COMICON PLUS MAGAZINE 2019 / N. ZERO / EUR 8,00 C O M I C O N E D I Z I O N I
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FEATURING:
GIPI MAGISTER COMICON 路 LA FINE DI GAME OF THRONES 路 LEGO VS PLAYMOBIL IL FUTURO DEGLI E-SPORTS 路 I MARI DI CORTO MALTESE 路 LA VALIGIA DEL COSPLAYER FUMETTI DI BILOTTA E SPUGNA, MATTIOLI
Gipi, ritratto (con pugno in faccia) © 2019 Tommaso “Spugna” Di Spigna
ZAINO IN SPALLA! BENVENUTI NELL’ABISSO World Building. Ti è mai capitato di provare a immaginare un intero mondo? Se hai provato a creare un fumetto, un gioco o un racconto, hai affrontato questa sfida. Hai dovuto pensare a quali fossero le sue dinamiche, i suoi pericoli, la popolazione di questo universo: costruire da zero un mondo di fantasia è incredibilmente complicato. Akihito Tsukushi non è solo riuscito a farlo con naturalezza, ha anche creato un mondo coinvolgente e... stranamente familiare. Sarà la dinamica videoludica, forse mutuata dalla sua esperienza lavorativa nel campo dei videogiochi, che ci rende familiare l’atmosfera? O è l’Abisso, vero protagonista di Made in Abyss, che livello dopo livello ci ricorda i gironi dell’inferno dantesco? “Lasciate ogni speranza, voi che entrate”: per colpa della maledizione dell’Abisso, un passo di troppo in profondità può rendere impossibile il ritorno in superficie! I paesaggi, le creature e l’esplorazione dell’ignoto sono i punti di forza che fanno di quest’opera un’avventura tra Viaggio al centro della terra e le favole crudeli dei Fratelli Grimm. Le oniriche e spietate tavole di Made In Abyss ci hanno colpiti sin dal primo momento in cui abbiamo posato gli occhi sulle sue pagine e... non ci hanno più lasciato andare!
Georgia Cocchi Pontalti
Marketing manager, J-POP MANGA
Akihito Tsukushi ospite al Comicon!
MADE IN ABYSS © Akihito Tsukushi / TAKE SHOBO 2013
COMICON PLUS - ANNO I° - NUMERO ZERO Direzione Editoriale Matteo Stefanelli Art Direction Roberto Policastro Redazione Emanuele Soffitto (caporedattore), alino, Raffaele De Fazio, Lorenzo Raggioli, Kevin Scauri Progetto Grafico e impaginazione Bruno Scafuro e Walter Dipino per Doppiavù Studio Illustrazione di copertina Tommaso “Spugna” Di Spigna Hanno collaborato a questo numero Erik Balzaretti, Noemi Barricelli, Boris Battaglia, Alessandro Bilotta, Alberto Brambilla, Eleonora C. Caruso, Emilio Cozzi, Emanuela D’Alessandro, Paola Damiano, Tommaso Di Spigna, Lorenzo Fantoni, Francesco Francavilla, Antonio Fucito, Michele Ginevra, Paolo Interdonato, Massimo Mattioli, Allegra Nelli, Gabriella Orefice, Iacopo Risi, Nicholas Sacco, Gianmaria Tammaro, Giorgio Viaro. Relazioni stampa e comunicazione Maria Rosaria Giampaglia, Noemi Barricelli Fotografie di Visionarea Studio, Unitalia, Eric Savage Immagini ufficiali fornite da: CONG SA, Edizioni BD/J-POP, Dynit, Notorious Pictures, Warner Bros, Panini Comics, Coconino Press - Fandango, Sky Atlantic, PG ESPORTS Comicon Plus è un progetto editoriale di COMICON
Direzione Generale Claudio Curcio Direzione Artistica Matteo Stefanelli Organizzazione Alessandro Spinosa (direttore), Andrea Capozzi, Paolo Pettineo, Evelina Pessetti Direzione Commerciale e Marketing Carlo Cigliano Comunicazione Noemi Barricelli (responsabile), Emanuela D’Alessandro, Sara Formisano, Annette Palmieri, Francesco Tedesco Amministrazione Antonella Cavaliere (responsabile), Giordana Mobilio, Fabrizia de Marinis Ospitalità alino (responsabile), Chiara Curcio, Federica Morra, Ivana Ziello Organizzazione Mostre Paola Damiano (responsabile), Allegra Nelli, Giandomenico Maglione, Gianluigi Prencipe, Marcello Zoleo Curatori Programma Giuseppe di Blasio (Giochi), Antonio Fucito (Videogiochi), Giorgio Viaro (Serie tv e Cinema), Francesco Davide, Renato Delehaye e Silvio Franceschinelli (Asian), Francesco Anderini (Neverland), Luca Coppola e Viviana Luongo (COMICON Kids), Ilaria D’Angelo (Imago). Coordinamento Operativo Davide Occhicone (Incontri Fumetto), Giuseppe Colella (Responsabile tecnico audiovisivi), Giulio Di Donna (Responsabile tecnico live show), Gabriella Orefice e Antonio Di Napoli (Cosplay) Segreteria Organizzativa VisioNa Scarl · Gestione & Organizzazione Eventi via Chiaia 41 - Napoli · tel. +39 0814238127 Finito di stampare nel mese di Aprile 2019 da Grafica Metelliana Spa (SA) © 2019 COMICON Edizioni ISBN 978-88-98049-85-1
COMICON PL US I TA N T I M O N D I D E L P O P , U N F R A M M E N T O A L L A V O L TA . matteo stefanelli
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contenuti che leggiamo, vediamo, ascoltiamo, giochiamo, sono sempre più diversi tra loro.
E sempre più numerosi. Comicon Plus è una rivista che nasce partendo da questo dato di fatto, ispirata dalla ricchezza e dalla varietà di un festival come COMICON, il cui mestiere è quello di fare incontrare alcuni dei tanti frammenti che circolano nella galassia di immaginari ed esperienze della cultura pop. Perché ad essere diversi, insieme ai contenuti, ci siamo noi stessi: spettatori, giocatori, lettori, consumatori e visitatori di una grande manifestazione dedicata alla “ordinarietà crossmediale” in cui tutti noi siamo immersi. Quale obiettivo offriamo dunque, a voi e a noi tutti, con questa nuova rivista? Lavoreremo per accostare e attraversare questi mondi, qualche volta per provare ad unirli, in altri casi per rimarcarne la distanza e le differenze. Le industrie dei contenuti sono molte, un oceano impossibile da navigare senza meta, e con questa rivista vogliamo provare a raccontare una selezione di storie - opere, fenomeni, artisti, curiosità e dati - che le alimentano grazie alle energie creative che provengono dai più diversi settori della cultura e dell’intrattenimento. Fumetto, serie tv, videogiochi, cinema, anime, card games, giochi da tavolo e di ruolo, musica, cosplay, merchandising. Tutto questo ha nutrito i primi vent’anni di COMICON che, insieme alla “sorella maggiore” Lucca Comics & Games, ha saputo affermare la formula di manifestazioni dove i consumi pop sono protagonisti più di quanto non accada sui media o nei festival ‘monoculturali’ tradizionali. Facendo dell’Italia un Paese leader europeo nei festival crossmediali. Anche se le istituzioni, la scuola e l’informazione sembrano accorgersene ancora (molto) poco, il pubblico italiano è tra i più affamati, preparati e aperti alla trasversalità della pop culture. Questo primo numero di Comicon Plus, che per COMICON rappresenta un esperimento - un numero zero - presenta in copertina un’immagine che vuole essere un biglietto da visita: un sano cazzotto in faccia, in multicolor. Un po’ per suggerire il tema del nostro primo dossier originale, dedicato ai pugni nell’immaginario di fumetti, videogiochi, animazione, grafica e arti visive. E un po’ per celebrare, con il dovuto sarcasmo, il fumettista Magister dell’edizione 2019 del festival, Gipi, qua in un’intervista inedita che ribalta qualche stereotipo sul suo supposto “realismo”. Nelle altre pagine della rivista, alla sezione PopJournal, troverete articoli sui fenomeni, le opere o gli autori più caldi; Focus darà spazio agli approfondimenti critici e alle analisi sugli scenari; PopNext esplora i trend emergenti e i progetti più attesi del 2019/2020, nei più diversi settori; inoltre Comicon Plus ospita due Storie speciali: l’inedita collaborazione tra Alessandro Bilotta, scrittore della pluripremiata serie Mercurio Loi, e Spugna, illustratore della nostra copertina, già Premio Nuove Strade 2018; e una gemma dimenticata di Massimo Mattioli, il più grande surrealista italiano dai tempi di Jacovitti. Infine, un tributo alle opere candidate ai Premi di COMICON 2019, e alla splendida affiche firmata per noi da Francesco Francavilla. Immaginiamo Comicon Plus come un’esperienza complementare, rispetto al turbine di stimoli di un’immersione festivaliera. Il cantiere è aperto. Buona lettura!
POPJOURNAL
08/09 Il poster di
IND Francavilla PER COMICON 2019
POPJOURNAL
10/12 Game of Thrones
POPJOURNAL
14/18 La valigia
VERSO LA FINE E IL NUOVO INIZIO
del Cosplayer STORIE DI VIAGGI, GARE E BAGAGLI IMPOSSIBILI
POPJOURNAL
20/23 Lego vs Playmobil LA SFIDA CONTINUA ANCHE AL CINEMA
POPJOURNAL
24/28 Made in Abyss
UN’AVVENTURA SULLA NOSTALGIA DELL’INFANZIA
POPJOURNAL
30/33 eSports:
34/35
NE VEDREMO DELLE BELLE. E A LUNGO.
POPJOURNAL
Warhammer 40.000
LE REGOLE ESSENZIALI PER VERI NEOFITI
POPJOURNAL
36/39 Massimo Mattioli L’INVASIONE DELL’ULTRAPOP STORIE
40/43 Bazooly Gazooly
FOCUS
44/53 Gipi ESPLORARE L’IRREALE PER RACCONTARE LA REALTÀ.
DEX FOCUS
54/59 Solo l’ampio mare I SETTE MARI DI CORTO MALTESE
FOCUS
60/69 The Art of Pugni
LE INFINITE FORME DI UN DETTAGLIO CHE SPACCA
FOCUS
70/75 Per un pugno di Pixel
IL PUGNO NEL MONDO DEI VIDEOGIOCHI: DAI PRIMI PICCHIADURO AI MODERNI ACTION E QUALCHE CURIOSITÀ.
FOCUS
76/77 Dati: i numeri dell’editoria LA PRODUZIONE DI FUMETTI IN ITALIA NEL 2018
80/89 PopNext
LE TENDENZE 2019/20 IN: FUMETTI, ANIME & MANGA,
CINEMA, SERIE TV, VIDEOGAMES
STORIE
90/100 Qualche giorno d’influenza BILOTTA / SPUGNA
PALMARÈS
102/111 Palmarès ufficiale di COMICON
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Francavilla per
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Francesco Francavilla biografia Disegnatore Premio Eisner e copertinista per le maggiori case editrici statunitensi, Francesco Francavilla è noto per il suo caratteristico stile vintage, battezzato “neo-pulp”, nel panorama dell’illustrazione e del fumetto americani. Nel fumetto ha lavorato su serie di primo piano quali Batman, Captain America, Hawkeye e sul rilancio di grandi classici come Spirit di Will Esiner e Afterlife with Archie. Francavilla è anche un acclamato cover e poster artist. Da diversi anni è tra gli artisti di punta per Mondo, il celebre marchio cult che produce poster a tiratura limitata che vanno a ruba tra i collezionisti. Ha realizzato poster ufficiali per film o tour di importanti band, cover art per album musicali e concept art o storyboards per film e TV. Ha inoltre collaborato in ambito musicale con artisti del calibro di Kirk Hammet dei Metallica o dei Pearl Jam, nel settore televisivo per programmi tv come American Idol, e in ambito editoriale con riviste quali Entertainment Weekly, Wired, Variety, Esquire e molti altri. È il primo fumettista ad avere creato il poster ufficiale di uno show a Broadway, e il primo ad avere illustrato un intero numero del New York Times Magazine. È autore della serie The Black Beetle di Dark Horse, tradotta in italiano da Panini Comics.
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Sono molto legato a Napoli, il primo festival di fumetto a cui ho partecipato si svolgeva proprio qui. Per la realizzazione del manifesto di COMICON ho pensato a Moebius, artista di cui sono un grande appassionato e che è stato anche ospite del festival. Ho immaginato una space-girl immersa in un contesto fantascientifico, ma volevo in qualche modo suggerire l’atmosfera di Napoli. Il risultato è quello che vedete: una Napoli futuristica dove i teenager possono guidare hover-scooter accompagnati da robot giganti - un’altra mia vecchia passione - in una corsa verso le porte di COMICON.
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Ga me Verso la f i n e e il nuo vo Dopo 9 anni si conclude la serie tv piĂš vista, discussa e seguita degli ultimi anni. Qualche ipotesi sui possibili finali, e sulle prospettive per il futuro.
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addirittura un accordo col Re della Notte, sempre che Jaime non la uccida prima. Una delle possibili conclusioni vedrebbe Sansa regnare insieme a Tyrion, ma anche qua entrambi possono finire male proprio come tutti gli altri. Ah, ci sono anche Gendry, che alla fine ha qualche goccia di sangue reale, e i Greyjoy, vera scheggia impazzita. Non dimentichiamo infine Bran e tutte le teorie che lo riguardano, come quella in cui sarebbe lui in verità il Re della Notte! Insomma, di carne al fuoco ce n’è veramente tanta ed è anche questo fattore di incertezza che ha reso Game of Thrones un prodotto unico, amato e commentato come lo fu Lost molti anni prima: l’idea che dietro l’angolo ci sia sempre un’altra sorpresa, spesso negativa, e che quando pensi che tutto stia andando bene… vuol dire solo che non hai guardato attentamente.
Arya Stark © Courtesy of HBO
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Ma cosa succederà quando scorreranno per l’ultima volta i titoli di coda? In molti proveranno a prendere il posto di Game of Thrones nel cuore degli appassionati. Su tutti, Amazon e la sua serie tv dedicata al Signore degli Anelli, con Netflix che invece punterà su The Witcher, che senza dubbio stuzzicherà i fan del fantasy più dark e ricco di spargimenti di sangue.
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l 17 aprile 2011 andava in onda la prima puntata di Game of Thrones, a maggio di quest’anno sarà tutto finito, e anche solo dirlo fa strano. Sono passati nove anni da quella prima scena oltre la Barriera, nove anni in cui la serie tv HBO ha definitivamente sdoganato il fantasy per il grande pubblico, mettendo in scena una via di mezzo tra la telenovela, il romanzo storico e la letteratura d’evasione, cercando costantemente di sorprendere i propri spettatori con sadici colpi di scena. Di ciò che vedremo alla fine per il momento non sappiamo nulla, l’unica certezza è che sarà bene non aspettarsi qualcosa che rimanga nel mezzo: o ci sarà molto da piangere o saremo tutti molto felici. Con le lacrime date per favorite, pare, da qualunque bookmaker accetti scommesse. Spulciando tra le teorie più interessanti, non sono in molti quelli che danno come duratura la coppia formata da Jon e Daenerys; troppo perfetta per non riservarci qualche colpo basso. C’è poi la scheggia impazzita di Cersei che, pur di regnare, sarebbe disposta ad andare contro la sua stirpe, stringendo
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Tyrion Lannister © Courtesy of HBO
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Ma HBO non è pronta a mollare lo scettro senza lottare: l’universo narrativo dei Sette Regni è ricco di storie che possono essere raccontate per tenere vivo l’interesse del pubblico. Basta pensarci un poco: non sappiamo niente su diversi aspetti di GoT. Le ancestrali figure che dominarono Valyria? Il cataclisma che le ha fatte scomparire? Chissà. Per adesso le informazioni su questo eventuale prequel, chiamato La Lunga Notte, non sono molte. Il progetto dovrebbe escludere draghi e Targaryen, concentrandosi su una storia collocata moltissimi anni prima di quella che abbiamo visto fino ad oggi, un’epoca dorata e prospera che sprofonderà sempre di più nell’oscurità che ben conosciamo. La scrittura della serie è affidata a Brian Helgeland, premio Oscar per L.A. Confidential, Jane Goldman, Max Borenstein, Carl Wray, Brian Cogman e allo stesso Martin. Lo spinoff dovrebbe vedere la luce nel 2020 e le riprese inizieranno alle Canarie e in Islanda nell’autunno 2019, con un cast di tutto rispetto in cui troveranno spazio Naomi Watts, Josh Whitehouse, Alex Sharp e Miranda Richardson. Per ora l’unica certezza è che la fine di Game of Thrones sarà uno degli eventi più importanti di quest’anno e che chiunque vorrà prenderne il posto dovrà affrontare una missione difficile quanto battere Cersei Lannister a un drinking game.
Brienne di Tarth © Courtesy of HBO
Jon Snow e Daenerys Targaryen © Courtesy of HBO
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Andrea Vesnaver del duo Roboticpizza all’arrivo all’aeroporto di Nagoya in Giappone visibilmente provato
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cosplayer Storie e aneddoti di viaggi, gare internazionali, costumi complessi e bagagli impossibili. Perché per fare Cosplay, serve anche la valigia giusta.
di Gabriella Orefice, Emanuela D’Alessandro, Emanuele Soffitto Massimo Barbera del duo Roboticpizza all’arrivo all’aeroporto di Nagoya in Giappone
Haikucosplay alle prese con i bagagli
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a passione dei cosplayer per la cultura pop, si sa, passa per costumi sfarzosi, make-up, armi luccicanti, coreografie e scenografie ad effetto, interpretazioni creative. Tutto un lavoro fatto per il piacere del palco, degli applausi scroscianti, dell’entusiasmo per rivivere e incarnare, a proprio modo, un personaggio o un’ambientazione particolarmente amati. Ma nella vita di chi fa cosplay da professionista - anche come secondo lavoro o come hobby regolare, per così dire - non ci sono solo le esperienze legate agli show. I grandi contest internazionali come World Cosplay Summit (a Nagoya, Giappone), European Cosplay Gathering (a Parigi, Francia), Clara Cow’s Cosplay Cup (a L’Aia, Paesi Bassi) o Yamato Cosplay Cup (a San Paolo, Brasile) sono il culmine di un lungo lavoro di organizzazione. Questione di costumi, di lavoro sartoriale e artigianale e di do it yourself? Sì, ma non solo: fare cosplay è anche questione di bagagli. Perché impacchettare, spostare e imbarcare queste creazioni, a volte, può rivelarsi difficile tanto quanto crearle. E può dare luogo a piccole, memorabili odissee. Come ci hanno raccontato alcuni protagonisti: NadiaSK, MoguCosplay, Roboticpizza, Misa&Sho, Daisy e Imriel, Haikucosplay, Tamiyo, Sara Manca, Luca Buzzi, Martina e Simone.
Luca Buzzi in partenza per il WCS (World Cosplay Summit) in Giappone
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MoguCosplay e NadiaSK: Sì, pensarci va di pari passo con la progettazione di coNadiaSK: Dipende, ma per Arya Stark e stume e scenografia. Ma non è mai stato un Walter Frey di Game of Thrones sono stati limite rispetto a ciò che avevamo in mente 7 mesi di lavoro. di realizzare. Martina e Simone: Per il World Cosplay Roboticpizza: I ragionamenti sul trasporto Summit 2018 circa 6 mesi, tra scenografie, dei robot in Giappone, per il World Cosplay costumi e accessori. Summit, sono partiti subito dopo la qualificaRoboticpizza: I costumi per il World Cosplay zione a Romics: dovendo spostare elementi Summit li abbiamo sviluppati nell’arco di decisamente voluminosi, abbiamo dovuto quattro anni. Il Mazinkaiser e Goldrake per considerare ogni fase nei particolari. le qualificazioni al Romics 2012 in 3 anni, Martina e Simone: Ne abbiamo subito tema il miglioramento del Mazinkaiser e la nuto conto, costruendo accessori e scenorealizzazione del Generale Nero, utilizzagrafie smontabili che non superassero i liti per la finale a Nagoya, ha richiesto altri miti massimi delle misure consentite dalle dieci mesi. compagnie. Per i costumi, essendo sartoTamiyo: Quasi quanto una gestazione! Per riali, è bastata una valigia bella grossa. Bianca, il Sakizou che ho portato in FranSara Manca: Quando ho scelto il costucia, ho impiegato 7 mesi. me ho anche progettato come smontarlo e Misa&Sho: Per le gare internazionali ci ripiegarlo in modo da comporre quel perprepariamo dal momento in cui siamo se- fetto tetris di piume e lattice in una valigia lezionati, e il periodo più lungo è quello dimensioni XL. dedicato alla preparazione per lo European Daisy e Imriel: Il nostro approccio è stato Cosplay Gathering (ECG): circa 7 mesi. Per il di costruire costumi e scenografie in modo Clara Cow solo un paio di mesi. che fossero trasportabili. Ma senza scendeSara Manca: Anche se inizi a progettare un re a compromessi nella qualità o scelta dei costume con un anno d’anticipo, al 99,9% personaggi: ci tenevamo troppo! finirai a colorare gli ultimi pezzi mezz’ora prima di chiudere l a valigia... In genere: un mese di progettazione e tre o quattro, intensi, di lavorazione.
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Avete pensato al trasporto per tempo?
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Quanto tempo richiedono i vostri cosplay?
Quali esperienze di viaggio vi sono rimaste più impresse? Luca Buzzi: Il World Cosplay Summit 2010. Spedire una cassa di 2m cubi creò parecchi problemi a hotel e organizzatori. Tanto che dal 2011 hanno inserito la regola che i bagagli devono arrivare in aereo con il partecipante! Per la quantità di scenografie che avevamo io ed altri partecipanti, hanno poi imposto regole per limitare il peso e la quantità degli oggetti e dei costumi sul palco.
Martina e Simone: Una volta partimmo con itinerario Napoli-Helsinki e Helsinki-Nagoya, ma il primo volo arrivò in ritardo e perdemmo la coincidenza. Pazienza, ci diedero un volo sostitutivo con scalo a Honk Hong… cancellato poche ore dopo. Pernottammo a Helsinki per ripartire verso Nagoya il giorno dopo: soppresso un’ora prima della partenza! All’arrivo, una sorpresa: ci siamo trovati con due bagagli su 5. Per fortuna ci sono stati recapitati 24h dopo, ma abbiamo perso la cerimonia di apertura. E al ritorno? Da bravi fortunelli abbiamo rischiato l’arresto in aeroporto: nessuno ci aveva informato che non si potevano esportare katane in ferro dal Giappone, anche non affilate. Sequestrate.
Luca Buzzi in Corea pronto a partecipare al Gicof (The Gyeonggi International Cosplay Festival)
Una delle ingombranti scenografie di Tamiyo
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niente: richiese il controllo da parte del responsabile. Che però non arrivava! Ci siamo divisi i compiti: Andrea ai controlli standard al metal detector e a quelli eccezionali per le polveri; io a pagare il trasporto. Il responsabile check-in arrivò dopo un’ora, chiedendo: ”Hanno la prenotazione per il trasporto?” - “Sì” - “E allora qual è il problema?”. Fiuuu…
Tamiyo: Per la mia prima competizione internazionale a Londra, avevo chiaro come avrei suddiviso la mia scenografia - un cavallo da giostra e il cassettone di Mary Poppins - per poterla portare con me in viaggio. Ma due giorni prima della partenza, a Catania un temporale fece chiudere l’aeroporto. Telefonai a mio padre: “Non è che faresti il viaggio con me, in furgone?”. E partimmo. Daisy e Imriel: Appena scesi a Tokyo, secondo scalo del lungo viaggio verso Nagoya, siamo stati fermati da una troupe televisiva. Dopo aver spiegato che eravamo lì per il campionato mondiale di Cosplay, hanno voluto vedere il nostro Jigglypuff-robot: lo abbiamo tirato fuori e acceso in mezzo all’aeroporto! Roboticpizza: Ci sarebbero gli aneddoti sulle espressioni degli altri concorrenti al World Cosplay Summit, una volta visti i pacconi all’aeroporto di Nagoya: “I soliti italiani!”. Ma una volta abbiamo proprio tremato. La mattina della partenza per Nagoya, a Venezia, nonostante un anticipo di circa tre ore, la hostess al check-in sostenne che pacchi di tali dimensioni non potevano viaggiare. Avevamo mostrato la ricevuta della prenotazione per il trasporto, ma
L’effetto dei troppi voli annullati: il crollo di Martina
Daisy e Imriel: Innumerevoli. Innanzitutto la scenografia principale, che abbiamo dovuto progettare “a pezzi” per renderla smontabile e rimontabile in tempi relativamente brevi. Tra gli elementi più complicati c’è stata la gonna antigravità di Oichi, sorretta da una struttura in barre di alluminio che abbiamo dovuto deformare per farla stare in una valigia, per poi riportarla in posizione una volta arrivati. Martina e Simone: Dopo una competizione abbiamo deciso di prolungare la permanenza in Giappone e di spostarci a Tokyo. Non semplice: i giapponesi vietavano bagagli di grosse dimensioni praticamente su ogni mezzo: autobus, taxi, treno, perfino via posta!
Misa&Sho condividono le loro (dis)avventure su Instagram
Daisy e Imriel: Sicuramente. E bisogna considerare un budget per le spese extra, che possono essere anche consistenti.
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NadiaSK: L’impatto sul budget si calcola sempre: acquistare un sovrapprezzo per bagaglio supplementare in aereo, è una certezza.
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Misa&Sho: Dove possibile scegliamo di limitare la scenografia. Ma in questo ci aiutano anche i regolamenti delle gare, che ormai prevedono sempre meno scenografia o accessori sul palco.
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Misa&Sho: Una trasferta all’estero è più complicata, non è sempre possibile imbarcare tutto e per questo ci affidiamo sempre ai corrieri. In genere i costumi viaggiano sempre con noi, mentre scenografia e oggetti di scena vengono spediti. La difficoltà maggiore però è al ritorno: non è semplice trovare un corriere estero per rispedire tutto… Le alternative sono tra il lasciare tutto lì (e buttare tutto quel che non entra in valigia), e il provare a imbarcare bagagli extra in aereo. Fortunatamente, siamo sempre riusciti a riportarci tutto con noi!
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NadiaSK: Bisogna stare molto attenti con gli imballaggi, perché i trasportatori non hanno la nostra stessa cura. Ad esempio in occasione di una gara in Brasile la mia spada arrivò in mille pezzi: dovetti aggiustarla a poche ore dallo show. Per quanto riguarda competizioni europee che si possono raggiungere in treno, abbiamo sempre cercato di sfruttare questo fattore a nostro vantaggio.
Scegliere un costume può incidere sui costi della trasferta?
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I vostri principali problemi di trasporto?
