Il Mais - Utilizzazione

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Il mais botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


il mais

utilizzazione Usi zootecnici Vittorio Dell’Orto, Carlo Corino, Giovanni Savoini

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.


utilizzazione Usi zootecnici Introduzione La maggior parte del mais disponibile in Italia è destinata all’uso zootecnico (82%), mentre solamente una piccola percentuale è utilizzata per altri impieghi (18%). Il grado di autoapprovvigionamento di questo cereale è molto elevato (90%) se paragonato ad altri ingredienti abbondantemente utilizzati in alimentazione animale, come le farine di estrazione di semi oleosi (35%). Il mais è il principale ingrediente delle diete per gli animali di interesse zootecnico, rappresenta infatti il 47% delle principali materie prime utilizzate per la produzione di alimenti per animali, il cui totale assomma a 22.121.803 t. Per l’alimentazione degli animali si utilizza non solo la granella, come per l’alimentazione dell’uomo, ma anche sottoprodotti derivanti dalla macinazione industriale a secco o a umido della granella per la preparazione di prodotti destinati all’alimentazione umana o all’industria, nonché la pianta intera. L’insilato e il pastone integrale di mais sono usati quasi esclusivamente per l’alimentazione dei ruminanti, solo in piccola parte sono, o meglio sono stati, talvolta inseriti nelle diete per le scrofe. Tali prodotti potrebbero essere teoricamente somministrati anche ai cavalli, ma in pratica non vengono utilizzati in quanto l’esiguo consumo non renderebbe conveniente lo stoccaggio degli insilati e, inoltre, manca in tale settore la

Produzione e impiego delle principali materie prime per la preparazione di alimenti per animali (t/anno) Produzione

Import

Export

Disponibilità totale

Disponibilità per alimentazione animale

Avena

337.658

54.383,10

79,1

391.962,00

334.600,00

Frumento tenero

3.093.015

5.012.812,00

20.101,60

8.085.725,40

1.291.000,00

Frumento duro

5.545.706

1.444.875,90

172.041,50

6.818.540,40

-

Mais

11.366.919

1.425.196,10

166.297,00

12.625.818,10

10.300.000,00

Orzo

1.168.560

1.244.325,40

2.136,80

2.410.748,60

1.879.000,00

Segale

7851

33.761,50

1123

40.489,50

28.000,00

Altri cereali

251.080

428.601,60

5583,80

674.097,80

668.000,00

Crusca

2.710.000

146.825,40

19.794,60

2.837.030,80

2.837.030,80

Farina di estrazione*

1.630.004

3.188.842,00

149.474,00

4.669.372,00

4.669,372,00

Siero di latte**

63.800

53.341,20

71.715,30

45.425,90

45.425,90

Farina di pesce

8300

64.930,80

3.857,00

69,373,80

69,373,80

Totale

26.182.893

13.097.895,00

612.203,70

38.668.584,00

22.121.802,50

* Di semi oleosi (soia, girasole, colza ecc.) ** In polvere Fonte: ASSALZOO, 2006

328


usi zootecnici Utilizzi del mais per l’alimentazione animale Parti della pianta

Alimenti per l’alimentazione animale

Pianta intera

Insilato, granturchino

Spiga

Pastone integrale

Granella umida

Pastone di granella

Granella essiccata

Farina

Sottoprodotti

Panello di germe, glutine, semola glutinata, distillers, mais screenings

necessità di contenere i costi di alimentazione che spiega, almeno parzialmente, l’ampio utilizzo del mais nell’alimentazione animale. La granella umida, conservata sotto forma di pastone di mais, è ampiamente utilizzata sia nell’alimentazione dei ruminanti sia dei suini. Il granturchino, derivato dalla trinciatura della pianta di mais al momento della fioritura, è somministrato immediatamente dopo la trinciatura; il suo uso è ormai quasi scomparso a seguito della non convenienza economica dovuta al fatto che il prodotto va raccolto e trinciato giornalmente e conseguentemente si verificano della variazioni delle caratteristiche nutritive nonchè un peggioramento della qualità con il progredire degli stadi vegetativi e ciò perché non è presente la spiga. La farina della granella di mais trova largo impiego nell’alimentazione di tutte le specie animali e, sotto questa forma, rappresenta il cereale maggiormente introdotto nei mangimi. I sottoprodotti del mais vengono inclusi nelle diete sia dei ruminanti sia dei monogastrici, con le dovute differenze in funzione delle caratteristiche dei singoli sottoprodotti. Nella trattazione Foto R. Angelini

329


utilizzazione seguente non verranno prese in considerazione le caratteristiche del mais screenings, cioè di ciò che rimane dopo la vagliatura del mais per la macinazione a umido, in quanto detto prodotto ha disponibilità molto variabile, come variabile è la sua composizione, inoltre potrebbe essere contaminato da micotossine dato che la percentuale di tali tossine è alta proprio nei semi rotti, che costituiscono la gran parte di questo sottoprodotto.

Silomais

• L’insilato di mais deriva dalla pianta

intera del mais, raccolta allo stadio di maturazione cerosa della granella, quindi, quando il contenuto di sostanza secca dell’intera pianta è intorno al 32-35%, trinciata e conservata, generalmente, in silos a trincea

Alimenti zootecnici a base di mais Silomais È classificato come foraggio, anche se contiene una buona quota di amido (dal 25 al 35% della s.s.), ed è destinato quasi esclusivamente all’alimentazione dei ruminanti. Elevati tenori di sostanza secca sono da evitare, in quanto da una parte la massa raccolta è più difficilmente comprimibile e dall’altra si riduce la digeribilità delle frazioni fibrose, anche se aumenta il tenore in amido. Questo dipende oltre che dallo stadio di maturazione alla raccolta, anche dall’ibrido coltivato. La degradabilità ruminale dell’amido è decisamente superiore nell’insilato di mais (85%) rispetto a quella che si osserva per la farina (65-75% in funzione della finezza delle particelle). Il colore dell’insilato di mais deve essere marrone chiaro con sfumature di verde e giallo. L’odore deve essere gradevole e leggermente acidulo, il fronte del silo si deve presentare compatto e non si deve riuscire a penetrarvi con le dita, ciò è indice di una buona compressione della massa. Non deve essere inoltre mai caldo, infatti elevate temperature dell’insilato indicano un’attività di respirazione dovuta alla presenza di aria, che comporta una riduzione del valore nutritivo e la possibilità di sviluppo di funghi, oltre a determinare una riduzione dell’appetibilità dovuta a un’eccessiva presenza di acido acetico. Una trinciatura corta permette di comprimere con maggiore facilità la massa, ma riduce la quota di fibra fisicamente efficace (peNDF) che stimola la motilità ruminale.

Foto Agrilinea

Trinciatura del mais da insilare Foto V. Bellettato

Principi nutritivi del silomais (%/tal quale) 1,6%1,0% 2,5% 14,5%

Acqua

14,9%

NFC 65,5%

Proteina NDF Ceneri Grassi

Silomais

330


usi zootecnici Per favorire un rapido instaurarsi delle fermentazioni, condizione indispensabile per la buona conservazione, si possono utilizzare, come già visto, degli additivi biologici (enzimi che favorendo l’idrolisi dell’amido rendono disponibili zuccheri fermentescibili indispensabili per il processo di fermentazione e lattobacilli che producono rapidamente acido lattico). Appetibilità. L’insilato di mais è un prodotto molto appetibile a condizione che non sia eccessivamente fermentato, che non sia caldo e che contenga una limitata quantità di acido acetico. Densità. La densità è pari circa a 700-750 kg/m3. Modalità e limiti di utilizzo. L’insilato di mais è ampiamente utilizzato nell’alimentazione dei ruminanti, nel caso delle bovine da latte rappresenta mediamente il 50% della quota di sostanza secca apportata da foraggi, ma può anche essere leggermente superiore e nel bovino da carne può rappresentare la quasi totalità della quota foraggera. La quantità utilizzabile è anche in funzione della lunghezza delle particelle derivate dalla trinciatura della pianta intera, più queste sono lunghe e più insilato si potrà utilizzare in quanto si potrà ridurre la quota di fieno. Le uniche limitazioni all’utilizzo derivano dalla qualità del prodotto e dalla contaminazione con micotossine. Parametri per la valutazione dell’insilato. Le fermentazioni risultano più accentuate quando il tenore in sostanza secca è basso, cioè quando è elevata la quantità di acqua, ciò riduce l’appetibilità del prodotto, d’altra parte un eccessivo contenuto in sostanza secca rende più difficile la compressione della massa, quindi l’eliminazione dell’aria e di conseguenza la conservazione è più difficoltosa. La valutazione delle feci può fornire interessanti informazioni circa la digeribilità della razione, per esempio una eccessiva presenza di cariossidi nelle feci è indice di un transito molto rapido degli alimenti, a seguito di una carenza di fibra fisicamente efficace (peNDF) e della insufficiente rottura delle cariossidi

Analisi tipo sul silomais (%/tal quale) Acqua 1025 tabella 65,5 Sostanza secca

34,5

Proteina grezza

2,54

RUP

27% PG

Lipidi

1

Ceneri

1,56

NDF

14,9

ADF

8,5

NFC

14,5

Calcio (Ca)

0,07

Fosforo (P)

0,08

Magnesio (Mg)

0,04

Potassio (K)

0,31

Sodio (Na)

0,003

UFL/UFC

0,28/0,24

RUP = proteina non degradabile a livello ruminale, NDF = fibra neutro detersa, ADF = fibra acido detersa, UFL = Unità foraggera latte, UFC = Unità foraggera carne, NFC = carboidrati non fibrosi, PG = proteina grezza Foto R. Angelini

Parametri per la valutazione dell’insilato Parametro

Valore

pH

3,5-4,5

Acido lattico

30-80 g/kg s.s.

Acido acetico

<25 g/kg s.s.

Acido propionico

Assente o in tracce

Acido butirrico e isobutirrico

Assente o in tracce

Etanolo

<10 g/kg s.s.

Lattico/acetico

Circa 3

Azoto ammoniacale (% azoto totale)

<5%

Silomais in trincea

331


utilizzazione stesse durante la raccolta dell’insilato, dovuta alla assenza o non perfetto funzionamento della macchina raccoglitrice.

Foto R. Angelini

Granella di mais Il mais è un cereale caratterizzato da un elevato valore energetico determinato dall’alto tenore in amido (65-70%) e dal relativamente elevato tenore in grassi rispetto ad altri cereali, il contenuto in olio del mais è infatti doppio rispetto a quello dell’orzo o del frumento. Benefici nutrizionali. L’amido del mais è degradato lentamente nel rumine in confronto a quello dell’orzo e del frumento, infatti la quota non degradata di amido a livello ruminale è circa il 25-35%, in funzione della finezza delle particelle (quella del frumento è di circa il 15%). Il tenore proteico è basso, come in tutti i cereali e soprattutto il valore biologico della frazione proteica è scarso, essendo limitato il contenuto in lisina e triptofano. Il rapporto calcio/fosforo è squilibrato, nettamente elevato è il contenuto in fosforo, mentre quello in calcio è molto basso. Il mais contiene elevati contenuti di biotina e carotenoidi, da cui il colore giallo. Gli acidi grassi maggiormente rappresentati sono l’acido oleico e linoleico. Appetibilità. Il mais è molto appetibile per tutte le specie animali. Densità. La densità è pari circa a 725-775 kg/m3. Trattamenti. Il mais granella viene macinato al fine di aumentarne la digeribilità e consentire la miscelazione con altri ingredienti. Al fine di aumentare la superficie d’attacco da parte dei batteri e dei succhi dell’apparato gastroenterico, il mais può anche essere laminato o spezzato grossolanamente. Oltre che ai semplici processi meccanici sopra ricordati, il mais può essere sottoposto anche a processi termici o termico-meccanici per aumentarne il valore nutritivo. I principali processi termico-meccanici sono la fioccatura, l’estrusione e la espansione. Modalità e limiti di utilizzo. Non esistono limitazioni all’utilizzo del mais in alimentazione animale dato che non contiene fattori

Granella di mais

Farina di mais

Trattamenti al mais

• L’uomo digerisce con difficoltà il mais

Principi nutritivi della granella (%/tal quale)

crudo, per cui viene sempre sottoposto a cottura (per esempio la polenta), mentre gli animali possono digerirlo. Tuttavia anche per gli animali quando si vuole aumentare il valore energetico il mais viene sottoposto a trattamenti termico-meccanici, quali la fioccatura (per l’alimentazione umana con questo processo si producono i corn flakes), l’estrusione o l’espansione

9,1%

1,3% 3,7% 12,0% 8,9%

Acqua NFC Proteina

63,7%

NDF Ceneri Grassi

332


usi zootecnici Vagliatura del mais mediante pulitore-separatore Separatorie ad aria

Analisi tipo sulla granella (%/tal quale)

Carico Fine

Paglia stocchi

Sez. 4

Sez. 3

Sez. 2

Sez. 1

ø 15 mm

ø 14 mm

ø 6 mm

ø 6 mm

Medio plus medio

Medio fine

antinutrizionali in misura consistente. Deve tuttavia essere controllato il tenore in micotossine; particolarmente importante è valutare il tenore in aflatossina B1 in quanto tale micotossina viene trasferita nel latte dove è presente sotto forma di aflatossima M1, il cui tenore massimo per legge deve essere di 0,05 ppb. Dato che la maggior parte delle aflatossine si concentra nei semi rotti, che presentano chiaramente dimensioni inferiori rispetto ai semi interi, è utile ricorrere alla vagliatura del mais destinato all’alimentazione animale eliminando i residui di paglia e stocchi e la frazione medio-fine in modo tale da ridurre la percentuale di micotossine presenti. La dimensione delle particelle di mais può essere determinata tramite setacciatura, ma un metodo più moderno è l’analisi dell’immagine (image analysis) che valuta la dimensione delle particelle tramite appositi software.

Acqua

12

Sostanza secca

88

Proteina grezza

9,1

RUP

58% PG

Lipidi

3,7

Ceneri

1,3

NDF

8,9

ADF

3,2

NFC

65

Ca

0,02

P

0,26

Mg

0,1

K

0,37

Na

0,01

Lisina

0,24

Metionina

0,18

UFL/UFC

1,10/1,08

RUP = proteina non degradabile a livello ruminale, NDF = fibra neutro detersa, ADF = fibra acido detersa, UFL = Unità foraggera latte, UFC = Unità foraggera carne, NFC = carboidrati non fibrosi, PG = proteina grezza

Analisi dell’immagine

333


utilizzazione Per determinare la quantità di alcune micotossine nei cereali un metodo moderno, rapido e abbastanza economico, è rappresentato dall’analisi con il naso elettronico. Il naso elettronico è uno strumento costituito da sensori chimici in grado di classificare odori semplici e complessi presenti in un gas, quindi anche nell’aria. Tutte queste tecnologie si avvalgono di una iniziale taratura basata sull’impiego di una tecnica di riferimento (come HPLC).

Tracciato dell’analisi con naso elettronico di aria pura (a sinistra) e di mais con elevato contenuto di DON (a destra) Campionatore del naso elettronico

Naso elettronico

• L’architettura dei nasi elettronici può

essere suddivisa in tre componenti: il sistema di rilevazione dei gas, il sistema di elaborazione dei segnali provenienti dai sensori e il sistema di identificazione/riconoscimento degli odori

1039 1037

• Attualmente, i nasi elettronici trovano

spazio specialmente nel settore alimentare (verifica della freschezza degli alimenti, valutazione della stagionatura dei formaggi, controllo dell’idoneità degli imballaggi, controllo della cottura dei cibi ecc.). Vengono applicati anche nelle industrie cosmetiche e farmaceutiche per il controllo dei profumi. Mercati emergenti sono i settori del monitoraggio ambientale, della medicina e quello automobilistico

Pastoni La granella di mais e la spiga possono venire raccolte, come visto precedentemente, con un anticipo di 10-15 giorni circa rispetto alla raccolta della granella da essiccare. A tal fine la granella e la spiga vengono raccolte con un tenore in umidità di circa il 3035%, macinate e insilate per ottenere il pastone di granella oppure il pastone integrale se si utilizza la spiga compreso, spesso, una parte di brattee. La raccolta della granella e della spiga per la produzione di pastoni è posticipata di circa 15 giorni rispetto alla raccolta della pianta intera per la produzione di insilato di mais. Questi due prodotti possono essere insilati in silos a torre, a trincea, in cumulo e in sacconi. Benefici nutrizionali. Il pastone di granella è molto utilizzato sia nell’alimentazione dei ruminanti sia dei monogastrici in quanto ha un costo inferiore a quello della farina avendo eliminato le operazioni di essiccamento della granella, che, in particolare negli ultimi anni, incidono in modo consistente a causa dell’elevato prezzo del carburante. Inoltre la digeribilità della granella conservata sotto forma di pastone è leggermente superiore rispetto alla corrispondente farina in quanto ha già subito un parziale processo di fermentazione. Analogamente la degradabilità ruminale dell’amido è decisamente superiore nei pastoni (85% per il pastone di granella) rispetto alla farina (65-75% in funzione della finezza delle particelle). Il colore dei pastoni di mais deve essere giallo chiaro per quello di granella

Fronte di taglio di pastone di granella

334


usi zootecnici e leggermente più scuro per quello integrale. Nel fronte del silo non devono essere presenti righe più scure, indice di ossidazione dovuta a interruzioni durante la raccolta ed insilamento; l’odore deve essere gradevole, leggermente acidulo e ricordare vagamente l’odore della polenta; il fronte di taglio nel silo si deve presentare compatto e non si deve riuscire a penetrarvi con le dita come per il silomais, essendo ciò indice di una buona compressione della massa. Non deve essere mai caldo, infatti elevate temperature dell’insilato indicano un’attività di respirazione dovuta alla presenza di aria nella massa, che comporta una riduzione del valore nutritivo e la possibilità di sviluppo di miceti, oltre a determinare una riduzione dell’appetibilità dovuta ad un’eccessiva presenza di acido acetico. Il pastone di granella è più facilmente conservabile rispetto a quello integrale in quanto molto più omogeneo sia come dimensione delle particelle sia come composizione. La presenza nel pastone integrale delle altre parti della spiga, abbastanza porose, rende infatti più difficile una buona compressione della massa con la possibile creazione di microcamere d’aria che possono alterare il processo di fermentazione. Appetibilità. I pastoni, soprattutto quello di granella, sono molto appetibili. Quando ben conservati l’appetibilità è superiore a quella della farina. Densità. La densità è pari circa a 900 kg/m3 per il pastone di granella e 800 kg/m3 per quello integrale. Modalità e limiti di utilizzo. Non esistono limitazioni all’utilizzo dei pastoni di mais nell’alimentazione dei ruminanti e dei monogastrici, salvo quelli imposti dai disciplinari di produzione del Prosciutto di Parma e San Daniele. Si ricorda peraltro che l’utilizzo dei pastoni, come anche dell’insilato di mais, è vietato per l’alimentazione delle bovine il cui latte è destinato alla produzione di formaggio parmigiano reggiano. È possibile quindi sostituire completamente la farina di mais con i pastoni, data

Analisi tipo sul pastone (%/tal quale)

1,3% 7,1% 2,9% 7,2%

NFC

Acqua

30

35

Sostanza secca

70

65

Proteina grezza

7,2

5,6

RUP

37% PG

37% PG

Lipidi

2,9

2,7

Ceneri

1,3

1,1

NDF

7,1

13,0

ADF

2,5

5,1

NFC

51,44

42,7

Ca

0,02

0,03

P

0,21

0,22

Mg

0,08

0,09

K

0,29

0,33

Na

0,01

0,02

Lisina

0,19

0,13

Metionina

0,14

0,09

UFL/UFC

0,88/0,86

0,66/0,64

Pastone di spiga 1,1% 2,7% 13,0%

30,0% 5,6%

35,0%

42,7%

51,4%

Acqua

Pastone integrale

RUP = proteina non degradabile a livello ruminale, NDF = fibra neutro detersa, ADF = fibra acido detersa, UFL = Unità foraggera latte, UFC = Unità foraggera carne, NFC = carboidrati non fibrosi, PG = proteina grezza

Principi nutritivi dei pastoni (%/tal quale) Pastone di granella

Pastone granella

Proteina

NDF

Ceneri

Fronte di taglio di pastone di spiga

Grassi

335


utilizzazione però la elevata degradabilità dell’amido dei pastoni rispetto a quella della farina, si deve porre attenzione all’utilizzo di questi prodotti nel periodo estivo per non incorrere in una riduzione eccessiva del grasso del latte. È quindi consigliabile mantenere nella razione una quota di farina di mais per bilanciare la degradabilità ruminale dell’amido e conseguentemente la quota di amido disponibile a livello intestinale. Dato che i pastoni rappresentano una modalità di conservazione del mais valgono le stesse considerazioni precedentemente descritte in merito alla presenza di fattori antinutrizionali ed alla contaminazione fungina. Il pastone di granella ha un contenuto maggiore di amido ed inferiore di NDF rispetto al pastone integrale.

