Riccardo Mancini
Soluzioni metodologiche nell’azione educativa
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Introduzione
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Cap. 1 I fondamenti della pedagogia
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1.1 L’eredità dei maestri 1.2 Problemi pedagogici 1.3 I contesti educativi
12 16 22
Cap. 2 Per una pedagogia della ricerca
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2.1 La ricerca 2.2 Il discorso pedagogico 2.3 Riflettere sul metodo
30 35 39
Cap. 3 Le intersezioni tra pedagogia e didattica 43 51 56 59
3.1 La relazione educativa 3.2 Atomi dell’educazione 3.3 L’apprendimento
Cap. 4 Il ruolo delle tecniche e degli strumenti
65
4.1 Il Problem Solving 4.2 La Ricerca Azione 4.3 Il Mastery Learning
72 77 82
Cap. 5 La tecnica e la tecnologia
87
5.1 E-learning 5.2 Profondità tecnologiche 5.3 Confini informatici 5.4 Non sostituire l’uomo
91 95 102 104
2
Cap. 6 Pedagogia sperimentale e valutazione
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6.1 Un tema che affonda le sue radici nel tempo 6.2 I primi tentativi di legittimazione 6.3 L’ingresso della docimologia: il XX secolo 6.4 I giorni nostri
111 115 117 123
Cap. 7 Il diritto di essere sicuri
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7.1 Il modello predittivo e la persona 7.2 Una valutazione corretta: ipotesi di fattibilità 7.3 Dall’oggettività all’obiettività
136 144 149
Bibliografia
155 154
3
Introduzione
Un ulteriore contributo alla riflessione pedagogica Questo lavoro ha una sua innegabile specificità, perché affronta questioni di carattere operativo, assumendo dal campionario delle tecniche didattiche quelle che aiutano a declinare la Pedagogia Generale. Tant’è che il saggio integra e si sposa felicemente con quello di “Pedagogia Essenziale per il nostro tempo”, del quale si è interessato Riccardo Sebastiani, e collocato in questa stessa Collana Editoriale. Richiamati, difatti, quei principi fondamentali della Pedagogia, il discorso si sviluppa sui problemi particolari che scaturiscono dalla prassi. Se la Pedagogia, d’altro canto, fornisce indicazioni precise sulle finalità che l’azione educativa deve perseguire, la didattica mette a punto mezzi, strumenti e tecniche per concretizzare la prova e produrre effetti riscontrabili nel comportamento individuale di chi è stato coinvolto nella relazione. Perché di relazione interpersonale si tratta, prima che di rapporto di dipendenza, che comunque esige rispetto, disponibilità, apertura. Ed è l’intersezione tra pedagogia e didattica che legittima il ricorso ad una serie di strumenti, messi a disposizione e perfezionati dalla tecnologia, che potranno essere impiegati nella prassi scolastica al fine di assicurare un apprendimento significativo. In fondo lo scopo della ricerca educativa è
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riposto in questo rapporto, alla ricerca di un congiungimento con una teoria pur sempre esposta alla falsificazione di cui parla Popper, per la produzione di ipotesi sempre più puntuali e da corroborare. Ma ecco le tecniche innovative: il problem solving che motiva ogni attività investigativa in un ordine di progressione che, come aveva ricordato Cropley, parte dal riconoscimento di un problema, suscita la formulazione di ipotesi risolutive da ricondurre alla prova e quindi conduce alla definizione dei percorsi da seguire, con la prontezza a rimettere tutto in discussione qualora si avvertano intoppi e difficoltà d’ogni genere. Il mastery learning, poi, assicura quella padronanza che aiuta a formarsi competenze e abilità sempre spendibili e in progress. Ma anche il ricorso alla tecnologia dovrà essere privo di enfasi, quindi più ragionato e orientato a migliorare la qualità delle risposte e dei cambiamenti di comportamento nei quali pur sempre si misura il successo dell’intervanto educativo. Si comprende da queste procedure che lo stile professionale non potrà che essere quello indicato dalla pedagogia sperimentale che induce alla prova, che obbliga a mutare il cammino qualora si accerti la sua reale inconsistenza, che motivi, insomma, ad assumere i criteri della qualità e della quantità come elementi da ricondurre poi alla valutazione. Ed ancora sulla valutazione è fermata l’attenzione , perché priva di ogni intendimento fiscale e selettivo,aiuti le reali potenzialità del soggetto che si educa e a rilevare i
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cambiamenti che si sono potuti registrare cammin facendo. Nella proposta metodologica dominante in tutto il percorso riflessivo che fa dell’azione educativa un’azione, appunto, pensata e progettata con ordine e misura, si individuano modalità tali da liberare la persona da tutte le scorie che una cattiva cultura, una relazione subita, il non completo possesso delle abilità indispensabili a lavorare – l’apprendimento, sul paino teorico, dovrebbe ridurre tutti questi elementi di complessità fino ad assicurare il possesso di nuovi traguardi di riferimento per l’azione – siano poste a margine, per esaltare, all’opposto, la creatività personale, la libertà di movimento, il rispetto dell’originalità e di ogni altra potenzialità d’ordine psicologico che sono costitutive della persona umana, assunta come autentico valore, da proteggere e da realizzare sul piano dell’esistenza e nella prospettiva di una formazione che va oltre il contingente e il provvisorio ed è capace di alimentarsi e di rafforzarsi per tutto il corso della vita in cultura e perfezionamento del sapere, in apertura al dialogo, in rispetto e tolleranza nei riguardi dell’altro. Di qui l’ultimo segmento di discorso, che può essere assunto come conclusione e che riafferma da parte di ogni allievo “il diritto di essere sicuri”, cioè di aver acquisito la forza di volontà che invita ad operare senza temere ostacoli, piuttosto a sfidarli qualora sopravvengano.
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1.
I fondamenti della pedagogia
Già dai suoi primi tentativi di legittimazione nelle polis greche (la città stato) negli ultimi tre secoli del medioevo, dove alla graduale diminuzione dei patrimoni terrieri si cerca di far fronte attraverso un nuovo ideale educativo, è chiaro l’intento da parte della pedagogia di investigare sulla formazione e sull’educazione del soggetto, connotandone la totalità psico-fisica, specificandone i fini da raggiungere, nonché ricercandone il metodo più adatto alla realizzazione degli obiettivi e l’arte con cui accingersi in tale viaggio. Anche se la semantica pedagogia appare inizialmente nel XV secolo nelle letture scientifiche nord europee da cui, successivamente, acquisirà le fondamenta tutta quella corrente fondata nella seconda metà del XIX secolo e che fa capo a Rudolf Steiner, è in Italia che comincia ad abbozzarsi l’idea di una educazione della persona eretta sui principi di potenzialità, creatività, autonomia, valori ecc..da dover maieuticamente tirare fuori. Così, la pedagogia si delinea come scienza fondando le sue radici nel rinascimento e, più precisamente, in quel inquietudine scientificoculturale che si è espressa nell’Italia fiorentina nel XVI secolo. Nel XX secolo attraverso l’affermarsi dello spiritualismo e del neoidealismo, la pedagogia ha cercato
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di connotarsi come scienza in continuo divenire, capace di conformarsi ai rapidi cambiamenti imposti dalla società moderna. Tutto ciò è indicatore dell’intenzione da parte della pedagogia di assumere un ruolo fondamentale nell’esistenza della persona al fine non solo di formare caste privilegiate, quanto, piuttosto, di maturare ogni soggetto in modo equilibrato e totale. Per le suddette ragioni tale disciplina è collocabile nell’ambito delle scienze dell’educazione, in quelle discipline che investigano sull’uomo e sul suo naturale evolvere. In quanto scienza autonoma è dotata di un proprio statuto epistemologico, modelli e teorie; di un proprio campo di applicazione, la poliformia dell’educazione; e di un proprio oggetto di studio, la persona. Giuseppe Acone definisce la pedagogia come “il complesso di teorizzazioni, studi e progetti che si riferiscono all’educazione e simili (attività teorico-pratiche riferibili ad esempio anche ad istruzione, apprendimento, sviluppo formazione, socializzazione, acculturazione)”1. La progettualità dell’intervento pedagogico ha così occupato sempre più importanza nell’agire educativo relazionandosi con approcci di tipo psicologico, sociologico e antropologico quali legislatori del circle de science di piagetiana memoria.
1 Acone G., Fondamenti di Pedagogia Generale, EdiSud Salerno, Salerno 2001, p.11
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Partendo da ciò nei primi anni del ‘900 Maria Montessori descrisse il del bambino. La sua attenzione si diresse verso tutti quei processi che riconoscevano il bambino stesso non solo come persona, ma come detentore di quel “potenziale umano” da educare e da formare. Un cambiamento di prospettiva ampiamente sostenuta da altri interpreti, tra cui Richmond nel celebre lavoro “La rivoluzione dell’insegnamento”, che ne connotarono soprattutto lo spostamento della centralità dell’azione educativa dal docente al discente. Si percepisce, quindi, la necessità di allontanarsi da una pedagogia normativa al fine di giungere a intendere la persona nella sua più intima essenza, in modo tale che la scuola diventi “una scuola d’amore per l’allievo e per le sue possibilità; è una scuola organizzata sulla «misura» del fanciullo e dell’educando e quindi attentamente razionalizzata sotto le giuste indicazioni della scienza”2.
2 Mencarelli M., Il discorso pedagogico del nostro secolo, La Scuola, Brescia 1976, p. 19
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1.1 L’eredità dei maestri
La realizzazione di sé in piena autonomia e libertà è principio su cui fondare il sapere, non solo pedagogico, ma di ogni scienza che ha come fine ultimo quello di investigare la persona, intesa come enorme serbatoio di forze creative e relazionali. Note sono le riflessioni fatte da Comenio3 su tale problema. Egli scruta i problemi educativi del XVII secolo, approfondendo, soprattutto, le possibilità che ogni persona possiede nel formarsi, nel evolvere e nell’aumentare il suo grado culturale e intellettivo attraverso quella potenzialità precisata dallo stesso pedagogista come “ragione”. Di qui deriva l’identificazione ecumenica della pedagogia come specifico settore del sapere che indaga sui processi educativi. Ciò che è importante sottolineare è che fin dalle riflessioni proposte da Comenio sulle esperienze educative è possibile rintracciare direttrici sia di carattere pratico, sia di fondamento teorico estremamente significativi e di grande propositività. Rousseau amplia e sintetizza le lezioni comeniane stabilendo una “educazione secondo natura”, in 3 Comenio J. A., Opere, edizione italiana a cura di M. Fattori, Torino 1974
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opposizione con quella vessatoria causata da una società sempre più in decadenza e rovinata nei suoi ideali. Quanto espresso da Rousseau è riconducibile all’ideale di libertà e di crescita delle capacità dell’infante per mezzo di una aderenza diretta con la natura: “tutto ciò che è naturale è buono”, affermava Rousseau. Dal pensiero di Rousseau e dagli Autori della corrente mistica, tra cui Tolstoj e Makarenko, cha hanno nella loro causa un’idea positiva di una educazione, hanno origine tre punti nodali: 1. la pedagogia ha l’obbligo di dirigere il cammino educativo; 2. sulla scorta delle puntualizzazioni proposte tra gli altri da R. Cousinet, promotore delle Scuole Nuove e dell’Attivismo, la pedagogia viene ad essere identificata come scienza autonoma, distaccandosi definitivamente dalla filosofia; 3. la pedagogia si esprime quale scienza che ha per oggetto di studio il processo formativo e i rapporti che ogni persona si trova ad avere con il contesto culturale e sociale in cui è inserito. Una seconda prospettiva è offerta dalla corrente scientifica che può essere accreditata da quegli autori che hanno avuto una marcata operatività ed esperienza nella scuola; tra questi si richiamano alla memoria i contributi delle sorelle Agazzi, della già menzionata Maria Montessori e Decroly. Secondo questi Autori il bambino è compreso come un essere completo, possessore di valori morali ed etici, di capacità relazionali empatiche, scrutate nei lavori di
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Rogers, e di potenzialità intellettuali predisposte all’assoluzione dei problemi. La riflessione sui “massimi sistemi” è data dalla terza corrente di pensiero: quella filosofica, a cui fanno capo tutti quei pedagogisti che cercano una sintesi completa, a volte universale, del processo educativo. Non può essere trascurato il lavoro svolto da E. Claparède, circa la “scuola su misura”, né, tantomeno, quello di J. Dewey a cui si deve l’esaltazione dell'esperienza come punto di partenza di ogni percorso educativo e di risposta agli input dell’ambiente sociale. Devono, inoltre, essere tenuti in considerazione quei “maestri” che con le loro valutazioni hanno influenzato in modo determinate il volere pedagogico. Tra essi un posto in prima fila spetta a J. Piaget, il quale ha proiettato l’educazione verso un apprendimento basato su due processi fondamentali: l’assimilazione e l’interiorizzazione, dove l’assimilazione è l’incorporazione degli oggetti negli schemi della condotta, mentre l’interiorizzazione è il rendere intrinseci e naturali quegli stessi schemi. J. Bruner ha riflettuto sulle logiche formative sollevate dal principio di organizzazione dei contenuti secondo una “progressione ottimale”, mentre M. Mencarelli ha indirizzato le sue meditazioni nel pestalozziano “potenziale educativo”. In ultima analisi devono essere messi in luce i contributi che, sotto l’impulso delle idee manifestate da G. Mialaret riguardo al fatto che ogni sapere “deve aprirsi a nuovi campi di investigazione scientifica o
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stabilire nuovi rapporti con le discipline scientifiche”4, hanno promosso, oggi, una relazione della pedagogia con le scienze neurologiche. H.G. Gadamer, D. Goleman, H. Gardner e A. R. Damasco, generano, come la fisserebbe Blanchard, una forte “rottura epistemologica”, connotando il processo educativo come intervento preso nella sua accezione cerebrale.
4
Mialaret G., Le scienze dell’educazione, Loescher, Torino 1976
1713
1.2 Problemi pedagogici
Le persistenti difficoltà che la pedagogia incontra nel suo operare e una netta delimitazione e specificazione nel corso del tempo dell’oggetto di studio che la contraddistingue dalle altre scienze dell’educazione sono le principali cause del livello di sviluppo epistemico di questa disciplina. Infatti, “identificare il campo epistemico della pedagogia con il concetto di educazione rappresenta soltanto un primo e sommario passo verso la risposta al problema della definizione del suo oggetto, e ciò per due motivi precisi: in primo luogo, perché lo stesso concetto di educazione rappresenta una nozione sfuocata, polisemantica; in secondo luogo, perché anche se si assume, come pensiamo sia possibile fare, tale nozione come intuitivamente adeguata a indicare un certo campo di esperienza che pure abbiamo difficoltà a delimitare in termini concettuali o precisi e non riduttivi, si deve registrare che questo medesimo campo appare in condominio epistemico con le altre scienze umane”5. Al fine di legittimare la pedagogia sia sotto un piano teorico, sia in quello operativo, Bertolini manifesta l’intenzione di descrivere la pedagogia come scienza “vera e propria”, dove con questi due aggettivi si 5 Baldacci M., Metodologia della ricerca pedagogica, Bruno Mondadori, Milano 2001, p. 6
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richiamano le semantiche husserliane di rigore e fondatezza epistemologica. “La speranza appare legata alla capacità di costruire un discorso pedagogico ed una conseguente prassi educativa finalmente corretti, attraverso i quali cioè l’uomo di domani riesca a conquistare una razionalità autentica, legata all’originarietà della propria vita cui attinge le fondamentali unità di senso, capaci di orientare opportunamente la sua esistenza”6. Da queste riflessioni deriva la certezza che i problemi che la pedagogia d’oggi deve affrontare sono molteplici. “Il tecnicismo, alimentato anche dal perfezionamento degli strumenti di lavoro, potrebbe prendere il sopravvento su ciò che conferisce all’humanitas il carattere di libertà e autonomia e aiuta a riscoprire l’elemento di valore che rende feconda la pratica educativa, soprattutto oggi che da più parti è avvertita l’esigenza di umanizzare la tecnica e di recuperare la dimensione estetica dell’educazione”7. Mencarelli8 osserva tali questioni interpretandole soprattutto sotto etica professionale capace di avviarsi alla rivelazione di quello che Mounier definisce come “il mistero della persona”.
