Preview Comicon Plus. Pop Culture Magazine n.0

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COMICON PLUS - ANNO I° - NUMERO ZERO Direzione Editoriale Matteo Stefanelli Art Direction Roberto Policastro Redazione Emanuele Soffitto (caporedattore), alino, Raffaele De Fazio, Lorenzo Raggioli, Kevin Scauri Progetto Grafico e impaginazione Bruno Scafuro e Walter Dipino per Doppiavù Studio Illustrazione di copertina Tommaso “Spugna” Di Spigna Hanno collaborato a questo numero Erik Balzaretti, Noemi Barricelli, Boris Battaglia, Alessandro Bilotta, Alberto Brambilla, Eleonora C. Caruso, Emilio Cozzi, Emanuela D’Alessandro, Paola Damiano, Tommaso Di Spigna, Lorenzo Fantoni, Francesco Francavilla, Antonio Fucito, Michele Ginevra, Paolo Interdonato, Massimo Mattioli, Allegra Nelli, Gabriella Orefice, Iacopo Risi, Nicholas Sacco, Gianmaria Tammaro, Giorgio Viaro. Relazioni stampa e comunicazione Maria Rosaria Giampaglia, Noemi Barricelli Fotografie di Visionarea Studio, Unitalia, Eric Savage Immagini ufficiali fornite da: CONG SA, Edizioni BD/J-POP, Dynit, Notorious Pictures, Warner Bros, Panini Comics, Coconino Press - Fandango, Sky Atlantic, PG ESPORTS Comicon Plus è un progetto editoriale di COMICON

Direzione Generale Claudio Curcio Direzione Artistica Matteo Stefanelli Organizzazione Alessandro Spinosa (direttore), Andrea Capozzi, Paolo Pettineo, Evelina Pessetti Direzione Commerciale e Marketing Carlo Cigliano Comunicazione Noemi Barricelli (responsabile), Emanuela D’Alessandro, Sara Formisano, Annette Palmieri, Francesco Tedesco Amministrazione Antonella Cavaliere (responsabile), Giordana Mobilio, Fabrizia de Marinis Ospitalità alino (responsabile), Chiara Curcio, Federica Morra, Ivana Ziello Organizzazione Mostre Paola Damiano (responsabile), Allegra Nelli, Giandomenico Maglione, Gianluigi Prencipe, Marcello Zoleo Curatori Programma Giuseppe di Blasio (Giochi), Antonio Fucito (Videogiochi), Giorgio Viaro (Serie tv e Cinema), Francesco Davide, Renato Delehaye e Silvio Franceschinelli (Asian), Francesco Anderini (Neverland), Luca Coppola e Viviana Luongo (COMICON Kids), Ilaria D’Angelo (Imago). Coordinamento Operativo Davide Occhicone (Incontri Fumetto), Giuseppe Colella (Responsabile tecnico audiovisivi), Giulio Di Donna (Responsabile tecnico live show), Gabriella Orefice e Antonio Di Napoli (Cosplay) Segreteria Organizzativa VisioNa Scarl · Gestione & Organizzazione Eventi via Chiaia 41 - Napoli · tel. +39 0814238127 Finito di stampare nel mese di Aprile 2019 da Grafica Metelliana Spa (SA) © 2019 COMICON Edizioni ISBN 978-88-98049-85-1


COMICON PL US I TA N T I M O N D I D E L P O P , U N F R A M M E N T O A L L A V O L TA . matteo stefanelli

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contenuti che leggiamo, vediamo, ascoltiamo, giochiamo, sono sempre più diversi tra loro.

E sempre più numerosi. Comicon Plus è una rivista che nasce partendo da questo dato di fatto, ispirata dalla ricchezza e dalla varietà di un festival come COMICON, il cui mestiere è quello di fare incontrare alcuni dei tanti frammenti che circolano nella galassia di immaginari ed esperienze della cultura pop. Perché ad essere diversi, insieme ai contenuti, ci siamo noi stessi: spettatori, giocatori, lettori, consumatori e visitatori di una grande manifestazione dedicata alla “ordinarietà crossmediale” in cui tutti noi siamo immersi. Quale obiettivo offriamo dunque, a voi e a noi tutti, con questa nuova rivista? Lavoreremo per accostare e attraversare questi mondi, qualche volta per provare ad unirli, in altri casi per rimarcarne la distanza e le differenze. Le industrie dei contenuti sono molte, un oceano impossibile da navigare senza meta, e con questa rivista vogliamo provare a raccontare una selezione di storie - opere, fenomeni, artisti, curiosità e dati - che le alimentano grazie alle energie creative che provengono dai più diversi settori della cultura e dell’intrattenimento. Fumetto, serie tv, videogiochi, cinema, anime, card games, giochi da tavolo e di ruolo, musica, cosplay, merchandising. Tutto questo ha nutrito i primi vent’anni di COMICON che, insieme alla “sorella maggiore” Lucca Comics & Games, ha saputo affermare la formula di manifestazioni dove i consumi pop sono protagonisti più di quanto non accada sui media o nei festival ‘monoculturali’ tradizionali. Facendo dell’Italia un Paese leader europeo nei festival crossmediali. Anche se le istituzioni, la scuola e l’informazione sembrano accorgersene ancora (molto) poco, il pubblico italiano è tra i più affamati, preparati e aperti alla trasversalità della pop culture. Questo primo numero di Comicon Plus, che per COMICON rappresenta un esperimento - un numero zero - presenta in copertina un’immagine che vuole essere un biglietto da visita: un sano cazzotto in faccia, in multicolor. Un po’ per suggerire il tema del nostro primo dossier originale, dedicato ai pugni nell’immaginario di fumetti, videogiochi, animazione, grafica e arti visive. E un po’ per celebrare, con il dovuto sarcasmo, il fumettista Magister dell’edizione 2019 del festival, Gipi, qua in un’intervista inedita che ribalta qualche stereotipo sul suo supposto “realismo”. Nelle altre pagine della rivista, alla sezione PopJournal, troverete articoli sui fenomeni, le opere o gli autori più caldi; Focus darà spazio agli approfondimenti critici e alle analisi sugli scenari; PopNext esplora i trend emergenti e i progetti più attesi del 2019/2020, nei più diversi settori; inoltre Comicon Plus ospita due Storie speciali: l’inedita collaborazione tra Alessandro Bilotta, scrittore della pluripremiata serie Mercurio Loi, e Spugna, illustratore della nostra copertina, già Premio Nuove Strade 2018; e una gemma dimenticata di Massimo Mattioli, il più grande surrealista italiano dai tempi di Jacovitti. Infine, un tributo alle opere candidate ai Premi di COMICON 2019, e alla splendida affiche firmata per noi da Francesco Francavilla. Immaginiamo Comicon Plus come un’esperienza complementare, rispetto al turbine di stimoli di un’immersione festivaliera. Il cantiere è aperto. Buona lettura!


POPJOURNAL

08/09 Il poster di

IND Francavilla PER COMICON 2019

POPJOURNAL

10/12 Game of Thrones

POPJOURNAL

14/18 La valigia

VERSO LA FINE E IL NUOVO INIZIO

del Cosplayer STORIE DI VIAGGI, GARE E BAGAGLI IMPOSSIBILI

POPJOURNAL

20/23 Lego vs Playmobil LA SFIDA CONTINUA ANCHE AL CINEMA

POPJOURNAL

24/28 Made in Abyss

UN’AVVENTURA SULLA NOSTALGIA DELL’INFANZIA

POPJOURNAL

30/33 eSports:

NE VEDREMO DELLE BELLE.

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E A LUNGO.

POPJOURNAL

Warhammer 40.000

LE REGOLE ESSENZIALI PER VERI NEOFITI

POPJOURNAL

36/39 Massimo Mattioli L’INVASIONE DELL’ULTRAPOP STORIE

40/43 Bazooly Gazooly


FOCUS

44/53 Gipi ESPLORARE L’IRREALE PER RACCONTARE LA REALTÀ.

DEX FOCUS

54/59 Solo l’ampio mare I SETTE MARI DI CORTO MALTESE

FOCUS

60/69 The Art of Pugni

LE INFINITE FORME DI UN DETTAGLIO CHE SPACCA

FOCUS

70/75 Per un pugno di Pixel

IL PUGNO NEL MONDO DEI VIDEOGIOCHI:

DAI PRIMI PICCHIADURO AI MODERNI ACTION E QUALCHE CURIOSITÀ.

FOCUS

76/77 Dati: i numeri dell’editoria LA PRODUZIONE DI FUMETTI IN ITALIA NEL 2018

80/89 PopNext

LE TENDENZE 2019/20 IN: FUMETTI, ANIME & MANGA,

CINEMA, SERIE TV, VIDEOGAMES

STORIE

90/100 Qualche giorno d’influenza BILOTTA / SPUGNA

PALMARÈS

102/111 Palmarès ufficiale di COMICON


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Francesco Francavilla biografia Disegnatore Premio Eisner e copertinista per le maggiori case editrici statunitensi, Francesco Francavilla è noto per il suo caratteristico stile vintage, battezzato “neo-pulp”, nel panorama dell’illustrazione e del fumetto americani. Nel fumetto ha lavorato su serie di primo piano quali Batman, Captain America, Hawkeye e sul rilancio di grandi classici come Spirit di Will Esiner e Afterlife with Archie. Francavilla è anche un acclamato cover e poster artist. Da diversi anni è tra gli artisti di punta per Mondo, il celebre marchio cult che produce poster a tiratura limitata che vanno a ruba tra i collezionisti. Ha realizzato poster ufficiali per film o tour di importanti band, cover art per album musicali e concept art o storyboards per film e TV. Ha inoltre collaborato in ambito musicale con artisti del calibro di Kirk Hammet dei Metallica o dei Pearl Jam, nel settore televisivo per programmi tv come American Idol, e in ambito editoriale con riviste quali Entertainment Weekly, Wired, Variety, Esquire e molti altri. È il primo fumettista ad avere creato il poster ufficiale di uno show a Broadway, e il primo ad avere illustrato un intero numero del New York Times Magazine. È autore della serie The Black Beetle di Dark Horse, tradotta in italiano da Panini Comics.

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Sono molto legato a Napoli, il primo festival di fumetto a cui ho partecipato si svolgeva proprio qui. Per la realizzazione del manifesto di COMICON ho pensato a Moebius, artista di cui sono un grande appassionato e che è stato anche ospite del festival. Ho immaginato una space-girl immersa in un contesto fantascientifico, ma volevo in qualche modo suggerire l’atmosfera di Napoli. Il risultato è quello che vedete: una Napoli futuristica dove i teenager possono guidare hover-scooter accompagnati da robot giganti - un’altra mia vecchia passione - in una corsa verso le porte di COMICON.


of Thrones.

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Ga me Verso la f i n e e il nuo vo Dopo 9 anni si conclude la serie tv piĂš vista, discussa e seguita degli ultimi anni. Qualche ipotesi sui possibili finali, e sulle prospettive per il futuro.

inizio di Lorenzo Fantoni

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addirittura un accordo col Re della Notte, sempre che Jaime non la uccida prima. Una delle possibili conclusioni vedrebbe Sansa regnare insieme a Tyrion, ma anche qua entrambi possono finire male proprio come tutti gli altri. Ah, ci sono anche Gendry, che alla fine ha qualche goccia di sangue reale, e i Greyjoy, vera scheggia impazzita. Non dimentichiamo infine Bran e tutte le teorie che lo riguardano, come quella in cui sarebbe lui in verità il Re della Notte! Insomma, di carne al fuoco ce n’è veramente tanta ed è anche questo fattore di incertezza che ha reso Game of Thrones un prodotto unico, amato e commentato come lo fu Lost molti anni prima: l’idea che dietro l’angolo ci sia sempre un’altra sorpresa, spesso negativa, e che quando pensi che tutto stia andando bene… vuol dire solo che non hai guardato attentamente.

Arya Stark © Courtesy of HBO

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Ma cosa succederà quando scorreranno per l’ultima volta i titoli di coda? In molti proveranno a prendere il posto di Game of Thrones nel cuore degli appassionati. Su tutti, Amazon e la sua serie tv dedicata al Signore degli Anelli, con Netflix che invece punterà su The Witcher, che senza dubbio stuzzicherà i fan del fantasy più dark e ricco di spargimenti di sangue.