Semola glutinata

• È il sottoprodotto della macinazione a umido del mais per l’estrazione dell’amido

• Risulta molto appetibile grazie

alla presenza di amido facilmente degradabile a livello ruminale

Semola glutinata La semola glutinata di mais è un sottoprodotto ottenuto durante la macinazione a umido del mais per l’estrazione dell’amido. È composta dalla frazione di crusca del mais, dal corn steep liquor, cioè dal residuo della macerazione con acqua e acido solforico del mais, da frazioni di germe, amido e glutine e da una frazione minerale. La semola umida viene essiccata prima della commercializzazione. Il contenuto in amido è discreto come anche quello proteico. Un prodotto particolarmente scuro denota un trattamento termico eccessivo che ne diminuisce il valore energetico e proteico. Benefici nutrizionali. Dato che è un derivato del mais mantiene le caratteristiche delle frazioni amidacee e proteiche del mais, tuttavia l’amido è più degradabile a livello ruminale rispetto alla corrispondente frazione del mais granella. La frazione fibrosa pur essendo elevata è caratterizzata da dimensioni molto piccole delle particelle ed è molto fermentiscibile nel rumine, per cui bisogna porre molta attenzione nella sostituzione di quote fibrose apportate da foraggi. Appetibilità. La semola glutinata di mais è un prodotto appetibile.

Analisi tipo sulla semola glutinata (%/tal quale) Acqua

12,00

Sostanza secca

88,00

Proteina grezza

21,70

RUP

34% PG

Lipidi

3,00

Ceneri

6,90

NDF

35,40

ADF

10,60

NFC

21,00

Ca

0,06

P

0,78

Mg

0,38

K

1,31

Na

0,12

Lisina

0,58

Metionina

0,31

UFL/UFC

0,95/0,94

Principi nutritivi della semola glutinata (%/tal quale)

6,9%

3,0% 12,0%

Acqua 21,0%

35,4%

Proteina NDF

21,7%

RUP = proteina non degradabile a livello ruminale, NDF = fibra neutro detersa, ADF = fibra acido detersa, UFL = Unità foraggera latte, UFC = Unità foraggera carne, NFC = carboidrati non fibrosi, PG = proteina grezza

NFC

Ceneri Grassi

336


usi zootecnici Densità. La densità è pari circa a 600-650 kg/m3. Modalità e limiti di utilizzo. Le caratteristiche precedentemente ricordate non pongono particolari limitazioni all’utilizzo, tuttavia è bene non eccedere il 30 % di inclusione nei mangimi. Essendo un derivato del mais valgono le stesse considerazioni precedentemente descritte in merito alla presenza di micotossine. Panello di germe Il panello di germe di mais è un sottoprodotto derivante dall’estrazione dell’olio dal germe, ottenuto quest’ ultimo dalla macinazione per via umida del mais. Il germe di mais può anche derivare dalla degerminazione del seme per ottenere, per esempio, i corn flakes. Nel panello si ritrovano oltre al germe anche residui della mandorla farinosa e del tegumento. L’olio viene estratto dal germe, o per pressione, e il corrispondente sottoprodotto è denominato panello, relativamente ricco in olio (6-14%), oppure l’olio è estratto con dei solventi e allora si ottiene la farina di estrazione di germe di mais, che contiene un limitato contenuto di olio (1-6%). Benefici nutrizionali. Data la notevole variabilità del contenuto lipidico è utile effettuare sempre un’analisi del prodotto prima dell’utilizzo, inoltre la conoscenza del tenore lipidico consente di definire in modo appropriato i tempi e le modalità di conservazione. Il contenuto lipidico del panello di germe ne limita l’uso nell’alimentazione dei ruminanti a causa dell’influenza negativa dei grassi ricchi di acidi grassi insaturi sulle fermentazioni ruminali. Anche nell’alimentazione dei suini si deve porre attenzione al tenore in acidi grassi insaturi del panello in quanto influenza negativamente la consistenza del grasso corporeo di deposito. Esistono infatti in tal senso disposizioni ben precise da parte dei regolamenti di produzione del Prosciutto di Parma e San Daniele.

Semola glutinata

Analisi tipo sul panello di germe (%/tal quale) Acqua

10

Sostanza secca

90

Proteina grezza

20

RUP

31% PG

Lipidi

6,7

Ceneri

2,3

NDF

28,9

ADF

3,2

NFC

32,10

Amido

13

Zuccheri

0,8

Ca

0,05

P

0,6

Mg

0,26

K

0,26

Na

0,04

Lisina

0,8

Proteina

Metionina

0,36

NDF

UFL/UFC

1,01/1,00

Principi nutritivi del panello di germe (%/tal quale) 2,3%

6,7%

10,0%

Acqua NFC

28,9%

32,1% 20,0%

Ceneri

RUP = proteina non degradabile a livello ruminale, NDF = fibra neutro detersa, ADF = fibra acido detersa, UFL = Unità foraggera latte, UFC = Unità foraggera carne, NFC = carboidrati non fibrosi, PG = proteina grezza

Grassi

337


utilizzazione Appetibilità. Il panello di germe di mais è un prodotto molto appetibile. Modalità e limiti di utilizzo. Il contenuto in olio condiziona l’utilizzo di questo prodotto nell’alimentazione sia dei ruminanti sia dei suini, come precedentemente ricordato. Essendo un derivato del mais valgono le stesse considerazioni precedentemente descritte in merito alla presenza di micotossine. Il panello di germe di mais è un alimento a elevato contenuto lipidico per cui è necessario adottare idonee modalità di conservazione.

Analisi tipo sul glutine (%/tal quale) Acqua

10,00

Sostanza secca

90,00

Proteina grezza

55,30

RUP

55% PG

Lipidi

2,40

Ceneri

1,70

NDF

13,00

ADF

5,00

NFC

17,60

Ca

0,03

P

0,45

Mg

0,13

K

0,41

Na

0,04

Lisina

1,00

Metionina

1,44

UFL/UFC

1,08/1,06

Glutine di mais Benefici nutrizionali. Il glutine di mais è un sottoprodotto derivante dalla lavorazione del mais, macinazione a umido, per ottenere amido di mais, che sarà utilizzato in alimentazione umana tal quale oppure sotto forma di sciroppi di glucosio, di destrine o per scopi industriali, per esempio plastica biodegradabile. Nel processo di macinazione a umido, dopo la separazione del germe e della frazione fibrosa, il restante materiale è centrifugato per isolare l’amido dal glutine. Il glutine è quindi essiccato, eventualmente macinato, e vagliato. Il prodotto che ne risulta è una farina ricca in proteina e pigmenti. La proteina del glutine è poco degradabile a livello ruminale, anche se la frazione non degradabile non ha una composizione aminoacidica di elevato valore biologico, essendo comunque sempre una zeina. L’alto contenuto di pigmenti, carotenoidi, del glutine giustifica l’introduzione di questo alimento nei mangimi per ovaiole in quanto conferisce un colore giallo/arancio al tuorlo, che risulta particolarmente gradito ai consumatori. Appetibilità. Il glutine di mais non è un prodotto molto appetibile. Densità. La densità è pari circa a 550-600 kg/m3. Modalità e limiti di utilizzo. La scarsa appetibilità insieme con il basso valore biologico della proteina condizionano l’utilizzo del glutine; è comunque ampiamente utilizzato nell’alimentazione dei ruminanti, in quanto rappresenta una delle poche fonti di proteina poco degradabile a livello ruminale insieme con i fiocchi di soia, i distillers e le trebbie di birra, dopo il divieto di utilizzo di farine di origine animale. Essendo un derivato del mais valgono le stesse considerazioni precedentemente descritte in merito alla presenza di fattori antinutrizionali e alla contaminazione fungina. Il glutine di mais è un alimento ricco di proteine.

1,7%2,4% 13,0%

10,0% 17,6%

55,3%

Acqua

NFC

Proteina

NDF

Ceneri

Grassi

Distillers I distillers sono un sottoprodotto derivante dalla fermentazione dell’amido di mais per la produzione di liquori (whisky) o etanolo. Una volta separato l’acool per distillazione, residua

Principi nutritivi del glutine (%/tal quale)

338


usi zootecnici una massa costituita dalle frazioni insolubili e fibrose, dal lievito (Saccharomices cervisiae), aggiunto per la fermentazione dell’amido, e dai residui della fermentazione. L’insieme di questi sottoprodotti vengono denominate borlande o draff. Le borlande possono essere essiccate ottenendo i DDGS (Dried Distillers Grains with Solubles) oppure possono venire separate in una frazione insolubile (DDG = Distillers Dried Grains) e in una solubile (DDS = Distillers Dried Solubile). Benefici nutrizionali. I distillers rappresentano una buona fonte proteica per i ruminanti. La proteina è poco degradabile a livello ruminale. Decisamente ridotto risulta ovviamente il tenore in amido. Appetibilità. I distillers sono un prodotto caratterizzato da buona appetibilità. Densità. La densità è pari circa a 600 kg/m3. Modalità e limiti di utilizzo. I distillers per le loro caratteristiche (basso contenuto in amido, elevato tenore in fibra e discreto tenore in proteina poco degradabile a livello ruminale) vengono impiegati quasi esclusivamente per l’alimentazione dei ruminanti. Quando si includono i distillers nelle diete per ruminanti si dovrà considerare con attenzione l’inclusione di altri fonti lipidiche, in quanto i distillers possono contenere quantità consistenti di lipidi ricchi di acidi grassi insaturi che deprimono le fermentazioni ruminali. Un colore molto scuro denota un eccessivo riscaldamento o una rifermentazione della massa che comportano una riduzione del valore nutritivo. Essendo un prodotto che può contenere elevati tenori lipidici si dovrà porre particolare attenzione alle modalità di conservazione, soprattutto nel periodo estivo, per evitare un irrancidimento dei grassi.

Analisi tipo sui distillers (%/tal quale) Acqua

8,00

Sostanza secca

92

Proteina grezza

24,8

RUP

67% PG

Lipidi

8,5

Ceneri

2,6

NDF

39,8

ADF

14,9

NFC

16,30

Amido

11,2

Zuccheri

2,3

Ca (%)

0,12

P

0,45

Mg

0,25

K

0,9

Na

0,27

Lisina

0,62

Metionina

0,34

UFL/UFC

0,99/0,96

2,6%

8,5%

8,0% 16,3%

39,8% 24,8%

Acqua

NFC

Proteina

NDF

Ceneri

Grassi

Principi nutritivi dei distillers (%/tal quale)

339


utilizzazione Mais nell’alimentazione dei bovini Come digerisce un ruminante Nel ruminante la complessa interazione tra l’animale e la flora e la fauna simbionti fa sì che alimenti come quelli vegetali, inattaccabili dagli enzimi dell’organismo, possano essere scissi a molecole più semplici e utilizzabili dall’animale. I ruminanti tendono ad ingerire rapidamente il cibo per poi ruminarlo successivamente. I bovini ruminano mediamente 8 ore al giorno, con un massimo di 10-11 ore. La ruminazione è costituita da più cicli o periodi che durano dai 35 ai 40 minuti. Ogni periodo ruminativo può essere schematizzato nel modo seguente: rigurgito di una porzione di contenuto ruminale sotto forma di bolo, sua masticazione, ricostituzione di un nuovo bolo e successivo rigurgito. Il bolo rigurgitato viene separato in due frazioni: una viene immediatamente deglutita, l’altra masticata per circa 45-65 secondi, con una frequenza di movimenti masticatori pari a circa 65-85 al minuto, e nuovamente deglutita. Il bolo deglutito aumenta in peso e volume del 10-20% a seguito dell’imbibizione con la saliva. La ruminazione è necessaria per ridurre le dimensioni delle particelle di alimento in modo tale da favorire la fermentazione della sostanza organica da parte dei batteri, protozoi e miceti presenti in sede ruminale. I batteri rappresentano la popolazione microbica maggiore nel rumine; inferiore è invece la concentrazione dei protozoi e dei miceti. Una delle funzioni principali dei microrganismi ruminali è quella di degradare e fermentare i polisaccaridi delle pareti cellulari vegetali in modo da esporre il contenuto cellulare alle successive fermentazioni e ottenere prodotti finali assimilabili da parte dell’animale. I batteri ruminali svolgono inoltre attività proteolitica, intense sintesi proteiche, idrolisi dei trigliceridi e sintesi vitaminiche. I protozoi producono enzimi che partecipano direttamente alla digestione delle particelle di alimento. I miceti svol-

Alimentazione dei ruminanti

• Il rumine è un fermentatore in cui

miliardi di batteri, protozoi e funghi fermentano la sostanza organica producendo gas, acidi grassi, cellule batteriche che forniranno proteine ad alto valore biologico, quando digerite nell’intestino

• Alimentare i ruminanti vuol dire nutrire miliardi di microrganismi

Proteine

• Le proteine forniscono gli aminoacidi necessari per il mantenimento delle funzioni vitali, quali la riproduzione, la crescita e la lattazione

• Il ruminante grazie alla presenza

e all’attività della flora microbica ruminale può utilizzare fonti non proteiche di azoto (per esempio urea) per la sintesi di aminoacidi e proteine

340


usi zootecnici

Lipidi

• I lipidi costituiscono una fonte

energetica ad elevata densità nonché una fonte di acidi grassi essenziali

• Nell’alimentazione dei ruminanti

l’impiego di grassi permette di sostituire una quota di cereali della razione con una fonte energetica maggiormente concentrata; aumentare la concentrazione energetica senza gli effetti negativi associati a un aumento della quota di cereali; mantenere l’assunzione di sostanza secca nei periodi in cui tale assunzione risulta ridotta e migliorare la fertilità

gono un’azione importante nella digestione della fibra, iniziando la degradazione dei carboidrati più complessi. È evidente quindi l’importanza di tale comparto, anche in considerazione del fatto che circa il 60-70% della sostanza organica viene degradata nel rumine-reticolo. Nei ruminanti, a differenza dei monogastrici, la regolazione dell’ingestione di alimento è principalmente di tipo fisico. Sia la frazione liquida che quella solida sono caratterizzate da una costante di passaggio: Kp per la frazione solida e Kl per quella liquida. La frazione solida inoltre è caratterizzata da una costante di degradazione Kd. Queste frazioni sono strettamente in relazione tra loro. La costante di degradazione reale si calcola come Kd/(Kd+Kp). Ne consegue che all’aumentare della costante di passaggio Kp, fenomeno che si verifica quando aumenta il livello nutritivo (livello nutritivo = energia netta assunta/energia netta per il mantenimento) cioè, aumenta l’assunzione di sostanza secca per soddisfare elevate produzioni, alimenti che sono caratterizzati da tassi di digestione lenti possono passare senza essere attaccati dai microrganismi ruminali. Questo può essere un vantaggio per gli alimenti proteici dato che in questo modo aumenta la quota di proteina che non viene degradata nel rumine (proteine by-pass), ma non lo è per gli alimenti fibrosi, dato che vengono digeriti quasi esclusivamente nel rumine. È quindi fondamentale somministrare ai soggetti con elevate produzioni alimenti contenenti fibra caratterizzata da alta degradabilità ruminale. A livello ruminale viene prodotta anche una notevole massa di proteina batterica e vengono sintetizzate notevoli quantità di vitamine idrosolubili.

• Nello stesso tempo un errato impiego

di lipidi, in termini sia quantitativi sia qualitativi, può comportare una diminuzione dell’attività fermentativa microbica a carico dei microrganismi cellulosolitici

Fibra

• La fibra è fondamentale per mantenere una corretta funzionalità del rumine. Nello stesso tempo il contenuto in fibra rappresenta un fattore limitante in ruminanti a elevate performance produttive, in quanto la componente fibrosa degli alimenti è correlata negativamente con la digeribilità, la densità energetica e positivamente con lo spazio occupato

Mais e acidosi ruminale Fino ad ora sono stati illustrati gli aspetti positivi dell’utilizzo del mais nell’alimentazione dei ruminanti, tuttavia esistono anche aspetti negativi legati a una eccessiva somministrazione del cereale che comporta l’insorgenza di fenomeni di acidosi ruminale. 341


utilizzazione L’acidosi ruminale è dovuta a una deviazione del metabolismo microbico ruminale, che porta a un’iperproduzione e quindi all’accumulo di metaboliti a carattere acido che eccedono la capacità tamponante dell’animale. Il nome acidosi deriva dal fatto che nel corso di tale patologia si riduce il pH ruminale, fino a raggiungere valori inferiori a 5,5. Queste variazioni di pH sono inoltre associate anche a variazioni della rappresentatività delle diverse specie microbiche presenti nel rumine. Diete caratterizzate da un eccesso di alimenti ricchi in amido e zuccheri, così come razioni povere di fibra lunga e strutturata determinano l’insorgenza di acidosi. Un ruolo nell’insorgenza dell’acidosi gioca anche la degradabilità ruminale dell’amido, infatti sarà più facile l’insorgenza di tale patologia in presenza di eccessi di amido altamente degradabile, quale quello contenuto nei pastoni di mais integrale o di granella, rispetto a eccessi di farina di mais, soprattutto se macinata grossolanamente. La gravità dell’acidosi è da mettere in relazione inoltre alla durata di somministrazione della razione squilibrata. I bovini con acidosi ruminale acuta e clinicamente manifesta presentano ridotta assunzione di sostanza secca, riduzione della produzione lattea e del tenore lipidico del latte, riduzione dell’accrescimento, lesioni podali, abbattimento del sensorio, diarrea e frequenza di ruminazione molto ridotta fino sino alla stasi ruminale. Si tratta in genere di acidosi lattica riconducibile a un’eccessi-

Acidosi

• Indicatori diretti

– p H ruminale – s onda esofagea (poco attendibile per le forme subcliniche) – ruminocentesi

• Indicatori indiretti

– r iduzione della percentuale di grasso del latte, che può arrivare ad essere inferiore alla percentuale di proteina – r iduzione della durata della ruminazione – r iduzione dell’assunzione di alimento – r iduzione dell’accrescimento ponderale – f eci molli – i nsorgenza di lesioni podali evidenziate da dolorabilità agli arti e quindi da deambulazione alterata

Sequenza degli eventi associati all’acidosi ↑ carboidrati fermentescibili

pH = 5.0

↓ S. bovis ↑ lattobacilli

↓ tasso di crescita di numerosi batteri

Stasi delle fermentazioni

D- e L- lattato assorbiti

ACIDOSI METABOLICA Adattata da Nocek, 1997 Adattata da Nocek, 1997

342

↑ acidi grassi volatili (AGV) ↓ pH ↑ tasso crescita Streptococcus bovis

↓ pH

Flora microbica ruminale al microscopio elettronico

↑ carboidrati tasso crescita di tutti i batteri

↑ acido lattico


usi zootecnici va produzione di acido lattico in ambito ruminale, il quale possiede una capacità acidificante notevolmente superiore rispetto agli acidi acetico, propionico e butirrico. In presenza di fenomeni di acidosi subacuta i sintomi sono simili a quelli precedentemente descritti nel caso di acidosi acuta, ma meno gravi. In questo secondo caso infatti si ha una maggiore produzione di acido propionico rispetto all’acido acetico, da cui la riduzione del tenore lipidico del latte, la sintesi ruminale di acido lattico rimane contenuta, ne consegue che la sintomatologia è lieve. Una delle conseguenze più gravi di fenomeni di acidosi è rappresentata dall’insorgenza di lesioni podali in quanto la loro guarigione non è immediata dopo aver rimosso la causa. Al contrario l’eliminazione delle cause che hanno portato all’acidosi determina un rapido recupero dell’assunzione di alimento e conseguentemente della produzione di latte e un altrettanto rapido incremento della percentuale in grasso del latte, nonché una ripresa dell’accrescimento ponderale.

Cura e prevenzione dell’acidosi

• In presenza di fenomeni di acidosi

o per prevenirne l’insorgenza è utile: – ridurre la quota di farina di mais o pastone e aumentare il rapporto foraggio/concentrato nella razione – aumentare la quota di sottoprodotti fibrosi caratterizzati da elevata degradabilità ruminale della fibra – macinare in modo grossolano il mais – verificare che il 75% dell’NDF della razione provenga da foraggi e che sia sufficiente l’apporto di fibra fisicamente effettiva (peNDF)

Formulazione di mangimi per bovini da carne e da latte La formulazione dei mangimi può essere effettuata sia manualmente, sia tramite l’ausilio di software specifici. Attualmente tutti i mangimisti e i tecnici che si occupano di nutrizione formulano mangimi avvalendosi di software specifici per due validi motivi: – velocità di calcolo, eliminazione di eventuali errori manuali e possibilità di controllare numerosi parametri nutrizionali insieme; – ottimizzazione del costo sulla base di vincoli imposti sulle materie prime e sulle caratteristiche analitiche dei mangimi. Quando ci si accinge a formulare un mangime è importante valutare la quantità dello stesso che sarà consumata giornalmente dagli animali in modo tale da stimare il quantitativo dei singoli ingredienti effettivamente consumato. Il passo successivo è rappresentato dalla ripartizione percentuale nel mangime delle materie

– somministrare sostanze tamponanti, (per esempio bicarbonato di sodio), eventualmente insieme con ossido di magnesio in rapporto 3:1 – somministrare lievito di birra, in grado di ridurre la concentrazione di acido lattico nel fluido ruminale – somministrare del malto

Foto R. Angelini

Mangime composto da numerose materie prime Bovini da carne alimentati a silomais

343


utilizzazione prime energetiche, fibrose, proteiche, degli additivi ed integratori nel mangime, considerando l’impiego di insilato di mais nella razione. Per le bovine da latte l’utilizzazione di mangimi industriali si è notevolmente ridotta a seguito della introduzione del carro miscelatore e del conseguente uso di materie prime, da parte dell’allevatore, per la formulazione della razione. È frequente infatti che l’allevatore produca anche cereali, che utilizzerà quindi direttamente, e che acquisti materie prime proteiche (soia f.e., trebbie di birra, cotone semi, distillers, panello di cocco, girasole f.e.) e fibrose (polpe di bietola, crusca, pallet di medica), riducendo quindi al minimo l’impiego di mangimi industriali. È però frequente anche che gli allevatori introducano nella razione solamente cereali ed eventualmente fonti fibrose per cui comperino dall’industria mangimi ad elevato tenore proteico, che nella consuetudine dell’allevamento vengono definiti nuclei. L’utilizzo dei mangimi industriali è ancora abbastanza diffuso nelle zone di produzione del Parmigiano Reggiano dove l’uso del carro miscelatore è poco frequente, mentre è abbastanza comune l’uso degli autoalimentatori.