Sara Manca: Organizzatevi molto prima per le questioni tecniche. Perché quando avete la possibilità di partecipare a queste Haikucosplay: La progettazione iniziale gare, di vincerle e poter viaggiare, l’impedeve essere molto forte, sia sulla smontabi- rative deve restare: godersela! lità che sulle dimensioni degli oggetti. MoguCosplay e NadiaSK: Meglio sfruttaLuca Buzzi: Sottovalutare il trasporto può re colpi di scena e props piuttosto che didanneggiare irreparabilmente tutto il lavo- mensioni eccessive di sfondi e scenografie. ro fatto. Meglio organizzarsi bene, arrivare Quindi è bene pensare a strutture smonmolto prima in aeroporto e prevedere un tabili e leggere, e ad imballaggi ben confezionati. Vi risparmierete un sacco di stress budget per le emergenze. pre-partenza . Daisy e Imriel: Oltre a progettare bene i bagagli, informarsi sulle restrizioni di ogni Martina e Simone: aeroporto e pianificare il viaggio tenendo 1) Leggete bene le politiche di imbarco della conto del rischio di smarrimento di uno o compagnia aerea e magari telefonate. più colli. Sfruttate il bagaglio a mano per gli 2) Se usaste imballaggi di cartone, rinforzaelementi più fragili!. te gli angoli con ferro o tubi. 3) Se effettuate scali, mettete in bagaglio a mano il necessario per una notte e un giorno extra. 4) Non portate armi: potrebbero davvero arrestarvi (LOL). 5) Se qualcosa arriva rotto, se perdete un bagaglio o saltate un giorno per i ritardi aerei, non vi scoraggiate!
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Consigli a tutti i cosplayer viaggiatori?
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The Lego Movie 2: Una nuova avventura Š Warner Bros Pictures
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L ego la sfida continua anche al cinema
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Playmobil: The Movie © ON Animation Studios Courtesy of Notorious Pictures
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a faida tra Lego e Playmobil è uno dei grandi conflitti della cultura pop, come SEGA e Nintendo negli anni ’90, Apple e Microsoft, Netflix e le sale cinema. Entrambe le aziende si basano su un concetto molto simile: reinterpretano con il proprio stile di design situazioni reali, fantasiose e legate a determinati universi narrativi. Città, castelli medievali, astronavi, animali… per tutto c’è un set.
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I mattoncini sono diventati un ingrediente pervasivo nel mondo della cultura pop: una moltitudine di prodotti, generi narrativi, fasce di pubblico. Riuscirà l’eterno rivale a fare altrettanto?
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Playmobil
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Inoltre, se in Lego Movie e Lego Movie 2 i protagonisti sono i giocattoli stessi, nel film sui Playmobil abbiamo un ragazzino, Charlie, che viene trasportato all’interno dei mondi-giocattolo e sua sorella, Marla, che lo segue per recuperarlo. Un punto di contatto tra i due franchise è senza dubbio la presenza di attori di spicco, visto che nel caso del film sui Playmobil abbiamo Anya Taylor-Joy nel ruolo di Marla e Daniel Radcliffe in quelli del misterioso agente segreto Rex Dasher; nei vari film Lego, magari nelle “sequenze-cornice” in live action, si sono visti grossi nomi come Will Ferrell o persino Jackie Chan (memorabile narratore in Lego Ninjago - il film). La domanda del prossimo futuro è una sola: Playmobil riuscirà a compiere lo stesso salto compiuto da Lego anni fa, quando, messa con le spalle al muro dal rischio di diventare un giocattolo del passato, mise in atto una strategia in grado di portarla a diventare un marchio trasversale e amato sia dai bambini che dal mondo geek?
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E se Lego è un po’ come Apple, in grado di venderti un prodotto non tanto per il suo valore, ma per l’emozione che comporta averlo e per il suo collezionismo, Playmobil è simile a Microsoft: più solida, più sensata come giocattolo, ma forse meno brava a raccontarsi. Lo scontro continuerà presto al cinema perché, se da una parte Lego ha già messo un piede nelle sale con due film di successo, amati in maniera trasversale da grandi e piccini, Playmobil si appresta a fare lo stesso con una formula simile ma diversa allo stesso tempo. Entrambi i film giocano sulle possibilità offerte dai mondi che costituiscono i vari set di gioco. Nel caso di Lego questo approccio si mescola con una serie di licenze acquisite - dai supereroi DC e Marvel alle Principesse Disney, passando per Minecraft, Ghostbusters, Pirati dei Caraibi e tanto (tanto) Star Wars - che, nell’ultima manciata di anni, hanno fortemente risollevato e ricollocato il marchio. Il marchio tedesco, invece, si affida ad ambientazioni più generiche come il West, il Medioevo, la preistoria e così via.
The Lego Movie 2: Una nuova avventura © Warner Bros Pictures
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Quando compriamo un set dedicato a Star Wars, a Batman o ad altre licenze non stiamo comprando qualcosa che riteniamo piacevole da montare, esteticamente gradevole, da piazzare in un salotto “a tema” e, soprattutto, con un valore simbolico. Non è (solo) una roba infantile, ma è l’affermazione di una passione che non ha davvero confini di età. Lego questo lo sa benissimo, tanto che certi set e modellini non sono assolutamente pensati per i bambini, da Lego Creator a Lego Architecture. Dall’altra parte Playmobil offre un giocattolo altrettanto carino, che non ha bisogno di essere montato, salvo qualche adesivo, e decisamente più solido da utilizzare. Ma forse proprio in quanto tale è meno facile da giustificare, quando hai superato i 10 anni. Ultimamente però le cose stanno cambiando: nel 2017 sono spuntati alcuni set dedicati a Dragon Trainer e Ghostbusters, cui hanno fatto seguito quelli legati al sequel e anche agli acchiappa fantasmi al femminile. È stato il primo passo di quello che potrebbe essere un futuro Lego-style del marchio tedesco. Playmobil: The Movie, produzione francese diretta da Lino Disalvo, in cartellone nel secondo semestre 2019, potrebbe essere il passo successivo. Chissà, magari nel 2020 inizieremo ad essere circondati da giocattoli in versione Playmobil legati a Star Wars, Marvel o qualche serie TV di successo. E così, come Lego è riuscita a trasformare la fragilità dei suoi pezzetti squadrati in un valore, Playmobil potrebbe rendere la sua estetica, con quel design solido ma tondeggiante, un’altra scusa per riempire le nostre case di simboli che riverberano, con una specie di orgoglio sorridente, le nostre passioni.
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Playmobil: The Movie © ON Animation Studios Courtesy of Notorious Pictures
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La trasformazione del brand danese è stata resa più facile da ciò che Lego rappresenta da sempre: un simbolo di libertà creativa, di infinite possibilità nascoste nella nostra testa e in favolosi progetti amatoriali, sgangherati o geniali che siano. Lo spirito ludico è sempre stato questo, anche se la maggior parte degli appassionati Lego acquista set precostituiti e segue scrupolosamente le istruzioni, magari a scopo di collezionismo. Per certi versi si tratta di puzzle tridimensionali abbastanza semplici; o forse, sebbene travestiti da gioco, sono piccoli esercizi zen che prevedono l’esborso di centinaia di euro per pezzi di plastica con cui, peraltro, può persino essere difficile giocare, perché tutto potrebbe andare in pezzi al primo urto.
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Ma de in A b ys s Un’avventura sulla meraviglia dell’infanzia
di Eleonora C. Caruso
Scena tratta dall’anime di Made in Abyss ©2017 AT, T/MIAP Courtesy of Dynit
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Siamo in un mondo in cui si è aperta una gigantesca voragine, che è stata battezzata “Abisso”. Un po’ per il suo mistero, un po’ perché in essa sembrano custodite infinite reliquie di grande valore, numerosi esploratori si sono avventurati nelle sue profondità. L’operazione però si è rivelata molto più difficile del previsto. Perché non solo l’Abisso è popolato di creature immonde, progressivamente più feroci man mano che si scende di livello, ma anche perché, nel tentare la risalita, l’esploratore viene colpito dalla “maledizione dell’Abisso”, una sorta di contro-climatazione che causa terribili effetti fisici e psicologici – nei casi più estremi, anche la morte. Ciononostante, il richiamo dell’Abisso è irresistibile, e in due migliaia di anni sul suo ciglio è sorto un piccolo insediamento urbano dove si formano gli esploratori, cioè i Cave Rider, gerarchizzati secondo il colore del loro fischietto: rosso, blu, nero, bianco.
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ualunque persona alla quale abbia chiesto di Made in Abyss non ha esitato a consigliarmelo, accompagnando all’entusiasmo una raccomandazione: non farti ingannare, il character design è fuorviante. Non sarebbe comunque successo. Quello di accostare contenuti crudi e oscuri a un design rotondo e infantile dei personaggi è una tendenza in linea con quella del moe, lo stile grafico morbido ai limiti del gommoso che è sulla cresta dell’onda da più dieci anni (per comodità, faremo risalire l’attuale ondata a Lucky Star, Kyoto Animation, 2007, anche se i precedenti arrivano almeno a Di Gi Charat, 1999). Si tratta di un trucco prospettico, da prestigiatori dall’animazione, che si muove nelle crepe tra immagine e contenuto, aspettativa e realtà, e ha dato forse il suo frutto migliore nel bel Madoka Magica (Studio Shaft, 2010). Nel caso di Made in Abyss, però, la questione è ancora diversa, perché il design, più che scollarsi dalla trama, vi aderisce.
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Copertine del manga di Made in Abyss Š Akihito Tsukushi / TAKE SHOBO 2013
Tavola tratta da Lorem Ipsum edita da Cislezenski nel 1985. Š Fondazione Hugo Pratt
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Riko, una bambina di dodici anni, è ancora un “fischietto rosso”, ma il richiamo dell’abisso per lei è troppo forte: è là, infatti, che ha perduto sua madre, Lyza la sterminatrice, leggendario “fischietto bianco”. Riko è decisa a diventare come la madre, per questo si getta a capofitto nel poco di esplorazione che le è concessa, finendo spesso in guai seri. Proprio in una di queste occasioni, la bambina viene salvata da Rek, un robot che però appare in tutto e per tutto come un suo coetaneo. Insieme, i due si caleranno nell’Abisso, e quella che comincia come un’avventura spensierata diventerà presto una discesa nel male di questa voragine, che sembra dotata di una terribile coscienza. Se, come abbiamo detto, in prodotti come Madoka Magica il design infantile è utilizzato per creare uno straniamento nello spettatore e coglierlo di sorpresa, in Made in Abyss è l’infanzia stessa che ha un ruolo centrale nella vicenda. Soprattutto nel manga originale di Akihito Tsukushi, l’autore incarna nella crudeltà dell’abisso la crudeltà della realtà, che si accanisce su chi la guardava con occhi pieni di meraviglia. E d’altra parte questa meraviglia permane, sebbene corrotta, perché è questo che fanno certi esseri umani: desiderano ciò che li spaventa.
Riko in una scena tratta dall’anime di Made in Abyss ©2017 AT, T/MIAP Courtesy of Dynit
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uello che voglio lo posso prendere
e ciò che resta saranno abissi e deserto”
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Una tavola del manga di Made in Abyss © Akihito Tsukushi / TAKE SHOBO 2013
Per accentuare questo effetto perturbante, nell’anime si è scelto di dare ai fondali una rilevanza che raramente si trova in una serie per la tv (parrebbe quasi che il character design minimale, almeno nella serie, sia studiato in funziona di non rubar loro la scena). La vita che brulica in ogni ambiente, oscuro o luminoso che sia, non può che far pensare allo Studio Ghibli, infatti l’artefice è Osamu Masayama, che si è occupato della background art di La città incantata, Ponyo, Il castello errante di Howl, oltre che di Your Name. Ma Kinema Citrus, che con Bones aveva co-prodotto Tokyo Magnitudo 8.0, ha messo insieme altri professionisti eccellenti, oltre a Masayama. Il regista, Masayuki Kojiro, nei suoi anni in Madhouse ha diretto opere che hanno ottenuto il plauso della critica, tra cui spiccano Master Keaton e Monster, entrambe tratte da manga di Naoki Urasawa. La sua mano è evidente nella regia attenta, dinamica senza risultare frenetica, capace di tirare un respiro narrativo anche dove l’anime accelera per giungere in fretta ai punti salienti del manga. Il character designer, invece, è Kazuchika Kise (animatore di Your Name, ma anche di Ghost in the shell e di due film del Rebuild of Evangelion), che ha saputo infondere espressività e calore nei volti pur basilari dei personaggi. Made in Abyss, insomma, è realizzato con grande cura, tanto più preziosa in questi anni in cui l’industria giapponese arranca, tra saturazione del mercato e difficoltà degli studi a trovare nuovi animatori. Un piccolo miracolo, nel panorama attuale, fondato sulla meraviglia, le sue contraddizioni e i rischi ad essa associati. E forse proprio per questo tanto sorprendente.
creative agency: Linkappeal - illustrazione di: Malva
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PerchĂŠ, a prescindere da come diventerĂ in futuro, il gaming competitivo conquisterĂ il mondo.
ne vedremo delle belle. E a l u n g o .
di Emilio Cozzi
Space Invaders Championship 1981 © Atari
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o scorso 17 marzo, Fox ha mandato in onda E My Sports, un episodio dei Simpson in cui Bart coccola l’idea di diventare un videogiocatore professionista. Inutile dire che Homer, da papà provetto qual è, caldeggia il progetto inventandosi allenatore dell’improvvisata squadra di Conflict of Enemies. Iperbolica parodia simpsoniana? Giudicate voi: per fare in modo che la puntata rispecchiasse quello che nella realtà, oggi, succede ogni santo giorno, gli autori della leggendaria serie animata hanno consultato Riot Games, lo sviluppatore californiano cui si deve League of Legends, un videogioco che all’ultimo censimento ufficiale contava 100 milioni di utenti attivi ogni mese, cioè più della popolazione di Francia, Germania o Italia. A voler essere precisi, nemmeno il videogame più praticato al mondo, visto che Arena of Valor – posseduto oggi dalla cinese Tencent, che poi è anche proprietaria di Riot – supera i 200 milioni di utenti. Un record che il fenomeno Fortnite o la new entry Apex Legends potrebbero sbriciolare anche domani mattina. Detto altrimenti, chi sia sorpreso dall’ingresso dell’eSport in uno show dalla portata globale come i Simpson – anche se non sarebbe azzardato invertire le parti e parlare dell’ingresso dei Simpson negli eSports – farebbe bene a tornare da Marte, oppure a guardarsi un po’ più intorno (dove peraltro noterebbe che anche Netflix, l’anno scorso, ha dedicato due documentari al fenomeno, nelle serie In poche parole e 7 Days Out). Perché sia chiaro, l’eSport non è solo uno dei fatti più dirompenti del presente digitale; l’eSport è il futuro. Punto.
Vuol dire che la questione non è tanto se il gaming competitivo conquisterà il mondo, su questo non c’è dubbio alcuno. La questione si riduce al quando ed eventualmente al come lo farà. Proviamo a rifletterci nelle prossime righe, tenuto conto che… Un attimo; in che senso “che cos’è l’eSport?”. Grande Giove, allora vivi davvero su Marte. D’accordo, facciamone una panoramica, ma di quelle veloci per non addormentarci nel mentre. L’eSport, o “electronic sport”, indica la pratica agonistica del videogioco. Oggi è diventato una professione grazie a un ecosistema globale fatto di squadre, anche polisportive – le cosiddette “org” – tornei, sponsor e soprattutto eroici idoli delle folle capaci di far miracoli con joypad e tastiera, invece che con palloni o racchette. Sebbene le tracce delle prime competizioni elettroniche risalgano a quarant’anni fa – con il torneo di Spacewar organizzato alla Stanford University il 19 ottobre del 1972 – e nonostante già negli anni ’80 ai player più performanti venissero dedicati servizi giornalistici (su Life o Time) e show televisivi – il migliore? Starcade, sulla Tbs dall’‘82 all’‘83 – è dalla decade successiva che videogiocare è diventato un mestiere. E non è un caso che dall’epoca di Dennis “Thresh” Fong – il primo proplayer da Guinness dei primati, quello che vinse la Ferrari 328 battendo a Quake il suo creatore, John Carmack –, ebbene non è un caso che da Thresh all’esplosione dell’eSport in Corea del Sud passino pochi anni. Complice la crisi finanziaria partita dalla Thailandia nel luglio del 1997, in Corea il fenomeno dei Pc Bangs, i caffè digitali quasi scomparsi dal 1991, era riemerso per offrire una forma di intrattenimento a buon mercato. Uscito nel ‘98, StarCraft,
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uno strategico fantascientifico in tempo reale della californiana Blizzard – un mix fra gli scacchi e un’esecuzione al pianoforte - sembrava la biblica manna dal cielo. A vent’anni da allora, l’eSport è un fenomeno globale, in grado di coinvolgere milioni di appassionati e attrarre una pioggia crescente di dollari. Si stima che il suo mercato mondiale supererà il miliardo entro fine anno. Qualcuno scommette svetterà oltre i due non oltre il triennio. Niente male, considerato che le cifre dell’eSport non hanno nemmeno risentito della crisi economica degli ultimi due lustri. Anzi, quel che dell’eSport sta crescendo altrettanto in fretta è il numero di appassionati, che dai 453 milioni attuali diventeranno 645 milioni entro il 2022 (fonte: Newzoo). A dimostrarlo il Red Bull The Br4wl, torneo eSport a base di Hearthstone, il noto videogioco di carte collezionabili firmato Blizzard Entertainment. Sarà proprio COMICON 2019 a ospitare la prima tappa di una competizione che già si preannuncia piuttosto interessante. Ben due i qualifier partenopei in calendario: sabato 27 e domenica 28 aprile le decine di appassionatissimi player presenti in fiera si giocheranno due posti per accedere direttamente alla finale. Red Bull conferma così il suo carattere pioneristico, sempre all’avanguardia sui nuovi trend e pronto a supportare i fenomeni emergenti: non è un caso se, ad esempio, il Red Bull Factions è giunto alla quarta edizione affermandosi come uno dei più longevi e famosi tornei eSport italiani di League of Legends. Ed è qui che si comincia a parlare di futuro. Perché è questa prospettiva – lo scavalcamento dei suoi confini – a suggerire dove e come dirigerà il gaming competitivo. Oggi i soldi dell’eSport arrivano soprattutto da aziende come, appunto, quella del toro che ti mette le ali, oppure Amazon, McDonald’s, Coca Cola, Nike, Adidas o Gillette, addirittura da buona parte delle case automobilistiche che contano, con Toyota, Mercedes-Benz, Ford e Renault in testa (qualche mese fa Mitsubishi ha presentato la Eclipse Cross Knight, un Suv coupé la cui customizzazione «strizza l’occhio al mondo del gaming»).
Se per i marchi già legati all’ambito agonistico l’investimento è logico, il coinvolgimento di aziende che producono cosmetici o vetture suggerisce una rivoluzione epocale nei gusti e nelle abitudini di consumo: detta più semplice, non è che i capoccia delle multinazionali abbiano perso la testa per Pac-man e i suoi successori. Lo stesso vale per il Comitato Olimpico Internazionale, che a ottobre 2017 ha ventilato un’apertura – poi un po’ ridimensionata – nei confronti del gioco elettronico competitivo. È tutta e solo questione di soldi: oggi l’eSport raggiunge il pubblico più giovane – fra i 18 e i 34 anni, all’85% maschi dice ancora Newzoo -, un’audience sempre più difficile da intercettare per i media tradizionali. È lo stesso motivo per cui, al cinema, negli ultimi tempi Iron Man o Batman sfrecciano su bolidi dagli stemmi ben riconoscibili. Perché è lì, fra un supereroe e una partita in streaming di Fortnite, LoL ed Hearthstone, che si raccoglie buona parte degli acquirenti del futuro. A dirla tutta, a loro, agli acquirenti, dei soldi frega poco. Ad attrarli verso l’eSport è la sua capacità di generare una miscela perfetta di agonismo e sogno, di voglia di vincere e ambizione di farcela migliorando. Che poi videogiocare e guardare chi lo fa siano i passatempi più diffusi sotto i 25 anni è accidentale, direbbe Hannibal Lecter; è solo il segno dei tempi. Che cosa significa? Che il come conta poco: è probabile che l’eSport massivo ancora non esista, è probabile non esisterà mai – proprio come non esiste una disciplina sportiva capace di piacere a tutti. Potrebbe succedere che un domani le competizioni in realtà virtuale conquistino una platea internazionale, magari in una versione mista o aumentata e in sale dedicate – come le italiane WeArena o come il pro-
Postazioni Red Bull del simulatore della Scuderia Toro Rosso di Formula 1 durante COMICON 2018
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Diego “Crazy_Fat_Gamer” Campagnani vincitore delle finali nazionali, tenutesi a COMICON 2018, valide per l’accesso ai Play-Off della “Fifa eWorld Cup 2018” di Amsterdam
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getto The Void negli Stati Uniti. Potrebbe accadere che i battle royale sostituiscano definitivamente gli attuali signori della collina come LoL e Dota 2, o addirittura un sempreverde tipo Counter Strike. Che il genere abbia addirittura toccato un gioco eterno come Tetris, nella recente esclusiva per Nintendo Switch, Tetris 99, la dice lunga sulla sua voglia di rimanere. Potrebbe invece succedere che un gioco massivo online mescoli realtà fisica, reality show e intelligenza artificiale, una sorta di West World a punti. Così la pensa almeno uno come Nolan “Atari” Bushnell, che di videogame e futuro se ne intende. Più probabilmente, e il processo è già in corso, saranno però videogame più comprensibili anche ai non avvezzi a erodere via via i confini fra quotidiano e virtuale (cioè possibile). Giochi di cui la versione digitale è di per sé poco distante dalla controparte reale, come i racing game o i titoli di carte, per dire. Non è un caso che il “Gt Sport Championship”, il campionato mondiale di Gran Turismo Sport, sia il primo torneo elettronico a essersi guadagnato il patrocinio della Fédération Internationale de l’Automobile, cioè la Fia, quella della Formula 1. Men che meno casuale è la crescita di appassionati che titoli come Magic: The Gathering e, appunto, Hearthstone vanno registrando. Sono giochi avvincenti, belli e facili da seguire: la loro efficacia televisiva potrebbe convincere della loro caratura commerciale anche chi, dei videogame, non è appassionato. Quando? Anche su questo è poco serio esprimersi ostentando sicumera. Dipenderà da alcuni fattori, come il consolidamento dell’interesse degli sponsor extra settore, il mercato dei diritti televisivi e la diffusione capillare in ogni parte del mondo. A emittenti come Espn, già molto sensibili all’argomento, faranno seguito canali generalisti uno dietro l’altro. Conteranno, in questo senso, le differenze culturali. L’Italia, piuttosto refrattaria ai cambiamenti repentini, potrebbe metterci un po’ di più a convincersi della bontà, per spettatori e sponsor, dell’eSport in tv. La trasmissione in chiaro, lo scorso marzo, del “Katowice Royale” su DMax testimonia che l’interesse c’è. Ma è ancora poco. È verosimile ritenere che se il salto nel mainstream non si farà entro due o tre anni, ci sarà da riparlarne fra almeno dieci. Una cosa sola è certa e la confermano investitori come Shaquille O’Neal, Magic Johnson e pure Michael Jordan, tizi che di sport – quello senza la “E” davanti - se ne intendono, e che nel gaming competitivo hanno riversato interesse e qualche milione di dollari ciascuno: modi e tempi sono ancora da capire. Ma l’eSport è qui per rimanere. È il futuro. Punto.
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LE REGOLE essenzialI, PER veri NEOFITI di Nicholas Sacco
e non siete troppo distratti, probabilmente avete già sentito parlare - e più volte - di Warhammer 40.000, il celebre universo futuristico creato da Games Workshop, nel 1987, come versione fantascientifica dell’arcinoto wargame Warhammer Fantasy Battle. In questa versione, arrivata ormai alla ottava edizione, le gigantesche armate dell’umanità, tra soldati comuni e superuomini, si scontrano contro razze aliene e forze del Caos. Ma alla base di questa ambientazione c’è un gioco strategico di miniature tridimensionali, il che significa assemblare, controllare e schierare un’armata sul campo di battaglia, per affrontare un altro giocatore il quale, a sua volta, avrà a disposizione un proprio esercito. Un appassionante sbattimento di preparazione e costruzione, dicono alcuni. Un modo pimpante e fantasioso di spendere un paio d’ore a battagliare insieme agli amici, dicono altri. Se avete presente un qualsiasi videogioco strategico, potete già capire di cosa si tratti: chissà, magari Warhammer 40.000 lo conoscete già proprio per la sua versione videogame, visto che si tratta di un franchise che ha generato qualcosa come oltre 20 titoli videoludici in vent’anni. Semplicemente, la vostra armata non è su uno schermo e non si muove su mappe predefinite, ma è composta da modelli reali che combattono su un campo dalle dimensioni variabili con vari edifici.
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Necron Lord Warhammer 40.000 © Eric Savage
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CAPITULUM ADPROBAVIT e FAQ
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INDEX E CODEX
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E i modelli, dunque? Che sia un comandante, un veicolo, una squadra di soldati o altro ancora, si tende ad usare il termine “unità” e ognuna di esse possiede il proprio kit, ma per cominciare ad assemblare quasi ogni esercito potete ricorrere alle scatole della linea Start Collecting. Ad un prezzo molto più basso rispetto a quello che raggiungereste acquistando il suo contenuto tramite i singoli kit, una scatola Start Collecting vi fornirà le prime unità con cui iniziare a giocare, ovviamente nel caso in cui non abbiate deciso di continuare uno degli eserciti presenti nelle scatole introduttive citate prima. Da quel punto in poi mettetevi in testa una cosa: non c’è fretta. Considerando il regolamento, un Codex, uno Start Collecting e gli strumenti per montare e dipingere i vostri modelli, arriverete a una spesa iniziale che si aggirerà intorno ai 200€, ma avrete poi tutto il tempo di espandere la vostra collezione. Non serve spendere un capitale perché non è necessario giocare subito partite con armate di dimensioni medie o grandi: godetevi delle partite e delle sane campagne di piccole dimensioni, e nel tempo aggiungerete nuove miniaA questo punto avrete quindi bisogno di un manualetto con le ture che vi piacciono o che riterrete utili in gioco. Vale un po’ regole specifico per il vostro esercito: stiamo parlando dei Coper tutti i mondi del gioco, no? Nei giochi di Softair non serve dex. Attualmente esistono nove Codex per le armate dell’umacomprare subito tutto l’arsenale militare possibile; in Magic: nità, quattro per le armate del Caos e otto per le razze aliene. The Gathering non serve comprare subito tutti i mazzi superOgni esercito ha infatti le sue regole, che descrivono guerrieri performanti con le tattiche definitive; e così vale anche per dotati di forme, caratteristiche, poteri differenti, cui corriWarhammer. Take your time, take it easy. spondono anche dei punteggi. Prima di una partita i giocatori devono infatti accordarsi su quanti “punti totali” useranno, in modo che gli eserciti schierati, come fossero delle squadre dotate di un potenziale (indicato da un valore numerico), abbiaSe siete in cerca di aggiornamenti e novità sul mondo di mo lo stesso ammontare di punti di partenza. Una volta inseriti Warhammer 40.000, i modi sono molti. Le pagine Facebook ufbene nel gioco, però, scoprirete la possibilità di schierare unità ficiali, in inglese, Warhammer 40,000 e Warhammer TV, opprovenienti da Codex diversi e, sebbene il punteggio rimanga pure il blog ufficiale Warhammer Community e persino una un criterio di “pari opportunità” importante, potrete pur semrivista, White Dwarf. In lingua italiana ci sono anch’io, L’Apre creare le “vostre” armate. Warhammer 40.000 è un gioco in stropate, con la mia pagina Facebook e gli altri canali social, cui la fantasia del giocatore si può sbizzarrire, creando grandi con cui cerco di dare informazioni al pubblico italiano per plotoni compositi, provenienti da diverse armate umane, o da rimanere al passo con quel che accade intorno a questo gioco. servi mortali del Caos insieme ai loro alleati demoniaci, o altro Come tutti i buoni giochi, da tavolo e non, col tempo scoancora. prirete quanto sia vasto e sfaccettato Warhammer 40.000. Uno dei maggiori piaceri, ne sono certo, sarà vedere il vostro esercito diventare qualcosa di sempre più personale, tra personaggi cui darete un nome o unità che diverranno ‘famose’ per Per rimanere sempre aggiornati sulle regole, oltre a comprare aver vinto uno scontro contro ogni aspettativa. Preparatevi, un’eventuale nuova versione del Codex o del regolamento ogni in fondo c’è tempo, se è vero che “Nel lontano futuro c’è solo tot anni, ci sono alcune piccole cose a cui prestare attenzione. guerra”! Innanzitutto, ogni Codex è accompagnato da FAQ, messe a disposizione online sul sito Warhammer Community, che rispondono ai dubbi sulle regole sorti subito dopo l’uscita, sistemano incongruenze e servono da aiuto ai giocatori meno propensi ad acquistare tutti i Codex disponibili. Ogni anno, inoltre, Games Workshop pubblica un volume chiamato Capitulum Adprobavit, una ‘cassetta degli attrezzi’ che aggiorna alcune specifiche regole, presenta dei Codex in versione beta e suggerisce idee, un po’ per riequilibrare il gioco con l’evoluzione delle regole, e un po’ per offrire nuove meccaniche interessanti per stimolare i più diversi stili di gioco.