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l 17 aprile 2011 andava in onda la prima puntata di Game of Thrones, a maggio di quest’anno sarà tutto finito, e anche solo dirlo fa strano. Sono passati nove anni da quella prima scena oltre la Barriera, nove anni in cui la serie tv HBO ha definitivamente sdoganato il fantasy per il grande pubblico, mettendo in scena una via di mezzo tra la telenovela, il romanzo storico e la letteratura d’evasione, cercando costantemente di sorprendere i propri spettatori con sadici colpi di scena. Di ciò che vedremo alla fine per il momento non sappiamo nulla, l’unica certezza è che sarà bene non aspettarsi qualcosa che rimanga nel mezzo: o ci sarà molto da piangere o saremo tutti molto felici. Con le lacrime date per favorite, pare, da qualunque bookmaker accetti scommesse. Spulciando tra le teorie più interessanti, non sono in molti quelli che danno come duratura la coppia formata da Jon e Daenerys; troppo perfetta per non riservarci qualche colpo basso. C’è poi la scheggia impazzita di Cersei che, pur di regnare, sarebbe disposta ad andare contro la sua stirpe, stringendo

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Tyrion Lannister © Courtesy of HBO


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cosplayer Storie e aneddoti di viaggi, gare internazionali, costumi complessi e bagagli impossibili. Perché per fare Cosplay, serve anche la valigia giusta.

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Andrea Vesnaver del duo Roboticpizza all’arrivo all’aeroporto di Nagoya in Giappone visibilmente provato

di Gabriella Orefice, Emanuela D’Alessandro, Emanuele Soffitto Massimo Barbera del duo Roboticpizza all’arrivo all’aeroporto di Nagoya in Giappone

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Haikucosplay alle prese con i bagagli

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a passione dei cosplayer per la cultura pop, si sa, passa per costumi sfarzosi, make-up, armi luccicanti, coreografie e scenografie ad effetto, interpretazioni creative. Tutto un lavoro fatto per il piacere del palco, degli applausi scroscianti, dell’entusiasmo per rivivere e incarnare, a proprio modo, un personaggio o un’ambientazione particolarmente amati. Ma nella vita di chi fa cosplay da professionista - anche come secondo lavoro o come hobby regolare, per così dire - non ci sono solo le esperienze legate agli show. I grandi contest internazionali come World Cosplay Summit (a Nagoya, Giappone), European Cosplay Gathering (a Parigi, Francia), Clara Cow’s Cosplay Cup (a L’Aia, Paesi Bassi) o Yamato Cosplay Cup (a San Paolo, Brasile) sono il culmine di un lungo lavoro di organizzazione. Questione di costumi, di lavoro sartoriale e artigianale e di do it yourself? Sì, ma non solo: fare cosplay è anche questione di bagagli. Perché impacchettare, spostare e imbarcare queste creazioni, a volte, può rivelarsi difficile tanto quanto crearle. E può dare luogo a piccole, memorabili odissee. Come ci hanno raccontato alcuni protagonisti: NadiaSK, MoguCosplay, Roboticpizza, Misa&Sho, Daisy e Imriel, Haikucosplay, Tamiyo, Sara Manca, Luca Buzzi, Martina e Simone.

Luca Buzzi in partenza per il WCS (World Cosplay Summit) in Giappone

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MoguCosplay e NadiaSK: Sì, pensarci va di pari passo con la progettazione di coNadiaSK: Dipende, ma per Arya Stark e stume e scenografia. Ma non è mai stato un Walter Frey di Game of Thrones sono stati limite rispetto a ciò che avevamo in mente 7 mesi di lavoro. di realizzare. Martina e Simone: Per il World Cosplay Roboticpizza: I ragionamenti sul trasporto Summit 2018 circa 6 mesi, tra scenografie, dei robot in Giappone, per il World Cosplay costumi e accessori. Summit, sono partiti subito dopo la qualificaRoboticpizza: I costumi per il World Cosplay zione a Romics: dovendo spostare elementi Summit li abbiamo sviluppati nell’arco di decisamente voluminosi, abbiamo dovuto quattro anni. Il Mazinkaiser e Goldrake per considerare ogni fase nei particolari. le qualificazioni al Romics 2012 in 3 anni, Martina e Simone: Ne abbiamo subito tema il miglioramento del Mazinkaiser e la nuto conto, costruendo accessori e scenorealizzazione del Generale Nero, utilizzagrafie smontabili che non superassero i liti per la finale a Nagoya, ha richiesto altri miti massimi delle misure consentite dalle dieci mesi. compagnie. Per i costumi, essendo sartoTamiyo: Quasi quanto una gestazione! Per riali, è bastata una valigia bella grossa. Bianca, il Sakizou che ho portato in FranSara Manca: Quando ho scelto il costucia, ho impiegato 7 mesi. me ho anche progettato come smontarlo e Misa&Sho: Per le gare internazionali ci ripiegarlo in modo da comporre quel perprepariamo dal momento in cui siamo se- fetto tetris di piume e lattice in una valigia lezionati, e il periodo più lungo è quello dimensioni XL. dedicato alla preparazione per lo European Daisy e Imriel: Il nostro approccio è stato Cosplay Gathering (ECG): circa 7 mesi. Per il di costruire costumi e scenografie in modo Clara Cow solo un paio di mesi. che fossero trasportabili. Ma senza scendeSara Manca: Anche se inizi a progettare un re a compromessi nella qualità o scelta dei costume con un anno d’anticipo, al 99,9% personaggi: ci tenevamo troppo! finirai a colorare gli ultimi pezzi mezz’ora prima di chiudere l a valigia... In genere: un mese di progettazione e tre o quattro, intensi, di lavorazione.

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Avete pensato al trasporto per tempo?

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Quanto tempo richiedono i vostri cosplay?


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The Lego Movie 2: Una nuova avventura Š Warner Bros Pictures

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L ego la sfida continua anche al cinema

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di Lorenzo Fantoni

Playmobil: The Movie © ON Animation Studios Courtesy of Notorious Pictures

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a faida tra Lego e Playmobil è uno dei grandi conflitti della cultura pop, come SEGA e Nintendo negli anni ’90, Apple e Microsoft, Netflix e le sale cinema. Entrambe le aziende si basano su un concetto molto simile: reinterpretano con il proprio stile di design situazioni reali, fantasiose e legate a determinati universi narrativi. Città, castelli medievali, astronavi, animali… per tutto c’è un set.

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I mattoncini sono diventati un ingrediente pervasivo nel mondo della cultura pop: una moltitudine di prodotti, generi narrativi, fasce di pubblico. Riuscirà l’eterno rivale a fare altrettanto?

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Ma de in A b ys s Un’avventura sulla meraviglia dell’infanzia

di Eleonora C. Caruso

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Scena tratta dall’anime di Made in Abyss ©2017 AT, T/MIAP Courtesy of Dynit


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Siamo in un mondo in cui si è aperta una gigantesca voragine, che è stata battezzata “Abisso”. Un po’ per il suo mistero, un po’ perché in essa sembrano custodite infinite reliquie di grande valore, numerosi esploratori si sono avventurati nelle sue profondità. L’operazione però si è rivelata molto più difficile del previsto. Perché non solo l’Abisso è popolato di creature immonde, progressivamente più feroci man mano che si scende di livello, ma anche perché, nel tentare la risalita, l’esploratore viene colpito dalla “maledizione dell’Abisso”, una sorta di contro-climatazione che causa terribili effetti fisici e psicologici – nei casi più estremi, anche la morte. Ciononostante, il richiamo dell’Abisso è irresistibile, e in due migliaia di anni sul suo ciglio è sorto un piccolo insediamento urbano dove si formano gli esploratori, cioè i Cave Rider, gerarchizzati secondo il colore del loro fischietto: rosso, blu, nero, bianco.

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ualunque persona alla quale abbia chiesto di Made in Abyss non ha esitato a consigliarmelo, accompagnando all’entusiasmo una raccomandazione: non farti ingannare, il character design è fuorviante. Non sarebbe comunque successo. Quello di accostare contenuti crudi e oscuri a un design rotondo e infantile dei personaggi è una tendenza in linea con quella del moe, lo stile grafico morbido ai limiti del gommoso che è sulla cresta dell’onda da più dieci anni (per comodità, faremo risalire l’attuale ondata a Lucky Star, Kyoto Animation, 2007, anche se i precedenti arrivano almeno a Di Gi Charat, 1999). Si tratta di un trucco prospettico, da prestigiatori dall’animazione, che si muove nelle crepe tra immagine e contenuto, aspettativa e realtà, e ha dato forse il suo frutto migliore nel bel Madoka Magica (Studio Shaft, 2010). Nel caso di Made in Abyss, però, la questione è ancora diversa, perché il design, più che scollarsi dalla trama, vi aderisce.

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PerchĂŠ, a prescindere da come diventerĂ in futuro, il gaming competitivo conquisterĂ il mondo.

ne vedremo delle belle. E a l u n g o .

di Emilio Cozzi

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Space Invaders Championship 1981 © Atari

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o scorso 17 marzo, Fox ha mandato in onda E My Sports, un episodio dei Simpson in cui Bart coccola l’idea di diventare un videogiocatore professionista. Inutile dire che Homer, da papà provetto qual è, caldeggia il progetto inventandosi allenatore dell’improvvisata squadra di Conflict of Enemies. Iperbolica parodia simpsoniana? Giudicate voi: per fare in modo che la puntata rispecchiasse quello che nella realtà, oggi, succede ogni santo giorno, gli autori della leggendaria serie animata hanno consultato Riot Games, lo sviluppatore californiano cui si deve League of Legends, un videogioco che all’ultimo censimento ufficiale contava 100 milioni di utenti attivi ogni mese, cioè più della popolazione di Francia, Germania o Italia. A voler essere precisi, nemmeno il videogame più praticato al mondo, visto che Arena of Valor – posseduto oggi dalla cinese Tencent, che poi è anche proprietaria di Riot – supera i 200 milioni di utenti. Un record che il fenomeno Fortnite o la new entry Apex Legends potrebbero sbriciolare anche domani mattina. Detto altrimenti, chi sia sorpreso dall’ingresso dell’eSport in uno show dalla portata globale come i Simpson – anche se non sarebbe azzardato invertire le parti e parlare dell’ingresso dei Simpson negli eSports – farebbe bene a tornare da Marte, oppure a guardarsi un po’ più intorno (dove peraltro noterebbe che anche Netflix, l’anno scorso, ha dedicato due documentari al fenomeno, nelle serie In poche parole e 7 Days Out). Perché sia chiaro, l’eSport non è solo uno dei fatti più dirompenti del presente digitale; l’eSport è il futuro. Punto.

Vuol dire che la questione non è tanto se il gaming competitivo conquisterà il mondo, su questo non c’è dubbio alcuno. La questione si riduce al quando ed eventualmente al come lo farà. Proviamo a rifletterci nelle prossime righe, tenuto conto che… Un attimo; in che senso “che cos’è l’eSport?”. Grande Giove, allora vivi davvero su Marte. D’accordo, facciamone una panoramica, ma di quelle veloci per non addormentarci nel mentre. L’eSport, o “electronic sport”, indica la pratica agonistica del videogioco. Oggi è diventato una professione grazie a un ecosistema globale fatto di squadre, anche polisportive – le cosiddette “org” – tornei, sponsor e soprattutto eroici idoli delle folle capaci di far miracoli con joypad e tastiera, invece che con palloni o racchette. Sebbene le tracce delle prime competizioni elettroniche risalgano a quarant’anni fa – con il torneo di Spacewar organizzato alla Stanford University il 19 ottobre del 1972 – e nonostante già negli anni ’80 ai player più performanti venissero dedicati servizi giornalistici (su Life o Time) e show televisivi – il migliore? Starcade, sulla Tbs dall’‘82 all’‘83 – è dalla decade successiva che videogiocare è diventato un mestiere. E non è un caso che dall’epoca di Dennis “Thresh” Fong – il primo proplayer da Guinness dei primati, quello che vinse la Ferrari 328 battendo a Quake il suo creatore, John Carmack –, ebbene non è un caso che da Thresh all’esplosione dell’eSport in Corea del Sud passino pochi anni. Complice la crisi finanziaria partita dalla Thailandia nel luglio del 1997, in Corea il fenomeno dei Pc Bangs, i caffè digitali quasi scomparsi dal 1991, era riemerso per offrire una forma di intrattenimento a buon mercato. Uscito nel ‘98, StarCraft,


Them - Tales Of Fears © Massimo Mattioli/COMICON Edizioni

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MATTIOL I I di Paolo Interdonato

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L’INVASIONE DELL’U LTRAPO P

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l sipario si apre e lascia, al centro della scena, un personaggio con lo sguardo mite e l’inconfondibile mantellina: è Cappuccetto Rosso. Ma qualcosa non quadra. Il viso cambia espressione, tingendosi di malizia, le mani afferrano i lembi della mantella e tirano, come se il sipario si dovesse ancora aprire: il corpo che appare, coperto da un abitino aderentissimo, anch’esso rosso, non è quello di una bambina. La ragazza attacca Daddy,