Cfr. Bertolini P., L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, La Nuova Italia, Firenze 2002 7 Rosati L., Intersezioni. Pedagogia della scuola e didattica, Petruzzi Editore, Città di Castello 1993 8 Mencarelli M., L’insegnamento della pedagogia nella università, La Scuola, Brescia 1979 6
1915
Così, la pedagogia viene ad essere considerata una tra le scienze a fondamento delle Scienze dell’educazione, chiamata in causa soprattutto nel momento in cui si fa forte il bisogno di indicare il senso che l’educazione deve avere in una determinata società, perciò collocata all’interno di quella metafora piagetiana del cercle des sciences. “La metafora del cercle des sciences adoperata dal Piaget [in Mialaret G., Les sciences de l’èducation, PUF, Paris 1976] conferisce dignità scientifica ad ognuna, ma, al tempo stesso, obbliga a considerare ciascuna d’esse come punto di una circonferenza depennando il quale la stessa figura geometrica irrimediabilmente si rompe, assumendo un’altra forma figurale che non il cerchio. Questo vuole dire che se la didattica è uno di questi ipotetici punti, così come lo sono la pedagogia e ogni altra scienza umana, di quelle peraltro passate in rassegna da G. Mialaret, essa necessariamente dialoga con tutte le altre, offrendo contributi e ricevendone, così come riceverà dalla pedagogia proprio quel sapere valoriale che dà ragione delle finalità dell’azione”9. L’educazione, in questo senso, possiederà una duplice valenza: nutrire il soggetto di cultura e portare fuori, liberando, le sue potenzialità mai totalmente espresse. Ne deriva una gran quantità di campi scientifici e di linguaggi, una vera e propria torre di Babele, dalla quale risulta difficile uscire se non attraverso la personalizzazione dell’azione educativa. 9 Rosati L., Didattica della cultura e cultura della didattica. La sostenibile leggerezza del sapere, Morlacchi, Perugia 2004
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Non è superfluo aggiungere però, che “l’educare pur essendo un avvenimento essenzialmente spirituale ed interiore, non è tuttavia un fatto irrazionale, né un comportamento angelico, attuatesi in una sfera intangibile qualsiasi. Esso è anche fatto osservabile e sperimentabile, attingibile dai sensi e dalla ragione. L’ambiente in cui si svolge, anzi l’ambiente che presuppone, non è una società invisibile, ma soprattutto un visibile e tangibile complesso di relazioni; i procedimenti mediante cui si compie sono procedimenti controllabili; le stesse finalità a cui i processi tendono non sono finalità astratte; i termini dell’attività intellettuale e volitiva, sono sempre colti nel concreto, almeno al punto di partenza”10. Indipendentemente dai contesti e dei vari ruoli e significati che si possono dare dell’educazione, essa “continua a segnare il crinale di un processo di crescita che si volge sia sul piano quantitativo, determinando un accrescimento del sapere, quindi di abilità spendibili sul mercato dell’esistenza, sia qualitativo, determinando per ciò stesso una rete di relazioni più ampia e partecipata”11. Si rende necessario, allora, comprendere quali possano essere le relazioni, i legami, le sovrapposizioni e i confini che si creano tra pedagogia ed educazione. McBurney D. H., Experimental psychology, tr. it. Il Mulino, Bologna 1986 11 Rosati L.., in Colaiacovo L., De Santis M., Rosati A., ull’educazione. Analisi epistemologica e istruzione scolastica, Anicia, Roma 2007 10
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Rispetto a ciò, De Giacinto mette in risalto che, se anche la pedagogia trova la sua unità, “ignora che l’educazione solo in parte dipende da una dottrina pedagogica esplicitamente formulata. Ad una costruzione concorrono differenti filoni di creatività dello spirito umano, e la pedagogia deve essere considerata come uno, ed uno soltanto, degli aspetti operatori storici dell’educazione. La pedagogia, per altro, deve essere attenta a rilevare, confrontare, discutere, elaborare sistemare tutto ciò che di fatto avviene e che va sotto il nome di educazione, sicché a buon diritto si possono studiare tutte le modificazioni che i cambiamenti dell’educazione impongono alla pedagogia”12. Così se nell’educazione, come rammenta G. Acone, si possono far rientrare “le carte dell’umanità non affidate al conflitto d’armi e di interesse, ma a un solidale e universale riconoscimento dell’uomo come valore proiettato innanzitutto nell’investimento 13 formativo delle nuove generazioni” rievocando il concetto di paideia, la pedagogia protende il suo impegno sui traguardi, sui fini e sui modelli che indirizzano il processo educativo. Sia l’educazione, sia la pedagogia stipulano un contratto formativo con la persona, rispondendo alla De Giacinto A., Relazione introduttiva al XXI Convegno di Scholè, Brescia 1982. si trova in AA. VV., Teoria e prassi in pedagogia, La Scuola, Brescia 1983 13 Acone G., in Rosati L., La fine di un’illusione. Le scienze dell’educazione al bivio, Morlacchi, Perugia 2008 12
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sempre più crescente domanda di formazione. Già sul finire degli anni Settanta, Mencarelli inquadra e descrive la costante necessità di educarsi affermando che: “lo costatiamo per avvertire che essa (la società), con tutte le contestazioni che veicola e con tutte le contraddizioni che esprime, avanza autonomamente domanda di scienze pedagogiche”14. L’attenzione del processo educativo è quindi trasferita in maniera marcata sul soggetto in apprendimento, capace, attraverso una educazione di senso, di liberare in piena autonomia e libertà quei valori, quelle capacità e quegli ideali per una piena consapevolezza di Sé. La scuola, quale detentrice primaria della maturazione della persona e della sua personalità avrà l’obbligo di sostenere le modalità attraverso cui si rende possibile una sana affermazione dei diritti educativi posseduti da ogni soggetto. Per questo si può affermare che “tutti educano e nessuno è educatore per eccellenza tranne la coscienza; tutto educa in quanto si risolve in motivo interiore nello spirito dell’educando. Famiglia, società, Stato (fattori dell’educazione) non bisogna considerarli per sé astrattamente, ma come motivi i cui valori dipendono da un atto di coscienza di chi se ne fa guidare”15.
Mencarelli M., L’insegnamento della pedagogia nella università, La Scuola, Brescia 1979 15 L. Colaiacovo, M. De Santis, A. Rosati, Sull’educazione, Anicia, Roma 2007, p. 49 14
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1.3 I contesti educativi
E’ cosa ormai assodata che l’educazione abbia oltrepassato gli argini che la rilegavano ad essere una azione prettamente ed esclusivamente scolastica. Oggi di educazione, così come di formazione, se ne parla in ogni contesto. Di fatto l’educazione “sembra essere l’elemento regolatore del sistema economico produttivo e le aziende, puntando molto su tale settore, diventano sempre più esigenti. Ciò che sembra necessario è allora la creazione di un sistema formativo integrato che punti sull’aspetto culturale e su quello professionale, si avvalga di un sistema di orientamento e uno di valutazione, realizzi forme di raccordo con un osservatorio del mercato del lavoro aggiornato alle esigenze reali, dialoghi costruttivamente con il contesto in cui va ad operare, sia capace di gestire il processo insegnamentoapprendimento con modalità didattiche tradizionali e innovative, ed esperienze di tirocinio funzionali alla conoscenza pratica dei contesti lavorativi e all’applicazione delle nozioni teoriche, sia attento ai cambiamenti culturali e promuova la comprensione di essi attraverso la formazione del pensiero critico”16. 16 AA. VV., Metodologia e didattica, Edizioni Scientifiche Italiane, Università degli Studi di Perugia, 1998, p. 49
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Sicuramente la sempre più pressante richiesta di elevati standard di riferimento assieme alle esigenze dei singoli utenti, hanno prodotto un cambiamento radicale nella visione dell’educazione. Da una parte si deve tenere conto di ciò che realmente occorre per promuovere benessere, non solo per le istituzioni, ma anche e soprattutto per la prosperità della dimensione psicofisica del soggetto. Tali prospettive non solo renderanno merito ad una educazione efficace che annoveri nella sua natura la definizione dei bisogni collettivi e singolari, ma piuttosto che stimoli costantemente e permanentemente il soggetto ad essere produttivo, innovatore, partecipante, insomma creativo. Se difatti la creatività può essere definita come “una connotazione generale della personalità, affiorante in ogni tratto della stessa, che conferisce al soggetto di attuarsi psichicamente in un continuo rinnovamento oltre che di comunicare socialmente i fermenti che lo animano, con stimoli e prodotti innovativi”17, essa, per essere espressa, ha bisogno di un ambiente favorevole, ricco di sollecitazioni e tale che la persona sia in grado di esprimere quello stato di “interfunzionalità”, molte volte richiamato nei lavori di Mencarelli. Un forte appello alla vera natura dell’uomo, alla sua singolarità nel fare e nel pensare, alla sua apertura e disponibilità all’altro e alla sua autonomia derivante dalla Mencarelli M., Ricerca pedagogica, quad. Università degli Studi di Siena, 1980, p. 55
17
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presa di coscienza di essere soggetto libero e indipendente. Di qui la consapevolezza che la persona “deve essere elemento cardine di un modello di sviluppo che tende a superare alcune storture del passato, investendo sulle peculiarità assolute di ogni regione, in termini culturali, ambientali e turistici”18. I movimenti e le innovazioni politiche hanno la necessità di sviluppare piani organizzativi capaci di rendere merito a quanto appena affermato, di formulare strategie, programmazioni e atti valutativi a partire dal singolo contesto. L’ampia gamma dei contesti in cui la pedagogia è chiamata in causa, come sostegno di una evoluzione ininterrotta, ha prodotto notevoli cambiamenti e difficoltà sul processo educativo preso nella sua accezione classica. Z. Bauman al fine di descrivere la società odierna, associa a questo termine l’aggettivo “liquida”19 tanta è la velocità, l’inconsistenza e la difficoltà di descrizione della società stessa; il liquido, difatti, ha la capacità di modificare di continuo la propria forma e adattarla al contenitore. Le informazioni mutano e cambiano repentinamente non essendo più stabili e durature, sempre pronte ad essere sostituite con delle nuove.
Salvato R., in AA. VV. Per la formazione di una classe imprenditoriale creativa, Anicia, Roma 2006, p. 30 19 Cfr. Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari 2003 18
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Tutto questo promuove una notevole instabilità. Ancora attuali sembrano essere le parole espresse da G. Mialaret su tale argomento: “come un frutto il cui arricchimento dipende da tutte le sue parti che lo costituiscono, la situazione educativa e i rapporti insegnante-alunno non sono che il prodotto ultimo che può essere analizzato e compreso solo in rapporto a questo insieme di forze che lo determinano”20. Adottando le riflessioni fatte dallo stesso pedagogista è realizzabile una distinzione di sei fattori che influenzano i contesti educativi: il tipo di società nella quale rientrano elementi economici, culturali, composizioni sociali e storiche; il sistema educativo dove è possibile distinguere le direttrici dell’educazione e gli obiettivi che essa intende perseguire; programmi generali e particolari in quanto ogni società predispone momenti di realizzazione e programmazione dei vari interventi attraverso metodi e tecniche che si modificano con l’evoluzione delle scienze e delle tecnologie; architettura scolastica e reclutamento e della formazione degli educatori nel quale si stabiliscono le risorse e il livello di preparazione degli insegnanti che andranno ad attuare il piano educativo. Nella società moderna, guidata dai media, dall’informatica e da un forte imprintig tecnologico, la condizione del soggetto è cambiata sia nel modo con cui è possibile avvicinarsi alla cultura, sia nel modo in cui essa può essere interpretata. Anche se la “dilatazione del 20
Cfr. Mialaret G., Le scienze dell’educazione, Loescher, Torino 1976
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mondo” accresce gli stimoli che la società propone al soggetto, ampliandolo “fino a configurare situazioni di vita che vengono anticipate in base all’età reale, anticipando, di fato, fenomeni esistenziali ieri riservati a un’età più matura”, il compito dell’educazione è quello di “dare luce e orientare il cammino dell’umanità pure in mezzo alla tenebre e davanti all’abbandono della persona alla propria solitudine e all’indifferenza alle quali rende incline un mondo pieno di contraddizioni e di cattivi esempi”. “Certamente questa tensione metafisica è ciò che dona alla persona la forza di impegnarsi e di agire in vista di un fine che può essere immediato, ma che anche può trascenderla: è detto altrimenti, ciò che autorizza a fare di ognuno di noi un eterno debuttante, come andavamo affermando alle soglie di questo millennio, per vivere l’istante picaresco dell’avventura che non conosce scacchi, ne differenze di età e di condizione sociale”21
21
Rosati L., La fine di un’illusione, Morlacchi, Perugia 2008, p. 176
2824
2. Per una pedagogia della ricerca
Sfogliando un qualsiasi dizionario della lingua italiana, sul significato del termine ricerca si legge: “studio sistematico con il quale ci si propone di aumentare le nostre cognizioni in una determinata disciplina o su un certo argomento”22. Sicuramente, tale definizione, porta in serbo un significativo impianto storico-epistemologico derivante dai sempre verdi contributi delle varie intersezioni disciplinari, ma anche un approfondimento di operatività nel suo incessante modificarsi. Proprio da questo ultimo aspetto ne deriva che “oggi la pedagogia deve impegnarsi a costruire gli strumenti necessari per dimostrare la sua poeticità (in ciò facendosi pedagogia applicata) e a studiare strategie e modalità idonee ad appoggiare il diritto all’educazione, proprio di ognuno - in ciò costituendosi pedagogia sociale -”23. La complessità del fenomeno impone di descrivere la pedagogia come scienza in modo non convenzionale, o per lo meno non nel comune senso che la semantica assume. La ricerca pedagogica si connota come la Cfr. Dizionario Sandron della lingua italiana De Santis M., a cura di, Fare ricerca. Per la redazione del testo scientifico, Anicia, Roma 2006, p. 11
22 23
2925
continua messa in discussione delle teorie che indirizzano di volta in volta l’agire educativo, in quanto ognuna delle quali non può essere presa come modello esaustivo sia da un punto di vista diacronico, sia sincronico. Popper lascia questo insegnamento: ogni teoria e ogni modello sono validi in un determinato periodo e in un determinato contesto e per questo continuamente da falsificare qualora questi due elementi si modifichino. L’identità investigatrice che la ricerca pedagogica assume si specifica in modo particolare secondo due chiavi di lettura: 1. la riflessione che il pensiero pedagogico ha su se stesso; 2. lo screening delle migliori strategie da adottare nel momento prassico. Ecco, allora che “i metodi che la ricerca pedagogica ha a disposizione sono diversi: il metodo induttivo, il metodo sperimentale, il metodo deduttivo, il metodo intuitivo, il metodo comparativo, il metodo fenomenologico e il metodo discorsivo. Ognuno di questi metodi ha una funzione non surrogabile. Qui può essere molto rapidamente ricordata la mediazione che il metodo discorsivo consente tra i tanti dati offerti dalle singole scienze dell’educazione e dalle scienze dell’uomo”24. In sostanza la ricerca sia essa pedagogica, sia, in senso più ampio, educativa, procede in questo modo, secondo 24
Ibidem, p. 26
3026
teorie, metodi e strumenti che cerano le migliori strategie al fine di approdare a conclusioni, ma che pur sempre aspettano, secondo il giĂ menzionato dettato popperiano, di essere corroborati e, qualora presentino delle mancanze, falsificati, dando luogo, cosĂŹ, a nuove teorie e nuovi modelli che si sostengono a quelli sperati. Il cammino non ha mai fine.
