Prometeo

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Friedrich DĂœrrenmatt

Prometeo traduzione di Anna Ruchat

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Collana I Pavoni titolo originale: Prometheus e Gedankenfuge (da Gedankenfuge Essays) Copyright © 1986 Diogenes Verlag AG Zürich Traduzione e cura di Anna Ruchat

© 2012 Comma 22 srl, Bologna comma22.com Si ringrazia per il contributo Pro Helvetia, Fondazione svizzera per la cultura

ISBN 978-88-6503-083-7

Stampa a cura di Stampa Sud novembre 2012

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Prometeo drammaturgia di un ribelle

Prometeo è uno di quei Titani che si sono ribellati a Zeus e alla sua stirpe: dèi contro dèi. Poiché i miti sono contraddittori, personalmente riferirò una variante più logica di quella abituale – anche se ammetto che il pensiero logico non sempre coincide con quello razionale; anzi, a dire il vero, i due coincidono raramente. Chiedere ragionevolezza ai miti è stupido quanto cercare la realtà nella storia delle origini e nella preistoria, che occhieggiano dietro i miti stessi; non c’è niente di più stupido dell’idea, attribuita a Hegel, secondo cui la realtà è ragionevole. La sua regola è l’irragionevolezza, non la ragionevolezza. La realtà così come si è manifestata, si manifesta e si manifesterà, non avrebbe mai dovuto manifestarsi, per quanto poco è stata ragionevole, lo è e lo sarà. Questo vale anche per i miti. Nel mito di Edipo, per esempio, brilla l’irragionevolezza del destino, che ci affascina. La stessa irragionevolezza viene alla luce anche nella storia di Prometeo. Persino la mia variante, più logica, non è fondamentalmente più ragionevole delle altre narrazioni su questo mito. Ma ciò non riguarda la drammaturgia; che deve essere logica, altrimenti non potrebbe riflettere sull’irragionevolezza e quindi non potrebbe riflettere sulla realtà e nemmeno sul mito sul quale si fonda. Eppure la drammaturgia in casi eccezionali ammette tranquillamente che la realtà, a volte, sebbene non accada quasi mai, può anche essere assolutamente ragionevole. Perché no? Se nella realtà avviene quasi sempre l’irragionevole, e questo succede per un processo logico, poiché tutto quello che accade è una conseguenza di cause ed effetti, di tanto in tanto può succedere che ciò che è logico coincida con il ragionevole – non sempre infatti il risultato finale dell’infinita catena di cause ed effetti, che divora se stessa, è una fesseria quale sarebbe, per esempio, una Terza guerra mondiale. La svolta migliore è sempre logica, come lo è la peggiore, anche se è assolutamente imprevedibile. Ormai siamo cosmici uccelli del malaugurio. La scelta tra le due possibilità, entrambe ugualmente logiche, non è dunque soltanto una questione di stile; non ha a che fare con l’ottimismo o il pessimismo, ma con la cautela. Chi sceglie la svolta peggiore serve da monito, chi sceglie la svolta migliore, spera. Chi però non si fa mettere in guardia, non dovrebbe nemmeno sperare. Molto spesso il principio della speranza è solo un’abborracciatura

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per pigri di mente. Ma torniamo al mito. Poiché la drammaturgia si occupa soltanto della logica interna al mito, la questione della realtà che vi sta dietro le è del tutto indifferente. Conta soltanto l’effetto. Dal punto di vista della drammaturgia, Prometeo è reale quanto lo è Faust o Amleto o Don Chisciotte. Anche loro producono un effetto soltanto se li accettiamo e li pensiamo in quanto finzione. E non solo loro, anche gli dèi – e tanto più se li uniamo in un solo Dio. Prometeo era un Dio e quindi devo partire dagli dèi, ma chi li ha creati? Gaia, la dea della terra, è forse uscita già gravida dal Caos? La storia degli dèi è cominciata con le sue doglie potenti – ammesso che abbia un senso, nel caso degli immortali, utilizzare il concetto di storia – con la nascita di Urano, il quale non appena fu partorito si gettò sulla madre? E cosa ne sappiamo noi delle epoche in cui l’incesto ebbe luogo? Urano era troppo insaziabile e Gaia troppo arrendevole. Partorì fiumi, mari, foreste vergini e steppe, pesci e animali di terraferma, uccelli, fu madre dei Ciclopi che guardavano fisso con quel loro unico occhio in mezzo alla fronte, e degli Ecatonchiri, che erano giganti dalle cento braccia e cinquanta teste, raggrumati come ratti, i re dei ratti degli dèi, e dei sei Titani con le loro sei sorelle. A un certo punto Urano non ne poté più di quella baraonda di figli. Mentre ancora giaceva sopra sua madre, scaraventò nel Tartaro i Ciclopi e gli Ecatonchiri che non sopportava, proprio come le Grazie e le Gorgoni e i giganti mortali che Gaia gli aveva partorito – una famiglia di fantasmi, la famiglia Addams. Ma le madri sono imprevedibili, così Gaia convinse Crono, il più giovane dei Titani, a evirare suo padre Urano. Lui glielo tagliò e poi si unì alla sorella Rea. Temendo però di dover subire lo stesso destino del padre, trangugiò l’esito di questo nuovo incesto. Rea riuscì a salvare dall’appetito paterno soltanto l’ultimo dei suoi figli e lo fece mettendo davanti al Titano mai sazio una pietra avvolta in fasce. L’ingordo avrebbe però pagato per la sua voracità. Il figlio che non aveva mangiato, appena maggiorenne, costrinse il padre a vomitare tutto quello che aveva trangugiato: Estia, Demetra, Ade e Poseidone. Dopo di che, Zeus riportò alla luce la dinastia olimpica e la lotta tra le due stirpi degli dèi divenne inevitabile: una vera e propria crisi familiare. I Titani contro gli Olimpi. Soltanto due Titani non vollero intromettersi: Prometeo ed Epimeteo; Atlante e Menezio erano loro fratelli, Giapeto ne era il padre, Crono lo zio, Zeus il cugino. Se Prometeo ed Epimeteo rimasero neutrali, Atlante e Menezio presero invece parte a quel parapiglia che imperversò per dieci anni sui monti Othry e Olimpo. I Titani furono sconfitti, Atlante condannato a portare sulle spalle la volta celeste, Menezio fu scaraventato negli inferi da un fulmine di Zeus, Crono fu mandato in esilio in Gran Bretagna. Cosa accadde esattamente a Giapeto, non si sa. Gli dèi sembrano, è vero, più crudeli degli uomini, ma i loro combattimenti e le torture reciproche in realtà erano finti. Catch-as-you-can. Se lo potevano permettere. Gli dèi erano immortali. Potevano distruggersi, evirarsi e trangugiarsi a piacere, quelli distrutti si ricostituivano da soli, quelli trangugiati tornavano fuori senza essere stati digeriti – e non dirò come –, e immagino che il potente organo ripro-