Chi entra in una sala l’8 maggio del 1943 per vedere Dr. Gillespie’s Criminal Case, ennesimo episodio della serie cinematografica che Metro-Goldwyn-Mayer sta dedicando ai dottori Kildare e Gillespie, si ritrova di fronte a uno di quei cortometraggi d’animazione che la casa di produzione affianca ai propri film: Red Hot Riding Hood, diretto da Tex Avery. Nel momento stesso in cui il lupo turgido si erige orizzontale e vibrante, il grande spettacolo anarchico di sesso e violenza messo in scena dagli animali antropomorfi non può più essere ignorato: Il duro mattone con cui il topo Ignatz colpisce Krazy Kat e l’ambiguità pansessuale di Bugs Bunny, il cui carattere era stato portato a compimento dallo stesso Avery19 pochi anni prima, raggiungono un assoluto niMMATT001ISBN_01_005-046_Superwest.indd 19 è un Big Bang. Da quel tore. Il fischio del lupo momento, quell’apprezzamento, assai rischioso in tempi di #meetoo, viene chiamato “wolf whistle” e chi disegna narrazioni che hanno al centro animali che si comportano come uomini, se vuole essere accettato da precettori e genitori, trascorre la maggior parte del suo tempo a disarmare la sensualità e la violenza di quei corpi incongrui. Brutta bestia l’autocensura. I primi anni della carriera di Massimo Mattioli sono caratterizzati da attraversamenti incongrui. Esordisce ventiduenne, nel 1965, sulle pagine de Il Vittorioso, realizzando diverse serie, tra

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a sinistra e in basso Superwest ©Massimo Mattioli / Panini Comics

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travestiti da personagGi disney, eh? non mi sfugGiranNo!

le quali spicca Il vermetto Sigh. Tra il 1968 e il 1973 pubblica, per il settimanale francese Pif Gadget, M. le magicien. Dal 1973 serializza sulle pagine del Giornalino le avventure del coniglio Pinky. Nel 1977 fonda con Stefano Tamburini Cannibale, una rivista a fumetti decisamente underground, nata sotto l’egida dell’agenzia di stampa e controinformazione Stampa Alternativa. Perché un autore affermato, capace di vendere i propri lavori ai più importanti periodici europei destinati ai bambini e ai ragazzi, decida di partecipare a un’impresa sotterranea e movimentista è un mistero. Apparentemente. I fumetti realizzati fino a quel momento sembrano godere di assoluta libertà. I committenti di Mattioli possono avere posizioni contrastanti, eppure l’autore regala loro comicità anarchica indifferente alla appartenenze: Il Vittorioso e Il Giornalino sono periodici cattolici; Pif Gadget è l’ultima incarnazione del settimanale Vaillant, di orientamento comunista; Stampa Alternativa è il giocattolo dell’anarchico Marcello Baraghini. L’energia narrativa e la sensibilità dell’autore non sembrano subire alcuna limitazione. Le avventure di M le magicien sono perle surreali, come ben sa chi ha potuto leggere quelle brevi storie nel bel volume dedicatogli da L’ Associaokay, questo vuol dire che ancora dentro sono personaggi tion. Pinky esono i suoi comprimari la banca! in grado di vivere vicende gioiose e dirompenti, stabilendo un fortissimo legame con i lettori capace di durare oltre 40 anni. Massimo Mattioli fonda Cannibale con Stefano Tamburini (e poi si uniranno a loro Filippo Scòzzari, Andrea Pazienza e Tanino Liberatore) principalmente per essere editore di sé stesso. Una pubblicazione priva di intermediari che stabiliscono le regole cui attenersi è uno spazio di libertà.

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una canzone che fa capire che qualche regalo azzeccato la farà diventare molto gentile, e si muove con mossette piccanti che mandano è in arRivo… definitivamente in frantumi l’illusione di trovarsi di fronte a una fiaba. In mezzo alla sala è seduto il lupo cattivo: è arrivato in limousine e indossa un frac. Appena il suo sguardo si posa sulla figura della ragazza, il corpo si irrigidisce a mezz’aria, dalle labbra esce un clamoroso fischio d’ammirazione, poi ulula e i pugni iniziano ad abbattersi violentemente sul tavolo. Da lì in avanti, l’eccitazione del lupo si innalza al parossismo in un crescendo di moti d’apprezzamento.

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espl ora re l’i r r e a l e per raccontare la r e a l ta ’ .

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Gipi di Matteo Stefanelli foto di ROBERTA MAZZONE PER visionarea

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uando nel 2003 la raccolta di racconti Esterno notte presentò Gipi ai lettori, la sensazione fu chiara. Il fumetto italiano, che aveva appena iniziato a esprimere tutta la complessità del nostro territorio, tra storie di quartieri e di periferie o tra esperienze passate e recenti di ordinaria italianità, aveva trovato un nuovo grande interprete. Un narratore in grado di abbandonarsi, con furore espressivo e disperata pietà, a osservare un’Italia dimenticata e incattivita, densa di energia vitale ma anche schiacciata da una cappa di frustrazione e incapacità di immaginare il proprio futuro. Gipi era l’alfiere di un nuovo realismo del graphic novel italiano. Era il cantore dei “baci dalla provincia”, l’interprete di una gioventù disillusa, di un presente pieno di vuoto. Quindici anni dopo Gipi ha pubblicato una storia di fantascienza post-apocalittica, La terra dei figli, ambientata in un luogo anonimo e desertificato. Niente più Italia, niente più autobiografia. Un segnale doppiamente emblematico: fine corsa, da un lato, per la stagione dell’autofiction e del racconto del territorio; ma anche un cambio di pelle per l’autore che aveva raccontato quel “noi” che tanto fumetto non era più riuscito a fare, forse, dai tempi di Andrea Pazienza. Dopo quindici anni, sei graphic novel, decine di racconti, vittorie ai premi fumettistici più prestigiosi, un pugno di film, dozzine di cortometraggi televisivi e persino una ‘scandalosa’ candidatura al Premio Strega, Gipi sembrava trasformato.


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Da alfiere del naturalismo contemporaneo, da commentatore acuto del presente-in-soggettiva, sembrava pronto per un profilo da affabulatore “di genere”, in bilico tra spinte verso il meraviglioso - come già nel gioco da tavolo Bruti, solo rivolto al futuro - e la speculative fiction. Sembrava. Perché a bene vedere, nell’arco di questi quindici anni, il lavoro realistico di Gipi era stato attraversato sin dall’inizio da una vasta, profonda quantità di ingredienti anti-realistici. Una mostra presentata a COMICON 2019, che proprio in occasione della XXI edizione ha incoronato Gipi come autore Magister, ha voluto sottolineare questo spirito. Con il titolo “Gipi irreale”, il festival ha messo a fuoco in un’esposizione, accompagnata da un dialogo con lo scrittore Fabio Genovesi, un aspetto che fino ad oggi era rimasto un po’ in ombra, per offrire uno sguardo a quelle tracce - i sogni, gli scenari futuribili, la presenza ricorrente di creature fantasmatiche - che permettono di rileggere l’opera di un autore maturato anche grazie alle spinte fantastiche e agli slanci dell’immaginazione. Tutti temi di cui abbiamo parlato con lui, nel corso di varie conversazioni di preparazione alla mostra. Fino a questa lunga intervista.

Vogliamo sfatare un po’ questa idea di “Gipi, autore realistico”? Penso di non avere mai fatto un fumetto basato sul realismo. Ho usato la realtà come spunto, semmai. Ho iniziato a fare libri a fumetti tardi proprio perché non riuscivo a trovare il modo di rappresentare la realtà, e dunque ero bloccato. Come se mi mancasse la capacità di costruire lo scenario dove ambientare le storie. Detto questo, se ripenso alle storie che ho fatto, gran parte sono basate sulla memoria: quanto di meno realistico ci può essere sulla Terra. E per altre storie ho sempre trasformato e inventato le cose. Non ho mai pensato che la realtà di per sé fosse sufficiente per raccontare. Se usiamo come punto di partenza Esterno Notte… ...è come vivere un sogno. Già. Ma rimane un libro ben diverso dal più recente La Terra dei Figli, che… ...è un altro sogno. Un sogno brutto, ma sempre un sogno. Non sarò certo io a contraddirti su questo punto. Ma quei due libri hanno toni e obiettivi molto distanti l’uno dall’altro, e La terra dei figli è sembrato una svolta, nella tua produzione, verso la fiction più esplicita e diretta (lasciando da parte la parentesi di Bruti). Non è forse legittimo descrivere il tuo percorso come una linea coerente in cui La terra dei figli, effettivamente, ha rappresentato un cambio profondo? Dopo l’uscita de La terra dei figli, anche rispondendo alle domande altrui, m’ero detto che sì, c’era stato un cambio nel mio modo di raccontare. Ora non sono più tanto sicuro. Perché le chine che sto prendendo ultimamente nel raccontare, in realtà, sono ancora diverse e non necessariamente nella direzione presa con La terra dei figli. Anzi, per me la vera essenza de La terra dei figli è solo che ho tolto la mia presenza, cioè la mia figura in prima persona come narratore della storia. Per il resto La terra dei figli è un racconto di fantasia tanto quanto lo sono Storia di Faccia o Muttererde, sempre se vogliamo rimanere agli albori del mio lavoro. Per me sta proprio in quella stessa casella lì, soprattutto


con Muttererde, che era completamente inventato. Ma anche Appunti per una storia di guerra era completamente inventato! So che mi viene da mettere Appunti per una storia di guerra nella categoria dei libri più “personali”, se devo parlare in questi termini, ma solo perché c’è la voice over. E io nella voice over purtroppo, o per fortuna, mi ci rivedo. Se avessi messo una riga di voice over ne La terra dei figli sarebbe stato esattamente lo stesso modello narrativo di Appunti per una storia di guerra. Dal mio punto di vista cambia solo la forma con cui racconto e sinceramente, dopo La terra dei figli, ho pensato che di me ci fosse poco o nulla di super-personale in quel libro. Poi, col passare dei mesi, ho visto che c’era qualcosa di personale forse più che in altri, solo in modo più nascosto, perché in un mondo di fantasia. E poi, tanto per stare coi piedi per terra e ragionare su elementi base, pensa a questo: non ho mai usato una foto di reference. Mi interessa molto. Perché nella tradizione del fumetto “realistico” la documentazione è un mantra, spesso un valore aggiunto: molti lettori e editori ne fanno un punto d’onore. Quasi aggiungesse autorevolezza all’opera. In realtà è del tutto irrilevante, per il lavoro del disegnatore. Faccio un esempio: ho raccontato buona parte dei miei amici, eppure non li ho mai riguardati. Ovvero non ho mai preso le foto di noi giovani per vedere come eravamo. Tutti loro, in realtà, sono dei simboli. Dorelli era sì un mio amico, ma lo ho fatto diventare altro. Nella realtà non era come lo ho disegnato, però allo stesso tempo, graficamente, è diventato il simbolo che è diventato proprio per due caratteristiche del mio vero amico: i riccioli e un occhio di vetro. Ale “il nasuto” è diventato uno col nasone, fine. Ma quegli amici erano molto più sfaccettati, più complessi, più belli di come li ho fatti. Molto più realistici, diciamo. Vale anche per altri aspetti: ho raccontato storie ambientate in Largo Duca d’Aosta, dove sono cresciuto coi ragazzi amici miei, ma non ho mai riguardato una fotografia di quel posto. Non mi interessa. E poi questa cosa che mi hanno affibbiato di narratore della “periferia”: semplicemente sono cresciuto a Pisa, se