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2.1 La ricerca
Sotto la spinta della sperimentazione la ricerca assume un’importanza cruciale nella evoluzione della pratica educativa, soprattutto se quest’ultima è ligia a processi che si possono definire scientifici. “Anzitutto occorre smentire che il processo della ricerca sia lineare, percorra una via che parte dal problema da risolvere, accumula informazioni e giunge, prima o poi, alla soluzione. Ridurre la ricerca a un procedimento unidirezionale e continuo, significa svilirla a bassa tecnica di collage di dati, di notizie e di informazioni raccolte alla rinfusa, senza la luce di ipotesi, e ricucite in modo estrinseco”25. L’indagine comporta prove, avanzamenti e improvvisi ritorni indietro, una continua oscillazione tra la conferma e la smentita delle possibili strade da percorrere, le infinite fasi di corroborazione e falsificazione e la messa a punto di azioni creative che comportano, esse stesse, una non linearità nel suo procedere. La pedagogia nel procurare risposte sull’azione ha l’obbligo di fornire una educazione di senso ed efficace, 25 Becchi E., Vertecchi B., a cura di, Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Franco Angeli Editore, Milano 1985, p. 29
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dando garanzie precise con la necessità di una continua legittimazione scientifica al fine di non cadere nella routine, troppo spesso presente nella scuola come unica arma contro l’ignoranza e la superficialità procedurale. Mialaret identifica otto macro-fasi della ricerca: “- Identificazione del problema (o dei problemi) specifico che si vuole studiare sperimentalmente (o, almeno, scientificamente). Si definisce così l’oggetto della ricerca e l’azione sperimentale da esercitare; – A che punto siamo in questo campo? Che cosa è già stato fatto? Quali sono i risultati già ottenuti? Quali sono le pubblicazioni, le fonti di informazione… è la rassegna sull’argomento; – Allora possiamo analizzare, alla luce di tutto ciò che precede, la situazione nella quale si desidera procedere nella sperimentazione, definire le variabili indipendenti, la modalità dell’azione sperimentale, le variabili dipendenti; è in questa tappa che si debbono esplicitare le ipotesi della ricerca; – L’analisi delle variabili conduce alla loro valutazione: criteri, metodi e tecniche di valutazione. Si debbono definire (trovare o costruire) gli strumenti di valutazione; – Il ricercatore è in grado allora di costruire un piano sperimentale che gli consenta di confermare o respingere le ipotesi e, con ciò, di far progredire il Sapere scientifico; – L’applicazione di un piano sperimentale esigerà dal ricercatore delle attività a monte e a valle. A monte, cioè scegliere i soggetti sui quali verterà l’azione
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educativa sperimentale. A valle, cioè come saranno raccolti, raggruppati ed analizzati i risultati; – L’insieme delle osservazioni fatte nel corso della sperimentazione, l’insieme dei risultati quantitativi e qualitativi scientificamente analizzati permetteranno al ricercatore (o meglio all’èquipe di ricerca) di fornire interpretazioni sia particolari che generali, dei punti di vista sia parcellari sia sintetici e di incrementare in tale modo il Sapere nel campo studiato. Così si può affermare che quasi in tutti i casi, sorgeranno nuove ipotesi che prepareranno quindi altre ricerche future; Il lavoro sarebbe incompleto se non terminasse con una pubblicazione scientifica che riporti complessivamente la ricerca, i suoi risultati ed i suoi eventuali sviluppi”26. Comunque, la ricerca, intesa come realtà ramificata e di contesto, implica disciplina, respiro e conoscenza pregiudiziale. “Disciplina di riporto e accumulo organizzato di informazioni e procedure; respiro come tolleranza di tempi lunghi, tentativi spesso improduttivi; conoscenza previa non nel senso che si sa dove si arriverà, ma nel senso che la zona della ricerca è un’area specifica di un paesaggio più ampio di cui si possiede una, seppur parziale, informazione, e, non ultimo,
26 Cfr. Mialaret G., La pedagogia sperimentale, Armando Editore, Roma 1986
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intento di risolvere i problemi e di concludere l’indagine stessa” ”27. Ecco, allora che il ricercatore, per mezzo di una marcata “vigilanza epistemologica”, quale incessante tensione verso un determinato problema e la sua risoluzione, si fa carico di indagare umilmente i veri aspetti ed elementi che gli si pongono di fronte “partendo da una concreta considerazione del proprio stato, mediante un processo che duri, in originalità ed appagamento, in cultura e perfezionamento, in impegno e produzione di umanità, quanto dura la vita” e che si senta continuamente “un eterno debuttante”28. La figura del ricercatore, così delineata, non si limiterà ad indagare il già conosciuto e ciò che ha fatto, ma intraprenderà nuove strade e nuove soluzioni ai problemi che una ricerca “esperenziata” gli sollecita incessantemente, attraverso la riflessione, lo studio, ma soprattutto l’atto creativo, capaci, in uno stato di “interfunzionalità” di elevare gradualmente la conoscenza al più alto punto. Rosati sottolinea questo aspetto affermando che “da queste informazioni discende l’abilità di assumere una forma di intervento (di ricerca) che mentre rispetta certe peculiarità del soggetto, ne orienta lo sviluppo, sia sul piano intellettuale sia su quello fisico, al punto che Becchi E., Vertecchi B., a cura di, Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Franco Angeli Editore, Milano 1985 p. 30 28 Cfr. Rosati L., Didattica della cultura e cultura della didattica, Morlacchi, Perugia 2004 27
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sia poi possibile accertarsi dei cambiamenti ottenuti attraverso una vigile azione di verifica�29.
29 Rosati L., Il metodo nella didattica. L’apporto delle neuroscienze, Editrice La Scuola, Brescia 2005, p. 35
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2.2 Il discorso pedagogico
G. Acone nel testo Fondamenti di pedagogia generale, edito da Edisud nel 2001, definendo la genesi epistemologica e la valenza scientifica della relazione tra teoria e prassi, dichiara che nel passaggio dalla teoria alla prassi occorre sostituire il pensiero filosofico con quello delle scienze esatte, il più possibile oggettive, che investigano la natura dell’uomo attraverso tecniche e strumenti, nonché metodi, capaci di fornire informazioni, anche di natura sperimentale, attraverso il paradigma che sinergicamente mette in relazione l’aspetto scientifico, le innovazioni tecnologiche e le più adatte tecniche a disposizione. Ancora attuali sono le considerazioni fatte da M. Mencarelli sul finire degli anni Settanta riguardo questo assunto. Il pedagogista italiano, infatti, afferma che “l’urgenza di una scienza pedagogica pratica invita tuttavia ad ulteriori osservazioni. Va rilevato anzitutto un cospicuo sviluppo della pedagogia pura (nel senso attribuito dal King): è quanto ha fatto denunziare il gap esistente tra teorie pedagogiche e la sempre più vasta esperienza educativa. Di conseguenza si avverte la mancanza di tecniche funzionali ad una scuola aperta a
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tutti e di strategie idonee a consentire il più diffuso sviluppo delle possibilità di educarsi”30. Questo pensiero lo si può scorgere anche nei lavori di Mialaret alcuni anni prima quando denuncia che “sono stati dedicati quasi esclusivamente alla storia ed al pensiero pedagogici, ma si era lontani dalla pratica quotidiana che, peraltro, continuava a tirare avanti un biennio senza risentire più di tanto delle affermazioni e dei consigli dei teorici. Si può affermare che nel settore dell’educazione, teoria e pratica si sono, per lunghi secoli, sviluppate separatamente senza arricchirsi reciprocamente”31. Una sinergia tra scienza teorica e scienza applicata da dover costantemente incrementare, sia nella loro indagine specifica - in quanto scienza -, sia nella loro più intima relazione al fine di calibrare il processo educativo e renderlo il più efficace possibile. Un legame in continuo divenire che si trasforma al modificarsi dei cambiamenti sociali e delle richieste che quest’ultimo propina all’educazione. Una opinione diffusa è quella che “la speranza appare legata alla capacità di costruire un discorso pedagogico ed una conseguente prassi educativa finalmente corretti, attraverso i quali cioè l’uomo di domani riesca a riconquistare una razionalità autentica, legata all’originarietà della propria vita cui attinge le Cfr. Mencarelli M., L’insegnamento della pedagogia nella università, La Scuola, Brescia 1979 31 Cfr. Mialaret G., La pedagogia sperimentale, Armando Editore, Roma 1969 30
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fondamentali unità di senso, capaci di orientare opportunamente la sua stessa esistenza”32. Una pedagogia, o per meglio dire una ipotesi educativa, costruita sulla semantica husserliana, l’Io si riconosce come persona capace di relazioni ed emotività investigatrici e la scienza possiede caratteri di “validità” in quanto “purificata” da tutti i pregiudizi che la falsificano. Preme un atteggiamento scientifico capace di dare un giusto tratto distintivo alla pedagogia, sia essa teorica che pratica, attraverso una “ragione ontologica” dettata principalmente da una metodologia appropriata. Tutto questo “esige dallo studioso dei problemi educativi l’assunzione di quell’atteggiamento non mondano proprio del fenomenologo, per mezzo del quale egli può sia volgersi alle cose stesse dell’educazione, al di là di tutti i pregiudizi e le false convinzioni che anche in questo campo gli procurano la sua personale formazione culturale e la società in cui vive; sia prendere in considerazione intere classi di dati genuini tradizionalmente dimenticati e ingenuamente sottovalutati”33. Per rendere tutto questo possibile urge l’esigenza di far tornare la scuola ai vecchi splendori intendendola non solo come luogo di formazione, ma soprattutto una fucina di ricerca ed un impianto capace di calibrare il suo Bertolini P., L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, La Nuova Italia, Firenze 2002, p. 145 33 Ibidem, p. 146 32
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intervento sia dall’esterno, sia dall’interno rivalutando il soggetto quale portatore di potenzialità da dover educare.
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2.3 Riflettere sul metodo
Considerato il padre della scienza moderna, è con Cartesio che si inizia a parlare del metodo e dei problemi che si aprono rispetto alla sua identificazione. Egli affermava che “il dubbio è l’origine della salvezza”, una continua ricerca della verità. Il filosofo dichiara che non esiste un unico metodo, universale e assoluto, bensì ogni soggetto deve ricercare il proprio a cui sottoporre tutte le verità a cui si è giunti. Questa prospettiva finisce per diventare essa stessa un metodo qualora il procedimento adottato si possa identificare con la strada per la ricerca di quest’ultimo. Di qui, la consapevolezza che nei contesti educativi ogni metodo offre alla pedagogia una colorazione del tutto particolare. La pedagogia ha a disposizione, al fine di legittimare la validità e in coerenza con i dettati scientifici della scienza moderna, metodi capaci di dirigere il processo educativo. Così i metodi si diversificano in metodologia, qualora siano accompagnati da aggettivazioni che ne sottolineano la specificità d’azione: è sociale quando investiga l’io relazionato all’altro; è didattica quando prospetta strategie di insegnamento-apprendimento il più efficaci possibili; è pedagogica quando riflette su di essa per la costruzione di modelli di riferimento.
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Nel sistema educativo l’apprendimento non può prescindere dai metodi che sono, per così dire, le strutture teorizzanti, come del resto non c’è metodo senza una appropriata metodologia che trasforma gli elementi teorici in forme operative adattate all’ambiente, alle risorse, insomma al contesto. La traduzione pratica dei vari aspetti del metodo nelle varie metodologie della pedagogia non solo facilita l’apprendimento, ma permette una ricerca delle soluzioni al quanto efficace e corrobora o falsifica le teorie da cui derivano. A tal proposito King34 intravede una unione significativa tra il metodo, derivante dalla pedagogia pura, e tra le metodologie, risalenti ad una pedagogia applicata, in una pedagogia sociale universalmente intesa come riflessione degli atteggiamenti umani. Lo stesso Autore, infatti, conferma il bisogno di adoperarsi al fine di permettere a questi settori di interagire, attraverso connessioni e sovrapposizioni che avranno il ruolo di unirsi e rispondere alle esigenze del soggetto in apprendimento. Viene ad essere confermato il ruolo di mediatore da parte della pedagogia, che anche se divisa e parcellizzata nel suo donarsi alla persona, propone innovazioni teoriche di riferimento dal soggetto al soggetto. Questa posizione è sostenuta anche dalla Fabbri, la quale sostiene che la pratica è un contesto di saperi situati e “l’adozione di tali prospettive problematizza e si 34 Cfr. King E. J., Il cambiamento della prospettiva nel processo educativo, in AA. VV., Insegnanti e società in evoluzione, tr. it., Armando, Roma 1972
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muove verso un supermanto della distinzione tra conoscenza ed esperienza, tra pensiero teorico e pensiero pratico. Pratico non è contrapposto a teorico, ma è quel pensiero mediato culturalmente, situato in quadri di attività storicamente e culturalmente determinati”35. Brezinka analizza un ulteriore aspetto, suddividendo la pedagogia in diversi livelli: - scienza dell’educazione: la pedagogia è vista come sistema di riflessione; - scienza empirica: spiega il fatto educativo; - filosofia dell’educazione: apparato ideologico di valori e sensi educativi; - pedagogia pratica: in cui, scrive il filosofo dell’educazione, si “designa una teoria normativa dell’educazione utile per l’azione, ovvero di guida all’azione”36. Tale discorso è ripreso analiticamente dal pedagogista G. Acone, il quale connota la natura problematica di quanto appena espresso. “L’articolazione complessiva di Brezinka sulla scienza dell’educazione, sulla filosofia dell’educazione e sulla pedagogia pratica pone il problema comunque del riportare ad unità, o ad un sapere complessivo, la pedagogia generale come disciplina. È un problema aperto; la soluzione parziale proposta da Brezinka 35 Fabbri L., Comunità di pratiche e apprendimento riflessivo, Carocci, Roma 2007, p. 11 36 Brezinka W., Meteteoria dell’educazione, tr. it., Armando, Roma 1983
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rimane in gran parte interlocutoria: se dunque, in base ai nostri presupposti metodologici, appare impossibile una teoria pedagogica complessiva che sia al tempo stesso teoria scientifica e teoria pratica, ciò non vuol dire che si rinunzia a qualsiasi sintesi del sapere pedagogico. Invece sono possibili e urgentemente necessarie le sintesi valutative orientative dell’azione nella pedagogia pratica”37. L’intervento pedagogico, nella sua componente riflessiva e di esecuzione delle proposte teoriche, permette di “tirar fuori dall’uomo sia i difetti per liberarsene, sia le potenzialità positive per sfruttarle ai fini del suo miglioramento”38.
