenetico; essa permette tuttavia di definire i grandi gruppi sistematici, distinguendoli secondo evidenti caratteristiche morfologiche. A livello sistematico inferiore possono sorgere perplessità: Anderson e

Bonafous (1836): Zea vulgaris autumna, Zea guasquinensis, Zea virginica

Mais secondo Sturtevant (1899)

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storia e arte Cutler hanno proposto una soluzione pragmatica definendo il concetto di razza, cioè di un gruppo di popolazioni aventi in comune un numero notevole di caratteri differenti, che occupano delle zone ben definite e capaci di mantenersi in riproduzione panmittica. A livello superiore più razze possono essere raggruppate in un complesso razziale, ovvero in un gruppo di razze aventi dei comuni caratteri discriminanti sia morfologici, sia biologici, sia di localizzazione. In tali unità tassonomiche vengono a inquadrarsi le numerose varietà locali, gli agro-ecotipi, cioè popolazioni in equilibrio con il particolare ambiente ecologico e biotico nel quale, e in funzione del quale, si sono formate e differenziate per caratteri adattativi evidenti, a ristretta base genetica, comuni peraltro nei tratti fondamentali, ad altre varietà. L’adozione del criterio classificatorio di razza non annulla tuttavia l’interesse per la classificazione dello Sturtevant, almeno per quanto riguarda i gruppi principali: Zea mays everta, indurata, amylacea, indentata e amylosaccharata, che includono ampi settori della variabilità genetica, secondo filoni evolutivi differenziati, ma riconoscibili. Infatti, a differenza dei gruppi tunicata e saccharata, le cui forme differiscono per un semplice carattere mono o bifattoriale, la base ereditaria dei primi gruppi appare di maggiore complessità e strettamente associata a indirizzi evolutivi ben precisi, impressi dall’uomo per il raggiungimento di obiettivi utilitari.

I miti del mais in Mesoamerica

• Il dio del mais è la divinità più importante

• L’umanità viene creata a partire dal mais

• Universo, storia, umanità, civiltà,

agricoltura e mais hanno un’origine contemporanea

Dio del mais (a sinistra) e Dio della pioggia (a destra) (Codice Tro-Cortesianus, XV sec.)

Mais americani

• L’immagine a lato mostra degli esempi di mais americani

• Nella fila superiore sono rappresentati

mais del Nord America: Ladyfinger pop, 8-rowed NE flint, Mexican flint, Hopi floury, Southern dent, Corn belt dent, Hickory king

• Nella fila inferiore sono invece

rappresentati mais del Sud America: Pisankalla pop, Morocho 8 hileras, Perla, Amazonico, Altiplano, Hualtaco, Argentino Mais americani

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origine e diffusione Mais e Amerindi L’antropologo messicano Wartman definisce il mais “un artefatto culturale”, cioè un’invenzione dell’ingegno umano, dato che tale specie non esiste in natura e può sopravvivere solo se seminata e curata dall’uomo. L’addomesticamento e il miglioramento del mais sono infatti strettamente correlati allo sviluppo della complessità culturale e la nascita di civiltà evolute nelle Americhe precolombiane. La domesticazione del genere Zea, che predata le civiltà Mesoamericane, è ricordata nella tradizione orale con miti anche molto elaborati. In uno dei più diffusi una volpe, seguendo una formica, scopre un deposito di mais all’interno di una montagna, se ne nutre e in seguito tradisce con flatulenze la presenza di un nuovo e meraviglioso cibo. È interessante notare come in genere il mais racchiuso nella montagna venga reso disponibile all’umanità da un intervento divino (un fulmine): ciò spiega anche l’esistenza di mais dai colori diversi, che vanno dal nero (lo strato esterno di semi, bruciato dal calore) al blu, al rosso, al giallo e infine al bianco (il mais al centro del deposito, non raggiunto dal fulmine). La tradizione Maya (ripresa in seguito anche dagli Aztechi) ricorda inoltre come gli esseri umani, nella loro ultima e più perfetta incarnazione, siano stati creati a partire da un impasto di mais. Gli “uomini di mais” sono quindi la miglior creatura possibile e il mais il miglior cibo disponibile. Bisogna ricordare come per le culture Mesoamericane la civiltà nasca con l’agricoltura e la coltivazione del mais: creazione e ordinamento del mondo, inizio del tempo, origine degli esseri umani, nascita di agricoltura, scienze e arti sono contemporanei. In tale cosmogonia il dio del mais è la divinità più importante fino a essere, nelle culture più antiche, il progenitore del cosmo e il regolatore della nuova era, abitata da agricoltori civilizzati. Il mais e la sua coltivazione sono quindi il perno intorno a cui ruotava (e ruota tuttora) la vita di quasi tutti i popoli Amerindi. Nonostante la scarsa diffusione della scrittura in età precolombiana, grazie a bassorilievi e codici pittografici ci sono pervenu-

Coltura del mais in Mesoamerica (Sahagún, XVI sec.)

Raffigurazione preincaica su ceramica della coltura del mais (Lehman e Doering, 1924)

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storia e arte

Tecniche colturali precolombiane e utilizzazione

• Semina possibile in epoche diverse • Semina in cespi di 3-4 piante • Cure colturali come per le colture ortive • Raccolta del seme immaturo • Utilizzazione alimentare

Denominazione del mais presso alcuni popoli Amerindi Regione

Etnia

Nome

Antille

Taino

mahiz, maisi

Caraibi

Caribe

mariche

Venezuela

Arawak

marisi

Guyana

Guajiro

maichi, maischi

Messico

Azteca

tlaolli

Guatemala

Maya

ixmil, cintli

New Mexico

Hopi

piki

Virginia

Natchez

pagatowr

Canada

Algonkina

karaigi

Colombia

Chibcha

aba

Paraguay

Guaranì

ava-ti

Bolivia

Aymara

tonco

Perù-Ecuador

Quechua

sara

Cile

Araucana

cun, llalli

Il Dio Mais: offerta votiva a Cinteotl (Codice Fejervary-Mayer, XVI sec.)

te le fondamentali nozioni tecnologiche della coltura del mais, spesso viste attraverso raffigurazioni simboliche e mitologiche. A titolo di esempio, riportiamo i particolari della coltivazione del mais presso gli Aztechi, così come ci sono stati tramandati attraverso le raffigurazioni del codice Fejervar-Mayer (XVI sec.). La meseta e la costa occidentale del Messico (latitudine 20° N) sono caratterizzate da un fotoperiodo giornaliero di 12 ± 1,5 ore e da precipitazioni concentrate nel periodo maggio-settembre. Il periodo siccitoso ottobre-marzo può fruire di occasionali precipitazioni di minore entità. Il calendario maidicolo azteco prevedeva quattro semine stagionali, in funzione di condizioni ambientali diverse, e prescriveva precise date e l’uso del mais di colore diverso, atti ad assicurare alimento alle famiglie e un abbondante tributo all’Impero Militare-Sacerdotale Azteco. In base al calendario rituale (18 mesi di 20 giorni, con inizio in primavera) le semine erano fissate per un preciso giorno della settimana (composta da 13 giorni) e prendevano il nome dal primo dei cinque giorni seminativi indicati per ogni stagione di ciascun ciclo produttivo. Nei quattro pittogrammi del Codice Fejervary-Mayer sono raffigurati, per ciascun ciclo produttivo, l’ambiente di coltivazione e le avversità previ60


origine e diffusione ste in ciascuna stagione per il Mais, che è raffigurato in forma umana, con una o due spighe, di maggiore o minore dimensione in funzione del possibile raccolto. Le offerte votive alle divinità della pioggia (Tlaloc e Chaltchitlicue) includono: legname per il sacrificio, tortillas di mais, incenso di copale e il piantatoio, che in Mazatl trionfa di forza virile (indicata dal perizoma) e in Ehecatl è raffigurato invece spezzato per indicare lo scarso raccolto prevedibile. In sintesi: – in Mazatl (primavera) il favore di Tlaloc assicura al mais blu/bianco un raccolto abbondante (offerta copiosa); – in Malinalli (estate) il sole cocente (rosso) e i parassiti danneggiano il mais rosso giovane: nessuna offerta votiva; – in Olin (autunno) l’invocazione al Dio della pioggia favorisce un raccolto abbondante di mais giallo (offerta abbondante); – in Ehecatl (inverno) il mais bianco soffre per la scarsa insolazione e la turbolenza climatica. Il raccolto è scarso, l’offerta fruttifera è minore; il piantatoio appare spezzato, le spighe uniche e ridotte. L’agrotecnica maidicola locale era basata sulla coltivazione del mais seminato in cespi di 3 o 4 piante e curato con modalità ortive (distanziamento, diserbo e raccolta manuale), del tutto diverse da quelle della tradizionale granicoltura eurasiatica che invece era caratterizzata dalla semina a spaglio e dalla raccolta con falci, seguita da una sgranatura sull’aia e dalla macinazione con mulini a energia animale, eolica o idraulica. La raccolta era attuata gradualmente, a partire dalla fase di maturazione cerosa. Il grano così raccolto era utilizzato direttamente, in quanto difficilmente conservabile per l’alto tenore di umidità. A fine stagione il grano pienamente maturo poteva essere conservato a lungo, specie se l’essiccazione era (ed è tuttora) completata con l’esposizione al calore solare o alla fumigazione sul focolare

Primavera (Mazatl)

Estate (Malinalli)

Autunno (Olin)

Inverno (Ehecatl) Pittogrammi dal codice azteco FejervaryMayer (XVI sec.) Semina del mais in nord America (Theodor De Bray, 1591)

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storia e arte domestico. In mancanza di strutture molitorie di massa, la granella, raccolta verde o essiccata al sole, era ridotta in farina dalle yanaconas (molandaie) mediante frantumazione e sfarinamento più o meno raffinato sui metate (lastre e rulli manuali in pietra o legno), o in mortai di legno o di pietra. Negli insediamenti stabili, l’elaborazione alimentare familiare poteva avvenire secondo indirizzi vari, a seconda dello stato della granella raccolta e dell’uso: – grano ceroso: arrostito sulla spiga o schiacciato e impastato per essere confezionato e cotto come torte, tamales, humitas; – grano secco farinoso: sfarinato in mortai o macine manuali ed elaborato come polenta, pane o tortillas; – grano secco duro: a) scoppiato o tostato, come cereale di pronto consumo nelle spedizioni militari o commerciali; b) tostato, sfarinato e infuso, anche per la sua riconosciuta utilità nel depurare l’acqua di scorta ed eliminarne i cattivi odori e sapori;

Alcuni usi alimentari tradizionali nelle Americhe Regione

Nome

Composizione

Caraibi e Messico

Gilote

Mini spighe con brattee

Caraibi e Messico

Elote

Spighe immature

Perù, Bolivia

Mote

Grano farinoso bollito

Perù, Bolivia

Choclo

Grano tenero o pasta di mais ceroso

Bolivia

Checchi

Grano tostato

Messico

Momochtli

Grano da scoppio

Cile

Curagua

Grano da scoppio

Venezuela

Arepas

Pane di mais

Mesoamerica

Tamales

Involtini ripieni

Mesoamerica

Tortillas

Piadine di farina di mais

New Mexico

Piki

Pane in sfoglia

Colonie spagnole

Mazamorra

Gelatina di mais

Colonie spagnole

Caldo

Zuppa di grano, biscotto in vino, acqua, aceto

Colonie inglesi

Succotash

Zuppa di mais, lardo e fagioli

Perù, Bolivia

Chicha

Vino di mais

Bolivia

Apí

Infuso di farina con cannella

Messico

Atole

Infuso di farina

Colombia

Pinole

Infuso farina di mais morocho

Semina

Rincalzatura

Raccolta

Conservazione

Coltivazione del mais presso gli Incas (Guaman Poma de Ayala, 1585-1612)

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origine e diffusione – grano umidificato, destrinizzato e fermentato per l’ottenimento della chicha (vino di mais), bevanda con contenuto alcolico del 10% circa. Mais e Cristoforo Colombo Le prime notizie sul mais e la sua coltivazione provengono dal Diario di Bordo del primo viaggio di Cristoforo Colombo il cui originale, consegnato ai Reali di Spagna, è andato disperso, ma il cui contenuto ci è pervenuto nelle versioni di Bartolomé de las Casas e di Fernando Colombo. Il 16 ottobre 1492 (quattro giorni dopo il suo sbarco nell’isola Guanahani, da lui battezzata San Salvador), avvicinandosi all’isola Fernandina l’Ammiraglio notava: “Ella es isla muy verde, y fertilisima y no pongo duda que todo el año sembrese panizo y cogen...” (È un’isola verdeggiante e fertilissima e non dubito che tutto l’anno vi si semini e raccolga panizo) e il successivo 21 ottobre aggiungeva: “... y después hay arboles de mil maneras ... que yó estoy el mas penado del mundo de no los conocer y de ellos traigo la demuestra y asimismo de las yervas...para llevar a los Reyes” (…e poi vi sono alberi di mille tipi … che io sono il più dispiaciuto del mondo di non conoscere e porto con me i loro campioni, come pure delle erbe … da presentare ai Reali). Il 6 novembre ricordava: “Vinieron los hombres (Rodrigo de Xeres y Luís de Torres, reduci da una rapida esplorazione in Cuba, che riferirono di avere semi di) otro trigo, parecido al panizo, que ellos llaman mahiz: tien bon sabor cuando jervido y tostado” (Vennero gli uomini … altro grano, simile al panizo, che essi chiamano mahiz, e ha un buon sapore quando bollito o tostato). La prima esplorazione delle Antille (isole Bahamas e Cuba), avvenuta tra il 12 ottobre 1492 e il 16 gennaio 1493, coincideva con il periodo vegetativo della coltura di mais, che era iniziata a settembre e sarebbe terminata con la maturazione in marzo-aprile. Ivi Colombo osservò il mais in piena vegetazione, nel periodo di eserzione dell’infiorescenza maschile (pennacchio) e nella sua inesperienza lo assimilò al panizo (sorgo o panìco), comune all’epoca in Lombardia e caratterizzato da una pannocchia terminale bisessuata e semifera. Il cereale americano, pur avendo un’infiorescenza terminale (maschile e non semifera), presentava invece i semi riuniti su spighe laterali, avvolte da guaine protettive ed evidenti solo a maturità. Solo in occasione del terzo viaggio, approdato in Paria (costa venezuelana), in una lettera del 18 ottobre 1498 Colombo ricordava: “Hiceron traer pan, vino de muchos, blanco y tinto, ma no de uva ... Debe ser d’ello de mahiz, que es una simiente que haze una espiga come una maçorca (fuso) de que llevé yó allá y hay yá mucho en Castilla...” (Fecero portare pane, vino di vari tipi, bianco e rosso, ma non di uva … Deve essere quello di mahiz, che è un seme che fa una spiga simile a un fuso, che io già portai costì e ve ne è già molto in Castiglia...) L’Ammiraglio descrive l’infruttescenza del mais come maçorca (fuso), denominazione tuttora generalizzata in spagnolo per la spiga di mais.