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I PRIMI MODELLI
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Sempre facendo un paragone videoludico, l’esito di gran parte delle vostre azioni non è pre-calcolato da un software: dovete selezionare la vostra unità e dirigerla verso l’obiettivo o verso il nemico. Per procedere, dovrete compiere un’azione molto, molto analogica: lanciare quantità diverse di dadi a sei facce (detti D6). E per sfangarla, o ottenere un vero successo, dovrete superare un determinato risultato. Ma cosa serve per iniziare a giocare? Di regole e modelli, innanzitutto. Il regolamento può essere acquistato singolarmente oppure si trova all’interno delle scatole introduttive del gioco: Dark Imperium, Primo Colpo o Ed Essi Non Conosceranno la Paura. Magari non vorrete necessariamente iniziare campagne utilizzando Space Marine o Death Guard, le due grandi e complesse fazioni presenti all’interno di queste scatole, ma almeno potrete fare le vostre prime partite per conoscere il gioco. Ognuna di queste scatole, infatti, possiede le regole per l’uso dei modelli, ovvero le miniature al suo interno.
Them - Tales Of Fears © Massimo Mattioli/COMICON Edizioni
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L’INVASIONE DELL’U LTRAPO P
MATTIOLI I di Paolo Interdonato
l sipario si apre e lascia, al centro della scena, un personaggio con lo sguardo mite e l’inconfondibile mantellina: è Cappuccetto Rosso. Ma qualcosa non quadra. Il viso cambia espressione, tingendosi di malizia, le mani afferrano i lembi della mantella e tirano, come se il sipario si dovesse ancora aprire: il corpo che appare, coperto da un abitino aderentissimo, anch’esso rosso, non è quello di una bambina. La ragazza attacca Daddy,
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una canzone che fa capire che qualche regalo azzeccato la farà diventare molto gentile, e si muove con mossette piccanti che mandano è in arRivo… definitivamente in frantumi l’illusione di trovarsi di fronte a una fiaba. In mezzo alla sala è seduto il lupo cattivo: è arrivato in limousine e indossa un frac. Appena il suo sguardo si posa sulla figura della ragazza, il corpo si irrigidisce a mezz’aria, dalle labbra esce un clamoroso fischio d’ammirazione, poi ulula e i pugni iniziano ad abbattersi violentemente sul tavolo. Da lì in avanti, l’eccitazione del lupo si innalza al parossismo in un crescendo di moti d’apprezzamento.
le quali spicca Il vermetto Sigh. Tra il 1968 e il 1973 pubblica, per il settimanale francese Pif Gadget, M. le magicien. Dal 1973 serializza sulle pagine del Giornalino le avventure del coniglio Pinky. Nel 1977 fonda con Stefano Tamburini Cannibale, una rivista a fumetti decisamente underground, nata sotto l’egida dell’agenzia di stampa e controinformazione Stampa Alternativa. Perché un autore affermato, capace di vendere i propri lavori ai più importanti periodici europei destinati ai bambini e ai ragazzi, decida di partecipare a un’impresa sotterranea e movimentista è un mistero. Apparentemente. I fumetti realizzati fino a quel momento sembrano godere di assoluta libertà. I committenti di travestiti da personagGi disney, eh? Mattioli possono avere posizioni contrastanti, non mi sfugGiranNo! eppure l’autore regala loro comicità anarchica indifferente alla appartenenze: Il Vittorioso e Il Giornalino sono periodici cattolici; Pif Gadget è l’ultima incarnazione del settimanale Vaillant, di a sinistra e in basso orientamento comunista; Stampa Alternativa è Superwest travestiti da personagGi disney, eh? ©Massimo Mattioli / Panini Comics non mi sfugGiranNo! il giocattolo dell’anarchico Marcello Baraghini. L’energia narrativa e la sensibilità dell’autore non sembrano subire alcuna limitazione. Le avventure di M le magicien sono perle surreali, come ben sa chi ha potuto leggere quelle brevi storie nel bel volume dedicatogli da L’ Associaokay, questo vuol dire che Chi entra in una sala l’8 maggio del 1943 per ve- tion. Pinky esono ancora dentro sono personaggi i suoi comprimari la banca! dere Dr. Gillespie’s Criminal Case, ennesimo episo- in grado di vivere vicende gioiose e dirompenti, dio della serie cinematografica che Metro-Gol- stabilendo un fortissimo legame con i lettori cadwyn-Mayer sta dedicando ai dottori Kildare e pace di durare oltre 40 anni. Gillespie, si ritrova di fronte a uno di quei corMassimo Mattioli fonda Cannibale con Stefatometraggi d’animazione che la casa di produ- no Tamburini (e poi si uniranno a loro Filippo zione affianca ai propri film: Red Hot Riding Hood, Scòzzari, Andrea Pazienza e Tanino Liberatore) diretto da Tex Avery. Nel momento stesso in cui principalmente per essere editore di sé stesso. il lupo turgido si erige orizzontale e vibrante, il Una pubblicazione priva di intermediari che grande spettacolo anarchico di sesso e violenza stabiliscono le regole cui attenersi è uno spazio messo in scena dagli animali antropomorfi non di libertà. può più essere ignorato: Il duro mattone con cui il topo Ignatz colpisce Krazy Kat e l’ambiguità okay, questo vuol dire che sono ancora dentro pansessuale di Bugs Bunny, il cui carattere era la banca! stato portato a compimento dallo stesso Avery19 pochi anni prima, raggiungono un assoluto niMMATT001ISBN_01_005-046_Superwest.indd 19 è un Big Bang. Da quel 09/04/19 10:39 tore. Il fischio del lupo momento, quell’apprezzamento, assai rischioso in tempi di #meetoo, viene chiamato “wolf whistle” e chi disegna narrazioni che hanno al centro animali che si comportano come uomini, se vuole essere accettato da precettori e genitori, trascorre la maggior parte del suo tempo a disarmare la sensualità e la violenza di quei corpi incongrui. Brutta bestia l’autocensura. I primi anni della carriera di Massimo Mattioli sono caratterizzati da attraversamenti incongrui. Esordisce ventiduenne, nel 1965, sulle pagine de Il Vittorioso, realizzando diverse serie, tra
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E, in assenza di vincoli, il fumettista può raccontare le sue storie senza dover nascondere sesso e violenza, amore e morte. I personaggi delle sue storie più personali vivono nello stesso mondo in cui si muovono Sigh, M e Pinky, ma con regole diverse. Memore del lupo di Tex Avery, Mattioli mette in pagina corpi gommosi che possono erigersi, impazzire d’eccitazione, divenire turgidi ed esplodere violentemente. Le animazioni della Metro-Goldwyn-Mayer, però, non potevano sporcarsi troppo di realtà: a quelle figure lupesche erano negati gli umori del corpo. Niente secrezioni. Non sudavano neanche. Lo sguardo vorace di Mattioli si è formato alla
scuola dell’underground comix americano. I suoi personaggi gommosi sono pronti a passare allo stadio successivo della rappresentazione di amore e morte. In un mondo morbido, sesso e violenza possono essere anche intrisi di secrezioni. Basta un panno umido per ripulire sperma e sangue da corpi che sembrano fatti di latex: il fiato si ricompone, gli arti si riattaccano con un suono piacevole, le pelli si chiudono con una cerniera lampo, i corpi tornano in vita e possono ricominciare a muoversi freneticamente. In Mattioli tutto è energia: un flusso creativo che pare non aver limiti. inoltre il sistema dei generi entro cui l’autore si muove è quell’immaginazione divertente e divertita che un tempo avremmo chiamato “paraletteratura”: fantascienza, orrore, giallo, nero, rosa, porno… Una sorta di brodo primordiale in cui prendono vita i personaggi. Kurt Vonnegut ha inserito in molti suoi romanzi lo scrittore di letteratura di genere perfetto, Kilgore Trout, un autore vulcanico che, pur garantendosi la sopravvivenza con i lavori più disparati, ha scritto 117 romanzi e oltre 2000 racconti. I suoi lavori sono apparsi, nella quasi totalità dei casi, su riviste pornografiche, tra un servizio fotografico e il successivo.
“Nessuno ha mai avuto successo”, chiosa con cattiveria Vonnegut. Nel periodo in cui Vonnegut mentiva agli editori, dichiarando di essere uno scrittore di fantascienza, aveva conosciuto Theodore Sturgeon. I due scrittori si erano confrontati sui propri insuccessi e sul timore di precipitare nell’oblio. Proprio a Sturgeon era ispirato Kilgore Trout: i nomi dell’autore reale, Theodore, e di quello fittizio, Kilgore, fanno rima; i cognomi richiamano pesci d’acqua dolce, lo storione e la trota. Non stupisce che Sturgeon sia stato capace di incidere così profondamente sui ricordi e sulle narrazioni di Vonnegut: i pochi romanzi e i molti racconti scritti durante la sua carriera sono potentissimi e quell’uomo, capace di arguzie molto divertenti, doveva essere un interlocutore irresistibile. Una volta, in una biblioteca in cui stava presentando i suoi lavori, una signora seduta in mezzo al pubblico, un po’ seccata dalla presenza di uno scrittorucolo in quel tempio della cultura, aveva affermato con forza che il 90% della fantascienza è pattume. Theodore Sturgeon aveva risposto con una sentenza perentoria che, da allora, è nota come “Legge di Sturgeon”: “Il 90% della fantascienza è pattume. Ma del resto il 90% di qualsiasi cosa è pattume”. Gli autori di letteratura di genere più consapevoli e i lettori più intransigenti si illudono di
Vampires - Tales of Fears © Massimo Mattioli COMICON Edizioni
a sinistra e a destra © Massimo Mattiol Coconino Press - Fandango
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una di quelle situazioni di stallo cui spesso conducono i paradossi indotti dalle Leggi della robotica: il robot Speedy gira in cerchio attorno al pozzo da cui deve recuperare del selenio, cantando canzoni da operetta, e se continuerà a farlo a lungo gli umani sicuramente moriranno. Mattioli ci fa trovare in mezzo a quel racconto. Poi, semplicemente, non ci dice nulla della storia e sposta la nostra attenzione altrove. Il lettore ha il sospetto di riconoscere il nucleo dell’oggetto narrativo su cui Massimo Mattioli sta montando il suo racconto. Eppure, a un certo punto, quel riferimento scompare, quasi che l’autore, preso da un raptus di comicità e nonsense ultrapop, si sia dimenticato le regole del gioco. E il lettore con lui.
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che gli si sono incagliate addosso. Da questo sistema di riferimenti derivano i due modi prevalenti messi in atto dagli autori: la rinarrazione e la prosecuzione. Si prende una storia nota e la si veste di un nuovo contesto o di un nuovo punto di vista; oppure ci si chiede cosa succede ai personaggi dopo la brusca interruzione del “vissero per sempre felici e contenti”. Massimo Mattioli non è esente dalla ricerca di ispirazioni. Prendiamo, per esempio, il fumetto Bazooly Gazooly, che dà anche il titolo al volume edito recentemente da COMICON Edizioni . È impossibile guardare quelle pagine senza pensare a Runaround, un racconto di Isaac Asimov che noi italiani conosciamo come Circolo vizioso o Girotondo. Si tratta di una delle storie del ciclo di Gregory Powell e Mike Donovan, collaudatori esperti di prototipi di robot. I due, in missione su Mercurio, si ritrovano in
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muoversi in quel 10%, scartando tutto il resto e facendo fare al pattume la fine che merita. Massimo Mattioli, invece, sembra non disprezzare gli scarti. Ci affonda le mani per modellare narrazioni nuove. Gioca con gli stereotipi, con le forme più consunte, con luoghi così comuni da essere stati frequentati da chiunque. Produce narrazioni di prim’ordine muovendosi in mezzo a racconti che articolano la propria vita tra le produzioni narrative che si articolano tra la serie B e la Z. E riesce a farlo perché si tiene alla larga dalla seduzione del postmoderno e dell’intertestualità. Un fumettista non è un’isola. Subisce la seduzione delle storie che ascolta, legge e guarda. Ne viene influenzato e spesso, quando la data di consegna si avvicina (e per chi lavora in un’industria che vive di serialità l’evento è molto frequente), cerca idee e ispirazione nelle storie
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The Cannibale & Frigidaire Years COMICON Edizioni Pagine: 224 formato 19 x 26cm Prezzo: 24 euro BAZOOLY GAZOOLY è una ricchissima antologia di fumetti e illustrazioni di Massimo Mattioli pubblicati sulle storiche riviste d’avanguardia Cannibale e Frigidaire negli anni ’70 e ’80. Oltre 200 pagine che hanno fatto la storia del fumetto, compresi i cult Gatto Gattivo, Microcefalus, Frisk the Frog, la serie horror Tales of Fear, più numeroso materiale extra ed inedito. Un’incredibile varietà di storie e stili nel segno della sperimentazione più libera, dissacrante e giocosa.
SQUEAK THE MOUSE Coconino Press - Fandango Divisione Coconino Warp Pagine: 152, formato 21,5 x 29 cm Prezzo: 22 euro La pubblicazione evento del capolavoro irriverente che ha ispirato Grattachecca&Fichetto di Matt Groening. L’opera da molti anni fuori catalogo torna disponibile nella sua versione definitiva, raccogliendo i due volumi originali al quale si affianca un terzo completamente inedito realizzato dall’autore sempre negli anni’80 ma mai dato alle stampe.
SUPERWEST Panini Comics - 9L Pagine: 64 formato 19,5 x 27 cm Prezzo: 16 euro Innumerevoli sono i pericoli che ogni giorno minacciano l’umanità. Per fortuna che a difenderla c’è Superwest! Dissacrante, splatter e divertentissimo, torna alla luce un classico del fumetto underground scritto e disegnato dal geniale Massimo Mattioli. Oltre a raccogliere tutte le avventure dell’eroe “di cui ha bisogno l’Occidente”, comprese quelle inedite in Italia, il volume è arricchito da un’appendice di materiali extra inediti. Una vera e propria pietra miliare, imperdibile per ogni appassionato.
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E I R O T S / S L U P C O M IC O N Bazooly Gazooly fa parte del volume omonimo pubblicato da COMICON Edizioni. Raccoglie tutte le storie di Massimo Mattioli pubblicate sulle riviste d’avanguardia Cannibale e Frigidaire
espl ora re l’i r r e a l e per raccontare la r e a l ta ’ .
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Gipi di Matteo Stefanelli foto di ROBERTA MAZZONE PER visionarea
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uando nel 2003 la raccolta di racconti Esterno notte presentò Gipi ai lettori, la sensazione fu chiara. Il fumetto italiano, che aveva appena iniziato a esprimere tutta la complessità del nostro territorio, tra storie di quartieri e di periferie o tra esperienze passate e recenti di ordinaria italianità, aveva trovato un nuovo grande interprete. Un narratore in grado di abbandonarsi, con furore espressivo e disperata pietà, a osservare un’Italia dimenticata e incattivita, densa di energia vitale ma anche schiacciata da una cappa di frustrazione e incapacità di immaginare il proprio futuro. Gipi era l’alfiere di un nuovo realismo del graphic novel italiano. Era il cantore dei “baci dalla provincia”, l’interprete di una gioventù disillusa, di un presente pieno di vuoto. Quindici anni dopo Gipi ha pubblicato una storia di fantascienza post-apocalittica, La terra dei figli, ambientata in un luogo anonimo e desertificato. Niente più Italia, niente più autobiografia. Un segnale doppiamente emblematico: fine corsa, da un lato, per la stagione dell’autofiction e del racconto del territorio; ma anche un cambio di pelle per l’autore che aveva raccontato quel “noi” che tanto fumetto non era più riuscito a fare, forse, dai tempi di Andrea Pazienza. Dopo quindici anni, sei graphic novel, decine di racconti, vittorie ai premi fumettistici più prestigiosi, un pugno di film, dozzine di cortometraggi televisivi e persino una ‘scandalosa’ candidatura al Premio Strega, Gipi sembrava trasformato.
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Da alfiere del naturalismo contemporaneo, da commentatore acuto del presente-in-soggettiva, sembrava pronto per un profilo da affabulatore “di genere”, in bilico tra spinte verso il meraviglioso - come già nel gioco da tavolo Bruti, solo rivolto al futuro - e la speculative fiction. Sembrava. Perché a bene vedere, nell’arco di questi quindici anni, il lavoro realistico di Gipi era stato attraversato sin dall’inizio da una vasta, profonda quantità di ingredienti anti-realistici. Una mostra presentata a COMICON 2019, che proprio in occasione della XXI edizione ha incoronato Gipi come autore Magister, ha voluto sottolineare questo spirito. Con il titolo “Gipi irreale”, il festival ha messo a fuoco in un’esposizione, accompagnata da un dialogo con lo scrittore Fabio Genovesi, un aspetto che fino ad oggi era rimasto un po’ in ombra, per offrire uno sguardo a quelle tracce - i sogni, gli scenari futuribili, la presenza ricorrente di creature fantasmatiche - che permettono di rileggere l’opera di un autore maturato anche grazie alle spinte fantastiche e agli slanci dell’immaginazione. Tutti temi di cui abbiamo parlato con lui, nel corso di varie conversazioni di preparazione alla mostra. Fino a questa lunga intervista.
Vogliamo sfatare un po’ questa idea di “Gipi, autore realistico”? Penso di non avere mai fatto un fumetto basato sul realismo. Ho usato la realtà come spunto, semmai. Ho iniziato a fare libri a fumetti tardi proprio perché non riuscivo a trovare il modo di rappresentare la realtà, e dunque ero bloccato. Come se mi mancasse la capacità di costruire lo scenario dove ambientare le storie. Detto questo, se ripenso alle storie che ho fatto, gran parte sono basate sulla memoria: quanto di meno realistico ci può essere sulla Terra. E per altre storie ho sempre trasformato e inventato le cose. Non ho mai pensato che la realtà di per sé fosse sufficiente per raccontare. Se usiamo come punto di partenza Esterno Notte… ...è come vivere un sogno. Già. Ma rimane un libro ben diverso dal più recente La Terra dei Figli, che… ...è un altro sogno. Un sogno brutto, ma sempre un sogno. Non sarò certo io a contraddirti su questo punto. Ma quei due libri hanno toni e obiettivi molto distanti l’uno dall’altro, e La terra dei figli è sembrato una svolta, nella tua produzione, verso la fiction più esplicita e diretta (lasciando da parte la parentesi di Bruti). Non è forse legittimo descrivere il tuo percorso come una linea coerente in cui La terra dei figli, effettivamente, ha rappresentato un cambio profondo? Dopo l’uscita de La terra dei figli, anche rispondendo alle domande altrui, m’ero detto che sì, c’era stato un cambio nel mio modo di raccontare. Ora non sono più tanto sicuro. Perché le chine che sto prendendo ultimamente nel raccontare, in realtà, sono ancora diverse e non necessariamente nella direzione presa con La terra dei figli. Anzi, per me la vera essenza de La terra dei figli è solo che ho tolto la mia presenza, cioè la mia figura in prima persona come narratore della storia. Per il resto La terra dei figli è un racconto di fantasia tanto quanto lo sono Storia di Faccia o Muttererde, sempre se vogliamo rimanere agli albori del mio lavoro. Per me sta proprio in quella stessa casella lì, soprattutto
con Muttererde, che era completamente inventato. Ma anche Appunti per una storia di guerra era completamente inventato! So che mi viene da mettere Appunti per una storia di guerra nella categoria dei libri più “personali”, se devo parlare in questi termini, ma solo perché c’è la voice over. E io nella voice over purtroppo, o per fortuna, mi ci rivedo. Se avessi messo una riga di voice over ne La terra dei figli sarebbe stato esattamente lo stesso modello narrativo di Appunti per una storia di guerra. Dal mio punto di vista cambia solo la forma con cui racconto e sinceramente, dopo La terra dei figli, ho pensato che di me ci fosse poco o nulla di super-personale in quel libro. Poi, col passare dei mesi, ho visto che c’era qualcosa di personale forse più che in altri, solo in modo più nascosto, perché in un mondo di fantasia. E poi, tanto per stare coi piedi per terra e ragionare su elementi base, pensa a questo: non ho mai usato una foto di reference. Mi interessa molto. Perché nella tradizione del fumetto “realistico” la documentazione è un mantra, spesso un valore aggiunto: molti lettori e editori ne fanno un punto d’onore. Quasi aggiungesse autorevolezza all’opera. In realtà è del tutto irrilevante, per il lavoro del disegnatore. Faccio un esempio: ho raccontato buona parte dei miei amici, eppure non li ho mai riguardati. Ovvero non ho mai preso le foto di noi giovani per vedere come eravamo. Tutti loro, in realtà, sono dei simboli. Dorelli era sì un mio amico, ma lo ho fatto diventare altro. Nella realtà non era come lo ho disegnato, però allo stesso tempo, graficamente, è diventato il simbolo che è diventato proprio per due caratteristiche del mio vero amico: i riccioli e un occhio di vetro. Ale “il nasuto” è diventato uno col nasone, fine. Ma quegli amici erano molto più sfaccettati, più complessi, più belli di come li ho fatti. Molto più realistici, diciamo. Vale anche per altri aspetti: ho raccontato storie ambientate in Largo Duca d’Aosta, dove sono cresciuto coi ragazzi amici miei, ma non ho mai riguardato una fotografia di quel posto. Non mi interessa. E poi questa cosa che mi hanno affibbiato di narratore della “periferia”: semplicemente sono cresciuto a Pisa, se
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fossi cresciuto a Milano magari avrei fat- prende e ti porta per mano nel percorso. to storie “metropolitane”. Ma è “realista” Questo ti da una sensazione di vicinanza quella roba lì, è vera? Fellini diceva, non che, secondo me, può anche portare a una mi ricordo in quale intervista: «Mi sono sensazione di realismo. Ne La terra dei figli inventato una famiglia, degli amici, degli non c’è nessuna mano tesa, non c’è nessun amori, tutto quanto per raccontare». Per- accompagnamento, e questa cosa stacca ché te l’inventi, capito? In questa stanza un po’, da’ l’idea che quello sia un altro ho un ritratto a olio di due di questi miei mondo. Ma ripeto: due balloon di voice amici che stanno, per esempio, ne La over e avreste avuto la stessa sensazione mia vita disegnata male, e parlo sempre del delle altre storie. Identica. Penso dipenda grande amore tra di noi, della nostra gran- da quello. de amicizia. Ma non è vero. Nel senso che non parlo più con nessuno di loro da anni, Tra i tuoi fumetti, i cortometraggi e i senza un particolare motivo. Era un’ope- film, vedi un filo rosso rispetto a querazione di fantasia emotiva: vorrei che fos- sta idea di andare al di là del realismo? sero così. Vorrei aver avuto delle amicizie I tuoi lavori in video, per dirla in modo così forti, così fraterne. Purtroppo, invec- piatto, non hanno le stesse caratteristichiando, vedi che non era vero. Quindi che di linguaggio e, almeno in apparennon c’è nulla di reale, in quello che ho fat- za, hanno un’attitudine più realistica. to. C’è un’affezione alla realtà in termini di Dobbiamo fare un piccolo distinguo. Perestetica, quello sì. Mi piace, godo di più a ché anche quella è una questione formale: fare una roba che ho visto realmente piut- il cinema ha la carne e il fumetto ha il ditosto che a inventarne una di sana pianta. segno. Quindi il fumetto ha già di suo un Le baracche de La terra dei figli sono vere passo di allontanamento dalla realtà. Il baracche che stanno cinema è uno specchio, sul Lago di Massaciucvedi altri esseri umae l l a r e a l t à ni esattamente come li coli, solo perché penso “ che la realtà sia più povedi quando cammimi annoio, tente di quanto riesca a ni per la strada. Ma se immaginare. vai a vedere davvero mi rompo cosa quel pochissimo Per quelle baracche che ho fatto in cinema, i coglioni” hai usato dei riferiti accorgi che ho fatto menti fotografici? un primo film dove ci sono gli alieni, e un No! Però per tantissimo tempo sono an- secondo - Wow, che non ha visto nessuno dato a fare disegno dal vero sul Lago di - dove c’è una persona che costruisce una Massaciuccoli e le ho disegnate in tutti i macchina con la quale registra i sogni. modi possibili e immaginabili. Ma senza Quindi siamo ancora nel fantastico. L’ulpensare di farci un fumetto. In realtà ci timo film Il ragazzo più felice del mondo parte sono andato per due motivi: a volte solo come un documentario, ma dentro ci sono per disegnare, e altre perché una volta mi scene come quella degli uomini primitivi era preso di volerci girare un film, quindi che disegnano cazzi sulle pareti... facevo sketches di tutti i posti… Quando fai disegno dal vero le forme ti restano in E i corti? memoria, e quando mi sono ritrovato a di- Non so quanto sembrino realistici. So che segnare ce le avevo in memoria. Fine. di solito hanno un fondo legato, purtroppo, alla contemporaneità, perché la base Forse una delle ragioni per cui i tuoi la- di satira ci obbliga a stare collegati alla vori iniziali sembrano realistici, almeno realtà. Se penso ai corti che ho fatto con rispetto a La terra dei figli, ha a che fare Gero Arnone - un lavoro collettivo, quincon la minore presenza del tema del di, e questo già cambia tanto - sono stato narcisismo? cowboy, nanetto da giardino, donna inDiciamo che le storie col narratore in cinta, sono stato posseduto in un letto o prima persona, magari io stesso narrato- un barbone del futuro. Non so quante volre, hanno una mano tesa al lettore che ti te mi sono trasformato in qualcos’altro.