Cfr. Acone G., Fondamenti di pedagogia generale, Edisud, Salerno 2001 38 Cfr. Genovesi G., Le parole dell’educazione. Guida lessicale al discorso educativo, Corso Editore, Ferrara 1998 37
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3. Le intersezioni tra pedagogia e didattica
Le profonde mutazioni alle quali costantemente si assiste e il profondo disorientamento, nonché il viaggiare errabondo della persona all’interno della moltitudine delle informazioni dettate dalla tecnologia, hanno prodotto non poche riflessioni sul valore della pedagogia, ma anche del rapporto che essa instaura con le altre scienze, soprattutto con la didattica. Che la pedagogia abbia avuto non poche difficoltà nel suo cammino è cosa innegabile, soprattutto quando veniva intesa come “ars, ad una conoscenza di ordine inferiore, ancilla philosophiae, come si disse, era riuscita, sulla base di una esperienza ancorché priva di controllo rigoroso, del tutto accidentale, ma confermata e tramandata dalla pratica educativa, ad affrontare dei correttivi fondamentali ad una teoria interamente soggiogata dalla filosofia”39. Se il rapporto che la pedagogia ha avuto con la filosofia ha creato non poche rivendicazioni da parte di quest’ultima soprattutto in un’ottica epistemologica, la stessa cosa è successa alla didattica con il sapere pedagogico. Difatti, la didattica è stata considerata per
39 Xodo C., La ragione e l’imprevisto. Prolegomeni ad una pedagogia come scienza pratica, La Scuola, Brescia 1988, p. 64
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molto tempo serva della pedagogia nel suo momento pratico nel lavoro quotidiano nella classe. L’esigenza di liberarsi da vincoli scomodi, che ne delimitano l’agire e la riflessione, hanno determinato due distinti saperi che, quantunque siano ben circoscrivibili e delimitati, restano sempre in contatto per determinare la corretta evoluzione della persona. L’ampia letteratura mostra quanto appena espresso: due scienze completamente autonome dotate di determinati campi di applicazione, di teorie e modelli a sostegno del loro agire (lo statuto epistemologico) e di specifiche finalità e metodologie. Il continuo lamentato distacco da parte della pedagogia, ricondotta da molti alla sua riflessione soprattutto sul problema epistemologico, dall’educazione e l’incessante richiesta didattica hanno prodotto una separazione della scienza dell’insegnamento/apprendimento sul teorizzare pedagogico, quasi a voler identificare una urgente esigenza di caratteri prima operativi e contestuali poi di conoscenze puramente empiriche. Didattica e pedagogia, quindi, si trovano costantemente a riflettere sull’educazione della persona, su quella tradizione educativa che ha connotato l’educazione fino ad oggi e dei suoi cambiamenti. Così la didattica ha proposto modelli di intervento che hanno il loro inizio con il lavoro di Blankertz40 sul Cfr. Blankertz H., Teorie e modelli della didattica, Armando, Roma 1977
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finire degli anni Settanta, e la pedagogia si è data un assetto identificativo soprattutto con le riflessioni fatte dal francese Develey, il quale prevedeva attribuzione degli educativi attraverso la semantica delle due D e delle due P: “della disciplina e della didattica e della pedagogia e della psicologia. Come a dire che questi sono gli ambiti specifici di quel sapere pedagogico che dovrebbe tenere il campo senza mai smarrirsi nella cieca ripetizione di atti e nell’abitudinarismo”41. Così, la fruizione adeguata di internet, il dialogare e fare ricerca in un linguaggio universalmente comprensibile e fondare l’operato in una chiave di lettura per così dire economica, permetteranno al soggetto di essere “cittadino del proprio tempo” e non soffrire di quella techiestrenietà che ne sancisce la fine dell’intelletto e della sfera creativa. Il presente, quindi, è “un lavoro di ricerca: ricerca scientifica, ma che ha diretto riguardo per l’applicabilità, secondo quel che si concorda debba essere sempre per la ricerca didattica; e ricerca applicativa,e non scienza, come si ritiene sia la ricerca pedagogica in sé. Ed è appena il caso di ricordare che applicatività non significa né tecnica né pratica”42. Si connotano, perciò, “da un lato le istanze dell’autonomia scolastica e dall’altro l’affermarsi della tematica delle relazioni tra globalizzazione economica, Rosati L., La fine di un’illusione, Morlacchi, Perugia 2008 Blezza F., Didattica Scientifica. Studio pedagogico sull’insegnamento delle scienze, Del Bianco Editore, Udine 1994, p. 13 41 42
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new-economy, flessibilità e tentativo di interscambio tra qualità della formazione (termine preferito ad educazione in tale ambito linguistico-concettualesemantico) e qualità del prodotto, inteso in forte analogia con le performance dell’economia e dell’impresa cognitiva”43. In conclusione è giusto osservare che “la relazione pedagogia/didattica nel senso della relativa autonomia scientifica di quest’ultima, rispetto ad una più generale considerazione del quadro educazione/istruzione/sviluppo e della modalità dell’apprendimento/insegnamento, non solo riguardo alle conoscenze ma anche ai sentimenti, alle emozioni, ai valori e al senso dell’umanità e della sua costituzione onto-etico-ermeneutica”44. Una connotazione e realizzazione che legittima il campo di applicazione o come, direbbe Fabbroni, “il territorio di conoscenza”, e assicura una scientifica autonomia. Il bisogno di fissare un rapporto empatico, definito da Rogers, tra docente e discente capace di accrescere e ottimizzare il procedimento educativo di costruzione della conoscenza e la conseguente testimonianza dei professionisti come soggetti capaci di generare apprendimento e formarsi da ciò che realizzano, pretende dalla didattica un intervento flessibile capace di 43 Acone G., Fondamenti di pedagogia generale, EdiSud, Salerno 2001, p. 161 44 Ibidem, p. 163
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modulare il proprio operato e di ridurre l’esistenziale gap esistente tra insegnamento e apprendimento, tra aspetti teorici e attività pratiche. “La conoscenza non si allinea ad una pura dimensione cognitiva, non risponde semplicemente alla domanda: che cosa posso conoscere? Ma apre un interrogativo sul senso che ha la mia conoscenza e sulle responsabilità che mi assumo di fronte ad essa”45. Un continuo processo di problem solving “dove i problemi che emergono dal contesto esperenziale possono essere risolti attraverso le conoscenze acquisite e le tecniche a disposizione del professionista”46. Gli obiettivi si diversificano e si plasmano a seconda della disciplina di appartenenza. La storia, ad esempio, permette di oggettivare lo sviluppo dell’uomo nel corso dei secoli tramite l’ermeneutica, così come la fisica sostiene tale crescita attraverso il continuo aggiornamento scientifico. Ma quali risultano essere gli obiettivi comuni a tutte le scienze che dell’aspetto formativo fanno il loro punto nodale? Per ciò che concerne gli obiettivi, appartenenti alle singole discipline o più comunemente riferibili a criteri di apprendimento immediato e molte volte quantitativo, possono essere determinati attraverso la conoscenza dei
Cfr. Minichiello G., Il mondo interpretato, La Scuola, Brescia 1995 Cfr. Fabbri L., Comunità di pratiche e apprendimento riflessivo. Per una formazione situata, Carocci, Roma 2007 45 46
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saperi basilari, come il saper leggere, il saper scrivere e il saper far di conto. Questi stessi saperi strutturano e modificano, attraverso la relazione che il soggetto si trova a sostenere in un preciso momento del suo percorso di istruzione con un settore del sapere, le operazioni logico-mentali atte all’apprendimento, permettendo di acquisire abilità metacognitive spendibili in un contesto diverso da quello nel quale si sono apprese. Operazioni che richiamano alla mente il lavoro di Piaget, il quale le definisce come “parte attiva del pensiero”, come specifica via “di approccio all’articolazione tra processi psicologici e processi sociali, tra mondo privato e mondo pubblico, tra l’agire del singolo e il contesto della società civile e istituzionale”47. L’apprendimento, difatti, avviene grazie a tali operazioni che tollerano e stimolano la parte più naturale conoscere. Quella parte che sostiene una diretta partecipazione del discente al suo processo di formazione, non inteso come momento di apprendimento passivo in cui il soggetto viene bombardato da una infinità di nozioni poco selezionabili e, di conseguenza, altrettanto poco percepibili. Curiosità, motivazione, impegno e aspetti critici sono elementi da dover incentivare continuamente in ogni percorso di maturazione al fine di intrattenere e sostenere con impegno ogni atto di sviluppo. Cfr. Amerio P., Fondamenti di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1995
47
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Nel corso di una attività, infatti, il bambino sperimenta la conoscenza, la elabora, la plasma e la rende propria, acquisendo dei dati su cui fonderà le successive operazioni mentali. L’azione didattica è comunque un processo costituito da una serie di atti “che hanno un ordine realizzativo costruito in modo analogo all’ordine di sviluppo delle potenzialità del soggetto che apprende e che la psicologia dell’età evolutiva descrive e indica, e orientato al conseguimento di uno scopo la cui mèta è riscontrabile oggettivamente perché si traduce in apprendimento”48. Infatti, “l’attività collettiva o individuale degli scolari non poggia solamente, come troppo spesso si indaga, su delle ragioni tratte dalla psicologia dell’interesse o dalla motivazione generale dei comportamenti, ma anche sul meccanismo stesso dell’intelligenza; la reale assimilazione delle cognizioni anche sotto il loro aspetto più intellettuale, presuppone l’attività del fanciullo e dell’adolescente, perché ogni atto d’intelligenza implica un giuoco di operazioni e che queste operazioni non pervengano ad un vero funzionalismo, che nella misura in cui esse sono state preparate da azioni propriamente dette; le operazioni non sono infatti altra cosa che il prodotto dell’interiorizzazione e della coordinazione
48
Rosati L., Lezioni di didattica, Anicia, Roma 1999, pag. 86
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delle azioni, in modo che senza attività non vi potrebbe essere autentica intelligenza�49.
49 Aebli H., Didattica psicologica, Universitaria- G. Barbera, Firenze 1966, p. 91
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3.1 La relazione educativa
Per far sì che l’esperienza formativa sia significativa e rilevante, occorre riflettere ulteriormente sul rapporto tra allievo e maestro, sulle sue dinamiche, sulle sue intersezioni e sulle variabili che influiscono nella naturale formazione della personalità del soggetto. E’ necessario, quindi, che tra i due “attori”, educato ed educante, sorga una “relazione umanamente significativa” “in grado di accreditare l’intrinseca sostanzialità e la coessenziale dignità del destinatario dell’atto educativo, di rispettarne e accogliere i bisogni e le domande fondamentali, di aiutarlo a costruirsi una personalità autonoma capace di decisioni etiche e di libertà responsabile”50. Tale situazione è contaminata da alcuni elementi tra cui la preparazione, la sensibilità culturale, creativa e affettiva dell’educatore e il grado di preparazione e motivazione del soggetto in apprendimento. B. Rossi, pensando all’insegnate, assicura che è possibile sostenere che il maestro influisce più sul percorso di maturazione per quello che è e per ciò che rappresenta che per i contenuti culturali proposti e trasmessi. Di qui è possibile osservare che la “persona insegnante” è fattore predominante nella formazione del 50
Rossi B., Pedagogia degli affetti, Laterza, Bari 2002, p. 85
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soggetto in quanto gli esempi di comportamenti e atteggiamenti danno luogo ad una imitazione che può condizionare la formazione della personalità. Partendo da queste considerazioni, è facile giuoco dimostrare come le doti dell’educatore influiscano in maniera significativa sulla formazione del sé dell’educando. “E’ appena necessario avvertire che negli atteggiamenti e nei comportamenti di chi educa può essere trovata spesso la causa di risposte eccessive o problematiche o disagiate da parte di chi è educato: difesa istintiva, chiusura, sfida, provocazione, trasgressione, manifestazioni asociali, demotivazione nei confronti della conoscenza”51. D’altro canto, Rosati sottolinea tali aspetti stabilendo che se l’educatore si pone in maniera fredda e asettica, come “portatore sano” di conoscenza, senza rendersi minimamente disponibile a capire, o meglio a sentire le emozioni dell’altro, può generare disagio e sofferenza da parte dell’educando, rovinando irrimediabilmente l’anima stessa del soggetto in apprendimento. Il rapporto educativo è basato su forti componenti emotive, il senso di collaborazione, di cooptazione, di appartenenza e, anche più marcatamente, di amore ed odio. Per questo occorre un dialogo continuo, attraverso una comune apertura, al fine di capire appieno i vari stati emotivi entrando empaticamente in confidenza e guadagnarsi la stima e la fiducia reciproca. 51
Ibidem, p. 86
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Tali elementi permettono all’allievo di aprirsi e affrontare responsabilmente tutti i problemi, ottimizzando l’apprendimento e, soprattutto, esprimendo appieno e con profondo senso di solidarietà le proprie potenzialità. Un elogio concreto del potenziale educativo e creativo della persona umana che ha sicuramente bisogno dell’aiuto dell’adulto, sia esso insegnante e/o genitore, per autoeducarsi. Se questa relazione venisse a far difetto sarebbe improbabile, da parte del docente, realizzare un rapporto di stima, di sicurezza e fiducia con il discente; quest’ultimo ha la necessità di essere coinvolto appieno nell’azione educativa in quanto portatore di qualità e caratteristiche del tutto personali. È il docente che ha l’obbligo di farsi garante dei bisogni e delle esigenze dell’allievo. Per attuare un simile processo occorre, però, che l’insegnate si ponga come un interlocutore, sempre aperto e disponibile, capace, altresì, di avvertire empaticamente i bisogni di ogni soggetto, impostando un’azione che sia diretta alla edificazione di un apprendimento sentito, condiviso, piacevole. Il docente deve esortare e ravvivare la curiosità del discente fornendogli gli strumenti con cui esso potrà fare proprie le nuove conoscenze. Il soggetto è dotato di risorse umane che non possono essere ignorate, meno che mai sottostimate, piuttosto, occorre trovare una comune solidarietà educativa per apprendere, e cercare, in esso, la guida più sicura e competente, fondamentale di ogni processo di maturazione.
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In questo contesto assumono grande rilevanza le competenze dell’insegnante. E’ un dovere deontologico e morale del docente che “la verità dell’educazione deve coniugare la razionalità dell’esperienza e l’esperienza del valore”52. Il perfezionamento dell’azione educativa è certamente incatenata alla preparazione professionale degli insegnanti, tuttavia insufficiente “se il sapere che li prepara professionalmente non è in grado, esso stesso, di rendere conto di quell’agire” che “è conoscibile, insieme, per spiegazione (mediante il ricorso a cause) e per comprensione (mediante il riferimento a motivi o intenzioni”53. In effetti la comprensione degli andamenti che rendono concrete le condizioni di apprendimento convalidano l’attenzione che deve essere prestata agli stati mentali ed emotivi. Ecco, allora, che lo slogan del quale si serve tutt’ora anche la pedagogia è derivante dalle riflessioni di Scheffler, il percorso di formazione deve essere “Dalla parte del bambino”, al posto che dare ragione a A. Neill e alle Controscuole che denunciavano che la scuola pare essere “un luogo noioso e triste, preludio ad un esistenza ancora più noiosa e triste in un ufficio o in un’azienda”. Se apprendere esprime l’assumere un dato esperienziale e depositarlo dentro di sé, allora imparare 52
Cfr. Margiotta U., L’insegnate di qualità, Roma, Armando 1998 53 Rosati L., Lezioni di Didattica, Anicia, Roma 1999, pag. 88
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ad imparare segnala un processo che non ha mai fine, che continua anche oltre la scuola, per tutta la vita; rendendo concreta la possibilità di una educazione permanente verso la quale guardano tutti gli Stati Europei per assicurare ai cittadini condizioni di vita e di lavoro appaganti e salutari, e costruire una autentica “civiltà dell’amore”.