Frontespizio (sopra) e retro (sotto) della lettera pubblicata nel 1494 in cui Colombo annuncia la sua scoperta

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storia e arte Colombo riportò in Spagna numerosi campioni di semi, come attestano Pietro Martire d’Anghiera e Bartolomé de las Casas, che era presente alla consegna. Altri campioni e maggiori quantità, imbarcate per il rifornimento alimentare degli equipaggi, giunsero in Spagna in occasione del secondo viaggio, al ritorno anticipato delle prime dodici navi che avevano a bordo, oltre al Memorial dell’Ammiraglio, lettere del medico Diego Alvarez Chanca, di Guillermo Coma e di Michele da Cuneo, familiari del Colombo. In Italia le prime notizie sulla scoperta del Nuovo Mondo e sul mais pervennero al Cardinale Ascanio Sforza, fratello di Ludovico il Moro, tramite una lettera in lingua latina di Pietro Martire d’Anghiera datata 13 novembre 1493. In essa ricordava: “Fanno pane con poca differenza di un certo grano farinoso, simile a quello che tengono in quantità gli Insubri e i Granadini spagnoli. La pannocchia è lunga più di un palmo, tende a formare una punta e ha la grossezza di un braccio. I grani sono mirabilmente disposti per natura: per forma e dimensioni assomigliano al cece. Immaturi sono bianchi: quando maturano divengono molto neri; macinati sono più bianchi della neve. A questo tipo di grano danno nome di mais.” In una successiva lettera del 29 aprile 1494: “Se ti interessa, Principe illustrissimo, assaggiare il grano ... ti invio sementi di tutte le speci. Ancora, il portatore ti darà in mio nome certi grani bianchi e neri del grano con il quale fanno il pane (maiz)...”. In un’altra lettera, con riferimento alle Bahamas (islas Lucayas): “Loro pane è il maiz, come tra gli isolani: non hanno la radice yuca. Il grano del maiz è molto somigliante al nostro panico di Lombardia, ma ha la dimensione di un cece. Seminano anche un altro grano che chiamano xathi, credo sia il miglio. Pochi castigliani sanno che cosa sia il miglio, dato che in Castiglia non si semina in nessuna parte.” Il mais è citato anche in altre parti delle Decades de Orbe Novo di Pietro Martire di Anghiera, che raccolgono le lettere ricordate, riunite in volume nel 1511 e nel 1516 e delle quali un anticipo era stato pubblicato a Venezia nel 1504. Durante il XVI secolo, numerosi autori menzionarono, in maniera più o meno dettagliata, il mais; tra i principali ricordiamo Gonzalo Fernández de Oviedo, Bartolomé de las Casas, Pedro Cieza de León, Francisco López de Gomara, Bernardín de Sahagún, Girolamo Benzoni, Juan López de Velasco, Felipe Guamán Poma de Ayala, José de Acosta, Jacques Le Moyne, Thomas Harriot e Garcilaso de la Vega el Inca. Le relazioni degli esploratori e conquistatori spagnoli, francesi e inglesi rilevano l’esistenza del mais in tutte le terre visitate. Le descrizioni più dettagliate del periodo esploratorio sono contenute nelle due opere di Gonzalo Fernández de Oviedo: il Sumario (1528) e la Historia General y Natural de las Indias (1535). L’Oviedo fu anche il primo occidentale a illustrare con un disegno l’aspetto di una spiga di mais; tale immagine, perduta nell’originale, fu riprodotta da Giovan Battista Ramusio nella sua opera Delle navigazioni et viaggi (1550-1559).

Mais secondo Oviedo

• “Algunas cañas hechan dos o tres

mazorcas. En las Islas comianlo en grano grano tostado o estando tierno, casi en leche. En Tierra Firme las Indias lo muelen en una piedra... En ese foro hechan con la otra mano seis-ocho o poco mas granos del dicho mais... Yo mismo lo hé todo experimentado en veinte anos o mas que yo he venido y cogido y sembrado en mi casa, come todavia ahora hago” (Alcune canne emettono due o tre fusi. Nelle Isole lo mangiavano come grano tostato o nello stadio tenero, quasi latteo. In Terra Ferma le indie lo macinano su una pietra… In tale foro buttano con l’altra mano 6-8 o più grani del detto mais… Io stesso lo ho sperimentato nei 20 e più anni da che sono venuto e raccolto e seminato nelle mie proprietà, come ancora faccio)

Il mais secondo Oviedo, nella riproduzione del Ramusio (1550-59)

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origine e diffusione Diaspora del mais Piccoli campioni di mais giunsero in Portogallo e in Spagna sin dal primo rientro di Colombo dal Nuovo Mondo (1493) e furono inviati prontamente alla Sede Pontificia in Roma e di lì ai principi italiani progressisti. La coltivazione del nuovo cereale si affermò peraltro con molta lentezza. Nella sua lettera del 1498, Colombo ricorda di averli portati in Spagna, con la frase ya hay mucho, frase che è stata interpretata come “già se ne coltiva molto”. Tale interpretazione contrasta, a nostro avviso, con il livello di precisione e di dettaglio con cui, parlando del mais nelle Bahamas, l’Ammiraglio esplicita se coge y siembra: è probabile infatti che, dicendo ya hay mucho, Colombo intendesse dire che ne era stato portato in Spagna molto e niente di più. La coltivazione in Spagna, Italia e Francia dei mais provenienti dalle Antille, zona tropicale di fotoperiodo corto e regime termico costantemente caldo, trovò grande difficoltà nelle latitudini più elevate, caratterizzate da basse temperature che impedivano la coltivazione nella stagione invernale a fotoperiodo corto e cortissimo, e da fotoperiodo lungo nella stagione estiva. In tali condizioni il ciclo del mais si allunga: la fioritura dei mais tropicali ritarda fino a ottobre e, come conseguenza delle sopravvenute basse temperature autunno-vernine, il seme non può formarsi o abortisce. A proposito dell’acclimatazione in Spagna, è interessante ricordare come Garcilaso de La Vega ricordi: “Estando en Avila la Majestad de la Imperadriz, ví en aquella ciudad, que es una de las más frias de España, un buen pedaço de maizal de diez palmos de alto las cañas é algo mas e menos, é tan gruesos é verde é hermosos, como se puede ver en estas partes – cada dia la regaban (…) lo cual fué el año de mil e quinientos y treinta (1530) de la Natividad de Christo, nuestro Redentor” (Mentre era in Avila la Maestà dell’Imperatrice, vidi in quella città, che è una delle più fredde di Spagna, un buon appezzamento di mais, con culmi alti più o meno 10 palmi (2 m), tanto grossi, e verdi e belli quanto se ne possono vedere in queste parti […] ogni giorno lo irrigavano […]

Mais come vettovaglia per i marinai

• Sulle navi le granaglie erano

trasportate e conservate in barili così da preservarle, nei limiti del possibile, dai danni di ammuffimento e dalle alterazioni parassitarie, particolarmente gravi nelle condizioni di alta umidità ed elevata temperatura della navigazione in zona tropicale. L’approvvigionamento era attuato con l’acquisizione di farina, possibilmente tostata, o di granella secca da triturare, tostare o scoppiare, secondo le tecniche elaborate dagli amerindi. A tale scopo, si attinse preferibilmente ai mais da scoppio o duri (i vitrei tropicali e i flint del nordest USA), ampiamente diffusi nell’area caraibica e nelle zone costiere del nord e sud America

• Le razioni di cereali, necessario

complemento alla dotazione di carne, frutta, vino e acqua, potevano essere fruite direttamente come granella tostata o scoppiata, o come componente (grano triturato, farina o biscotto di mais) di zuppe (caldos, mazamorras) cotte in acqua o vino, e, nei casi migliori, con legumi secchi e pezzi di carne. Era comune anche l’uso di polenta di mais, sostitutiva di quella a base di miglio tipica del mediterraneo. Particolare menzione merita inoltre l’uso della farina tostata di mais, infusa nella dotazione giornaliera di acqua nell’intento di eliminarne impurità, cattivi odori e sapori, grazie al potere adsorbente delle polveri fini tostate

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storia e arte e ciò fu nell’anno 1530 della Natività di Cristo, nostro Redentore). Anche qui si parla di piante in vegetazione, ma non di spighe, ed è probabile che Garcilaso abbia visto un maizal che non sarebbe giunto a maturazione in una zona temperata-fredda come Avila. Va inoltre ricordato come nel contemporaneo Erbario A di Gherardo Cybo del 1532, tuttora custodito presso la Biblioteca Angelica di Roma, si trovino una foglia con guaina, un’infiorescenza maschile e un buon campione di stigmi, ma non appaiano né semi né raffigurazioni di spighe. Le difficoltà biologiche di adattamento dei mais tropicali insulari alle condizioni climatiche dei Paesi europei spiegano il lungo periodo che intercorse tra la prima comparsa in Europa e l’affermazione del nuovo cereale nell’agricoltura europea: è evidente che la coltivazione del mais nel Vecchio Mondo coincise con la nuova disponibilità di varietà precoci provenienti da zone costiere, o elevate ma temperate, della Terra Ferma, resa possibile dagli insediamenti spagnoli nella Nuova Spagna (Messico – Guatemala, 1519-23), nella Nuova Castilla (Perù e Cile, 1525-30) e nella Nuova Granada (Venezuela e Colombia, 153950). Introdotto prontamente e ripetutamente nei Regni di Spagna, negli Stati Italiani soggetti alla corona spagnola (Regno di Napoli e Sicilia, Ducato di Milano, possedimenti toscani) e nelle Repubbliche di Genova e di Venezia, il mais si diffuse rapidamente dai porti

Rotte di diffusione del mais nel mondo

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origine e diffusione iberici e italici in tutto il Bacino Mediterraneo. La coltura del mais è segnalata a Napoli nel periodo 1530-40, nel Polesine e nel Veronese dal 1554, e in Toscana e Lombardia dal 1558. Nel prosieguo del secolo questa coltura si espanse gradatamente nelle altre regioni italiane. L’Arcimboldo incluse la rappresentazione di una spiga nel suo dipinto L’estate del 1573. Il ruolo del nostro Paese nella diffusione del mais in Europa fu di grande rilievo; la rete commerciale che per tutto il periodo considerato ebbe come centro i porti italiani ne influenzò direttamente il processo di diffusione, soprattutto nei vasti territori in cui la dominazione turca aveva sostituito di recente l’organizzazione politica dell’impero bizantino. In estesa coltivazione nei territori della Repubblica di Venezia e nella Campania, il mais raggiunse rapidamente l’Ungheria, attraverso la Carinzia; nel 1590 è menzionato nella pianura magiara. Nella stessa epoca dalla Dalmazia era introdotto nel Montenegro e dai Balcani raggiungeva la Transilvania. Nel bacino del Mediterraneo il mais era conosciuto a Tripoli nel 1560 e, poco dopo (1570), in Siria, in Egitto e nel bacino del fiume Eufrate. I Portoghesi portarono il mais dal Brasile in Africa e in Asia, raggiungendo la Costa d’Oro, la Guinea e il Congo nel 1560, la Cina nel 1565 e il Giappone nel 1573. Gli Spagnoli contribuirono all’introduzione del mais in Asia sudorientale soprattutto con la circumnavigazione magellanica e le flotte che dal Messico annualmente raggiungevano le Filippine e le Molucche. Nello stesso periodo (1530-80) i viaggi di esplorazione francesi e inglesi nel Nordamerica, a opera dei Caboto, di Cartier e dei mercantiavventurieri inglesi e olandesi favorirono l’introduzione nelle regioni europee atlantiche dei mais precocissimi originari delle coste nordatlantiche e canadesi. La valorizzazione della nuova coltura nelle agricolture iberica, italiana e balcanica incontrò una fase di rapido sviluppo nei secoli XVII e XVIII, periodo nel quale le ricorrenti carestie, causate da eventi climatici e da frequente e prolungata conflittualità, trovarono una soluzione nella nuova disponibilità di granaglie offerta dalla coltivazione estiva del mais.

