Riccardo Cavallo
Cicli del Beccafumi
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prologo ella taceva affondata e sospesa nel silenzio altissimo dei suoi occhi, il Beccafumi concertava traveggole e fughe, fra scorci scombinati e lascivi. Un esercizio elisabettiano, per una sola mano inizierebbe cosÏ: se vi fosse piuma, petalo, anello o soffio, qui un segno (mi) è dato, degli occhi di ella il silenzio immenso, saldato alla piega che non è piega, e che cancella tutte le parole, intelaiatura materialistica del profumo e del sogno, e finirebbe cosÏ press'a poco: ella taceva, affondata e sospesa.
ritratto (II) con paesaggio Per qualche regina uscita un giorno dal nero della terra nera uscita un giorno della nera terra. Per te il ventaglio schizofrenico dei gesti. In una valle che va più su più giù in un quadro perduto, in una perdita ché musica, in una musica che di luce perfonde le cavità bagnandole, i rosoni -eccetera- dove il Beccafumi sorrise, una volta ancora escogitata la fuga. e fu impaginatura liberty con accenni ed accenti che il Beccafumi spiava floreali, capocchie rosa o grigio fumé: fu poeta persiano nella portineria jolly di memorie, nel mazzo centrivoco e centrifugo delle sue carte, che teneva sparse e riposte ovunque. magicamente (ripeto: magicamente) la figura fresca di lacche e di terre iniziò: prese a dire nel forse nel può darsi nel certo qual senso nel su per giù. Il Beccafumi taceva in un ascolto convesso, di una convessità nomade, in fuga e che perdeva sangue, logicamente. Poi proseguì con il non è un vizio è un'arte perché, così.
IL TESTO CORROTTO DI UNA BIOGRAFIA Una biografia moderatamente uretrale circondato da culi il Beccafumi scorse ancora un bicchiere, un piccolo calice di vetro, e Sodoma sarebbe finita, mancava poco, molto tempo aveva da trascorrere nel parco. ancora una volta.
LE OTTO ETEROTOPIE DEL BECCAFUMI Retrogadante granchio lo sguardo bolliva acque la palude fumava da molto aprì pianissimo le chele fisso nella lentezza del moto una tenda fu scostata lasciando vedere la scena in cui si nascondeva avrebbe bevuto tutto gocce calde brillavano sulle sue labbra in figure di passaggio e fuga (uno) fumo azzurro guadagnava un soffitto di crepe (due) stringeva in mano un piccolo bicchiere (tre) i suoi occhi ascoltavano suoni fluttuanti (quattro) vedeva navigare la luna tonda a velocità folli fra le nubi (cinque) correva di notte su un ponte altissimo ridendo a squarciagola (sei) diveniva immortale fra le montagne (sette) guardandosi in uno specchio incrinato si faceva penetrare (otto) Cerca il mio volto in un vetro, il mio sguardo nello spiraglio di una porta socchiusa la gaiezza di Velazquez in una vampata: in questo buio c'è un'infanzia ed il rumore si fa silenzio una delle notti in questa fascia di fuoco gocce e grovigli disperdono il tempo che è solo a patirli, cerca il Beccafumi nello sgabuzzino è stato il gatto, è stato il gatto. Mai più le urla ed il rumore di quel che sopravvive o il lagno, o un che di diverso dal canto dei violoncelli o musica e dal volo lontano nera ala di corvo volteggiante per un cavo cielo di piana apparenza disturbino più il tuo orecchio; sia solo il silenzio gridi le sue condizioni ed i segni: facciano quello che vogliono
che al sabato ti sciamano intorno tu contemporaneo silenzioso, sciamàno, fondatore d'ombre, uovo opaco del dissignificare perpetuo. eccole d'argento le due e molte lune, i cerchi del respiro che naviga per gli splendori notturni opachi o trasparenti nell'ora stessa nell'ora differente innumerevoli i dischi nella rotazione immobile pura meraviglia circolare senza centro senza fuori senza dentro, la dolcezza del ventaglio lo sguardo, l'argento, i vapori di venere. Tende o sipari, drappo di pieghe, scura ombra densa e piena in un blu di più blu dipinto luce passa nasconde il separé della luna, investito dal manto il corpo dello sguardo rientra in sé fa corpo immortale, coincide chi sa se con il blu. Il mattino dopo fra il fumo del caffè cercò Artemidoro fra il fumo della cioccolata cercò Apollonio fra il fumo della pipa cercò la traumdeutung.
DOMINICUS VIDIT Io, Domenico vidi la scena una sera, filtrata da rami e rade foglie in forma di cuore, le tre arcate con le tre luci le due fiamme guizzare, correndo da un punto all'altro.