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fossi cresciuto a Milano magari avrei fat- prende e ti porta per mano nel percorso. to storie “metropolitane”. Ma è “realista” Questo ti da una sensazione di vicinanza quella roba lì, è vera? Fellini diceva, non che, secondo me, può anche portare a una mi ricordo in quale intervista: «Mi sono sensazione di realismo. Ne La terra dei figli inventato una famiglia, degli amici, degli non c’è nessuna mano tesa, non c’è nessun amori, tutto quanto per raccontare». Per- accompagnamento, e questa cosa stacca ché te l’inventi, capito? In questa stanza un po’, da’ l’idea che quello sia un altro ho un ritratto a olio di due di questi miei mondo. Ma ripeto: due balloon di voice amici che stanno, per esempio, ne La over e avreste avuto la stessa sensazione mia vita disegnata male, e parlo sempre del delle altre storie. Identica. Penso dipenda grande amore tra di noi, della nostra gran- da quello. de amicizia. Ma non è vero. Nel senso che non parlo più con nessuno di loro da anni, Tra i tuoi fumetti, i cortometraggi e i senza un particolare motivo. Era un’ope- film, vedi un filo rosso rispetto a querazione di fantasia emotiva: vorrei che fos- sta idea di andare al di là del realismo? sero così. Vorrei aver avuto delle amicizie I tuoi lavori in video, per dirla in modo così forti, così fraterne. Purtroppo, invec- piatto, non hanno le stesse caratteristichiando, vedi che non era vero. Quindi che di linguaggio e, almeno in apparennon c’è nulla di reale, in quello che ho fat- za, hanno un’attitudine più realistica. to. C’è un’affezione alla realtà in termini di Dobbiamo fare un piccolo distinguo. Perestetica, quello sì. Mi piace, godo di più a ché anche quella è una questione formale: fare una roba che ho visto realmente piut- il cinema ha la carne e il fumetto ha il ditosto che a inventarne una di sana pianta. segno. Quindi il fumetto ha già di suo un Le baracche de La terra dei figli sono vere passo di allontanamento dalla realtà. Il baracche che stanno cinema è uno specchio, sul Lago di Massaciucvedi altri esseri umae l l a r e a l t à ni esattamente come li coli, solo perché penso “ che la realtà sia più povedi quando cammimi annoio, tente di quanto riesca a ni per la strada. Ma se immaginare. vai a vedere davvero mi rompo cosa quel pochissimo Per quelle baracche che ho fatto in cinema, i coglioni” hai usato dei riferiti accorgi che ho fatto menti fotografici? un primo film dove ci sono gli alieni, e un No! Però per tantissimo tempo sono an- secondo - Wow, che non ha visto nessuno dato a fare disegno dal vero sul Lago di - dove c’è una persona che costruisce una Massaciuccoli e le ho disegnate in tutti i macchina con la quale registra i sogni. modi possibili e immaginabili. Ma senza Quindi siamo ancora nel fantastico. L’ulpensare di farci un fumetto. In realtà ci timo film Il ragazzo più felice del mondo parte sono andato per due motivi: a volte solo come un documentario, ma dentro ci sono per disegnare, e altre perché una volta mi scene come quella degli uomini primitivi era preso di volerci girare un film, quindi che disegnano cazzi sulle pareti... facevo sketches di tutti i posti… Quando fai disegno dal vero le forme ti restano in E i corti? memoria, e quando mi sono ritrovato a di- Non so quanto sembrino realistici. So che segnare ce le avevo in memoria. Fine. di solito hanno un fondo legato, purtroppo, alla contemporaneità, perché la base Forse una delle ragioni per cui i tuoi la- di satira ci obbliga a stare collegati alla vori iniziali sembrano realistici, almeno realtà. Se penso ai corti che ho fatto con rispetto a La terra dei figli, ha a che fare Gero Arnone - un lavoro collettivo, quincon la minore presenza del tema del di, e questo già cambia tanto - sono stato narcisismo? cowboy, nanetto da giardino, donna inDiciamo che le storie col narratore in cinta, sono stato posseduto in un letto o prima persona, magari io stesso narrato- un barbone del futuro. Non so quante volre, hanno una mano tesa al lettore che ti te mi sono trasformato in qualcos’altro.

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Non ce n’è uno dove faccio sì paesaggi, sentarla. Ma non è lì che voglio stare: piutsiamo rimasti sulla ma li faccio imma- tosto la uso, è un materiale come lo sono i di reale, linea flat della reginati. E già il fatto colori. È una fonte di ispirazione, un moaltà. Succede semche un paesaggio sia dello. Ma dove poi voglio andare è altrove, in quello che pre qualcosa che ci immaginato lo stac- un altro posto. fa andare verso un ca completamente ho fatto” mondo completadalla realtà. Poi per Oltre alla direzione in cui vuoi andare mente folle. Nei nostri corti, ad esempio, me conta un’opera di pulizia, di deserti- tu, dove immagini di portare i tuoi letGero ed io viviamo insieme. Non è una ficazione: faccio città dove di solito non tori? Questo mescolare realtà e irrealtà, cosa dichiarata, ma sia io che lui ci sve- c’è mai una persona. Prova a trovare uno cosa pensi possa suscitare in chi ti guargliamo sempre nello stesso letto, facciamo scorcio di Roma, che non sia alle 4 o alle da e ti legge? colazione nella stessa cucina. Non ci po- 5 di mattina, dove non c’è nessuno... Ep- Sono sempre molto stupito, e dico pianiamo neanche il problema, come farebbe pure i miei paesaggi sono sempre deserti. cevolmente, da quel che fanno i libri a qualcun altro, di dire «aspetta, in questa Ultimamente, quando faccio disegno di fumetti nelle persone che li leggono. scena abbiamo fatto te che ti svegli in que- paesaggio, cerco il silenzio. Cerco di fare Quando lavoro penso veramente pochissto letto: non può essere anche il letto di alberi, strade, macchine che si muovono, simo a chi leggerà. Diciamo che penso al Gero!». Per noi invece sì, perché abbiamo ma che il risultato finale sia un silenzio pubblico come un batterista pensa al temdeciso fin dall’inizio che nei nostri corti assoluto. po quando suona. Disegno e racconto, in non c’è lo spazio e non c’è il tempo e non questo senso, seguendo una sorta di idea: c’è nemmeno un allacciamento netto con Quando pensi a questi ingredienti di essere “giusto”, ovvero senza andare fuori la tecnologia. Ad esempio nei nostri corti desertificazione e silenzio, senti di tro- tempo. Se vado fuori tempo sarò fastidiosi usano mangiacassette, nastri... non stia- vare affinità con altri artisti o lavori che so, quindi potrò farlo soltanto se voglio mo mai nella realtà. Mai. Non posso par- vanno in questa direzione, dentro e fuo- essere fastidioso. Penso sia importante lare per Gero, dunque vale solo per me: io ri il realismo? mantenere il massimo del controllo posnon ci sto perché nella realtà mi annoio, Non ci ho mai pensato. So che può sem- sibile su quello che fai, sapendo che finirà mi rompo i coglioni. Non ce la faccio pro- brare presuntuoso, ma purtroppo è un in mano a qualcuno - e non un amico o tua prio, o forse non sono abbastanza sofisti- dato di fatto. Forse Fellini è l’unico che mi mamma - che quindi avrà tutto il diritto cato da starci e farci i conti seriamente. fa quell’effetto lì. Pensa al film Roma, dove di disprezzarti o di non spendere una gocla cosa buffa è l’amore per la realtà che cia di sudore per comprendere quel che Una delle volte in cui ti ho sentito par- c’è, però è come se non bastasse mai e devi hai fatto. Quindi la mia sfida, di solito, è lare in maniera più diretta di “verismo” arricchirla di qualcos’altro. Quando vado rendere più semplice possibile la cosa più nei tuoi lavori è a proposito dei tuoi pa- in giro in macchina sul Raccordo, cerco complessa possibile: penso molto in teresaggi di Roma, per una serie di dipinti. in continuazione di capire i riflessi sulle mini di efficacia, diciamo. All’epoca della mostra al Museo Luzzati finestre dei palazzi lontani, a differenti a Genova avevi raccontato proprio la fa- ore del giorno. È una specie di ossessione È una risposta quasi tecnica, sul piano scinazione per certi luoghi e la goduria di guardare, di capire cosa succede nelle della comunicazione. Ma se i tuoi racconti nel disegnarli. forme e nella luce. E quello è proprio una sono un modo per girare intorno a pezzi Però sono tutti disegnati a mente! Non specie di amore per le forme che esistono. di realtà e a questioni che le (o ci) apparsono mai andato a fare disegno dal vero. Quando torno a casa, però, non mi met- tengono, trovo che spesso ci siano altre L’ho fatto tanto in passato, ma qui mai. terei mai a fare una pittura iper-realista intenzioni. Per esempio, suscitare stupore per rendere lo stesso effetto. Non mi ba- attraverso lo spiazzamento. Oppure diAnche in quei paesaggi avevi infilato sterebbe mai: lo so perché l’ho fatto, e mi vertire, suggerendo chiavi paradossali per elementi assurdi e immaginari: ricordo ricordo che smisi dicendomi «non voglio ribaltare la pigra ordinarietà dei nostri atun’auto in volo… ‘stare’ qui». L’emozione che mi da quella teggiamenti. Di certo non ti interessa “inSì, c’è stato un periodo. Ma non è dura- finestra accesa e lonformare”, con il tuo ta molto quella fase. Il punto è che li ho tana, al tramonto, in “realismo”... “ o sempre sempre chiamati “paesaggi irreali”. Ho quel palazzo alla CecNo, non ho nessuna una cartella sul computer che si chiama chignola, non la renintenzione verso quel disegnato proprio così. Torna anche nei titoli (quan- derò mai “rifacendo” tipo di comunicaziodo li ho dati): me ne ricordo uno che era quel palazzo distante, ne. Nessuna intenziosolo a mente” L’auto dei due ragazzi nella pineta irreale, op- a quell’ora. Ciò che ne di far passare un pure Città sul fiume irreale. Viene dal fatto faccio io è “mangiare” dalla realtà: la re- messaggio. Diciamo così: il racconto è l’uche, semplicemente, dopo tanti anni pas- altà è il mio alimento. È sempre stato così nica parte buona della mia vita. E quindi sati a studiare e fare pittura dal vero, ho perché, ripeto, ho iniziato a lavorare solo nel racconto sono migliore di quanto sono sempre disegnato solo a mente. Quindi da quando ho trovato il modo per rappre- in tutti gli altri aspetti della mia vita: più

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Sembra che tu attribuisca alle storie un loro senso di responsabilità autonomo. È esattamente quello. Quando ho fatto S., il libro per mio padre - uno dei più importanti per quel che ha rappresentato per me - non ho pensato nemmeno per un secondo alle persone che avevano perso i genitori. L’unica persona a cui pensavo ero io. Eppure S. ha portato tante persone a dirmi: «Grazie, mi hai aiutato a guarire da un dolore per una perdita». Se avessi pensato «voglio fare un libro che aiuterà le persone che hanno subito un lutto grave» sono certo che non ci sarei riuscito. L’unica cosa che potevo fare era essere il più onesto possibile nel parlare di un rapporto d’amore con un genitore, e quindi anche del dolore per la perdita. Perché le persone amano la comunicazione - o almeno, per ora, credo la amino ancora - e

Nella mostra “Migrando, gridando, sognando” a COMICON 2019 hai suggerito ai curatori di inserire la tua storia Dramma marocchino, che potrebbe sembrare un’eccezione a questa regola. Forse è anche il caso de La battaglia delle Ardenne, che hai realizzato in una residenza d’artista, nata per far lavorare insieme alcuni fumettisti con artisti affetti da problemi mentali. Dramma marocchino aveva una cosa fondamentale: il racconto di quel ragazzo era proprio forte. Aveva visto robe che io non ve-

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se arriva una comunicazione che ha una base di sincerità dentro, gli parla, come parlano a me le storie che sono raccontate con sincerità. Ecco perché non ho mai fatto storie “a tema”, più o meno di moda. Ora ci sono una marea di storie che hanno donne come protagoniste: guarda Netflix, dove la gran parte delle serie sono così. Cosa che è giustissima, ma non mi appartiene, per il solo fatto che non ho ancora avuto la necessità di avere una donna protagonista di una mia storia. Magari mia madre morirà in questi giorni, e farò una storia con lei, ma non lo farei mai per scelta tattico-politica, perché so che “adesso è il momento giusto” per quella roba lì. E spero che i lettori sappiano che, da me, non potrà mai arrivare una roba del genere: non sarò mai “opportuno” sul momento, su quel che funziona in quel dato periodo. Lo dico con rispetto per chi riesce a farlo: li invidio, non è che li denigro. Ma non è proprio “il mio”.

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sincero, più dedito, più volenteroso, più onesto. La mia attenzione va tutta a mantenere quello stato di privilegio che ha quell’attività, nell’insieme della mia esistenza, con la confidenza che, se rispetterò il lavoro, rispetterò la linea, e lavorerò con la massima consapevolezza e concentrazione possibile, non avrò bisogno di dire: «Voglio far passare un messaggio di un certo tipo». Perché confido nel fatto che la dedizione al lavoro e il cercare di essere il più onesto possibile abbiano una potenza in sé. E quella arriverà. E un lettore potrà dargli il senso che vuole. Un esempio: non farei mai una storia sul razzismo, per quanto sia abbastanza dichiaratamente antirazzista. Penso però che il mio lavoro sia antirazzista di default, anche se faccio una storia dove chiamo “negri” i neri. Chissà, magari è una follia che m’è presa da vecchio: ho fiducia nel fatto che, se mi approccio al lavoro con tutta l’umiltà, la serietà e la consapevolezza possibili, non potrà che trasmettere idee buone.