Adattamento ambientale

• L’adattamento produttivo del mais agli

ambienti di coltivazione è determinato essenzialmente dalla durata del ciclo vegetativo e dalla combinazione degli elementi climatici nel periodo durante il quale, in presenza di temperature diurne superiori ai 10 °C, la pianta può svolgere le funzioni di assimilazione, accumulo dei carboidrati e loro traslocazione nelle cariossidi, gli organi finali di riserva

• Le diverse combinazioni geniche

pervenuteci, introdotte da ambienti originari tropicali, subtropicali e temperati, hanno subito un severo processo di ibridazione, ricombinazione e selezione. Popolazioni maidiche di provenienza subtropicale (giorno corto e temperature relativamente uniformi) hanno subito forti restrizioni di variabilità per deriva genetica, da cui sono emerse le sole combinazioni capaci di portare a termine il ciclo produttivo in condizioni di fotoperiodo più o meno lungo, di temperature giornaliere varianti in funzione stagionale, di situazioni varie ed erratiche per le locali disponibilità idriche. Tale processo è stato favorito dall’indifferenza genotipica alla durata del giorno, abbastanza frequente nei mais everta e indurata, nonchè dalla plasticità di adattamento all’ambiente termico temperato dei mais provenienti dalle valli montane e dalle zone costiere temperate

Mais o granoturco in Europa Il nuovo cereale americano fu oggetto, fin dalla prima introduzione, di un acceso dibattito tra i cultori delle scienze naturali che, nel periodo rinascimentale, avevano riscoperto le opere botaniche greche e latine dell’antichità classica. I medici-botanici dell’epoca rilevarono prontamente affinità e differenze con alcuni tradizionali cereali eurasiatici (sorgo, saggina, miglio, panìco) e ne valutarono vantaggi e svantaggi per l’uso alimentare e medico. Nella maggior parte dei casi si basarono sulle descrizioni presentate dagli scrittori e dai geografi del Nuovo Mondo, particolarmente dell’Oviedo, e raramente effettuarono precisi riscontri con i primi esemplari di mais coltivati negli orti botanici. 67


storia e arte La tendenza rinascimentale all’identificazione della nuova specie con quelle descritte dagli autori classici fece attribuire al nuovo genere coltivato un’origine euro-asiatica, sulla base di un’errata interpretazione di una nota di Plinio, che si riferiva invece a un genere affine (il sorgo), introdotto dall’Asia in Europa nel I secolo d.C. Da qui l’attribuzione alla nuova specie di denominazioni esotizzanti quali Triticum bactrianum o Triticum turcicum, probabilmente favorite anche dall’appellativo di trigo de Indias assegnatogli dagli scopritori. Riconosciuta la non identificabilità con il Panizo de Lombardia (sorgo o panìco), si diffuse nel linguaggio comune la denominazione di grano turco o grano di Turchia, intendendosi con questo un grano esotico, di regioni calde, in un’epoca nella quale la recente conquista di Costantinopoli e l’invasione turca dei Balcani facevano identificare nel Turco lo straniero diverso proveniente da regioni meridionali. Notizie descrittive più o meno vaghe si diffusero in un primo tempo sulla base delle informazioni rilevate nel Nuovo Mondo: la sua coltivazione in hortis e la sua presenza in quantità in Spagna è menzionata sin dal 1494. Nessun riferimento al mais si ha però negli Erbari italiani, francesi, spagnoli, tedeschi, belgi e olandesi prima del 1532; gli unici riferimenti sono arbitrarie interpretazioni degli scritti di Plinio il Vecchio. Nel 1536 il de La Ruelle aveva menzionato il mais, del quale attendibilmente aveva avuto notizie dai viaggi di Cartier (1532-34), e l’aveva denominato Frumentum turcicum alias sarrasinum, con-

Il mais seconfo Fuchs (1542) Mais secondo Bock (1546) (a sinistra); Mais secondo Dodoens (1554) (al centro); Mais secondo Lobel (1581) (a destra)

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origine e diffusione fondendolo con il grano saraceno (Polygonum fagopyrum), introdotto in Francia da pochi decenni. Hieronymus Bock ne dà notizia nel 1539 chiamandolo welschkorn (id est italicum) o Frumentum turcicum, dandone una precisa descrizione, ma assimilandolo al genere Typha menzionato da Plinio il Vecchio. Descrizioni e iconografie della pianta e della spiga del mais furono quindi presentate da vari botanici-farmacologi: Cybo (Erbario A); Bock; Fuchs (prima iconografia della pianta); Aldrovandi; Lönitzer; Mattioli; Anguillara; Dodoens; Lobel; Cesalpino; Durante; Michiel; Kammermeister; Dalechamp - Desmoulines; Bergzaebern, Cortuso. Il Mattioli, che già nel 1548 aveva descritto il mais nell’edizione da lui curata della Geografia di Tolomeo, nella sua edizione del 1554 dei Commentarii a Dioscoride confutò le affermazioni del Fuchs circa l’origine asiatica del mais, precisandone la provenienza ex Indiis nuper cognitis (dalle Indie da poco conosciute). Il padre José Acosta nel 1590 ironizzava su tale incertezza semantica: “Il grano di Mais, che in Spagna chiamano maiz de Indias e in Italia grano de Turchia, il perché io saprei solo chiederlo, piuttosto che spiegarlo...”. Un fenomeno analogo avveniva per il pavo de Indias (Meleagris gallopavo L.), importato dagli esploratori iberici e inglesi e al quale fu attribuita la denominazione di turkey e tacchino, senza alcuna relazione con la regione asiatica cui si alludeva. A una prima, limitata, utilizzazione farmacologica di alcune strutture vegetative del mais (stigmi, strutture florali), verso la metà del XVI secolo tenne seguito una rapida affermazione, nei Paesi mediterranei, della coltivazione dei mais vitrei, preferiti a quelli farinosi, come attesta Garcilaso de la Vega. Nelle regioni dell’Eurasia il mais si adattò alle diverse condizioni ecologiche attraverso un processo di sostituzione dei tradizionali cereali estivi (miglio, sorgo, grano saraceno), sia negli ordinamenti colturali sia nella tradizione alimentare: la polenta di latina memoria (Persio, I sec. d.C.) e il pane, attraverso la miscelazione con altri sfarinati. Va infine ricordato che fino al XIX secolo il mais non fu oggetto di commercio transoceanico se non come riserva alimentare per i viaggi di ritorno, essenzialmente riservati al trasferimento di merci più redditizie. Solo a metà del XIX secolo, con la colonizzazione delle pianure del Nord e del Sud America, la progressiva estensione della meccanizzazione e la costituzione di mais dentati di alto rendimento, grandi quantitativi di granella divennero oggetto di transazioni economiche dirette verso i mercati dell’Europa, le cui popolazioni urbane necessitavano di crescenti disponibilità alimentari.

Il mais secondo Mattioli (1554)

Differenziazione del mais in Europa Nel corso dei secoli, l’Europa ha introdotto germoplasma maidico proveniente pressoché da ogni regione delle Americhe, secondo vie assai diverse nelle varie epoche. Nei primi due secoli dalla scoperta di Colombo, il mais giunse in Europa prevalentemente dall’America Latina, sia spagnola che portoghese (soprattutto

Il mais secondo Li Chi Tchin (fine del XVI sec.; da Bonafous, 1836)

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storia e arte dalla prima), attraverso due canali ben differenti: – l’invio individuale da parte di studiosi o colonizzatori, di piccoli campioni, notevoli per peculiari caratteristiche; – il trasporto per via marittima, come parte non utilizzata delle forniture di bordo. Mentre nel primo caso i campioni di mais, sia pure in piccole quantità, raggiunsero l’Europa da ogni regione maidicola dell’America, anche distante dalle normali vie di comunicazione, della seconda via si avvantaggiarono soprattutto le razze di mais provenienti dalle isole e dalle coste continentali del Centro e del Sud America atlantico. In particolare furono favorite le razze di mais del gruppo indurata, che risultavano meglio adatte alla conservazione nei lunghi viaggi per mare, in ambiente umido e caldo, propizio allo sviluppo di saprofiti di ogni genere. Nel nuovo ambiente si adattarono con maggiore facilità le forme precoci e indifferenti al fotoperiodo provenienti dalla regione tropicale, e quelle originarie di regioni a fotoperiodo luminoso analogo a quello mediterraneo. L’introduzione di mais di provenienza diversa, il conseguente facile fenomeno di ibridazione tra germoplasma di diversa origine e la pressione selettiva delle popolazioni coltivatrici del Vecchio Mondo, di antica benchè differente civiltà agricola, determinarono una nuova fase accelerata nell’evoluzione del mais. Tale processo evolutivo si basò principalmente sul germoplasma dei gruppi everta e indurata, con una relativamente lieve incidenza dei complessi razziali precoci del gruppo amylacea. La necessità di un rapido adattamento della specie alle nuove condizioni ambientali di accentuata stagionalità, in particolare alle condizioni di conservazione del prodotto in regioni ad autunno e inverno freddi e umidi, favorì grandemente la sopravvivenza dei mais vitrei e la rapida conversione a semivitrei dei ceppi farinosi. Un ulteriore fattore preferenziale nei confronti dei mais vitrei derivò dall’universale adozione in Europa del nuovo cereale come sostituto di quelli già in uso nella preparazione della puls di tradizione latina e germanica. La maggior quantità di endosperma vitreo dei mais duri rese più favorevole l’impiego del nuovo grano e, conseguentemente, la sua adozione. La disponibilità più che sufficiente di molini e il regime di monopolio feudale degli stessi favorirono la spinta all’utilizzazione dei tipi duri da parte dei proprietari fondiari. Di norma l’evoluzione e la differenziazione di nuove varietà coltivate seguì in Europa i tradizionali indirizzi di specializzazione in funzione del clima e del miglioramento della produzione granellare. Si differenziarono pertanto varietà idonee alle condizioni subaride mediterranee, cui ci si poteva adattare solo con un accorciamento del ciclo vegetativo per sfuggire alla siccità estiva nel periodo critico della fioritura e della prima formazione della

Arcimboldo: L’Estate (1573)

Il mais secondo Aldrovandi (1551)

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origine e diffusione cariosside; altre cultivar furono selezionate in zone più fredde, più umide, o a ciclo produttivo lungo per l’assenza di gelate e, in altra direzione, a ciclo brevissimo, per la coltivazione intercalare tra il raccolto granario e le semine autunnali. Il Bacino del Mediterraneo, con la sua varietà di condizioni climatiche, si configurò come un centro secondario di differenziazione di singolare efficienza. In quattro secoli, un’ampia gamma di cultivar venne costituendosi: i tratti genetici provenienti dai differenti complessi ereditari si combinarono e ricombinarono fino a costituire nuove razze, le cui relazioni con quelle americane originarie non sono oramai facilmente accertabili. Riassumendo, dell’ampia variabilità genetica diffusa nelle Americhe nel XVI secolo, l’Europa conobbe e potè fruire inizialmente solo della frazione presente nelle regioni circumcaraibiche (regioni attualmente parte delle repubbliche del Centroamerica, del Venezuela, della Colombia e del Messico-Guatemala) e nelle valli Andine temperate. Nel XVII secolo giunsero in Europa mais delle regioni centrosettentrionali americane. Solo nel XVIII secolo la liberalizzazione delle rotte atlantiche meridionali decisa da Carlo III, consentì che nuove razze di mais fossero introdotte in Europa dalle regioni dell’Atlantico meridionale. Nel 1800 e nei primi decenni del 1900, l’affermarsi degli Stati Uniti d’America come grande nazione maidicola provocò un crescente inte-

Influenza umana sul processo di specializzazione del mais

• L’azione dell’uomo sulla differenziazione del mais si è venuta definendo nel corso dei vari cicli di specializzazione in base alle osservazioni, esperienze e opportunità ambientali che una specie prevalentemente allogama rendeva disponibili attraverso le combinazioni e ricombinazioni dei suoi assetti ereditari

• I vari gruppi umani ormai sedentari

hanno potuto trarre profitto dalla diversità che si rivelava loro nel corso delle successive generazioni maidiche per individuare, isolare, riprodurre e preservare le caratteristiche ritenute più favorevoli ad assicurare nel futuro la migliore qualità e produttività

Mais europei (Collezione Bonafous, 1836)

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storia e arte resse per tali forme varietali. Specialmente nell’Europa danubiana, estremamente interessata alla produzione di mais per l’esportazione, le nuove forme incontrarono rapida adozione. Nel XIX secolo, infine, i rifornimenti crescenti dei mercati europei attinsero all’ingente produzione indotta dalla colonizzazione europea della prairie nordamericana e delle pampas umide dell’Argentina.