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3.2 Atomi dell’educazione
Anche se nella fisica l’atomo non è considerato la più piccola parte della materia, esso costituisce il fondamento di ogni massa in quanto formazione organizzata di elettroni, protoni e neutroni. Ogni singola parte concorre, con il suo variare quantitativo, a formare tutte le cose sensibili. L’atomo educativo da cosa è formato? Partendo dalla coscienza dei complessi meccanismi della memoria, le sostanze che appartengono al più vasto concetto di educazione passano necessariamente per la comprensione e la trasformazione di schemi e costruzioni cognitive dirette alla comprensione delle informazioni, per risolversi con l’applicazione di quella stessa informazione ad un contesto differente da quello in cui si era generata. Oltre a sottolineare una cosciente acquisizione di abilità spendibili nei svariati contesti in cui il soggetto si trova immerso, è importante evidenziare che il primo passo verso la conoscenza consiste nel far proprie sia abilità, aspetti generali, che saperi specifici di ogni disciplina, provocando una netta separazione del “saper fare” da un “sapere puramente fattuale”. Al fine di conseguire un successo duraturo, l’educazione deve essere programmata attorno a quattro pilastri dell’educazione descritti sul finire degli anni Novanta da
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J. Delors nel testo Nell’educazione un tesoro: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere; elementi che verranno poi tradotti dalla più moderna educazione permanente in un “apprendere ad apprendere”. A conferma di quanto espresso, Gattullo stabilisce che si possono evidenziare tre momenti nel processo di comprensione: 1. la traslazione: capacità di trasferire gli elementi esaminati in un determinato tempo e spazio in altri tempi e luoghi in cui non si richiamano direttamente; 2. l’interpretazione: espressione di “capacità di sceverare, in quanto fu oggetto di studio, quel che più era importante da quel che lo era meno, e nel saper conseguentemente individuare i legami logici che collegano appunto tra loro le cose più importanti”54; 3. l’estrapolazione: comprensione completa di un dato evento, nozione o azione riconoscendone le cause e le conseguenze. Nel pensiero di Piaget si può scorgere una sintesi dei tre momenti appena descritti. Il “processo di interiorizzazione”, difatti, descrive come il soggetto può definirsi in grado di eseguire mentalmente ogni passaggio di apprendimento attraverso un percorso, il più delle volte inconscio, sempre rispondente agli stimoli del contesto che lo circonda. Se tutto ciò si basasse 54
Cfr. Gattullo M., Didattica e docimologia, Armando, Roma 1968
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soltanto sulla memoria o sull’abitudine, sarebbe facile gioco dimostrare che invecchia precocemente risultando incapace di riproporsi dopo una elaborazione logicoformale. Le “reazioni abitudinarie non contengono che dei nuclei di comprensione, cioè sono capite solamente le operazioni parziali”55. Il fine ultimo è rappresentato, così, dal far proprie “competenze” che autorizzano ogni persona ad impadronirsi di una pertinente capacità di analisi, di una personalizzazione delle informazioni ricevute, di una sintesi e, infine, di una capacità critica rintracciabile nell’aspetto creativo di ogni persona secondo il modello capponiano che “l’analisi costruisce e la sintesi crea”. Si può così considerare che gli elementi connotativi dell’educazione si definiscono in un progetto che “iniziando con la semplice incorporazione degli oggetti negli schemi sensorio-motori (acquisizione delle conoscenze e delle abilità), si incammina verso un’assimilazione dei fenomeni con le nozioni e le operazioni, sempre più ricche e mediatrici nell’uomo adulto”56, fino a raggiungere l’interiorizzazione e l’assimilazione delle stesse al fine di autoeducarsi permanentemente.
55 Aebli H., Didattica psicologica, Universitaria – G. Barbera, Firenze 1966, p. 67 56 Ibidem, p. 69
6056
3.3 L’apprendimento
Dal punto di vista psicologico, l’apprendimento può essere inteso come l’acquisizione di una qualsiasi tecnica, cognitiva, emotiva o di comportamento; un mutamento continuo delle risposte di un organismo all’ambiente al fine di migliorare il proprio status quo. Per questo “è indubbio che il problema dell’apprendimento è venuto a prevalere nei confronti di quello dell’insegnamento, per merito soprattutto della pscicopedagogia che ne ha fatto suo privilegiato oggetto di indagine, ma anche grazie ai contributi della sociologia e della psicologia, che ne hanno permesso di analizzare e individuare i fattori che agiscono sull’apprendimento e sulle modalità del suo attuarsi”57. Il predominio della fase di apprendimento su quello di insegnamento produce notevoli riflessioni. Sicuramente lo spostamento dell’atto educativo dall’educatore all’educando, sancito dal Richmond nel 1960, mette in luce che ogni comportamento è un fatto individuale, cioè un atto deliberato e voluto dal soggetto che impara. Perché ciò accada, si rende necessario il motivare il soggetto discente permettendogli di essere nelle condizioni ottimali per attivare ogni sua 57 AA.VV., Metodologia e didattica. questioni lessicali, Edizioni Scientifiche Italiane, Università degli Studi di Perugia 1998, p. 96
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potenzialità psico-fisica. Cropley sintetizza quanto appena espresso affermando che “la scuola dovrà incoraggiare l’alunno a riconoscere l’esistenza dei problemi e a ricercarne le soluzioni”58. Ecco allora l’esigenza di una scienza dell’educazione che invita ad organizzare i saperi e i contenuti dell’istruzione in piccole unità di lavoro che di volta in volta vengono fatte proprie dal soggetto in apprendimento. Mettendo insieme il valore deontologico di ogni insegnante e le necessità di ogni discente è realizzabile una gerarchia degli obiettivi dell’apprendimento, suggerendo una figura d'insieme che depenni un apprendimento basato esclusivamente sull’utilizzo della memoria, che pur essendo importante non può rappresentare il tutto. Derivante dal lavoro di Bloom59, non può essere trascurata una tassonomia che connota e descrive gli obiettivi, il grado di importanza e li organizza secondo sei livelli60: 1° conoscenza: sapere nozionistico, mnemonico, di informazioni e dati puramente quantitativi. In questo livello rientrano i contenuti specifici, di conoscenza applicativa, di criteri, di metodologie e
Cfr. Clopley A., Creatività, La Nuova Italia, Firenze 1969 Cfr. Bloom B. S., Tassonomia degli obiettivi educativi, tr. it. Giunti & Lisciani, Teramo 1982 60 Vertecchi B., Manuale della valutazione, FrancoAngeli, Milano 2003, pp. 202/204 58 59
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teorie riguardanti un distinto settore della conoscenza; 2° comprensione: fare proprio un concetto. Bloom ne distingue due gradi: traduzione e interpretazione; 3° applicazione: astrazione del concetto chiave al fine di renderlo fruibile in successivi momenti rispetto a quello in cui è stato generato; 4° analisi: la abilità di comprensione si rende palese nel cogliere elementi impliciti, ma non direttamente comprensibili; 5° sintesi: assemblare secondo determinati canoni gli elementi dell’analisi al fine di crearne di nuovi, unici e irripetibili; 6° valutazione: richiede una azione di critica dettagliata. Consiste nel poter soppesare qualitativamente e quantitativamente un dato evento o elemento. Oltre ai livelli appena descritti, l’apprendimento, per giungere ad essere un apprendimento efficace e duraturo, tiene in considerazione un ulteriore aspetto. Gli antropologi, tra cui è lecito ricordare Arnold Gehlen61, hanno stabilito che l’essere umano ha la più “lunga infanzia” rispetto a tutti gli animali così detti “superiori”. Secondo l’antropologo proprio l’assenza di istinti e schemi precostituiti rendere l’uomo capace di produrre “cultura”. Se da un lato, quindi, la lunga gestazione e una marcata fase infantile sono un limite Cfr. A. Gehlen, L’Uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Feltrinelli, Milano 1983
61
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materiale, ogni bambino dipende dall’adulto, dall’altro permette all’uomo di evolvere come nessun’altro essere vivente. Infatti, se pur fornito di eccezionali capacità cerebrali e una elevata attività neurale, tanto da portare ad affermare che si apprende più nei primi due anni di vita che sul restante, il neonato è “privo di dispositivi in atto che soltanto l’educazione gli può fornire”62. In quanto prodotto di cultura, l’educazione umana trova la sua massima espressione nella formazione della personalità e nell’approccio pedagogico all’uomo. Le potenzialità individuali della persona nascono, infatti, da quel bagaglio esperienziale, proprio ed intimo, che sta all’interno del singolo. Se si nega all’uomo la possibilità di “realizzarsi” fin dalla nascita, in piena autonomia e libertà, l’atto educativo si svuota completamente del significato valoriale che rappresenta e l’apprendimento diviene atto mnemonico e sottovalutato. L’apprendimento è qualcosa di naturale che avviene secondo, adottando linee di principio di Max Weber, una “razionalità da scopo” ottenibile attraverso la frammentazione del processo di apprendimenti in unità più semplici. “Quando si osserva un processo naturale, sostiene Simon, costatiamo che si sviluppa per piccole tappe, ciascuna delle quali, può, in effetti, essere semplice, ma tutte insieme raggiungono un risultato complesso. Allo stesso modo, se i processi mentali sono essi stessi semplici, l’apprendimento elabora i dati 62
Cfr. Acone G. Fondamenti di Pedagogia Generale, op. cit.
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introdotti in memoria e può produrre un comportamento che ci può sembrare complesso: non c’è bisogno di azioni complesse per produrre risultati complessi”63. Simon ribadisce il fatto che solo attraverso una forte attività combinatoria e di costante relazione tra i fattori, così detti semplici, è possibile giungere a “configurazioni complesse”. Il problema dell’apprendimento diventa, così, non solo di ordine quantitativo di una sommatoria di conoscenze spendibili, ma di una adeguata organizzazione delle strutture significative che relazionandosi producono apprendimento e conoscenza.
Richmond K. W., Il computer nell’educazione. Pro e contro, Armando Editore, Roma 1985, p. 8
63
6561
4.
Il ruolo delle tecniche e degli strumenti in pedagogia
La complessità dei fenomeni educativi e la sua persistente dinamicità contestuale richiedono alla pedagogia una pluralità di forme di intervento di indagine e di investigazione. Una ricerca pedagogica che si avvale costantemente di tecniche di rilevazione, di analisi e al fine di procurare percorsi funzionali all’apprendimento, se da un lato consente una specificità problematica, dall’altro occorre che garantisca che questa stessa apertura e pluralità non sfoci in una frammentazione estremamente dannosa e dalla quale è difficile uscirne illesi. Questa impostazione consente non solo di determinare la pertinenza e la risposta che la pedagogia offre ai vari problemi che di volta in volta si presentano davanti, ma soprattutto di stabilire la sua rilevanza attraverso l’adozione di tecniche e strumenti efficaci rispetto a quegli stessi problemi. Ecco, allora, che la pedagogia si avvale di tecniche di indagine per la rilevazione dei così detti dati, i quali possono essere classificati secondo l’ormai datato, ma sempre valido, assunto che ne connota da una parte l’elemento quantitativo e di misurazione, dall’altro di interpretazione qualitativa.
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Senza addentrarci troppo in questa divisione delle tecniche, l’esigenza di allargare le valutazioni fatte fino a questo momento ai sistemi di ingerenza educativopedagogico fonda le sue radici nella presa di coscienza, ormai ventennale, che la pedagogia non può essere più stimata quale scienza che arresta la il suo impegno solo su aspetti empirici. Nelle parole di P. Bertolini è possibile dare sostegno di quanto appena espresso: “se le strutture originarie della pedagogia, connotandosi come altrettante direzioni intenzionali, hanno evidenziato il loro carattere dinamico, e se di conseguenza hanno rinviato necessariamente ad un discorso operativo indicandone gli orizzonti di senso che ne garantiscono la correttezza scientifica; altrettanto necessariamente quegli stessi orizzonti di senso originari, pur nella loro esplicazione metodologica, esigono, come condizioni di fattibilità, discorsi chiari e congruenti sul piano delle procedure d’intervento e degli strumenti operativi”64. In particolare si deve chiarire che entrambe le impostazioni posseggono forme peculiari di ricerca, di relazione, di aspetti teorici e pratici: le tecniche, gli strumenti e tutti gli aspetti empirici non sono per così dire “deteorizzati” e privi di indicazioni di carattere concettuale, così come, del resto, le indicazioni teoriche non sono immuni da sperimentazioni prassiche. Piuttosto esse si diversificano nell’affrontare un 64 Bertolini P., L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenologicamente fondata, La Nuova Italia, Firenze1999, p. 113
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problema e nella sua risoluzione. Una duplice veste che trova campo fertile soprattutto sotto una evoluzione storica delle richieste che la società ha promosso nei confronti della pedagogia. Non poche sono le risultanti di questo avvicinamento tra le quali è da sottolineare soprattutto il gap venutosi a formare tra momento dottrinale e prassico. Oltre al campo di azione, a contenuti mirati, a specifiche finalità, per far sì che ogni scienza si possa definire autonoma occorre un sostanzioso corollario di tecniche e strumenti sempre più mirati, capaci di fornire adeguate negazioni soprattutto nel momento valutativo. Le tecniche rappresentano non solo il cogliere la più opportuna spiegazione e soluzione per un determinato contesto, ma fungono da mediazione tra il concetto e l’azione. Famosa è la riflessione offerta da J. Dewey, il quale sottolinea l’assoluta necessità di comunicazione tra i fini e i mezzi che si hanno a disposizione nel processo educativo. Sulla falsa riga della riflessione proposta da Dewey, Ladrière connota la tecnica come attuazione della scienza al mondo della realtà, un’azione puramente concreta al fine di analizzare o modificare un determinato stato. La tecnica, quindi, non presenta aspirazioni trascendenti o spirituali nel suo indagare né, tanto meno, si fa carico di quei valori che donano senso e completezza all’intera esperienza educativa. Gli strumenti e le tecniche che la pedagogia adotta, quindi, non solo partecipano e sostengono l’azione
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pedagogica all’interno della scuola, ma assistono al suo essere scienza. Un completamento che conta tecniche e strumenti senza precipitare, però, in quel tecnicismo che annichilirebbe qualsiasi senso e percezione educativa, facendo perdere, insomma, quel senso “artistico” che colora ogni intervento di maturazione. L’esplorazione condotta dalla ricerca pedagogica, in riscontro con l’evoluzione delle scienze dell’educazione, assicura che tanto più ampio e è specifico l’ambito entro cui si opera, tanto maggiore sarà il riconoscimento del potenziale umano che l’educazione è chiamata in causa a liberare e promuovere. Le scienze dell’educazione, tra queste a maggior ragione la pedagogia, hanno finito con l’assumere sia dall’esterno, che dall’interno una grande rilevanza scientifica legittimata e sostenuta sul piano scientifico ed epistemico da quegli strumenti che gli consentono di indagare sull’uomo. Gli strumenti assumono quindi, un valore significativo, affrancato da quella scientificità comunemente richiesta ad ogni scienza per definirsi tale. Gli strumenti sono molti e diversi. Ciascun educatore, prima di tutto, “potrebbe costruirsi una propria tecnica di osservazione e di analisi, nella propria situazione pedagogica concreta, individuando e dominando, a proprio modo, le varie funzioni di insegnamento e apprendimento che si scopre a mettere in atto e provando quindi a tenerle sotto controllo, ripetendole in situazioni diverse, tenendo conto dei
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precedenti e dei conseguenti, ecc.”65. Sicuramente per mettere in atto uno strumento così specifico, che analizza in modo ineguale i soggetti e il contesto specifico, deve essere compiuto un grande sforzo creativo di produzione assieme ad una marcata deontologia professionale. È possibile, così come spesso accade, che “l’operatore utilizzi una tecnica già formulata, la sua adesione, o la sua scelta, possono essere indirizzate innanzi tutto dall’intenzione di sottoporre ad osservazione accurata uno solo dei tanti aspetti comportamentali che l’interazione verbale di classe certamente esprime ovvero dall’intenzione di giungere a tracciare un quadro generale e complessivo delle situazioni pedagogiche in termini di funzioni verbali”66. Nel primo caso l’educatore opera secondo una tecnica di tipo analitico, identificando alcuni aspetti specifici e isolandone altri, mentre nel secondo caso di tipo scientifico, l’analisi porta a una descrizione multipla e parallela dei vari comportamenti osservati. Senza andare ad analizzare la prospettiva offerta da Joyce sull’efficacia delle tecniche e degli strumenti, così come della riflessione fatta da Flanders sulla flessibilità e non flessibilità o dell’impostazioni di Ballak sulle azionioperazioni, ciò che preme sottolineare è che gli strumenti o/e tecniche aprono una querelle che assume Becchi E., Vertecchi B., a cura di, Manuale critico della perimentazione e della ricerca educativa, Franco Angeli, Milano 1985, p. 161 66 Ibidem, p. 162 65
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un notevole valore proprio perché da questo deriva la condizione di capacità dell’azione educativa. Nella realizzazione di una proposta formativa e nella sua consecutiva attuazione pratica, l’accorta scelta di strumenti e tecniche deve essere compiuta con percezione scientifica e conoscenza delle caratteristiche che ogni strumento possiede. Il processo educativo non si precisa nell’adozione di una sola strumentazione, ma promuove una poliedricità funzionale di più tecniche e strumenti visti nella loro unicità e peculiarità di adozione. Il quesito diviene, quindi, “quello di conoscere i pregi e i difetti dello strumento impiegato, ovvero di sapere esattamente quali siano le sue caratteristiche formali, quale sia il livello di misurazione (qui ci riferisce a strumenti di valutazione)dell’apprendimento consentito dallo strumento, quali operazioni siano permesse dal tipo di misurazione compiuta, e, quindi, quale grado di affidabilità si possa ragionevolmente attribuire alle informazioni desunte dai dati rilevanti e opportunamente trattati”67. Ciò che risulta palese è che le tecniche e gli strumenti devono essere considerati un supporto essenziale dell’atto educativo, ma mai essere accreditati come istanze formative a sé stanti, un sostegno che si calibra flessibilmente a seconda delle necessità.