Confronto tra il razionamento delle bovine da carne e da latte

• Nei bovini da carne la quota di mais è

superiore rispetto a quella per bovine da latte: per ottenere elevati accrescimenti di peso è necessario somministrare elevate quantità di energia

Esempio di mangime finito per bovino da carne Materia prima

%

Mais

61,0

Soia f.e.

10,0

Polpe di barbabietola

10,0

Distillers

4,5

Girasole f.e.

4,0

Panello di lino

2,8

Glutine di mais

2,0

Lievito di birra

1,0

Grassi protetti

0,5

Integratore mineral-vitaminico

4,2

Composizione

%

Sostanza secca

89.11

Proteina grezza

15,60

RUP

6,24 (40% PG)

NDF

16,82

NFC

47,18

Lipidi grezzi

4,08

Ceneri

5,43

Calcio

0,78

Fosforo

0,59

UFL/kg

1,02

Razionamento dei bovini da latte e da carne La formulazione di una razione è un processo complesso in quanto per formulare una razione bilanciata è senza dubbio indispensabile avere buone conoscenze di fisiologia, di chimica, di nutrizione, di patologia, ma anche di economia in quanto le razioni sono destinate ad animali che devono produrre un reddito. Il nutrizionista assume quindi un ruolo fondamentale nell’allevamento e presso l’industria mangimistica, basti pensare che i costi alimentari rappresentano circa il 40-50% del costo finale del latte o della carne. La formulazione di una razione prevede l’individuazione dei fabbisogni e la scelta quali-quantitativa degli alimenti che devono essere inseriti nella dieta, scelta spesso condizionata Foto R. Angelini

Sala di mungitura

344


usi zootecnici Foto R. Angelini

Esempio di mangime finito per bovino da latte

Rientro dalla mungitura

dalla disponibilità di foraggi aziendali o dal prezzo delle materie prime. Nel caso di ruminanti sarà inoltre importante definire il rapporto foraggi/concentrati della razione. La formulazione delle razioni per ruminanti è attualmente sviluppata utilizzando software specifici che siano in grado di stimare i fabbisogni per il mantenimento, la crescita, la produzione e la gravidanza in modo più accurato, considerando le diverse variabili che influenzano i fabbisogni. Questo approccio è senza dubbio il più evoluto ed efficiente, tuttavia, per una sua corretta applicazione, è indispensabile conoscere come costruire uno schema di razionamento prescindendo dall’utilizzo di software specifici. Questo perché non sempre è disponibile l’ausilio tecnologico e perché l’applicazione di quest’ultimo è facilitato se si è imparato a sviluppare razionamenti manualmente; infatti non si può prescindere da una conoscenza approfondita della logica per procedere alla definizione di un programma di razionamento.

Bovini da carne

345

Materia prima

%

Mais

50,00

Soia f.e.

18,00

Distillers

6,00

Panello di lino

5,00

Soia semi fiocchi

4,50

Girasole f.e.

4,00

Panello di cotone

4,00

Glutine di mais

2,00

Lievito di birra

1,00

Grassi protetti

0,50

Integratore mineral-vitaminico

5

Composizione

%

Sostanza secca

89.73

Proteina grezza

21,73

RUP

11,15 (51,32% PG)

NDF

13,25

NFC

42,59

Lipidi grezzi

4,64

Ceneri

7,52

Calcio

0,88

Fosforo

0,82

UFL/kg

1,01


utilizzazione Mais e Grana Padano Quando intorno all’anno Mille nel cuore della Pianura Padana i monaci benedettini inventarono il caseus vetus, chiamato dal popolo grana, il mais doveva ancora arrivare in Europa. Nel tempo, questo cereale ha cambiato le abitudini alimentari tra le Alpi e gli Appennini, soprattutto lungo il Po, non solo sulle tavole dell’uomo, ma soprattutto nella zootecnia. Mais significa energia, arricchisce l’alimentazione degli animali, migliora la qualità della carne e di tutti i prodotti di origine animale, su tutti latte e formaggi. Negli anni, nelle campagne ricche di stalle e di bestiame destinato alla produzione di Grana Padano, ai prati si sono aggiunti gli erbai intercalari estivi e autunnali, dove il mais da foraggio è divenuto il simbolo dell’agricoltura padana finalizzata alla produzione zootecnica. E il disciplinare del Grana Padano lo colloca tra gli elementi più importanti della nutrizione delle bovine. La storia del Grana Padano è millenaria. Secondo una convenzione storica, il formaggio grana della Pianura Padana nacque nel 1135 nell’abbazia di Chiaravalle. Certo è comunque che veniva prodotto all’interno di molti monasteri, con apposite caldaie, e dove così nacquero i primi caseifici e con essi i primi casari, gli esperti nella produzione del formaggio. Il formaggio di grana, o più semplicemente grana, si distingueva in base alle province nelle quali veniva prodotto. I grana più citati sono il lodesano o lodigiano, considerato da molti il più antico, il milanese, il parmigiano, il piacentino ed il mantovano. Ma fu subito molto prezioso ed apprezzato. Isabella d’Este, che regalava nel 1504 al padre Alfonso ed al fratello Ferdinando, signori di Ferrara, “meza forma de formazo per uno, perché il facto loro consiste più in bontà cha in quantità”. Il formaggio poteva venire dalle campagne in riva al Mincio: dove cresceva “grasso trifoglio alto fino al zenochio” ed era tanto ricercato che “peze

Foto Archivio Storico Latteria Soresinese e Consorzio Tutela Grana Padano

Il mais è tra gli alimenti principali della nutrizione delle bovine il cui latte è destinato alla produzione del Grana Padano

Foto Archivio Storico Latteria Soresinese e Consorzio Tutela Grana Padano

Foto Archivio Storico Latteria Soresinese e Consorzio Tutela Grana Padano

Raffreddamento del latte appena munto in una stalla del cremasco, 1910 circa Caldaie per la produzione del Grana Padano, 1966

346


usi zootecnici octo de formazo beletissime quale avevano tri ani” nel 1525 il fattore dei Gonzaga aveva faticato ad averle, essendo destinate al re di Spagna. Ma il momento di svolta nella produzione dei formaggi arriva nel 1951. A Stresa il 1° giugno di quell’anno, tecnici e operatori caseari europei siglarono una “Convenzione”, nella quale fissarono norme precise in tema di denominazione dei formaggi e indicazioni sulle loro caratteristiche. In quella occasione vennero distinti il formaggio “di Grana Lodigiano”, che poi è divenuto il “Grana Padano”, e il “Parmigiano-Reggiano”. Si dovette però attendere il 10 aprile 1954, perché l’Italia stabilisse alcune norme sulla tutela delle Denominazioni di origine e tipiche dei formaggi, tra cui il Grana Padano. E il 18 giugno 1954, su iniziativa di Federlatte (Federazione Latterie Cooperative) e di Assolatte (Associazione Industrie Lattiero-Casearie), nacque il Consorzio per la tutela del Formaggio Grana Padano, per riunire tutti i produttori, gli stagionatori e i commercianti del formaggio. Da allora l’impegno è cresciuto, per tutelare, promuovere e far crescere un formaggio non solo apprezzato in tutto il mondo per il suo gusto, ma anche per la grandi proprietà nutritive. Grana Padano ha infatti caratteristiche nutrizionali uniche a cominciare dalla pronta digeribilità e dalla rapida assimilazione, dovute alla stagionatura, ma anche agli aminoacidi liberi, che costituiscono il 20% delle proteine, e stimolano l’attività degli enzimi digestivi; sono punti di forza che lo rendono particolarmente adatto a chi deve assumere energia in poco tempo. È un alimento ottimo per i bambini, fin dai primi mesi di vita, ed un prezioso componente della dieta della mamma in attesa; ma è altrettanto indicato per gli anziani, per i minerali che contiene, tutti preziosi per la salute di ossa, muscoli e cellule, e per chi ha raggiunto gli “anta” e vuole tenersi in forma. Formaggio ideale da consumare in tutte le attività di fitness, per le sue carat-

Pasta del Grana Padano

• Colore della pasta: bianco o paglierino • Aroma e sapore della pasta caratteristici: fragrante, delicato

• Struttura della pasta: finemente

granulosa, frattura radiale a scaglia

• Occhiatura: appena visibile • Spessore della crosta: da 4 a 8 mm Foto Archivio Storico Latteria Soresinese e Consorzio Tutela Grana Padano

Forme di Grana Padano nel 1965

Foto Archivio Storico Latteria Soresinese e Consorzio Tutela Grana Padano

Foto Archivio Storico Latteria Soresinese e Consorzio Tutela Grana Padano

Forme attuali di Grana Padano Lavatura dei bidoni del latte, 1915 circa

347


utilizzazione teristiche nutrizionali uniche risponde perfettamente alle esigenze di un’equilibrata dieta quotidiana. Il Grana Padano è ricco di proteine ad alto valore biologico, simili a quelle del latte. Cento grammi di formaggio, con 384 calorie, contengono le proteine di 200 grammi di carne e le sostanze nutritive di un litro e mezzo di latte. In ogni forma abbondano le vitamine – ben otto – e i sali minerali. Basti pensare che in 50 grammi di Grana Padano si trovano ben 600 milligrammi di calcio, una quantità pari al 60% del fabbisogno giornaliero di adulti e anziani, al 50% di quanto occorre ad un adolescente e al 43% di quello necessario ad una donna in gravidanza o in fase di allattamento. Si tratta di una sostanza importantissima, perché ha un ruolo fondamentale nei processi della conduzione nervosa, della contrazione muscolare e della permeabilità cellulare. Inoltre è ricco di fosforo, essenziale per sviluppare l’apprendimento; di iodio, di grande importanza per il buon funzionamento della tiroide, e di selenio. Al corpo umano fornisce notevoli apporti anche di rame e zinco, ritenuti utili per rallentare l’invecchiamento cellulare e per dare tono e potenza ai muscoli, e di magnesio, sostanza essenziale per lo sviluppo dello scheletro e come gruppo prostetico indispensabile per l’attività di specifici enzimi che regolano il metabolismo. Ed è ancora più facile preferire un prodotto così prezioso se è anche un assoluto piacere per il palato. Grana Padano è infatti protagonista della cultura gastronomica: a scaglie, grattugiato o in bocconcini, da solo o in una ricchissima serie di abbinamenti dagli antipasti al dessert. Ma è pure ingrediente prezioso dei piatti della cucina italiana, come delle invenzioni degli chef più creativi della cucina internazionale, che lo esigono per le loro innovative proposte. È un formaggio che si amalgama con il latte per creare piatti semplici e gustosi. Rende vivaci al palato torte e piatti a base di verdure. Si esalta con la pasta di grano duro ed i suoi condimenti e trasforma in un piacere unico le paste fresche delle più antiche ed apprezzate cucine regionali. Esalta il gusto naturale della carne dei piatti freddi ed è prezioso sostegno di vitello e manzo. E con il pesce si sposa a scaglie o grattugiato. Il Grana Padano DOP, stagionato dai 9 ai 16 mesi, si caratterizza per la granulosità e la colorazione bianca della pasta e si abbina in modo eccellente a vini bianchi giovani e freschi. Dalla colorazione leggermente paglierina, il Grana Padano oltre 16 mesi mostra invece la tipica struttura granulosa della pasta e la frattura a scaglia. In bocca la nota dolce si attenua ed il gusto, saporito e pronunciato, non risulta tuttavia mai piccante. Al top della segmentazione del Grana Padano DOP si trova una nuova selezione, dedicata ai consumatori sempre alla ricerca dei prodotti di eccellenza. Si tratta del Grana Padano “Riserva”, stagionato per almeno 20 mesi, per il quale il Disciplinare prevede elevate caratteristiche qualitative. Scelto sperlato, ha una pasta

Forma di Grana Padano

• Forma: cilindrica, scalzo leggermente convesso o quasi dritto, di diametro compreso tra 35 e 45 cm

• Peso: da 24 a 40 kg per forma. Nessuna

forma deve avere peso inferiore a 24 kg

• Confezione esterna: tinta scura od oleatura

Foto Archivio Storico Latteria Soresinese e Consorzio Tutela Grana Padano

Magazzinidi conservazione del Grana Padano nel 1955 circa e ai giorni nostri

348


usi zootecnici a grana evidente con chiara struttura radiale a scaglia, dal colore omogeneo bianco o paglierino e dal sapore fragrante e delicato. Esami approfonditi e completi sull’aspetto esterno della forma, sulla struttura della pasta, sul colore e sulle caratteristiche organolettiche, stabiliscono se una forma può meritare sulla crosta il marchio a fuoco “Riserva”. Protagonista assoluto della tavola, sia grattugiato sia come formaggio da pasto, il Grana Padano “Riserva” può arrivare a stagionature di ventiquattro mesi ed oltre, che gli donano un sapore sempre più ricco e pieno, senza tuttavia risultare mai aggressivo. Questo formaggio presenta anche aromi evoluti di burro e di fieno e note floreali di mais. Il nuovo marchio “Riserva” rappresenta dunque un’ulteriore garanzia per il consumatore attento e con una sofisticata cultura gastronomica e che ama il sapore intenso ma mai aggressivo tipico del formaggio Grana Padano. Un formaggio con tanta tradizione di qualità oggi rigorosamente garantita vede crescere ogni giorno non solo la sua leadership in Italia, ma anche all’estero. Frutto dell’impegno delle 216 aziende riunite nel Consorzio Tutela Grana Padano, tra le quali 174 caseifici produttori, in grado di produrre oltre 4 milioni di forme all’anno. Ma a dare il segno della qualità del Grana Padano è l’export, che ogni giorno deve battersi contro decine di tentativi di imitazione che ne riducono il reale mercato. Dal 1996, anno della concessione della Denominazione d’Origine Protetta, al 2006, le esportazioni da circa 352mila forme sono salite a quasi un milone e centomila, con un peso percentuale dell’export sulla produzione salito dal 9,77 al 25,2 per cento. Dati che fanno del Grana Padano il principe dei prodotti DOP più consumati nel mondo.

Foto Archivio Storico Latteria Soresinese e Consorzio Tutela Grana Padano

Marchio “Riserva”

Sostanze contenute in 100 g di Grana Padano (valori medi) Umidità

32 g

Proteine totali

33 g

Fosfopeptidi solubili

1,5 g

Aminoacidi liberi totali

6g

Grassi

28 g

Acidi linoleici coniugati (LCA)

170 mg

Zuccheri (carboidrati)

Assenti

Calcio

1165 mg

Fosforo

692 mg

Rapporto calcio/fosforo

1,7

Cloruro di sodio

1,6 g

Potassio

120 mg

Magnesio

63 g

Zinco

11 mg

Ferro

140 µg

Rame

500 µg

Selenio

12 µg

Iodio

35,5 µg

Valore energetico 1597 kj (1048 da lipidi e 549 da proteine) 384 kcal (252 da lipidi e 132 da proteine) Cartina della zona di produzione del Grano Padano

349


utilizzazione Mais nell’alimentazione suina I processi digestivi nei monogastrici e nel suino in particolare sono molto simili a quelli dell’uomo. I carboidrati sono i principi alimentari energetici per eccellenza nell’alimentazione suina e il mais con il suo contenuto del 60-70% di amido è il cereale più utilizzato attualmente in Italia. Nel suino in accrescimento, in particolare, le esigenze energetiche possono essere sempre soddisfatte dal mais che presenta concentrazione superiore ai fabbisogni. Decisamente carente in termini proteici il mais presenta apporti insufficienti in proteina e nei principali amminoacidi essenziali nel giovane animale mentre soddisfa tra il 50 e il 75% dei fabbisogni proteici nel suino in accrescimento-ingrasso, come così limitanti sono almeno tre amminoacidi essenziali: lisina, inferiore al 50% dei fabbisogni, triptofano e treonina. Nel caso della scrofa, durante la gestazione e in lattazione, i pregi e i limiti che si evidenziano sono gli stessi. L’apporto energetico del mais è in entrambi i casi in grado di soddisfare le esigenze delle scrofe. Per quanto concerne invece l’apporto proteico durante la fase di gestazione, dato che i fabbisogni dell’animale sono ridotti, le carenze (importanti) si limitano a proteina, lisina, treonina e triptofano. In lattazione invece dati gli elevati fabbisogni delle scrofe che producono un latte molto concentrato e in elevate quantità (8 kg di latte/giorno in media con punte che superano i 10-12 kg nelle scrofe iperprolifiche) un solo amminoacido è in concentrazione idonea nel mais, la leucina, mentre tutti gli altri sono carenti. I limiti proteici del mais sono però facilmente superati con l’impiego di farine proteiche, tra le quali certamente la più diffusa e utilizzata è la farina d’estrazione di soia (che è quanto resta del seme di soia dopo l’estrazione dell’olio). Così nel suinetto di 25 kg di peso vivo per esempio una miscela di 90 parti di mais

Mais nell’alimentazione del suino

• Il mais presenta caratteristiche

nutrizionali che ben si adattano all’impiego in ogni stadio fisiologico e in ogni fase di crescita del suino 12

g/100 g proteina

10 8 6 4 2 0

Lisina Metionina Triptofano Leucina + cisteina

Mais

Soia, farine di estrazione

Contenuto in amminoacidi essenziali di mais e farina di estrazione di soia

Apporto energetico, proteico ed amminoacidico del mais rispetto ai fabbisogni Suino in accrescimento (25 kg) e all’ingrasso (100 kg)

Trip Treo

EM Val 200 150 100 50 0

Scrofa

PG Arg

Trip

Ist

Treo

Isoleu

Fen+Tir

EM Val 200 150 100 50 0

Diverse miscele mais/soia per il suinetto PG

Trip Arg Treo Ist

EM 200 150 100 50 0

PG Ist

Fen+Tir Fen+Tir Met+Cis 100 kg PV

Lis

Leu 25 kg PV

Met+Cis Scrofa in gestazione

350

Isoleu

Isoleu Lis

Leu Scrofa in lattazione

Met+Cis

Lis 90:10

Leu 72:28


usi zootecnici Digeribilità ileale degli amminoacidi del mais e delle farine di estrazione di soia Profilo aminoacidico del mais

Lisina

• Gli amminoacidi maggiormente carenti

nel mais, lisina e triptofano, sono anche quelli che il suino assorbe in modo meno efficace facendo registrare valori di digeribilità inferiori di 7-10 punti rispetto alla soia. Analogamente gli amminoacidi più presenti nella proteina del mais rispetto a quella della soia presentano anche una digeribilità ileale superiore

Metionina + cisteina Triptofano

Leucina 75 Mais

77,5

80

82,5

85 87,5 % Soia, farine di estrazione

90

92,5

95

• Una miscela mais/soia permette di

coprire completamente i fabbisogni amminoacidici del suino nelle diverse fasi di crescita

e 10 di farina d’estrazione di soia presenta ancora numerose, se pur più limitate, carenze per il giovane animale, in rapida crescita muscolare, risultando ancora carente nell’apporto proteico e in alcuni amminoacidi essenziali (lisina, metionina e cisteina, treonina e triptofano). Per garantire la copertura dei fabbisogni con l’uso di una semplice miscela mais/soia è in questo caso necessario giungere a un rapporto del 72% di mais e 28% di soia. È da notare che operando in questo modo si possono coprire tutti i fabbisogni amminoacidici del suinetto ma certamente si va incontro a un apporto in alcuni amminoacidi essenziali molto più elevato rispetto ai fabbisogni (oltre il 150% dei fabbisogni in istidina, isoleucina, leucina, fenilalanina e tirosina).