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Non ce n’è uno dove faccio sì paesaggi, sentarla. Ma non è lì che voglio stare: piutsiamo rimasti sulla ma li faccio imma- tosto la uso, è un materiale come lo sono i di reale, linea flat della reginati. E già il fatto colori. È una fonte di ispirazione, un moaltà. Succede semche un paesaggio sia dello. Ma dove poi voglio andare è altrove, in quello che pre qualcosa che ci immaginato lo stac- un altro posto. fa andare verso un ca completamente ho fatto” mondo completadalla realtà. Poi per Oltre alla direzione in cui vuoi andare mente folle. Nei nostri corti, ad esempio, me conta un’opera di pulizia, di deserti- tu, dove immagini di portare i tuoi letGero ed io viviamo insieme. Non è una ficazione: faccio città dove di solito non tori? Questo mescolare realtà e irrealtà, cosa dichiarata, ma sia io che lui ci sve- c’è mai una persona. Prova a trovare uno cosa pensi possa suscitare in chi ti guargliamo sempre nello stesso letto, facciamo scorcio di Roma, che non sia alle 4 o alle da e ti legge? colazione nella stessa cucina. Non ci po- 5 di mattina, dove non c’è nessuno... Ep- Sono sempre molto stupito, e dico pianiamo neanche il problema, come farebbe pure i miei paesaggi sono sempre deserti. cevolmente, da quel che fanno i libri a qualcun altro, di dire «aspetta, in questa Ultimamente, quando faccio disegno di fumetti nelle persone che li leggono. scena abbiamo fatto te che ti svegli in que- paesaggio, cerco il silenzio. Cerco di fare Quando lavoro penso veramente pochissto letto: non può essere anche il letto di alberi, strade, macchine che si muovono, simo a chi leggerà. Diciamo che penso al Gero!». Per noi invece sì, perché abbiamo ma che il risultato finale sia un silenzio pubblico come un batterista pensa al temdeciso fin dall’inizio che nei nostri corti assoluto. po quando suona. Disegno e racconto, in non c’è lo spazio e non c’è il tempo e non questo senso, seguendo una sorta di idea: c’è nemmeno un allacciamento netto con Quando pensi a questi ingredienti di essere “giusto”, ovvero senza andare fuori la tecnologia. Ad esempio nei nostri corti desertificazione e silenzio, senti di tro- tempo. Se vado fuori tempo sarò fastidiosi usano mangiacassette, nastri... non stia- vare affinità con altri artisti o lavori che so, quindi potrò farlo soltanto se voglio mo mai nella realtà. Mai. Non posso par- vanno in questa direzione, dentro e fuo- essere fastidioso. Penso sia importante lare per Gero, dunque vale solo per me: io ri il realismo? mantenere il massimo del controllo posnon ci sto perché nella realtà mi annoio, Non ci ho mai pensato. So che può sem- sibile su quello che fai, sapendo che finirà mi rompo i coglioni. Non ce la faccio pro- brare presuntuoso, ma purtroppo è un in mano a qualcuno - e non un amico o tua prio, o forse non sono abbastanza sofisti- dato di fatto. Forse Fellini è l’unico che mi mamma - che quindi avrà tutto il diritto cato da starci e farci i conti seriamente. fa quell’effetto lì. Pensa al film Roma, dove di disprezzarti o di non spendere una gocla cosa buffa è l’amore per la realtà che cia di sudore per comprendere quel che Una delle volte in cui ti ho sentito par- c’è, però è come se non bastasse mai e devi hai fatto. Quindi la mia sfida, di solito, è lare in maniera più diretta di “verismo” arricchirla di qualcos’altro. Quando vado rendere più semplice possibile la cosa più nei tuoi lavori è a proposito dei tuoi pa- in giro in macchina sul Raccordo, cerco complessa possibile: penso molto in teresaggi di Roma, per una serie di dipinti. in continuazione di capire i riflessi sulle mini di efficacia, diciamo. All’epoca della mostra al Museo Luzzati finestre dei palazzi lontani, a differenti a Genova avevi raccontato proprio la fa- ore del giorno. È una specie di ossessione È una risposta quasi tecnica, sul piano scinazione per certi luoghi e la goduria di guardare, di capire cosa succede nelle della comunicazione. Ma se i tuoi racconti nel disegnarli. forme e nella luce. E quello è proprio una sono un modo per girare intorno a pezzi Però sono tutti disegnati a mente! Non specie di amore per le forme che esistono. di realtà e a questioni che le (o ci) apparsono mai andato a fare disegno dal vero. Quando torno a casa, però, non mi met- tengono, trovo che spesso ci siano altre L’ho fatto tanto in passato, ma qui mai. terei mai a fare una pittura iper-realista intenzioni. Per esempio, suscitare stupore per rendere lo stesso effetto. Non mi ba- attraverso lo spiazzamento. Oppure diAnche in quei paesaggi avevi infilato sterebbe mai: lo so perché l’ho fatto, e mi vertire, suggerendo chiavi paradossali per elementi assurdi e immaginari: ricordo ricordo che smisi dicendomi «non voglio ribaltare la pigra ordinarietà dei nostri atun’auto in volo… ‘stare’ qui». L’emozione che mi da quella teggiamenti. Di certo non ti interessa “inSì, c’è stato un periodo. Ma non è dura- finestra accesa e lonformare”, con il tuo ta molto quella fase. Il punto è che li ho tana, al tramonto, in “realismo”... “ o sempre sempre chiamati “paesaggi irreali”. Ho quel palazzo alla CecNo, non ho nessuna una cartella sul computer che si chiama chignola, non la renintenzione verso quel disegnato proprio così. Torna anche nei titoli (quan- derò mai “rifacendo” tipo di comunicaziodo li ho dati): me ne ricordo uno che era quel palazzo distante, ne. Nessuna intenziosolo a mente” L’auto dei due ragazzi nella pineta irreale, op- a quell’ora. Ciò che ne di far passare un pure Città sul fiume irreale. Viene dal fatto faccio io è “mangiare” dalla realtà: la re- messaggio. Diciamo così: il racconto è l’uche, semplicemente, dopo tanti anni pas- altà è il mio alimento. È sempre stato così nica parte buona della mia vita. E quindi sati a studiare e fare pittura dal vero, ho perché, ripeto, ho iniziato a lavorare solo nel racconto sono migliore di quanto sono sempre disegnato solo a mente. Quindi da quando ho trovato il modo per rappre- in tutti gli altri aspetti della mia vita: più
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Sembra che tu attribuisca alle storie un loro senso di responsabilità autonomo. È esattamente quello. Quando ho fatto S., il libro per mio padre - uno dei più importanti per quel che ha rappresentato per me - non ho pensato nemmeno per un secondo alle persone che avevano perso i genitori. L’unica persona a cui pensavo ero io. Eppure S. ha portato tante persone a dirmi: «Grazie, mi hai aiutato a guarire da un dolore per una perdita». Se avessi pensato «voglio fare un libro che aiuterà le persone che hanno subito un lutto grave» sono certo che non ci sarei riuscito. L’unica cosa che potevo fare era essere il più onesto possibile nel parlare di un rapporto d’amore con un genitore, e quindi anche del dolore per la perdita. Perché le persone amano la comunicazione - o almeno, per ora, credo la amino ancora - e
Nella mostra “Migrando, gridando, sognando” a COMICON 2019 hai suggerito ai curatori di inserire la tua storia Dramma marocchino, che potrebbe sembrare un’eccezione a questa regola. Forse è anche il caso de La battaglia delle Ardenne, che hai realizzato in una residenza d’artista, nata per far lavorare insieme alcuni fumettisti con artisti affetti da problemi mentali. Dramma marocchino aveva una cosa fondamentale: il racconto di quel ragazzo era proprio forte. Aveva visto robe che io non ve-
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se arriva una comunicazione che ha una base di sincerità dentro, gli parla, come parlano a me le storie che sono raccontate con sincerità. Ecco perché non ho mai fatto storie “a tema”, più o meno di moda. Ora ci sono una marea di storie che hanno donne come protagoniste: guarda Netflix, dove la gran parte delle serie sono così. Cosa che è giustissima, ma non mi appartiene, per il solo fatto che non ho ancora avuto la necessità di avere una donna protagonista di una mia storia. Magari mia madre morirà in questi giorni, e farò una storia con lei, ma non lo farei mai per scelta tattico-politica, perché so che “adesso è il momento giusto” per quella roba lì. E spero che i lettori sappiano che, da me, non potrà mai arrivare una roba del genere: non sarò mai “opportuno” sul momento, su quel che funziona in quel dato periodo. Lo dico con rispetto per chi riesce a farlo: li invidio, non è che li denigro. Ma non è proprio “il mio”.
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sincero, più dedito, più volenteroso, più onesto. La mia attenzione va tutta a mantenere quello stato di privilegio che ha quell’attività, nell’insieme della mia esistenza, con la confidenza che, se rispetterò il lavoro, rispetterò la linea, e lavorerò con la massima consapevolezza e concentrazione possibile, non avrò bisogno di dire: «Voglio far passare un messaggio di un certo tipo». Perché confido nel fatto che la dedizione al lavoro e il cercare di essere il più onesto possibile abbiano una potenza in sé. E quella arriverà. E un lettore potrà dargli il senso che vuole. Un esempio: non farei mai una storia sul razzismo, per quanto sia abbastanza dichiaratamente antirazzista. Penso però che il mio lavoro sia antirazzista di default, anche se faccio una storia dove chiamo “negri” i neri. Chissà, magari è una follia che m’è presa da vecchio: ho fiducia nel fatto che, se mi approccio al lavoro con tutta l’umiltà, la serietà e la consapevolezza possibili, non potrà che trasmettere idee buone.
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La terra dei figli © Gipi/Coconino Press - Fandango
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drò mai, e le aveva raccontate in un modo tremendo, asciutto, che aveva reso tutto una bella storia. Bella e tremenda, ma bella. Mi aveva entusiasmato quello: la fuga raccontata, di notte, con gli AK-47 che gli sparavano dietro. Non pensavo ci fosse nessuna “necessità” di fare una storia su questo. Se ci pensi, erano dieci anni fa: non era tanto l’argomento del momento… Mi piaceva perché era un’avventura crudele, terribile, con tutta la brutalità degli uomini e tutta la bontà e la speranza degli uomini: le cose che mi hanno sempre eccitato. E quando sono andato in Belgio per il progetto “Match de catch à Vielsalm”, lo ho fatto solo perché un dottore mi aveva detto: «Ti devo fare un prelievo alla pelle del pene, è possibile che tu abbia un cancro, te lo dico tra due settimane». Avrei fatto qualunque cosa per non pensarci, e avevo questa offerta per andare a lavorare con dei disabili mentali. Pensai che dedicarmi a qualcun altro sarebbe stato il modo più efficace per non pensare ai cazzi miei... E ha funzionato, in effetti: mi appassionai talmente a quest’altra storia che non pensai più al mio problema medico, e alla fine l’esame andò liscio.
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l fumetto ha già di suo un passo di allontanamento dalla realtà”
Da un lato insisti sulla responsabilità nei confronti del raccontare, e su un atteggiamento di sincerità. Dall’altro, però, i tuoi racconti sono pieni di invenzioni e di menzogne. Per esempio, nei tuoi lavori c’è una enorme quantità di visioni o sogni assurdi. È vero. Che è un difetto, se ci pensi: la credibilità del racconto può andare in pappa. Ma in effetti mi rendo conto che i sogni cascano spessissimo dentro alle mie storie. Non so come mai, anche perché, sai, non sono uno quegli appassionati di sogni che... ...che magari prendono appunti! Hai mai preso nota dei tuoi sogni? Figuriamoci. Punto primo: me li scordo. Punto secondo: mi fanno cagare, non ho proprio nessuna fascinazione, non cerco nemmeno di interpretarli. Ho avuto sogni ricorrenti per anni, ma non me n’è mai fregato niente. Probabilmente dipende anche dal fatto che, a volte, scrivo talmente a cazzo di cane che magari mi trovo alle corde, e ho bisogno di uno scarto laterale per rimettermi sulla retta via. O magari
mi servono per dare un’informazione che non sono riuscito a dare in altro modo. Ad esempio ne La terra dei figli c’è il sogno del padre. Forse non ce n’era nemmeno bisogno, però è vero: è come se avessi un’attrazione.
mia vita disegnata male, di sicuro. Ma anche il Capitano pirata de La mia vita disegnata male è una di queste visioni infernali tremende. Semplicemente la mia logica è questa: prendo delle parti che potrei fare tranquillamente interpretare al protagonista o alla voce narrante, e le assegno Anche in Muttererde, che citavi prima, ad altre creature. Per togliere un po’ di una scena chiave che ‘stacca’, facendoci responsabilità al narratore o al protagocapire meglio la personalità del prota- nista. gonista, è proprio un sogno. Già, la scena del bimbo nella neve. Per non costruire figure eroiche impossibili, assolute? Sono visioni, peraltro, spesso surreali Non solo. Per non dare loro dei carichi e strampalate. Penso a La mia vita dise- che potrebbero andare fuori scala. Un gnata male e al sogno in cui compare un esempio: ne La mia vita disegnata male il orso che impreca... personaggio più scuro di tutti è il CapiUso tanto i sogni perché, mi rendo conto, tano pirata, che dice dell’amore «Io ne nel fumetto spesso sono “pesante”. E al- vomito». Quello era proprio il pensiero lora ho bisogno di una fuga dalla pesan- “mio”, ovvero del narratore, la voice over tezza. Quello che faccio nei libri, almeno che avevi letto fino a quel momento. Ma per me, non è mai pesante, perché con i quando sono arrivato lì, mi sono detto: disegni tutto mi sembra diventi leggero «Se dico questa roba, sono insopportabie santo. Però mi rendo conto che per chi le!». Soffrendo in quel periodo di attacchi legge, invece, alcuni argomenti possano di depressione molto forti, sapevo che risultare pesanti. E quando me ne accor- c’erano momenti in cui in qualche modo go, è come se mi venisse da dire a ciascun “diventavo” quella cosa, cioè una figura lettore: «Oh, ma scherzo!». Non potendo- di morte secondo cui «l’amore non esiste, lo fare direttamente, faccio entrare una tutto è solo morte». Ma come potevo dirlo scemenza pazza, surreale. Che eviden- senza vergognarmi, senza suonare riditemente riporta tutto su un piano diverso: «Aspetta, ma chi mi sta raccontando questo, è un... cazzone! Non devo piangere nemmeno se mi ha detto di avere l’epatite cronica». Nella visione del narratore l’epatite cronica non è un problema, perché nella sua visione la morte stessa non è un problema. Il mio narratore non racconta mai storie di morte per dirti «Oooh, c’è la morte», ma per dirti: «Ridi! C’è la morte». È tutto un altro paio di maniche. Dal vivo, di persona, ci metterei un attimo a spiegarlo. In una storia invece bisogna metterci delle componenti pazze, che riequilibrino tutto su un piano di gioco. Perché non vorrei mai essere pesante, soprattutto non contro la mia volontà.
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colo? Mi sono detto: «Ok, lo faccio dire a un’altra figura, sulla quale queste parole avranno meno grevità che a farle dire al narratore». È una cosa che ho fatto spesso. L’uomo nel buio, per esempio, parla dalla voce più profonda e spaventosa di me: sono pensieri miei, non li ho presi dalla voce di qualcun altro. È la voce mia. Era talmente nera che non potevo metterla su di me, un po’ per pudore, un po’ per non risultare veramente spiacevole alla lettura. Sono dell’idea che se fai racconto autobiografico come ho fatto io non devi mai dare l’idea di prenderti sul serio. Certo, devi prendere molto sul serio te stesso, ma non devi mai dare l’idea di farlo. Quindi servono degli escamotages per andare su piani di gravità e grevità lasciandoli leggeri. Tutte queste creature fantastiche, allora, non sono per niente fantasie…? La cosa che dico spesso, quando ripenso al momento in cui ho fatto La mia vita disegnata male, è che la parte del Capitano pirata è la più sincera di tutte. Però è buffo, perché su quello stesso piano, la storia di pirati, c’è anche quella più falsa di tutte: gli indigeni, la ragazza e tutto il resto. Pensandoci ora, in realtà non era falsa nean-
C’è però un altro tipo di finzione e di menzogna che ricorre spesso nei tuoi fumetti. Sono quelli che la mostra “Gipi irreale” a COMICON ha rubricato in una sezione intitolata ‘Spettri’: fantasmi, creature, ombre mostruose. È lì che finiscono le tue personali paure? L’uomo nel buio di Via degli Oleandri e di La LMVDM © Gipi/Coconino Press - Fandango
Un bel paradosso. Che nasce anche dal pudore, oltre che dalla paura. Sì. Mi fa strano dirlo perché, per tanto tempo, mi sono vantato stupidamente di non avere il pudore: “non me l’hanno fatto”, dicevo. Ma ragionando in questi termini, sembra proprio quello. Forse quando si va su piani più seri mi piglia il “fugone”, come si dice a Pisa: scappo in territori dove non posso essere identificato.
dere quello che ti pare. È una zona di assoluta libertà, perché nessuno ti può dire NO. Nel mio ultimo film ho inserito una scena con uomini primitivi che disegnano falli su una parete, e quando mi sono trovato in giro per presentarlo, ho detto sempre: «In questo film ci sono tante scene che sono prese da cose realmente accadute e una che è presa da una cosa che secondo me è accaduta». E tutti ridono. Perché in effetti non puoi negare quella cosa. Con il futuro è uguale. Almeno se non fai l’errore che fanno tanti, anche bravissimi autori di fantascienza, di mettere una data all’inizio della storia, che poi però verrà smentita dal tempo. Se non la metti l’umano lettore automaticamente la sposta là dove non può arrivare la sua vista, e quindi puoi far succedere quello che ti pare. Poi è un piano di libertà soprattutto comica, per me, perché mi fa davvero ridere provare a immaginare il futuro dell’umanità. Prendere un difetto, una stortura della società e spararla col turbo, pomparla ai suoi massimi, portarla agli estremi di quello che potrebbe essere. Fa ridere!
La terra dei figli © Gipi/Coconino Press - Fandango
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che quella: mi ero appena fidanzato con una ragazza che mi sembrava la salvatrice del mondo. Certo, se vedi una persona come una che ti salverà, sei già fottuto. Ma al tempo non lo sapevo. In quella parte c’era talmente tanto fleur bleue, come dicono i francesi, che per fortuna l’ho messa in un’isola deserta al tempo dei pirati. Fosse per me la leverei, ora, però ha la stessa funzione dell’uomo nel buio dal lato opposto: la troppa felicità la devi nascondere. Il troppo ottimismo, le troppe speranze per i giorni futuri li metti là, in un mondo di sogno, in una fantasia dove lui e lei si ameranno per sempre.
Però non è terrore, appunto. Ha a che fare con l’educazione. Non puoi rompere le palle al lettore diventando serio o drammatico. Non si deve, mai. La vita è già abbastanza seria e drammatica per i fatti suoi, per metterci sopra il carico di una narrazione pesante. Soprattutto con un mezzo stupido, nel senso più buono possibile, come il fumetto, cioè un mezzo che ti permette di fare uno che viene schiacciato da una lastra di marmo, si rialza e non si è fatto nulla. E questo viene accettato di default. Non devi neanche spiegarlo. Perché usare un mezzo che ha questa meravigliosa caratteristica di annullare la fisica della realtà, e quel che comporta al fondo della sua corsa, cioè la morte, per riportare qualcuno su quel piano? Nel tuo lavoro di finzione c’è poi la dimensione più finta di tutte: gli elementi futuribili, fantascientifici. Sono finzioni estreme, in cui metti in scena tanto il futuro post-apocalittico quanto l’età primitiva e che, a mio avviso, sono la parte del tuo “irrealismo” più giocosa. Un ingrediente per divertirsi e divertire. La cosa bella di usare l’ultra passato remoto e l’ultra futuro è che puoi far succe-
Vale anche per il disegno? No, sul disegno semmai c’è l’effetto contrario. Vado a ripescare delle passioni giovanili per autori visti da ragazzo, da Moebius a Bilal a Chichoni. Non capivo come facevano… Amavo tantissimo le storie fantascientifiche di quel tipo di autori, e ora che riesco quasi a fare un tipo di disegno del genere - non di tutti quelli che ho nominato, chiaro! - mi viene da giocare con quelle forme. Esteticamente mi piace la fantascienza immaginata negli anni Settanta e Ottanta. Quella che viene immaginata adesso, soprattutto nel mondo dei videogames, visivamente non mi piace.
Esterno Notte © Gipi/Coconino Press - Fandango
Negli ultimi anni le tue storie ambientate nel futuro sono state parecchie. Su Twitter hai anche mostrato un frammento da un nuovo progetto di fantascienza. Sicuramente ho una storia di fantascienza che ho portato avanti per tre anni, e che adesso mi è finita in un altro progetto, sotto un’altra veste. È la stessa situazione di quello che accadde coi pirati de La mia vita disegnata male: pensavo di fare un libro di pirati, e invece mi sono cascati dentro a tutt’altro. Però sono due anni e mezzo, quasi tre che ci lavoro, quindi ho fatto davvero tanti test di disegno in quella direzione. E poi c’è stata La terra dei figli.
Come ti spieghi questo “periodo fanta- di una sensazione di distacco dal mondo scienza”? reale molto forte. Penso che la fase di fantascienza di adesso Ti senti “scafandrato”? sia più una “fase scafandri”. Mi sa di sì. In questi ultimi giorni sono staIl piacere di disegnare un dettaglio? to a trovare mia madre, ricoverata, in una Mi prende questa voglia di disegnare si- zona della Toscana abbastanza isolata. tuazioni dove ci sono persone con un ca- Laggiù, perso per gli affari miei, mi sono sco in testa, che respirano un’atmosfera “de-scafandrato”. Me ne sono proprio controllata. Fra qualche anno riuscirò a accorto. Sono andato per monti a cammifare un parallelo tra questo e quello che nare, per i cazzi miei. Ho rifatto cose che sto vivendo a livello personale... Tutto è facevo un tempo e che qui non faccio più nato da dei caschi. Ho iniziato a disegna- per questioni logistiche, perché Roma è re delle persone con una specie di gabbia un inferno. Non sono mai stato così nella metallica e di plexiglass in testa. Penso bambagia in tutta la mia vita, e questo mi che tanto dipenda dal modo in cui sto vi- leva un po’ il respiro, anche se allo stesso vendo ora: ho una vita privilegiata, e quin- tempo è piacevole.
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Sol o l’a mpio ma re.N I sette mari di Corto Maltese
Pacifico Una ballata del mare salato 1989 © CONG SA - Tutti i diritti riservati
di Boris Battaglia
el fumetto, a differenza della letteratura, il mare non è fra i topoi più frequentati. Non in quanto luogo comune e tematico da romanzo d’avventure conradiano, quanto piuttosto proprio come luogo geografico. C’è un motivo preciso per questo. Un motivo che va oltre tutti i significati simbolici e metaforici affastellati dalle tante interpretazioni psicologiche.
55 Il fatto è che, come scriveva Giuseppe Ungaretti in quella meravigliosa poesia che è Finale - raccolta in Terra Promessa - il mare non è altro che un campo incolore. Mentre le strade sono state tracciate, se non una volta per sempre, almeno per lunghi periodi, finché servono e vengono percorse, il mare è una tavola vuota. Uno spazio su cui lo sguardo non sa dove volgere, se non è stata tracciata una rotta. “ e t t e m a r i p i a n g e r ò Usare il mare come luogo fisico del proprio racconto a fumetti richiede, dunque, i n t o r n o a m e la capacità di tracciare rotte complesse in s o c h e t u n o n t o r n e r a i mezzo a qualcosa che “non c’è”. Creare il e d a s o l a r e s t e r ò percorso dello sguardo mentre si crea lo sguardo. Sono veramente pochi gli autoc o m e u n ’ i s o l a s p e r d u t a ” ri capaci di ottenere risultati interessanti e importanti in questo. Hugo Pratt lo ha Mina fatto, con tutto il corpus delle opere dedicate al marinaio per antonomasia, Corto Maltese. Personaggio che nasce dal mare e ne solca, seguendo una rotta che è anche il suo percorso di formazione esistenziale, ben sei. Anzi, in realtà, quasi Pratt La dimostrazione che il mare, l’oceano lo abbia fatto per dar ragione a Rudyard Pacifico, sia per Hugo Pratt prima di tutto un luogo geografico su cui tracciare la Kipling, sono sette. rotta della propria narrazione, è già nelle prime tavole della Ballata del mare salato, in cui ci vengono fornite addirittura le coordinate esatte di dove si trova il nostro sguardo. Tra il 155° meridiano e il 6° parallelo sud. È esattamente qui che il capitano Rasputin in “un’allegria di naufragi” - per riprendere un’espressione ungarettiana - incontrerà prima Pandora e poi Corto. L’oceano Pacifico è il mare che dà la vita a Corto Maltese (che viene letteralmente salvato dalle acque, come Mosè) e nel quale, in qualche modo chiudendo un cerchio - ovvero la rotta - nell’ultima avventura, intitolata Mu, scompare colui che di Corto è stato la levatrice, colui che l’aveva salvato dalle acque. Quello di Rasputin, a conclusione di Mu, è l’ultimo Corto Maltese - Le Celtiche Burlesca e no tra Zuydcoote Bray-Dunes naufragio. Siamo sicuri che approderà da (dettaglio) 1972 qualche parte, ma non sappiamo dove. © CONG SA - Tutti i diritti riservati
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1. PACIFICO
Corto Maltese - Una ballata del mare salato (dettaglio) 1967 Š CONG SA - Tutti i diritti riservati
2. ATLANTICO
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Il ciclo di avventure successive alla Ballata, ambientate in Sudamerica e nei Caraibi, si svolge nell’oceano Atlantico. Per arrivarci Corto deve avere doppiato Capo Horn. Non c’è dubbio su questo, il canale di Panama, anche se fu terminato nell’agosto del 1914, non fu aperto ufficialmente fino al 1920. Poi c’è un altro fatto: i marinai che doppiavano il capo venendo dal Pacifico, si mettevano un orecchino a sinistra.
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uello che voglio lo posso prendere
e ciò che resta saranno abissi e deserto”
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Corto porta un orecchino sull’orecchio sinistro. Tuttavia c’è un piccolo problema. Corto l’orecchino lo porta già nella Ballata. Probabilmente perché il Capo l’aveva già doppiato, nel 1905, quando lasciata la Manciuria ne La Giovinezza i personaggi, con Rasputin, finiscono in Argentina. Il Pacifico non è dunque il mare della
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Corto Maltese - Suite caribeana Per colpa di un gabbiano (dettaglio) 1970 © CONG SA - Tutti i diritti riservati
3. ADRIATICO Lasciato il Perù, Corto arriva a Venezia. l’Adriatico è un mare piccolo, stretto, non è il grande mare caraibico delle avventure dei gentiluomini di fortuna, dove servono le mappe e le rotte.
Corto Maltese - La giovinezza Copertina (dettaglio) 1985 © CONG SA - Tutti i diritti riservati
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nascita di Corto, ma il mare della rinascita, del nuovo inizio: per Corto la rinascita è quasi un’abitudine, infatti è qui, nell’Atlantico che riacquista la memoria e comincia quella traversata che, ciclicamente ripetuta, da un nuovo inizio porta a una fine. Passando per Venezia.
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Rodi 1923 Corto Maltese La casa dorata di Samarcanda © CONG SA - Tutti i diritti riservati
Qui, volendo, si può navigare a vista. Infatti questo mare è una finestra sulla Storia - la Prima guerra mondiale - e una porta verso l’Oriente. Ed è proprio quando, mischiando le sue acque con lo Ionio, il luogo in cui, dettaglio non trascurabile, si trova Malta, che l’Adriatico diventa un altro mare.