Specializzazione del mais oggi

• Nei sistemi agro-rurali tradizionali

è rimasto l’orientamento a favorire la selezione di ideotipi varietali caratterizzati dalla massima efficienza e capacità delle strutture preposte al deposito terminale delle riserve (seme) fruibili dall’uomo per la sua alimentazione. Ne deriva la tendenza a prescegliere le piante monostelo, riducendo o eliminando i polloni e a ridurre al minimo le ramificazioni fruttifere, così da favorire la ripetuta selezione di spighe con maggiore capacità produttiva, per la lunghezza del rachide, l’elevato numero di ranghi e la dimensione delle cariossidi

Mais in Italia Dopo un’iniziale segnalazione come fonte di alimenti dietetici, medicinali o di foraggio, il mais si affermò come cereale agricolo in Italia verso la metà del XVI secolo. Solo all’inizio del XVII secolo il mais entrò nel commercio dei cereali: la prima transazione commerciale segnalata fu nel Trevigiano, nel feudo di Valmareno, per il vettovagliamento delle miniere (1601). A partire da tale epoca anche nel nostro paese la specie mais venne diversificandosi in funzione delle condizioni agroclimatiche, delle preferenze alimentari e delle epoche di semina e di raccolta, così da soddisfare le necessità alimentari popolari, in un periodo di frequenti vicende belliche che rendevano drammatiche le condizioni di sopravvivenza in campagna. La variabilità genetica, emersa in Italia come risultato della com-

Mais europei (Collezione Bonafous, 1836)

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origine e diffusione binazione e selezione adattativa e produttiva dei genotipi introdotti dalle Americhe, ha condotto, nel corso di quattro secoli, alla costituzione di un complesso di varietà locali e agroecotipi adatti a soddisfare le esigenze degli innumerevoli microclimi offerti dalle condizioni di un’orografia tormentata e di una pluviometria estiva scarsa ed erratica. Come risultato della centenaria pressione ambientale e antropica si sono formate numerose razze locali, ciascuna distinta in agroecotipi, bene affermati nelle diverse situazioni agroclimatiche. La maggior parte degli agroecotipi locali appartengono ai gruppi indurata e indentata o a forme intermedie, cioè con cariossidi a frattura vitrea, dentata o semivitrea. L’aspetto della granella può inoltre caratterizzarsi per una corona liscia, appuntita, cuspidata, rostrata, dentata o con macchie e/o apice decolorato: tutte caratteristiche che possono essere fatte risalire ai mais originari e che sono state fissate permanentemente nelle varietà dalla selezione conservativa. La forma della granella può variare anche nelle misure e nei rapporti tra profondità, ampiezza e spessore e presentarsi appiattita, isodiametrica, sferica, ellittica o quadrata. Il tipo di spiga permette di suddividere in complessi: ottofile, cilindrici longispiga, subconici-poliranghi, conici grandi e conici nani di ciclo minimo. In alcune regioni Italiane – Veneto e Campania – le preferenze alimentari hanno privilegiato i mais a endosperma bianco, articolato in un prevalente complesso vitreo “perla” e in uno dentato/rostrato con endosperma semi-farinoso. Dal punto di vista agronomico la differenziazione concerne il ciclo tardivo, medio-tardivo (a ciclo pieno), medio-precoce (per semine ritardate) e precoce da montagna o da zone semi-aride. Un particolare gruppo di varietà precocissime si è sviluppato, specie nella regione padana, per l’adattamento alla coltivazione ritardata, con semina al solstizio d’estate (dopo la raccolta di orzo o grano precoce) e quindi con ciclo vegetativo caratterizzato da fotoperiodo e regime termico calanti. Mentre nei primi secoli la coltivazione maidica era unicamente pluviale, da pantano o con rari e occasionali interventi irrigui, nel periodo tra le due guerre si è avuta una notevole espansione dell’intervento irriguo, che ha determinato l’accentuazione preferenziale sulle varietà selezionate ad alta produttività e un progressivo incremento delle rese. L’introduzione degli essiccatoi e l’orientamento a uso zootecnico della granella hanno inoltre conferito un impulso irresistibile al processo di sostituzione delle varietà tradizionali, le cui elevate qualità organolettiche non hanno potuto opporre resistenza alla superiore produttività degli ibridi dentati di prima generazione, divenuti fattori essenziali della nuova alimentazione zootecnica.

Genomica e specializzazione

• La diaspora maidica in regioni lontane

dalle origini ha costretto l’uomo alla ricerca e alla stabilizzazione di biotipi a regime fotoperiodico o termoperiodico adeguato ai nuovi ambienti bioclimatici, attraverso una selezione e un rafforzamento dei complessi genici che ne controllassero sviluppo e resa produttiva. Questo processo, già attuato nell’antichità da protagonisti più o meno consapevoli dei fenomeni sui quali o nei quali operavano, si è intensificato negli ultimi due secoli con l’espansione della maiscoltura e, soprattutto, con l’ampliamento e l’approfondimento delle conoscenze biologiche, in particolare dell’ereditarietà

• Gli attuali studi di genomica del mais

sono la premessa fondamentale di quella sempre più completa conoscenza della biologia maidica che si potrà acquisire nei prossimi decenni e che sarà il fondamento di una impostazione progettuale veramente razionale e scientifica. Da essa possiamo attenderci nuovi corsi nel miglioramento genetico del mais tesi all’ulteriore affermazione e al pieno sfruttamento della variabilità genetica da noi ereditata e il cui potenziale è realmente immenso

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storia e arte Miglioramento varietale in Italia Anche in Italia il merito per il progressivo adattamento del mais alle diverse condizioni ambientali va attribuito a quegli agricoltori che, con paziente e attenta cura, hanno prescelto e moltiplicato i genotipi maidici più soddisfacenti, approfittando dell’ampia variabilità offerta dalla specie, come risultato delle più o meno fortuite ibridazioni, tanto frequenti in una specie prevalentemente allogama. Sin dagli inizi dell’Ottocento, alcuni agronomi dedicarono una particolare attenzione alle varietà regionali: tra essi risalta il magistrale contributo di Mathieu Bonafous, agronomo lionese attivo a Torino, che non limitò la sua attenzione alle varietà piemontesi, ma incluse nei suoi studi anche altre varietà europee e americane. Alla fine dell’800 il Tamaro e lo Zago presero in attenta considerazione alcuni mais padani, raccomandandoli agli agricoltori dell’epoca. Nel 1916 apparve uno studio delle principali varietà di granoturco, presentato al Concorso bandito dal Consorzio Agricolo Cooperativo di Bergamo nel 1914. In tale monografia, P. Venino illustrava le 12 varietà più interessanti con una relazione tecnica che, sulla base dello studio morfologico comparativo e delle analisi chimiche della granella, ne documentava aspetto e caratteristiche, completandolo con una iconografia fotografica di grande valore. Nel 1919 Nazareno Strampelli presentò una serie di varietà ottenute presso la Stazione di Granicoltura di Rieti, a partire dalle varietà locali dell’Italia centrale e idonee alla coltivazione in condizioni di limitate disponibilità idriche. Nel 1917, su proposta dei Professori Alpe, Venino e Scalcini, fu creato l’Ente Consorziale per la costituzione della Stazione Sperimentale di Maiscoltura, nei pressi di Bergamo; come risultato, nel 1920 a Curno fu inaugurata la Stazione Sperimentale di Maiscoltura, la cui direzione fu affidata a T.V. Zapparoli, un veneto allievo del Munerati. Nei 23 anni della sua direzione lo Zapparoli diede un

Alcune denominazioni locali del mais Dialetto

Denominazione locale

Genovese

granon, melga, granturch, granon, melega, meiga, mergassú

Piemontese

melia, melga, ostenga, granturch, turch

Bergamasco

formentù, melgott, melgù

Milanese

melgon, melgott, formenton, melega, carlon

Piacentino

melgazz, melga, melghein

Reggiano

forminton, furmenton, melga

Bolognese

furminton

Ferrarese

furmanton

Veronese

formenton, polenta, saldo, zalo, trepolin

Bellunese

sorc

Trevisano

formenton, sorgo, sorgoturco, soturco

Trentino

formentaz

Friulano

sorg turc, sorturc, blave, brag, bragantin

Toscano

grano turco, granturco, granone, grano siciliano, mais

Umbro

frumentone, formentone, f. indiano, f. turchesco

Romanesco

granturco, irpino, granedinio

Abruzzese

grandinije, randinie, granone

Molisano

grandenie, grandinie

Napoletano

granodinio, grano d’India

Tarantino

granidinio, granone

Calabrese

granniano, granune ‘nnianu, migghiu ‘ndianu, rodindia, paniculu

Siciliano

furmentu d’Innia, di Mori, granuni, grandinnia, migghiu

Sardo

trigu moriscu, de India, furmentu de Indie, granoni cigilianu

Foto V. De Nardi

Mais nel comune di Storo (TN)

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origine e diffusione forte impulso alle attività di ricerca genetica e agronomica e promosse attività di miglioramento delle varietà locali in tutta l’Italia settentrionale e centrale. Nel periodo fra le due guerre, il miglioramento genetico del mais fu attuato secondo due indirizzi: la selezione migliorativa nell’ambito delle varietà locali pregevoli per caratteri agronomici, di produttività e di qualità molitoria, e l’ottenimento di nuove varietà attraverso la combinazione di genotipi diversi in popolazioni di origine ibrida, ma riprodotti con fecondazione panmittica e selezione conservativa sulla base di caratteristiche tipiche di pianta e di spiga, così da valorizzare il fenomeno eterotico. Il primo indirizzo permise di ottenere ceppi selezionati di Nostrano dell’Isola, Rostrato, Scagliolo, Pignoletto, Cinquantino, Quarantino Estivo, Bianco Perla, Rostrato Bianco e Caragua. Il secondo indirizzo portò alla costituzione delle varietà sintetiche Scagliolo 23A, Rostrato Caio Duilio, Marano vicentino, Ibridi Fioretti, Ibrido bergamasco, e degli ibridi intervarietali Pfister x Scagliolo, Rostrato x Dentato, Perla x Dentato. L’influenza dello Zapparoli si esercitò anche nel sostegno agli agricoltori d’avanguardia (in Lombardia P. Zanchi, i F.lli Finardi e P. Baizini; nel Veneto A. Fioretti e M. Fior). Essi, con l’aiuto dei Consorzi Agrari locali, diedero mano al programma di riproduzione e di selezione delle sementi che negli anni ’30 consentì, grazie al validissimo im-

Conservazione del germoplasma

• Campioni di seme delle popolazioni

di mais sono accuratamente conservati presso la sezione di Bergamo dell’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura, in ambiente controllato a temperature da 0 a 4 °C, previa riduzione dell’umidità a 8-9%. La germinabilità a 35 anni dalla raccolta risultava superiore all’80%. La riproduzione periodica è assicurata mediante incrocio intravarietale. A tale operazione conservativa hanno contribuito numerosi ricercatori e tecnici, tra cui C. Elitropi e M. Bertolini. Tra questi ultimi sicuramente il più impegnato è stato Marco Bertolini

Varietà migliorate di inizio ’900

Nostrano Finardi

Bianco perla

Quarantino S. Famiglia

Rostrato

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Tajolone

Cinquantino Bianchi


storia e arte

Ottofile N Der10-12f Meliun Ottofile Tar Ottofile Pen Tajolone Barbina Cannellino Granturchella Nostrale Montano Poliranghi Brigantino Cadore Maggese Cinquantone Cavolone Bufano Maggengo Spadone Culaccione Ciociarino Primitivo Trentinella Primaticcio Monachello Dindico Lucano

pegno delle Cattedre Ambulanti prima e degli Ispettorati Provinciali dell’Agricoltura, una progressiva diffusione delle varietà migliorate. Nei primi anni ’40, uno sforzo particolare fu dedicato a promuovere attività sperimentali di confronto tra le diverse varietà tradizionali della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia, attraverso la cooperazione dei Consorzi Agrari lombardi, veneti ed emiliani. Importante fu il contributo di attività e di ricerca della Stazione Fitotecnica di Badia Polesine, diretta dal Dr. Cirillo Maliani e dei Tecnici del Centro di Maiscoltura di Udine. La Stazione Sperimentale di Maiscoltura di Bergamo, con M. Conti, dedicò inoltre un’attenzione particolare allo studio della qualità molitoria e del valore nutritivo delle principali varietà italiane, sia vitree sia dentate. Nel secondo dopoguerra l’introduzione dagli Stati Uniti degli ibridi dentati di prima generazione favorì grandemente la ripresa agricola del Paese, ma assestò un colpo fatale alla maiscoltura tradizionale, fondata su varietà destinate essenzialmente all’alimentazione umana. La diffusione dei mais dentati, enormemente più produttivi delle varietà tradizionali e il cui prodotto era destinato all’alimentazione del bestiame, condusse rapidamente alla sostituzione di queste ultime con gli ibridi. L’incombente minaccia di eliminazione del germoplasma locale suscitò preoccupazione negli stessi ricercatori responsabili del programma di introduzione degli ibridi. Il rischio della rapida scomparsa di un ampissimo serbatoio di variabilità genetica, formatosi nel corso dei secoli, e l’impegno a preservare per le generazioni a venire tale patrimonio, da mantenere disponibile per futuri programmi di miglioramento genetico o di trasferimento genico, consigliarono la raccolta delle varietà tradizionali e indussero allo studio e alla valutazione del loro potenziale genetico.