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duttivo di Urano sia ricresciuto dopo che, tagliato con la falce da Crono, cadde in mare vicino all’isola di Citera. Dalle gocce di sangue che caddero allora sull’isola nacquero le Erinni e dallo sperma che spumeggiava in mare nacque Afrodite. Gli immortali si godevano la vita con disinvoltura, senza per questo doversi subito stendere come noi sul lettino dello psicanalista, e senza finire in galera o peggio in manicomio. Noi non impariamo a conoscere la nostra mente e se ci mettiamo a studiare gli dèi, il nostro subconscio ci sghignazza in faccia. L’idea che Prometeo avesse creato l’uomo era molto controversa: alcuni infatti credevano che gli esseri umani fossero scaturiti dai denti di un serpente e gli Ateniesi sostenevano addirittura che i mortali fossero nati in modo spontaneo dalla terra dell’Attica, come alberi o erbacce. Da un punto di vista mitologico noi siamo un enigma. Che Prometeo volesse vendicare Atlante e Menezio servendosi di noi è improbabile. Certo il destino di quei due fu ben triste: la volta celeste pesantissima, e delle pene che Menezio ha dovuto patire agli inferi preferisco tacere, ma la vendetta non può spiegare da sola le nostre origini. Possiamo solo immaginare cosa accadde in realtà, e la ragione per cui Prometeo è stato messo in relazione con noi non si può che ipotizzare. Si diceva che fosse “versatile e astuto” e che Epimeteo fosse “malaccorto”. Prometeo era un intellettuale. Nauseato dalle faccende degli dèi tentava, nel suo essere Dio, di dare un senso alle cose creando degli dèi ragionevoli. Ecco il suo errore. Non pensava al fatto che, ragionevole o no, un Dio è una cosa insensata. Ciò che è immortale è eterno e per questo privo di senso; perché il senso appartiene alla finitezza, solo alle cose del passato si può trovare un senso. Prometeo commise l’errore di ogni intellettuale: si affidò troppo all’intelletto. Così inumidì l’argilla con un po’ d’acqua e impastandola ne trasse una figura. Ma non può essere stato un ritratto naturalistico degli dèi quello a cui Prometeo ha dato forma, gli dèi gli stavano troppo antipatici. Odiava in loro ciò che secondo lui gli impediva di essere perfetti: la sfrenatezza, soprattutto. Lui amava l’intelletto e la bellezza, nient’altro. Potrebbe essere che le sue creature somigliassero un po’ a quelle di Henry Moore, ma Moore mi sembra troppo vitale per Prometeo, troppo sensuale, placentare, e non potevano essere nemmeno come gli uomini di Giacometti; forse; somigliavano invece agli dèi così come se li figuravano i Greci, o meglio, come Winckelmann si figurava che i Greci immaginassero gli dèi: terribilmente classici, insopportabilmente sani, bianchi e noiosi. Le creature di Prometeo erano così belle da suscitare lo sbadiglio. A essi mancava tutto ciò che fa degli dèi gli dèi. Erano intelligenti e immortali, ma privi della forza propulsiva degli istinti e dell’inconscio. Erano dèi e dee ideali, dèi disegnati col tecnigrafo, un mondo estetico contrapposto all’insensato mondo degli dèi, ma insensato come quello, tutte teste d’uovo e bacchettoni che Prometeo moltiplicava, è vero, impastandoli instancabilmente, ma che da parte loro rimanevano sterili come ogni cosa esteticamente perfetta. E nemmeno gli dèi lo prendevano sul serio: Prometeo per loro era un pazzo. Loro erano esseri primitivi, fasci di energie cosmiche rinchiusi nelle gabbie della loro infinitezza, assoggettati con

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