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La terra dei figli © Gipi/Coconino Press - Fandango


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drò mai, e le aveva raccontate in un modo tremendo, asciutto, che aveva reso tutto una bella storia. Bella e tremenda, ma bella. Mi aveva entusiasmato quello: la fuga raccontata, di notte, con gli AK-47 che gli sparavano dietro. Non pensavo ci fosse nessuna “necessità” di fare una storia su questo. Se ci pensi, erano dieci anni fa: non era tanto l’argomento del momento… Mi piaceva perché era un’avventura crudele, terribile, con tutta la brutalità degli uomini e tutta la bontà e la speranza degli uomini: le cose che mi hanno sempre eccitato. E quando sono andato in Belgio per il progetto “Match de catch à Vielsalm”, lo ho fatto solo perché un dottore mi aveva detto: «Ti devo fare un prelievo alla pelle del pene, è possibile che tu abbia un cancro, te lo dico tra due settimane». Avrei fatto qualunque cosa per non pensarci, e avevo questa offerta per andare a lavorare con dei disabili mentali. Pensai che dedicarmi a qualcun altro sarebbe stato il modo più efficace per non pensare ai cazzi miei... E ha funzionato, in effetti: mi appassionai talmente a quest’altra storia che non pensai più al mio problema medico, e alla fine l’esame andò liscio.

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l fumetto ha già di suo un passo di allontanamento dalla realtà”

Da un lato insisti sulla responsabilità nei confronti del raccontare, e su un atteggiamento di sincerità. Dall’altro, però, i tuoi racconti sono pieni di invenzioni e di menzogne. Per esempio, nei tuoi lavori c’è una enorme quantità di visioni o sogni assurdi. È vero. Che è un difetto, se ci pensi: la credibilità del racconto può andare in pappa. Ma in effetti mi rendo conto che i sogni cascano spessissimo dentro alle mie storie. Non so come mai, anche perché, sai, non sono uno quegli appassionati di sogni che... ...che magari prendono appunti! Hai mai preso nota dei tuoi sogni? Figuriamoci. Punto primo: me li scordo. Punto secondo: mi fanno cagare, non ho proprio nessuna fascinazione, non cerco nemmeno di interpretarli. Ho avuto sogni ricorrenti per anni, ma non me n’è mai fregato niente. Probabilmente dipende anche dal fatto che, a volte, scrivo talmente a cazzo di cane che magari mi trovo alle corde, e ho bisogno di uno scarto laterale per rimettermi sulla retta via. O magari


mi servono per dare un’informazione che non sono riuscito a dare in altro modo. Ad esempio ne La terra dei figli c’è il sogno del padre. Forse non ce n’era nemmeno bisogno, però è vero: è come se avessi un’attrazione.

mia vita disegnata male, di sicuro. Ma anche il Capitano pirata de La mia vita disegnata male è una di queste visioni infernali tremende. Semplicemente la mia logica è questa: prendo delle parti che potrei fare tranquillamente interpretare al protagonista o alla voce narrante, e le assegno Anche in Muttererde, che citavi prima, ad altre creature. Per togliere un po’ di una scena chiave che ‘stacca’, facendoci responsabilità al narratore o al protagocapire meglio la personalità del prota- nista. gonista, è proprio un sogno. Già, la scena del bimbo nella neve. Per non costruire figure eroiche impossibili, assolute? Sono visioni, peraltro, spesso surreali Non solo. Per non dare loro dei carichi e strampalate. Penso a La mia vita dise- che potrebbero andare fuori scala. Un gnata male e al sogno in cui compare un esempio: ne La mia vita disegnata male il orso che impreca... personaggio più scuro di tutti è il CapiUso tanto i sogni perché, mi rendo conto, tano pirata, che dice dell’amore «Io ne nel fumetto spesso sono “pesante”. E al- vomito». Quello era proprio il pensiero lora ho bisogno di una fuga dalla pesan- “mio”, ovvero del narratore, la voice over tezza. Quello che faccio nei libri, almeno che avevi letto fino a quel momento. Ma per me, non è mai pesante, perché con i quando sono arrivato lì, mi sono detto: disegni tutto mi sembra diventi leggero «Se dico questa roba, sono insopportabie santo. Però mi rendo conto che per chi le!». Soffrendo in quel periodo di attacchi legge, invece, alcuni argomenti possano di depressione molto forti, sapevo che risultare pesanti. E quando me ne accor- c’erano momenti in cui in qualche modo go, è come se mi venisse da dire a ciascun “diventavo” quella cosa, cioè una figura lettore: «Oh, ma scherzo!». Non potendo- di morte secondo cui «l’amore non esiste, lo fare direttamente, faccio entrare una tutto è solo morte». Ma come potevo dirlo scemenza pazza, surreale. Che eviden- senza vergognarmi, senza suonare riditemente riporta tutto su un piano diverso: «Aspetta, ma chi mi sta raccontando questo, è un... cazzone! Non devo piangere nemmeno se mi ha detto di avere l’epatite cronica». Nella visione del narratore l’epatite cronica non è un problema, perché nella sua visione la morte stessa non è un problema. Il mio narratore non racconta mai storie di morte per dirti «Oooh, c’è la morte», ma per dirti: «Ridi! C’è la morte». È tutto un altro paio di maniche. Dal vivo, di persona, ci metterei un attimo a spiegarlo. In una storia invece bisogna metterci delle componenti pazze, che riequilibrino tutto su un piano di gioco. Perché non vorrei mai essere pesante, soprattutto non contro la mia volontà.

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colo? Mi sono detto: «Ok, lo faccio dire a un’altra figura, sulla quale queste parole avranno meno grevità che a farle dire al narratore». È una cosa che ho fatto spesso. L’uomo nel buio, per esempio, parla dalla voce più profonda e spaventosa di me: sono pensieri miei, non li ho presi dalla voce di qualcun altro. È la voce mia. Era talmente nera che non potevo metterla su di me, un po’ per pudore, un po’ per non risultare veramente spiacevole alla lettura. Sono dell’idea che se fai racconto autobiografico come ho fatto io non devi mai dare l’idea di prenderti sul serio. Certo, devi prendere molto sul serio te stesso, ma non devi mai dare l’idea di farlo. Quindi servono degli escamotages per andare su piani di gravità e grevità lasciandoli leggeri. Tutte queste creature fantastiche, allora, non sono per niente fantasie…? La cosa che dico spesso, quando ripenso al momento in cui ho fatto La mia vita disegnata male, è che la parte del Capitano pirata è la più sincera di tutte. Però è buffo, perché su quello stesso piano, la storia di pirati, c’è anche quella più falsa di tutte: gli indigeni, la ragazza e tutto il resto. Pensandoci ora, in realtà non era falsa nean-

C’è però un altro tipo di finzione e di menzogna che ricorre spesso nei tuoi fumetti. Sono quelli che la mostra “Gipi irreale” a COMICON ha rubricato in una sezione intitolata ‘Spettri’: fantasmi, creature, ombre mostruose. È lì che finiscono le tue personali paure? L’uomo nel buio di Via degli Oleandri e di La LMVDM © Gipi/Coconino Press - Fandango


Un bel paradosso. Che nasce anche dal pudore, oltre che dalla paura. Sì. Mi fa strano dirlo perché, per tanto tempo, mi sono vantato stupidamente di non avere il pudore: “non me l’hanno fatto”, dicevo. Ma ragionando in questi termini, sembra proprio quello. Forse quando si va su piani più seri mi piglia il “fugone”, come si dice a Pisa: scappo in territori dove non posso essere identificato.

dere quello che ti pare. È una zona di assoluta libertà, perché nessuno ti può dire NO. Nel mio ultimo film ho inserito una scena con uomini primitivi che disegnano falli su una parete, e quando mi sono trovato in giro per presentarlo, ho detto sempre: «In questo film ci sono tante scene che sono prese da cose realmente accadute e una che è presa da una cosa che secondo me è accaduta». E tutti ridono. Perché in effetti non puoi negare quella cosa. Con il futuro è uguale. Almeno se non fai l’errore che fanno tanti, anche bravissimi autori di fantascienza, di mettere una data all’inizio della storia, che poi però verrà smentita dal tempo. Se non la metti l’umano lettore automaticamente la sposta là dove non può arrivare la sua vista, e quindi puoi far succedere quello che ti pare. Poi è un piano di libertà soprattutto comica, per me, perché mi fa davvero ridere provare a immaginare il futuro dell’umanità. Prendere un difetto, una stortura della società e spararla col turbo, pomparla ai suoi massimi, portarla agli estremi di quello che potrebbe essere. Fa ridere!

La terra dei figli © Gipi/Coconino Press - Fandango

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che quella: mi ero appena fidanzato con una ragazza che mi sembrava la salvatrice del mondo. Certo, se vedi una persona come una che ti salverà, sei già fottuto. Ma al tempo non lo sapevo. In quella parte c’era talmente tanto fleur bleue, come dicono i francesi, che per fortuna l’ho messa in un’isola deserta al tempo dei pirati. Fosse per me la leverei, ora, però ha la stessa funzione dell’uomo nel buio dal lato opposto: la troppa felicità la devi nascondere. Il troppo ottimismo, le troppe speranze per i giorni futuri li metti là, in un mondo di sogno, in una fantasia dove lui e lei si ameranno per sempre.

Però non è terrore, appunto. Ha a che fare con l’educazione. Non puoi rompere le palle al lettore diventando serio o drammatico. Non si deve, mai. La vita è già abbastanza seria e drammatica per i fatti suoi, per metterci sopra il carico di una narrazione pesante. Soprattutto con un mezzo stupido, nel senso più buono possibile, come il fumetto, cioè un mezzo che ti permette di fare uno che viene schiacciato da una lastra di marmo, si rialza e non si è fatto nulla. E questo viene accettato di default. Non devi neanche spiegarlo. Perché usare un mezzo che ha questa meravigliosa caratteristica di annullare la fisica della realtà, e quel che comporta al fondo della sua corsa, cioè la morte, per riportare qualcuno su quel piano? Nel tuo lavoro di finzione c’è poi la dimensione più finta di tutte: gli elementi futuribili, fantascientifici. Sono finzioni estreme, in cui metti in scena tanto il futuro post-apocalittico quanto l’età primitiva e che, a mio avviso, sono la parte del tuo “irrealismo” più giocosa. Un ingrediente per divertirsi e divertire. La cosa bella di usare l’ultra passato remoto e l’ultra futuro è che puoi far succe-

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Vale anche per il disegno? No, sul disegno semmai c’è l’effetto contrario. Vado a ripescare delle passioni giovanili per autori visti da ragazzo, da Moebius a Bilal a Chichoni. Non capivo come facevano… Amavo tantissimo le storie fantascientifiche di quel tipo di autori, e ora che riesco quasi a fare un tipo di disegno del genere - non di tutti quelli che ho nominato, chiaro! - mi viene da giocare con quelle forme. Esteticamente mi piace la fantascienza immaginata negli anni Settanta e Ottanta. Quella che viene immaginata adesso, soprattutto nel mondo dei videogames, visivamente non mi piace.

Esterno Notte © Gipi/Coconino Press - Fandango


Negli ultimi anni le tue storie ambientate nel futuro sono state parecchie. Su Twitter hai anche mostrato un frammento da un nuovo progetto di fantascienza. Sicuramente ho una storia di fantascienza che ho portato avanti per tre anni, e che adesso mi è finita in un altro progetto, sotto un’altra veste. È la stessa situazione di quello che accadde coi pirati de La mia vita disegnata male: pensavo di fare un libro di pirati, e invece mi sono cascati dentro a tutt’altro. Però sono due anni e mezzo, quasi tre che ci lavoro, quindi ho fatto davvero tanti test di disegno in quella direzione. E poi c’è stata La terra dei figli.

Come ti spieghi questo “periodo fanta- di una sensazione di distacco dal mondo scienza”? reale molto forte. Penso che la fase di fantascienza di adesso Ti senti “scafandrato”? sia più una “fase scafandri”. Mi sa di sì. In questi ultimi giorni sono staIl piacere di disegnare un dettaglio? to a trovare mia madre, ricoverata, in una Mi prende questa voglia di disegnare si- zona della Toscana abbastanza isolata. tuazioni dove ci sono persone con un ca- Laggiù, perso per gli affari miei, mi sono sco in testa, che respirano un’atmosfera “de-scafandrato”. Me ne sono proprio controllata. Fra qualche anno riuscirò a accorto. Sono andato per monti a cammifare un parallelo tra questo e quello che nare, per i cazzi miei. Ho rifatto cose che sto vivendo a livello personale... Tutto è facevo un tempo e che qui non faccio più nato da dei caschi. Ho iniziato a disegna- per questioni logistiche, perché Roma è re delle persone con una specie di gabbia un inferno. Non sono mai stato così nella metallica e di plexiglass in testa. Penso bambagia in tutta la mia vita, e questo mi che tanto dipenda dal modo in cui sto vi- leva un po’ il respiro, anche se allo stesso vendo ora: ho una vita privilegiata, e quin- tempo è piacevole.


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Sol o l’ a mpio ma re.N I sette mari di Corto Maltese

Pacifico Una ballata del mare salato 1989 / acquerello

di Boris Battaglia

el fumetto, a differenza della letteratura, il mare non è fra i topoi più frequentati. Non in quanto luogo comune e tematico da romanzo d’avventure conradiano, quanto piuttosto proprio come luogo geografico. C’è un motivo preciso per questo. Un motivo che va oltre tutti i significati simbolici e metaforici affastellati dalle tante interpretazioni psicologiche.