• Le carenze in lisina e triptofano del

mais sono compensate dalla soia mentre gli amminoacidi solforati e la leucina maggiormente presenti nel mais equilibrano la proteina della soia

Allevamenti di suini

Foto R. Angelini

351


utilizzazione

Val Trip Treo

EM 250 200 150 100 50 0

Nella pratica dell’alimentazione animale il ricorso a diverse materie prime proteiche permette di garantire la copertura dei fabbisogni limitando gli eccessi rispetto ai fabbisogni sia per ovvi motivi di ordine economico sia perché da un punto di vista nutrizionale un eccesso in alcuni amminoacidi essenziali può dar luogo a squilibri che si ripercuotono negativamente sull’assorbimento e in genere sulla salute dell’animale (quanto meno attraverso un carico epatico e renale). Nel suino oltre gli 80-100 kg di peso vivo, la totale copertura dei fabbisogni amminoacidici può già essere ottenuta con rapporti mais/soia pari a 85:15, ma già l’apporto del 10% di farina di estrazione di soia permetterebbe di garantire tutte le esigenze ad eccezione di quella in proteina totale e in lisina. Anche in questo caso si possono osservare eccessi in alcuni amminoacidi essenziali che, utilizzati a fini energetici, daranno luogo a un aumento dell’escrezione azotata con le urine e quindi in ultimi termini del carico inquinante degli effluenti zootecnici. In conclusione la copertura dei fabbisogni proteici richiede la ricerca di un equilibrio amminoacidico ottimale per massimizzare il rendimento energetico (lo smaltimento dell’azoto in eccesso ha un costo energetico per l’organismo animale) e minimizzare il contenuto in azoto degli effluenti e quindi il carico inquinante. I nutrizionisti hanno da tempo risolto il problema individuando la cosiddetta proteina ideale, cioè il profilo amminoacidico ottimale per il suino, e con l’impiego nella formulazione dei valori di amminoacidi digeribili a livello ileale, che rappresentano gli amminoacidi effettivamente assorbiti dal suino. Secondo limite nutrizionale del mais nell’alimentazione del suino è quello relativo al contenuto in elementi minerali: solo potassio (K), magnesio (Mg), manganese (Mn) e rame (Cu) sono presenti nel mais in concentrazioni tali da poter essere suffi-

PG Ist Isoleu

Fen+Tir

Leu

Met+Cis

Lis

90:10

85:15

Apporto energetico, proteico e amminoacidico di diverse miscele mais/soia rispetto al fabbisogno del suino all’ingrasso

Carenze minerali del mais

• Il mais presenta forti carenze in

elementi minerali quali calcio e una ridotta biodisponibilità di fosforo

Foto Informatore Agrario

Zn Se

Ca 200 150 100 50 0

Ptot Pdisp

Fe

Na Cu 100 kg PV

K

Cl 25 kg PV

Apporto del mais di micro e macro elementi rispetto ai fabbisogni del suino in accrescimento Suino di razza Landrace

352


usi zootecnici cienti, almeno per un suino in accrescimento-ingrasso (80-120 kg di peso vivo). La carenza è particolarmente evidente e grave per il Calcio (Ca) ed apparentemente meno importante per il fosforo (P). Infatti il fosforo totale presente nel mais è pari a 2,8 g/kg, insufficiente per il suino, ma comunque superiore al 50% dei fabbisogni a fronte di 0,3 g/kg di Calcio che rappresenta solo il 5-7% dei fabbisogni. Tuttavia a fronte di un contenuto in fosforo totale (Ptot) discreto, la quantità di fosforo disponibile (Pdisp) è bassissima (0,4 g/kg) e si colloca tra il 20 e il 25% dei fabbisogni. La ridotta disponibilità del fosforo non è una caratteristica solo del mais ma è diffusa fra tutti i semi nei quali parte del fosforo (66% mediamente) è presente in forma organica come fitina (esafosfato di inositolo). Perchè il fosforo fitinico sia reso disponibile per l’assorbimento necessita l’azione di uno specifico enzima, la fitasi, che non è prodotta dagli organismi superiori e quindi neppure dai suini.

Foto Informatore Agrario

Mais e qualità delle carni e dei salumi In alimentazione suina l’apporto di energia sotto forma di carboidrati ha un significato particolare che si lega alla ricerca di elevate caratteristiche qualitative del grasso di deposito. È noto infatti come tradizionalmente i prodotti trasformati di elevato valore organolettico derivassero da suini allevati nel sottobosco o comunque nutriti con ghiande e castagne e quindi con alimenti ricchi proprio in carboidrati. Ciò perché il suino, a partire dal glucosio dell’amido sintetizza gli acidi grassi che andranno a costituire il grasso di deposito secondo le specifiche caratteristiche di specie e quindi proprio un grasso di elevate caratteristiche qualitative ai fini della trasformazione. In questo il mais è certamente interessante anche se non è da sottovalutare l’apporto in grassi insaturi che si ha con il mais che, come già riferito nella parte generale, contiene il 4% di grassi a elevato grado d’insaturazione, dato che almeno la metà è acido linoleico. Il grasso contenuto nel germe del mais presenta in confronto al grasso suino un contenuto in acido linoleico (C18:2) compreso tra le 5 e le 6 volte mentre la presenza di acidi grassi moninsaturi, tra i quali il più presente è l’acido oleico (C18:1), è di circa i 2/3, e invece gli acidi grassi saturi sono presenti nello strutto in quantitativo almeno triplo rispetto al mais. Questo da un lato può essere considerato un fattore limitante l’impiego mentre dall’altro ha certamente contribuito alla modificazione, del tutto positiva in termini dietetici, della frazione lipidica dei salumi con un aumento degli acidi grassi mono e polinsaturi ed una riduzione del contenuto in colesterolo, effetti che peraltro sono da mettere anche in relazione alle nuove genetiche utilizzate.

Composizione lipidica del mais

• Il mais ha un elevato contenuto in acidi

grassi insaturi e questo rappresenta un fattore limitante nell’impiego in fase d’ingrasso

60,0 50,0

%

40,0 30,0 20,0 10,0 0,0 Strutto

C16:0

C18:0

C18:1

C18:2

Mais

Composizione in acidi grassi dello strutto e del mais

353


utilizzazione Gli animali attualmente allevati sono infatti caratterizzati da una forte riduzione dell’adiposità delle carcasse rispetto al passato. La composizione del grasso suino risente fortemente del grasso apportato con la dieta perchè il maiale utilizza gli acidi grassi costituenti i trigliceridi, che sono assunti con la dieta e quindi assorbiti, direttamente per la sintesi del grasso di deposito. Così se si somministra al suino un grasso insaturo, un olio per esempio, si otterrà un grasso di deposito, dorsale e pancetta, molle ed untuoso che tende a sciogliersi a temperatura ambiente. Le differenti caratteristiche fisiche del grasso derivano dal fatto che il punto di fusione di un trigliceride è funzione del punto di fusione degli acidi grassi che lo costituiscono, in realtà quindi si parlerà più correttamente d’intervallo di fusione del grasso dal momento che per una data temperatura alcuni acidi grassi sono in forma solida mentre altri già sono passati in forma liquida. Gli acidi grassi saturi, cioè senza doppi legami, e gli acidi grassi a lunga catena presentano un punto di fusione più elevato. L’influenza dell’alimentazione sulle caratteristiche del grasso è fenomeno particolarmente evidente per il grasso di deposito sottocutaneo, dorsale e di copertura dei prosciutti, mentre risulta quantitativamente molto più limitato a livello inter e intra-muscolare. Così in nostri recenti studi somministrando un grasso saturo, come il sego, oppure oli vegetali, come olio di mais o di colza si è potuta osservare una profonda modificazione nel contenuto in acidi grassi presenti nel tessuto adiposo, in particolare per quanto concerne l’acido stearico, saturo con 18 ato-

80 70 60 Temperatura, °C

50 40 30 20 10 0 –10

C16:0

C18:0

C18:1

C18:2

Acidi grassi Punto di fusione degli acidi grassi

Evoluzione del contenuto in acido oleico, linoleico e colesterolo dei salumi italiani

40

18

100

35

16

90

30

14

80

%

45

70

12

25

50

%

20

8 15 10 Sego

40

6 C18:0

C18:1 Olio di mais

30

C18:2

4

20

Olio colza

2

10

Contenuto in acidi grassi del grasso di deposito di suini pesanti alimentati con diete arricchite di sego, olio di mais e olio di colza

0

354

1964 Acido oleico

1974 Acido linoleico

1984 Colesterolo

0

mg/100 g

60

10


usi zootecnici mi di carbonio (C18:0), l’acido oleico (C18:1) e l’acido linoleico (C18:2). Riguardo a questo ultimo poi si può osservare come nel caso della somministrazione di olio di mais il contenuto in acido linoleico ha superato il valore limite definito dal Regolamento del Parma e San Daniele del 15%. Inoltre il suino presenta un’altra particolarità metabolica: utilizza a fini energetici prioritariamente gli acidi grassi saturi (solidi a temperatura ambiente) e quindi se si somministra dello strutto (grasso suino) al maiale si avrà, un po’ incredibilmente, un grasso di deposito più insaturo del grasso suino tipico. Le variazioni che si possono così determinare sulla composizione acidica del grasso suino devono essere sempre valutate con grande attenzione in particolare quando le carni sono destinate alla produzione di salumi DOP e IGP per i quali si richiedono ben definite caratteristiche organolettiche dei prodotti e questo in quanto gli aromi caratterizzanti i prodotti stagionati sono sostanze volatili prodotte dall’ossidazione di amminoacidi e acidi grassi, quindi una modificazione della composizione acidica del grasso può influenzare, attraverso i prodotti d’ossidazione e d’idrolisi, direttamente le caratteristiche organolettiche dell’alimento. Il fenomeno è immediatamente evidente nell’esempio di grassi troppo insaturi soggetti a stagionatura prolungata e ai conseguenti fenomeni d’irrancidimento che risultano evidenti visivamente, all’olfatto e al gusto. Senza giungere a questi limiti estremi è chiaro come una produzione tipica di alta qualità non possa accettare deviazioni anche limitate rispetto alle caratteristiche sensoriali caratterizzanti.

Foto Informatore Agrario

Suino di razza Cinta Senese

Foto Informatore Agrario

Suinetti Foto Informatore Agrario

Preparazione dei salumi Suino di razza Duroc

355


utilizzazione Mais e salumi Il mais rappresenta la base dell’alimentazione suina: nel 2005 la produzione dell’industria mangimistica rivolta a questo settore ha rappresentato il 33% dell’intera produzione di alimenti per il bestiame. I suini vengono allevati con due principali finalità: per la produzione di carne da consumo diretto e per la trasformazione. In Italia tradizionalmente prevale la seconda finalità e per questo scopo i suini sono allevati fino a un peso vivo più elevato (160 kg in media) rispetto a quanto si effettua nelle altre nazioni UE e tale da garantire caratteristiche delle carni e del tessuto adiposo ottimali per conferire elevata qualità ai prodotti di salumeria tipici italiani. In effetti l’Italia è particolarmente ricca di prodotti di salumeria che, nel tempo, hanno dato luogo a numerose IGP e DOP. La IGP (Indicazione Geografica Protetta) è un marchio di qualità che viene attribuito a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica dipende dall’origine geografica, e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene in un’area geografica determinata. Per ottenere la IGP, quindi, almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in una particolare area. Chi produce IGP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione, e il rispetto di tali regole è garantito dall’organismo di controllo. La DOP (Denominazione di Origine Protetta) è un marchio di qualità che viene attribuito a quegli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono prodotti. L’ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Affinché un prodotto sia DOP, inoltre, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un’area geografica delimita-ta. Chi fa prodotti DOP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione. Il rispetto di tali regole è garantito dall’organismo di controllo. Recentemente il suino pesante italiano ha ottenuto la DOP con la denominazione di Gran Suino Padano (GSP), a identificare il peso/età alla macellazione e l’areale di origine. In questo modo si è voluta caratterizzare l’intera carcassa del suino pesante del quale attualmente vengono utilizzati determinati tagli per specifici prodotti DOP (per esempio le cosce per la produzione del prosciutto crudo di Parma e San Daniele). Questi suini pesanti o meglio questi Gran Suini Padani sono caratterizzati da: – Origine: devono essere nati, allevati e macellati in nord-centro Italia; – Genetica: debbono appartenere alle razze Large White, Landrace, razze cosmopolite bianche (per il colore del mantello) caratterizzate da buona prolificità e attitudine materna delle femmine

1% 7% 32%

27% 33%

Pollame

Suini

Altri

Sostituti latte

Bovini

Fonte FEFAC, 2006

Produzione di mangimi composti nel 2005 nell’EU 25 (totale 143 mil t) Foto Informatore Agrario

356


usi zootecnici e dalle ottime attitudini per accrescimento e trasformazione dell’alimento di origine nordeuropea e loro derivati (cioè loro incroci, normalmente femmina Large White per maschio Landrace), oppure essere derivati Duroc, razza di origine nordamericana con interessanti caratteristiche di rusticità o ibridi commerciali, cioè derivati da incroci programmati tra più razze delle quali tendono a sfruttare le specifiche qualità, prodotti da Centri o Società specializzate; – Non devono essere portatori di caratteristiche genetiche negative per la qualità delle carni (alcune razze quali Duroc, Landrace Belga, Pietrain, l’Hamshire in purezza non sono utilizzabili); – Peso vivo alla macellazione: pari a 160 kg ± 10%; – Età uguale o superiore ai 9 mesi. Non possono essere utilizzati i verri e le scrofe. Oltre a questo sono stati posti dei vincoli nell’alimentazione con l’intento d’ottimizzare le caratteristiche qualitative delle carni, e in particolare la dieta deve presentare: – un contenuto in cereali = 45% della razione fino a 80 kg peso vivo; – un contenuto in cereali = 55% della razione da 80 a 160 kg di peso vivo. È anche consigliata l’alimentazione in broda (normalmente 3 parti di liquido per ogni chilogrammo di mangime), meglio se con siero di latte secondo un’antica tradizione che nella Pianura Padana vedeva legato l’allevamento suino ai caseifici trovando un mezzo di smaltimento-valorizzazione ottimale per siero (sottoprodotto liquido della caseificazione) e latticello (sottoprodotto liquido della produzione del burro) con l’introduzione nell’alimentazione suina. In effetti ogni caseificio aveva annesso un certo numero di porcilaie proprio a questo scopo. Inoltre per garantire caratteristiche ottimali del grasso di deposito, che tanta importanza ha nel determinare le caratteristiche organolettiche dei salumi, è previsto un limite massimo del con-

Salumi DOP e IGP e regioni di produzione

Foto Informatore Agrario

357

Salumi DOP o IGP

Regione/i di produzione

Capocollo di Calabria (DOP)

Calabria

Coppa Piacentina (DOP)

Emilia Romagna

Cotechino Modena (IGP) Zampone Modena (IGP)

Emilia Romagna, Lombardia, Veneto

Culatello di Zibello (DOP)

Emilia Romagna

Lardo di Colonnata (IGP)

Toscana

Pancetta di Calabria (DOP)

Calabria

Pancetta Piacentina (DOP)

Emilia Romagna

Prosciutto di Carpegna (DOP)

Marche

Prosciutto di Modena (DOP)

Emilia Romagna

Prosciutto di Norcia (IGP)

Umbria

Prosciutto di Parma (DOP)

Emilia Romagna

Prosciutto di San Daniele (DOP)

Friuli Venezia Giulia

Prosciutto Toscano (DOP)

Toscana

Prosciutto Veneto BericoEuganeo (DOP)

Veneto

Salame Brianza (DOP)

Lombardia

Salame di Varzi (DOP)

Lombardia

Salame d’oca di Mortara (IGP)

Lombardia

Salame Piacentino (DOP)

Emilia Romagna

Salsiccia di Calabria (DOP)

Calabria

Soppressata di Calabria (DOP)

Calabria

Sopressa Vicentina (DOP)

Veneto

Speck dell’Alto Adige (IGP)

Trentino Alto Adige

Jambon de Bosses (DOP)

Valle d’Aosta

Lard d’Arnad (DOP)

Valle d’Aosta


utilizzazione tenuto in acido linoleico (C18:2) nella dieta del 2% sulla sostanza secca, per evitare che l’acido linoleico possa superare nel tessuto adiposo il 15%. Oltre questi limiti il Consorzio non accetta le carni per la trasformazione. L’insieme di vincoli posti per la produzione del GSP permette di comprendere quanto si differenzi la produzione suina italiana da quella degli altri paesi europei ove nessun limite è posto per l’età alla macellazione e i pesi finali sono molto più bassi (dai 100 ai 120 kg al massimo). D’altra parte le caratteristiche specifiche di alcuni salumi richiedono pesi elevati a garantire le corrette dimensioni delle differenti parti anatomiche e nel contempo l’opportuno grado di maturazione delle carni e il sufficiente livello d’infiltrazione grassa dei muscoli. Basti al riguardo qualche esempio come il prosciutto, la coppa, il culatello per i quali talora la tradizione richiederebbe anche un più elevato peso vivo dell’animale (180-200 kg e più). La produzione suina italiana è concentrata prevalentemente nel Centro-Nord con un massimo nella regione Lombardia che, nel 2005, con 4.920.000 capi da sola contribuisce per oltre il 54% ai suini certificati da IPQ-INEQ per il Consorzio Parma e San Daniele. A fianco di questa produzione tipica, notevolmente diffusa, si pongono tipologie di allevamento differenti, estensive e semiestensive talora rientranti nel “biologico” che utilizzano tipi genetici autoctoni caratterizzati dall’elevata adattabilità a condizioni di allevamento allo stato brado o semi-brado (elevata rusticità) e da peculiari caratteristiche delle carni e dei prodotti derivati. L’allevamento di questi animali assume un ruolo interessante anche per la salvaguardia della biodiversità ma solo in rari casi pare avere concrete possibilità di sviluppo sostenibile. Uno di questi casi è certo quello della Cinta Senese che ha visto sviluppare gli allevamenti, costituirsi il Libro Genealogico e attivarsi un interessante mercato specifico per i prodotti derivati. La Cinta Senese ha origini antiche ma ancora incerte. Testimonianza della sua esistenza è già nell’affresco del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Comunale di Siena (1338). La Cinta Senese ha avuto una buona diffusione per le caratteristiche di robustezza e di adattabilità ad essere allevata allo stato brado fino al dopoguerra quando, come la maggior parte delle razze autoctone, ha dovuto lasciare il passo alle razze suine “Bianche” cosmopolite – Large White e Landrace – più prolifiche e con accrescimenti più elevati, anche se meno idonee all’allevamento semi-brado. A seguito del notevole sforzo di Enti e allevatori per il recupero della razza nel 2000 è stato costituito il Consorzio di Tutela della Cinta Senese, che ha presentato la richiesta per l’ottenimento della DOP alla Comunità Europea. Contrariamente ad altre DOP europee, la DOP per la Cinta Senese è stata richiesta non per alcuni prodotti, ma per l’intero animale così come nel caso del Gran Suino Padano.

Suini certificati IPQ-INEQ nel 2005

Foto Informatore Agrario

358


usi zootecnici Mais nell’alimentazione del pollame Il mais rappresenta la fonte energetica per eccellenza nella tradizione e nella pratica attuale dell’alimentazione delle specie avicole. Caratterizzato da un tenore proteico inferiore rispetto a frumento e orzo (80 contro 110 g/kg) presenta infatti un valore energetico più elevato (3346 contro 2987 kcal/kg). Tale differenza deriva principalmente dal maggior contenuto in amido (> 600 g/ kg) e alla bassa concentrazione in polisaccaridi solubili non amilacei (NSP = Non-Starch Polysaccharides). Infatti il mais contiene 1 g/kg di NSP solubili rispetto ai 24 e 45 rispettivamente di frumento e orzo. La composizione chimica ed il valore nutritivo del mais sono piuttosto costanti, ma si può osservare una certa variabilità in funzione della varietà, delle condizioni di crescita, della temperatura d’essicazione, della struttura dell’amido. Di incidenza insignificante in un allevamento “biologico” e/o famigliare questi fattori di variazione possono assumere un ruolo importante nelle condizioni di allevamento avicolo intensivo per l’alta specializzazione ed efficienza raggiunte. Se il mais costituisce la principale fonte energetica delle diete per il pollame contemporaneamente apporta tra il 20 e il 40% della proteina in una dieta per boiler (polli da carne). Tuttavia la proteina del mais presenta un equilibrio amminoacidico che per il pollame è considerato decisamente scarso per l’eccesso di leucina e per lo scarso valore biologico della zeina, principale proteina del mais. Come già nel caso della specie suina, anche per le specie avicole il corretto apporto amminoacidico può essere raggiunto anche semplicemente con miscele mais e farina di estrazione di soia, che permettono di ottenere diete ben equilibrate per il pollame. Il mais poi è ricco in xantofille particolarmente disponibili ed efficaci

Mais nell’alimentazione dei polli

• Il mais rappresenta la fonte energetica per eccellenza nella tradizione e nella pratica dell’alimentazione delle specie avicole

• La proteina del mais presenta un

equilibrio amminoacidico che è decisamente scarso per l’alimentazione delle specie avicole, in particolare nella fase giovanile di crescita

Trip Treo

EM Val 175 150 125 100 75 50 25 0

PG Arg Ist

Fen+Tir

Isoleu

Met+Cis

Lis

Broiler

Leu Ovaiola

Apporto energetico, proteico e amminoacidico del mais rispetto ai fabbisogni del broiler e dell’ovaiola

Contenuto in xantofille di alcune materie prime 100% 80%

Trip 60%

Treo

40%

EM Val 200 150 100 50 0

Arg Ist

Fen+Tir

20%

Isoleu

Met+Cis 0%

PG

Mais

Glutine

Medica disidratata

80:20

Marigold

Luteina

Zeaxantina

Criptoxantina

Zeinoxantina

Violaxantina

Neoxantina

Lis

Leu 70:30

Apporto energetico, proteico e amminoacidico di diverse miscele mais/soia rispetto ai fabbisogni del broiler

359


Scala Roche

utilizzazione

10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

0

20

40

60

per la colorazione della cute e del tuorlo dell’uovo. Questi pigmenti naturali, o di sintesi, una volta assorbiti a livello intestinale vengono fissati per determinare la caratteristica pigmentazione giallo o giallo-arancio propria del tuorlo dell’uovo. Il colore giallo-arancio del tuorlo è uno dei fattori visivi che maggiormente influenzano il consumatore. L’intensità del colore del tuorlo dipende dall’alimentazione e in particolare dal contenuto in xantofille della dieta. Al contrario il colore del guscio dell’uovo è caratteristica legata alla genetica della gallina e l’alimentazione non ha alcuna influenza. Il colore del tuorlo viene espresso in termini di scala Roche che consiste in una serie di 15 cartoncini di diverso colore con intensità crescente dal giallo pallido fino all’arancione molto intenso. I consumatori, delle diverse nazioni e delle diverse regioni, hanno preferenze diverse nei confronti dell’intensità di colore del tuorlo: così in Italia viene, in genere, preferito un colore abbastanza intenso compreso tra 12 e 14, mentre in molti paesi del nord Europa la scelta va verso valori decisamente più bassi (7-9).

