5 AUTORI DI FUMETTO E ILUSTRATORI RIDISEGNANO LA COSTITUZIONE ITALIANA
Lorenzo Mattotti Tanino Liberatore Vittorio Giardino Giuseppe Palumbo Carlo Ambrosini Guido Scarabottolo Paolo Bacilieri Gabriella Giandelli Daniele Caluri Alberto Pagliaro Sergio Ponchione Michele Benevento Davide Fabbri Marco Corona
LA COSTITUZIONE ILLUSTRATA Autori di fumetto e illustratori ridisegnano la Costituzione italiana Sala Borsa, Bologna 13 - 26 gennaio 2009 A cura di: Daniele Brolli e Daniele Donati Coordinamento e ufficio stampa: Cinzia Negherbon c.negherbon@comma22.com Promossa e organizzata per le celebrazioni del 60° anniversario della Costituzione della Repubblica italiana da:
con la collaborazione dell’Associazione Krazy Kat
Progetto grafico e immagine di copertina: Giuseppe Palumbo Redazione: Francesca Guerra, Irene Bozzeda, Alessia Martelli isbn: 978-88-88960-53-1 © 2008 per le immagini i rispettivi autori © per la presente edizione Piazza Roosevelt, 4 40123 Bologna telefono e fax 051-232702 info@comma22.com www.comma22.com Stampa a cura di La Pieve Poligrafica Editore srl Villa Verucchio (RN) dicembre 2008
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Reinterpretare un testo attraverso un fumetto, un segno, un’illustrazione, è segno della vitalità delle parole e dei concetti che hanno ispirato il progetto. In questo caso, la “reinterpretazione” di alcuni dei fondamentali articoli della Carta costituzionale dimostra ancora una volta, e ce n’è sempre bisogno, la stringente attualità dei princìpi affrontati dai padri costituenti della nostra Italia democratica. L’iniziativa di affidare l’illustrazione della Costituzione alle mani di artisti e disegnatori, è quantomai interessante. Io stesso, nell’ambito del Comitato nazionale sulle celebrazioni della Costituzione, avevo proposto di fare in televisione delle letture animate del dibattito che portò alla scrittura della Carta. Sono certo che con questi mezzi avremmo potuto trovare nella costruzione costituzionale delle sintesi e una vitalità a volte più avanzate e moderne di quelle che animano tanti importanti confronti di oggi. Perché non tutti, specie i più giovani, sono consapevoli del livello che ha prodotto, nelle difficili condizioni di allora, non semplicemente una serie di regole o valori, ma il processo sociale di una comunità che ha saputo, nel nostro paese, portare straordinari risultati. Il tutto scaturì da una capacità innovativa inedita, sull’asse di un incontro tra culture diverse, nessuna delle quali rinunciò alle proprie posizioni ma in cui tutti fecero un passo avanti per una costruzione comune. E questo è qualcosa che ci consente di ben sperare anche per il cammino che abbiamo oggi di fronte, avendo grazie alla Costituzione la garanzia di non deviare rispetto a quelle sintesi che ci devono guidare e ispirare.
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A sessant’anni dalla sua entrata in vigore, la Costituzione della Repubblica italiana continua a essere la sicura e silenziosa guida della nostra vita democratica e, ancora di più, del nostro stare assieme come popolo, nel bene e nel male. Molto più discussa che letta, la Costituzione infatti resta quel concentrato di valori e scelte che, non solo in ragione della sua forza come atto normativo, è capace di guidarci nelle decisioni e nei giudizi sui fatti e sulle prospettive che ogni giorno sono offerti alla nostra attenzione dalla cronaca, dalla politica, e dall’evolvere del mondo e della società. Nel pensare a come celebrarne il valore, mi viene allora spontaneo pensare alla nostra Carta fondamentale da tre diverse prospettive. Innanzitutto la Costituzione è un punto di arrivo. Infatti, come ben sappiamo, essa rappresenta non solo l’atto che sancisce definitivamente l’uscita del nostro paese dall’orrore fascista, ma anche l’atto in cui vengono a incontrarsi idee e visioni che pulsavano nel pensiero dei giuristi e dei politici illuminati, i quali trovarono nell’occasione dell’Assemblea costituente il luogo dove confrontarsi, esprimersi e coniugare in precetti e meccanismi lo stato libero e democratico che a lungo avevano progettato e sognato. Con la Costituzione si chiude una pagina oscura, termina una guerra anche fratricida, si abbandonano i falsi miti della razza, l’illusione di una nazione quale entità superiore agli individui, e si ridefiniscono il senso di patria e di dignità dell’individuo, cogliendo e traducendo in parole quei valori che gli italiani sentivano come loro più vera e intima espressione. In secondo luogo, ovviamente, la Costituzione è anche un punto di partenza. Davanti a noi, grazie alle