Prima di affrontare la costruzione del proprio mito (la rotta, questa volta non marittima, che da Samarcanda lo porterà al Sacro Graal) e poi la decostruzione stessa del proprio mito (Mu: e siamo di nuovo nel Pacifico, dove come già visto il cerchio si chiude), Corto dovrà affrontare la natura E questo quarto altro mare è l’Egeo. Qui più profonda del mito. E lo farà nell’unico comincia il lungo viaggio di Corto verso luogo dove si può fare: nel sogno. Samarcanda. Ma non è una cosa immediata, anche se tra l’Adriatico, lo Ionio e l’Egeo sembra non esserci soluzione di continuità, nella saga di Corto la cesura è evidente. Netta. Prima di intraprendere il lungo viaggio a oriente verso il proprio doppio, Corto deve chiudere la finestra adriatica sulla verità della Storia e aprire quella su quel Corto Maltese - Le Celtiche Concerto in O’ minore per arpa e nitroglicerina mucchio di bugie di cui invece sono fatte (dettaglio) le storie. © CONG SA - Tutti i diritti riservati
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5/6. MARE D’IRLANDA E MARE DEL NORD
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Corto Maltese - Le Etiopiche Nel nome di Allah misericordioso e compassionevole 1972 © CONG SA - Tutti i diritti riservati
Addormentandosi sulle spiagge del Mare d’Irlanda e svegliandosi sull’altra costa, dall’altra parte, sulle spiagge del Mare del Nord, dove, sognandolo, imparerà il mito. Ma anche la sua inutilità. E notare che quando lo fa, siamo praticamente tornati sull’Atlantico. Tutto si tiene nel ciclo di Corto: tutti i mari sono collegati.
7. DESERTO DANCALO Il settimo mare, in realtà, non è un mare. Funziona come un mare - non ha riferimenti per lo sguardo se non il tracciarne un cammino tra le dune - ma è un lunghissimo approdo, che taglia in diagonale il ciclo di tutte le avventure di Corto, conducendolo in altri luoghi rispetto a quelli sull’acqua: mettendo in crisi la navigazione. E in certo modo il nostro sguardo. Si tratta del Deserto Dancalo, e come per
l’oceano c’è bisogno di qualcuno che sappia tracciare la rotta, anche nel deserto c’è bisogno di tracciare il cammino. Ma un marinaio, nei mari di sabbia, non ha la perizia per farlo. Qui, il desiderio di inutilità di Corto raggiunge il suo compimento, e il marinaio passa il timone a un altro personaggio: Cush. Destinato a tracciare una rotta che, come se avessimo doppiato il nostro Capo Horn, ci porterà addirittura in un altro ciclo narrativo. Quello degli Scorpioni del deserto. Ma, per usare un luogo comune, un topos abusato delle chiusure narrative - un po’ come il mare - quella è proprio un’altra storia.
di Erik Balzaretti e Matteo Stefanelli
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Le infinite forme di un dettaglio che spacca
of PUGNI Non solo cazzotti. PerchĂŠ i pugni, dallo sport alla politica, dal fumetto ai videogiochi, hanno mille significati. Che abbiamo provato a ripercorrere. Power to the penis (1970), poster, illustrazione di John Sposato
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Wolverine: Weapon X (1991), dettaglio da una tavola di Barry Windsor-Smith © Marvel Comics
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Aristotele diceva che le mani sono una diramazione del cervello: permettono di “realizzare” visivamente ciò di cui parliamo o ciò che stiamo pensando. Di più: “la mano sembra costituire non uno ma più strumenti”, e permette di realizzare le emozioni che stiamo vivendo. Aveva già chiara l’evoluzione tutta latina del “gesticolare”? Chissà.
La lutte continue (1968), illustrazione di Atelier Populaire
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Tra pugni reali e pugni immaginari
Quel che è certo è che le mani chiuse a pugno sono uno degli usi più naturali, comuni, ricchi e sì, potenti, che si possa fare dei nostri arti. Manine, manone o manacce che siano: i pugni non discriminano alla fonte, e qualsiasi mano può assumere quella postura tanto eloquente. I pugni ci accompagnano sin dall’infanzia e il loro uso appartiene alla nostra esperienza quotidiana. Tanto da dare luogo ad uno di quegli sport primordiali che, come la corsa e il salto, non hanno bisogno di altri oggetti, accessori o protesi. Tirare pugni è un’attività che porta con sé l’aspetto animale degli esseri umani: un segno basilare della natura dell’uomo, unito a (varie) regole sportive per usarli, in funzione dell’evoluzione e della civiltà. Forse è per questo che il pugilato, nato come forma di difesa personale millenni fa, è stato chiamato anche “nobile arte”. Ed ecco perché, in quanto segno di qualcos’altro, il pugno è così straordinariamente presente nella comunicazione, visiva in primis.
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ual è lo scopo dell’avere le mani? Come si usa questa doppia e versatile parte del corpo? E quante cose possiamo farci? Per Braccio di Ferro (il Popeye nato dalla fantasia di Segar), da un secolo uno dei simboli più noti della forza fisica e dell’irascibilità umana, la riposta è facile: “menarle”. Ovvero tirare pugni. Leggendari pugni possenti, alimentati da proverbiali spinaci. Sarebbe d’accordissimo anche Hulk, che con le sue manone, in oltre mezzo secolo di vita - nella finzione - sembra avere saputo solo prendere a pugni qualcosa o qualcuno. Non proprio due pacifisti, diciamo. Eppure anche le battaglie civili e politiche vere, quelle più elementari quanto quelle più avanzate, si sono spesso affidate ai pugni, concreti o immaginari che fossero. Ma anche tanti grandi fantasie o piccoli desideri, personali e collettivi, sono passati - e continuano a passare - per i pugni.
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i tiro un pugno che ti sfarino!”
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Winston dal film: Ghostbusters II
Questa particolare modalità di muovere e utilizzare le mani, che coinvolge quasi trascinando con sé anche altre parti del corpo - in primis il viso - non a caso ha mantenuto un carattere polivalente. E attraverso la combinazione di segni e posture diverse, costruisce un vero e proprio repertorio di comunicazione non verbale di grande espressività, elaborata, raccontata e resa centrale nell’universo iconografico dei media e della cultura pop. La mostra “The Art of PUGNI”, proposta ai visitatori di COMICON 2019, ha voluto sottolineare, con un po’ di ironia e di fantasiosa confusione, tutto questo. Grazie alla sua forma, al suo dinamismo intrinseco, e alla vasta gamma di possibilità espressive, il pugno nella cultura pop è un ingrediente che diamo per scontato, ma che offre una incredibile vastità di idee. Da elemento non verbale, simbolo di lotta e di emozioni, particolarmente efficace nei linguaggi visivi - a partire dal fumetto - il pugno è stato visualizzato nel corso del XX e XXI secolo sia come un oggetto grafico interessante o utile in sé e per sé, sia come una metafora, persino come un’icona. La mostra prodotta da COMICON ha provato a raccontare questo universo di possibilità e di significati usando tre punti di accesso: i pugni come forma, azione e simbolo. Già, perché quando parliamo di pugni nella cultura pop è evidente che ci sono in gioco aspetti estetici, ma anche direzioni narrative e, infine, elementi più ampiamente ideali e ideologici.
Iron Fist: The Living Weapon (2014), illustrazione di copertina di Kaare Andrews © Marvel Comics
Non è un caso che molti modi di dire figurati usino proprio il pugno come loro soggetto: “pugno di ferro” (o “di velluto”), “pugno di mosche”, “pugno di sabbia”, “battere i pugni sul tavolo”… Persino “fare a pugni” non descrive solo un atto fisico, ma può indicare uno scontro di idee. Il pugno, peraltro, può assumere il significato di misera unità di misura: dal biblico pugno di lenticchie di Esaù al letterario Un pugno di polvere di John O’Hara al filmico Per un pugno di dollari di Sergio Leone. Le contraddizioni e gli opposti non mancano, insomma, intorno all’idea di pugni. Che come poche altre può esprimere tutto e il contrario di tutto: grandezza, potenza ed entusiasmo quanto pochezza, incapacità e frustrazione. I pugni, insomma, hanno dato luogo a un repertorio di comportamenti e di idee che nemmeno un’enciclopedia basterebbe a descrivere. E proprio per questo, forse, sono diventati così ricorrenti e importanti nella produzione di immagini: avanguardie artistiche, illustrazione, graphic design, fumetto, cinema, videogames… Proviamo a ripercorrere qualche esempio.
Popeye (1961), dettaglio da una tela di Roy Lichtenstein © Estate of Roy Lichtenstein
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The Inventory #1: Iron Fist (2016), copertina del romanzo di Andy Briggs © Scholastic Press
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Il pugno E’ FORMA In un impossibile ranking dei pugni più seminali nella storia della cultura pop, la forma ‘base’ rimane il famoso pugno del Superman volante. Un po’ perché Superman è stato un’icona e un simbolo umano in sé, un po’ perché il suo volo - con un pugno proteso - ha messo in primo piano una forma “normale” nella sua perfezione: il pugno anatomicamente perfetto di un uomo (super) perfetto. Ripreso da vari autori, è divenuto un classico della Pop art grazie al lavoro di Roy Lichtenstein; ed è poi stato celebrato nella sua bellezza pittorica da Alex Ross, il più fotorealistico dei suoi interpreti fumettistici. Ma la forma del pugno, sia prima che - soprattutto - dopo, è stata ed è tutt’ora oggetto di innumerevoli variazioni, trasformazioni, invenzioni. Una interpretazione magistrale, a sua volta tra le più influenti, è stata quella di chi arrivò a ideare un personaggio caratterizzandolo proprio con l’isolamento caricaturale della mano e del braccio, sempre enorme, sempre di profilo e esageratamente bidimensionale rispetto al resto del corpo. Si tratta di E.C. Segar, il creatore di Popeye, in italiano Braccio di Ferro, primo personaggio veramente pugno-centrico. Anche lui “poppizzato” da Lichtenstein, naturalmente. Attraverso il lavoro degli autori del fumetto avventuroso e supereroistico, fra i quali il più importante è senz’altro Jack Kirby, nel tempo si sono aggiunti dettagli e accessori di rivestimento, come tatuaggi minacciosi, tirapugni - come nel caso di Luke Cage - o anelli che possono avere anche la funzione di riconoscimento o di attivazione di meccanismi, da Phantom a Lanterna Verde. L’importanza che la lotta ha acquisito nei racconti (disegnati) popolari ha generato character il cui principale mezzo espressivo, persino più che in Popeye, risiede proprio nel pugnare e nella peculiare forma dei loro pugni. Vale per i pugni rocciosi de La Cosa fino a Hellboy, per quelli sabbiosi de L’Uomo Sabbia, per quelli elastici di Mr. Fantastic o per l’enormità deforme dei pugni di Hulk. Questione non solo di aspetto e attrezzatura, insomma, ma di vera e propria “materia” dei pugni. In tempi di grande sviluppo tecnologico, impossibile allora non osservare come a partire dagli anni Sessanta e Settanta i pugni di tanti eroi pop siano stati trasformati dalla robotica e dalla cibernetica, con in prima linea i “magli perforanti” di Goldrake ed i pugni dei tanti robot della prima stagione della anime invasion. Ma l’evoluzione delle scienze biologiche e delle paure ad esse associate ha avuto buon gioco nel riflettersi in altre mutazioni dei pugni, ben rappresentate da mostruosità aliene o fanta-genetiche, come gli artigli in adamantio di Wolverine.
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Exaggerated action (1948), disegni di Willard Mullin © Estate of Willard Mullin
Se però ci allontaniamo dall’idea dei pugni come espressione diretta o esplicita della forza, lo scenario delle forme cambia del tutto. Basti pensare al mondo dell’avventura comica sviluppatasi in simbiosi con le slapstick comedy cinematografiche del primo Novecento. La forma dei pugni era lì quasi sempre nascosta da guanti o dal guantone da boxe, più o meno inutilmente ingombrante (una forma peculiare, già presente nel mondo della clownerie e del teatro, che ha resistito nel tempo ed è ancora molto presente in fumetti e videogiochi). Del resto si potrebbe persino azzardare una divisione del XX secolo in due parti, la seconda segnata dalla centralità dei pugni, la prima dominata da un altro elemento di lotta comica, ovvero il più umoristico (per l’epoca) calcio nel sedere. A prendere piede nel mondo visivo dell’umorismo, sarà allora il contrasto tra le piccole forme dei pugni e gli enormi esiti dell’azione. Una intuizione evidente nel cinema e nella televisione di animazione grazie ai vari Topolino, Bugs Bunny, Gatto Silvestro e tanti altri, per lo più guantati. La diffusione di queste forme arrotondate andava incontro anche ad esigenze tecniche dell’epoca: rispetto alle forme più realistiche o spigolose, le rotondità dei guanti erano più facili e rapide da ripetere nei disegni, ripetuti più volte, che componevano una sequenza animata. Inoltre, in una Belle Epoque in cui la facevano da padrone personaggi animali - i cosiddetti funny animals - anche le bestioline più rissose, dotate di guanti, potevano ingentilire l’aspetto - altrimenti spaventoso - delle proprie zampe. Il successo dei “guanti bianchi” tra animazione e fumetto arriverà a ispirare persino i maestri del secondo dopoguerra, da Jacovitti agli ideatori di Astérix, Goscinny & Uderzo. Lasciando in secondo piano il genere avventuroso classico e il western, dove pugni e scazzottate ricorrono spesso ma le cui forme tendono a sparire nell’azione (salvo eccezioni: Dick Tracy, dal pugno squadrato come il suo inconfondibile profilo, “granitico” nell’etica quanto nelle fattezze), si può dire che la forma del pugno è diventata un elemento essenziale per comu-
nicare, in un solo colpo d’occhio, informazioni di ogni genere. Non solo il conflitto ma anche stati emotivi, caratteristiche psicologiche, e persino mondi fantastici. I pugni rivestiti da guanti, texture o costumi come quelli di Capitan America, Spider-Man o Thanos, in fondo, sono già in sé dei segnalatori di universi finzionali molto specifici. Per fare esempi ancora più emblematici, come altro descrivere, se non in questo modo, una delle più originali invenzioni del design del tardo Novecento applicato alle ‘mani’ dei giocattoli, ovvero Lego? Le inconfondibili “mani a pinza” degli omini Lego sono, come la forma delle loro teste, icone. Un indicatore immediato, al pari delle orecchie di Topolino, di quell’estetica e di quel mondo immaginario. Sempre più articolato ed esteso, il meta-mondo della Lego ha trovato nelle manine un ingrediente fondamentale, rimasto pressoché immutato (i volti, invece, hanno offerto oltre 1.600 espressioni in 40 anni di minifigures), anche proprio per la loro ambiguità di postura e di utilizzo: sono prensili come mani, ma allo stesso tempo sono dure come pugni. Lo sappiamo bene non solo dalle tante battaglie messe in scena giocandoci, ma dalle miriadi di combattimenti in film e serie tv made in Lego, da Batman a Ninjago, in cui i vari Lego-eroi tirano cazzotti con quei pugni/mani/tenaglie.
Superman: Rough Justice (2010), illustrazione di Alex Ross © Alex Ross / DC Comics
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Ma se la forma è sostanza nel nostro discorso, non può essere disgiunta dall’azione. Il pugno non è un concetto statico: il movimento conta eccome, soprattutto per svolgere la funzione primordiale di provocare dolore impattando con maggiore o minore forza su volti, corpi, oggetti o altre mani strette a pugni. A partire da Giacomo Balla, che aveva scomposto futuristicamente le linee di forza del pugno di Boccioni, sino alle straordinarie linee cinetiche dedicate ai movimenti del boxeur disegnate dal leggendario cartoonist sportivo Willard Mullin, passando per i quadri dinamici a tema pugilistico di George Bellows, il pugno trova spesso nell’azione il suo senso compiuto. Il pugno in azione sposta figurativamente l’attenzione verso l’avambraccio, il bicipite e la spalla che carica il colpo. Concettualmente quindi l’azione del colpire con un pugno riguarda sia cosa viene colpito sia come viene portato il colpo. Qui certamente l’animazione ha trovato le soluzioni migliori sin dagli anni Trenta, primi i fratelli Fleischer con (non a caso) Popeye e Superman. Ma anche il fumetto e l’illustrazione hanno affinato negli anni le capacità di rendere il più credibili possibile le linee di forza o il risultato dell’impatto. Un impatto sempre più devastante, per quanto riguarda l’area dei supereroi, grazie alle capacità di Jack Kirby, Gene Colan o Neal Adams nel ritrarre i gesti di Hulk, Devil o Batman. O come nel caso di illustratori iperrealisti quali William Mortensen o surrealisti quali Roland Topor, entrambi con effetti stranianti e caricaturali. Ancora Lichtenstein dedica al pugno in azione uno dei suoi più conosciuti poster, a testimonianza che la Pop art trovava nel pugno un elemento graficamente e particolarmente adatto alla sua poetica. La Nona arte saccheggiata da Lichtenstein e Warhol era - e rimane, affiancata dai videogames - il maggiore serbatoio dove
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Il pugno E’ AZIONE
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pescare pugni in azione. In primis quelli sportivi, centrali in classici come la strip Joe Palooka o il manga (e anime) Rocky Joe quanto in tanti fumetti di arti marziali, biografie disegnate di campioni della boxe, storie di puro combattimento. Tra i graphic novel contemporanei vale la pena ricordare Primo Carnera di Davide Toffolo, L’Arrabbiato di Baru, Il pugile di Reinhard Kleist o Pugni di Boris Battaglia e Paolo Castaldi. Il fronte arti marziali meriterebbe un approfondimento a parte, viste le sue diramazioni tra realismo e fantasia, dal maestro del kung fu Shang-Chi alle ibridazioni con superpoteri da Iron Fist in poi. In fondo è proprio da questa area provengono molti ibridi successivi, dalle arti marziali ‘immaginarie’ di Le bizzarre avventure di Jojo fino ai limiti dello hack & slash di Ken il guerriero (in inglese tradotto non a caso come Fist of the Northstar) o all’action rutilante di Dragon Ball. Il manga e anime One Punch Man ne è un erede recente davvero emblematico, con il suo mescolare ingredienti da sport di combattimento, fantascienza e super poteri: Seitama, il protagonista, formato da duri allenamenti, ha subito una metamorfosi in grado di dotarlo di un colpo senza pari, in grado persino di spostare le nuvole… Iron Fist #8 (1976), copertina di John Byrne © Marvel Comics
Amazing Spider-Man #251 (1984), copertina di Ed Hannigan © Marvel Comics
Ma è nell’ambito dell’universo dei videogiochi che il pugno in azione ha un ruolo privilegiato. Il combattimento, sin dalle origini dei primi videogames, prevedeva spesso il colpo a mani chiuse dopo il salto e la corsa. E la risorsa del pugno resta, quando non è centrale o la prima opzione nei conflitti, “l’ultima arma” possibile. La lista dei picchiaduro è lunga e include alcuni dei più iconici personaggi e titoli del mondo videoludico, tra cui è possibile trovare perfino un insospettabile come Mario Bros. spacca mattoni. A partire dalle prime release degli anni Settanta, tra 2D a scorrimento e 3D, i videogiochi hanno ereditato e sviluppato tante tecniche sportive, con colpi via via sempre più definiti e memorabili nel filone dei beat ‘em up: basti pensare al “Pugno del drago ascendente” della serie Street Fighter, o al montante di Mortal Kombat. Gli universi delle arti marziali e pugilistiche, nate negli anni Settanta con il gioco di boxe Heavyweight Champ e continuate con Punch Out e King of Boxer, hanno poi aperto agli sviluppi non solo dei beat ‘em up anni Ottanta alla Double Dragon, ma anche dei titoli fondati su hack & slash - sottogenere nato con i giochi di ruolo alla Dungeons & Dragons - e varie dosi di violenza “gratuita”, da Golden Axe e Diablo a Devil May Cry o God of War, veri e propri cataloghi di colpi sferrati da pugni di ogni foggia possibile, oltre che da varie armi. Tirare pugni è un’azione non solo naturale e comune in molte opere della cultura pop, ma talmente importante da definire sia coloro che la praticano sia coloro che la evitano. Uno dei più celebri eroi del fumetto mondiale, Corto Maltese, emblema di una visione umanista anche del conflitto, inteso come condizione talvolta inevitabile ma non per questo necessaria, nella sua lunga vita editoriale ha sferrato pugni solo 15 volte. Solo quando ne valeva davvero la pena, insomma.
Trump fuck (2018), copertina di Edel Rodriguez per Der Spiegel
Logo degli Space Marines, dal gioco Warhammer © Games Workshop
Il pugno ‘Gonzo’ (1970?), ideato da Hunter S. Thompson
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la lotta contro i vari tipi di segregazione. Niente di più normale ritrovare queste strategie in fiction di ogni genere, come ad esempio il videogame Red Faction, dedicato a una fantascientifica lotta dei lavoratori … su Marte. La rappresentazione del braccio teso con pugno chiuso, sebbene antica e già molto diffusa nel lontano Ottocento, ha poi trovato nei vari manifesti e riviste del Maggio francese, oltre che in numerosi quadri di quella stagione - da Renato Guttuso con I Funerali di Togliatti a L’autoritratto con pugno chiuso del transavanguardista Francesco Clemente - una diffusione davvero impressionante, che già in sé ci dice molto di quella fase storica. Fra le tante immagini di pugni, difficile non includerne almeno una fra quelle prodotte da Atelier Populaire, gruppo di studenti artisti dell’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi che, proprio a partire dal maggio 1968, crearono affiche e volantini anonimi come il celebre “La lutte continue”, che disegnò una canonica ciminiera di fabbrica la cui fumata era rimpiazzata da un pugno chiuso. Gli anni Sessanta e Settanta, si potrebbe persino arrivare a dire, sono stati i “decenni dei pugni”: un’epoca di penetrazione pervasiva dell’idea e dell’immagine del pugno, tanto fra i gesti rituali di molte comunità, quanto fra i simboli politici dei più diversi gruppi e, come abbiamo già visto, all’interno di quella vasta ondata di usi artistici e narrativi che ha tracimato nei vari rivoli della cultura pop.
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L’ultima chiave per approfondire il tema del pugno si lega ai suoi tanti significati antropologici e sociali. Lo abbiamo già intravisto: la forma stessa del pugno porta con sé emozioni e significati socialmente riconoscibili. Sia pensato solo con le dita racchiuse, sia in compagnia del braccio che può essere teso o piegato ad angolo con pugno in alto o all’altezza del cuore come il saluto dei legionari romani, l’immagine del pugno deriva da gesti umani ma diventa icona. Un oggetto visivo potentissimo per rappresentare concetti di ribellione o di unità, di potere o di condivisione di valori. La forza del pugno, intesa come attacco ma anche come duro potere dell’azione umana, ha definito quasi in maniera “genetica” il mondo della satira grafica. Il più importante giornale di caricature della storia britannica nacque nel 1841 proprio con il titolo “Punch, or The London Charivari”. Era un modo non solo di riprendere la fortuna delle marionette Punch & Judy, ma anche di sottolineare l’obiettivo ‘pugnace’ di un’arte grafica che, grazie alla libertà di espressione, svolgerà una funzione essenziale nello sviluppo liberale della civiltà moderna. Utilizzato nella grafica rivoluzionaria a partire dalla rivoluzione francese, il pugno chiuso ha rappresentato la lotta della Comune di Parigi - ben raccontata e disegnata da Jacques Tardi nella magistrale graphic novel L’Urlo del Popolo - e poi dei movimenti operai, dei partiti rivoluzionari socialisti, comunisti e anarchici. Tra le interpretazioni seminali di questo significato, il dipinto del 1891 del divisionista Emilio Longoni L’oratore dello sciopero, ma anche i pluripremiati graphic novel Berlin di Jason Lutes e No Pasaran di Vittorio Giardino. Con alcune variazioni di postura, il simbolo del pugno alzato è stato utilizzato anche da gruppi radicali come le Pantere Nere, la cui comunicazione era spesso legata a poster e volantini in cui campeggiavano pugni chiusi. Nella sua trasformazione in vero e proprio logotipo politico, il pugno può stringere oggetti: la rosa nel pugno, tipica dei loghi dei partiti socialisti sia in Francia che in Spagna; o il filo spinato, a rappresentare
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Il pugno E’ SIMBOLO
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a mai beccato
cinquecento pugni in faccia per sera? I r r i t a l a p e l l e d o p o u n p o ’. ”
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Rocky dal film: Rocky II
Ma la dimensione simbolica dei pugni, naturalmente, tocca significati che vanno ben al di là di quelli strettamente legati agli immaginari della partecipazione politica. Al di là anche delle immagini che riproducono i gesti altamente simbolici della prossemica quotidiana, a partire dai “gestacci” offensivi (il più noto dei quali, il pugno con dito medio, non smette certo di esercitare il suo potere iconico, come dimostra una recente copertina del settimanale Der Spiegel). Basti pensare all’utilizzo del pugno nello “stile gonzo”. Ispirata dal lavoro del giornalista Hunter S. Thompson, che più di altri propose una scrittura giornalistica che contestava ogni pretesa di oggettività, e metteva al centro il giornalista stesso in prima persona - magari in preda alle più disparate e private sensazioni -, questa filosofia creativa ha dato vita a partire dagli anni Settanta a una sorta di stile estetico, tanto in letteratura quanto al cinema (porno incluso). Lo stesso Thompson lo sintetizzò in un logo: un pugno a sei dita, che stringe un peyote. Un simbolo non troppo noto, ma tutt’altro che oscuro: Johnny Depp, per fare un esempio, lo ha sfoggiato spesso su tshirt o tatuaggi. Fra le istanze di ribellione e quelle di sfrenata libertà espressiva, la natura simbolica del pugno è riuscita a incarnare anche temi all’apparenza lontani come quelli della liberazione sessuale. Tra gli esempi più celebri anche qui c’è un poster. Datato 1970 e illustrato da John Sposato, raffigura un pugno al posto del pene, a indicare in modo inequivocabile l’associazione fra potere e ruolo maschile. In questo caso il pugno vuole indicare violenza ma insieme fare ironia, dal punto di vista di un’azione di “disvelamento” femminista. Se però alla lettura che ne sottolinea la forza si unisce una visione collettiva, va detto anche che i pugni sono stati spesso considerati simbolo di unione. Valeva certo per i poster rivoluzionari, ma questa accezione è stata in fondo la stessa utilizzata, in ambito militare, per sottolineare la capacità del pugno di radunare e sommare la potenza dei singoli nella struttura di un gruppo organizzato. L’idea di “unione fa la forza” si è trasferita così su simboli di natura bellica, sia in reali manipoli militari che in più fantasiosi gruppi immaginari. Il simbolo dei Magli Scarlatti, ad esempio, è tra i più noti all’interno del gioco da tavolo Warhammer, dove identifica uno degli eserciti principali. Vale lo stesso per il card game Magic: l’Adunanza, dove il pugno è il simbolo della Legione Boros, una delle dieci gilde della città di Ravnica.