% mais Influenza della percentuale di mais nella dieta sul colore del tuorlo

Xantofille ed efficacia biologica nella pigmentazione del tuorlo

Scala Roche

11 9

Contenuto medio

Range

Medica, farina 20% PG

310

200-380

50

Medica, farina 25% PG

480

350-540

50

Mais

17

10-40

80

Glutine di mais, 41% PG

130

90-180

65

Glutine di mais, 60% PG

260

180-400

65

Marigold, farina di petali

7000

4500-14.000

-

Alimenti

5 3 1

5

10

15

20

mg xantofille/kg alimento Relazione tra apporto di xantofille con l’alimentazione e il colore del tuorlo

360

Xantofille (mg/kg)

Efficacia biologica

7


usi zootecnici Da considerare che valori più bassi della scala Roche sono più facilmente raggiungibili con diete a base mais senza necessità d’integrazione con altre materie prime a elevato contenuto in xantofille quali le farine di medica disidratata, il glutine di mais o l’esigenza di ricorrere ad additivi. È inoltre da considerare che l’efficacia biologica delle diverse fonti di xantofille è variabile e tale efficacia biologica dipende in primo luogo dalla loro stabilità (sono pigmenti sensibili all’ossidazione) nelle materie prime e nei mangimi, dalla digeribilità delle singole xantofille nelle differenti materie prime e dalle eventuali trasformazioni metaboliche. Per quanto concerne la stabilità delle xantofille (sono molecole sensibili all’ossigeno ed alla luce) nella granella intera di mais sono ben protette e la loro riduzione è in media compresa tra il 2 e il 5% al mese, mentre è più del doppio nei mangimi. Evidentemente un effetto positivo può aversi con l’aggiunta di sostanze antiossidanti. Diete con meno di 5 g di xantofille per tonnellata di mangime comportano la produzione di uova troppo pallide per il consumatore, mentre già 7-8 g/t sono sufficienti per garantire valori della scala Roche compresi tra 7-8. Le xantofille devono però essere apportate a livelli di 25 ppm per t di mangime per assicurare una colorazione pienamente soddisfacente del tuorlo (circa 12 della scala Roche). È evidente come il colore del tuorlo d’uovo cresca in modo curvilineo in proporzione con il contenuto in xantofille gialle presenti nell’alimento. È altresì dimostrata l’esigenza d’introdurre la componente pigmentante rossa se si vogliono ottenere valori della scala Roche superori a 10. Per l’uso industriale il colore del tuorlo rientra tra le specifiche d’acquisto. In particolare per la produzione di maionese vengono preferite delle uova scarsamente colorate, per la produzione delle paste all’uovo si preferisce un intenso colore giallo mentre per l’industria dolciaria è apprezzato un colore arancio.

361


il mais

utilizzazione Usi industriali Pierangelo Marconi

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.


utilizzazione Usi industriali Introduzione Il mais, tra tutte le materie prime agricole, è quella che più d’ogni altra ha saputo adattarsi ai diversi ambienti agronomici rappresentando una fonte insostituibile per l’utilizzo diretto e per le trasformazioni industriali. Le mutate esigenze alimentari primarie, unitamente allo sviluppo di nuove conoscenze in ambito chimico e microbiologico, oltre all’acquisizione di tecnologie industriali sempre più sofisticate, hanno consentito, a partire dalla metà del milleottocento, di guardare al mais come alla materia privilegiata per l’impiego industriale. È così che, grazie alle sue proprietà chimico-fisiche e all’elevato potere calorico, intuito più di quattromila anni fa dai popoli del centro America, si sono sviluppate numerose attività industriali in grado di sfruttare, esaltandole, le proprietà di questa meravigliosa “miniera verde”. Tra queste le principali sono rappresentate dall’estrazione a umido dell’amido e dall’impiego nell’industria molitoria e nella chimica verde, che ricorre al mais per la produzione di energia rinnovabile e per la sostituzione di materiali plastici con prodotti biodegradabili.

Prodotti derivati dal mais

• La gamma di prodotti ottenibili

lavorando il mais a secco (mulini) o per via umida (amideria) è molto ampia

• Attraverso la lavorazione a secco

si ottengono: spezzati più o meno fini (homini, grits), semola, farina e crusca. Con gli sfarinati, a loro volta, si producono fiocchi, polenta, farine precotte, semole glutinate ecc.

• Dalla lavorazione per via umida

si ottengono prodotti di prima trasformazione: amido nativo, proteine, farina glutinata, corn steep liquor (un concentrato proteico frutto della fermentazione lattica del mais). Successivamente, impiegando l’amido come materia prima in un processo a cascata, si generano prodotti di seconda trasformazione: destrine, glucosio, destrosio, fruttosio, isoglucosio, caramello, amidi pregelatinizzati, amidi modificati, ciclodestrine, polioli e acidi organici

Dal mais all’amido: storia dell’amideria dalle sue origini a oggi La tecnica di estrazione dell’amido è nota fin dai tempi antichi quando era ottenuto da un impasto di farina di frumento e orzo. Il ritrovamento di fogli di papiro dell’antico Egitto fanno risalire l’impiego dell’amido a 3500-4000 anni prima della venuta di Cristo: in quell’epoca il riso e il frumento erano ampiamente coltivati e venivano utilizzati oltre che per l’alimentazione umana anche per usi tecnologici seguendo il cammino della civilizzazione. Nel primo secolo dopo Cristo, lo scienziato greco Dioscoride nel suo trattato sulle sostanze con effetti benefici sulla salute dell’uomo “Perí haplón pharmákon” (Trattato sulla pratica medica) parla per primo di una sostanza di origine vegetale utilizzata per la produzione di medicamenti e impieghi domestici, non esclusivamente alimentari. Si deve ai Romani inizialmente e successivamente ad altre popolazioni europee il merito di aver migliorato e diffuso la tecnica di estrazione dell’amido da cereali, che è rimasta pressoché invariata fino al tardo medioevo. La storia moderna dell’industria dell’amido, estratto per via umida, si sviluppa alle origini negli Stati Uniti di America dove, nei primi anni del XIX secolo, l’amido era ottenuto dal frumento e dalla patata. Il merito della nascita della prima amideria di mais è comunemente riconosciuto a Wm. Colgate & Company, che convertì a mais il preesistente impianto di Jersey City, N.J., dove precedentemente si lavorava frumento: era l’anno 1844.

Scultura tipica della tradizione occitana: frutti con grani a simboleggiare fortuna e fertilità

362


usi industriali Da questo momento ha preso inizio la grande diffusione dell’amideria negli Stati Uniti e il mais è ben presto diventata la materia prima per eccellenza. L’impiego per la bozzima, quale coadiuvante nella filatura delle fibre vegetali e il confezionamento dei tessuti, in qualità di appretto ha rappresentato il primo rilevante sbocco commerciale per l’amido. Negli stessi anni in Europa muoveva i primi passi l’estrazione dell’amido dal frumento e dalla patata. La produzione nel 1866 del destrosio, zucchero semplice che rappresenta l’elemento di base della molecola complessa dell’amido, ha segnato un momento importante a partire dal quale ha mosso i suoi primi passi e poi si è sviluppata la chimica degli zuccheri: il destrosio è divenuto ben presto il supporto energetico privilegiato per l’industria delle fermentazioni. Negli anni che seguono si affina la tecnica di idrolisi dell’amido, che consente la produzione di miscele di zuccheri destinate ai più svariati impieghi, specialmente nel settore alimentare, svolgendo la funzione di edulcoranti in sostituzione dello zucchero di canna. Nel momento in cui l’attività d’estrazione dell’amido si realizza su scala industriale, gli amidieri incominciano a valorizzare tutti quei prodotti “fatali” che, essendo anch’essi al pari dell’amido costituenti della cariosside del mais, sono separati nel corso delle successive fasi di separazione dell’amido. È così che il pericarpo, sottile strato di rivestimento della cariosside ricco in fibra, il glutine che rappresenta la frazione proteica, il germe dal contenuto elevato in olio e l’acqua di macerazione ricca d’elementi solubili, trovano il loro sbocco naturale nel settore dell’alimentazione zootecnica e della fermentazione. Solo agli albori del 1900 si sviluppa la chimica dell’amido capace di sfruttare a pieno ed esaltare le sue principali caratteristiche reologiche quali la viscosità e la fluidità. Dopo aver messo a punto tecnologie capaci di elevare i livelli di purezza, prende inizio la produzione di amidi tostati, le destrine, gli amidi precotti solubili a freddo e quella di amidi modificati per via chimica. Negli anni venti del XX secolo la ricerca in campo microbiologico dà un grosso impulso al settore, introducendo l’impiego di enzimi in grado di agire in modo mirato e specifico sulla molecola dell’amido per la fabbricazione dei primi prodotti di idrolisi, del destrosio cristallizzato e quindi del destrosio anidro (disidratato) e delle maltodestrine. La possibilità di produrre destrosio purificato e cristallizzato, unitamente alla disponibilità di nuovi e più efficienti enzimi, ha consentito successivamente la fabbricazione di prodotti di isomerizzazione quali il fruttosio che miscelato con il destrosio da origine all’isoglucosio, succedaneo del saccarosio, zucchero di barbabietola e di canna. Gli sciroppi di mais grazie agli elevati standard di purezza hanno quindi concorso alla crescita esponenziale dell’industria della fermentazione per la fabbricazione di lieviti, enzimi, acidi organici, produzioni molto spesso integrate a valle dell’amideria. Parallelamente all’evoluzione della chimica degli zuccheri si è af-

Mercato dell’amido e dei suo derivati

• In Europa ventiquattro Gruppi

industriali producono amido a partire da cerali e da patata utilizzando in totale più di ventiduemilioni di tonnellate di materia prima di origine agricola (mais,frumento e patata)

• La produzione di amidi è realizzata in

diciotto dei venticinque paesi aderenti all’UE-25, fatta eccezione cioè per Lussemburgo, Irlanda, Malta, Cipro, Slovenia, Lithuania ed Estonia

• La maggior parte delle amiderie sono

storicamente concentrate nel Nord Europa dove per molti anni hanno tratto vantaggio dalla loro vicinanza ai maggiori porti di transito dei cereali importati dalle Americhe. Attualmente le stesse amiderie hanno differenziato la fonte di approvigionamento della materia prima rivolgendosi anche al frumento, facilmente reperibile a prezzi competitivi e dal quale si ottiene un coprodotto commercialmente molto interessante, il glutine di frumento 4% 10%

30%

28% 27% 1%

Dolciario e bibite

Alimentare

Feed

Carta e cartone

Chimico farmaceutico

Altri non food

Fonte AAF = Associazione amidieri e fecolieri

Campi d’impiego dell’amido e dei suoi derivati

363


utilizzazione finata, nel secondo novecento, la trasformazione dell’amido che ha consentito di differenziare l’offerta di prodotti modificati per via chimica ed enzimatica. Si sono spalancate quindi le porte per l’impiego degli amidi nel settore alimentare, farmaceutico, industriale (fonderie, filature, cementifici, colori), della carta e cartone e solo più recentemente è stato utilizzato per la produzione di materiali plastici biodegradabili. La ricerca dell’efficienza massima nella gestione degli impianti, legata a economie di scala sempre più elevate, ha visto lo svilupparsi negli Stati Uniti, nel secondo dopoguerra, accanto all’amideria, la produzione di etanolo fabbricato a partire direttamente dal mais o da suoi prodotti di idrolisi (zuccheri di mais). Solo recentemente in Europa si è cominciato a parlare della produzione d’etanolo da mais e frumento, decisione che, a causa degli elevati prezzi della materia prima, è oggi messa in discussione. Il mais continua invece a rappresentare la principale materia prima per l’amideria essendo gli amidi di mais e i suoi derivati destinati a essere impiegati in una miriade di impieghi nei campi più disparati.

Composizione chimica dell’amido L’amido di mais è costituito da molecole di destrosio che possono essere così organizzate:

• amilosio, a struttura lineare • amilopectina, a struttura ramificata Il rapporto amilosio/amilopectina nel mais comune è mediamente 26/74 e nel mais waxy 0,2/99,8; nell’amylo-mais è circa 30/70

Cariosside del mais Prima di addentrarsi a esplorare le varie fasi di lavorazione che sono realizzate in una industria di estrazione del mais per via umida, comunemente detta “amideria” è opportuno mettere brevemente sotto la lente di ingrandimento la cariosside di mais evidenziando la sua conformazione, la composizione e le proprietà principali degli elementi che la compongono. La solubilità in acqua, il peso specifico, la densità e l’idrofobicità sono proprietà specifiche di ciascuno degli elementi presenti nella granella, caratteristiche fondamentali per la realizzazione dei processi di separazione e purificazione dei componenti estratti dalla granella.

Caratteristiche dell’amilosio Peso molecolare

(10-200) x 103

Unità di glucosio n°

700

Conformazione

Cristallina elicoidale

Complesso con iodio

Colore blu forte

Complesso con grassi

Facile

Composizione chimica media della cariosside di mais Ceneri 1,5% Mais

Caratteristiche dell’amilopectina Peso molecolare

(50-1000) x 10

Unità di glucosio n°

70.000

Conformazione

Globulare ramificata

Complesso con iodio

Colore rosso

Complesso con grassi

Difficile

Cellulosa 3,5% Zuccheri 2,8%

3

Proteina grezza 9,3% Sostanze grasse 5,8% Amido totale 77,1%

364


usi industriali Cos’è l’amido L’amido costituisce il principale materiale energetico di deposito presente nel mondo vegetale. I cereali (mais,frumento, orzo, riso unitamente ai tuberi di patata e alla tapioca) rappresentano la fonte primaria di amido reperibile in natura e utilizzata per impieghi industriali. Visivamente le molecole di amido appaiono di varia forma in funzione della propria origine: osservandole al microscopio e utilizzando una soluzione di contrasto, si individuano strutture poliedriche tipiche del mais; forme tondeggianti di dimensione irregolare sono invece caratteristiche dell’amido di frumento. I granuli dall’aspetto lenticolare contraddistinguono l’amido di patata definito comunemente fecola. La molecola d’amido può esser paragonata per semplicità a un gomitolo in cui sono arrotolati filamenti costituiti da una sequenza lineare di molecole di destrosio detti amilosio, cui si contrappongono catene ramificate definite amilopectina. L’amilosio e l’amilopectina sono disposti radialmente nel granulo e sono quindi tenuti coesi dalla presenza di una fitta rete di legami di natura chimica. Comunemente l’amido contenuto nei cereali è formato per circa il 15- 25% da amilosio e il 75-85% da amilopectina. È interessante a questo punto ricordare che l’amido non è solubile in acqua a causa della particolare struttura dei suoi granuli nei quali si osserva la disposizione tangenziale dei terminali idrofobi che, non avendo alcuna affinità con l’acqua, lo rendono insolubile. Per solubilizzarlo è necessario disperderlo in acqua e quindi, a seguito del riscaldamento a una temperatura superiore ai 60/70°, si forma una sospensione densa in cui i filamenti che compongo-

Granuli d’amido al microscopio elettronico: mais (in alto), frumento (al centro) e patata (in basso)

Dopo essere stato vagliato per eliminare le impurità, il mais (a sinistra) viene macerato in ambiente acquoso al fine di separare i vari componenti. Si ottiene così il latte d’amido, sospensione acquosa da cui, dopo essiccazione e macinatura si ottiene l’amido (a destra)

365


utilizzazione no il granulo d’amido si distanziano consentendo l’inserimento di molecole d’acqua: si forma quindi la così detta salda d’amido. La presenza dell’acqua all’interno del granulo è temporanea e poco stabile: a seguito del successivo raffreddamento che segue alla cottura e al relativo scoppio dell’amido, l’acqua viene espulsa dalla salda e si riformano dei legami chimici, specialmente tra i filamenti di amilosio. Questo fenomeno è noto con il termine di retrogradazione.

OH

HO Legami intermolecolari

Comportamento dell’amido in acqua Acqua calda

OH

HO

Acqua Acqua calda

Amido idratato L’acqua fuoriesce (sineresi)

Sospensione

Acqua calda

Granulo d’amido (20 μm) Acqua

OH

Pasta d’amido viscosa HO

Sospensione d’amido

Ogni tipo d’amido, in funzione della sua origine botanica, presenta una propria temperatura di cottura e una risposta specifica al ciclo di riscaldamento e successivo raffreddamento, che si esprime in ultima analisi nel differente livello di retrogradazione. L’amido di mais waxy, per esempio, grazie all’elevato contenuto di amilopectina (99,8%) è in grado di stabilizzare l’acqua assorbita nel corso del riscaldamento e presenta quindi un livello bassissimo di retrogradazione. Un’ulteriore caratteristica dell’amilopectina è rappresentata dalla capacità di complessare lo iodio: ne consegue che se si spruzza l’amido di mais waxy con una soluzione acquosa di ioduro di potassio, resta evidente la colorazione rossa del liquido di contrasto. Al contrario, nel caso dell’amido di mais comune, la presenza d’amilosio fa comparire una colorazione blu scura, quasi nera, la stessa che si osserva su tutti gli altri tipi di amido. Il test allo iodio è comunemente impiegato per verificare in modo semplice, ma certo, la purezza dell’amido waxy e della granella da cui esso è ottenuto. Il comportamento in fase di cottura e successivo raffreddamento è molto importante per caratterizzare la reologia degli amidi nativi, ottenuti dalle singole materie prime. Ricorrendo al metodo analitico Brabhender viene monitorata la variazione di viscosità della salda d’amido descrivendo un tracciato tipo per ogni tipo di amido.

Legami tra filamenti di amilosio Schema della retrogradazione

Sopra è evidente il tipico colore rosso dell’amido waxy, costituito quasi esclusivamente da amilopectina, dopo reazione con una soluzione di ioduro di potassio. Sotto è mostrato invece l’amido di mais comune, che assume il colore blu scuro, quasi nero

366


usi industriali Come si può osservare nel grafico a lato, il Brabender registra le variazioni di viscosità nelle singole fasi del ciclo di cottura: parte con il riscaldamento iniziale (A), cui segue il rigonfiamento e lo scoppio dei granuli d’amido (B), per concludersi con la caduta di viscosità conseguente al raffreddamento della salda d’amido (C). Grazie a precisi trattamenti chimici è possibile modificare il comportamento dell’amido nelle diverse fasi della cottura, descrivendo quindi tracciati modificati rispetto a quelli propri degli amidi nativi. Restano in ogni modo fondamentali le caratteristiche iniziali tipiche delle singole materie su cui si lavora, esaltate grazie alle modifiche chimiche apportate. Oltre alla viscosità vi sono anche altre caratteristiche reologiche che caratterizzano le diverse materia prime, che vengono riportate nella tabella seguente.

Picco

C Viscosità

B

A

Dispersione

Temperatura di rigonfiamento e gelatinizzazione 60

Proprietà degli amidi nativi Amido waxy

Fecola di patata

Temperatura di gelatinizzazione

75 °C

72 °C

65 °C

85 °C

72 °C

Viscosità Brabender

1100

2000

3200

400 Non cotto

1900

Retrogradazione

Elevata

Bassa

Elevata

Elevata

Media

Aspetto

Opaco

Trasparente

Magro

Opaco

Magro

Tessitura colla

Corta

Molto corta

Lunga

Corta

Lunga

Gusto

Cereali

Cereali

Neutro

Cereali

Neutro

Curve della viscosità di Brabender

Amido Amido di frumento di tapioca

3000 Viscosità

Amido di mais

100 Temperatura

2000 1000 60 70 80 90

Qualità del mais utilizzato dall’amideria Il processo produttivo realizzato in amideria ben si adatta al mais che rappresenta, quindi, la parte più rilevante della materia prima utilizzata. Accanto al mais comune sono anche utilizzati i così detti mais speciali (waxy, amylo-mais), in misura ridotta rispetto al mais comune, ma molto interessanti in relazione alle rispettive caratteristiche reologiche del proprio amido. Accanto a questi, per alcune lavorazioni, viene impiegato il mais bianco, interessante per la sua caratteristica naturale legata al colore bianco della cariosside dovuta all’assenza di xantofilla (pigmento giallo), che consente la produzione di amido completamente non pigmentato definito extra-bianco. Tutti i tipi di mais speciali condividono la caratteristica che il gene determinante la singola specificità è recessivo: ne consegue che, nel caso in cui l’ovulo di uno di questi mais è fecondato da un granulo di polline proveniente da una pianta normale, perde la propria natura originaria, dando origine a una cariosside inquinata.