Ostesa

Altosiculo Poliota Paesan Tirolese Costarolo Quarestivo Trenodi Nano Trecchinese Agostinello Zeppetello Pufano

Biancone Quarantino B Montoro Bianco Sud Rodindia Pannaro Pignolo Bani Scaiola Rostrato Pignolino Nostrano Isola Agostano Scagliolo Dentato G Dentato Scagl. Zamengo B Bianco Perla Righetta B Caragua Cimalunga Rostrato B Dentato B

Marano Cinq. Cilindrico

O.2

Germoplasma maidicolo italiano Negli anni 1949-1950 fu attuata un’inchiesta conoscitiva diretta alla caratterizzazione della coltivazione maidicola e delle varietà d’interesse locale, con il coinvolgimento degli Ispettorati Provinciali dell’Agricoltura. Successivamente, a partire dal 1954, presso la Stazione Sperimentale di Maiscoltura, fu organizzata, con l’apporto fondamentale degli Ispettorati Provinciali dell’Agricoltura, una raccolta nazionale di campioni di varietà locali, scelte dai Tecnici degli Ispettorati sulla base delle loro esperienze in loco. L’anno successivo (1955) fu avviato lo studio metodico dei diversi campioni raccolti, e, contemporaneamente, il lavoro di riproduzione, moltiplicazione e conservazione degli stessi. Parallelamente alle indagini di ordine morfo-biologico, intese alla classificazione degli agroecotipi raccolti, negli anni ’60 Bianchi, Ghatneker e Ghidoni condussero ricerche volte a identificare le caratteristiche citologiche e Lorenzoni, Salamini e Brandolini realizzarono analisi genetiche dei diversi tipi per individuare la presenza di fattori genetici atti a migliorare il valore nutritivo pro-

Pop 9 Pop 10 Pop 11 Pop 12 Pop 8

Pop 2 Pop 7 Pop 6 Pop 5 Pop 4 Pop 1 Pop 3

Relazione tra razze italiane di mais in base a caratteristiche morfo-fisiologiche

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origine e diffusione teico del mais, nonché a rilevare la presenza di fattori ereditari citoplasmatici e nucleari regolatori della fertilità. Infine Brandolini promosse una serie di analisi chimiche intese a valutare, in termini comparativi, il valore nutrizionale dei genotipi studiati. Come risultati di tali ricerche, protrattesi per il decennio successivo, si poterono raggruppare le numerose varietà ed ecotipi raccolti nelle 65 province italiane in 11 gruppi differenziati per caratteri di spiga e di granella. Nella pagina precedente è riportato un dendrogramma ottenuto applicando alle caratteristiche morfo-biologiche un’analisi multivariata, che ha recentemente consentito agli autori di questo capitolo la discriminazione dei campioni raccolti in gruppi a livello di agroecotipi o di razze locali. Razze italiane tradizionali di mais Prevalgono in Italia – a parte i tipi everta (pop-corn), praticamente ortivi – i mais delle sottospecie indurata (vitrei), i primi introdotti e recepiti nelle diverse regioni italiane, dei quali riteniamo utile riassumere di seguito le caratteristiche differenziali e le relazioni filogenetiche ipotizzabili. Un primo gruppo di vitrei comprende il complesso Ottofile e derivati, presente sia nella Pianura Padana occidentale sia nelle vallate Appenniniche del versante Ligure. Una forma di Ottofile medio-tardiva si è imposta nelle vallate appenniniche del settore Adriatico: a essa sono collegate anche forme intermedie vitree a spiga cilindrica del Sud Italia. Ai tipici Ottofile si sono venuti affiancando, per contaminazione con altri mais, forme derivate vitree o semi-vitree a 10-12 file. Tra di essi emergono le razze Cannellino, Granturchella e nel Piemonte la razza macrosperma Meliun, tardivo, subconico, a spiga lunga, granella grande e arancione, che ha come controparti alcune varietà tardive a spiga grande del Molise e della Calabria, identificate solo di recente. Nella pianura cremonese-mantovana questo complesso razziale annovera il Taiolone, un tipo particolare tardivo, a spiga relativamente corta, tutolo molto sottile, granella grande, appiattita, semifarinosa, che richiama i mais Andini ottofile farinosi. Tale razza, di elevata produttività, può essere considerata di alto livello eterotico, probabilmente per effetto della combinazione favorevole di sistemi genetici fragili per il forte genetic load, ma di grande combinabilità specifica per fenomeni di epistasi. Un altro gruppo di Ottofile è riscontrabile nella razza Trentinella dell’Italia centromeridionale, caratterizzato dall’influenza determinante di un Ottofile extra-precoce, a spighe corte, semi-arancioni, che ha dato origine, nelle vallate Adriatiche, al complesso razziale dei Cilindrici Medi del Sud. Ricordiamo tra le razze di spicco il mais Altosiculo, raccolto nell’altopiano Messinese, a oltre 1000 m s.l.m: mediotardivo, spiga subcilindrica lunga, frattura vitrea, colori arancione/rosso e bianco. Nelle zone fertili meridionali si evidenzia il complesso Cilindrico tardivo, in cui sono presenti varietà longispiga a granella bianca

Luigia Strampelli PignoloPignolo (a sinistra) Luigia Strampelli (a destra)

Scagliolo A Scagliolo 23A 23 (a sinistra) Marano (a destra)

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Marano


storia e arte (Montoro e Bianco sud) e arancione (Rodindia e Pannaro), di antica introduzione. Nel complesso razziale dei Conici sono di grande rilievo, per la vasta distribuzione, i tipi subconici o subcilindrici Cinquantoni, a ciclo breve, di ridotta taglia, adatti alla coltivazione in condizione pluviale non irrigua a siccità prolungata. Razza unica, per la sua caratteristica extra-conica, ciclo medio precoce e spiga con molti ranghi (18-20), granella media vitrea, arancione e pianta di taglia media o ridotta è la varietà Ostesa, tipica del veronese e tra le forme estreme del complesso razziale Conici, cui va associata la serie di varietà umbre studiate da Bonciarelli. Del complesso razziale conico fanno parte anche le razze Ciociarino e Culaccione, la prima a spiga corto-conica e pianta ridotta e la seconda a spiga conica grande e con molti ranghi di granella vitrea giallo-arancione, diffuse nei vari ambienti peninsulari. Talune forme si sono adattate, per il ciclo corto, alle condizioni colturali delle alte vallate alpine di Veneto e Trentino. I peneplani Padani della riva sinistra del Po ospitano agroecotipi di ciclo medio-tardivo e taglia medio-alta, appartenenti al complesso razziale degli Insubri, differenziabili in due sottogruppi: uno a spiga subcilindrica allungata, granella vitrea arancione isodiametrica (Agostano); l’altro (Rostrato-Scagliolo) a spiga subconica, granella profonda, semivitrea, derivante dall’incrocio di Rostrati e Pignoli (granella profonda) inter se e con dentati tipo Shoepeg. Nelle zone pedoalpine si sono affermati i mais Microsperma, a spiga subcilindrica con granella vitrea arancione, taglia media, specializzati nella coltura primaverile (Marano, Cinquantino cilindrico) o estiva (Quarantino). Sono mais a struttura cornea, color arancione intenso, particolarmente adatti all’uso alimentare in quanto fornitori di farine bramate altamente colorate. A essi si avvicinano i tipi Pignolo a granella fortemente vitrea, arancione, profonda, a forma di pinoli, con molti ranghi, pure favoriti per la farina vitrea di colore intenso. A completare il quadro, ricordiamo che la coltivazione di mais a endosperma bianco e aleurone incolore è localizzata da secoli in Veneto e in Friuli. Emergono due gruppi razziali: quello dei vitrei bianchi tipo Perla e quello dei Dentati, tra cui si distinguono i Rostrati e i Caragua, bianchi farinosi estremamente tardivi con granella rispettivamente a becco o dentata profonda. A essi sono stati aggregati i mais dentati di introduzione relativamente recente, che non hanno peraltro esercitato una grande influenza sulla genesi del complesso maidicolo nazionale tradizionale. Una recente analisi dell’intero complesso maidicolo italiano, esteso anche alle varietà everta raccolte nel solo territorio Cisalpino, ha confermato la classificazione già definita e ha messo in evidenza la similarità, sia pure di grado limitato, dei gruppi everta (pop-corn) con il complesso microsperma, che include il Marano e il Cinquantino cilindrico. I mais da scoppio sono presenti in Ita-

Principe Saverio Principe Potenziani (a sinistra) Potenziani Saverio Strampelli (a destra)Strampelli

Raggruppamenti

• A illustrazione delle caratteristiche

differenziali presenti nel germoplasma Italiano di Zea mays, sono presentate nel testo una serie di fotografie di spighe tipiche (agroecotipi), raggruppate per complessi razziali e razze

• Nelle tabelle a lato si riportano,

suddivisi per complessi razziali, le denominazioni delle razze individuate, affiancate dal numero delle accessioni incluse in ciascuna di esse, dal ciclo vegetativo e dalla zona di diffusione

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origine e diffusione lia fin dal XVI secolo: a essi si riferisce quasi certamente l’illustrazione del mais di Aldrovandi (1551) con culmo ramificato, spighe terminali e cariossidi minute. Il Bonafous ne descrisse due forme che denominò Zea mays minima e Zea mays curagua. Una terza forma potrebbe identificarsi con Zea hirta. In Italia questi mais sono presenti negli orti familiari di campagna in ogni ambiente: le loro cariossidi sono consumate (scoppiate) come colombine, direttamente o confettate.

Ottofile vitrei e derivati

Mais ottofile vitrei e derivati

Ottofile Peninsulare

Ottofile Tardivo

Taiolone

Meliun

Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Ottofile precoce

14

Medio

Centronord

Ottofile tardivo

6

Tardivo

Nord

Taiolone

4

Mediotardivo

Cremona

Derivati 10-12 file

8

Medio

Centronord

Cannellino

26

Mediotardivo

Centronord

Monachello

8

Mediotardivo

Sud

Monachello

Mais conici vitrei e derivati

Cinquantone

Poliranghi

Spadone

Ciociarino

Conici vitrei e derivati

Ostesa

79

Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Barbina

72

Medio

Nord, Centro, Sud

Poliranghi

65

Medio

Centro

Montano

17

Precoce

Nord + centro

Biancone

14

Mediotardivo

Nord + Centro

Ostesa

3

Medio

Verona


storia e arte Mais cilindrici vitrei tardivi Cilindrici vitrei tardivi Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Montoro

13

Tardivo

Sud

Rodindia

7

Tardivo

Sud

Pannaro

7

Tardivo

Sud

Montoro

Bianco sud

Rodindia

Mais cilindrici vitrei medi

Cilindrici vitrei medi Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Trentinella

33

Medio

Centro + Sud

Dindico

22

Mediotardivo

Sud

Altosiculo

5

Mediotardivo

Sud altopiani

80

Pannaro


origine e diffusione Mais vitrei nani precocissimi Vitrei nani precocissimi Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Poliota-Paesan

6

Extraprecoce

Centro + Nord

Tre nodi – Nano

23

Extraprecoce

Centro

Agostinello

7

Medio

Centro

Tirolese

3

Precoce

Alto Adige

Mais microsperma vitrei

Microsperma vitrei

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Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Zeppetello

14

Medio

Centro e Sud

Cinquantino + Marano

25

Medio

Nord, Centro e Sud

Quarantino estivo

7

Extraprecoce

Nord

Cadore

4

Precoce

Cadore


storia e arte Mais insubri Insubri Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Pignolo

5

Molto tardivo

Nord (Vr, Vc, Bg, Cn)

Rostrato Scagliolo

19

Molto tardivo

Nord (Bg, Bs, Cn)

Bani Scaiola

3

Molto tardivo

Nord (Bs, Vr)

AgostanoNostrano dell’Isola

39

Molto tardivo

Nord (To, Bg, Mi, Co, So)

Mais bianco perla

Bianco perla Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Bianco Perla

25

Mediotardivo, tardivo

Veneto, Campania

Righetta bianca

4

Tardivo

Veneto

Cimalunga

6

Tardivo

Veneto

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origine e diffusione Mais dentati Dentati Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Caragua

10

Tardivo

Piemonte, Lombardia

Rostrato bianco

3

Tardivo

Veneto, Friuli

Dentato giallo

10

Molto tardivo

Veneto, Lombardia

Dentato x rostrato

6

Molto tardivo

Lombardia

Mais Everta (mais da scoppio o pop-corn)

Everta - Mais da scoppio

Perla

Orizoide

Cuspidato

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Razza locale

Accessioni

Ciclo colturale

Zona di coltivazione

Perla

12

Medio tardivo

No, Vc, Al, Mi

Orizoide

22

Medio precoce

No, Mi

Cuspidato bianco

6

Tardivo

Cr (Isola Dovarese)


il mais

storia e arte Aspetti artistici Antonello Negri

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.


storia e arte Aspetti artistici Polenta e pop-corn I rapporti visivi e tattili diretti con i prodotti della campagna sono, oggi, sempre più limitati e, per lo più, mediati attraverso le diverse forme della società dei consumi e della comunicazione di massa, che si manifestano nella grande distribuzione e nel cinema, la nuova arte affermatasi nel XX secolo. Fino a qualche decennio fa – in Italia fino agli anni ’60, gli anni del boom economico e dello sviluppo e affermazione di un sistema di produzione nel quale l’agricoltura andava perdendo la sua centralità – era abbastanza normale, anche per un bambino di città, giocare con le barbe delle spighe di granoturco, oppure a nascondersi nei campi di mais. Lo ricorda anche il pittore americano John Steuart Curry a proposito di uno dei suoi quadri più famosi, Campo di mais nel Kansas: “L’ho dipinto nell’estate del 1933, da studi che avevo fatto nella fattoria di mio padre, e l’ho completato l’anno dopo. Ho cercato di metterci il ‘dramma’ che avvertivo davanti a un campo di mais rigoglioso sotto i nostri cieli del Kansas stracciati dal vento. Da bambino mi affascinavano come le foreste per i loro abitanti. Mi ricordo che ci vagavo dentro ed ero sopraffatto dalla paura di perdermi…”. Per molte persone il mais è soltanto quella cosa che, per un costume indotto dalla globalizzazione, da qualche decennio si è cominciato ad aggiungere alle insalate, sul modello americano; e che si può comprare in scatola nei supermercati. I bambini di oggi, che generalmente non si costruiscono più barbe finte con le spighe e

Campo di mais nel Kansas. J.S. Curry, 1933. (New York, The Whitney Museum of American Art )

Mais di oggi

• Negli ultimi decenni il numero di

coloro, bambini e adulti, che hanno avuto occasione di vedere un campo di mais o di prendere in mano una vera spiga di mais è, probabilmente, diminuito in maniera radicale; mentre è viceversa salito in misura altrettanto esponenziale il numero di coloro che con il mais sono entrati in rapporto attraverso la grande distribuzione e il cinema Sequenza tratta dal film Intrigo internazionale di A. Hitchcock

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aspetti artistici non si perdono nei campi, conoscono il mais perché lo mangiano in forma di pop-corn davanti alla televisione o al cinema. Proprio attraverso il cinema, d’altra parte, del mais può rimanere una memoria di più ampio respiro, tradotta in forme visive anche di alta qualità artistica. Possono esemplificare questo tipo di rappresentazione contemporanea due film che in maniera molto diversa esprimono, in fondo, sentimenti affini: L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, del 1978, e L’uomo dei sogni di Phil A. Robinson del 1989, con Kevin Kostner. Il primo è ambientato in una cascina della Bassa bergamasca nell’ultimo ’800; precisamente tra l’autunno del 1897 e l’estate dell’anno seguente con, sullo sfondo, i moti popolari milanesi del 1898. Nel film, il granoturco o formentón, come ancora si chiama comunemente in quella zona, è uno degli elementi “naturali” (anche se in realtà prodotto dal lavoro e dall’ingegno degli uomini) che fanno da sfondo e cornice alla vicenda: la vita di una comunità contadina e della sua cultura, semplice e profondamente radicata, raccontata con un linguaggio diretto, se non aspramente realistico, i dialoghi sono in dialetto bergamasco, ma percorso da una commossa vena poetica. Attraverso il filtro di un’atmosfera quasi magica, che lascia intravvedere un mondo ormai scomparso, si riesce a cogliere, di quel mondo, la dimensione di quotidiana realtà; una dimensione per la quale il rapporto degli uomini con la terra e i suoi prodotti – tra i quali il mais con un ruolo primario: le spighe, la polenta… – costituiva il fondamento dell’esistenza. In una rappresentazione del genere, il senso della presenza del mais, soprattutto della sua “cultura”, è di contribuire con una serie di altri elementi e suggestioni, a evocare una possibilità di vita dove le durezze dell’esistenza appaiono bilanciate dalla bellezza della “naturalità”. Nostalgia di radici antiche, memoria del passato e sogno di un’esistenza “autentica” sono anche la chiave di lettura dell’Uomo dei sogni: una storia per immagini dove la favolosa sovrapposizione di campo di mais e campo da baseball – luoghi esemplari di una sorta di lavoro “originario” e del piacere del gioco – porta alla luce desideri profondi e fantasie del Midwest americano, altrettanto carichi di utopia e buoni sentimenti, ancorché di tutt’altra cultura. L’immagine del campo di mais, d’altronde, è un luogo comune tipico del cinema degli Stati Uniti, teatro ideale di sequenze di grande effetto sia in capolavori come Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock (1959), sia in opere di nicchia, per amatori del genere, come Grano rosso sangue (1984, titolo originale Children of the corn): primo film di una lunga serie che ha rivisitato in chiave horror il culto – come si vedrà di origine precolombiana – del dio del mais, con relativi sacrifici umani.