67 Cfr. Domenici G., Gli strumenti della valutazione, Tecnodid, Napoli 1991
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Vertecchi68sottolinea, infatti, che sia gli strumenti che le tecniche che vengono utilizzati devono tendere alla realizzazione o confutazione di prospettive didattiche o pedagogiche malleabili in grado di definirsi scientifiche. Tali strumenti e tecniche, inoltre, fondano il loro operato sul enorme mole di informazioni in grado di reperire, tenendo sempre a mente che è solo per mezzo di una unione e di un utilizzo plurimo di queste risulta possibile giungere alla piena comprensione della situazione educativa, al fine di modificarla e renderla il piÚ efficace possibile.
68
Cfr. Vertecchi B., Valutazione formativa, Loescher, Torino 1976
7368
4.1 Il problem solving
I problemi esistono in quanto esistono degli obiettivi. Ci accorgiamo di avere un problema quando incontriamo una difficoltà nel nostro percorso o quando ciò che stiamo facendo non consente di ottenere gli effetti desiderati. A questo punto ci rendiamo conto di avere un problema e spesso questo stato ci disorienta e scoraggia, come se quell’ostacolo fosse qualcosa di irrimediabilmente insuperabile. L’approccio scientifico della ricerca di soluzioni rispetto ai vari problemi educativi in principio veniva sviluppata secondo una impostazione puramente intuitiva: percezione di un problema; definizione, analisi e parcellizzazione in sottoproblemi (come a voler dire che suddividendo il problema originario in piccoli problemi di volta in volta di più facile soluzione comportassero lo scioglimento del problema iniziale). Per risolvere il problema dobbiamo cambiare qualcosa, dobbiamo inventare dei percorsi alternativi, nuovi, efficaci e creativi. Il Problem Solving è l’arte delle strategie per raggiungere gli obiettivi. Con Problem Solving si vuol indicare l’insieme dei criteri per studiare, esaminare e trovare la soluzione a determinate situazioni problematiche. La sua traduzione letteraria, infatti, significa “risolvere problemi” ed è un dinamismo del pensiero messo in opera dalla persona
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per pervenire ad una condizione desiderata, la soluzione, a partire da un presupposto dato, il problema. È possibile rintracciare, dunque, all’interno di questa tecnica una filosofia, una impostazione di fondo del pensiero e cioè quello della continua ricerca delle soluzioni non appena si avverte un problema. Il Problem Solving può essere definito una capacità di avvicinamento ai problemi, una metodologia che sollecita continuamente la persona al miglioramento personale e, di riflesso, collettivo. Le procedure che determinano la risoluzione dei problemi “consistono in una serie di passaggi che partono da una attenta considerazione della situazione iniziale. Perché il problema sia reale, non una sovrastruttura mentale posta soltanto per attivare le procedure sequenziali, occorre sincerarsi della sua entità, circoscrivibile ad un dato contesto, ad un coinvolgimento oggettivo della persona impegnata a trovare soluzioni, alla rilevazione concreta delle potenzialità disponibili per raggiungere il successo”69. Queste potenzialità, o per meglio dire risorse, vengono ad essere analizzate in questa prima fase di studio del problema e possono essere di due tipi: materiali e spirituali. Nel primo caso rientrano tutte quelle risorse come le innovazioni tecnologiche, le possibilità economiche, l’ambiente, ecc; mentre nel secondo caso si possono far rientrare tutte quelle energie 69 Rosati L., Didattica della cultura e cultura della didattica, Morlacchi, Perugia 2004, p. 132
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possedute dal soggetto come la conoscenza, l’esperienza, il potenziale creativo, l’intelligenza e il bagaglio valoriale. Riconoscere un problema attiva delle operazioni di investigazione, di sperimentazione, di esplorazione e di ricerca di cambiamenti che consentono di raggiungere gli obiettivi di modifica della realtà in quanto rivelatasi insufficiente e inadeguata. Il Problem Solving abbraccia distinti passaggi, i quali si intrecciano per dar libero accesso alla soluzione. Possiamo suddividerli in 4 fasi: - prima fase, identificazione del problema, delle risorse e dell’obiettivo (fase osservativa). Avere accesso agli aspetti più profondi della nostra vita, riconoscere e accettare, cioè, i nostri autentici bisogni, i nostri desideri, le nostre esigenze e le nostre paure. - seconda fase, creazione di eventuali soluzioni (fase creativa). Ha come fine quello di concepire soluzioni possibili e per questo è richiesto un atto che lasci terreno libero al pensiero e dia licenza di lasciarsi trasportare dalle proprie visioni, intuizioni, sensazioni ed emozioni. In questa fase è importante lasciare la mente libera di collegare tra di loro elementi apparentemente lontani, avere accesso alle nostre risorse e formulare anche quelle ipotesi che normalmente escluderemmo perché apparentemente poco realistiche e incompatibili con le nostre idee di fondo. La ricerca di soluzioni, infatti, richiede a volte l’abbandono di alcune
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convinzioni che ci hanno guidato in precedenza, oppure la loro integrazione o modifica. - terza fase, scelta, valutazione e pianificazione della soluzione (fase critico-realistica). Questa fase si prefigge l’obiettivo di produrre dei veri e propri piani di azione, una concretizzazione ottimale della fase creativa. Le idee diventano progetti. - quarta fase, realizzazione della terza fase e valutazione dei risultati ottenuti (educativa). Il suo scopo è di rendere effettivo il progetto e include la valutazione empirica della sua efficacia. È caratterizzata da un atteggiamento mentale operativo, pratico, esecutivo. C’è da aggiungere che è possibile reiterare i passaggi qualora i risultati ottenuti non diano soddisfacenti garanzie. La guida alla soluzione dei problemi, quindi, non è da rintracciare nell’intuito o nella fantasia di ogni soggetto capace di superare un ostacolo e nemmeno in una persona capace di guidare ognuno al di la dell’ostacolo, ma “nella sequenzialità ordinata delle procedure da seguire, sia con la predisposizione degli strumenti che delle tecniche da utilizzare. La soluzione si darà come felice intuizione, come scoperta dichiarata attraverso un’espressione parecchio comune: evviva, ho trovato!”70.
70 Rosati L., Didattica della cultura e cultura della didattica, Morlacchi, Perugia 2004, p. 133
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Va da sÊ che il gusto della scoperta e le sfide che si incontrano nel cammino producono nella persona uno stato di esaltazione cerebrale, dove ogni neurone viene utilizzato per il raggiungimento di un obiettivo che si è ritenuto primario.
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4.2 La ricerca azione
La dicotomia più volte richiamata tra istanze teoriche e connotazioni pratiche rileva un’ulteriore aspetto. La frattura tra sviluppo scientifico e la percezione/sfruttamento che ogni soggetto ha di questa produce un forte disorientamento denunciando un pericoloso primato della scienza sulla persona. Difatti, “l’attenzione prestata alla ricerca in un contesto molto specifico, quello della prassi, sembra dare man forte alla esigenza che emerge dalla scuola di provare a risolvere da sé i problemi di natura didattica che si incontrano nel quotidiano. La ricerca teorica, o meglio la ricerca pura, peraltro, appare abissalmente lontana dalla pratica scolastica. Se questo è vero, lo è però soltanto parzialmente anche se può essere assunta con superficialità l’ipotesi di fare della scuola un laboratorio di ricerca didattica”71. E’ in tale contesto che la R-A esprime tutta la sua efficienza in quanto “studiare un problema vuol dire interessarsene e quindi riferirsi a una determinata aspettativa che può essere ancora male espressa, ma che tutto sommato, determina l’oggetto di studio. Tale impostazione mette in crisi la concezione globale della scienza, che non appare più come la ricerca di una 71
Rosati L., Lezioni di Didattica, Anicia, Roma, 1999, pag. 80
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concezione del mondo, ma come la ricerca di possibilità di azione, come acquisizione di un potere sul mondo. Non si tratta di comprendere qualcosa, quanto di acquisire un potere di fare”72. D'altronde la capacità di fare è direttamente legata alle esigenze che la società richiede, dove lo sviluppo della ricerca sia percepibile dalla persona come acquisizione di quelle pratiche che gli permettano di essere “cittadino del proprio tempo”. La R-A, quindi, si definisce come “un approccio che ingloba l’attore in un progetto, vale a dire in una politica, in una intenzionalità dei contratti, dei ruoli, delle aspettative, e, nello stesso tempo, lo coinvolge in un processo di riflessione e di analisi che noi diciamo essere armato, vale a dire operante garanzie a dispositivi di raffinamento dei dati”73. Questo avvicinamento porta a riscoprire la spesso ormai erroneamente dimenticata idea espressa da Tocqueville per cui tutti possono migliorare le proprie condizioni di vita: basta aumentare le possibilità di avanzamento, piuttosto che lasciare il soggetto nell’insoddisfazione e nella frustrazione. La R-A è espressione del problema sociale derivante dalla percezione del soggetto e costituisce di fatto una sociologia in azione e pertanto rappresenta un continuo passaggio tra analisi della situazione e l’azione stessa. Cfr. Fourez G., La science partitane, Gembluox, Duclot 1974 Becchi E., Vertecchi B., a cura di, Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Franco Angeli, Milano 1985, p. 138 72 73
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Tale tecnica possiede un notevole coinvolgimento degli attori chiamati in causa (per questo si definisce partecipativa). Per tali ragioni se, la ricerca-azione ha il merito di far “incontrare teoria e pratica non sembra tuttavia fornire buone ragioni per il sostegno di un itinerario che muove dalla prassi, si fa riflessione e alla prassi ritorna, escludendo, aprioristicamente, una teoria che preceda il momento della applicazione pratica. Serve innegabilmente ai personaggi che nella ricerca – azione sono coinvolti, li aiuta nel processo di emancipazione […], può trovare nella scuola una funzione efficace nell’aggiornamento degli insegnanti, meno che mai, comunque, secondo noi nella sperimentazione didattica, perché la sperimentazione nella scuola ha un elevato tasso di moralità e la persona che apprende non può essere considerata oggetto della ricerca”74. L’esigenza di riflettere sulla propria pratica, di osservare la propria azione quotidiana, di porsi domande di fronte alla problematicità degli eventi educativi e diventare attore-protagonista ha prodotto non poche riflessioni che offrono al docente e al discente la possibilità di investire e investigare su se stessi con metodo. Questa operazione è diretta alla lettura e comprensione di quanto succede in classe, per poter poi intraprendere la strada dell’innovazione e cambiare, migliorando, il proprio agire professionale. “E’ innegabile il grande magnetismo che la ricerca – azione produce nell’unire coloro che sono alla base della 74
Rosati L., Lezioni di Didattica, Anicia, Roma, 1999, pag. 81
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costruzione del sapere e naturalmente degli strumenti che si utilizzano nella prassi, cosicché insegnanti e ricercatori si troveranno a unire le loro competenze e a lavorare insieme”75. Oltre alle caratterizzazioni già ricordate, Pourtois riassume i tratti peculiari della ricerca azione in sette punti: 1. la connessione con i problemi socio-educativi; 2. il circolo analisi-azione; 3. l’elaborazione delle transizioni; 4. l’emancipazione degli attori; 5. il coinvolgimento esistenziale degli attori; 6. la riabilitazione dell’affettività e dell’immaginario; 7. la centralità dell’efficacia. Baldacci sottolinea che “questo insieme di assunti ha esercitato una notevole influenza sulla concezione della r-a. La connessione con i problemi educativi, il processo decisionale partecipato e il circolo tra azione e riflessione praticato attraverso il confronto e l’accordo hanno contribuito ad accreditare la r-a come modello utilizzabile dagli operatori pedagogici nella loro attività educativa quotidiana come paradigma in grado di dare a quest’ultima una dimensione di ricerca affrancata dai formalismi del metodo sperimentale”76. Certamente un tale tratto distintivo determina un corpus di assunti di grande spessore, che contraddistinguono una Ibidem, p. 80 Baldacci M., Metodologia della ricerca pedagogica, Mondadori, Milano 2001, p. 140 75 76
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metodologia di ricerca che si distacca da quella tradizionale e si dirige verso il soggetto in apprendimento quale fruitore dei processi educativi. A conferma di ciò la Fabbri sottolinea che “la ricerca e con essa l’università, in quanto luogo emblematicamente deputato alla costruzione della conoscenza, non possono non rispondere alla sfida della produzione di una conoscenza socialmente emancipativa capace di contribuire alla soluzione dei problemi presenti nelle comunità sociali e professionali. In questione è l’impegno ad evitare la costruzione di una conoscenza autoreferenziale, autotelica, decontestualizzata quale è quella che in parte ha caratterizzato la ricerca scientifica. In questo senso, si può riconoscere un movimento tendente a spingere la ricerca a connotarsi come ricerca-intervento”77.
77 Fabbri L., Comunità di pratiche e apprendimento riflessivo. Per una formazione situata, Carocci, Roma 2008, p. 148
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4.3 Il Mastery learning
Con il termine Mastery Learning si vogliono indicare tutte quelle le procedure di individualizzazione dell’azione formativa finalizzate al raggiungimento di una determinata padronanza. La sua traduzione, infatti, significa “apprendimento della padronanza”. Derivante dagli studi intorno agli anni Sessanta di B.S. Bloom e Carrol, il mastery learning78 ha la grande facoltà di migliorare le attività educative attraverso la sua elevata flessibilità e modificabilità metodologica e strumentale. Tali caratteristiche hanno permesso al mastery learning di essere accreditata come una tecnica altamente personalizzante e personalizzata, capace, inoltre, di strutturare modelli di intervento finalizzati a promuovere condizioni ottimali di successo educativo. “Queste procedure, avendo alla base una visione positiva della persona, in grado di migliorarsi e conseguire buoni risultati, hanno favorito l’elaborazione di una didattica flessibile, diversa in tutto e per tutto da quella di stampo tradizionale. Tutti gli allievi sono in grado di conseguire risultati positivi, purché vengano
78 Gli scritti principali su tali ricerche sono raccolti in: Block J. H., Mastery Learning- procedimenti scientifici di educazione individualizzata, Loesher, Torino 1972
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messi nelle condizioni il più possibile adeguate per apprendere”79. In tali prospettive si può affermare che il mastery learning più che essere una tecnica da chiamare in causa solo nel momento del bisogno può essere considerata un esempio di insegnamento individualizzato che trova il suo punto di forza nella valorizzazione di una valutazione continua dei bisogni e delle motivazioni di ogni singolo soggetto in apprendimento. A tal proposito Tornar sottolinea che il mastery learning è un “esempio di insegnamento individualizzato nel quale gli studenti sono valutati in relazione alla prestazione comportamentale attuale e passata, progrediscono secondo il loro ritmo d’apprendimento e a tutti si cerca di dare l’opportunità di raggiungere risultati positivi. Inoltre esso enfatizza la verifica formativa dei cambiamenti intellettivi ottenuti durante il processo di istruzione”80. È possibile riassumere molto schematicamente i presupposti operativi del mastery learning prendendo spunto dalle riflessioni fatte dalla Grandi81: 1. l’insegnante o gli insegnanti devono definire in modo chiaro quali siano gli obiettivi Cfr. Mancini R., La valutazione delle attività educative, Anicia, Roma 2006 80 Cfr. Tornar C., Dimensioni cognitive e affettive di orientamento, Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Scienze dell’Educazione 2004 81 Cfr. Grandi G., Misurazione e valutazione, La Nuova Italia, Firenze 1991 79
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dell’apprendimento ed il livello di padronanza che gli alunni dovrebbero raggiungere al termine del processo educativo; 2. segmentare in unità minime e brevi il materiale oggetto di insegnamento definendole con precisione e organizzandole gerarchicamente in modo tale che l’apprendimento avvenga secondo canoni precisi; 3. definire la disponibilità degli strumenti di accertamento capaci di verificare la padronanza o meno da parte degli studenti in ciascuna unità in modo che si possano colmare velocemente le lacune che si creano inevitabilmente durante l’iter educativo; 4. predisporre in modo operativo tutte le condizioni affinché il soggetto possa nella maniera più semplice usufruire delle risorse e dei vari insegnamenti impartitegli. Se la padronanza delle prime unità è particolarmente curata si può procedere in seguito in modo molto veloce e sicuro. La messa in atto di un modello didattico così organizzato inizia con un accertamento diagnostico teso a far emergere carenze e lacune che potrebbero rallentare o pregiudicare il successo formativo. Il percorso, una volta avviato, procede seguendo le varie unità di apprendimento con l’attenzione di non passare alle unità successive se ognuno non ha conseguito quella precedente, la verifica che viene fatta al termine di ciascuna unità viene
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finalizzata al recupero delle lacune riscontrate attraverso specifiche attività compensative. Tutte le ricerche che nel corso del tempo si sono susseguite sul mastery learning sono basate su un assunto fondamentale: chiunque può apprendere bene quello che gli viene insegnato e avere successo in qualsiasi campo disciplinare, purché siano presenti condizioni favorevoli. Alla basa di tale tecnica, quindi, c’è l’attitudine ad apprendere, in un determinato periodo, la padronanza ad eseguire un compito. Il modello espresso fino ad ora diventa parte fondamentale nella realizzazione di una più efficace organizzazione formativa, capace di un sicuro conseguimento di obiettivi formativi e di promuovere uno sviluppo delle motivazioni e delle emozioni che il maturare e l’evolvere suggerisce continuamente.