90

70 50 Temperatura °C

Amido di patata

Amido di mais

Amido di tapioca

Amido di frumento

Amido di mais waxy Evoluzione della viscosità dell’amido in fase di cottura

Mais bianco, comune, waxy e amylo-mais sono lavorati in amideria per le differenti caratteristiche del loro amido

367


utilizzazione Trattandosi di geni recessivi che si esprimono quantitativamente, la recessività si manifesta puntualmente su ogni cariosside, caratterizzando tutto l’amido che la stessa contiene. Ne consegue che è possibile trovare sulla stessa spiga tutte le cariossidi pure o, in caso di contaminazione con polline estraneo, possono coesistere quelle pure al 100%, accanto ad altre il cui amido è completamente contaminato. Il numero delle cariossidi contaminate rapportate al numero totale presenti sulla spiga indica il livello di inquinamento del mais. Per convenzione commerciale i mais speciali sono ritenuti puri quando l’inquinamento non supera il 2% per il mais bianco e il 5% per il waxy e l’amylo-mais. L’esistenza di questi geni in natura è nota da secoli, ma solo a seguito dello sviluppo dell’amideria e in accordo all’esigenza di individuare nuovi tipi di amidi da destinare a impieghi tecnologici, i ricercatori hanno sviluppato progetti di miglioramento genetico mendeliano specifici per consentirne la produzione su scala industriale. Passando all’aspetto legato all’utilizzo industriale è fondamentale che i mais speciali siano puri, cioè esenti da contaminazione dovuta a polline estraneo. La produzione deve avvenire nel rispetto scrupoloso di alcune precauzioni: – impiegare solo sementi pure; – utilizzare macchinari per la semina, la raccolta, l’essiccazione, lo stoccaggio e il trasporto perfettamente puliti da altri mais, evitando le cause di ogni occasionale contaminazione; – seminare solo appezzamenti “isolati”, distanti cioè da campi coltivati a mais di altro tipo in modo da scongiurare la contaminazione da polline estraneo. Bisogna adottare, cioè, le stesse regole per la produzione delle sementi ibride. La trasformazione in amideria rappresenta, per il mais waxy e l’amylo-mais, il solo impiego che ne giustifica la produzione, fornendo uno sbocco di mercato certo per i produttori. Questi mais speciali, unitamente al mais a cariosside bianca, sono coltivati sulla base di un contratto di filiera stipulato prima delle semine con l’industria trasformatrice. A fronte del rispetto scrupoloso di capitolati specifici, finalizzati alla produzione in isolamento e in purezza, viene riconosciuto un differenziale di prezzo, purché le partite rispondano agli standard qualitativi richiesti. Fatta eccezione per la purezza dei mais speciali, la trasformazione in amideria non richiede caratteristiche supplementari del mais: la qualità commerciale intesa come “merce sana, leale e mercantile” nel rispetto delle normative vigenti in materia sanitaria, risponde a pieno alle esigenze dell’industria dell’amido. La qualità della granella è controllata puntualmente all’entrata negli stabilimenti al fine di verificare la conformità ai parametri commerciali. L’obbligo al rispetto della normativa nazionale e Comunitaria in materia di sanità e salubrità degli alimenti impone, inoltre, che il mais lavorato sia esente da contaminazioni d’origine fungina (aflatossine e più in generale micotossine), chimica (pro-

Raccolta della granella per l’estrazione dell’amido

• È fondamentale raccogliere il

mais quando la granella presenta un’umidità non inferiore al 24% per non danneggiarla meccanicamente e per limitare l’insorgere di contaminazioni fungine in campo

Essiccazione del mais in cribs o gabbioni ungheresi

Conservazione del mais nei gabbioni ungheresi

• L’essiccazione in cribs, altrimenti detti

gabbioni ungheresi, prevedeva di porre le spighe di mais, raccolte a umidità di circa il 25%, in gabbie per essiccarle con la ventilazione naturale. In tali condizioni è elevatissimo il rischio legato alla diffusione di contaminazioni di origine fungina

• Fortunatamente questa pratica

è quasi completamente abbandonata e sopravvive in alcune aree maidicole marginali

368


usi industriali dotti fitosanitari) e radioattiva. Dal punto di vista sanitario la qualità del mais è correlata strettamente alle corrette pratiche agronomiche, a partire dalla scelta degli ibridi adeguati all’ambiente in cui devono essere coltivati in assenza di stress e mantenuti esenti da attacchi parassitari, e dall’espletamento in modo corretto e tempestivo delle successive operazioni di raccolta, essiccazione e stoccaggio. Oltre ai tradizionali criteri contrattuali di controllo della materia prima, le amiderie dispongono di un metodo interno di controllo, il promatest, utilizzato per verificare la qualità del mais da utilizzare. Si tratta di un metodo analitico che, quantificando la denaturazione delle proteine causata da una non buona pratica di essiccazione, consente di prevedere, analizzando un campione rappresentativo, la qualità del mais che sarà lavorato in stabilimento. Tenuto conto della capacità di una amideria, che in Europa può variare dalle 1000 alle 2000 t di mais lavorato al giorno, il promatest ha un significato nel momento in cui viene effettuato su campioni rappresentativi di grosse partite omogenee di mais, come avviene per esempio in Francia, dove buona parte della produzione è concentrata in grossi centri di raccolta. Risulta essere invece di scarso interesse pratico, perché non rappresenativo, nel caso in cui l’offerta di mais sia frammentata, come accade in Italia. Al fine di rispondere adeguatamente alle esigenze espresse dal settore alimentare in merito alla “non derivanza” degli amidi e loro derivati da mais modificato geneticamente, le amiderie Europee e Italiane in particolare hanno implementato procedure certificate per la tracciabilità e la rintracciabilità degli amidi e derivati ottenuti esclusivamente da mais convenzionale.

Proteine intatte

Essicazione moderata Proteine coagulate

Essicazione forte

Molte proteine solubilizzate

BUONO Risultato elevato fino a 60

Poche proteine solubilizzate

CATTIVO Risultato basso, circa a 0

Scala di valutazione del Promatest e giudizio di qualità (mg albumina/ 100 ml)

Inferiore a 9 Da 9 a 17,99 Da 18 a 26,99

Cattiva Discreta Abbastanza buona Da 27 a 35,99 Buona 36 o superiore Molto buona

Promatest

Lavorazioni in amideria umida La trasformazione del mais in amideria rappresenta il tipico processo industriale a cascata, nel quale il risultato di una singola tappa di lavorazione può essere al tempo stesso un prodotto finito destinato alla vendita o materia prima per le successive fasi industriali. In ogni modo, alla fine del processo produttivo, gli amidi e i derivati ottenuti costituiscono la materia prima per l’impiego in vari settori industriali e solo in limitatissimi casi (come per i coprodotti per uso zootecnico) sono essi stessi prodotti finiti. Un aspetto importante risiede nel fatto che nulla viene perduto dei componenti della cariosside di mais: tutti i suoi costituenti sono estratti, isolati e trovano un impiego utile. La maggior parte delle lavorazioni è effettuata in ambiente acquoso e a condizioni di temperatura elevata, grazie all’impiego di vapore: ne consegue che l’amideria oltre a utilizzare ingenti quantitativi di materia prima agricola richiede anche l’impiego di eleva-

Granulo d’amido idrolizzato con enzimi

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utilizzazione ti volumi d’acqua e un consumo molto rilevante di energia, oltre che per il funzionamento dei macchinari, anche per la produzione di vapore, per l’evaporazione dell’acqua, fino all’essicazione dei prodotti finiti. Per dare un’idea del fabbisogno energetico, basti pensare che la domanda di energia elettrica di uno stabilimento medio che lavora 1500 t di mais al giorno è comparabile a quella consumata da una cittadina di 20.000 abitanti. Entrando nel dettaglio del processo produttivo, si procede in primo luogo alla vagliatura e pulitura accurata della granella, allo scopo di eliminare tutte le impurità e i piccoli frammenti: solo le cariossidi pressoché integre sono destinate alla lavorazione. La prima vera tappa del processo avviene in amideria umida dove il mais è messo a macerare in acqua per più di trenta ore a una temperatura costante superiore a 50° C. Scopo della macerazione è di ammorbidire la granella per rendere possibile la sua successiva separazione, recuperando nel contempo tutti gli elementi solubili. La separazione è agevolata anche dall’impiego di ridotti quantitativi di bisolfito di sodio: uno scambio osmotico consente la diffusione dei materiali solubili dalla cariosside all’acqua di macerazione arricchendola di sali minerali, aminoacidi, proteine e acido lattico,(formatosi naturalmente grazie all’instaurarsi di una fermentazione lattica degli zuccheri liberi presenti nella granella), portando nel complesso alla formazione del così detto corn steep liquor. A conclusione della macerazione si separa quindi il corn steep liquor che, dopo esser stato concentrato e talora atomizzato, è pronto per la commercializzazione. Una parte non trascurabile è inoltre addizionata alla semola di mais, per elevarne il tenore proteico, formando la farina glutinata di mais o corn gluten feed. La granella, dopo essere stata separata dall’acqua di macerazione, è avviata a grossi macinatori a piastre che, in modo energico ma delicato, spappolano il mais preservando l’integrità dei germi e trasformando il tutto in una poltiglia densa. Prende quindi inizio la fase di separazione meccanica del mais, nel corso della quale si opera sfruttando le differenti caratteristiche di densità e di peso specifico dei costituenti della cariosside.I germi sono molto leggeri in considerazione dell’elevato contenuto in olio. Quindi, grazie all’impiego di grossi idrocicloni, sono separati per primi dato che si trovano a “galleggiare” sulla sospensione costituita da latte d’amido, glutine e crusca. Iniettando nella parte apicale degli idrocicloni tale sospensione e grazie alla forza centrifuga si genera un vortice in cui le parti più leggere, cioè i germi, sono spinti verso l’alto per essere estratti. Il germe è quindi lavato ripetutamente e l’acqua in eccesso è eliminata, prima di procedere alla essiccazione. Il germe così condizionato è pronto per essere spremuto o, in via alternativa,

Amiderie

• Le amiderie che trasformano il mais

nell’Europa a 25 producono più di 600 prodotti che comprendono amidi nativi, amidi modificati, prodotti idrolizzati, polialcoli ed acidi organici

• In relazione alla diversa natura delle

materie prime utilizzate, l’estrazione dell’amido viene realizzata con procedimenti diversi dai grani interi di mais per macerazione, dal frumento per lisciviazione e dalla fecola di patata per flocculazione. Ne consegue che il mais, la patata ed il frumento non sono succedanei tra loro e che gli impianti d’estrazione dell’amido sono consacrati alla lavorazione di una sola, specifica, materia prima. Il discorso cambia per quanto attiene le lavorazioni legate alla trasformazione dell’amido: nel caso del mais e del frumento vi è una sufficiente sostituibilità reciproca, che invece non esiste nei confronti della fecola di patata

Dal mais si ottengono spezzati usati per la preparazione di corn-flakes e farine di varie granulometrie

370


usi industriali trattato con solventi per estrarne l’olio, ottenendo come coprodotti rispettivamente il panello di germe o la farina di estrazione di germe di mais, impiegati nell’alimentazione animale. La tappa successiva di lavorazione riguarda la separazione della crusca (il pericarpo, ossia la parte esterna della cariosside) dal latte d’amido e glutine, effettuando successivi passaggi su setacci, intervallati a ripetuti lavaggi. Si effettua quindi una leggera pressatura del germe per eliminare l’acqua in eccesso e consentire l’aggiunta del corn steep liquor concentrato che era stato separato in precedenza.

Composizione media dell’olio di mais Acqua/solubile

Max 0,5%

Acidità (in ac. Oleico)

5 g max/100 g

Acidità totale

18-30%

Fosfolipidi-fosforo

Max 6000 ppm

Acido linoleico

55% ca.

Acido oleico

30% ca.

Acido stearico

2% ca.

Acido palmitico

11% ca.

Dai germi di mais si ottiene, per spremitura, l’olio grezzo, che verrà successivamente raffinato

Dopo l’essiccazione la semola è macinata e condizionata per essere anch’essa impiegata nel settore zootecnico. Da ultimo si procede alla separazione delle proteine dall’amido attraverso l’impiego di centrifughe a piatti. Le proteine, che hanno una densità inferiore e che galleggiano sul latte d’amido più denso, sono raffinate per affioramento (overflow) attraverso passaggi successivi su casse di flottazione. L’acqua in eccesso è quindi allontanata ricorrendo all’impiego di filtri a tamburo che operano in depressione. L’essiccazione e il condizionamento concludono la lavorazione delle proteine che sono quindi destinate all’alimentazione degli animali. A questo punto, dopo aver isolato l’acqua di macerazione e recuperato il germe, setacciata la semola ed estratto il glutine, non resta che occuparsi del latte d’amido. Bisogna anzitutto ripetere più volte il lavaggio del latte d’amido attraverso un processo a stadi in controcorrente con acqua potabilizzata, al fine di abbattere il tenore proteico dall’originale 2-4% allo 0,3-0,4% finale. La ricerca della purezza del latte d’amido è fondamentale, dato che da essa dipende l’esito delle successive applicazioni tec-

Semola glutinata di mais

Composizione media del corn gluten feed (semola glutinata di mais) (% sul tal quale)

371

Acqua

13%

Proteina greggia

17%

Amido

18%

Grassi totali

3,5%

Cellulosa

7,7%

ADF

7,7%

NDF

29%


utilizzazione nologiche cui sono destinati gli amidi e i suoi derivati, con particolare attenzione agli sciroppi e agli zuccheri di mais: si vuole cioè scongiurare la presenza residua di proteine che possono causare l’imbrunimento degli sciroppi, degradandone la qualità, quando questi sono riscaldati per l’instaurarsi della nota reazione di Maillard. È bene ricordare che vi è una correlazione diretta tra la separazione dell’amido dalle proteine: se l’essiccazione del mais avviene in condizioni non ottimali, si causa l’incollamento della frazione proteica a quella amilacea. La centrifugazione in filtri a tela di una parte del latte d’amido puro consente di procedere quindi all’essicazione in corrente d’aria calda e alla macinazione dell’amido, preludio al condizionamento finale per la vendita, come amido nativo. La parte più rilevante del latte d’amido rappresenta la materia prima per ulteriori trasformazioni, realizzate nei reparti a valle dell’amideria umida per la produzione di amidi modificati, sciroppi e zuccheri di mais, prodotti idrogenati, acidi organici ecc.

Composizione media del corn gluten meal (erroneamente definito glutine di mais) (% sul tal quale) Acqua

11%

Proteina greggia

60%

Grassi totali

8,5%

Cellulosa

1%

Minerali (F, K, Ca, Mg, Na, Cl)

1%

ADF

0,5%

NDF

1,9%

b-carotene

15/20 ppm

Xantofilla

250/300 ppm

Amidi ottenuti dal mais Il latte d’amido concentrato e purificato è la materia prima per la produzione di vari tipi di amidi. Amido nativo. Si tratta dell’amido nello stato naturale, così come è stato estratto dal mais senza subire alcun trattamento :è ottenuto direttamente dalla centrifugazione del latte d’amido ed essiccato in corrente d’aria calda. L’amido nativo trova impiego come ingrediente per confezionare dolci, come addensante nell’industria alimentare (budini, creme e dessert) o come base per le colle nel settore cartotecnico. Amidi precotti. L’amido per sua natura è insolubile in acqua fredda: per renderlo solubile è necessario che venga cotto prima di essere essiccato. Si procede quindi al trattamento termico del latte d’amido a una temperatura superiore a 120 °C, generata da vapore sotto pressione. La sospensione di latte d’amido ad alti livelli di concentrazione è fatta poi colare su di un tamburo che, grazie a rulli controrotanti, crea un impasto contemporaneamente cotto ed essiccato. La sfoglia che ne risulta è quindi macinata finemente prima di essere condizionata. Il prodotto che si ottiene è una polvere solubile in acqua a freddo. Con un trattamento termico dell’amido, un tenore d’acqua ridotto e in ambiente leggermente acido è possibile tostare l’amido ottenendo le destrine che trovano naturale impiego come elemento di base per la produzione di colle e appretti. Queste destrine, normalmente chiamate “destrine gialle” a causa del caratteristico colore paglierino, non devono essere confuse con le maltodestrine, impiegate per uso alimentare.

Distillers per l’alimentazione zootecnica

372


usi industriali Amidi modificati. A partire dall’amido nativo può prendere avvio una serie di trasformazioni di natura esclusivamente chimica finalizzata alla produzione di amidi modificati. A questa categoria appartengono: – gli amidi fluidificati. Il trattamento di fluidificazione, che avviene in ambiente acido a una temperatura superiore ai 40°C, ha lo scopo di ridurre la viscosità dell’amido e di elevarne la fluidità, rendendolo più facilmente utilizzabile a concentrazione di sostanza secca elevata, come richiesto nella formulazione di colle per la preparazione di cartone ondulato o per la formazione del cartongesso. – gli amidi eterificati ed esterificati. Sono ottenuti inserendo gruppi dinatura chimica sulla catena dell’amido. Nel caso degli amidi eterificati, apportando cariche positive, si formano i così detti amidi cationici che, interagendo con l’anionicità (cariche negative) delle fibre di cellulosa, migliorano la resistenza e le caratteristiche generali della carta. In considerazione dei diversi reagenti chimici utilizzati, la reazione di esterificazione consente la fabbricazione degli amidi acetilati e reticolati. La reologia modificata di questi amidi è in grado di esprimere una elevata resistenza agli attacchi di natura chimica e alle sollecitazioni meccaniche, stabilizzando quindi la salda d’amido nel corso delle relative applicazioni prevalentemente nel settore alimentare, ad esempio per la produzione di cibi precotti. È inoltre possibile produrre amidi in grado di combinare due e più delle citate modifiche chimiche consentendo l’attribuzione all’amido di proprietà emulsionanti. – le fibre alimentari. Sottoponendo l’amido nativo a un trattamento di destrinizzazione in condizioni strettamente controllate, si realizza un processo di ripolimerazione che porta alla formazione di nuove strutture che risultano resistenti agli enzimi del tratto dell’intestino medio dell’uomo ma che sono in grado di fermentare nel successivo tratto del colon. Le fibre alimentari solubili sono impiegate praticamente in tutti quei prodotti alimentari in cui si intende accrescere il tenore in fibre allo scopo di migliorare la funzione digestiva, entrando talora nella formulazione di alimenti particolari.

Amidi nativi

• Sono inseriti come ingredienti in molte

applicazioni dove esprimono la propria viscosità naturale oltre alla facoltà di legare e stabilizzare gli alimenti

• L’amido nativo, dopo attacco

enzimatico, dà origine alla popolosa famiglia degli zuccheri di mais, che interviene nella formulazione di molti alimenti confezionati: dolci, caramelle, prodotti a base di latte, bibite, confetture ecc.

Amidi precotti

• Oltre agli amidi nativi anche quelli

modificati possono essere sottoposti al procedimento di cottura per renderli solubili. Questa tipologia di amidi è particolarmente indicata per la preparazione di creme istantanee e commercializzate in polvere, o come coadiuvante per paste senza glutine o ripieni per pasta fresca

Amidi modificati

• Facilitano la preparazione industriale degli alimenti, rendondoli più resistenti alle sollecitazioni termiche e meccaniche durante la fase di fabbricazione

Sciroppi e zuccheri di mais Il latte d’amido sotto l’azione di acidi e/o enzimi è liquefatto, ossia la sua catena è tagliata in spezzoni di varia composizione, dando origine a miscele di zuccheri. Questo tipo di intervento è esattamente il contrario di quanto fatto dalla natura. Infatti, la pianta polimerizza gli zuccheri semplici ottenuti a conclusione del processo fotosinteteico, portando alla formazione dell’amido. Due sono gli enzimi impiegati per l’idrolisi dell’amido:l’α-amilasi, che spezza grossolanamente la catena glucosidica rendendo solubile l’amido, cui segue l’azione dell’ amiloglucosidasi, che spinge la separazione fino al singolo monomero, cioè il glucosio.

• Migliorano e prolungano la

conservazione sugli scaffali (shelf-life), garantendo la salubrità degli alimenti

• Trovano largo impiego nei prodotti

cotti, congelati, in scatola, nelle zuppe istantanee e negli alimenti da cuocere con microonde

373


utilizzazione A conclusione dei vari processi di idrolisi si procede a disattivare per via termica gli enzimi. I sughi ottenuti sono filtrati e purificati facendoli passare attraverso filtri di farine fossili, resine a scambio ionico e carboni attivi, allo scopo di eliminare ogni impurezza residua e rendere perfettamente trasparente e inodore la soluzione ottenuta. Dopo essere stati concentrati, gli zuccheri di mais possono quindi essere commercializzati. Le proprietà edulcoranti e organolettiche sono funzione diretta del grado di idrolisi e del relativo livello di destrosio equivalente. Ne consegue che, a parità di materia secca e a bassi livelli di idrolisi, gli sciroppi sono viscosi e poco dolci. Spingendo l’idrolisi fino alla produzione di destrosio si eleva progressivamente la viscosità e con essa aumenta la dolcezza. Tutti gli zuccheri sono contraddistinti da un numero proprio di destrosio equivalente (DE), che individua il grado di idrolisi raggiunto rispetto a quello del destrosio che, per convenzione, è assunto pari a cento, essendo il monomero frutto dell’idrolisi totale dell’amido. Attraverso la procedura sopra descritta vengono prodotte miscele con diversi livelli di idrolisi e quindi di viscosità e di dolcezza, in funzione del tipo di utilizzazione finale. Per la canditura della frutta, per esempio, si richiede un prodotto viscoso e non troppo dolce; al contrario nel confezionamento della frutta sciroppata o dei gelati o delle bibite si privilegia il grado di dolcezza. Agli sciroppi di mais appartengono anche gli idroli, sciroppi d’amido che non presentano livelli elevatissimi di purificazione. Questi sono destinati all’impiego nell’industria della fermentazione, trovandosi a competere direttamente con i melassi di barbabietola e di canna da zucchero. Non tutti gli sciroppi sono commercializzati e una parte non trascurabile è talora impiegata come materia prima per successive trasformazioni, nell’ambito della stessa amideria, per la produzione di acidi organici,di lieviti o anche di etanolo, come avviene spesso negli Stati Uniti.