55 Il fatto è che, come scriveva Giuseppe Ungaretti in quella meravigliosa poesia che è Finale - raccolta in Terra Promessa - il mare non è altro che un campo incolore. Mentre le strade sono state tracciate, se non una volta per sempre, almeno per lunghi periodi, finché servono e vengono percorse, il mare è una tavola vuota. Uno spazio su cui lo sguardo non sa dove volgere, se non è stata tracciata una rotta. “ e t t e m a r i p i a n g e r ò Usare il mare come luogo fisico del proprio racconto a fumetti richiede, dunque, i n t o r n o a m e la capacità di tracciare rotte complesse in s o c h e t u n o n t o r n e r a i mezzo a qualcosa che “non c’è”. Creare il e d a s o l a r e s t e r ò percorso dello sguardo mentre si crea lo sguardo. Sono veramente pochi gli autoc o m e u n ’ i s o l a s p e r d u t a ” ri capaci di ottenere risultati interessanti e importanti in questo. Hugo Pratt lo ha Mina fatto, con tutto il corpus delle opere dedicate al marinaio per antonomasia, Corto Maltese. Personaggio che nasce dal mare e ne solca, seguendo una rotta che è anche il suo percorso di formazione esistenziale, ben sei. Anzi, in realtà, quasi Pratt La dimostrazione che il mare, l’oceano lo abbia fatto per dar ragione a Rudyard Pacifico, sia per Hugo Pratt prima di tutto un luogo geografico su cui tracciare la Kipling, sono sette. rotta della propria narrazione, è già nelle prime tavole della Ballata del mare salato, in cui ci vengono fornite addirittura le coordinate esatte di dove si trova il nostro sguardo. Tra il 155° meridiano e il 6° parallelo sud. È esattamente qui che il capitano Rasputin in “un’allegria di naufragi” - per riprendere un’espressione ungarettiana - incontrerà prima Pandore e poi Corto. L’oceano Pacifico è il mare che dà la vita a Corto Maltese (che viene letteralmente salvato dalle acque, come Mosè) e nel quale, in qualche modo chiudendo un cerchio - ovvero la rotta - nell’ultima avventura, intitolata Mu, scompare colui che di Corto è stato la levatrice, colui che l’aveva salvato dalle acque. Quello di Rasputin, a conclusione di Mu, è l’ultimo Corto Maltese - Le Celtiche naufragio. Siamo sicuri che approderà da Burlesca e no tra Zuydcoote Bray-Dunes (dettaglio) qualche parte, ma non sappiamo dove. 1972

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Le infinite forme di un dettaglio che spacca

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di Erik Balzaretti e Matteo Stefanelli

of P UGNI Non solo cazzotti. PerchĂŠ i pugni, dallo sport alla politica, dal fumetto ai videogiochi, hanno mille significati. Che abbiamo provato a ripercorrere.

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Power to the penis (1970), poster, illustrazione di John Sposato


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Wolverine: Weapon X (1991), dettaglio da una tavola di Barry Windsor-Smith © Marvel Comics

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Aristotele diceva che le mani sono una diramazione del cervello: permettono di “realizzare” visivamente ciò di cui parliamo o ciò che stiamo pensando. Di più: “la mano sembra costituire non uno ma più strumenti”, e permette di realizzare le emozioni che stiamo vivendo. Aveva già chiara l’evoluzione tutta latina del “gesticolare”? Chissà.

La lutte continue (1968), illustrazione di Atelier Populaire

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Tra pugni reali e pugni immaginari

Quel che è certo è che le mani chiuse a pugno sono uno degli usi più naturali, comuni, ricchi e sì, potenti, che si possa fare dei nostri arti. Manine, manone o manacce che siano: i pugni non discriminano alla fonte, e qualsiasi mano può assumere quella postura tanto eloquente. I pugni ci accompagnano sin dall’infanzia e il loro uso appartiene alla nostra esperienza quotidiana. Tanto da dare luogo ad uno di quegli sport primordiali che, come la corsa e il salto, non hanno bisogno di altri oggetti, accessori o protesi. Tirare pugni è un’attività che porta con sé l’aspetto animale degli esseri umani: un segno basilare della natura dell’uomo, unito a (varie) regole sportive per usarli, in funzione dell’evoluzione e della civiltà. Forse è per questo che il pugilato, nato come forma di difesa personale millenni fa, è stato chiamato anche “nobile arte”. Ed ecco perché, in quanto segno di qualcos’altro, il pugno è così straordinariamente presente nella comunicazione, visiva in primis.

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ual è lo scopo dell’avere le mani? Come si usa questa doppia e versatile parte del corpo? E quante cose possiamo farci? Per Braccio di Ferro (il Popeye nato dalla fantasia di Segar), da un secolo uno dei simboli più noti della forza fisica e dell’irascibilità umana, la riposta è facile: “menarle”. Ovvero tirare pugni. Leggendari pugni possenti, alimentati da proverbiali spinaci. Sarebbe d’accordissimo anche Hulk, che con le sue manone, in oltre mezzo secolo di vita - nella finzione - sembra avere saputo solo prendere a pugni qualcosa o qualcuno. Non proprio due pacifisti, diciamo. Eppure anche le battaglie civili e politiche vere, quelle più elementari quanto quelle più avanzate, si sono spesso affidate ai pugni, concreti o immaginari che fossero. Ma anche tanti grandi fantasie o piccoli desideri, personali e collettivi, sono passati - e continuano a passare - per i pugni.


PER un PUGNO DI

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Il pugno nel mondo dei videogiochi: dai primi picchiaduro ai moderni action e qualche curiosita’

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di iacopo risi

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Flyer promozionale per Heavyweight Champ Š SEGA 1976


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I colpi piu’ iconici The Way of the Exploding Fist © Melbourne House 1985

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Dopo un avvio esaltante, i videogiochi a tema pugilistico, come i bellissimi Punch-out e King of Boxer, hanno dovuto cedere il passo ai titoli basati sulle arti marziali, più vari, più complessi e perciò più gratificanti. The Way of the Exploding Fist (1985), l’acclamato clone per home computer del coin-op Karate Champ, è probabilmente il primo titolo che celebra il pugno videoludico, non solo per l’indimenticabile copertina ma anche per la fonte d’ispirazione del titolo. “La Via del Pugno Esplosivo” rappresenta infatti una variante, probabilmente un omaggio a “La Via del Pugno Intercettato”, traduzione letterale dal cantonese di Jeet Kune Do, la tecnica di combattimento concepita dal leggendario Bruce Lee. Educato alle arti marziali di tradizione cinese, Lee osservò alcune carenze per il combattimento a distanza. Egli sviluppò quindi un interesse per la boxe occidentale, nell’intento di creare una tecnica ibrida in grado di colmare questa lacuna. Se negli anni ’80, bambini e ragazzi non facevano grosse distinzioni tra arti marziali giapponesi e cinesi lo si deve anche a questo titolo, che omaggiava a suon di colpi di karate un mito popolare del Kung-Fu. Mito che, nei videogiochi, ispirerà decine di personaggi. The Way of The Exploding Fist aprì la strada agli intramontabili picchiaduro ad incontri, insieme a Yie Ar Kung-Fu, che introdusse pochi anni dopo l’utilizzo della barra di energia.

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La via del pugno

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rendere a pugni gli avversari è una delle più longeve attività videoludiche. Comparso per la prima volta con il gioco di boxe Heavyweight Champ (1976), il primo picchiaduro della storia, il colpo a mano chiusa è una delle animazioni più remote dopo il salto e l’inevitabile corsa/ camminata. D’altra parte, il pugno è il colpo offensivo più istintivo, oltre al fatto che durante l’era dei pixel il costo in termini di sprite era molto più contenuto rispetto ad altri movimenti del corpo o parti di esso. Come altre forme di attacco fisico, soprattutto con l’avvento della grafica tridimensionale, esso è stato inevitabilmente al centro delle solite accuse a tema “videogiochi e violenza”. Argomento che però oggi non vogliamo affrontare, dato che ci interessa raccontare il pugno nei videogiochi e la sua evoluzione nel tempo attraverso alcuni dei suoi episodi più iconici, cercando di andare oltre la sua accezione marziale.


di fumetto in Italia n u o v i t i t o l i L a prod uzione di nel 20 18

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I N UM ER I d e l l ’ e d i t o r ia

Intorno alla salute del fumetto in Italia si raccontano due storie contraddittorie: da un lato il boom in libreria, dall’altro la crisi in edicola. Ma una certezza c’è: in Italia si pubblicano moltissimi fumetti. Più di ogni altro Paese in Europa. L ’Italia è un Paese “fumettòfilo”? A giudicare dalla quantità dei titoli immessi sul mercato ogni anno, sembra proprio di sì. Con una media di quasi venti prodotti al giorno, l’editoria di fumetto è infatti un settore in cui l’offerta nazionale si colloca al primo posto in Europa, subito davanti alla Francia (circa 5.300), e di gran lunga sopra la Spagna (circa 3.500). È quanto emerge da uno studio realizzato da COMICON, di cui Comicon Plus presenta i risultati principali.

5.963 TITOLI

Quasi 6.000 titoli. La cifra chiave dell’editoria italiana di fumetto nel 2018 è questa: 5.963 pubblicazioni - fra titoli propriamente inediti e nuove edizioni di titoli esauriti, per lo più del passato - sono state pubblicate dagli editori commerciali e diffuse nei canali della distribuzione ufficiale: edicole, librerie, fumetterie. L’importanza delle edicole, sebbene messa in crisi dalla contrazione generale che da tempo sta segnando questo canale distributivo, è ancora tale da distinguere l’Italia dagli altri paesi europei, e a rendere così ricco in termini di titoli il panorama dell’offerta.

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EDITORI - Top 25 Tra gli oltre cento editori monitorati dallo studio, alcuni spiccano più di altri per la quantità di fumetti pubblicati. A guidare la classifica è il gruppo Panini, che con i suoi diversi marchi (Panini Comics, Planet Manga, Panini/Disney, 9L, Panini Magazine) copre la più ampia gamma di tipologie di prodotto. Fra i 300 e i 500 titoli vi sono poi cinque editori: Rcs, grazie a una consistente offerta di allegati ai quotidiani del gruppo (Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport); RW, con i marchi Lion, Goen e Dana, che presenta una ricca offerta di comics americani e di manga; Sergio Bonelli Editore, l’editore più attivo nella produzione originale di fumetti di autori italiani; Star Comics, con un mix di prodotti guidato dai manga affiancati soprattutto da comics statunitensi; il gruppo Edizioni BD / J-POP, in crescita grazie ai manga ma anche alla produzione italiana ed europea.


STATI UNITI 1878 italia 1730 giappone 1694 francia/belgio 256 multI-country 229 argentina 76 REGNO UNITO 37 spagna 18 canada 13 corea 9

RCS (CORRIERE/GAZZETTA) SERGIO BONELLI ED. STAR COMICS EDIZIONI BD/JPOP AUREA COSMO SALDAPRESS MONDADORI GEDI (LA REPUBBLICA) HACHETTE AMODEI (CORR. SPORT) MAGIC PRES BAO PUBLISHING 001 EDIZIONI PERIODICI SAN PAOLO AGLEMOSS SHOCKDOME TUNUE’ COCONINO PRESS ASTORINA FLASHBOOK BECCO GIALLO 1000 VOLTE MEGLIO

Lo studio di COMICON è stato svolto sulla base dei dati gentilmente forniti dai principali distributori per librerie e fumetterie (Messaggerie Libri, Manicomix Distribuzione, Star Shop Distribuzione) e da tutti i principali editori italiani. I dati sono stati integrati dal team di ricerca per includere anche gli editori ‘minori’ (fra 5 e 50 titoli l’anno) non presenti nei database dei distributori librari. Alcune categorie editoriali sono state escluse: autoproduzioni e fanzines, libri illustrati e picture books, periodici contenenti fumetti per un numero molto limitato di pagine (settimanali e dorsi di quotidiani; riviste di satira ed enigmistica; periodici per bambini). Rispetto alla provenienza geografica, i titoli contenenti fumetti di provenienza mista da più paesi - indicati come ‘Multi-country’ - includono, in diverse proporzioni, i seguenti Paesi: Italia, Stati Uniti, Francia/Belgio, Argentina, Spagna. I dati comparativi sulla produzione nazionale, citati nello studio, provengono da: ACBD (Francia, ultima rilevazione disponibile: 2016) e ACT Tebeosfera (Spagna, ultima rilevazione disponibile: 2018). Il team dell’analisi è stato composto da: Matteo Stefanelli, Emanuele Soffitto, Alberto Brambilla, Raffaele De Fazio.