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Saluto del Black Power alle Olimpiadi di Città del Messico (1968), fotografia di John Dominis © John Dominis / Time Inc
L’avvento delle tecnologie informatiche ha anch’esso contribuito a fare evolvere la natura simbolica del pugno. In primis su un piano tecnico: l’elaborazione del sistema di codifica Unicode, che ha reso possibile inserire i pugni come se fossero dei banali font. Assegnando un numero univoco ad ogni carattere usato per la scrittura di testi, in maniera indipendente dalla lingua e dal programma utilizzato, Unicode ha contribuito alla standardizzazione di migliaia di simboli, grafemi ed emoji nei più banali programmi di scrittura al computer. E tra questi anche il pugno ha trovato il suo spazio: mentre scriviamo questo testo, proprio grazie agli standard Unicode possiamo comporre e riprodurre al pc il segno (pugno alzato: codice U+270A); nei sistemi più recenti, come quelli che supportano gli emoji dal 2015, è ormai comune anche il simbolo del pugno frontale (U+1F44A). In secondo luogo, le tecnologie hanno ridefinito la forma stessa e il senso dei pugni, mettendo in primo piano una postura particolare e assegnandole un ruolo strategico. Il riferimento è ai social network e in particolare a Facebook, che dal 2010 ha introdotto il pugno con il pollice alzato, rivoluzionando il marketing e la comunicazione online. Al punto che qualche disegnatore si è spinto, armato di fantasia, a raccontare la mutazione antropologica che il pugno-pollice social ha introdotto nelle nostre vite. In The true story of Mr Like Giacomo Nanni e Massimo Colella hanno raccontato una fiaba dark il cui protagonista è un freak, uno scherzo della natura nato con un pugno-pollice da social al posto di una mano L’antica arte dei pugni, ormai è chiaro, non smette mai di evolvere le proprie potenzialità di espressione. E tra i migliori punti di osservazione sul futuro dei pugni, il suggerimento è di non perdersi il “Canale delle mazzate”: un tumblr giocoso e sperimentale, alimentato dai disegni di molti tra i migliori illustratori e fumettisti italiani. Tutti uniti, senza alcuno scopo editoriale, dalla sola idea che, intorno a pugni e combattimenti, c’è un universo infinito di possibilità da esplorare e immaginare.
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Black Power (1971), poster, illustrazione di Zash M.J.B.
PER un PUGNO DI
di iacopo risi
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Il pugno nel mondo dei videogiochi: dai primi picchiaduro ai moderni action e qualche curiosita’
Flyer promozionale per Heavyweight Champ Š SEGA 1976
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I colpi piu’ iconici The Way of the Exploding Fist © Melbourne House 1985
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Dopo un avvio esaltante, i videogiochi a tema pugilistico, come i bellissimi Punch-out e King of Boxer, hanno dovuto cedere il passo ai titoli basati sulle arti marziali, più vari, più complessi e perciò più gratificanti. The Way of the Exploding Fist (1985), l’acclamato clone per home computer del coin-op Karate Champ, è probabilmente il primo titolo che celebra il pugno videoludico, non solo per l’indimenticabile copertina ma anche per la fonte d’ispirazione del titolo. “La Via del Pugno Esplosivo” rappresenta infatti una variante, probabilmente un omaggio a “La Via del Pugno Intercettato”, traduzione letterale dal cantonese di Jeet Kune Do, la tecnica di combattimento concepita dal leggendario Bruce Lee. Educato alle arti marziali di tradizione cinese, Lee osservò alcune carenze per il combattimento a distanza. Egli sviluppò quindi un interesse per la boxe occidentale, nell’intento di creare una tecnica ibrida in grado di colmare questa lacuna. Se negli anni ’80, bambini e ragazzi non facevano grosse distinzioni tra arti marziali giapponesi e cinesi lo si deve anche a questo titolo, che omaggiava a suon di colpi di karate un mito popolare del Kung-Fu. Mito che, nei videogiochi, ispirerà decine di personaggi. The Way of The Exploding Fist aprì la strada agli intramontabili picchiaduro ad incontri, insieme a Yie Ar Kung-Fu, che introdusse pochi anni dopo l’utilizzo della barra di energia.
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La via del pugno
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rendere a pugni gli avversari è una delle più longeve attività videoludiche. Comparso per la prima volta con il gioco di boxe Heavyweight Champ (1976), il primo picchiaduro della storia, il colpo a mano chiusa è una delle animazioni più remote dopo il salto e l’inevitabile corsa/ camminata. D’altra parte, il pugno è il colpo offensivo più istintivo, oltre al fatto che durante l’era dei pixel il costo in termini di sprite era molto più contenuto rispetto ad altri movimenti del corpo o parti di esso. Come altre forme di attacco fisico, soprattutto con l’avvento della grafica tridimensionale, esso è stato inevitabilmente al centro delle solite accuse a tema “videogiochi e violenza”. Argomento che però oggi non vogliamo affrontare, dato che ci interessa raccontare il pugno nei videogiochi e la sua evoluzione nel tempo attraverso alcuni dei suoi episodi più iconici, cercando di andare oltre la sua accezione marziale.
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In questo genere, sono molte le situazioni rappresentative che hanno il pugno come protagonista. La prima non può che essere l’esecuzione dello Shoryuken, una delle mosse più celebri della serie Street Fighter. L’originale “Pugno del Drago Ascendente”, un montante con salto di cui Ken Masters è lo specialista, vanta numerose varianti, rivisitazioni anche al di fuori del genere picchiaduro. Come mossa di base, il colpo più noto è il montante di Mortal Kombat, anche se il titolo Midway Games ci regala uno dei pugni più scorretti ed al contempo esilaranti della storia dei picchiaduro. Dopo aver eseguito una perfetta spaccata, l’attore Johnny Cage, figura ispirata al marzialista e star dei b-movie Jean-Claude Van Damme, fa partire un diretto negli attributi dell’avversario, costringendolo a ripiegarsi ed a valutare una carriera come controtenore. Risulta più difficile invece scegliere il pugno più iconico per Tekken, serie che a mio parere è degna di salire sul podio dietro alle precedenti. Il titolo Namco, letteralmente “Pugno di Ferro”, ha infatti introdotto nel tempo decine di personaggi e la scelta si fa decisamente più complessa. Uno dei più temuti è sicuramente il burning fist di Paul Phoenix, presente fin dal primo capitolo. Nonostante abbiano passato diversi periodi di crisi, i picchiaduro hanno ancora la loro larga fetta di estimatori. Le serie di culto ancora in vita hanno tuttavia mantenuto meccaniche di gioco poco evolute rispetto al passato. A ravvivare la situazione, uscendo dagli schemi tradizionali, ci ha pensato Nintendo con Super Smash Bros., lanciato come titolo di nicchia nel 1999 e diventato col tempo una serie molto amata, sempre in grado di innovarsi e sorprendere. Il pugno più devastante della serie è probabilmente il Falcon Punch di Captain Falcon, personaggio preso in prestito da F-Zero.
Due pugni in compagnia Se Yie Ar Kung-Fu ha aperto la strada ai picchiaduro ad incontri, il coin-op Kung-Fu Master (1984) ha dato il via ai picchiaduro a scorrimento. Anche in questo caso la figura di Bruce Lee è nuovamente chiamata in causa, dato che il gioco è liberamente ispirato ad una delle scene più memorabili del suo film incompiuto “L’ultimo combattimento di Chen”. Ma un gioco più articolato ed eterogeneo di Kung-Fu Master sarebbe arrivato qualche anno dopo, facendo compiere al genere un notevole salto qualitativo. Stiamo ovviamente parlando di Double Dragon (1987), il primo ad introdurre una struttura di gioco a scorrimento in visuale isometrica ed una modalità cooperativa. Se calci, armi da mischia e da lancio arricchivano il gameplay, sono le serie di pugni dei fratelli Billy e Jimmy Lee (non ci suona nuovo questo cognome, vero?) il vero tratto distintivo di questo titolo memorabile. I picchiaduro a scorrimento in 2D puro non scomparirono del tutto, dato che l’anno successivo sarebbe uscito l’ottimo Splatter House, dove il protagonista Rick Taylor, una variante in pixel di Jason Voorhes, prendeva a pugni demoni ed altre creature immonde. Ma il trono di Double Dragon è vacillato, e per molti caduto, a causa dei terribili montanti di Mr.Haggar e soci. Final Fight è un vero gioco simbolo delle sale dei primi anni ’90. Il terzo posto se lo aggiudica senza troppi problemi Streets of Rage, altro isometrico che introduce il concetto di combo. Il vero specialista in questione è senza dubbio Axel, con la sua sequenza di ben otto pugni che si conclude con un montante in stile Shoryuken.
Altre forme di pugno Naturalmente l’attacco fisico del pugno nei videogiochi si è esteso col tempo in diversi generi, soprattutto in ambito Action/Rpg. In molti casi menar le mani assume un ruolo da “ultima spiaggia” in mancanza di armi o munizioni, come spesso accade a Joey, protagonista del capolavoro di Naughty Dog, The Last Of Us. Ma spesso il pugno è ancora un’azione di prima necessità.
L’iconico “shoryuken” eseguito da Ken Masters in Street Fighter
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Nei videogiochi non mancano di certo divinità ed esseri ultraterreni dalla mano pesante. Il capostipite di questo pantheon non può che essere Kratos, che è arrivato a prendere pugni Zeus in persona. Ma anche nella nuova incarnazione nel mondo norreno, lo spartano non scherza. La progenie di Odino ne sa qualcosa. Non può mancare Dante, il nephilim più amato dai giocatori e autentico virtuoso del pugno acrobatico. Nell’immaginario collettivo le religioni e filosofie orientali non ammettono nessun tipo di violenza. A smentire questa credenza ci pensa Asura, Guardiano Celeste e protagonista di Asura’s Wrath, gioco Capcom della passata generazione che trae ispirazione dai miti budhhisti ed induisti. D’altra parte, ha trascorso ingiustamente dodicimila anni all’inferno, sorte che può mettere in seria difficoltà anche la più integerrima forma di pace interiore. Asura può essere considerato una sorta di Kratos orientale, dato che non lesina complimenti quando c’è da prendere a pugni qualche entità divina. God Hand è un titolo per PS2 uscito a fine generazione in cui il protagonista umano riceve un potere sovrannaturale, denominato appunto “la mano di Dio”, per poter sconfiggere a forza di pugni un’orda di demoni capeggiata da un angelo caduto.
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La mano de Dios
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Ci sono titoli in cui i pugni sono parte integrante del gameplay pur non essendo fondamentali per la progressione del gioco. Negli anni ’90, ad esempio, esisteva un filone tutto dedicato ai videogiochi sportivi in cui erano concesse alcune scorrettezze. Tra questi il divertentissimo Arch Rivals, gioco di basket in cui gli avversari potevano essere stesi a suon di cazzottoni. Uno dei titoli di calcistici più inflazionati e divertenti dello stesso periodo era Footbal Champ della Taito. Era un titolo arcade di calcio a tutti gli effetti, ma oltre ai pulsanti del tiro e del passaggio c’era anche quello per colpire con un pugno gli avversari. La mossa non era lecita, ma l’arbitro interveniva assai raramente. Quando però si parla di violenza a titolo gratuito non si può che pensare ad una sola software: Rockstar Games. Prendere a pugni i passanti è sempre stata una delle tante possibilità di “svago” nella serie Grand Theft Auto. Una libertà d’azione che fin dai primi capitoli ha sollevato numerose polemiche. Ma la brutta reputazione di GTA è stata recentemente oscurata dall’altro blockbuster Rockstar. Alcuni mesi fa lo youtuber Shirrako, durante una sessione di Red Dead Redemption 2 ha steso con un pugno il personaggio non giocante di una femminista manifestante per il diritto di voto alle donne. Il video, da oltre un milione di visualizzazioni, è costato a Shirrako la chiusura temporanea del canale e settimane di polemiche da ambo le fazioni.
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Come nel caso Batman Arkham Knight, che include, tra l’altro, una delle scene cult degli ultimi anni, ovvero la scarica di cazzottoni nei confronti di uno squalo. Un altro classico dell’era moderna è il colpo inferto da un frustrato comandante Sheppard, protagonista della serie Mass Effect, ai danni di Khalisah Bint Sinan al-Jilani, irritante reporter di Westerlund news. In ambito platform, gli esempi sono innumerevoli. Citiamo, tra i più celebri, il memorabile rocket punch Megaman ed il pugno telescopico di Ray Man. Ma, come vedremo in seguito, il pugno più iconico di questo genere è un altro ed è passato inosservato a molti.
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Violenza gratuita, o quasi
Il gioco si è rivelato un mezzo disastro, stando alla la critica, che lo ha in parte risparmiato grazie al divertente sistema di combattimento dall’approccio “old-school”, unito ad un interessante sistema di personalizzazione degli attacchi.
Roviniamoci l’infanzia Dopo aver affrontato, a nostro modo, alcune tematiche religiose, è giunto il momento di sfatare un paio di miti legati al più famoso personaggio dei videogiochi. In molti abbiamo creduto che Mario usasse la testa per rompere i blocchi di mattoni. Non è così, la mascotte Nintendo utilizza il pugno. Questa teoria, che ha generato una disputa pluriennale tra i fan, è stata ufficialmente confermata da Tatsumi Kimishima durante l’E3 del 2017. Non finisce qui. La società giapponese ha inoltre puntualizzato che il celebre idraulico si serve del pugno per spronare Yoshi a tirare fuori la lingua in Super Mario World. Stavolta la precisazione arriva da Shigefumi Hino, il creatore del popolare dinosauro verde.
Lo storico enigma del pugno di Mario, risolto
Sappiamo tutti che un pugno produce un suono piatto e poco incisivo. Nelle produzioni multimediali, come cinema e videogiochi, si ricorre perciò ad alcuni artifici per indurre una certa carica emotiva allo spettatore. Come noto, nel settore audiovisivo esiste una specifica figura professionale che prende il nome di rumorista. Questo “artigiano del suono” fa uso di ogni genere di suppellettili e prodotti alimentari per inventarsi i suoni specifici richiesti. La tecnica impiegata prende il nome di Foley, in onore a Jack Foley, pioniere dell’efficentista nelle produzioni cinematografiche. La generazione del suono è però soltanto la metà del lavoro. E’ infatti compito dei sound designer intervenire sui campioni audio, con l’ausilio di specifici software, per diversificare o dare un carattere specifico al singolo colpo, specie durante le combo.
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Guantoni truccati
Captain Falcon, da Super Smash Bros
Analizziamo infine due situazioni in cui il pugno nei videogiochi assume un carattere simbolico. Red Faction è una serie di videogiochi approdata per la prima volta su PC e console nel 2001. Si tratta di un gioco fantascientifico che include diverse tematiche di carattere rivoluzionario. Una sommossa di minatori su una colonia marziana, a causa delle pessime condizioni di lavoro, è infatti il centro della struttura narrativa. Il giocatore
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Johnny Cage, uno dei personaggi di Mortal Kombat 11 © NetherRealm Studios © Warner Bros Courtesy of PG ESPORTS
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Viva la rivoluzione!
impersona uno dei lavoratori coinvolto nella vicenda. La copertina illustra un pugno che stringe un piccone da lavoro su un frastagliato sfondo di colore rosso. I capitoli successivi sostituiranno il piccone con il martello. Assolutamente appropriato. Nel secondo caso parliamo dell’ultimo capitolo dell’acclamata serie Dark Souls, anche stavolta dell’artwork di copertina. La Fiamma Sopita sta stringendo della cenere in atteggiamento apparentemente contemplativo. Un’immagine dalle molteplici interpretazioni, ma che sembra principalmente suggerire l’imminente fine dell’Era del Fuoco: “Presto le fiamme svaniranno,e resterà soltanto l’Oscurità. Perfino ora, restano soltanto le braci e l’uomo non vede la luce,ma solo notti eterne. E tra i viventi si distinguono i portatori del maledetto Segno Oscuro“.
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Per l’occasione sono riuscito a contattare il regista Alessandro Cassigoli, che uscirà a breve nelle sale, il 21 marzo per la precisione, con Butterfly, film documentario incentrato sulla talentuosa pugilessa napoletana Irma Testa. Ecco come Alessandro ha affrontato la questione degli effetti sonori dei pugni: “La tecnica Foley è ancora molto diffusa e, se il budget lo consente, è preferibile all’utilizzo delle librerie di suoni. Nel nostro caso specifico abbiamo tuttavia utilizzato il vero suono dei colpi inferti con i guantoni. Chiaramente non potevamo registrare i pugni in presa diretta durante gli incontri, non potendo mettere i microfoni all’interno del ring. Abbiamo quindi utilizzato campioni audio aggiuntivi dei colpi registrati durante gli allenamenti, quando avevamo la possibilità di stare vicino alle atlete. Nel pugilato femminile la situazione si complica ulteriormente poiché i pugni non sono così incisivi e difficilmente si verificano KO. Quindi, per dare l’idea allo spettatore medio dell’andamento dell’incontro abbiamo modulato ogni singolo pugno, dando maggior risalto ai colpi vincenti.”
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La “discussa” sequenza di gioco ripresa durante la game session dello youtuber Shirrako
di fumetto in Italia n u o v i t i t o l i L a prod uzione di nel 20 18
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I N UM ER I d e l l ’ e d i t o r ia
Intorno alla salute del fumetto in Italia si raccontano due storie contraddittorie: da un lato il boom in libreria, dall’altro la crisi in edicola. Ma una certezza c’è: in Italia si pubblicano moltissimi fumetti. Più di ogni altro Paese in Europa. L ’Italia è un Paese “fumettòfilo”? A giudicare dalla quantità dei titoli immessi sul mercato ogni anno, sembra proprio di sì. Con una media di quasi venti prodotti al giorno, l’editoria di fumetto è infatti un settore in cui l’offerta nazionale si colloca al primo posto in Europa, subito davanti alla Francia (circa 5.300), e di gran lunga sopra la Spagna (circa 3.500). È quanto emerge da uno studio realizzato da COMICON, di cui Comicon Plus presenta i risultati principali.
5.963 TITOLI
Quasi 6.000 titoli. La cifra chiave dell’editoria italiana di fumetto nel 2018 è questa: 5.963 pubblicazioni - fra titoli propriamente inediti e nuove edizioni di titoli esauriti, per lo più del passato - sono state pubblicate dagli editori commerciali e diffuse nei canali della distribuzione ufficiale: edicole, librerie, fumetterie. L’importanza delle edicole, sebbene messa in crisi dalla contrazione generale che da tempo sta segnando questo canale distributivo, è ancora tale da distinguere l’Italia dagli altri paesi europei, e a rendere così ricco in termini di titoli il panorama dell’offerta.
EDITORI - Top 25 Tra gli oltre cento editori monitorati dallo studio, alcuni spiccano più di altri per la quantità di fumetti pubblicati. A guidare la classifica è il gruppo Panini, che con i suoi diversi marchi (Panini Comics, Planet Manga, Panini/Disney, 9L, Panini Magazine) copre la più ampia gamma di tipologie di prodotto. Fra i 300 e i 500 titoli vi sono poi cinque editori: Rcs, grazie a una consistente offerta di allegati ai quotidiani del gruppo (Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport); RW, con i marchi Lion, Goen e Dana, che presenta una ricca offerta di comics americani e di manga; Sergio Bonelli Editore, l’editore più attivo nella produzione originale di fumetti di autori italiani; Star Comics, con un mix di prodotti guidato dai manga affiancati soprattutto da comics statunitensi; il gruppo Edizioni BD / J-POP, in crescita grazie ai manga ma anche alla produzione italiana ed europea.
STATI UNITI 1878 italia 1730 giappone 1694 francia/belgio 256 multI-country 229 argentina 76 REGNO UNITO 37 spagna 18 canada 13 corea 9
RCS (CORRIERE/GAZZETTA) SERGIO BONELLI ED. STAR COMICS EDIZIONI BD/JPOP AUREA COSMO SALDAPRESS MONDADORI GEDI (LA REPUBBLICA) HACHETTE AMODEI (CORR. SPORT) MAGIC PRES BAO PUBLISHING 001 EDIZIONI PERIODICI SAN PAOLO AGLEMOSS SHOCKDOME TUNUE’ COCONINO PRESS ASTORINA FLASHBOOK BECCO GIALLO 1000 VOLTE MEGLIO
Lo studio di COMICON è stato svolto sulla base dei dati gentilmente forniti dai principali distributori per librerie e fumetterie (Messaggerie Libri, Manicomix Distribuzione, Star Shop Distribuzione) e da tutti i principali editori italiani. I dati sono stati integrati dal team di ricerca per includere anche gli editori ‘minori’ (fra 5 e 50 titoli l’anno) non presenti nei database dei distributori librari. Alcune categorie editoriali sono state escluse: autoproduzioni e fanzines, libri illustrati e picture books, periodici contenenti fumetti per un numero molto limitato di pagine (settimanali e dorsi di quotidiani; riviste di satira ed enigmistica; periodici per bambini). Rispetto alla provenienza geografica, i titoli contenenti fumetti di provenienza mista da più paesi - indicati come ‘Multi-country’ - includono, in diverse proporzioni, i seguenti Paesi: Italia, Stati Uniti, Francia/Belgio, Argentina, Spagna. I dati comparativi sulla produzione nazionale, citati nello studio, provengono da: ACBD (Francia, ultima rilevazione disponibile: 2016) e ACT Tebeosfera (Spagna, ultima rilevazione disponibile: 2018). Il team dell’analisi è stato composto da: Matteo Stefanelli, Emanuele Soffitto, Alberto Brambilla, Raffaele De Fazio.
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RW/GOEN
C O M IC O N
LO STUDIO PANINI COMICS
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L’offerta di fumetti in Italia ha un profilo internazionale, composto da un variegato mix di titoli italiani ed europei, americani, asiatici. Tuttavia la concentrazione su alcuni paesi è molto evidente. Il peso dei prodotti di provenienza statunitense è di gran lunga superiore al resto, in virtù di ragioni sia culturali che economiche, come le caratteristiche medie del prodotto: molti di questi titoli sono albi (in formato comic book) con foliazione limitata e basso prezzo. La produzione di fumetti di autori italiani è consistente e, a differenza di quanto accade in altri paesi europei come Spagna o Germania, supera persino quella di manga, sebbene di poco. I fumetti provenienti da Francia e Belgio sono pure numerosi, a testimonianza della leadership francobelga nell’editoria di fumetti del Vecchio continente.
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
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PROVENIENZA GEOGRAFICA - Top 10
#FEFF21 www.fareastfilm.com
FAR EAST FILM FESTIVAL 21 April 26th – May 4th 2019 Teatro Nuovo Udine, Italy
The Film Festival for Popular Asian Cinema
A cura di Matteo Stefanelli
Po P n e Xt
Young adults
Retro = lusso ?
Mentre il dibattito sul ruolo della don-
di opere per bambini e ragazzi, a un
na attraversa tutto l’intrattenimento, e
futuro dominato dai prodotti young
mentre aumenta il numero di autrici in
adults. Dal botto dei graphic novel di
tutti i generi di fumetto, gli effetti del
Reina Telgemeier fino a linee dedicate
bestseller Storie della buonanotte per
E
persino da DC Comics (DC Ink). L’asce-
bambine ribelli continuano. Sempre
N
sa dei fumetti per lettori young adult,
più fumetti creati da donne raccontano
p
ovvero tra 12 e 18 anni, si sta facendo
personalità femminili anti-stereotipi.
inarrestabile. E nei principali mercati di
Il loro linguaggio sembra però para-
compravendita dei diritti, da Francofor-
dossale: storie toste, ma disegnate in
te ad Angoulême, si registra un boom
stili iper sintetici. Finita la stagione dei
di richieste per graphic novel rivolti a
fumetti “girly” (troppo?) decorati e puc-
questo target. Con qualche sorpresa:
ciosi, per le autrici più personali sembra
dal Nord America si guarda sempre più
arrivata l’ora di tirare fuori spigolosità,
all’Europa. Un esempio? L’”alleanza pa-
temperate da un gusto tra seinen e li-
neuropea” Europe Comics aveva ven-
gne claire. Dall’ultima Penelope Bagieu
duto negli Stati Uniti il 26% di titoli in
agli esordi di Vitt Moretta e Zuzu, da
N
più nel 2017 rispetto al 2016. Sarà l’inizio
Takoua Ben Mohamed a Fumettibrutti
di un grande ricambio generazionale?
o Federica Bellomi, le storie di donne anticonformiste ispireranno nuovi stili.
A colpi di edizioni sontuose, qua giga e là chic, non si ferma la retromania fumettistica. Grandi saghe rilette in chiave vintage, alla X-Men: Grand Design di Ed Piskor; grandi classici rilanciati in maxi operazioni tra restyling e nostalgia, da Corto Maltese a Spirou; e un diluvio di “edizioni definitive”, in omnibus o cofanetti preziosi, di gioielli della Nona arte, finalmente valorizzati in vesti degne, lontane dalle origini “usa e getta”. Nel 2019 e 2020, tra riscoperte e/o ritorni imperdibili, c’è il geniale Massimo Mattioli (ben tre gli tre editori impegnati: Coconino, Panini e Comicon Edizioni) e il rilancio de Lo Sconosciuto di Magnus (Bonelli). E proprio come ha mostrato COMICON 2019, affidando il poster del festival a Francesco Francavilla, vero e proprio leader artistico di un filone vintage nei comics americani, guardare indietro può essere un ottimo modo per guardare avanti.
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Da anni passati a lamentare la scarsità
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Donne ribelli in ligne claire
keywords
keywords
keywords
#youngadults #EuropeComics #DCInk @goraina
#ligneclaire #girlsnotgirly @fumettibrutti @penelopeb @vitt.moretta @takoua.b.n
#vintagecomics #MassimoMattioli #LoSconosciuto @f_francavilla @ed_piskor
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X Uno dei simboli della bande dessinée, il fumetto western più noto e celebrato al mondo, co-creato da Jean Giraud/Moebius, ritorna in sella. Questa volta grazie a una interpretazione d’autore di quelle da fiato sospeso: «ok rispettare i miti viventi, ma niente cloni», ha anticipato Sfar.
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Flash me if you can
di Joann Sfar e Christophe Blain (2019)
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1. Blueberry
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New Wave araba
I 5 PROGETTI PIÙ ATTESI
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81 . 1 F U M E T Ti Il multiculturalismo fa discutere la politica, ma nel fumetto è già al centro di nuovi successi, sia artistici che commerciali. Ed è dal mondo arabo che potrebbero arrivare la maggiori sorprese. Lo ha dimostrato la nuova Ms. Marvel, ovvero Kamala Khan, supereroina mutaforma e primo personaggio importante di fede musulmana di casa Marvel, ideata da autrici di origine e formazione araba o musulmana. Ma a bussare alla porta sembra essere un’intera nuova generazione di autori arabi che, dal Libano all’Egitto, dalla Tunisia alla Siria, iniziano a vincere premi prestigiosi (la rivista Samandal, ad Angoulême 2019) e a moltiplicare le traduzioni. Anche in Italia, con pubblicazioni recenti o imminenti di Hamid Suleiman (ADD), Barrack Rima (Mesogea), collettivo Lab619 (Forte Pressa).
Se la carta lotta contro gli schermi per conquistare la nostra attenzione, è anche questione di colori. Ovvero di luci, tinte e tonalità. Sembrano averlo capito bene gli autori che, in questi ultimi tempi, stanno offrendo i lavori più interessanti sul fronte delle copertine di albi e graphic novel. Un lavoro sempre più importante e strategico, sia per permettere ai libri di distinguersi dai concorrenti (sempre più numerosi, visto l’aumento di titoli), sia per alimentare la logica commerciale della variant cover (sempre più diffusa, vista la soddisfazione degli editori sulla sua efficacia). E allora ecco l’acida post-psichedelia di Jesse Jacobs, splendido in Crawl Space, ma anche i riflessi abbaglianti di Marco Mastrazzo nelle copertine per Mister No Revolution. E cosa dire degli “esercizi” online di Arturo Lauria, con tinte superflashy che sembrano indicare un futuro sempre più ricco di effetti, anche nel cover design per il fumetto più tradizionale?
keywords
keywords
#arabcomics #MsMarvel @samandalcomics @lab619 @barrackrima
#coloringcomics #flashycolors @jacobs_comics @marco_mastrazzo @dottorbrain
Il ritorno di Dora e del mondo creato da Fior tra L’intervista e I giorni della merla è in arrivo. Con un lungo graphic novel, ambientato nella Venezia del futuro, di cui si sono viste finora solo una manciata di - enigmatiche - tavole.