Immagini tratte dal film L’albero degli zoccoli di E. Olmi

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storia e arte La rappresentazione “artistica” del mais, oggi essenzialmente legata al cinema, cioè all’immagine in movimento, ha però una lunga storia che va ben oltre il XX secolo, affondando le sue radici in culture cosiddette “protostoriche”; e ancora nel continente americano, anche se un po’ più a sud. Dai Maya agli Aztechi Nell’America precolombiana sono state essenzialmente due le grandi aree con uno sviluppo e una produzione artistica di grande rilievo: il Messico centrale e meridionale, compresa la zona degli Istmi, e la regione andina. Per entrambe le aree il mais era l’alimento base, al quale si fa spesso riferimento sia in figurazioni dipinte e scolpite, sia in leggende come quelle raccolte nel XVI secolo da frate Bernardin da Sahaghún: “in quella specie di paese della cuccagna che era la terra dei Toltechi, per esempio, si narrava che le pannocchie di mais fossero così grandi e pesanti da non poter essere sollevate. Per trasportarle, bisognava farle rotolare”. Storie del genere testimoniano direttamente l’importanza del mais per quelle civiltà, nelle quali veniva rappresentato soprattutto nel quadro di figurazioni di tipo mitologico, come attributo di divinità, ma anche in maniera realistica, comunque da ricondurre ora a vicende leggendarie, ora a rituali. È il caso di certe pitture, risalenti presumibilmente al V-VI secolo, nel cosiddetto Tempio dell’Agricoltura di Teotihuacán, il più noto dei centri precolombiani del Messico, che sarebbe stato così chiamato dagli Aztechi; le sue figurazioni più significative rappresentano personaggi – forse dei sacerdoti – che offrono semi e cibi ad altri personaggi, probabilmente divinità. In alcuni quartieri di Teotihuacán (Tepantitla, Tetitla, Atetelco) sono poi stati scoperti sui muri delle case altri affreschi, dello stesso periodo, tutti riconducibili al culto di Tlaloc, il dio della pioggia. Negli affreschi di Tepantitla compaiono dei “tlalochi”, cioè dei sacerdoti del dio Tlaloc, servitori della pioggia, con dei sacchi in mano dai quali, con l’altra mano, estraggono e spargono sementi; dove la rappresentazione realistica dell’operazione della semina è collegata al culto della pioggia, elemento fondamentale per la sua buona riuscita. In un’altra stanza è dipinto il “paradiso di Tlaloc”, suggestiva visione di un paesaggio in una sorta di mitica Età dell’Oro. Un fiume sgorga da una montagna, costeggiato da alberi e piante, e nel paesaggio figure umane, alcune gialle, altre rosa, appaiono variamente atteggiate: c’è chi danza, chi gioca, chi canta, chi raccoglie dei fiori o, appunto, del mais. La raccolta del mais, dunque, è sentita e rappresentata come componente essenziale di una vita di piena felicità, in una natura che si mostra ricca e generosa.

Locandina del film Grano rosso sangue (titolo originale del film Children of the corn)

Vaso a forma di spiga. Cultura mochica (Lima, Museo nazionale di antropologia e archeologia)

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aspetti artistici Nell’ambito delle antiche civiltà andine – dominate dall’impero degli Inca, che si estendeva ben oltre gli attuali confini del Perù – rappresentazioni del mais compaiono nella produzione ceramica, universalmente nota per la sua qualità estetica, la raffinata tecnica esecutiva e i diversi stili nei quali si è manifestata, in un arco di tempo di oltre un millennio conclusosi con l’inizio della dominazione spagnola nel 1532. Allo stile Mochica – così detto dal luogo di sviluppo, la vallata del Moche – appartiene un vaso a forma di pannocchia conservato nel Museo nazionale di antropologia e archeologia di Lima. È notevole esempio di un’arte ceramica di particolare raffinatezza tecnica, caratterizzata dal gusto per l’imitazione di piante, come nel nostro caso, e poi di frutta, ortaggi, animali domestici e selvatici e, soprattutto, teste umane, un soggetto nel quale la produzione mochica, spesso caratterizzata da un realismo attento ai minimi dettagli, ha raggiunto i risultati più alti e sorprendenti. Più tardo è lo stile Chimú, pure sviluppatosi nella vallata del Moche, in quello che era diventato il più ampio stato autonomo della costa, con capitale Chan Chan (nei pressi dell’attuale Trujillo). Lo stesso museo di Lima ne conserva un vaso decorativo con uccelli e meandri i cui manici sono a forma di spiga. Carattere originario, e tipico, di questo stile è proprio l’inserzione di elementi a rilievo (o a tutto tondo, come nel nostro caso) sulla parte superiore del vaso, in corrispondenza con l’ansa. Ma l’esecuzione, come si può facilmente constatare confrontando i due vasi, è molto più sommaria e incerta rispetto al precedente stile mochica. Della zona mesoamericana fanno invece parte le civiltà artistiche maya, sviluppatesi in numerosi centri tra il IV e il X secolo, la zapoteca di Monte Albán, la huaxteca e l’azteca. Nel loro ambito l’immagine del mais gioca pure un ruolo rilevante ed è generalmente connessa alla raffigurazione di divinità maschili e femminili, delle quali si presenta spesso come attributo in forma di pannocchia. Nella pittura maya compare il tema della semina – che è quello probabilmente evocato attraverso una scena rituale già in uno dei più antichi dipinti conosciuti, l’affresco di Uaxactún (del VIVII sec.) – così come la figura del dio del mais, circondato da divinità della terra negli affreschi di Bonampak. Ugualmente, la figura del dio del mais, o del giovane dio del mais, ricorre in numerose opere di scultura. La scultura in pietra degli Zapotechi, proveniente da Monte Albán, è meno realistica di quella maya appena ricordata e contraddistinta, invece, da elementi simbolici. Le figure sono spesso caratterizzate dai vestiti, ai quali è data speciale importanza, e dalle pettinature, particolarmente volu-

Vaso decorativo con uccelli, meandri e manici a forma di spiga (Lima, Museo nazionale di antropologia e archeologia)

Dio del mais. Civiltà Maya, 700 (Londra, British Museum)

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storia e arte minose: come nel caso della statua della dea del mais Centlocihuati, conservata nel Museo nazionale di Città del Messico, dal volto sormontato da una complessa acconciatura dov’è elemento dominante una sorta di corona di spighe. Incoronato di pannocchie è anche il dio del mais raffigurato in un’“urna” (conservata a Parigi nel Musée de l’homme) proveniente da un’ignota località di Oaxaca, città di tarda fondazione nel cui territorio si trova anche il centro archeologico di Monte Albán. Le urne zapoteche in ceramica non erano vere e proprie urne cinerarie, ma le si chiama così perché le figure modellate – divinità, uomini, animali, esseri fantastici ecc. – portano sulla schiena un recipiente: si trattava dunque probabilmente di sculture votive, legate al culto dei morti. L’arte huaxteca, sviluppatasi in un territorio al limite settentrionale della Mesoamerica, deriva dalla maya. Ne è un esempio una scultura come la testa di Xilonen, giovane dea dei germogli di mais, caratterizzata da un copricapo nel quale si riconoscono, piuttosto stilizzate, delle pannocchie. Nella scultura huaxteca sono frequenti le raffigurazioni di Tlazolteotl, dea protettrice della fertilità e dei piaceri della carne, che si ritrova anche nel pantheon della civiltà azteca: una famosa scultura la rappresenta mentre, molto realisticamente, con una smorfia di dolore dà alla luce la dea del mais Centeotl (nella posizione accovacciata nella quale ancora fino a poco tempo fa partorivano le indigene di Messico e Guatemala). Dalla capitale azteca Tenochtitlán proviene, infine, una raffigurazione scolpita della dea del mais, portatrice di due coppie di pannocchie molto stilizzate; porta analogamente due pannocchie la dea del mais, in pietra, conservata nel romano Museo missionario

Testa di giovane Dio del mais. Civiltà maya, 700 (Honduras, Tempio di Copàn)

La dea del mais Centlocihuati. Cultura zapoteca di Monte Alban, 900 (Museo nazionale, Città del Messico)

Urna raffigurante il Dio del mais (da Xilonen, giovane dea dei germogli località ignota dell’Oaxaca). Cultura di mais. 1000 (Città del Messico, zapoteca (Parigi, Musée de l’homme) Museo Nazionale di Antropologia)

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aspetti artistici

La dea della terra Tlazolteotl dà alla luce la dea del mais Centeotl. Civiltà azteca, 1500 (Washington, collezione Dumbarton Oaks)

Dea del mais. Civiltà azteca di Tenochtitlán, 1400

etnologico lateranense. Entrambe ben riflettono i caratteri stilistici della scultura azteca, tendenti al simbolo e all’astrazione al di là del realismo di singoli dettagli.

Dea del mais. Civiltà azteca (Roma, Museo missionario etnologico lateranense)

Vecchia Europa e Nuova America Rappresentazioni artistiche di tipo molto più descrittivo-realistico di attività agricole legate alla coltivazione del mais appartengono invece alla cultura europea entrata in contatto con le novità del Nuovo Mondo. In Europa, il mais era stato rappresentato per la prima volta nel New Kreuterbuch del professore di Tubinga Leonhart Fuchs, stampato a Basilea nel 1542-43. Era una sorta di erbario contenente le prime riproduzioni xilografiche di soggetto botanico a carattere scientifico, attraverso le quali il Fuchs intendeva ricostruire una vera e propria storia dell’evoluzione delle piante, partendo dal fiore per arrivare al frutto. Più dei disegni per la Historia di Sahaghún, d’altra parte, le illustrazioni del New Kreuterbuch sono da considerarsi autentiche opere d’arte, risultate dalla stretta collaborazione tra il botanico tedesco e gli artisti incaricati di eseguire i disegni (Albrecht Meyer e Heinrich Füllmaurer), nonchè di tradurli in incisioni su legno per la stampa (Veit Rudolph Specklin). Il mais, intanto, continuava a lasciare traccia della propria immagine nelle diverse culture artistiche con le quali veniva progressivamente a contatto. In Cina, lo si trova illustrato per la prima volta nel 1578 nel Pen T’sao Kang Mu, “Il grande erbario”: un monumentale compendio in 50 volumi di rimedi e prodotti medicinali derivati da piante, animali e minerali – e al tempo stesso un vero e proprio trattato di botanica, zoologia, mineralogia e metallurgia – scritto da

Mais nella cultura europea

• Importante esempio delle

rappresentazioni artistiche legate alla cultura europea sono le immagini contenute nella cinquecentesca Historia General de las cosas de Nueva España (conservata nella Biblioteca Laurenziana di Firenze) del già ricordato frate Bernardin da Sahaghún, primo cronista, con Bernal Diaz del Castillo, delle civiltà messicane e centroamericane. Si tratta di illustrazioni relativamente semplici, ma disegnate con abilità e indubbia efficacia didascalica, assolutamente precise nel mostrarci sinteticamente, in successione, le operazioni della semina del mais, della zappatura e della raccolta delle spighe

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storia e arte Li Shizhen, considerato il più grande naturalista cinese. Una volta diffusosi in Europa, soprattutto dal XVII secolo in avanti, anche il mais è definitivamente entrato a far parte dell’universo delle cose da rappresentare da parte della nostra cultura, con intenzioni sia didattiche, sia artistiche. Alle prime sono da ricondurre le riproduzioni di tipo naturalistico-scientifico, culminanti nel XVIII secolo con le meravigliose tavole dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, caratterizzate da una qualità tecnica ed esecutiva che fa di esse tout court delle opere d’arte. Nel campo più specificamente artistico, in Italia è stata forse più consueta la rappresentazione di un cibo derivato dal mais, la polenta, che non della pianta stessa. È famoso il dipinto La polenta del veneziano Pietro Longhi, che nei decenni centrali del Settecento, in qualche misura influenzato dallo spirito conoscitivo dell’Illuminismo francese, spostava il proprio interesse dal grande genere storico al “vero”. A Longhi si devono non soltanto scene di svaghi mondani e di vita domestica della nobiltà veneziana, ma anche scene rustiche e di vita popolare, come quella del nostro quadro, restituite con un gusto della visione fresca e diretta della