forti radici che la Carta fondamentale aveva posto, c’era una Storia da scrivere, una Storia che si immaginava e si voleva di progresso e armonia. I diritti che in essa sono sanciti, in realtà, non trovano immediata soddisfazione, non fioriscono subito. Ci vorranno anni e sacrifici ulteriori, e anche proteste, lotte, grida nelle piazze perché il meccanismo di affermazione dei diritti inizi a mettersi in moto. Ma si pensi a quanta strada si è fatta: si pensi allo Statuto dei Lavoratori e all’introduzione del divorzio nel 1970; al riconoscimento dei diritti del cittadino nelle Forze armate e alle norme sull’obiezione di coscienza, così come al riconoscimento dei diritti dei transessuali nel 1972; all’introduzione di momenti di partecipazione nelle componenti scolastiche nel 1974; alla riforma che aprì a più reti il sistema radiotelevisivo, alla profonda rivisitazione del diritto della famiglia e alla fine della patria potestà nel 1975 e, nello stesso anno, alla riforma del sistema carcerario; alla creazione del Sistema sanitario nazionale e alla riforma in senso “basagliano” delle cure psichiatriche nel 1978. E ancora, grazie all’interpretazione della nostra Carta fondamentale da parte della Corte costituzionale, alla affermazione del diritto alla libertà sessuale nel 1987; all’inserimento del minore in una famiglia nel 1988, all’accompagnamento per gli inabili nel 1989, alla privacy nel 1990; all’abbandono del proprio paese nel 1992, all’identità personale nel 1994 e alla vita nel 1996. Tra emergenze, scandali e crisi, grazie alla forza e alla capacità evocativa di quelle parole scritte nel 1948, le nostre prerogative come cittadini hanno continuato a crescere, ad ampliarsi, a conformarsi al mutare della società e dell’economia, a garantirci e a sollecitare il nostro costante evolvere verso nuove dimensioni di cittadinanza. La Costituzione è senza dubbio un punto di incontro. Nella Assemblea costituente, in ragione del voto degli italiani, sedettero gli esponenti di ideologie molto diverse, determinati però a lavorare assieme per costruire una casa comune, nella quale tutti potessero ritrovarsi e sentirsi accolti. Cattolici, socialisti e liberali fecero del loro patrimonio culturale una ricchezza da condividere, e da confrontare con gli altri, alla ricerca di un “compromesso” che potesse rappresentare la sintesi di tutto ciò che poteva essere positivo, giusto, proficuo per i cittadini della Repubblica a venire. Le rinunce di ogni parte venivano compensate dall’armonica collocazione di quanto avevano rivendicato in un sistema più ampio, che si proponeva di
cercare nuovi e inediti spazi di convivenza tra i valori e, quindi, tra gli uomini. Così la Costituzione diviene il luogo in cui potevano coesistere princìpi molto diversi tra loro, anzi antagonisti, capaci di suscitare, prima e dopo, aspri conflitti dentro e fuori il nostro paese. Da una parte l’idea stessa di libertà, nata e affermatasi con fatica come valore individuale, capace di contrastare l’invadenza del potere, e di promuovere lo svolgersi della personalità umana nelle relazioni sociali ed economiche. Dall’altra il principio di uguaglianza, cresciuto ed evolutosi all’ombra delle tensioni del proletariato, che chiedeva non solo uguali chance ma anche uguali risultati, prestazioni sociali e quindi uno stato che fosse in grado di aiutare, sostenere, accompagnare i cittadini nelle diverse fasi della loro esistenza. L’idea, come disse Aldo Moro in quei giorni, era quella di un superamento del concetto romantico dell’uomo in quanto singolo, e allo stesso tempo della sua non assoluta e inevitabile confusione nella classe, nella massa. L’idea era quella di trovare nella persona la nuova cifra per il governo degli uomini, e quindi di saper cogliere allo stesso tempo il valore e la dignità dell’individuo e la sua capacità di essere nodo vitale di relazioni, motore della società a cui avrebbe contribuito attraverso il proprio sapere e il proprio fare. E ancora oggi su questa difficile coniugazione, in questo altissimo compromesso ci troviamo impegnati, tesi. Dopo aver capito che non si poteva lasciare passivamente ogni soddisfazione dei nostri bisogni a un apparato pubblico che, seppur efficiente, non poteva che rivolgersi a noi livellandoli alle sue capacità di soddisfarli, cercando di “intercettare” le nostre domande invece che ascoltarle; dopo aver assistito al fallimento di una politica di privatizzazione cieca, alle aberrazioni di un neoliberismo di reazione egoista e dall’orizzonte limitato, ancora oggi, anzi oggi più che mai, siamo chiamati a cercare insieme una strada nuova che ci porti a una libertà finalmente responsabile, e quindi alla costruzione di quella solidarietà, politica, economica, sociale, che l’articolo 2 della Costituzione ci ha imposto come dovere fin dal 1948. Siamo chiamati a essere persone. E se ci guardiamo attorno, capiamo che per noi italiani mai compito fu più difficile.