Impieghi alimentari (food) dell’amido di mais

• Nell’ambito della moderna industria

alimentare l’amido ed i suoi derivati sono chiamati a svolgere un ruolo insostituibile sia come ingredienti sia come additivi

Cereali e biscotti a base di mais per la prima colazione

Maltodestrine. Operando solo un leggero attacco con acidi inorganici si producono le maltodestrine, caratterizzate dalla presenza di maltosio (dimero costituito da due molecole di destrosio) e da un basso livello di DE, inferiore a 20; inoltre non cristallizzano facilmente e sono fermentescibili. Queste caratteristiche chimico-fisiche ne determinano l’impiego diffuso nei prodotti per l’infanzia, nelle bevande e negli alimenti per sportivi, negli insaccati, nelle salse e nelle zuppe alimentari. Lo sciroppo di glucosio è largamente impiegato nel settore alimentare, dolciario, nelle confetture e nelle bibite

Destrosio. Spingendo al massimo il processo enzimatico con amiloglucosidasi si arriva alla idrolisi totale dell’amido, ottenendo in tal modo il destrosio, costituente base dell’amido. 374


usi industriali Attraverso il successivo processo di purificazione e cristallizzazione si ottiene il destrosio in polvere e riducendo il contenuto d’acqua alla sola quota di cristallizzazione si ottiene il destrosio anidro. Questo trova grande impiego nell’industria alimentare dove, oltre che per il valore dolcificante viene impiegato come umettante, per favorire la maturazione e la conservazione delle carni. In condizioni di produzione rigorosamente controllate si producono anche le soluzioni di destrosio apirogeno, utilizzato come eccipiente ed energetico nelle soluzioni fisiologiche iniettabili in vena. Isoglucosio. Facendo agire enzimi isomerizzanti sul destrosio è possibile ottenere fruttosio che, in miscela al 42% con il destrosio, costituisce l’isoglucosio, zucchero liquido edulcorante succedaneo del saccarosio (zucchero di barbabietola o di canna). Il tenore di fruttosio può essere elevato fino al 55% arricchendo l’isoglucosio per via cromatografia, procedimento molto dispendioso sul piano energetico. Questa pratica è molto diffusa negli Stati Uniti dove l’isoglucosio “55” rappresenta il dolcificante preferito per la fabbricazione di bevande carbonate, tipo cola. L’impiego principale dell’isoglucosio è rappresentato dall’incorporazione in bibite e nettari di frutta. Il suo impiego resta limitato in Europa a causa di una normativa Comunitaria che ne contingenta la produzione legandola a quote di produzione. Al contrario negli Stati Uniti l’isoglucosio (HFCS-High Fructose Corn Scyrup) rappresenta di gran lunga il dolcificante più utilizzato.

Barrette alimentari per sportivi

Additivi alimentari

• Gli amidi modificati, i polioli e gli

acidi organici rientrano tutti nella categoria degli additivi alimentari dato che svolgono importanti funzioni tecnologiche a difesa della qualità degli alimenti senza modificarne mai ed in alcun modo le caratteristiche organolettiche

Polioli. Il processo produttivo prevede l’idrogenazione di zuccheri semplici (destrosio, fruttosio) o dimeri (maltosio), reazione che avviene in ambiente catalizzato e sotto rigoroso controllo. I prodotti che si ottengono, detti polioli (sorbitolo, mannitolo, xilitolo ecc.), costituiscono la categoria degli edulcoranti (dolcificanti) naturali e sono caratterizzati da un potere calorico ridotto (2 Kcal/g) rispetto a quello del saccarosio (4,1 Kcal/g). Sono inoltre acariogeni, dato che non sono fermentati dai batteri presenti naturalmente nella bocca. Ne consegue che i polioli trovano largo impiego come dolcificanti o semplicemente per la confettatura senza zucchero nella produzione di caramelle e nelle gomme da masticare. La particolare reologia nei confronti dell’acqua ne consente inoltre l’impiego come umettanti e stabilizzanti nell’industria cosmetica, che incorpora grandissimi volumi di sorbitolo nel dentifricio. Lo stesso sorbitolo è in grado di stabilizzare l’umidità del tabacco delle sigarette.

• Stringenti normative Comunitarie

e Nazionali presiedono al rilascio dell’autorizzazione all’utilizzo degli additivi alimentari. Queste normative valgono anche per i derivati dall’amido di mais per i quali è previsto, nella quasi totalità dei casi, l’impiego quantum satis (nessun limite specifico, ma utilizzo limitato alla reale esigenza tecnologica) in considerazione del livello di sicurezza alimentare raggiunto

375


utilizzazione Ciclodestrine. Le ciclodestrine sono fabbricate a conclusione di un procedimento altamente tecnologico grazie all’azione di enzimi ciclizzanti agenti sulle maltodestrine che hanno subito preventivamente un processo di liquefazione. Gli enzimi sono in grado di organizzare in forma ciclica le molecole di maltodestrine, formando un anello capace di includere meccanicamente molecole le cui dimensioni sono compatibili con lo spazio vuoto interno alla ciclodestrina stessa. In funzione del numero di molecole che compongono l’anello si hanno le α-ciclodestrine con sei unità glicopiranosiche, le β-ciclodestrine con sette unità e le γ-ciclodestrine con otto unità glicopiranosiche. Essendo insolubili in acqua, le ciclodestrine sono in grado di esercitare una funzione by-pass di principi medicamentosi attraverso il primo tratto dell’apparato digerente umano, mentre sono fermentate dalla flora batterica del colon. Possono inoltre esercitare un’azione ritardante nel rilascio di aromi nelle gomme da masticare o rallentare l’ossidazione o semplicemente camuffare l’aroma sgradevole dell’olio di fegato di merluzzo, destinato ad assunzione orale, e da ultimo come cattura odori per ambienti domestici.

Nella formulazione dei chewing-gum trovano largo impiego gli zuccheri e i polioli ottenuti dal mais

Caramello colorante. Il trattamento a temperature elevate oltre i 160-170°C di sciroppo dello glucosio concentrato induce l’imbrunimento della soluzione con conseguente produzione del caramello. In funzione delle condizioni di trattamento (temperatura e carica salina) è possibile modificare l’intensità del colore del prodotto finito. Il caramello, colorante naturale, trova largo impiego nell’industria dolciaria, nelle bibite, nelle bevande spiritose, nelle birre e nell’aceto. Mais nell’industira molitoria La macinatura per la produzione di farine alimentari ha rappresentato in assoluto la prima lavorazione del mais. La tecnica di molitura si è evoluta moltissimo nei secoli: si è passati dalla macinatura in mulini azionati dall’energia di animali da tiro per poi sfruttare successivamente la forza dell’acqua e del vento catturata dai mulini stessi. Le lavorazioni che si effettuano nei moderni impianti consentono di sfruttare al meglio le caratteristiche fisiche della granella, ottenendo, con precisione voluta, un’ampia serie di prodotti destinati all’alimentazione umana, alla fermentazione e alla nutrizione degli animali. L’obiettivo della lavorazione nei mulini è di frantumare meccanicamente la cariosside, al fine di separare selettivamente il germe e la crusca dalle fratture di diverso calibro, limitando nel contempo la formazione di sfarinati. Tutti i tipi di mais possono essere utilizzati nei mulini; tuttavia è preferibile impiegare varietà con la frattura tendenzialmente vitrea, che

Birra prodotta dalla fermentazione dei gritz ottenuti dal mais

Impieghi industriali (non-food) L’utilizzo d’amidi e dei suoi derivati nel campo non alimentare è straordinariamente ampio e si può riassumere per semplicità in tre settori principali:

• Carta, cartone e tessile • Applicazioni industriali varie • Farmaceutico e cosmetico 376


usi industriali meglio rispondono alle sollecitazioni meccaniche consentendo una migliore resa di fabbricazione e garantendo l’ottenimento di prodotti finiti idonei alle successive applicazioni industriali. Varie sono le tecniche utilizzabili per la molitura del mais, ma possono essere tutte ricondotte a due principi generali: la lavorazione a secco e quella con preventiva idratazione della granella. Innanzitutto è necessario procedere all’accurata vagliatura e pulitura del mais per eliminare tutte le impurità ed eventuali corpuscoli estranei. Il mais, pulito, viene quindi avviato ai degerminatori che per via meccanica determinano il distacco netto del germe, grazie alla elasticità di quest’ultimo che si contrappone alla compattezza della parte vitrea, e alla friabilità della parte farinosa della cariosside. Dopo una prima selezione delle fratture ottenute in funzione della granulometria, quelle più grosse sono riavviate ai laminatoi per essere nuovamente trattate. Il passaggio su tarare e su tavole densimetriche consente di isolare il germe e le fratture vitree dalla parte farinosa e dalla crusca. Le fratture vitree sono quindi macinate da molini a rulli (laminatoi) fino a raggiungere la granulometria desiderata consentendo la produzione di spezzati grossi-medi-fini, gritz da birra, semolina per polenta e farinetta zootecnica. La separazione del germe, abbinata alla calibratura degli spezzati vitrei, avviene grazie al suo diverso peso specifico. Il germe è quindi oggetto di un’ulteriore purificazione meccanica al fine di separare le ultime impurità residue ed essere avviato all’estrazione dell’olio. Oltre allo schema di lavorazione in mulino a secco, sono adottate tecniche più sofisticate che prevedono di ricorrere a diversi livelli di idratazione preventiva della granella per consentire la fabbricazione di tipologie differenti di prodotti finiti, processo che nulla ha a che vedere con la lavorazione in amideria dove la separazione del mais prevede una macerazione prolungata. L’aggiunta dell’acqua è finalizzata all’ammorbidimento della granella che avviene nell’arco di 8-10 ore e che conferisce maggiore elasticità al germe facilitando il distacco del pericarpo. Il passaggio finale nel canale del plansicher (macchina atta a separare i prodotti macinati dai laminatoi, dividendo la farina dalla crusca) cosente di classificare i seguenti prodotti: –h ominy gritz: spezzati del calibro compreso tra 5700 e 4000 micron; – corn-rice: spezzati succedanei del riso (3160-1000 micron), sono impiegati per l’alimentazione umana nel sud-est asiatico; – s pezzati di varia granulometria. In funzione delle diverse tecniche di lavorazione siano esse a secco, umido o semi-umido si possono stilare diversi bilanci produttivi, oltre all’ottenimento di prodotti finiti dalle caratteristiche diverse, le quali ne determinano l’impiego nei vari settori.

Amido di mais per carta e cartone

• L’amido è un costituente insostituibile

per la fabbricazione delle carte e dei cartoni, grazie alla sua naturale affinità con le fibre contenute nella pasta di cellulosa, cui si lega rinforzandone la struttura. Il suo ruolo è di particolare importanza nel momento in cui viene additivato alla carta riciclata. Se da un lato permette come agente strutturante e di copertura di ottenere carte molto fini migliorandone la stampabilità, quando viene impiegato nelle colle facilita l’incollaggio meccanico e rende stabile il cartone ondulato prodotto in size-press

• In particolare, l’amilo-mais è in grado di conferire un’elevata stabilità agli imballaggi che entrano in contatto diretto con gli alimenti, rendendoli resistenti all’umidità

L’amido di mais è largamente impiegato nell’industria cartaria e in quella degli imballaggi

377


utilizzazione La produzione della farina di mais, sia essa bramata o fioretto, è destinata alla preparazione della polenta o per cucinare dolci. Questo resta l’impiego più comune. L’evoluzione dei gusti e dei consumi legati alle proprietà intrinseche del mais, che rappresenta una importante fonte di carboidrati fermentescibili, ha indotto l’industria molitoria a modificare la natura dei suoi prodotti finiti in funzione delle nuove esigenze applicative. Alla tradizionale bramata si sono così affiancate le farine precotte, che si possono cuocere in pochi minuti e che rispondono efficacemente ai ritmi accelerati dei tempi moderni. Le stesse farine precotte, altamente digeribili, sono utilizzate nei baby-food e negli alimenti per lo svezzamento dei bambini. Negli ultimi anni si è sviluppato il mercato del corn-flakes, prodotti ricchi di fibra, consumati prevalentemente per la prima colazione. Gli spezzati grossi di mais decorticato sono preventivamente impastati con acqua, aromi, malto, additivi vari prima di essere cotti in autoclave. Dopo una fase di riposo, che può prolungarsi fino a 24 ore, sono laminati, essiccati e quindi confezionati. L’elevato contenuto d’amido totale, 70% circa, fa del mais il cereale privilegiato come materia prima per le fermentazioni e, in particolare, per la produzione di bevande alcoliche quali il whisky, il gin, il rhum, la vodka ecc. L’utilizzo di spezzati di mais degerminato, in questo campo di applicazione, consente di raggiungere rendimenti elevati, fino all’82-83%. La miscele di gritz di mais semolato (del calibro di 250-1250 micron), con il 35-40% circa di malto, costituisce la ricetta base per la produzione della birra.

Mais nel settore industriale

• Accanto all’impiego nel settore tessile per la filatura di fibre naturali cui attribuisce doti meccaniche elevate in termini di resistenza e stabilità, i prodotti dell’amideria sono impiegati nella fabbricazione di colori, per la realizzazione di stampi in fonderia e nelle formulazione di detergenti biodegradabili

• L’elevata fermentescibilità giustifica il largo impiego di zuccheri di mais che ne fa l’industria della fermentazione per la produzione di lieviti, alcol, acidi organici, antibiotici, enzimi ecc.

• È possibile trovare i derivati dell’amido

nell’edilizia con funzione di ritardante di presa nei cementi speciali o come componenti di plastiche biodegradabili

• Il settore farmaceutico produce

antibiotici, vitamine, soluzioni fisiologiche iniettabili utilizzando derivati dell’amido di mais come materie prime o semplicemente come eccipienti nella formulazione delle pastiglie

L’industria farmaceutica impiega l’amido e i suoi derivati sia come materia prima che come eccipiente Whisky prodotto dalla fermentazione dei gritz ottenuti dal mais

378


usi industriali Amido e chimica verde L’amido recita un ruolo importante nel settore della “chimica verde”, che identifica quell’insieme di attività che trasformano materie prime agricole con l’obiettivo di sostituire progressivamente sostanze pericolose, tossiche e inquinanti, in accordo con la strategia europea di sviluppare attività industriali ecosostenibili. L’amideria può quindi essere definita a pieno titolo come una bioraffineria che, per produrre l’amido, utilizza esclusivamente materie prime rinnovabili quali il mais. L’amido, come si è visto, è un polimero perfettamente biodegradabile che si pone come valida alternativa all’impiego di prodotti che in larga misura sono abitualmente ottenuti a partire da materie prime di origine fossile. Attraverso processi fermentativi si produce acido citrico, acido lattico, acidi organici, enzimi, lieviti ed etanolo. Mediante processi chimici si producono resine, plastiche biodegradabili (polilattati), fibre tessili alternative ai poliesteri, solventi biodegradabili, lubrificanti, solventi, agrofarmaci, pneumatici d’auto, bande adesive, colle, nonché farmaci, film pacciamanti ecc.

L’amido di mais è ormai presente nella vita di tutti i giorni

Impiego zootecnico

• La zootecnia è un importantissimo

cliente dell’amideria dato che assorbe la quasi totalità dei coprodotti, prevalentemente nell’alimentazione dei bovini e dei suini

La plastica biodegradabile La plastica biodegradabile rappresenta un esempio evidente di come il mais, attraverso l’impiego dei propri derivati ottenuti in amideria, reciti un ruolo fondamentale nella diffusione dell’impiego di prodotti ecocompatibili, facilmente compostabili e completamente riciclabili. Il destrosio, zucchero semplice ottenuto dall’idrolisi dell’amido, rappresenta la materia prima per la realizzazione di un processo fermentativo naturale che conduce alla produzione di acido lattico, un acido organico che si ritrova in natura a conclusione di numerosi processi biologici. Grazie a un successivo processo di cristallizzazione è possibile eliminare l’acqua, tappa preliminare per un successivo processo di polimerazione, che conduce alla formazione di polilatti (PLA e PHA). Tali prodotti, dopo altri processi industriali, possono dare origine a resine o a fibre di vario aspetto, flessibilità, plasticità e resistenza. La plastica biodegradabile trova largo impiego nella produzione di contenitori per rifiuti organici, borse della spesa in sostituzione della carta da cellulosa, pellicole e imballaggi per alimenti, utensili vari. Ulteriori e sempre più sofisticate trasformazioni consentono di produrre fibre tessili assimilabili al poliestere o essere utilizzate nella fabbricazione dei pneumatici in sostituzione del nero fumo.

• Negli ultimi anni si è andato

diffondendo l’impiego di amidi e derivati nel settore dell’acquacoltura e nel settore del pet-food che si rivolge all’alimentazione degli animali di compagnia Foto R. Angelini

L’alimentazione dei bovini assorbe gran parte del mercato dei coprodotti

379


il mais

utilizzazione Usi energetici Giovanni Riva

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.


utilizzazione Usi energetici Consumi energetici mondiali e nazionali Il quadro internazionale è caratterizzato da una notevole crescita economica in molte regioni del mondo che, in ultima analisi, si traduce in un analogo aumento dei consumi energetici, dei relativi impatti sull’ambiente e sui prezzi delle materie prime, combustibili fossili inclusi. Nel 2004, per esempio, i consumi mondiali di energia primaria sono cresciuti del 3,7%, a fronte di una crescita dell’economia mondiale del 5,1%. La crescita appare particolarmente sostenuta in Asia ma è evidente anche in America Latina. La Cina, con il 14% dei consumi energetici mondiali, ha un peso ormai quasi equivalente all’area UE-25 (circa il 16%) e si attesta al secondo posto dopo gli Stati Uniti (21%). Sempre con riferimento al 2004, circa il 35% dei consumi mondiali di energia primaria è rappresentato dal petrolio, il 25% dal carbone e il 21% dal gas naturale. Il restante 19% è costituito da energia elettrica primaria (9% circa, principalmente nucleare e idroelettrica), da biomassa (10%) e da energia solare e geotermica (meno dello 0,1%). A livello italiano, il consumo interno lordo di energia è dell’ordine dei 200 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio; 196,8 Mtep nel 2004 con crescite paragonabili a quella del PIL e intensità energetica sui 187 tep/M€). La domanda interna di gas naturale supera i 66 Mtep (34% dei consumi totali), mentre quello di prodotti petroliferi gli 88 Mtep (45%). Con l’aumento dei consumi aumenta peraltro la dipendenza energetica e conseguentemente anche la fattura energetica verso l’estero. Per quanto riguarda le rinnovabili (circa il 7%) difficilmente l’Italia potrà rispettare gli impegni presi a livello UE (copertura del 22% del consumo interno lordo di elettricità tra il 2010 e il 2012).

Situazione energetica europea

• A livello UE il tema energetico

è un aspetto chiave per la crescita, l’occupazione e la sostenibilità dell’intero sistema economico

• Attualmente la dipendenza energetica dell’Unione verso l’estero è di circa il 50% (oltre l’80% per l’Italia) e con gli attuali trend si porterà al 70% in 20-30 anni

• Risulta pertanto prioritario diminuire

i consumi energetici, diversificare le fonti di approvvigionamento e incrementare il contributo delle fonti rinnovabili. Per queste ultime, in particolare, viene ritenuto importante il ruolo delle biomasse di origine agricola e forestale che attualmente coprono circa la metà della produzione energetica verde dell’UE

Consumi mondiali di energia nel 2004 0,1% 10% 9%

35%

21% 25%

Petrolio Carbone Gas naturale Energia nucleare e idroelettrica Biomassa Energia solare e geotermica Consumi mondiali di energia nel 2004

380


usi energetici Il quadro complessivo, quindi, vede la predominanza dei combustibili fossili, la notevole espansione dei consumi energetici (comunque ridotta nei Paesi occidentali) e la limitata incidenza delle fonti rinnovabili. Questo trend stride con la necessità di contenere l’impatto ambientale (come previsto, per esempio, dal protocollo di Kyoto) e di limitare la dipendenza dai Paesi produttori di petrolio. Da questo punto di vista, poi, la situazione nazionale appare più grave della media dei Paesi industrializzati.

Energia rinnovabile e biomassa

• Sono considerate energie rinnovabili

quelle forme di energia generate da fonti il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future o che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono “esauribili” nella scala dei tempi “umani”. Secondo la normativa di riferimento italiana, vengono considerate “rinnovabili”: il sole, il vento, le risorse idriche, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione in energia elettrica dei prodotti vegetali o dei rifiuti organici e inorganici

Componenti della biomassa BIOMASSA

Rifiuti Solidi Urbani (RSU)

Forestali

Residui organici

Industria alimentare

Colture dedicate: Cereali (frumento, mais, sorgo ecc.) Oleaginose (colza, soia, girasole) Barbabietola Altre colture

• Viene definita biomassa ogni sostanza organica derivante direttamente o indirettamente (attraverso le catene alimentari) dalla fotosintesi clorofilliana

Agricoli

Indirizzi per la promozione delle biomasse

Mais come coltivazione energetica Da un punto di vista generale il mais si presta per molteplici utilizzi energetici e in modo particolare per la combustione finalizzata alla produzione di energia termica e/o elettrica; per la digestione anerobica, sempre finalizzata alla produzione di energia termica e/o elettrica, e per la produzione di etanolo e suoi derivati, da destinare soprattutto alla trazione. I tre campi applicativi possono considerare solo la granella e/o le rimanti parti della pianta. Lo stocco, per esempio, potrebbe essere avviato a un processo di idrolisi per l’ottenimento di un substrato fermentiscibile idoneo per la produzione di etanolo; il tutolo potrebbe essere considerato un combustibile di un certo interesse per impianti di combustione di media/elevata taglia. Parlando di applicazioni energetiche, va tenuto presente anche la necessità, per le filiere agro-energetiche che di volta in volta vengono proposte, di perseguire bilanci energetici e ambientali sostenibili. Essendo il mais una coltivazione considerata da molti intensiva (elevati input soprattutto in termini di fertilizzanti e irrigazione) è quindi sempre consigliabile procedere a una verifica di questi aspetti.