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RW/GOEN

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LO STUDIO PANINI COMICS

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L’offerta di fumetti in Italia ha un profilo internazionale, composto da un variegato mix di titoli italiani ed europei, americani, asiatici. Tuttavia la concentrazione su alcuni paesi è molto evidente. Il peso dei prodotti di provenienza statunitense è di gran lunga superiore al resto, in virtù di ragioni sia culturali che economiche, come le caratteristiche medie del prodotto: molti di questi titoli sono albi (in formato comic book) con foliazione limitata e basso prezzo. La produzione di fumetti di autori italiani è consistente e, a differenza di quanto accade in altri paesi europei come Spagna o Germania, supera persino quella di manga, sebbene di poco. I fumetti provenienti da Francia e Belgio sono pure numerosi, a testimonianza della leadership francobelga nell’editoria di fumetti del Vecchio continente.

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PROVENIENZA GEOGRAFICA - Top 10


QUALCHE

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D’INFLUENZA Sergio Aprile è un influencer come tanti. Posta foto di feste in compagnia di belle ragazze, piatti prelibati, viaggi in luoghi esotici, copertine delle riviste di gossip che parlano di lui… Ha anche pubblicato un libro che va a ruba tra i suoi fan, sempre in coda per un autografo. E per un selfie, naturalmente. “Certe persone hanno un’influenza sulle altre, e basta” dice. “È un dono”, aggiunge. Ma siamo sicuri che sia davvero così? In una collaborazione inedita, due protagonisti del nuovo fumetto italiano mettono in scena una parabola grottesca sul potere dei social media. Alla storia e ai testi Alessandro Bilotta, pluripremiato sceneggiatore di Dylan Dog (Sergio Bonelli Editore), creatore di Mercurio Loi (Sergio Bonelli Editore) e La Dottrina (Feltrinelli Comics).

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Sceneggiatura di ALESSANDRO BILOTTA Disegni di SPUGNA

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Ai disegni il talento ‘mostrificante’ di Tommaso Di Spigna, in arte Spugna, fondatore della rivista “Lucha Libre”, autore dei graphic novel Una brutta storia (Grrrz Comic Art Books), The Rust Kingdom e Gnomicide (Hollow Press) e co-autore di Rubens (Eris/Stigma).


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Pa l ma res

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di COMICON n occasione del festival, ogni anno vengono assegnati i Premi del Palmarès Ufficiale di COMICON, suddivisi a partire dal 2019 in nove categorie competitive: i Premi Micheluzzi, che ricompensano le opere a fumetti di produzione italiana pubblicate nel 2018, e i Premi COMICON, dedicati ai fumetti di produzione internazionale pubblicati nello stesso anno, in lingua italiana e distribuiti nelle edicole e/o librerie italiane.

I membri della Giuria 2019

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I candidati ai Premi Micheluzzi e ai Premi COMICON sono selezionati – nel numero di cinque nomination per ciascuna categoria – da un Comitato di Selezione composto dal Direttore artistico e da uno staff di esperti, giornalisti e operatori editoriali. Una Giuria composta da cinque personalità del mondo del fumetto e della cultura italiana assegna infine i Premi, senza possibilità di ex-aequo.

Cinzia Ghigliano Cinzia Ghigliano inizia la sua carriera come fumettista nel 1976 sul mensile Linus. Nel 1978 ottiene al Salone Internazionale dei Comics di Lucca il prestigioso Yellow Kid quale Miglior autore italiano. Negli anni immediatamente successivi dà vita, con Marco Tomatis, a numerosi personaggi, come Isolina o Lea Martelli, primo esempio di fumetto seriale pubblicato su un settimanale femminile ad ampia tiratura. Nel 1984 nasce Solange, le cui avventure vengono pubblicate in numerosi paesi europei. Contemporaneamente si occupa di divulgazione a fumetti. In questo campo ottiene nel 1986, con Luca Novelli, il premio Andersen per la divulgazione scientifica.


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Valentina Lodovini nel 2005 si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e nel 2006 debutta al cinema con Paolo Sorrentino nel film L’amico di famiglia (in concorso al Festival di Cannes 2006). Nel 2011 vince il David di Donatello come Migliore Attrice non protagonista per l’interpretazione in Benvenuti al Sud. Nel frattempo torna a teatro con lo spettacolo scritto da Franca Rame e Dario Fo Tutta casa, letto e chiesa, raggiungendo subito il sold-out e presta la voce ad uno dei personaggi del nuovo film Disney/ Pixar, Coco, continuando a dividersi come giurata di vari Festival, tra cui anche Venezia, e interprete di nuovi film in arrivo nel 2018 e 2019.

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Fabio Genovesi (Forte dei Marmi, 1974) ha pubblicato per Mondadori i romanzi Versilia Rock City, Esche Vive, Chi manda le onde (Premio Strega Giovani 2015) e Il Mare dove non si tocca (Premio Viareggio 2018), il diario on the road della sua avventura al Giro d’Italia Tutti primi sul traguardo del mio cuore e, per Laterza, il saggio cult Morte dei Marmi. Collabora con il Corriere della Sera, e il suo settimanale La Lettura.

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Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, è uno dei talenti più fulgidi e liberi della nuova scena musicale italiana. Lo prova un percorso impeccabile fatto da tre album che hanno riscosso i favori di pubblico e critica (“Un meraviglioso declino”, “Egomostro” e “Infedele”). Nel 2015 ha scritto insieme ad Alessandro Baronciani la graphic novel La distanza, pubblicata da Bao Publishing. Un successo su tutti i fronti a cui è seguito un tour di più di 50 date, molte delle quali sold out, in cui i brani del suo repertorio venivano eseguiti in forma acustica e accompagnati dalle illustrazioni in tempo reale proprio di Alessandro Baronciani.

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Alessandro Beretta classe 1978, collabora al “Corriere della Sera”, dal 2001, e all’inserto “La Lettura” occupandosi di narrativa. Da 22 anni, per esterni, è coinvolto nel Milano Film Festival di cui è Direttore artistico dal 2011, attualmente insieme a Gabriele Salvatores. È tra i soci fondatori della libreria Verso a Milano. Di fumetti si è occupato per “Alias - il manifesto”, “Rolling Stone”, “Icon”. Ha curato con Alberto Saibene il volume Storie sparse. Racconti, fumetti, illustrazioni, incontri e topi (Il Saggiatore, 2011) di Giovanni Gandini, fondatore di Linus, e scritto la biografia Peter Sellers, un camaleonte rosa (Bevivino, 2005).

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Opere italiane

Opere italiane

Miglior Fumetto

Migliore Sceneggiatura

Atto di Dio Giacomo Nanni (Rizzoli Lizard) 17€

Le tragedie de L’Aquila e di Amatrice diventano riflessione filosofica. Una esplorazione mentale che registra, con distacco quasi scientifico, la voce atona della natura.

Jonas Fink: Il libraio di Praga Vittorio Giardino (Rizzoli Lizard) 29€

Il ritorno di un grande maestro. Ormai adulto, Jonas Fink si ritrova nel 1968 in piena Primavera di Praga, che segnò l’ascesa al potere di Alexander Dubček e l’inizio dell’influenza sovietica.

Ariston

Il futuro è un morbo oscuro dr. Zurich

Sara Colaone e Luca De Santis (Oblomov Edizioni) 18€

La storia d’Italia attraverso i cambiamenti delle donne. Renata dirige, suo malgrado, un tipico albergo della Riviera, tra gli anni ‘50 e ‘70, mentre la cronaca italiana scorre sullo sfondo.

L’incanto del parcheggio multipiano Marino Neri (Oblomov Edizioni) 19€

Una parabola onirica sul malessere delle periferie. La morte di un giovane immigrato, e una specie di patto col diavolo, conduce in un viaggio a ritroso, alla ricerca dei suoi assassini.

Alessandro Lise e Alberto Talami (Becco Giallo) 19,50€

Super Relax Dr. Pira (Coconino Press/Fandango) 22€

Un’avventura surreale. Come scoprire i più sofisticati livelli di “relax”? Naturalmente, con un libro «interamente pensato e disegnato in spiagge, centri termali, montagne e idromassaggi».

Umorismo demenziale e salti temporali. Finalmente la risposta all’annosa domanda “Cosa sarebbe successo se la Russia sovietica fosse stata attaccata da un morbo alieno proveniente dal futuro?”.


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Miglior Disegno

Instantly Elsewhere Lorenzo Palloni (Shockdom) 25€

Il potere della scrittura. Owen Theobald non può smettere mai di scrivere, perché le idee che non mette su carta diventano reali. Come quella che compare un giorno, dal nulla, per uccidere lui e la sua famiglia.

Joe Shuster Thomas Campi (Bao Publishing) 21€

Salvezza Marco Rizzo (Feltrinelli Comics) 15€

La vita del co-creatore di Superman. Una biografia in toni vintage, dai colori affascinanti, sulle vite che quel personaggio di carta e inchiostro ha cambiato, in meglio o peggio.

Il fumetto si fa testimonianza. Un reportage dalla nave Acquarius di Medici Senza Frontiere. Le difficoltà e le storie degli uomini che si trovano a bordo, salvatori e salvati dalle acque del Mediterraneo.

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Opere italiane

Mercurio Loi #10: “L’uomo orizzontale” Alessandro Bilotta (Sergio Bonelli Editore) 4,90€

Senzombra Michele Monteleone (Bao Publishing) 17€

La crescita è un’avventura fantastica. Tristan è un cacciatore di creaL’inerzia come ribellione. ture mistiche, eroe suo malgraUn gruppo di terroristi inscena do. Pensa di sapere chi è e cosa curiose rivolte che paralizzano vuole, ma scoprirà durante le Roma, bloccandosi d’improvvi- sue avventure cosa è davvero so in mezzo alla strada. Mercu- importante nella vita. rio dovrebbe combatterli, ma preferisce rimanere sdraiato sul divano. Persino il lettore dovrà leggere “in orizzontale”.

Una favola acida e visionaria. La storia epica e oscura di una donna, cresciuta in mezzo ad altre donne, che lotta per salvare il proprio bambino. E la magia di stili diversi, che quasi emergono dalle ombre.

Nathan Never: Generazioni #6 Massimo dall’Oglio (Sergio Bonelli Editore) 3,90€

Il finale di un viaggio tra multiversi. La conclusione della miniserie dedicata a multiple versioni di NN, è all’insegna di atmosfere manga, tra Hayao Miyazaki e Tsutomu Nihei.

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Marco Corona (001 Edizioni) 18€

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La Galaverna


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Opere italiane

Miglior Serie Italiana Sofia dell’oceano

Contronatura vol. 3

Kalina Muhova

Mirka Andolfo

(Tunué) 27 €

(Panini Comics)

Una fiaba avventurosa e malinconica. Sofia è una bimba reclusa in una villa sul mare, da cui scrive struggenti richieste di amicizia che affida all’oceano. Il pirata Occhioblu la coinvolgerà in una rutilante avventura.

Blue: Capitolo finale Angela Vianello (Shockdom)

14 €

15 €

Un racconto distopico con animali antropomorfi, che parla però di temi attuali: Leslie vive in un mondo che vieta matrimoni tra esseri di razze diverse.

Adolescenza fantascientifica. La storia di Aqua, della presa di coscienza dei cambiamenti che sconvolgono il suo corpo, raccontata con uno stile che fonde influenze manga con lo stile europeo.

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Mercurio Loi Alessandro Bilotta e AA.VV. (Sergio Bonelli Editore) 3,90€

Tramezzino Paolo Bacilieri (Canicola)

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17€

Lo spettacolo della grande architettura. Una storia d’amore ambientata a Milano. Ma soprattutto, un’esplorazione disegnata, in formato gigante, dell’architettura milanese moderna.

Giocare con il linguaggio del fumetto. La serie Bonelli più sorprendente degli ultimi anni, tra romanzo storico e thriller filosofico, tanto lontana dall’azione quanto ricca di sofisticate trovate di sceneggiatura.

Caput mundi: Nero Michele Monteleone, Dario Sicchio e AA.VV. (Editoriale Cosmo)

Il Corvo: Memento Mori Roberto Recchioni, Werter

5,50 €

Dell’Edera, AA.VV.

L’horror splatter made in Italy. La serie amplia l’universo narrativo Caput mundi raccontando le vicende di Nero e la sua lotta, grandiosamente sanguinolenta, contro La Mummia e i suoi servitori per il controllo di Roma.

3,90€

(Edizioni BD)

Le ali della vendetta su Roma. David Amadio è stato ucciso, innocente, ed è tornato dalla morte in cerca di vendetta. Un racconto interamente realizzato da autori italiani ambientato nell’universo ideato da James O’Barr.


David Genchi (Hollow Press) 13 €

Un’agiografia al contrario. Tra horror, grottesco, pornografia e arte medievale, il racconto della ricerca della santità da parte dell’eremita Zebedeo attraverso la fuga dalle tentazioni.