3. Superman: Year One
di Frank Miller e John Romita Jr (giugno 2019)
Le origini di Superman, e la sua ascesa a supereroe più potente di tutti i tempi, ri-raccontate da Zio Frank. Quando utilizzò questa formula su Batman: Year One, in coppia con David Mazzucchelli, ne nacque un classico, magistrale per dramma, epica e sintesi.
3. Rusty Brown
di Chris Ware (2019)
Sette anni dopo Bulding Stories, nel tardo 2019 arriverà il nuovo libro di Ware, uno dei più acclamati fumettisti viventi. Il volume raccoglierà le storie della serie Rusty Brown apparse fin dal 2001 sulla testata antologica prodotta da Ware, Acme Novelty Library.
5.Aldobrando
di Gipi e Luigi Critone (autunno 2019) In lavorazione da circa cinque anni, uno dei progetti più anomali di Gipi è previsto per l’autunno 2019. Sarà un fantasy medievale, ispirato al mondo del gioco di carte “Bruti”, sceneggiato dal Magister di COMICON 2019 e disegnato dal lucano (trapiantato a Parigi) Critone.
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di Manuele Fior (2020?)
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2. Celestia
A cura di Eleonora C. Caruso
Po P n e Xt Fanta Isekai Addio Blu-ray; benvenuto streaming
L’isekai è il genere che racconta di
del genere shojo, cioè il manga per ra-
protagonisti comuni che loro mal-
gazze, che raramente ha alzato la testa
grado, vengono trasportati in mondi
dalla mediocrità dopo l’epoca d’oro
stranieri fantastici, solitamente mu-
degli anni Novanta, è giunto senza ap-
tuati dall’immaginario dei videogame.
E
pello il momento del Boy’s Love. Anche
Negli anni passati abbiamo avuto ti-
N
noto come yaoi, il genere che raccon-
toli come I cieli di Escaflowne e Magic
p
ta storie d’amore tra ragazzi in un mix
Knight Rayearth, ma mai come dopo
di sentimenti ed erotismo è ormai da
l’esplosione del fenomeno Sword Art
tempo una fetta trainante del mercato
Online, nel 2014, il genere è diventato
giapponese, tanto che esiste un intero
di punta, tanto da rischiare una vera
quartiere di Tokyo dedicato soprattut-
e propria saturazione, sia sugli scher-
to alle appassionate (dette “fujoshi”):
mi che sugli scaffali. Ciononostante, il
la così detta Otome Road, a Ikebuku-
pubblico sembra ben lontano dall’es-
ro. Era solo questione di tempo per-
serne stanco, come prova lo straor-
ché la tendenza rompesse le vecchie
dinario successo di The Rising of the
reticenze e invadesse con tutta la sua
Shield Hero, prodotto da Kinema Ci-
N
forza anche l’Italia, e le performance di
trus. Sicuramente, avremo isekai da
titoli come Compagni di classe (Magic
vendere ancora per tutto l’anno.
Press) e Ten Count (J-POP) fanno pensare che il momento sia arrivato.
Complice la crisi della tv tradizionale, il Giappone si sta aprendo a co-produzioni con piattaforme streaming, sia nazionali che internazionali. Ad aprire le danze era stato Time of Eve dello Studio Rikka, uscito nel 2008 su Yahoo!Japan. Oggi Toei affida soprattutto le nuove produzioni legate ai vecchi franchise di successo ai simulcast, mentre Netflix ha investito su prodotti di qualità come Devilman Crybaby, diretta da Masaaki Yuasa, e gemme tecniche come Violet Evergarden, ma anche su titoli ibridi giappo-americani che non hanno ancora convinto del tutto il pubblico, come il Castlevania di Warren Ellis o lo sperimentale Ninja Batman. Nel frattempo, scordatevi i bei cofanetti Blu-ray che hanno segnato i vostri regali più feticisti degli ultimi anni: Samsung e Oppo hanno annunciato la fine della produzione dei lettori, con ovvie conseguenze sulla (minore) disponibilità di titoli, già a breve termine. Il futuro è qui, e passerà sempre meno per i dischi fisici o per le reti tv, e sempre più per lo streaming.
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Decretato ormai il coma farmacologico
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Il Boy’s Love lotta insieme a noi
keywords
keywords
keywords
#yaoi #boyslovemanga #fujoshi
#isekai #SwordArtOnline @risingshieldhero
#animestreaming #DevilmanCrybaby #endofBluRay
Dalla Cina con amore
2. Evangelion 3.0+1.0 (2020)
Mentre il Giappone si sforza di man-
Come qualsiasi altro settore, anche
tenere la sua identità in un mercato
il mondo di anime e manga non è
dell’intrattenimento in continuo cam-
immune al rimpasto delle glorie del
biamento, sempre più prodotti cinesi
passato. Se, da una parte, questo ci
escono dai propri confini e arrivano
permette in certi casi di godere di
fino a noi. Sia anime che manga. Bao
adattamenti più fedeli ai manga ori-
Publishing ha dedicato al fumetto ci-
ginali o versioni intelligentemente
nese un’intera collana, dove spiccano
rinnovate, come nel caso di Devilman
talenti come Zuo Ma e Golo Zhao; Add
Crybaby, il più delle volte il rischio è
Editore ha scovato perle come Una
quello di trovarsi davanti a prodotti
vita cinese, autobiografia di Li Kunwu.
raffazzonati, come Sailor Moon Cry-
Anche sul versante dell’animazione la
stal, o direttamente controversi, come
Cina è sempre più produttiva, forse
il remake in un brutto 3D dei Cavalie-
perché stanca di essere considerata
ri dello Zodiaco, prodotto da Netflix.
solo come la bassa manovalanza del
Stringiamo i denti, aspettiamo che
settore. La qualità di serie come The
passi, e auguriamoci che qualcosa
King’s Avatar (guarda caso, un isekai)
lungo il tragitto sia tutto sommato
e Grandmaster of Demonic Cultivation
guardabile, come le recenti stagioni
ci fa intuire che, una volta smarcati dai
di Dragon Ball Super.
modelli giapponesi e trovata la loro cifra stilistica personale, i team cinesi sono pronti a regalarci grandi storie.
keywords
keywords
#manhua #animechina #TheKingsAvatar @keko.creative
#DevilmanCrybaby #DragonballSuper #SailorMoonCrystal #iCavalieridelloZodiaco
Milioni di fan lo attendono dal 2013, e finalmente l’uscita del film conclusivo del Rebuild of Evangelion parrebbe fissata per il 2020. Sarà la volta buona? E soprattutto, sarà davvero l’ultimo?
3. One Punch Man (anime), season 02 (2019) Abbiamo dovuto aspettare tre anni per la nuova stagione di One Punch Man, l’esilarante anime rivelazione del 2015, che finalmente debutterà ad aprile 2019.
4.Promare (maggio 2019) C’è grande attesa per il primo lungometraggio originale co-prodotto da Studio Trigger e XFLAG, che riunisce Hiroyuki Imaishi e Kazuki Nakishima, autori di Gurren Lagann e Kill la Kill. Uscirà nelle sale giapponesi a maggio 2019. E da noi?
5.Yuri on ice!!! the movie: Ice Adolescence (2019) Nel 2016 questa serie sul pattinaggio artistico è riuscita a conquistare un pubblico internazionale che gli anime non li aveva mai considerati. Era ovvio che Studio MAPPA avrebbe approfittato di questo successo, e il prequel su Viktor, uno dei personaggi più amati, è atteso per quest’anno.
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Dopo anni di assenza, il creatore di Akira tornerà con una nuova serie. Quando? E di che genere? Dettagli tanto misteriosi quanto attesi, in tutto il mondo.
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1. Il nuovo manga di Otomo (2020)
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I 5 PROGETTI PIÙ ATTESI
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Minestre di noodles riscaldate
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. 2 a nime &
83 m a ga
A cura di Giorgio Viaro
Po P n e Xt …i supereroi nemmeno
In uno scenario sempre più polarizzato tra mega produzioni ad alto tasso di CGI e cinema indipendente destinato allo streaming e magari a un veloce passaggio in sala, il 2019 ha visto la comparsa di una formula “ibrida”. Mainstream sì, ma estranea alle logiche dominanti del fantasy: il film-concerto. Consacrato dal grande successo di Bohemian Rhapsody, ma anche dall’accoglienza trionfale ricevuta da A Star is Born, il film-concerto ha dimostrato di poter assumere la dimensione di “happening pop” che, da tempo, pareva monopolizzata dai brand supereroistici, dagli “iperumani” di Fast & Furious o dai maghi di J.K. Rowling. Ecco allora arrivare a maggio Rocketman, il biopic musicale dedicato a Elton John, mentre è in piena pre-produzione Stardust, quello sulla vita di David Bowie. E state pur certi che molti altri seguiranno.
Se c’è una sicurezza di “genere” tra i profes-
keywords
keywords
keywords
#filmconcerto #singalong #BohemianRhapsody #Stardust
#horror #PetSematary @stephenking @jason_blum @realgdt
#supereroi #cinecomics @avengers @jokermovie
sionisti del cinema sono i film dell’orrore. Un contenitore nel quale si sviluppano correnti e percorsi produttivi a non finire. A farla da padrone saranno uno scrittore e un produttore, ovvero Stephen King e Jason Blum. Del primo sono attesi a maggio Pet Sematary e, dopo l’estate, la seconda parte di IT e il sequel di Shining Doctor Sleep; nell’arco del 2019 Blum avrà firmato addirittura 6 film, il più atteso dei quali è il macabro Ma’, interpretato dal premio Oscar Octavia Spencer. Si espande anche l’universo narrativo di The Conjuring, e dopo La LLorona - Le lacrime del male, a luglio arriverà la terza puntata di Annabelle. A proposito di bambole assassine, sta per tornare anche Chucky. Infine, a giugno non perdetevi L’angelo del male - Brightburn: produce James Gunn ed è la storia di un mondo che si trova a fare i conti con un superuomo malvagio, ovviamente inarrestabile. Potrebbe essere la sorpresa del 2019, assieme a Scary Stories To Tell in the Dark (il titolo è tutto un programma), prodotto da Guillermo del Toro.
Togliamoci subito il pensiero: anche per i prossimi anni il cinema di supereroi non entrerà in recessione, anzi, si andrà avanti al ritmo di quasi due film al mese. Versante Marvel: dopo Avengers: Endgame, arriva a giugno X-Men: Dark Phoenix, a luglio Spider-Man: Far From Home (con l’Uomo Ragno in trasferta europea, anche italiana), ad agosto New Mutants. Nel frattempo il buon Kevin Feige dovrebbe prendere la parola in qualche convention (San Diego?) per fare il punto sulla Fase 4 del MCU, di cui faranno sicuramente parte lo standalone di Black Widow, The Eternals e svariati sequel (Guardiani della Galassia 3, Black Panther 2, Captain Marvel 2). Versante DC: il film più atteso è sicuramente lo standalone di Joker, nell’incarnazione nuova di zecca di Joaquin Phoenix, mentre nel primo semestre del 2020 toccherà al nuovo Wonder Woman e al ritorno di Margot “Harley Quinn” Robbie in Birds of Prey. In attesa di scoprire il nuovo volto di Batman…
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L’avvento del film-concerto
La paura non conosce crisi…
presentava come una specie di showcase sullo stato dell’arte del fotorealismo nell’animazione per adulti, nel mondo stava per uscire Dumbo, ovvero l’ennesimo caso di classico della Disney per famiglie destinato a fare il processo inverso: da cartone animato a film con attori in carne e ossa. Sono anni che Disney si sta dedicando a questo revival del suo immaginario, perseguendo una strada solo all’apparenza anti-storica e portando quasi sempre a casa incassi clamorosi, basti pensare ai 543 milioni di $ della Cenerentola di Branagh o addirittura al miliardo e oltre di La Bella e la Bestia, con Emma Watson nei panni dell’eroina. Ecco allora arrivare una vera e propria nuova ondata di titoli destinati allo stesso passaggio: dopo l’elefantino volante toccherà ad Aladdin (con Will Smith genio della lampada), Il Re Leone (ad agosto), Mulan (primavera del 2019) e, più in là ancora, La Sirenetta e Il Gobbo di Notre
Tra un franchise e l’altro, non va dimenticato il ritorno di due maestri, tra i più grandi autori americani viventi: Martin Scorsese e Quentin Tarantino. Il primo ci consente di parlare ancora della “scheggia impazzita” Netflix, che già con Roma ha dimostrato di voler contribuire ai massimi livelli alla produzione d’autore contemporanea, portando a casa ben tre premi Oscar. Sarà infatti proprio il servizio streaming di Reed Hastings a produrre il nuovo gangster movie del regista italo-americano di Quei bravi ragazzi e Casinò, The Irishman, in arrivo a fine anno. Cast perfettamente “scorsesiano”, con Robert De Niro, Joe Pesci e Harvey Keitel, a cui si aggiunge l’infinito Al Pacino. Pacino che sarà anche nel cast di C’era una volta a Hollywood, in uscita a settembre, assieme a Brad Pitt, Leonardo DiCaprio, Margot Robbie (ancora lei), Damian Lewis, Dakota Fanning, Tim Roth e molti altri.
Dame.
Quando, nella primavera del 2020, uscirà il nuovo 007 Daniel Craig avrà compiuto 52 anni, e stavolta dovrebbe proprio essere l’ultima nei panni dell’agente segreto più famoso al mondo. Dirige Cary “True Detective” Fukunaga, e torneranno tutti i fedelissimi del cast, da Ralph Fiennes a Lea Seydoux.
3. Bad Boys 3 (gennaio 2020)
Diciamo la verità: Michael Bay è diventato Michael Bay proprio grazie ai due Bad Boys, altro che Transformers. Ora il più celebre franchise action-poliziesco al mondo dopo Arma Letale torna con al timone una nuova coppia di registi. Protagonisti, sempre loro: Will Smith e Martin Lawrence.
4. Star Wars: Episodio IX (dicembre 2019)
Dopo il “floppino” di Solo, stop agli spinoff e si torna al canone principale. Che ne sarà del corteggiamento verso il Lato Oscuro di Kylo Ren a Rey? in quali nuove spoglie si ripresenterà Luke? Che destino attende Poe Dameron, Finn e tutta la Resistenza? Lo sapremo a Natale.
5. Zombieland 2 (autunno 2019)
keywords
keywords
#animazione #liveactionremake @dumbo @disneyaladdin
@MartinScorsese @Tarantinoxx
Stavolta non parliamo di blockbuster, ma del sequel dello zombi-movie più originale degli ultimi anni: Benvenuti a Zombieland. Stavolta i cacciatori di morti viventi stabiliranno il loro campo base addirittura nella Casa Bianca. Ma la notizia più importante è che tornerà in un nuovo cameo Bill Murray insieme a Dan Aykroyd!
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2. Bond 25 (2020)
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Mentre Love, Death & Robots (Netflix) si
Il ritorno dei Maestri: Scorsese e Tarantino
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Animazione o live-action?
Tre film girati in contemporanea, un budget ormai incalcolabile, una nuova rivoluzione tecnologica… Ma a Natale 2020, a meno di ulteriori rinvii, il primo dei molti sequel di Avatar voluti da James Cameron dovrebbe arrivare in sala.
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1. Avatar 2 (2020)
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I 5 PROGETTI PIÙ ATTESI
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85 . 3 C iN E M A
A cura di Gianmaria Tammaro
Po P n e Xt Animazione, ovunque
È probabile che in Italia, più che una vera e
Se c’è un genere – pardon, una forma – che
metti sono aumentate esponenzialmente.
propria rivoluzione, o una nuova tendenza, ci
sta avendo particolare successo nel piccolo
Come nel cinema, anche in televisione pro-
sarà una riconferma. E quindi continueranno
schermo, è sicuramente l’animazione. Sono
duttori e network sono alla costante ricerca
ad essere prodotte serie tv (e web, quando
aumentati i progetti, grandi piattaforme
di nuove idee e di nuove storie da raccon-
sono distribuite unicamente in streaming)
come Netflix si stanno specializzando, e
tare. In futuro, con buone probabilità, ci
crime e drama. Le più famose le conoscia-
sono sempre di più i cartoon rivolti ad un
E
sarà l’ennesima impennata di adattamenti.
mo: Gomorra (Sky) e Suburra (Netflix). Nel
pubblico adulto. Il caso più emblematico,
N
Alcune delle serie più attese, infatti, sono
2020 è previsto l’arrivo anche di un nuovo
probabilmente, è BoJack Horseman (Netflix).
p
tratte da fumetti di successo (Watchmen)
titolo prodotto da Amazon Prime Video, am-
Ma anche Rick and Morty (Adult Swim) e
p o
e da grandi saghe letterarie (Il Signore degli
bientato nella Milano degli anni Ottanta ed
Love death + robots vanno menzionati: in
Anelli). È un effetto collaterale del mercato
incentrato proprio su una storia di criminali-
uno, c’è il trionfo della libertà creativa; nell’al-
che cresce e che diventa sempre più grande:
tà. Non è un male investire ancora su questi
tro, invece, la cosa più importante è la for-
c’è bisogno di nuove storie e di nuovi per-
due generi. Sono i primi che hanno trovato
ma. Il punto di svolta, in questi anni, è stato
sonaggi, e il posto migliore dove trovarli, già
spazio nel mercato italiano, e i primi che
rappresentato da Adventure Time (Cartoon
pronti, definiti, con una loro riconoscibilità e
hanno avuto fortuna. Pensiamo a Romanzo
Network): tantissimi autori ne sono stati
un loro pubblico, è la letteratura. Alcuni dei
Criminale o a Gomorra: se Sky ha potuto di-
influenzati. Uno degli esempi più recenti è
più grandi autori contemporanei, come Ro-
versificare la propria produzione e la propria
Summer camp island (Cartoon Network),
bert Kirkman, Gillian Flynn, Stephen King e
offerta, è stato grazie a queste due serie, che
sviluppata da Julia Pott, animatrice che ha
Neil Gaiman, sono sempre più coinvolti nello
si sono distinte per la loro qualità e, anche,
lavorato anche – quando si dice il caso – ad
N
sviluppo e nell’adattamento di libri e fumetti
per la loro straordinaria capacità di avvicina-
Adventure Time. In una serie animata, rispet-
O
per il piccolo schermo.
re e coinvolgere il pubblico. Non c’è nessuna
to ad una serie live action, le possibilità per
mistificazione del male, come dice qualcu-
gli autori e anche per la storia sono molte di
no. Ma è innegabile che il cattivo sia ancora il
più. Non c’è un canone minimo di coerenza
personaggio più interessante da raccontare.
o di attendibilità. L’unica regola è: viva l’im-
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In questi anni le serie tv ispirate a libri e fu-
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Sempre più crime, sempre più drama
I
Dalla carta al piccolo schermo
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maginazione.
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keywords
keywords
#letteratura #bookstotv #SignoredegliAnelli #Watchmen
#crime #drama #Gomorra #Suburra
#adultanimation #BoJackHorseman #SummerCampIsland
Altra tendenza di questi anni, e con buone
ché le serie tv antologiche non sono solo
probabilità dei prossimi, è la produzione di
quelle che, di puntata in puntata, cambiano
mini-serie, racconti cioè autoconclusivi che
trama e protagonisti. Ci sono anche serie,
si esauriscono nel giro di una stagione di
infatti, che mantengono un fil rouge, che
sei o, talvolta, otto episodi. In alcuni casi,
condividono una certa idea di racconto e di
com’è stato per The ABC Murders della
storytelling, e che cambiano – leggermente,
BBC, anche di meno. Un’altra caratteristi-
e spesso solo con i loro protagonisti – di sta-
ca fondamentale delle mini-serie è che le
gione in stagione. Per fare qualche esempio:
puntate sono più lunghe di quelle di altre
nel primo gruppo vanno menzionati Black
produzioni, aggirandosi tra i 50 e i 70 mi-
Mirror (Netflix) e Electric Dreams (Amazon);
nuti, talvolta anche 90. Nonostante la loro
nel secondo, invece, True Detective (Sky) e
“immediatezza”, le mini-serie si stanno af-
Fargo (Sky). Insomma, anche per le serie tv,
fermando come il format più attento alla
com’è successo in letteratura molto tem-
qualità. Perché c’è un tempo preciso, per-
po prima, si sta sviluppando ed afferman-
ché non vengono inseguiti il pubblico e i
do un’idea capitolare delle storie. Che è, in
suoi gusti, e perché, molto semplicemen-
parte, una buona cosa, perché è un punto
te, un limite – temporale, d’episodi – può
di contatto, di sintesi, tra le serie tv più tra-
diventare una forza. Citiamo Sharp Objects
dizionali e le mini-serie. Inoltre, con una pro-
(Sky) e Patrick Melrose (Sky). L’arco narrati-
duzione antologica, viene data la possibilità
vo, ma anche l’arco della storia e dello svi-
alla scrittura di rinnovarsi: di abbandonare
luppo dei personaggi, è più scandito; agli
alcune idee e di abbracciarne altre. A volte
autori – scrittura e regia – viene chiesto uno
capita che una serie antologica inizi ispiran-
sforzo maggiore. Il risultato, però, spesso ri-
dosi a un libro o a un film già affermati, e poi,
paga di questi sacrifici, e oggi alcune delle
con il corso delle stagioni, diventi tutt’altro.
serie più belle fanno parte proprio di que-
Come, per esempio, è successo con The Ter-
sto sotto-genere.
ror (Amazon Prime Video).
keywords
keywords
#serieantologica #BlackMirror #ElectricDreams #TheTerror
#miniserie #TheABCMurders #SharpObjects
Non sarà ambientato durante i fatti narrati nei libri, ma prima: molto, molto prima. Saremo nella Seconda Era, al tempo di Numenor.
3. ZeroZeroZero (Sky Italia, 2019/2020) Segna il ritorno di Stefano Sollima, il papà della serialità made in Italy. Anche questa volta, come per Gomorra, la storia si ispira a un romanzo scritto da Roberto Saviano.
4. Too old to die young (Amazon Prime Video, 2019) È la prima serie tv di Nicolas Winding Refn. E visto quanto i suoi film sono sempre stati visivamente eccitanti e interessanti, non ci aspettiamo di meno per questo titolo.
5. The Witcher (Netflix, 2019) Tra libro e videogioco, tra letteratura e puro intrattenimento. È la trasposizione di una delle saghe più famose di sempre. Qualcuno, forse esagerando, la chiama la Game of Thrones di Netflix.
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(Amazon Prime Video, 2020)
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Qui è importante fare una distinzione, per-
2. Il Signore degli Anelli
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Serie tv antologiche
La carica delle mini-serie tv
È la trasposizione in serie tv di uno dei fumetti più amati e apprezzati di sempre. Il fatto che a produrla sia Hbo è una garanzia di qualità.
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1. Watchmen (Hbo, 2019)
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I 5 PROGETTI PIÙ ATTESI
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87 . 4 sE ri e tv
A cura di Iacopo Risi
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I nostri tempi da battle royale
Il potere della diversà Nel 2000 il regista giapponese Kinji Fukasaku portò sul grande schermo Battle Royale, adattamento di un romanzo di Koushun Tadi studenti catapultati su un’isola deserta e
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20 anni, ha ispirato il più grande fenomeno odierno del panorama videoludico. La formu-
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diventò presto un cult. E a distanza di quasi
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costretti ad eliminarsi a vicenda. La pellicola
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kami. Thriller distopico, narrava di un gruppo
la di gioco “battle royale” consiste in un centinaio di giocatori sparsi su un’isola alla ricerca di armi ed equipaggiamento per sconfiggere gli avversari e restare gli ultimi superstiti,
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mentre l’area di gioco si restringe sempre di più. Con l’avvento di Fortnite il genere batt-
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le royale si è trasformato in un vero e proprio caso mediatico. Il titolo sviluppato da Epic Games è arrivato un po’ in sordina nel 2017, ma grazie alla formula free-to-play e a un gameplay stabile e
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competitivo ha un nuovo Re, e un nuovo genere-leader: il battle royale.
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to decine di milioni di giocatori. Il multiplayer
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più vario dei suoi predecessori, ha conquista-
La diversità è una questione delicata. A volte persino controversa. Ma non può essere ignorata, e in futuro lo sarà ancora meno. Su questo fronte l’industria videoludica ha già preso a trattare, ad esempio, il nodo dell’orientamento sessuale, tenendosi lontana da tanti stereotipi. Personaggi come Ellie, co-protagonista di The Last Of Us, così come Tracer di Overwatch sono solo alcuni dei numerosi esempi di una nuova, più attenta rappresentazione di soggetti LGBT. Non mancano memorabili personaggi affetti da disabilità fisiche. Esempio: Lester Crest, genio informatico del bestseller GTA V, o Jeff “Joker” Moreau, pilota della saga Mass Effect, entrambi affetti da una patologia che ne impedisce l’uso delle gambe. Ma il caso più straordinario è stato realizzato da Ninja Theory che, con il recente Hellblade: Senua’s Sacrifice mette il giocatore nei panni di una guerriera norrena affetta da una grave forma di psicosi. Il titolo permette di empatizzare con il personaggio e vivere i sintomi della disabilità mentale attraverso suoni e visioni allucinatorie, i veri avversari di un’esperienza
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videoludica unica e di gran pregio.
Game as a Service e nuova obsolescenza Nell’ultimo decennio il modello business di maggior successo in ambito hi-tech si è basato sull’idea di abbonamento. Vale per Netflix, così come per Playstation Plus e Xbox Live Gold. Il Game as a Service (Gaas) si ispira a questa concezione applicandola al prodotto videoludico, in particolare quello orientato al multiplayer online. In molti casi, in supporto o in alternativa al pagamento del prodotto o della sottoscrizione mensile, vengono proposti a costi ridotti dei contenuti esclusivi attraverso il discusso meccanismo delle microtransazioni. L’intento dell’approccio GaaS è quello di legare l’utente ad un’esperienza estremamente longeva, in grado di rinnovarsi nel tempo attraverso nuove modalità di gioco. Da Rocket League ad Overwatch sono molti gli esempi di successo. Ma non mancano gli effetti collaterali. Col pretesto della manutenzione costante, si lancia sul mercato un prodotto incompleto, che solo dopo mesi o anni raggiunge la piena maturità e le premesse (e promesse) iniziali. Nel frattempo, la forma videogioco prosegue la propria evoluzione: verso un’obsolescenza sempre più rapida, certa e
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“naturale”.
keywords
keywords
keywords
#battleroyale @Fortnite
#diversità #LGBT #HellbladeSenuasSacrifice @TheLastOfUsgame
#GaaS #microtransazioni
L’età dell’oro della produzione indipendente
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Con Stadia, Google entra di prepotenza nel mondo dei videogiochi in cloud. MS e Sony rispondono con i servizi xCloud e PS Now, ma al momento l’attenzione è concentrata sulla proposta di BigG.