LE DUE LUNE E LA ROSA Oro nell'azzurro e rami neri, giallo di luce il Beccafumi di tale e quale profusione argomentando, legni lucidi come e più di specchi, una birreria sommersa dai fumi, un atto mancato per la perdita di uno o più tempi, l'atto mancante bevuto in sua assenza, "avrò le due lune e la rosa" sentenziò calandosi in gola un sole d'ombra, un oro bruno, un globo, quasi di tenebra.
IL BECCAFUMI SI RIVOLGE ALL'AURORA DICENDOLE fin da te è un abbraccio liquido un aprirsi di corolle circolari, di piccoli calici la serata precedente fra un'orchestra ed una luna pallida lievemente gonfia.
IL BECCAFUMI NEL FUMOIR Vide dio: chiamandosi teneramente e per ischerzo guidogozzano o dylanthomas. Era quetzalcoatl, il serpente la grande bestemmia, il blu dipinto di blu, il loico, il libidico, il teologo, non si occupava se non dell'invisibile. Presto arriveremo a durango, o a bisanzio, là dove il punto di vista crea l'oggetto e fra due fiumi come il tigri e l'eufrate o dove gioca la croce del sud in uno specchio tremulo lì dove c'è una stella, una stella che usciremo a rivedere, fanciulla, sacra prostituta, manto di giaguaro sei questo viso che ride d'ogni sciagura e di tutte le catastrofi, questo scheletro perlaceo che non è più un discorso, che non lo è mai stato. Piange al capezzale dell'estate, prevede scene turche, negre, torinesi, sarà autunno felice per lunghe ombre nel pomeriggio, aiole abbandonate, fumo fra i docks, arrivando come se fosse un'alba e l'esperimento della gran vacuità. Un sogno di vento: non è il diamante, non è la sfera di cristallo: la bolla, solo la bolla. Di ottobre in un respiro lo stradario folle la fine del sonno di millenni, la colomba, l'interminata veglia che fu un concerto sospeso lo scorso settembre nel corridoio degli affreschi, ritornare sui luoghi, sul luogo, tutti i luoghi dove respirava, dipinto forse in forma d'isola nel box, d'angelo o di nera nube, densa e gonfia.
IL BECCAFUMI IN ASCOLTO Il Beccafumi intuì la fanfara in un reticolo malatissimo a formazione simultanea dal lato sx colavano rivoli distendendosi filiformi luccicando di perla di prussia di garanza intuì la fanfara splendere beffarda in un reticolo ritornante nella grande salute, nel più gaio dei saperi. non solo l'occhio di tempo neppure una goccia. Andromeda ed il Granchio retrogradante dimora come al cinematografo la luna tenuta sulle ginocchia non il tempo né l'occhio, potenza di luce non più che fumo la sembianza fugace iterandosi, fiore d'acqua, non più tempo solo una macchia e segno il buco elastico della notte piena, né solo l'occhio. Fu madrigale fra arabeschi hermetici cantato nel silenzio di un'eleganza sinuosa … ella giaceva riversa e soffusa la luce discendeva dalle quattro post meridiem giù all'incontro in cui la notte (la Notte) ed il giorno (il Giorno) confricano le epidermidi in un movimento danzato, che sia di due, di tre, di quattro; che sia grigio, rosso, rosa, o di un verde infante prima, puerile poi. avanti a lui sonagli d'avorio sferici danzavano nell'utero, quel suono il Beccafumi da tempo tentava di dipingerlo.
IL BECCAFUMI TROVA LA TROIA DI BENESSERE Il Beccafumi si trovò una troia di benessere. Il tenue profilo, la dipinse quasi occultata dal tronco dell'abete. Il cielo divorato dai rosa in fondo. Questa volta il Beccafumi erano in tre: in due specchi dunque quattro, commentarono, e la nebbia saliva, dodici di loro, tutti traditori, fissi nell'immobilità della fuga con il bavero di pelliccia rialzato (Huineng: non c'è specchio)
CHIUSA APOCRIFA (NATIVITA' DELLA VERGINE) spazi bui dentro spazi ancor più bui qui e davanti non c'è che altrove in quest'ovunque d'apocalissi nerofumo spariscono gli anni i giorni i tempi i luoghi. I nonni di dio nel campo visivo in quelle stanze dove il vuoto medita su sé stesso. Presumibilmente: terminale di sovrasenso l'accesso all'ipercosmo donde di nuovo si esce per la prima volta dal mondo
supposto epilogo IL BECCAFUMI VIAGGIA IN UNA FINTA PRIMAVERA era, sarebbe stata, lĂŹ da prendere in sul parquet la vergine applicata sfuggita dalla mano del falconiere in spirali discendenti calava, la colomba
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