Storie di uomini intraprendenti e di situazioni critiche Luca Negri (Eris Edizioni/Stigma) 15 €

Ribaltare gli stereotipi. Un’antologia di racconti di genere di cui ogni topos narrativo viene rovesciato, tra noir sanguinolenti con animali antropomorfi, western con alieni e war stories senza traccia di guerra.

Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano Eleonora Antonioni e Francesca Ruggiero (Eris) 17,50 €

L’adolescenza negli anni Novanta. Le vite intrecciate di tre ragazzine in una città di provincia, raccontate con freschezza e profondità in un libro interamente disegnato con la penna a sfera.

Romanzo esplicito Fumettibrutti (Feltrinelli Comics) 16 €

Una parabola onirica sul malessere delle periferie. La morte di un giovane immigrato, e una specie di patto col diavolo, conduce in un viaggio a ritroso, alla ricerca dei suoi assassini.

Le terre dei giganti invisibili Giada Tonello (Edizioni BD) 13 €

Un mondo di sogno La fantasia di una bambina crea un universo fantastico popolato da gigantesche creature elementali, tratteggiato con uno stile onirico e suggestivo.

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Lo fallo perduto

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Migliore Opera Prima

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Opere italiane


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Opere straniere e internazionali

Opere straniere e internazionali

Migliore Edizione di un Classico

Migliore Graphic Novel Straniero

Barbara Osamu Tezuka trad. Roberto Pesci (Edizioni BD) 15 €

Un inedito del Dio dei Manga. Dopo tanti fumetti di puro intrattenimento, negli anni ‘70 Tezuka pubblica un racconto maturo e duro che parla di morbosità, di alcolismo e della condizione femminile nel Giappone del tempo.

Sono un giovane mediocre Gérard Lauzier, trad. Boris Battaglia (Rizzoli Lizard) 22 €

Il fallimento del maggio francese. Un bilancio cinico a distanza di quindici anni sul movimento del Sessantotto attraverso la figura di Choupon, un diciottenne in bilico tra le ambizioni rivoluzionarie e l’ozio sul divano.

Annalisa e il diavolo

Helter Skelter

Guido Buzzelli (Coconino Press/Fandango) 25 €

Il maestro del grottesco italiano. Un’antologia di racconti brevi per riscoprire le opere migliori di uno dei più grandi autori italiani di sempre, celebrato in Francia ma dimenticato in patria.

Kyoko Okazaki trad. Susanna Scrivo (Dynit Manga) 18,90 €

Multiforce Mat Brinkman trad. Daniele Ferriero (Hollow Press) 29 €

L’underground che ha cambiato il fumetto. Uno dei libri che hanno rivoluzionato il fumetto indipendente USA nei tardi ‘90 è un fantasy brutale e grottesco, ricco di suggestioni provenienti dai videogiochi e dalle strip di inizio secolo.

Storia della Santa Russia Gustave Doré, trad. Boris Battaglia (Eris Edizioni) 25 €

Un fumetto d’autore dell’Ottocento. Prima di illustrare la sua celebre Divina Commedia, Doré pubblicò diversi libri illustrati, che oggi possiamo riconoscere come fumetti, tra cui una satira sull’impero degli zar.

La maledizione della bellezza. Ririko è una modella bellissima ma con un segreto: è completamente rifatta. Per questo è instabile nel corpo quanto nell’umore, e si isola precipitando in un vortice di autodistruzione.


109

Emil Ferris trad. Michele Foschini (Bao Publishing) 29 €

I mostri siamo noi. Il diario di Karen, una ragazzina appassionata di arte e storie che indaga sulla morte della vicina, sopravvissuta all’Olocausto. Lei e i suoi amici, nella sua immaginazione, sono mostri, brutti e emarginati ma molto più umani della “gente normale”.

Chiisakobe voll. 1-4 Minetaro Mochizuki, trad. Roberta Tiberi (J-Pop) 9,50 €

23 €

Le vite di chi resta. Quali sono le conseguenze sulle vite di chi era vicino a una vittima di omicidio? Una lucida riflessione sui rapporti umani nella società contemporanea, tra incapacità di comunicare e onnipresenza dei social.

Realismo urbano giapponese. Shigeji ha perso tutto, casa e genitori, in un incendio che ha distrutto anche la ditta di famiglia. La ricostruzione della sua vita si intreccia con quella degli abitanti del quartiere e dei bambini dell’orfanotrofio, pure rimasti senza tetto.

Berlin vol. 3 Jason Lutes trad. Valerio Stivè (Coconino Press/Fandango) 17 €

Una sorella Ragazze Cattive Ancco, trad. Roberta Barbato (Canicola Edizioni) 18 €

L’autrice rivelazione coreana. Un racconto che denuncia le violenze sulle donne nella Corea degli anni Novanta attraverso una storia con numerosi spunti autobiografici.

Bastien Vivès trad. Michele Foschini (Bao Publishing) 19 €

La scoperta della sessualità. Una commedia adolescenziale con protagonista un ragazzo tredicenne che, durante un’estate indimenticabile, viene iniziato al sesso da una sedicenne amica di famiglia.

L’affresco di una nazione sul baratro. La Germania della Repubblica di Weimar raccontata attraverso gli occhi di persone comuni. Un’opera fiume, giunta a compimento a 22 anni dalla pubblicazione del primo capitolo.

Infinity 8 voll. 1-8 Lewis Trondheim e AA.VV trad. Isabella Donato (Panini Comics) 10 €

Variazioni sul tema nello spazio più profondo. Otto racconti di fantascienza, disegnati da altrettanti autori ma scritti tutti da Trondheim, affondano a piene mani negli stilemi del genere per rinnovarli in modi scoppiettanti.

C O M I C O N

Sabrina La mia cosa Nick Drnaso preferita sono i trad. Stefano A. Cresti mostri (Coconino Press/Fandango)

P r e m i

Migliore Serie Straniera

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Opere straniere e internazionali


Opere straniere e internazionali

P r e m i

C O M I C O N

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Giovani Letture

Cinque Mondi vol.1

Mister Miracle vol. 1 Tom King e Mitch Gerads trad. Giovanni Palilla (RW Lion) 13,95 €

Mark e Alexis Siegel trad. Caterina Marietti (Bao Publishing) 22 €

Sulle orme del Re. King e Gerads indagano il personaggio di Mister Miracle creato da Jack “the King” Kirby, svelandone gli aspetti più reconditi della personalità in un fumetto allucinato e spiazzante.

I bambini salveranno i mondi. Tre ragazzi provenienti da mondi diversi dovranno lottare per salvare l’universo grazie alla forza di un’amicizia in grado di andare oltre i pregiudizi.

In scena Raina Telgemeier trad. Laura Bortoluzzi (Il Castoro) 15,50 €

Un racconto di formazione adolescenziale. La pluripremiata autrice racconta la maturazione di Callie, che lavora alla produzione di un musical scolastico e affronta i suoi sentimenti verso Greg, mentre gli amici fanno i conti con la scoperta della sessualità.

Ariol voll.1-2 Emmanuel Guibert e Marc Boutavant trad. Caterina Ramonda (Becco Giallo) 12 €

Tokyo Alien Bros voll. 1-3 Keigo Shinzo trad. Asuka Ozumi (Dynit Manga) 16,90 €

Alieni alla scoperta della Terra. Due extraterrestri si camuffano da terrestri per studiare il nostro pianeta in vista di una possibile invasione. Ma scopriranno che gli umani sono molto più complicati del previsto.

Un grande autore per i bambini. Ariol è un giovane asino azzurro che vive vicende quotidiane in un mondo di animali antropomorfi in compagnia di genitori, amici e abitanti del quartiere.

Dove non sei tu Lorenzo Ghetti (Coconino Press/Fandango) 18,50 €

La distanza virtuale. In un futuro prossimo, Lido e Mobi, diventano amici senza conoscersi mai di persona. Con brillanti invenzioni visive, un fumetto sulla crescita e su come la tecnologia condizioni i rapporti umani.

Senzombra Michele Monteleone e Marco Matrone (Bao Publishing) 17 €

La crescita è un’avventura fantastica. Tristan è un cacciatore di creature mistiche, eroe suo malgrado. Pensa di sapere chi è e cosa vuole, ma scoprirà durante le sue avventure cosa è davvero importante nella vita.


A

completare il Palma-

res, dal 2019 COMICON ha

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Premio COMICON alla Carriera 2019

Premio COMICON “Nuove Strade 2019”

Giovanni Ticci

Eliana Albertini

Giovanni Ticci nasce il 10 aprile 1940 a Siena, nella contrada del Nicchio, a ridosso della Maremma, terra di butteri e cavalli, il West italiano praticamente. Dopo avere disegnato un episodio del 1958 di Un ragazzo nel Far West (la prima serie western della casa editrice), Sergio Bonelli lo chiama e gli offre di salire sulla carovana di Tex e dei suoi pard, ma lo fa con una richiesta specifica: “non copiare Galep, fai il tuo Tex.” Da allora sono passati oltre 50 anni e 7000 tavole, e Ticci si è affermato come uno dei maestri della tradizione fumettistica italiana. Il suo segno elegante ha conquistato i lettori avventura dopo avventura, accompagnando gli sguardi nell’esplorare gli spazi sconfinati delle praterie, i deserti roventi e i canyon impervi, i paesaggi innevati, i villaggi navajo ed i tanti scenari mozzafiato che sono diventati, proprio grazie al suo talento, elementi distintivi dell’epica texiana. Il Premio alla Carriera di COMICON 2019 celebra la sua opera al servizio di Aquila della Notte.

Attiva dal 2013 tra riviste, autoproduzioni e online, Eliana Albertini ha proseguito nel 2018 una brillante produzione di storie brevi, tra cui Routine, Cos’è che conta veramente?, Anche i pupazzi piangono, segnate da un senso di straniamento divertito, quasi stralunato, e da una costante ricerca grafica. Per queste ragioni, unite alla chiarezza e coerenza progettuale, il festival le ha attribuito il Premio Nuove Strade 2019. Nata il 13 febbraio 1992 ad Adria (Rovigo), Eliana Albertini è diplomata al Liceo Artistico, indirizzo figurativo. Negli anni dell’Accademia di Belle Arti di Bologna fonda con altre autrici il collettivo Blanca, con il quale autoproduce l’omonima ed elegante fanzine, di cui escono cinque numeri. Conseguito il Diploma ritorna ad Adria, da dove continua il proprio percorso di ricerca con brevi storie autoprodotte in albi fotocopiati, e con numerose vignette e illustrazioni pubblicate in rete. Esordisce in libreria nel 2017 con Luigi Meneghello, apprendista italiano, il suo primo graphic novel per Becco Giallo. Fra i suoi temi emerge una costante rivisitazione del passato, spesso associata a ironia (e autorironia) nella rappresentazione plastica dei corpi.

istituito due Premi Speciali. Il Premio Speciale alla Carriera, assegnato ad un autore o autrice per il contributo offerto

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dall’insieme della sua opera allo sviluppo della Nona arte in Italia. E il Premio Speciale Nuove Strade, assegnato in collaborazione con il Centro Fumetto “Andrea Pazienza” ad un autore o autrice che si è distinto per opere pubblicate

produzioni. Entrambi i Premi Speciali sono svelati alcune settimane prima del festival.

S P E C I A L I

nale, come small press e auto-

P r e m i

circuiti dell’editoria professio-

C O M I C O N

nel 2018, in Italia, fuori dai


Ricorderò per sempre l’edizione di Comicon 2019, di questo sono sicuro. Perché abbiamo scelto proprio questo evento per presentare l’ultimo numero di Tokyo Ghoul: RE e, per celebrare insieme ad alcuni dei tantissimi lettori il completamento di una saga davvero speciale. Una serie che sono orgoglioso di definire come quella di maggior successo della mia storia di editore, una serie che ha posto J-POP MANGA nel radar di molti lettori e addetti ai lavori e che ha sicuramente segnato un percorso sul quale stiamo da anni correndo per continuare a far crescere il nostro catalogo e la qualità delle nostre pubblicazioni. Una serie estremamente longeva, che nonostante un numero finanche limitato di tankobon (30), ha una persistenza nei favori del pubblico come pochissime altre. Anche alle fiere di quest’anno, in Italia e non, abbiamo visto moltissimi cosplayer e gadget e merchandising ispirati dalla saga che Sui Ishida ha prodotto negli ultimi nove anni. Per allentare il morso spietato della nostalgia, vi forniremo qualche altro placebo: una novel, un art book. Se anche tutte le cose belle finiscono, sono convinto che quelle splendide rimangano per sempre a farci compagnia, indelebili nella nostra memoria, meglio ancora se facilmente reperibili per una rilettura di ripasso, per riscoprire un capolavoro che ci ha regalato così tante emozioni.

Marco Schiavone

Editore, Edizioni BD/ J-POP MANGA

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