L’attuale obiettivo politico della Commissione Europea, è di portare, nel 2010, l’incidenza delle biomasse a circa 185 Mtep, il che dovrebbe consentire di:

• aumentare la produzione energetica rinnovabile europea del 5%

• ridurre le emissioni annue di gas serra di 209 milioni di tonnellate di CO2 equivalente

• aumentare l’occupazione nelle zone rurali di 250-300.000 unità

• contribuire a diminuire la pressione

sulla richiesta di olio fossile e quindi i suoi costi

381


utilizzazione Combustione per la produzione di energia termica e/o elettrica La combustione consiste nell’ossidazione di una sostanza combustibile mediante l’ossigeno contenuto nell’aria. Il processo è fortemente esotermico e si svolge a temperature dell’ordine dei 1000-2000 °C. Negli impianti convenzionali, scopo della combustione è quello di produrre un flusso di gas caldi (prodotti della combustione) che vengono utilizzati per la produzione di vettori energetici (aria, vapore acqueo ecc.) che a loro volta possono alimentare un ulteriore processo (per esempio, produzione di energia elettrica mediante una turbina a vapore). La combustione fa parte dell’ampia famiglia dei processi termochimici nella quale sono comprese la gassificazione e la pirolisi (processi destinati soprattutto alla produzione di un gas combustibile) e viene svolta in caldaie specializzate per la produzione di acqua calda, acqua surriscaldata, vapore, aria calda o olio diatermico. Le caldaie si differenziano soprattutto per la loro dimensione, che può essere molto diversa. Parlando di biomasse solide, per esempio, si può infatti spaziare dai piccoli dispositivi per il riscaldamento domestico (stufe o caldaie) della potenza di 5-30 kW termici alle grosse caldaie da 50-100 MW (migliaia di kW) a servizio di impianti dedicati per la produzione di energia elettrica verde (10-25 MW elettrici). Attraverso la combustione il mais può essere utilizzato con diverse modalità. In dettaglio: – i residui (stocchi, foglie, tutoli, brattee), quale combustibile solido per caldaie di medio-grandi dimensioni. I residui possono essere utilizzati tal quali, o imballati o addensati in pellet o bricchette di diverse dimensioni; – la granella, quale combustibile con caratteristiche geometriche e fisico-chimiche particolarmente costanti idoneo anche per caldaie di piccole dimensioni, in sostituzione del pellet ottenuto con materiale ligneo; – i prodotti della lavorazione della granella (esempi: farine, amido ecc.) quali ingredienti e/o additivi per la produzione di pellet. Si tratta di prodotti che possono avere caratteristiche diverse in relazione a uno dei tre seguenti aspetti.

Opportunità delle biomasse

• Le biomasse sono considerate molto

flessibili in quanto possono soddisfare i fabbisogni energetici richiesti dal settore dei trasporti (per il quale si prevede di utilizzare biocombustibili per il 5,75% dei consumi totali entro il 2010), della produzione di elettricità e della produzione di energia termica per il riscaldamento degli ambienti

• La legislazione nazionale, dovendo

recepire gli indirizzi comunitari, al momento prende in considerazione in modo particolare lo sviluppo dei biocombustibili per i trasporti e la produzione di energia elettrica verde

Pellet per la combustione

Pellet per la combustione

Potere calorifico. Si fa quasi sempre riferimento a quello inferiore (PCI) che viene sempre riferito alla sostanza secca (s.s.). La granella di mais, per esempio, ha un PCI di circa 18 MJ/kg di s.s.; per tutte le altri parti della pianta il PCI varia da 16,5 a 17,5 MJ/kg di s.s., quindi poco meno della granella.

• I pellet sono ottenuti da materiale

ligneo-cellulosico con l’aggiunta di farina di mais al fine di migliorare le caratteristiche di compattezza del prodotto e la sua resistenza alle sollecitazioni meccaniche

Umidità. È il fattore che fa la differenza e che va a definire il potere calorifico netto (PCN), cioè il reale contributo energetico sviluppabile attraverso la combustione. 382


usi energetici L’acqua contenuta nella matrice vegetale diminuisce infatti la produzione energetica secondo una relazione del tipo: PCN = (1-U/100)*PCI – 2,5*U/100 dove U è l’umidità su base umida in termini percentuali. Così gli stocchi di mais al 30% di umidità con PCI della s.s. di 17 MJ/kg sono caratterizzati da un PCN di circa 11,1 MJ/kg di tal quale. In queste condizioni occorrono quasi 4 kg di materiale per sostituire un kg di gasolio (PCI di 44 MJ/kg). Per la granella con U al 15%, il PCN è di circa 15 MJ per kg di tal quale. Occorrono quindi circa 3 kg di prodotto per sostituire un kg di gasolio o quasi 2,5 kg per sostituire un m3 di gas di rete (PCI di 34 MJ/m3). Il contenuto di ceneri varia dall’1,5% per la granella (relativamente alla s.s.) fino al 4-9% per le altre parti della pianta. Le ceneri sono ricche di composti bassofondenti che possono provocare qualche problema nelle caldaie (formazione di agglomerati di ceneri fuse). Il problema è sentito, in particolare, per la granella le cui ceneri incominciano a rammollirsi a temperature dell’ordine di 600-700 °C e di ciò occorre tenerne conto per la scelta delle tecnologie.

Granella di mais

Altri composti. Di rilievo può essere il tenore di cloro che nello stocco potrebbe essere superiore allo 0,5% e quindi indurre a corrosioni o a problematiche di carattere ambientale. La pianta del mais, quindi, fornisce più combustibili solidi di notevole interesse tecnico. Allo stato attuale, tuttavia, il suo utilizzo energetico è ridotto per motivazioni sostanzialmente economiche, in quanto la destinazione zootecnica (produzione di insilato) offre in genere valorizzazioni più interessanti. Negli ultimi anni, tuttavia, è nato un considerevole interesse per l’utilizzo della granella soprattutto in piccole o medie caldaie, quasi sempre destinate al riscaldamento domestico. In queste condizioni, spesso l’utilizzo energetico è più interessante di quello tradizionale.

Granella di mais

• La granella, quale combustibile con

caratteristiche geometriche e fisicochimiche particolarmente costanti è ritenuto materiale idoneo anche per caldaie di piccole dimensioni

383


utilizzazione Digestione anaerobica per la produzione di biogas La digestione anaerobica consiste nella demolizione naturale della sostanza organica, attraverso l’azione di batteri, in una miscela di metano e anidride carbonica, che viene definita ormai universalmente biogas. Il contenuto di metano (CH4) può superare il 60% in volume.La trasformazione avviene in digestori, in assenza di ossigeno, in condizioni ottimali di temperatura (normalmente compresa tra circa 30 e 60 °C) e con i tempi necessari: 15-60 giorni o anche più. Tempi più brevi si riferiscono alle deiezioni zootecniche mentre quelli più lunghi ai vegetali. Il processo condotto su un carboidrato può essere rappresentato dalla seguente reazione semplificata: C6H10O5 + H2O -> 3 CH4 + 3 CO2 Tipicamente il 30-60% dei solidi in ingresso nel digestore viene convertito in biogas. Il co-prodotto di reazione è un refluo (spesso definito digestato) che consiste normalmente di fibre non digerite e di varie sostanze solubili in acqua. Il digestato ha normalmente destinazione agronomica per recuperare le sostanze nutritive in esso contenute. Negli ultimi anni la digestione anaerobica rappresenta una tecnologia di crescente interesse per il settore rurale alla luce dei potenziali benefici ambientali ed economici che offre. Da questo punto di vista, il mais è una risorsa importante che esalta il principio del ciclo breve (ovvero limitate distanze tra la zona di produzione della materia prima e il luogo di conversione energetica), anche in relazione al ciclo dell’azoto. In aggiunta, nel caso di co-digestione con deiezioni animali, le emissioni di CH4 in atmosfera (tipiche degli stoccaggi dei liquami) vengono sensibilmente ridotte. Da un punto di vista strettamente energetico, il fattore chiave è la produzione di metano che può essere convertita in elettricità attraverso motori endotermici (allo stato attuale rappresentano la tecnologia di riferimento). Va osservato che, essendo la produzione annuale di mais limitata a pochi mesi e invece il processo di fermentazione anaerobica continuo nel tempo, è necessario procedere allo stoccaggio della materia prima con le tradizionali tecniche di insilamento. Va inoltre osservato che l’uso del mais insilato offre risultati nettamente migliori rispetto all’uso del prodotto fresco, quindi non conservato. Prove sperimentali in questo senso evidenziano differenze anche del 25% e sono giustificate dal fatto che acidi lattico, acetico e formico, metanolo e altri alcoli sono precursori importanti per la formazione di CH4. Un’altra ragione risiede anche nella predecomposizione della fibra grezza durante l’insilamento (migliore disponibilità di nutrienti per gli organismi anaerobi). Le produzioni di metano per ettaro variano anche in funzione del periodo di rac-

Carico del materiale nel fermentatore

Cogeneratori alimentati a biogas della potenza complessiva di circa 600 kW elettrici

384


usi energetici colta. Diversi ricercatori indicano come ottimale un contenuto di sostanza secca del 30-35%. In queste condizioni il mais può essere insilato facilmente e offre elevate produzioni di biomassa. In dipendenza delle diverse varietà e periodo di raccolta la produzione di CH4 può variare tra quasi 6000 fino a massimi di 9000 m3/ha. In termini pratici, quindi, considerando produzioni medie di 6000 m3/ha di CH4 e disponendo di gruppi elettrogeni con rendimento medio dal combustibile all’energia elettrica ceduta alla rete del 30%, risulta possibile produrre annualmente oltre 17.000 kWh elettrici per ettaro di coltura. Si tratta di valori molto elevati e non facilmente raggiungibili (tenendo conto delle taglie di impianto praticabili dalle aziende agricole o dalle loro aggregazioni) da altre tecnologie o filiere agro-energetiche. L’energia elettrica prodotta è riconosciuta rinnovabile e quindi suscettibile dell’applicazione dei Certificati Verdi, oltre che di tutte le eventuali agevolazioni previste per le energie rinnovabili. Va sottolineato che, in genere, gli impianti oggi proposti si basano sulla co-digestione di diversi materiali: normalmente liquami zootecnici, cascami vegetali di diversa origine (per esempio: prodotti ortofrutticoli o partite di cereali avariate) e coltivazioni energetiche, come il mais. Quest’ultimo è spesso visto come un materiale con ottime caratteristiche generali, stoccabile con relativa facilità e che quindi risolve i potenziali problemi derivanti dalla discontinuità qualitativa e massiccia degli altri materiali di input. Tecnicamente nulla vieta di pensare a impianti alimentati esclusivamente con coltivazioni energetiche, nei quali il mais svolge in ogni caso un ruolo determinante. Con input solo di origine vegetale, tuttavia, il processo si presenta più critico nella sua gestione e richiede adeguate conoscenze del processo biologico.

Produzione di metano

• Le prime esperienze evidenziano come

la produzione di metano sia influenzata dalla composizione dell’insilato. Varietà con un elevato contenuto di proteine grezze (XP), grassi (XL), cellulosa (Cell) ed emicellulosa (Hem), oltre a elevate produzioni specifiche, sono particolarmente idonee a questo scopo. Il contenuto di fibra invece è poco interessante

• Una relazione per la stima della

produzione di metano (litri in condizioni normali) da insilato di mais è la seguente: CH4 = 19,05*XP + 27,73*XL + +1,80*Cell + 1,70*Hem

in cui in vari elementi sono espressi in termini percentuali sulla sostanza secca. Per esempio, un insilato con composizione di proteine grezze, grassi, cellulosa ed emicellulosa rispettivamente del 10; 1,4; 36 e 25% è in grado di generare circa 336 l di CH4 per chilogrammo di sostanza secca

Foto Informatore Agrario

Particolare del sistema di caricamento del trinciato di mais nel digestore Moderno impianto di co-digestione anerobica di mais e deiezioni bovine

385


utilizzazione Fermentazione alcolica per la produzione di etanolo La fermentazione alcolica è un processo biologico finalizzato alla produzione di etanolo. Avviene a mezzo di lieviti che trasformano un substrato zuccherino in una soluzione alcolica. L’etanolo viene successivamente separato mediante distillazione ed eventualmente raffinato e/o trasformato per facilitare la relativa utilizzazione nel settore dei trasporti. Come materiali di partenza si utilizzano prodotti zuccherini (esempio: barbabietola), prodotti amilacei (come la granella di mais) o prodotti ligneo-cellulosici (come gli stocchi del mais). Negli ultimi due casi occorre precedere la fermentazione alcolica con una idrolisi enzimatica o chimica, in quanto amidi, cellulosa e lignina non sono attaccabili direttamente dai lieviti. Con riferimento a un carboidrato il processo può essere rappresentato dalle seguenti reazioni semplificate:

Biocarburanti

• Tutti i carburanti estratti dalle

biomasse sono definiti biocarburanti. Per tale ragione sono considerati una fonte d’energia rinnovabile

• I principali biocarburanti sono:

biodiesel come sostituto del gasolio e bioetanolo come sostituto della benzina

• Pochi sanno che il primo motore

a gasolio inventato da Rudolf Diesel nel 1893 funzionava proprio con olio di arachidi. Nel corso del XX secolo al carburante di origine vegetale venne preferito quello d’origine fossile. Soltanto in questi ultimi anni i biocarburanti hanno rispolverato un interesse crescente come risposta all’esaurimento delle fonti petrolifere, al rincaro dei prezzi del greggio e al problema del surriscaldamento climatico

C6H10O5 + nH2O -> nC6H12O6 (idrolisi) nC6H12O6 -> 2nC2H5OH+ 2nCO2 (fermentazione alcolica) Allo stato attuale della tecnica, gli impianti per l’idrolisi e/o fermentazione di prodotti vegetali sono commercializzati solo per substrati amidacei o zuccherini. Si prevede che gli impianti per l’idrolisi acida di materiali ligneocellulosici siano competitivi e quindi disponibili sul mercato nel medio termine; al momento sono operativi solo impianti pilota. È evidente l’interesse e le speranze verso queste soluzioni per il basso costo delle materie prime. Sono anche allo studio processi di tipo enzimatico che, se messi a punto, contribuirebbero a risolvere i problemi energetici e ambientali dei processi acidi.

Substrato pronto per l’avvio alla fermentazione alcolica Impianto per la disidratazione dell’etanolo

386


usi energetici Di fatto, l’etanolo oggi disponibile sul mercato viene ottenuto quasi esclusivamente dalla canna da zucchero e dai cereali. Paesi leader sono il Brasile nel primo caso e gli USA nel secondo, dove viene utilizzata nella quasi totalità degli impianti granella di mais. I mercati sono in rapida espansione e anche in Italia si pensa di sviluppare questo tipo di produzione a partire soprattutto da mais e frumento. Come già riferito, l’etanolo viene ottenuto attraverso distillazione che, con i processi industriali standard, lascia un residuo di acqua (a livelli di decimi di punto percentuale). Ciò limita la miscibilità con le benzine a tenori normalmente inferiori al 15-20% al fine di evitare la separazione di due fasi che darebbe dei problemi nella rete distributiva. Per superare questo problema è necessario eliminare l’acqua residua con opportune tecnologie (un esempio è il setaccio molecolare) per ottenere etanolo anidro, oppure trasformare l’etanolo in ETBE (etere etil ter-butilico) attraverso l’utilizzo di isobutene. In questo caso, il contributo rinnovabile dell’etanolo è di circa il 47% in peso del prodotto finale. Un discorso a parte andrebbe poi fatto per l’utilizzazione. Miscele benzina-ETBE o benzina-etanolo fino a tenori del 5-10% circa non richiedono particolari accorgimenti. Tenori superiori, invece, richiedono motori dotati di opportuni dispositivi. Tuttavia va sottolineato che lo sviluppo dell’iniezione elettronica permette oggi dei facili adattamenti, come evidenzia l’esperienza brasiliana.

Bioetanolo

• Il bioetanolo è etanolo prodotto da

un processo di fermentazione delle biomasse, ovvero di prodotti agricoli ricchi di zucchero quali i cereali, le colture zuccherine, gli amidacei e le vinacce

• Può essere utilizzato tal quale

come componente per benzine o per la preparazione dell’ETBE (EtilTerButilEtere), derivato alternativo all’MTBE (MetilTerButilEtere)

• Può essere aggiunto nelle benzine

per una percentuale che può arrivare al 20% senza modificare in alcun modo il motore o, adottando alcuni accorgimenti tecnici, anche al 100%

• Si stima che mediamente per ogni

litro di etanolo prodotto si consegue un saldo energetico netto di circa 5,9 MJ (28% del contenuto energetico dell’etanolo), includendo anche tutte le operazioni agricole e i prodotti chimici necessari. In pratica per ogni unità energetica investita nella produzione del mais e la sua lavorazione si ottengono 1,3 unità energetiche sotto forma di combustibile disponibile per la trazione

Foto R. Angelini

387


utilizzazione Principali produttori mondiali di bioetanolo nel 2006 (milioni t) Produzione mondiale di bioetanolo

• Il bioetanolo oggi rappresenta il

biocarburante di maggiore interesse: nel 2006 ne sono stati prodotti 40 milioni di tonnellate a livello mondiale

• Gli USA rappresentano, dal 2005, il

primo produttore mondiale: da 4 milioni di tonnellate nel 1996 a quasi 15 milioni di tonnellate tra il 2005 e il 2006

• In Europa sono stati prodotte circa 2,5

milioni di tonnellate di bioetanolo nel 2006, così distribuite: Francia 750.000 t, Germania 600.000 t, Spagna 350.000 t e Polonia 200.000 t. In Italia sono state prodotte 120.000 t, ma essenzialmente collegate all’industria vinicola, nessun impianto rilevante da mais o frumento

Stati Uniti

15

Brasile

14

Cina

3

Francia

0,750

Germania

0,600

Spagna

0,350

Polonia

0,200

Italia

0,120

Mondo tot.

40

EU tot.

2,5

Va osservato che in termini di volume il contenuto energetico dell’etanolo (circa 21 MJ/l, potere calorifico inferiore) è circa il 65% di quello della benzina (circa 33 MJ/l). Il mais, quindi, attraverso la granella si presenta oggi come una delle principali coltivazioni per la produzione di etanolo. Attraverso l’utilizzo delle altre parti della pianta si presenta anche come una coltivazione di prospettiva una volta che saranno rese commerciali le tecniche di idrolisi acida o enzimatica. Nel caso della granella, la produttività è legata al contenuto di amido (mediamente, con la tecnologia attuale ne servono 1,6 kg per litro di etanolo) e con produzioni annue dell’ordine di 10 t si stima una produttività media di circa 3900 l di etanolo per ettaro.

• Il Brasile è la nazione che si aggiudica

lo scettro delle energie rinnovabili, che nell’intero paese arrivano a soddisfare ben il 44% della domanda di energia

388


usi energetici Accanto alla produzione di alcol, si ottiene il residuo di distillazione (borlande) che viene normalmente essiccato per ottenere il cosiddetto DDG o DDGS (dried distilled grain o dried distilled grain with solubles) che trova impiego come alimento zootecnico. In definitiva, da 1 t di granella di mais si ottengono 390 l di etanolo (circa 312 kg) e 300-350 kg di DDG/DDGS. Il bilancio di massa viene chiuso dalla produzione di CO2 del processo di fermentazione alcolica che viene normalmente rilasciata in atmosfera. Il processo è notevolmente energivoro, in particolare a causa delle operazioni di distillazione e concentrazione/disidratazione delle borlande per la produzione di DDG/DDGS. Allo stato attuale della tecnica si utilizzano infatti circa 0,4 kWh elettrici e 4 kg di vapore per litro di etanolo. È quindi fondamentale una corretta progettazione degli impianti e preferibilmente la loro integrazione con altri processi (per esempio, produzione di energia elettrica), in modo da conseguire delle ottimizzazioni di carattere generale. In ogni caso si stima che mediamente per ogni litro di prodotto si consegua un saldo energetico netto di circa 5,9 MJ (28% del contenuto energetico dell’etanolo), includendo anche tutte le operazioni agricole e i prodotti chimici necessari. In pratica, per ogni unità energetica investita nella produzione del mais e la sua lavorazione, si ottengono 1,3 unità energetiche sottoforma di combustibile disponibile per la trazione.

Politica ambientale

• Una tappa importante per la

promozione delle bioenergie è stata l’adozione, nel dicembre del ’97, del “Protocollo di Kyoto”. Esso impegna i Paesi aderenti a ridurre, nel periodo 2008-2012, le emissioni annue di gas a effetto serra del 5,2% rispetto ai valori del 1990, con riduzioni differenti per ogni singolo Paese, mediante azioni mirate tra cui l’utilizzo di fonti rinnovabili e la promozione dell’agricoltura sostenibile

• A livello comunitario, gli Stati sono

impegnati a realizzare l’obiettivo del 7% nell’impiego di carburanti di origine agricola sull’insieme dei carburanti entro il 2010 e del 20% entro il 2020 e a coprire, mediante misure di ordine fiscale, il differenziale di prezzo tra biocarburanti e prodotti concorrenti di origine fossile

Sistema di controllo della produzione di etanolo Impianto di grandi dimensioni per la distillazione dell’etanolo

389


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