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5. La tecnica e la tecnologia
Il processo di divisione del lavoro di apprendimento in unità più semplici e la loro ricomposizione in schemi percorsi via via sempre più complessi, prospettato da Weber, sta alla base di un apprendimento tecnologico. Va da sé che una prudenziale descrizione tassonomica degli obiettivi comporta, oggi più che mai, l’utilizzazione di strumenti tecnologici atti al controllo, alla memorizzazione, alla riproduzione ed alla elaborazione dei dati. La strada formativa cerca di realizzare obiettivi che non si circoscrivono ad un apprendimento delle conoscenze, ma conferiscono una specificità a tutte le potenzialità del soggetto. L’evoluzione della tecnica ha costruito, nel corso del tempo, una tecnologia sempre più all’avanguardia. Difatti, “se la tecnica è un mezzo, la tecnologia è ciò che ha reso possibile l’applicazione rigorosa della scienza al mondo della realtà, per produrre la tecnica, ossia tutta quella serie complessa d’attrezzature e di sistemi virtuali che aiutano l’uomo a dominare la natura, a migliorare le proprie condizioni di vita, ad impiegare nelle sue attività gli strumenti che ne facilitano il corso e la comprensione”82. 82
Rosati L., Lezioni di didattica, Anicia, Roma 1999, p. 103
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Tecnica e tecnologia sono in comune accordo qualora all’avanzare dell’una corrisponda un adeguamento dell’altra. Non è possibile pensare una tecnica senza il suo supporto tecnologico corrispondente, così come, del resto, non è possibile promuovere avanzamenti tecnologici senza una relazionata tecnica. Di esempi se ne trovano in ogni angolo; le nuove forme tecnologiche investono tutto l’agire umano, dal fare spesa attraverso il pagamento con il bancomat, al cambiamento imposto nelle relazioni sociali con i cellulari, dal modo di fare sport attraverso cardiofrequenzimetri sempre più sofisticati, al metodo di studio attraverso l’attivazione di corsi on-line, ecc…. La tecnica, così come la tecnologia è in ogni dove e in ogni quando, tanto da portare Severino a prospettare che il destino della tecnica è segnato dal suo dissolversi in quanto sarà parte naturale dell’agire umano. Comunque il destino della tecnologia è e rimarrà quello di modificare il tempo presente, anche se non è difficile dimostrare che tanto più ampio e significativo sarà il corso di trasfigurazione, tanto risulterà essere difficile stare al passo con i tempi. E’ giusto fare alcune precisazioni. Con tecnica è lecito intendere un complesso di regole e/o norme che disciplinano un esercizio intellettuale o una attività pratica. Derivante dal greco tèchne che significa filosoficamente arte nel tramandare le conoscenze per mezzo dell’ingegno umano di generazione in generazione, la vera natura della tecnica non è solo una
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serie di fasi, passaggi, ma è l’uomo stesso che nel corso della propria esistenza ha modificato e piegato la tecnica al proprio servizio. Non è, quindi, solo la percezione storica ed evoluzionistica, ma valore creativo di originalità e fantasia esplorativa, capace produrre risposte sempre più aggiornate ai vari problemi. La tecnologia si appropria e modifica le tecniche convertendole in una identità propria. A tal proposito McLuhan afferma che le tecniche “costituiscono un’estensione della mente, un’opportunità per potenziare le capacità cognitive, un’occasione per costruire una rete di risorse in grado di accrescere in maniera esponenziale le potenzialità conoscitive, migliorando di conseguenza la stessa vita dell’uomo”. Lo stesso Autore stabilisce, inoltre, che “dietro le tecniche agiscono le idee, progetti sociali, utopie, interessi economici, le molteplici interazioni dell’uomo con la società. Le tecnologie sono pertanto in costante relazione reciproca e complessa con la cultura e con la società”83. Nota, a tal proposito, è la posizione di Heidegger quando stabilisce che più che “pro-durre” solo benessere , le tecnologie “pro-vocano” un aumento delle risorse sia energetiche che economiche. Una dura lotta contro una tecnologia che di mano in mano “ha ridotto gli spazi della creatività personale che ha fatto leva sulla manualità, nella pratica lavorativa come nelle attività 83 Cfr. McLuoan M., in Falcinelli F., a cura di, Caratteri e strumenti della formazione in rete, Morlacchi, Perugia 2003
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intellettuali soltanto che si ponga a mente alla nuova forma di comunicazione che prima delle idee chiama in causa le abilità tecnologiche e informatiche”84. La forza seducente che le tecnologie esercitano nell’uomo, però, “prende anche i nostri corpi e li attrae e coinvolge in attività che hanno di solito un impatto diretto o indiretto sul nostro umore, sui nostri desideri, sull’intuito, sull’estro e perciò anche sul pensiero e sull’azione. Quando si naviga su internet i tipi di connettività mentale cambiano e si moltiplicano in tempo reale per stabilire contatti con parole, immagini e suoni on-line”85. Nuove richieste, nuovi luoghi di apprendimento, nuove situazioni da gestire, che se da un lato provocano notevoli miglioramenti educativi, dall’altro confermano la necessità di un ripensamento pedagogico-didattico continuo, capace di far incontrare risorse e bisogni formativi.
84 85
Rosati L., La scatola magica, Morlacchi, Perugia 2006, p. 44 Rosati L., Lezioni di didattica, Anicia, Roma 1999, p. 108
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5.1 E-learning
Mauro Leang nel 1984 ha tracciato linee orientative riguardo la trasmissione dei saperi. Il pedagogista, infatti, afferma che “nell’ambito della comunicazione tra soggetti è sempre stato riservato un senso particolare, diremmo privilegiato, all’insegnamento. Insegnare val dunque non solo come esibire segni, ma anche soprattutto come presentare segni selezionati ad uno scopo. Ma se istruire significa trasmettere notizie, presentando serie ben connesse di rappresentazioni l’educazione, invece diviene il processo prevalente dell’istruzione dei comandi”86; così da rendersi efficace solo quando si renderà capace di trascinare all’azione il soggetto e renderlo parte attiva del suo processo di apprendimento. Anche se ha poco a che vedere con ciò che oggi si intende con il termine e-learning già negli scritti epistolari di Platone di S. Paolo si indicavano alcune metodologie circa istruzione a distanza di stampo cristiano. In questa prospettiva la formazione a distanza è presa nella sua accezione più semplice e perciò ha origini molto lontane. 86 Cfr. Leang M., L’educazione nella civiltà tecnologica. Un bilancio preventivo e consuntivo, Armando, Roma 1984
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Nel voler indicare, però, una prima modellistica di e-learning più consona ai tempi odierni si deve arrivare verso la seconda metà dell’ottocento e più precisamente in Svezia ed in Inghilterra. In questo periodo furono attivati dei corsi a distanza, spesso per corrispondenza, per combattere l’analfabetismo che imperava in quel periodo. L’innovazione tecnologica del novecento ha promosso il successivo scatto di qualità. La storia della formazione a distanza vera e propria “attraversa un itinerario che può essere schematizzato in tre generazioni. Possiamo collocare la prima generazione della formazione a distanza nel periodo che va, grosso modo, dal 1830 al 1960, quando nuove tecniche di stampa e lo sviluppo del trasporto ferroviario resero possibile la produzione e la distribuzione estensiva di materiale didattico a favore di gruppi di studenti distribuiti su vaste aree geografiche. (…) Fu con gli anni ’60 che si strutturò il modello della Open University in cui i sistemi di formazione a distanza diventarono multimediali. (…) Un salto qualitativo, dal punto di vista metodologico, lo abbiamo negli anni ’90, a seguito della integrazione delle nuove tecnologie della comunicazione con la multimedialità e del successo crescente di Internet”87. Oggi Internet rappresenta una enciclopedia sempre aggiornata. “Se ieri il libro poteva rappresentare 87 Ardizzone P., Didattica e tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento, I.S.U. Cattolica, Milano 2002, p. 13
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un’astensione del corpo, proteso alla conoscenza, così come il microscopio o il telescopio lo erano per la vista e l’aratro o la spada per il braccio, ha buona ragione J. Luis Borges di ritenere, come già scriveva nel 1949, un prolungamento della mente e dell’immaginazione (…). In sostanza lo sviluppo dell’alta tecnologia apre sentieri estremamente interessanti e funzionali all’operare dell’uomo. Assume contorni di sicura fattibilità la panoramica descritta da J. Delors sulle applicazioni via cavo europeo che renderanno possibile il telelavoro, la teledidattica, una connessione in rete delle migliori intelligenze in territori dilatati che comprendono non solo l’Europa ma tutto il mondo”88. Conquiste che solo dopo pochi anni possono essere confermate appieno, prospettando altre frontiere su cui le tecnologie investono. D'altronde il significato più proprio di e-learning va oltre la semplice traduzione verbale che significa letteralmente “insegnamento elettronico”, tanto che molti studiosi, tra cui Elliot Maise, assegnano al suffisso “e” un valore di conoscenza ottenuta attraverso i sensi e la prova. “In questo senso risulta suggestiva la posizione di Elliot Maise quando preferisce questo termine ad altri (on-line learning, computer based training, web based traning, distance learning) interpretando la “e” non semplicemente come elettronic quanto come experience, sottolineando dunque il carattere attivo di questa metodologia. (…) 88 Rosati L., Nuovi saperi e apprendimenti significativi tra tecniche e tecnologie, Anicia, Roma 2003, p. 65
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Altri studiosi del Maise Center propongono di aggiungere tra i significati della “e” di e-learning, oltre all’esperienza, lo scambio di informazioni (exchange of information), l’apprendimento per scoperta (exploratory learning), l’esprimere se stessi (express themselves), il piacere di apprendere (exciting learning)”89. In conclusione appare sensato sottolineare che se da un lato ogni percorso educativo on-line ha estrema necessità di strumenti e dispositivi tecnologici che permettano il contatto tra i soggetti e l’avanzare educativo, dall’altro è altrettanto basilare ribadire che ogni percorso educativo fonda le sue radici su una attenta e scrupolosa programmazione e su una relazione empatica ottenibile, per ora, solo attraverso una didattica tradizionale. “Malgrado allora non si debba demonizzare la tecnologia, utilizzando la quale sarà possibile al contrario migliorare certamente l’attività didattica, occorre sempre evitare l’enfasi, divinizzarla come induce a fare il clima culturale che viviamo, ritenendo che essa possa e debba risolvere tutti i problemi dell’umanità”90. La tecnologia, insomma, non minaccia l’educazione, anzi al contrario supporta il lavoro formativo ed apre un frizzante dibattito il cui risultato dovrà trovare spazio nella educazione del terzo millennio.