P. Longhi: La polenta, 1760 (Venezia, Ca’ Rezzonico)

Dal film L’albero degli zoccoli di E. Olmi R. Focosi: La cena, 1850 (dettaglio)

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aspetti artistici

Polenta nell’arte

• Dopo l’arrivo del mais in Europa,

la polenta diventa un elemento base dell’alimentazione contadina. A un certo punto diventa anche un soggetto per pittori e disegnatori

• Troviamo il tagliere con la polenta

al centro di raffigurazioni artistiche di diversa epoca, rappresentato con stili e tecniche differenti

• Nel Settecento il pittore veneziano

Pietro Longhi, che aveva un pubblico di raffinati aristocratici, dipinge la polenta come una sorta di curiosità legata alla vita e alle abitudini popolari. Nell’800 una stampa di Roberto Focosi, con l’interno di una casa contadina dove si sta allegramente preparando un pranzo a base di polenta, assume un carattere di documentazione storica. Nel XX secolo, l’uso della polenta comincia a caricarsi di nostalgia del tempo andato, come esemplarmente si ammira nel cinema di Ermanno Olmi

E. Johnson: Lo scartocciamento del granoturco, 1860 (Syracuse, New York, Everson Museum of Art)

realtà corrispondente in pieno con il coevo teatro di Goldoni. Dal Longhi e dai suoi imitatori discende tutta una tradizione di analoghe scene di genere che ha poi trovato la sua massima diffusione, soprattutto nel XIX secolo, attraverso le incisioni: come per esempio quelle del Focosi intitolate Il tramonto – con i contadini che ritornano dai campi in cascina, dove le pannocchie sono appese secondo l’uso – e La cena, con uno spoglio interno di casa rurale dominato, al centro, dalla polenta fumante messa in tavola. È meno facile imbattersi nella raffigurazione pittorica della pianta del mais. Talvolta compare in dettagli, appena riconoscibile, come si direbbe nel quadro del pittore francese Léopold Robert Il ritorno dalla festa della Madonna dell’Arco presso Napoli, che si può ammirare al Louvre; talaltra invece, ma è abbastanza raro, è proprio la pianta a essere protagonista del dipinto, come nella Scartocciatura del grano dell’americano Eastman Johnson, che viaggiando in Europa aveva imparato molto dalla scuola di Düsseldorf e dagli olandesi del Seicento. A New York, un secolo dopo il veneziano Longhi, Johnson faceva qualcosa di analogo con i suoi racconti figurati di vita quotidiana: il suo quadro mostra un luogo comune dell’esperienza americana del tempo, ma senza cadere nella trappola delle esagerazioni aneddotiche o pittoresche, molto amate dal pubblico, alle quali soggetti del genere spesso spingevano i pittori. Ne viene fuori una rappresentazione realisticamente documentaria la cui qualità

F. Focosi: Tramonto, 1850 (dettaglio)

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storia e arte artistica è basata su una solidità d’impianto compositivo capace di conferire al dipinto una semplice ma forte monumentalità, nonostante le sue limitate dimensioni; un carattere che ha fatto di Johnson il meno stucchevole pittore di scene contemporanee nel panorama artistico nordamericano del secondo ’800. Il fatto che il mais fosse una delle colture fondamentali per l’economia nordamericana, dopo esserlo stato per le civiltà precolombiane, è suggellato dalla sorprendente presenza di pannocchie nei capitelli delle colonne del Campidoglio di Washington. Il progetto originario del monumentale edificio, che s’inseriva nel piano della nuova capitale nazionale disegnato dall’ingegnere militare francese Pierre Charles L’Enfant, era di William Thornton e la sua prima pietra fu posta nel 1793 dal presidente George Washington. Subentrato a Thornton all’inizio del XIX secolo come responsabile della fabbrica, Benjamin H. Latrobe ridisegnò alcune parti dell’architettura e, soprattutto, i capitelli delle colonne dell’ala del Senato. Il carattere complessivo del primo Campidoglio – che dal 1865 ha perso l’originaria austera semplicità per l’aggiunta di un’enorme cupola e di due ali altrettanto sovradimensionate – si conformava ai dettami dell’architettura neoclassica. Ma Latrobe voleva trovare qualcosa che conferisse alla classicità delle colonne una connotazione più “indigena” e, così, disegnò per i capitelli spighe di mais, foglie di tabacco e di altre piante “native” con l’idea di creare una nuova colonna, classica e al tempo stesso americana. Proprio i cosiddetti corncob capital, capitelli a pannocchia, sono l’“invenzione” per la quale Latrobe – che forse se ne dispiacerebbe un po’ – è oggi più spesso ricordato.

Capitello. Benjamin H. Latrobe, 1808 (Washington, Campidoglio)

Muralisti del Messico Nel XX secolo, alle ricordate culture precolombiane ha inteso direttamente collegarsi quella formidabile esperienza che fu la pittura muralista messicana, sviluppatasi a partire dagli anni ’20 e ancora vitale nella seconda metà del secolo anche se in forme un po’ manierate, senza più la dirompente energia iniziale. Il Messico del secondo e terzo decennio del ’900 stava vivendo una stagione rivoluzionaria – legata ai nomi di Pancho Villa, del presidente Francisco Madero, di Emiliano Zapata – alla quale anche molti artisti delle nuove generazioni volevano partecipare, mettendo il loro lavoro al servizio della causa nella prospettiva di un radicale rinnovamento economico-sociale. Ciò voleva dire, concretamente, usare l’arte, specialmente la pittura, per trasmettere alle grandi masse popolari che appoggiavano il processo di cambiamento in corso non solo idee e parole d’ordine politicoideologico, ma anche nozioni di tipo “educativo” in senso lato. Bisogna tener presente che quelle masse non erano, in gran parte, alfabetizzate e che, in un momento nel quale i moderni mezzi di comunicazione di massa ancora non c’erano, delle pitture adeguatamente collocate in luoghi pubblici, dove potevano essere vi-

D. Rivera: La festa del mais, 1924 (Città del Messico, Ministero dell’Educazione, Corte delle Feste, parete sud)

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aspetti artistici ste da tutti, riuscivano a “parlare” ai cuori di migliaia di persone. I protagonisti del muralismo messicano delle origini – Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros – erano stati tutti in Europa e avevano conosciuto i movimenti d’avanguardia artistica degli anni Dieci, cubismo francese in testa; ma li aveva colpiti, in modo particolare, la grande tradizione della pittura murale medievale e rinascimentale italiana, a partire da Giotto, con l’idea connessa degli affreschi come biblia pauperum, bibbia dei poveri, che non sapevano leggere ma potevano essere educati alla moralità, a essere dei buoni cristiani, attraverso l’icastica efficacia delle immagini. Le storie del Vecchio e del Nuovo Testamento dipinte sui muri di chiese e cattedrali avevano avuto una primaria funzione didattica che colpì molto i giovani messicani, convincendoli a trasportare quel modello nel loro Paese. L’idea di Rivera, Orozco e Siqueiros di una nuova pittura messicana nazionale e pubblica, “monumentale ed eroica”, non poteva però basarsi soltanto su modelli europei, sulla ripresa della tradizione dell’affresco riveduta alla luce delle stilizzazioni dei linguaggi moderni, tra cubismo ed espressionismo. Così, la pittura che inventarono, ciascuno con il proprio stile, seguì in un certo senso la via già percorsa a Washington dall’architetto Latrobe: a connotare in senso “nativo”, nazionale, la loro arte entrò in gioco la tradizione della pittura e della scultura autoctona, precolombiana, alla quale tutti programmaticamente attinsero. Il risultato è, nel suo insieme, una specie di sincretismo artistico dove composizioni di stampo europeo medieval-rinascimentale si intrecciano a tagli cubistici delle immagini, a deformazioni espressionistiche e, soprattutto, a motivi iconografici, soggetti e personaggi dichiaratamente ripresi dall’arte maya e azteca. L’idea era che l’arte messicana dovesse ricominciare da dove era stata interrotta con la violenza dall’imposizione di una cultura arrivata dall’esterno: in ciò si avverte l’aspra negazione di quanto aveva portato la dominazione spagnola, un atteggiamento che già in quegli anni si aggiornava in un anti-imperialismo rivolto in primo luogo contro gli yankees, visti come i nuovi colonizzatori dell’America centrale e meridionale. Uno dei primi luoghi pubblici usato per comunicare idee attraverso immagini dipinte, ovvero svolgere una funzione educativa fu, non a caso, il Ministero dell’Educazione di Città del Messico, di cui Rivera cominciò a dipingere nel 1923 due cortili porticati, finendo nel 1928. Nel Cortile delle feste i soggetti riguardano le tradizioni messicane e le feste popolari e religiose; una di queste è proprio la festa del mais, che dà al pittore lo spunto per la raffigurazione di contadini e contadine, adulti e bambini, intenti a celebrare quanto continuava a essere considerato uno dei più preziosi doni della terra messicana. Nel Cortile del lavoro, l’artista ha invece rappresentato scene di lavoro tipiche delle differenti regioni del Paese: non solo il lavoro

Rivera a New York

• A New York, nel 1933 Rivera fu

incaricato di dipingere un grande murale nella RCA Great Hall del Rockefeller Center sul tema delle nuove frontiere. Progettò un monumentale fregio pieno di simboli, allegorie e visioni della società contemporanea, governata dalla ricerca scientifica e dalle nuove tecnologie. Il settore agricolo è sintetizzato in un “erbario” dove spiccano, tra le altre, diverse piante di mais. L’esecuzione della pittura fu però interrotta – e distrutta – per i suoi contenuti dichiaratamente rivoluzionari; anche perché accanto all’Uomo alla svolta del titolo, la figura di Lenin era la più grande, perfettamente riconoscibile. Rivera non si perse d’animo e rifece l’affresco l’anno dopo nel Palazzo delle Belle Arti di Città del Messico, dove ancora si può vedere

D. Rivera: L’uomo alla svolta, 1930 (Città del Messico, Palazzo delle Belle Arti)

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storia e arte manuale, ma anche quello intellettuale, dalla medicina alla tecnologia, dalle arti alle scienze. Qui, la parete con La meccanizzazione del lavoro mette in primo piano due gruppi di spighe, di mais e di frumento, con una contadina che regge delle pannocchie proprio come l’azteca dea del mais di Tenochtitlán; alle sue spalle, però, Rivera propone una visione futuristica dell’economia agricola messicana, basata sulle stesse colture ma enormemente potenziata da macchine agricole, elettricità e aeroplani. Nell’autobiografia My Life, My Art, egli scrive che con i suoi affreschi intendeva “riflettere la vita sociale del Messico come la vedevo e, attraverso la mia visione, prospettare alle masse le possibilità del futuro”. Più esplicito è il suo punto di vista politico in una pittura del 1926 per la Cappella della Scuola nazionale di agricoltura dell’Università autonoma di Chapingo: Il sangue dei martiri rivoluzionari feconda la terra. Gran parte della superficie dipinta è occupata da un campo di mais cresciuto al calore d’un gran sole fiammeggiante, collocato in corrispondenza di una finestra circolare che buca la parete; ma il fatto che di questa ricchezza possano ora godere tutti, non soltanto i grandi latifondisti, è dovuto al sacrificio dei “martiri rivoluzionari”, raffigurati alludendo all’iconografia del Cristo morto che s’incon-

Pitture murali dei messicani

• I murali messicani trattavano

argomenti ispirati a miti e leggende autoctoni, o soggetti storici, riguardanti ora la contemporaneità, ora la storia passata del Paese; l’obiettivo era sia di contribuire a formare un nuovo senso d’appartenenza nazionale radicato nelle culture antecedenti la Conquista, sia di diffondere un’ideologia politica improntata a ideali comunisti

• Il muralismo messicano ha dato

luogo a una vera e propria epopea dove il mais costituisce un elemento iconografico ricorrente

D. Rivera: La meccanizzazione del lavoro, 1926 (Città del Messico, Ministero dell’Educazione, Corte del Lavoro, parete nord)

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aspetti artistici tra in predelle di polittici e pale d’altare medievali e rinascimentali. Rivera divenne in breve tempo internazionalmente noto, tanto da esser chiamato a lavorare negli Stati Uniti, dove molti giovani artisti lo ammiravano ed emulavano. Nello Stock Exchange Luncheon Club di San Francisco dipinse nel 1930 un’Allegoria della California, rappresentata come una bellissima donna con una collana di spighe dorate (aveva posato l’allora famosa campionessa di tennis e pittrice dilettante Helen Wills Moody); tra le ricchezze naturali del Paese, offerte da una mano gigantesca, compaiono anche delle stilizzate spighe di mais. Negli Stati Uniti lavorarono a più riprese, negli anni ’30, anche Siqueiros e Orozco, a testimonianza della fama che la scuola messicana si era guadagnata nel giro di pochi anni. Del secondo sono gli affreschi per la biblioteca del Dartmouth College a Hanover nel New Hampshire, un complesso ciclo nel quale la civiltà precolombiana viene messa a confronto con la moderna età della macchina e le società anglo-americana e ispano-americana; anche qui, a far da sfondo alla vita degli indigeni nella parte dedicata all’Età dell’oro prima della Conquista, c’è un lussureggiante campo di mais, con un contadino che lo sta lavorando.