I PRINCIPI TALI N E M A D N O F
Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Della norma che apre il nostro testo costituzionale colpisce immediatamente il contrasto fra l’essenzialità, la lapidarietà scelta per la sua redazione e la straordinaria rilevanza dei suoi contenuti. Questo contrasto ci consegna una disposizione solenne, sobria ed enfatica allo stesso tempo, assoluta. In essa sono innanzitutto richiamati, dichiarati e assunti tutti i princìpi fondamentali degli stati a tradizione liberale. In primo luogo, asserendo la forma repubblicana, si fissa in modo indelebile il risultato del referendum del 2 giugno 1946, e lo stato italiano, da patrimonio familiare e dinastico trasmesso ereditariamente, diviene “cosa di tutti”. Coerentemente, mentre ogni carica istituzionale diviene elettiva e temporanea, la sovranità, ovvero la potestà suprema in se stessa legittimata di dar vita e far evolvere il sistema giuridico statale, è riconosciuta appartenere al popolo, il quale è chiamato a esercitarla secondo il modello democratico. Ne risulta un sistema in cui i valori, gli obiettivi e le priorità vengono scelti e definiti dal basso, dai cittadini, attraverso meccanismi di rappresentanza diretta (come il referendum) e indiretta (attraverso le dinamiche elettorali) della loro sovrana volontà; in cui le regole (e le politiche), determinate attraverso meccanismi razionali e trasparenti e adottate a maggioranza, non sono più soltanto generali e astratte, ma anche (e soprattutto) impersonali, così che i cittadini di questo paese non siano più chiamati a obbedire ad altri uomini, ma soltanto a leggi che sono l’espressione della volontà di una comunità politica, e quindi condivise e accettate nell’interesse della nazione. In piena coerenza con questa impostazione, e ancora nel solco del pensiero liberale, l’articolo 1, mentre fonda e inizia a erigere il modello democratico basato sull’esercizio della sovranità popolare, richiama al rispetto delle forme e dei limiti della Costituzione, di fatto enunciando quel principio dello stato di diritto in forza del quale sia i cittadini, sia i pubblici poteri (ivi incluso i legislatori) sono tenuti al rispetto dei princìpi e delle disposizioni della nostra Carta fondamentale e, più in generale, di regole predeterminate, al fine di eliminare ogni arbitrio, e in particolare ogni possibile prevaricazione da parte della maggioranza (temporaneamente) al governo tale da rendere difficile, quando non del tutto impossibile,
Tanino Liberatore
l’avvicendamento al potere. Resta al di fuori della grammatica e della tradizione liberale quel richiamo al “lavoro” su cui il primo comma afferma fondarsi la nostra democrazia. Residuo dell’idea (respinta in quanto classista dall’Assemblea costituente) di una “Repubblica di lavoratori”, tale connotazione fa emergere, fin dalla prima riga del testo costituzionale, la invincibile vocazione sociale del nostro sistema costituzionale il quale, rifiutata ogni idea di censo e ogni privilegio ereditario, ritrova nel lavoro l’unico criterio di affermazione degli uomini e il terreno comune della loro partecipazione alla società (vedi nota all’articolo 4).
Vittorio Giardino
Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Norma complessa quella, pur brevissima, di cui all’articolo 2 della Costituzione; ricca di stimoli, di dicotomie e di endiadi, di piani di lettura, al centro dei quali si pone l’uomo, come fulcro dell’intero sistema politico, giuridico, sociale a cui la Costituzione dà avvio. Va sottolineato come la Repubblica “riconosce” (e garantisce) i diritti inviolabili dell’uomo. Seguendo la tradizione giusnaturalista, la Carta costituzionale non ritiene di essere creatrice di quei diritti che, diversamente, si ritengono essere propri della persona in quanto tale, che esistono “in natura”, prima degli stati e delle loro leggi. I diritti a cui la norma in esame si riferisce (e che riconosce a tutte le donne e a tutti gli uomini, non solamente ai cittadini) sono definiti “inviolabili”, tali cioè da risultare inalienabili e irrinunciabili, da non poter essere sacrificati o limitati da parte dell’autorità (se non temporaneamente e in ragione della conflittualità con altri valori ugualmente rilevanti), da non poter essere cancellati dal testo costituzionale, pena la sua vanificazione, il suo sostanziale svuotamento. È di estrema rilevanza osservare come, in base a una oramai consolidata linea di interpretazione della Corte costituzionale, si ritenga che nel riferirsi ai diritti inviolabili, l’articolo 2 non faccia riferimento solamente e specificamente a quelli enumerati dal testo costituzionale (in particolare dall’articolo 13 in poi), ma che tali debbano essere considerati anche valori e libertà che emergono dall’evolvere della società e delle relazioni tra le persone, dal mutare dell’economia e del mondo, quando non siano già stati accolti in seno a trattati e convenzioni internazionali. E dunque come questa norma svolga un insostituibile ruolo di “porta aperta” sulla realtà, capace (attraverso l’opera di interpretazione della giurisprudenza) di intercettare i nuovi diritti, di accoglierli in seno al testo fondamentale del nostro ordinamento e di offrire loro garanzia e tutela. In tal modo (e solo a titolo di esempio) sono stati recepiti a livello costituzionale la libertà sessuale, il diritto all’inserimento per il minore in una famiglia, il diritto all’abitazione, il diritto alla riservatezza e quello all’identità personale. Si diceva delle dicotomie e delle endiadi. Il primo e più evidente gioco di rimandi che la norma offre è quello tra i diritti