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1. Cloud gaming
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Il vintage in scala ridotta
I 5 PROGETTI PIÙ ATTESI
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. 5 ViDE o G A Mes di moda. Specie se condito da un po’ di
sato. Sono gli ingredienti di un ecosistema
sano feticismo. Ecco qua: una folta schiera
che, nel tempo, è passato dall’offrire lodevoli
di giocatori ultratrentenni ha accolto con
prodotti di nicchia a veri outsider in grado di
entusiasmo l’idea di affiancare alle console
scalare le classifiche dominate dai Tripla A.
di ultima generazione, una replica in minia-
È il caso di autentiche perle come Dead Cel-
tura delle gloriose piattaforme di gioco de-
ls, Return of the Obra Dinn, Into the Breach e
gli anni ‘80 e ‘90. In principio fu Nintendo,
Celeste. I budget milionari, si sa, sono spes-
con il lancio 2016 di Nintendo Classic Mini,
so accompagnati da forti pressioni da parte
versione in scala ridotta del NES, dotata
di major esigenti ma sbrigative su qualche
di porta HDMI e svariate decine di giochi
fronte. Per esempio costringendo gli svilup-
precaricati. Un prodotto che andò letteral-
patori a stemperare molte delle scelte iniziali
mente a ruba: milioni di pezzi, e l’impulso
legate alle componenti di gioco. Al contrario,
a ripetere la formula, puntualmente arriva-
i piccoli team possono concedersi ampia li-
ta nel 2017 con la versione mini di SNES. È
bertà creativa e, dalla passata generazione,
stata poi la volta di società terze parti che
hanno fronteggiato la carenza di fondi e
hanno messo in commercio altre glorie del
manodopera con scelte di design corag-
passato, da Sega Mega Drive o NeoGeo a
giose. Ma il successo dei titoli autoprodotti
C64, con risultati altalenanti. Ma il vero flop
è stato influenzato anche da altri fattori: il
di questo trend è stato quello di Sony: la
crowdfunding e gli store digitali come Ste-
sua Playstation Classic, tra assenze impor-
am, il crescente mercato del mobile gaming
tanti nei titoli e prezzo troppo elevato, ha
ed il successo di vendite di Nintendo Switch,
macinato solo 100.000 unità in Giappone.
la console ibrida ideale per le estrose opere indipendenti. E sembra solo l’inizio.
keywords
keywords
#indiegames #crowdfunding #Steampowered
#retromania #NES #SegaMegaDrive #PlaystationClassic
3. Death Stranding Una serie di trailer enigmatici lasciano intravedere la superstar Norman Reedus muoversi in un allucinato paesaggio apocalittico. Di trama e gameplay sappiamo ancora poco, ma l’impressione è che Hideo Kojima possa varcare nuovamente i confini del medium videoludico.
4. The Last of Us: part II I fan di PS4 attendono nuove informazioni a quasi un anno di distanza da quell’incredibile sessione di gioco mostrata all’E3 2018, in cui si è visto un prodotto avanti anni luce rispetto a qualsiasi altro titolo di questa generazione in termini di animazioni e IA.
5. Cyberpunk 2077 CD Projekt porterà nuovi dettagli dell’atteso Action-RPG all’E3 2019 e magari la data di lancio. Gli amanti della fantascienza distopica non vedono l’ora di mettere le mani su questa esperienza immersiva in grado di ridefinire gli standard della libertà d’azione.
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Il fattore nostalgia, va da sé, non passa mai
con uno sguardo alle cose buone del pas-
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Creatività, sperimentazione e innovazione,
Nonostante la rivoluzione del cloud gaming le nuove console arriveranno presto. PS5 e la nuova XBox potrebbero arrivare sul mercato già nel primo semestre del 2020.
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2. Next-gen
QUALCHE
GIORNO
D’INFLUENZA Sergio Aprile è un influencer come tanti. Posta foto di feste in compagnia di belle ragazze, piatti prelibati, viaggi in luoghi esotici, copertine delle riviste di gossip che parlano di lui… Ha anche pubblicato un libro che va a ruba tra i suoi fan, sempre in coda per un autografo. E per un selfie, naturalmente. “Certe persone hanno un’influenza sulle altre, e basta” dice. “È un dono”, aggiunge. Ma siamo sicuri che sia davvero così?
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Sceneggiatura di ALESSANDRO BILOTTA Disegni di SPUGNA
In una collaborazione inedita, due protagonisti del nuovo fumetto italiano mettono in scena una parabola grottesca sul potere dei social media. Alla storia e ai testi Alessandro Bilotta, pluripremiato sceneggiatore di Dylan Dog (Sergio Bonelli Editore), creatore di Mercurio Loi (Sergio Bonelli Editore) e La Dottrina (Feltrinelli Comics).
Ai disegni il talento ‘mostrificante’ di Tommaso Di Spigna, in arte Spugna, fondatore della rivista “Lucha Libre”, autore dei graphic novel Una brutta storia (Grrrz Comic Art Books), The Rust Kingdom e Gnomicide (Hollow Press) e co-autore di Rubens (Eris/Stigma).
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di COMICON I membri della Giuria 2019
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n occasione del festival, ogni anno vengono assegnati i Premi del Palmarès Ufficiale di COMICON, suddivisi a partire dal 2019 in nove categorie competitive: i Premi Micheluzzi, che ricompensano le opere a fumetti di produzione italiana pubblicate nel 2018, e i Premi COMICON, dedicati ai fumetti di produzione internazionale pubblicati nello stesso anno, in lingua italiana e distribuiti nelle edicole e/o librerie italiane. I candidati ai Premi Micheluzzi e ai Premi COMICON sono selezionati – nel numero di cinque nomination per ciascuna categoria – da un Comitato di Selezione composto dal Direttore artistico e da uno staff di esperti, giornalisti e operatori editoriali. Una Giuria composta da cinque personalità del mondo del fumetto e della cultura italiana assegna infine i Premi, senza possibilità di ex-aequo.
Cinzia Ghigliano Cinzia Ghigliano inizia la sua carriera come fumettista nel 1976 sul mensile Linus. Nel 1978 ottiene al Salone Internazionale dei Comics di Lucca il prestigioso Yellow Kid quale Miglior autore italiano. Negli anni immediatamente successivi dà vita, con Marco Tomatis, a numerosi personaggi, come Isolina o Lea Martelli, primo esempio di fumetto seriale pubblicato su un settimanale femminile ad ampia tiratura. Nel 1984 nasce Solange, le cui avventure vengono pubblicate in numerosi paesi europei. Contemporaneamente si occupa di divulgazione a fumetti. In questo campo ottiene nel 1986, con Luca Novelli, il premio Andersen per la divulgazione scientifica.
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Valentina Lodovini nel 2005 si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e nel 2006 debutta al cinema con Paolo Sorrentino nel film L’amico di famiglia (in concorso al Festival di Cannes 2006). Nel 2011 vince il David di Donatello come Migliore Attrice non protagonista per l’interpretazione in Benvenuti al Sud. Nel frattempo torna a teatro con lo spettacolo scritto da Franca Rame e Dario Fo Tutta casa, letto e chiesa, raggiungendo subito il sold-out e presta la voce ad uno dei personaggi del nuovo film Disney/ Pixar, Coco, continuando a dividersi come giurata di vari Festival, tra cui anche Venezia, e interprete di nuovi film in arrivo nel 2018 e 2019.
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Fabio Genovesi (Forte dei Marmi, 1974) ha pubblicato per Mondadori i romanzi Versilia Rock City, Esche Vive, Chi manda le onde (Premio Strega Giovani 2015) e Il Mare dove non si tocca (Premio Viareggio 2018), il diario on the road della sua avventura al Giro d’Italia Tutti primi sul traguardo del mio cuore e, per Laterza, il saggio cult Morte dei Marmi. Collabora con il Corriere della Sera, e il suo settimanale La Lettura.
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Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, è uno dei talenti più fulgidi e liberi della nuova scena musicale italiana. Lo prova un percorso impeccabile fatto da tre album che hanno riscosso i favori di pubblico e critica (“Un meraviglioso declino”, “Egomostro” e “Infedele”). Nel 2015 ha scritto insieme ad Alessandro Baronciani la graphic novel La distanza, pubblicata da Bao Publishing. Un successo su tutti i fronti a cui è seguito un tour di più di 50 date, molte delle quali sold out, in cui i brani del suo repertorio venivano eseguiti in forma acustica e accompagnati dalle illustrazioni in tempo reale proprio di Alessandro Baronciani.
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Alessandro Beretta classe 1978, collabora al “Corriere della Sera”, dal 2001, e all’inserto “La Lettura” occupandosi di narrativa. Da 22 anni, per esterni, è coinvolto nel Milano Film Festival di cui è Direttore artistico dal 2011, attualmente insieme a Gabriele Salvatores. È tra i soci fondatori della libreria Verso a Milano. Di fumetti si è occupato per “Alias - il manifesto”, “Rolling Stone”, “Icon”. Ha curato con Alberto Saibene il volume Storie sparse. Racconti, fumetti, illustrazioni, incontri e topi (Il Saggiatore, 2011) di Giovanni Gandini, fondatore di Linus, e scritto la biografia Peter Sellers, un camaleonte rosa (Bevivino, 2005).
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Valentina Lodovini
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Fabio Genovesi
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Colapesce
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Alessandro Beretta
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Opere italiane
Opere italiane
Miglior Fumetto
Migliore Sceneggiatura
Atto di Dio Giacomo Nanni (Rizzoli Lizard) 17€
Le tragedie de L’Aquila e di Amatrice diventano riflessione filosofica. Una esplorazione mentale che registra, con distacco quasi scientifico, la voce atona della natura.
Jonas Fink: Il libraio di Praga Vittorio Giardino (Rizzoli Lizard) 29€
Il ritorno di un grande maestro. Ormai adulto, Jonas Fink si ritrova nel 1968 in piena Primavera di Praga, che segnò l’ascesa al potere di Alexander Dubček e l’inizio dell’influenza sovietica.
Ariston
Il futuro è un morbo oscuro dr. Zurich
Sara Colaone e Luca De Santis (Oblomov Edizioni) 18€
La storia d’Italia attraverso i cambiamenti delle donne. Renata dirige, suo malgrado, un tipico albergo della Riviera, tra gli anni ‘50 e ‘70, mentre la cronaca italiana scorre sullo sfondo.
L’incanto del parcheggio multipiano Marino Neri (Oblomov Edizioni) 19€
Una parabola onirica sul malessere delle periferie. La morte di un giovane immigrato, e una specie di patto col diavolo, conduce in un viaggio a ritroso, alla ricerca dei suoi assassini.
Alessandro Lise e Alberto Talami (Becco Giallo) 19,50€
Super Relax Dr. Pira (Coconino Press/Fandango) 22€
Un’avventura surreale. Come scoprire i più sofisticati livelli di “relax”? Naturalmente, con un libro «interamente pensato e disegnato in spiagge, centri termali, montagne e idromassaggi».
Umorismo demenziale e salti temporali. Finalmente la risposta all’annosa domanda “Cosa sarebbe successo se la Russia sovietica fosse stata attaccata da un morbo alieno proveniente dal futuro?”.
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Miglior Disegno
Instantly Elsewhere Lorenzo Palloni (Shockdom) 25€
Il potere della scrittura. Owen Theobald non può smettere mai di scrivere, perché le idee che non mette su carta diventano reali. Come quella che compare un giorno, dal nulla, per uccidere lui e la sua famiglia.
Joe Shuster Thomas Campi (Bao Publishing) 21€
Salvezza Marco Rizzo (Feltrinelli Comics) 15€
La vita del co-creatore di Superman. Una biografia in toni vintage, dai colori affascinanti, sulle vite che quel personaggio di carta e inchiostro ha cambiato, in meglio o peggio.
Il fumetto si fa testimonianza. Un reportage dalla nave Acquarius di Medici Senza Frontiere. Le difficoltà e le storie degli uomini che si trovano a bordo, salvatori e salvati dalle acque del Mediterraneo.
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Opere italiane
Mercurio Loi #10: “L’uomo orizzontale” Alessandro Bilotta (Sergio Bonelli Editore) 4,90€
Senzombra Michele Monteleone (Bao Publishing) 17€
La crescita è un’avventura fantastica. Tristan è un cacciatore di creaL’inerzia come ribellione. ture mistiche, eroe suo malgraUn gruppo di terroristi inscena do. Pensa di sapere chi è e cosa curiose rivolte che paralizzano vuole, ma scoprirà durante le Roma, bloccandosi d’improvvi- sue avventure cosa è davvero so in mezzo alla strada. Mercu- importante nella vita. rio dovrebbe combatterli, ma preferisce rimanere sdraiato sul divano. Persino il lettore dovrà leggere “in orizzontale”.
Una favola acida e visionaria. La storia epica e oscura di una donna, cresciuta in mezzo ad altre donne, che lotta per salvare il proprio bambino. E la magia di stili diversi, che quasi emergono dalle ombre.
Nathan Never: Generazioni #6 Massimo dall’Oglio (Sergio Bonelli Editore) 3,90€
Il finale di un viaggio tra multiversi. La conclusione della miniserie dedicata a multiple versioni di NN, è all’insegna di atmosfere manga, tra Hayao Miyazaki e Tsutomu Nihei.
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Marco Corona (001 Edizioni) 18€
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La Galaverna
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Opere italiane
Miglior Serie Italiana Sofia dell’oceano
Contronatura vol. 3
Kalina Muhova (Tunué) 27 €
Una fiaba avventurosa e malinconica. Sofia è una bimba reclusa in una villa sul mare, da cui scrive struggenti richieste di amicizia che affida all’oceano. Il pirata Occhioblu la coinvolgerà in una rutilante avventura.
Blue: Capitolo finale
Mirka Andolfo (Panini Comics) 14 €
Angela Vianello (Shockdom) 15 €
Un racconto distopico con animali antropomorfi, che parla però di temi attuali: Leslie vive in un mondo che vieta matrimoni tra esseri di razze diverse.
Adolescenza fantascientifica. La storia di Aqua, della presa di coscienza dei cambiamenti che sconvolgono il suo corpo, raccontata con uno stile che fonde influenze manga con lo stile europeo.
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Mercurio Loi Alessandro Bilotta e AA.VV. (Sergio Bonelli Editore) 3,90€
Tramezzino Paolo Bacilieri (Canicola) 17€
Lo spettacolo della grande architettura. Una storia d’amore ambientata a Milano. Ma soprattutto, un’esplorazione disegnata, in formato gigante, dell’architettura milanese moderna.
Giocare con il linguaggio del fumetto. La serie Bonelli più sorprendente degli ultimi anni, tra romanzo storico e thriller filosofico, tanto lontana dall’azione quanto ricca di sofisticate trovate di sceneggiatura.
Caput mundi: Nero Michele Monteleone, Dario Sicchio e AA.VV. (Editoriale Cosmo) 5,50 €
L’horror splatter made in Italy. La serie amplia l’universo narrativo Caput mundi raccontando le vicende di Nero e la sua lotta, grandiosamente sanguinolenta, contro La Mummia e i suoi servitori per il controllo di Roma.
Il Corvo: Memento Mori Roberto Recchioni, Werter Dell’Edera, AA.VV. (Edizioni BD) 3,90€
Le ali della vendetta su Roma. David Amadio è stato ucciso, innocente, ed è tornato dalla morte in cerca di vendetta. Un racconto interamente realizzato da autori italiani ambientato nell’universo ideato da James O’Barr.
David Genchi (Hollow Press) 13 €
Un’agiografia al contrario. Tra horror, grottesco, pornografia e arte medievale, il racconto della ricerca della santità da parte dell’eremita Zebedeo attraverso la fuga dalle tentazioni.
Storie di uomini intraprendenti e di situazioni critiche Luca Negri (Eris Edizioni/Stigma) 15 €
Ribaltare gli stereotipi. Un’antologia di racconti di genere di cui ogni topos narrativo viene rovesciato, tra noir sanguinolenti con animali antropomorfi, western con alieni e war stories senza traccia di guerra.
Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano Eleonora Antonioni e Francesca Ruggiero (Eris) 17,50 €
L’adolescenza negli anni Novanta. Le vite intrecciate di tre ragazzine in una città di provincia, raccontate con freschezza e profondità in un libro interamente disegnato con la penna a sfera.
Romanzo esplicito Fumettibrutti (Feltrinelli Comics) 16 €
Sesso, droga e fumetti. L’esordio su carta di Josephine Signorelli, nota per le sue strisce sul web cariche di dolente erotismo, racconta squarci di vita intorno a un amore finito, tra amicizia, canne e sesso.
Le terre dei giganti invisibili Giada Tonello (Edizioni BD) 13 €
Un mondo di sogno La fantasia di una bambina crea un universo fantastico popolato da gigantesche creature elementali, tratteggiato con uno stile onirico e suggestivo.
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Lo fallo perduto
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Migliore Opera Prima
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Opere italiane
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Opere straniere e internazionali
Opere straniere e internazionali
Migliore Edizione di un Classico
Migliore Graphic Novel Straniero
Barbara Osamu Tezuka trad. Roberto Pesci (Edizioni BD) 15 €
Un inedito del Dio dei Manga. Dopo tanti fumetti di puro intrattenimento, negli anni ‘70 Tezuka pubblica un racconto maturo e duro che parla di morbosità, di alcolismo e della condizione femminile nel Giappone del tempo.
Sono un giovane mediocre Gérard Lauzier, trad. Boris Battaglia (Rizzoli Lizard) 22 €
Il fallimento del maggio francese. Un bilancio cinico a distanza di quindici anni sul movimento del Sessantotto attraverso la figura di Choupon, un diciottenne in bilico tra le ambizioni rivoluzionarie e l’ozio sul divano.
Annalisa e il diavolo
Helter Skelter
Guido Buzzelli (Coconino Press/Fandango) 25 €
Il maestro del grottesco italiano. Un’antologia di racconti brevi per riscoprire le opere migliori di uno dei più grandi autori italiani di sempre, celebrato in Francia ma dimenticato in patria.
Kyoko Okazaki trad. Susanna Scrivo (Dynit Manga) 18,90 €
Multiforce Mat Brinkman trad. Daniele Ferriero (Hollow Press) 29 €
L’underground che ha cambiato il fumetto. Uno dei libri che hanno rivoluzionato il fumetto indipendente USA nei tardi ‘90 è un fantasy brutale e grottesco, ricco di suggestioni provenienti dai videogiochi e dalle strip di inizio secolo.
Storia della Santa Russia Gustave Doré, trad. Boris Battaglia (Eris Edizioni) 25 €
Un fumetto d’autore dell’Ottocento. Prima di illustrare la sua celebre Divina Commedia, Doré pubblicò diversi libri illustrati, che oggi possiamo riconoscere come fumetti, tra cui una satira sull’impero degli zar.
La maledizione della bellezza. Ririko è una modella bellissima ma con un segreto: è completamente rifatta. Per questo è instabile nel corpo quanto nell’umore, e si isola precipitando in un vortice di autodistruzione.
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Emil Ferris trad. Michele Foschini (Bao Publishing) 29 €
I mostri siamo noi. Il diario di Karen, una ragazzina appassionata di arte e storie che indaga sulla morte della vicina, sopravvissuta all’Olocausto. Lei e i suoi amici, nella sua immaginazione, sono mostri, brutti e emarginati ma molto più umani della “gente normale”.
Chiisakobe voll. 1-4 Minetaro Mochizuki, trad. Roberta Tiberi (J-Pop) 9,50 €
23 €
Le vite di chi resta. Quali sono le conseguenze sulle vite di chi era vicino a una vittima di omicidio? Una lucida riflessione sui rapporti umani nella società contemporanea, tra incapacità di comunicare e onnipresenza dei social.
Realismo urbano giapponese. Shigeji ha perso tutto, casa e genitori, in un incendio che ha distrutto anche la ditta di famiglia. La ricostruzione della sua vita si intreccia con quella degli abitanti del quartiere e dei bambini dell’orfanotrofio, pure rimasti senza tetto.
Berlin vol. 3 Jason Lutes trad. Valerio Stivè (Coconino Press/Fandango) 17 €
Una sorella Ragazze Cattive Ancco, trad. Roberta Barbato (Canicola Edizioni) 18 €
L’autrice rivelazione coreana. Un racconto che denuncia le violenze sulle donne nella Corea degli anni Novanta attraverso una storia con numerosi spunti autobiografici.
Bastien Vivès trad. Michele Foschini (Bao Publishing) 19 €
La scoperta della sessualità. Una commedia adolescenziale con protagonista un ragazzo tredicenne che, durante un’estate indimenticabile, viene iniziato al sesso da una sedicenne amica di famiglia.
L’affresco di una nazione sul baratro. La Germania della Repubblica di Weimar raccontata attraverso gli occhi di persone comuni. Un’opera fiume, giunta a compimento a 22 anni dalla pubblicazione del primo capitolo.
Infinity 8 voll. 1-8 Lewis Trondheim e AA.VV trad. Isabella Donato (Panini Comics) 10 €
Variazioni sul tema nello spazio più profondo. Otto racconti di fantascienza, disegnati da altrettanti autori ma scritti tutti da Trondheim, affondano a piene mani negli stilemi del genere per rinnovarli in modi scoppiettanti.
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Sabrina La mia cosa Nick Drnaso preferita sono i trad. Stefano A. Cresti mostri (Coconino Press/Fandango)
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Migliore Serie Straniera
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Opere straniere e internazionali
Opere straniere e internazionali
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Giovani Letture
Cinque Mondi vol.1
Mister Miracle vol. 1 Tom King e Mitch Gerads trad. Giovanni Palilla (RW Lion) 13,95 €
Mark e Alexis Siegel trad. Caterina Marietti (Bao Publishing) 22 €
Sulle orme del Re. King e Gerads indagano il personaggio di Mister Miracle creato da Jack “the King” Kirby, svelandone gli aspetti più reconditi della personalità in un fumetto allucinato e spiazzante.
I bambini salveranno i mondi. Tre ragazzi provenienti da mondi diversi dovranno lottare per salvare l’universo grazie alla forza di un’amicizia in grado di andare oltre i pregiudizi.
In scena Raina Telgemeier trad. Laura Bortoluzzi (Il Castoro) 15,50 €
Un racconto di formazione adolescenziale. La pluripremiata autrice racconta la maturazione di Callie, che lavora alla produzione di un musical scolastico e affronta i suoi sentimenti verso Greg, mentre gli amici fanno i conti con la scoperta della sessualità.
Ariol voll.1-2 Emmanuel Guibert e Marc Boutavant trad. Caterina Ramonda (Becco Giallo) 12 €
Tokyo Alien Bros voll. 1-3 Keigo Shinzo trad. Asuka Ozumi (Dynit Manga) 16,90 €
Alieni alla scoperta della Terra. Due extraterrestri si camuffano da terrestri per studiare il nostro pianeta in vista di una possibile invasione. Ma scopriranno che gli umani sono molto più complicati del previsto.
Un grande autore per i bambini. Ariol è un giovane asino azzurro che vive vicende quotidiane in un mondo di animali antropomorfi in compagnia di genitori, amici e abitanti del quartiere.
Dove non sei tu Lorenzo Ghetti (Coconino Press/Fandango) 18,50 €
La distanza virtuale. In un futuro prossimo, Lido e Mobi, diventano amici senza conoscersi mai di persona. Con brillanti invenzioni visive, un fumetto sulla crescita e su come la tecnologia condizioni i rapporti umani.
Senzombra Michele Monteleone e Marco Matrone (Bao Publishing) 17 €
La crescita è un’avventura fantastica. Tristan è un cacciatore di creature mistiche, eroe suo malgrado. Pensa di sapere chi è e cosa vuole, ma scoprirà durante le sue avventure cosa è davvero importante nella vita.
A
completare il Palma-
res, dal 2019 COMICON ha
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Premio COMICON alla Carriera 2019
Premio COMICON “Nuove Strade 2019”
Giovanni Ticci
Eliana Albertini
Giovanni Ticci nasce il 10 aprile 1940 a Siena, nella contrada del Nicchio, a ridosso della Maremma, terra di butteri e cavalli, il West italiano praticamente. Dopo avere disegnato un episodio del 1958 di Un ragazzo nel Far West (la prima serie western della casa editrice), Sergio Bonelli lo chiama e gli offre di salire sulla carovana di Tex e dei suoi pard, ma lo fa con una richiesta specifica: “non copiare Galep, fai il tuo Tex.” Da allora sono passati oltre 50 anni e 7000 tavole, e Ticci si è affermato come uno dei maestri della tradizione fumettistica italiana. Il suo segno elegante ha conquistato i lettori avventura dopo avventura, accompagnando gli sguardi nell’esplorare gli spazi sconfinati delle praterie, i deserti roventi e i canyon impervi, i paesaggi innevati, i villaggi navajo ed i tanti scenari mozzafiato che sono diventati, proprio grazie al suo talento, elementi distintivi dell’epica texiana. Il Premio alla Carriera di COMICON 2019 celebra la sua opera al servizio di Aquila della Notte.
Attiva dal 2013 tra riviste, autoproduzioni e online, Eliana Albertini ha proseguito nel 2018 una brillante produzione di storie brevi, tra cui Routine, Cos’è che conta veramente?, Anche i pupazzi piangono, segnate da un senso di straniamento divertito, quasi stralunato, e da una costante ricerca grafica. Per queste ragioni, unite alla chiarezza e coerenza progettuale, il festival le ha attribuito il Premio Nuove Strade 2019. Nata il 13 febbraio 1992 ad Adria (Rovigo), Eliana Albertini è diplomata al Liceo Artistico, indirizzo figurativo. Negli anni dell’Accademia di Belle Arti di Bologna fonda con altre autrici il collettivo Blanca, con il quale autoproduce l’omonima ed elegante fanzine, di cui escono cinque numeri. Conseguito il Diploma ritorna ad Adria, da dove continua il proprio percorso di ricerca con brevi storie autoprodotte in albi fotocopiati, e con numerose vignette e illustrazioni pubblicate in rete. Esordisce in libreria nel 2017 con Luigi Meneghello, apprendista italiano, il suo primo graphic novel per Becco Giallo. Fra i suoi temi emerge una costante rivisitazione del passato, spesso associata a ironia (e autorironia) nella rappresentazione plastica dei corpi.
istituito due Premi Speciali. Il Premio Speciale alla Carriera, assegnato ad un autore o autrice per il contributo offerto
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dall’insieme della sua opera allo sviluppo della Nona arte in Italia. E il Premio Speciale Nuove Strade, assegnato in collaborazione con il Centro Fumetto “Andrea Pazienza” ad un autore o autrice che si è distinto per opere pubblicate
produzioni. Entrambi i Premi Speciali sono svelati alcune settimane prima del festival.
S P E C I A L I
nale, come small press e auto-
P r e m i
circuiti dell’editoria professio-
C O M I C O N
nel 2018, in Italia, fuori dai
Ricorderò per sempre l’edizione di Comicon 2019, di questo sono sicuro. Perché abbiamo scelto proprio questo evento per presentare l’ultimo numero di Tokyo Ghoul: RE e, per celebrare insieme ad alcuni dei tantissimi lettori il completamento di una saga davvero speciale. Una serie che sono orgoglioso di definire come quella di maggior successo della mia storia di editore, una serie che ha posto J-POP MANGA nel radar di molti lettori e addetti ai lavori e che ha sicuramente segnato un percorso sul quale stiamo da anni correndo per continuare a far crescere il nostro catalogo e la qualità delle nostre pubblicazioni. Una serie estremamente longeva, che nonostante un numero finanche limitato di tankobon (30), ha una persistenza nei favori del pubblico come pochissime altre. Anche alle fiere di quest’anno, in Italia e non, abbiamo visto moltissimi cosplayer e gadget e merchandising ispirati dalla saga che Sui Ishida ha prodotto negli ultimi nove anni. Per allentare il morso spietato della nostalgia, vi forniremo qualche altro placebo: una novel, un art book. Se anche tutte le cose belle finiscono, sono convinto che quelle splendide rimangano per sempre a farci compagnia, indelebili nella nostra memoria, meglio ancora se facilmente reperibili per una rilettura di ripasso, per riscoprire un capolavoro che ci ha regalato così tante emozioni.
Marco Schiavone
Editore, Edizioni BD/ J-POP MANGA
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