D. Rivera: Allegoria della California,1926 (San Francisco, Stock Exchange Club) D. Rivera: Il sangue dei martiri rivoluzionari feconda la terra, 1926 (Mexico, Università di Chapingo, Cappella, parete est)

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storia e arte L’immagine del mais – che viene riproposta nelle diverse epoche della storia del Paese come una sorta di filo conduttore naturale, elemento di continuità delle diverse civiltà e società che si sono succedute – ritorna in un altro importantissimo ciclo messicano di Rivera: le imponenti decorazioni del Palazzo nazionale eseguite a più riprese, prima e dopo la Seconda guerra mondiale, sul tema della storia del Messico. “Scena americana” e regionalismo Contemporaneamente – ma in modo particolare dopo la crisi economica del 1929 e la susseguente Grande Depressione, che vi portò un periodo di estrema povertà, anche nelle campagne – il tema del lavoro agricolo conobbe una particolare fortuna nella pittura e nella grafica degli Stati Uniti. Per indicare quel particolare passaggio, che caratterizza tutti gli anni ’30, gli storici dell’arte usano l’espressione “Scena americana”, di cui un particolare aspetto – quello soprattutto legato alla rappresentazione della vita e del lavoro in campagna nelle regioni del Middle West – viene chiamato “regionalismo”. Ne fa parte l’opera ricordata in apertura – e in generale tutta la produzione artistica più significativa – di John Steuart Curry il quale non a caso, ricordando

J.C. Orozco: L’età dell’oro prima della Conquista,1934. Dartmouth College, Baker Library (dettaglio della parete nord)

D. Rivera: La civiltà Huastec, 1950 (Città del Messico, Palazzo Nazionale)

Particolare da La civiltà Huastec di D. Rivera, 1950 (Città del Messico, Palazzo nazionale)

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aspetti artistici la genesi di quel dipinto, non ci parla di campagna in generale ma proprio dei campi del Kansas, tra i quali era cresciuto. Thomas Hart Benton, che ha raccontato il Missouri, e Grant Wood, proveniente dallo Iowa, sono gli altri più noti interpreti di tale tendenza. In un momento di drammatiche difficoltà economiche e sociali gli artisti della “Scena americana” si sforzavano di ritrovare lo “spirito del paese” e di esprimerlo nelle loro opere. Guardavano dunque a quanto era immediatamente intorno a loro e lo rappresentavano nel modo che appariva più diretto: una maniera di ripartire dal dettaglio, dalle piccole storie, da vicende marginali che rispecchiavano – ciascuna con le proprie particolarità – una situazione generale, per ritrovare un senso di appartenenza collettivo. In fondo, anche la conoscenza delle cose attraverso una loro rappresentazione artistica senza troppi filtri poteva, in qualche misura, contribuire ad affrontare e risolvere, senza nasconderli, problemi che erano di tutti. Il termine regionalismo non deve essere interpretato in modo riduttivo, di “chiusura” all’interno di differenti contesti locali e localistici; al contrario, come positiva attenzione allo specifico, come rappresentazione realistica, senza abbellimenti, della vita reale, spesso estremamente difficile, nei molteplici contesti che costituivano la complessa e complessiva realtà di una nazione in crisi. Il carattere di quella che si andava affermando un po’ in tutti gli Stati Uniti come una nuova tendenza artistica è esemplarmente sintetizzato in un’osservazione della rivista The American Magazine of Art del dicembre 1930 riguardante gli orientamenti emergenti nella pittura del tempo: “… si celebra Main Street, non più Park Avenue”, cioè la strada principale di qualunque anonima cittadina di provincia invece della famosa via elegante di New York. Per introdurre questo momento e il nuovo clima dell’arte americana funziona particolarmente bene il dipinto di Grant Wood, Gotico americano, del 1930, che negli Stati Uniti sarebbe diventato uno dei più famosi quadri del ’900 (e internazionalmente noto dopo la sua citazione nella scena iniziale del cult movie del 1975 The Rocky Horror Picture Show). Il titolo deriva dalla forma della casa alle spalle dei personaggi, che mostra un esempio di trasposizione americana di tradizioni culturali di derivazione europea; l’arco acuto della finestra al centro, infatti, tradisce il ricordo dell’architettura gotica, sottintendendo l’origine nordeuropea – protestante, puritana – di questa coppia di maturi contadini dello Iowa (Wood era nato in una cittadina rurale di quello stato). Come qualcuno ha osservato, è stato il quadro giusto esposto nel momento giusto, il 1930, nel posto giusto, l’Art Institute di Chicago, una delle maggiori città del Middle West. Lo stile era nuovo, per il contesto americano: secco, preciso, evidentemente influenzato dall’arte tedesca antica e moderna con la quale Wood era entrato in contatto durante un viaggio a Monaco. D’altra parte era andata crescendo, in lui, l’idea di mettere a fuoco, attraverso la pittura, la

D. Rivera: La storia del Messico, 1935 (Città del Messico, Palazzo Nazionale)

G. Wood: Gotico americano, 1930 (The Art Institute of Chicago)

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storia e arte consapevolezza di un’eredità e di tradizioni culturali tipicamente americane; ma osservate con un occhio, com’è qui abbastanza chiaro, non particolarmente benevolo nei confronti della restrittiva radicalizzazione di costumi e modi di pensare europei personificata dai due severi contadini dello Iowa. La disposizione di Wood nei confronti della sua terra, come si manifesta in tanti altri lavori, è però molto meno sarcastica; indica anzi una profonda e simpatetica immedesimazione sia con il paesaggio naturale, “d’infinità solidità e durata”, come egli stesso ha scritto, sia con quello coltivato dall’uomo, cresciuto su una “nuda terra dai massicci contorni arrotondati, che alla fine prevale su qualunque cosa le si aggiunga”. Esemplifica perfettamente queste idee un quadro, ancora del 1930, come Stone City, che si chiamava così per le cave di calcare; vi si riconosce, in primo piano, una coltivazione di mais.

Paesaggio dell’800

• In Stone City si ritrova, applicato al

paesaggio, lo stesso stile di Gotico americano, combinato a una ripresa della pittura americana “ingenua” dell’800, che era caratterizzata dalla semplificazione delle forme e da vedute, come qui, a volo d’uccello

G. Wood: Stone City, 1930 (Omama - Nebraska, Joslyn Art Museum)

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aspetti artistici Una visione più ravvicinata dello stesso paesaggio – un paesaggio che appare reale e al tempo stesso trasfigurato in una visione idilliaco-pastorale – si ha nel quadro dell’anno seguente Mais giovane, esplicitamente dedicato a questa coltivazione. Sulla scorta del modello offerto dai messicani, Thomas Hart Benton è stato l’epico “cantore” della storia americana, anche contemporanea, in grandi cicli di pittura murale. Il più famoso è La storia sociale dello stato del Missouri, eseguito nel 1935-36 per il Campidoglio di Jefferson City: una narrazione incredibilmente dinamica e visionaria dove la realtà industriale e agricola del paese, rappresentata nei dettagli, si mescola a personaggi del mito e della letteratura americani, da Jesse James il bandito a Huckleberry Finn. In un dipinto di analoga intonazione e di poco precedente, Guerra civile, industria e agricoltura, conservato a Bloomington nell’Università dell’Indiana, un campo di mais è più chiaramente rappresentato in una veduta di campagna ormai intensivamente industrializzata. All’esponente del regionalismo texano Jerry Bywaters – pittore molto meno noto di Curry, Benton e Wood – si deve un quadro dove la rappresentazione di un campo di mais assume una connotazione ben più angosciosa. Lo Sharecropper del titolo è il mezzadro che paga l’affitto in natura ma, visto lo stato del suo campo, devastato dalle cavallette, ci si può immaginare che non gli sarà facile onorare gli impegni. Quello di Bywaters, conservato nel Museo d’arte di Dallas, è un dipinto che ci mostra l’aspetto più drammatico dell’agricoltura americana degli anni ’30, impoverita dalla crisi economica e perennemente minacciata da calamità naturali.

T.H. Benton: Guerra civile, industria e agricoltura, 1933 (Bloomington Indian University)

J. Bywaters: Sharecropper, 1937 (Dallas Museum of Art)

G. Wood: Mais giovane, 1931 (Cedar Rapids (Iowa), Cedar Rapids Community Schools [courtesy Associated American Artists Inc., New York])

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storia e arte Di converso, la forza inarrestabile della natura viene rappresentata con segno totalmente opposto da un altro americano, Paul Landacre, la cui incisione su legno di un dettaglio di pianta di mais in crescita si trasforma in una sorta di complesso e affascinante motivo decorativo astratto. Nell’Italia del dopoguerra Nello stesso periodo, in Italia, si incontrano rappresentazioni di coltivazioni del mais nel contesto, principalmente, della pittura pubblica di regime, a celebrazione dei successi dell’agricoltura nazionale. Dopo la guerra, introduce al nostro motivo iconografico il quadro del 1946 di Renato Birolli Contadino e pannocchia, conservato a Suzzara nella Galleria dell’omonimo Premio. Considerato uno dei capolavori del pittore veronese, il dipinto è legato a un momento particolare della vita di Birolli, quando, tra 1943 e 1945, a causa della guerra era sfollato in una cascina di

P. Landacre: Growing Corn, 1940 (New York, International Business Machines Collection)

R. Birolli: Contadino e pannocchia, 1946 (Suzzara, Galleria del Premio)

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aspetti artistici

G. Roma: Campo di grano, 1961 (Suzzara, Galleria del Premio)

E. Ursella: La raccolta, olio su tela, collezione privata

Cologno di Melegnano. L’esistenza quotidiana a diretto contatto con il mondo contadino lo spinse a indagare con attenzione quell’universo, che gli rivelava un’umanità fin lì pressoché sconosciuta. Eseguì, in quel periodo, ispirandosi alla maniera di Van Gogh, una quantità di disegni nei quali ritraeva uomini e donne dai larghi profili, con cappelli, falci e falcetti. Da quei disegni trasse dei dipinti: prima un Contadino che mangia l’anguria (1944, oggi a Milano nella Casa Museo Boschi Di Stefano), poi il Contadino e pannocchia di Suzzara di analoga impostazione compositiva, con la massiccia figura con cappello avidamente intenta a mangiare, il volto parzialmente coperto dal frutto (o dalla pannocchia). Alla fine la fame, una fame atavica amplificata dall’ulteriore penuria di cibo del periodo bellico, è il tema reale del quadro, importante anche perché nel percorso stilistico di Birolli segna l’apertura verso il neocubismo espressionista del dopoguerra, sviluppato seguendo il modello di Picasso (il suo Contadino parrebbe quasi una reinter-

R. Guttuso: Natura morta con pannocchie e finestra

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storia e arte pretazione del picassiano Gatto che mangia un uccello, del 1939). Nel quadro di Birolli i caratteri del nuovo linguaggio sono proprio indicati dalla pannocchia, aperta in una specie di massa informe che si confonde con lo stesso volto del contadino e con il suo cappello; il tutto è piuttosto geometricamente schematizzato e trattato con forti accentuazioni cromatiche. La spiga compare in alcune nature morte di Guttuso, altro protagonista della scena artistica italiana del secondo dopoguerra: vi è però – per esempio in Natura morta con pannocchie e finestra – come decontestualizzata, usata cioè in quanto semplice spunto per un “pezzo” di pittura, interessante per la sua forma e il suo colore, al pari delle altre cose messe insieme nel dipinto (tra le quali solo il falcetto allude a una sorta di “storia” della pannocchia stessa, al lavoro agricolo e alla vita contadina). Al di là dei casi ricordati, la rappresentazione della pianta del mais non è frequente sulla scena artistica italiana, anche se in ambiti “provinciali” o periferici, ancora legati a tradizioni e ricordi della cultura contadina, è un tema che ha avuto una sua piccola fortuna. Si possono ricordare, per esempio, i casi della pittura friulana alla metà del ’900 (dal Paesaggio di Davanzo a La raccolta di Ursella); oppure, lavori come Ultima spannocchiatura di Anacleto Margotti – i protagonisti della sua pittura sono, in generale, i contadini della campagna di Imola, rappresentati mentre arano, zappano e raccolgono il frutto della terra – e il Campo di

E. Morlotti: Granoturco, 1961 (Milano, collezione Antonio Stellatelli)

E. Morlotti: Motivo di granoturco, 1954 (Milano, collezione privata) A. Margotti: Ultima spannocchiatura, 1960 (Imola, Cassa di Risparmio)

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aspetti artistici grano di Gina Roma, pure conservato nel Museo di Suzzara, che ci introduce nel clima di quanto fu definito l’“ultimo naturalismo padano”. Era stata così chiamata, negli anni ’50, la pittura che, in area soprattutto lombarda ed emiliana, partiva dal dato naturale, dall’osservazione della natura, per arrivare a risultati quasi astratti, di traduzione delle cose viste in forme e colori largamente trasfigurati dall’emozione, dalla visione soggettiva. Nel caso specifico della Roma, il suo occhio sembra quasi penetrare nel profondo del campo di granoturco, ricostruendone il tessuto attraverso un intrico di segni colorati – verdi e gialli squillanti, con tocchi di bianco che suggeriscono baluginii di luce tra le spighe – a cogliere appieno, pur senza imitarne illusionisticamente l’aspetto, la più intrinseca “qualità” del mais, la sua “idea”. Di questa linea della moderna tradizione pittorica italiana è stato iniziatore il lecchese Ennio Morlotti che ha avuto il merito, negli anni a cavallo del 1950, di contribuire a rinnovare la pittura italiana attraverso un linguaggio intensamente materico e dalle apparenze informali, astratte, in realtà sempre saldamente ancorato alla realtà; che era poi quella del paesaggio, e dei campi, della sua terra, la Brianza. I campi di granoturco di Morlotti – motivo iconografico ricorrente del suo esercizio pittorico – possono degnamente concludere questa rassegna.

E. Morlotti: Studio di granoturco, 1954 (collezione privata) M. T. Davanzo: Paesaggio (Udine, Galleria d’arte moderna)

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