89 Falcinelli F., E-Learning. Aspetti pedagogici e didattici, Morlacchi, Perugia 2005 90 Rosati L., Lezioni di didattica, Anicia, Roma 1999, p. 27
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5.2 Profondità tecnologiche
L’era della tecnologia ha aperto orizzonti di ricerca e di riflessione che si espandono continuamente, molto spesso facendo perdere di vista i confini entro cui limitare i discorsi. Non solo perché con internet la comunicazione ha intrapreso nuove soluzioni e nuovi metodi di apprendimento, ma anche perché tutte le soluzioni informatiche o per meglio dire tecnologiche hanno avanzato attività individuali e di massa sempre più specifiche e avanzate. Il dialogo, la distanza materiale tra comunicatore e ricevente, le didattiche flessibili, le innovazioni telematiche sono condizioni che ormai viviamo continuamente nell’incoscienza che dirigono il nostro sapere verso risposte sempre più circoscritte e, a volte, rivoluzionarie. “La via computer, ovvero l’ingresso nei nuovi spazi di azione organizzativa aperti da una tecnologia per gestire processi di comunicazione e di conoscenza quale l’I&Ct (Information & Communication Technology), sta ormai divenendo un fenomeno di massa capace di coinvolgere ambiti delle relazioni interpersonali e domini di conoscenza che si sono sempre chiamati fuori dalle rivoluzioni tecnologiche”91. 91 Scurati C., eLearning per una nuova università. Esperienze e prospettive, V&P Strumenti, Milano 2002, p. 26
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La multimedialità conserva, nella sua incessante mutazione, caratteri di interattività e di organizzazione educativa, stabilendo il passaggio da una formazione sequenziale ad una modulare. “Si tratta, in larga misura, di muovere dall’esistente espandendolo e potenziandolo in maniera coerente secondo un approccio nel quale risultano decisivi l’elaborazione di una visione organica di Ateneo e l’allocazione di specifiche attenzioni e risorse finalizzate da parte dell’Università”92. Con multimedialità, quindi, si può intendere non “con la pura utilizzazione di più media, ma con la loro stretta integrazione, ciascuno con una specifica peculiarità in relazione all’azione didattica. La multimedialità non è solo una tecnica, ma una vera e propria strategia di conoscenza, che, attraverso l’interfaccia comunicativo, può condizionare il processo di insegnamento/apprendimento, cambiando radicalmente i rapporti tra gli elementi in esso implicati. Una struttura multimediale è l’occasione non solo per trasmettere informazioni in modo più organizzato, ma per elaborare una diversa modalità di conoscenza. Gli ipertesti e gli ipermedia si propongono come sistemi più rispondenti alle caratteristiche dei processi di pensiero. Essi consentono di navigare attraverso informazioni di vario tipo senza alcun vincolo di
92
Ibidem, p. 12
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92
sequenzialità, ma seguendo itinerari associativi scelti dall’utente stesso tra quelli proposti”93. Lo scenario che si apre è sicuramente interessante, ma, nello stesso tempo, complesso, di difficile circoscrizione. Anzitutto si sente la necessità di una profonda alfabetizzazione tecnologica al fine di non generare cittadini di serie A o di serie B solo in base al grado di conoscenza della tecnologia. “Occorre una educazione che ci insegni a navigare nel mondo dell’informazione per individuare, selezionare, elaborare e personalizzare ciò che ci interessa, che ci insegni a non confondere l’informazione con la comprensione” scrive P. Ghislandi; in secondo luogo occorre una diversa appropriazione di schemi e di linguaggi tecnologici atti all’organizzazione dei lavori ed un adeguamento alle specifiche esigenze del mezzo tecnologico al fine di rendere l’interazione uomo-macchina il più produttivo possibile. Viene ad essere confermata la previsione che nel 1971 prospettava una Università virtuale, oggi più comunemente è detta e-University. La open University è uno stato di fatto e “assume la connotazione di una organizzazione di formazione universitaria concepita ad hoc per la formazione a distanza e strutturata
93 Marcuccini A. M., Falcinelli F., a cura di, Metodologia e didattica. questioni lessicali, Edizioni Scientifiche Italiane, Università degli Studi di Perugia, p. 117
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sull’affiancamento del tutoring personalizzato all’insegnamento di tipo tradizionale”94. Anche se è passato ormai mezzo decennio l’evoluzione giornaliera delle tecnologie ha prodotto ulteriori sviluppi. Si possono trovare tre differenti modalità educative: - sigle mode: in cui la sola finalità e quella dell’educazione a distanza; - dual mode: sinergia tra corsi a distanza e quelli in presenza; - mixed mode: prospettano entrambe le modalità, in presenza e a distanza, lasciando allo studente la migliore modalità rispetto alle proprie esigenze. “In tutto il mondo questa è diventata una questione centrale per la formazione, anche se va sottolineato che l’adozione dell’e-learning comporta un forte impatto sull’organizzazione e sui processi proprio perché necessita di specifiche strutture opportunamente attrezzate e di personale doverosamente formato”95. Attraverso la nascita di Università, corsi di aggiornamento, riviste specializzate, questo tipo di insegnamento sta prendendo sempre più spazio in ogni programma educativo, non solo per il fatto che permette “di offrire opportunità per la discussione di gruppo, l’interazione tutor/studente e il lavoro di gruppo”, ma Cfr. Bocca G., Oltre Gutenberg. Prospettive educative dell’istruzione a distanza, Vita e Pensiero, Milano 2002 95 Cfr. Falcinelli F., E-Learning. Aspetti pedagogici e didattici, Morlacchi, Perugia 2005 94
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anche perché “sta assumendo sempre maggiore importanza nell’istruzione superiore tradizionale, dove un numero sempre crescente di docenti è convinto che tale medium può essere utilizzato per stimolare una comunicazione didattica più valida rispetto alle forme classiche di interazione in aula, oltre che per fornire un forum agli studenti che per ragioni di orario non riescono a incontrarsi per discutere il corso”96. Nello stesso anno Finn97 stabilì che: “il concetto di tecnologie educative, o didattiche, è totalmente integrativo. Il futuro dell’istruzione apparterrà a chi è in grado di capirne l’importanza”. Sulla scorta delle idee piagetiane, Papert analizza che il computer assolve un ruolo dominante nella crescita del pensiero, fatto che fino ad allora era considerato utopico. Oggi siamo in grado di oltrepassare tali visioni stabilendo che le nuove sfide informatiche e tecnologiche dovranno sostenere degli ulteriori cambiamenti che probabilmente tenderanno verso una ottimizzazione della relazione uomo macchina e tra persona e persona. Tali cambiamenti hanno prodotto l’urgenza di promuovere nuove competenze, non solo come prospetto di istruzione informatica, ma anche e Cfr. MidoroV., a cura di, Tecnologie didattiche, Menabò, Sambuceto 1998 97 Cfr. Finn J. D., Technology and the istructional process. National Education Association, Department of Audiovisual Instruction, Washington D.C. 1984 96
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soprattutto di soggetti capaci di muoversi e modificarsi in modo flessibile nel rinnovarsi tecnologico. L’e-learning si avvale di metodi propri pensati e concepiti secondo ambienti multimediali. Mason98 distingue tre modelli educativi on-line: - modello Content + support: lo studente trova all’interno del corso programmi di lavoro prestabiliti e strutturati secondo una tempistica prestabilita; - modello Wrap around: se la presenza di materiale prestabilito resta simile al modello precedente la loro strutturazione viene stabilita dallo studente, con il supporto del tutor, secondo le proprie necessità e motivazioni; - modello Integrated: i discenti attraverso discussioni, ad esempio organizzati in forum o chatt, costruiscono degli interi percorsi didattici partecipando attivamente alle progettazione, alla realizzazione e alla valutazione del lavoro che si intenderà affrontare. Il linguaggio informatico creatosi incarica la tecnologia di una funzione di sostegno, di cooperazione con ogni soggetto relazionato e crea un ambiente efficace attraverso un “apprendimento senza curricolo”. Il computer diviene, così, “un allievo a cui l’allievo
98 Mason R., Models of Ondine Courses, ALN Magazine, Volume 2, Issue, October 1998
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umano insegna programmandolo per lo svolgimento di varie attività”99. Ogni attività educativa è sorretta e agevolata dal mezzo informatico capace di edificare un percorso educativo nel migliore dei modi. “Nella didattica sia chi insegna, sia chi è destinatario dell’insegnamento ritengono di poter giovarsi convenientemente dello strumento messo a disposizione dalla tecnologia. (…) Con l’impegno delle tecnologie didattiche gli insegnanti evitano, dunque, di insegnare cose superflue e gli alunni apprendono più in fretta ciò che loro è utile”100.
99 Cfr. Papert S. A., Mindstorms. Children, computers and powuerful ideas, Basic Book, New York 1980 100 Rosati L., Lezioni di didattica, Anicia, Roma 1999, p. 77
103 97
5.3 Confini informatici
L’informatica rappresenta “l’insieme delle tecniche elettroniche impiegate per la raccolta, la classificazione, la tabulazione, la comunicazione e l’interpretazione dell’informazione. In un senso più circoscritto, la parola informatica significa uso di elaboratori”101. C’è da domandarsi, allora, quale sai l’adozione di questi elaboratori nell’educazione prospettando una cultura tecnologica, non vista solo come un insieme di tecniche e strumenti. Tali mezzi rappresentano “un processo dinamico di apprendimento, di formazione del pensiero, di generazione di nuovi contesti di interazione e di nuovi linguaggi”102. Ciò significa principalmente che il cambiamento imposto dal volere tecnologico mette nella condizione la persona di doversi dotare di un “kit di sopravvivenza” per stabilire un proficuo contatto con esse. Una cosa, quindi, è la tecnologia, un’altra è la cultura tecnologica. Dello stesso parere sono le riflessioni prospettate da Boscolo: “la nuova generazione di programmi di Crf. De Landsheere G., Introduzione alla ricerca in educazione, La Nuova Italia, Firenze 1970 102 Cfr. Alessandrini G., Formazione e tecnologia nell’impresa, Mondadori, Milano 1991 101
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sviluppo delle attività di pensiero utilizza il computer non come strumento di pensiero, ma come mezzo per l’elaborazione delle conoscenze e la produzione di materiali, nell’ambito di un ambiente di apprendimento ricco, cioè fornito di varie possibilità: competenze di docenti e esperti esterni, media, materiale bibliografico ecc..”103. Una tecnologia, quindi, che favorisce un’interazione costante tra i fruitori, tra soggetto e macchina, capace, altresì, di autorizzare e promuovere un costante dialogo tra le scienze. Negli anni più recenti un elevato livello di integrazione delle tecnologie nella società ha prodotto nuove modalità di dialogo e nuove prospettive scientifiche: l’Information Technology, cioè l’era delle infrastrutture informatiche, hanno moltiplicato in maniera esponenziale le possibilità che ogni soggetto possiede per apprendere. Ad esempio ogni studente dotato di un computer diventa esso stesso un ricercatore, basta saper indicare i primi tratti della ricerca che poi completerà in autonomia attraverso l’adattamento del ritmo di studio da parte del personal computer; non è più importante insegnare qualcosa, ma far apprendere come scovare informazioni e saperi, così come non è più rilevante conoscere qualcosa, ma imparare dove poter dedurre quella data conoscenza.
103 Cfr. Boscolo P., Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino 1999
105 99
5.4 Non sostituire l’uomo
Fino a non molto tempo fa l’inserimento dei mezzi tecnologici nell’azione di insegnamento/apprendimento era guardata come opportunità per una migliore formazione, oggi “il servizio di comunicazione integrata a banda larga è ormai uscito dalla fase sperimentale. L’utilizzazione didattica della comunicazione integrata a banda larga trova le sue motivazioni nelle specifiche esigenze di taluni ambiti formativi, in primo luogo nelle università, che a causa della limitazione delle risorse disponibili del continuo ramificarsi nel territorio, non riescono a far fronte ad una domanda formativa quantitativamente e qualitativamente crescente”104. Una dimostrazione di ambiente formativo è dato dalla classe virtuale concepita come struttura telematica capace di divenire ambito di non fisicità dove trovano spazio sia variabili rintracciabili in ogni processo formativo, che quelle tipiche di una relazione on-line. La sorte della scuola è inseparabilmente legata a quella della società e quest’ultima, a sua volta, a quello dell’evolversi della tecnologia stessa, basti pensare al cammino che ha portato la società alfabetizzata a divenire società informatizzata. Le istituzioni formative non 104 Cfr. MidoroV., a cura di, Tecnologie didattiche, Menabò, Sambuceto 1998
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possono dispensarsi dall’ammettere l’importanza che rivestono le potenzialità tecnologiche. Sembra doveroso aggiungere che se tali e tante sono le qualità della tecnologia, si rende necessario un controllo dettagliato delle informazioni che si possono mettere in rete. Nota dolente, infatti, è che pressoché giornalmente si parla di abuso o eccedenza di libertà nel godimento di internet, così come si descrivono quotidianamente le difficoltà legate all’utilizzo di un semplice telefonino da parte di persone anziane o portatrici di handicap. Ogni soggetto posto in un contesto dove non si sente fisicamente inserito effettua delle metamorfosi che nella migliore delle ipotesi possono essere moralmente discutibili. Una limitazione all’utilizzo indiscriminato delle tecnologie appare doverosa, dal soggetto per il soggetto, per non imbattersi in ostacoli che compromettono la pacifica convivenza fra persona e tecnologia. Si affida, quindi, non solo a ciascun fruitore delle reti telematiche il ruolo di controllo, ma è la rete stessa che, attraverso il suo “potere metaforico”, dovrà spingersi verso una autoriflessione e autocensura. D’altronde è anche superficiale convincersi che basti immettere nella scuola i computer e la multimedialità per conseguire un grande miglioramento della qualità dell’educazione, come del resto è illegittimo sperare che l’insondabile che non può essere percepito anche dalla più avanzata tecnologia e la facile obsolescenza degli stessi strumenti tecnologici siano
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posti a fondamento e a legittimazione di una azione educativa il cui perno è rappresentato dalla tecnologia. Anche se il progresso tecnico presto ci permetterà di delegare alle macchine quasi tutto il lavoro fisico e parte del lavoro mentale, afferma Damasco, all’uomo resterà sempre il monopolio delle attività creative e la scuola deve prepararlo a questo compito. Le tecnologie saranno e dovranno sempre essere interpretate come “delle risorse che la scienza mette a punto e che si concretizzano in macchinari capaci di eseguire operazioni niente affatto semplici, che richiederebbero la partecipazione fisica di più persone e che, al contrario, soltanto l’avvio di una strumentazione sofisticata rende possibile. Queste macchine facilitano la produzione e la moltiplicano, con il risparmio indubbio di energie umane e di costi notevoli”105. De Kerckhove denota che le apparecchiature telematiche, così come tutta la tecnologia in genere, devono essere assunte come “una estensione tecnologica delle facoltà della mente umana. Potenziano la memoria, la fantasia, la creatività”, al fine di non incorrere nell’errore di ridurre gli spazi di una creatività personale che, fino ad oggi, ha fatto leva sulla manualità, nella pratica lavorativa come nella attività intellettuali.
105 Cfr. Rosati L., Formazione didattica tra offerta e domanda, La Scuola, Brescia 1995
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6. Pedagogia sperimentale e valutazione
La pedagogia sperimentale, da non confondersi con la “pedagogia esperenziata” di cui divulga il valore R. Buyse, “deve essere fondata sull’osservazione e l’esperienza, deve essere prima di tutto sperimentale; non intendiamo qui per esperienza quel vago impressionismo delle persone che hanno visto molto; un’indagine sperimentale, nell’accezione scientifica del termine, è quella che contiene documenti raccolti metodicamente e riportati con sufficiente dettagli e precisione perché si possa, con questi documenti, ricominciare il lavoro dell’autore, verificarlo o trarre delle conclusioni che egli non ha rilevato”106. A conferma di ciò Garcìa Hoz sostiene che “qualsiasi questione pedagogica che può essere oggetto di esperienza rientra nella pedagogia sperimentale. Se molti problemi devono essere ancora risolti, questo non si deve solo all’incapacità intrinseca della pedagogia sperimentale, ma all’attuale imperfezione di alcune tecniche di misura e valutazione. Malgrado le deficienze che ancora ci sono nelle tecniche pedagogicosperimentali, si può affermare che qualsiasi questione pedagogica, sperimentale, specialmente i problemi 106 Cfr. Binet A., Henry V., La fatigue intellectuelle, Shleicher, Paris 1898
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pratici, possono trarre benefici, direttamente o indirettamente dagli apporti della pedagogia sperimentale”107. Più che alla ricerca di una determinazione univoca, quindi, nella pedagogia sperimentale è necessario specificare quali possano essere gli ostacoli che essa incontra per così dire nell’esperimento. A tal proposito, Mialaret dichiara che le avversità che la pedagogia incontra nella sua azione possono essere riassunte in tre grandi settori: – la differenza tra i soggetti e tra lo stesso soggetto in un arco di tempo determinato; – l’ampia gamma di mezzi e metodi che la pedagogia sperimentale ha a disposizione nel suo momento prassico e le variabili di dispersione dei soggetti e degli elementi facenti parte l’esperimento. La marcata natura investigativa della pedagogia sperimentale rende lecito affermare che la pedagogia sperimentale trova il suo campo di applicazione nella classe dove, attraverso una simbiotica e osmotica relazione con l’insegnate e le risorse messe a disposizione, la ricerca avanza e progredisce incessantemente. Lo studio del fatto educativo comporta, assieme alla completa comprensione dell’oggetto o soggetto, una descrizione delle metodologie, degli strumenti, delle strategie e dei metodi di valutazione adottati nella ricerca 107
Garcìa Hoz V., Principios de pedagìa sistematica, Rialp, Madrid 1990, p. 115
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nel campo dell’educazione. Infatti, “la valutazione e la sperimentazione sono momenti indispensabili per la regolare programmazione e gli interventi scolastici, (si aggiungono tutti i contesti già indicati), perché informano lo studioso e l’operatore sulle previsioni possibili e sugli esiti ottenuti, consentendo così di individuare interventi più mirati ed efficaci”108. La statistica riveste un ruolo predominante nelle elaborazioni, tanto da poter osservare come siano già state esplorate completamente. Non si riescono ad intravedere nuovi strumenti capaci di proporre stimoli di ricerca e prospettive di risoluzione dei problemi dell’insegnamento adottando tali basi di riferimento. “Sono i nuovi strumenti che creano i nuovi problemi, aprono le nuove prospettive, liberano l’immaginazione, portano il pensiero ad un nuovo livello, secondo l’espressione del Whitehead. Tuttavia gli strumenti non risolvono da soli i problemi che aprono, donde la pigra tentazione del loro ripudio o del loro abbassamento su di un piano di realtà inferiore e banausica, ed è precisamente la tentazione che rischia di prevalere, e non vorremmo prevalesse, anche in questo delicato settore dei problemi educativi”109. Per questo urge una nuova visione di insieme, ripartendo da zero, nella quale si cercherà di proporre un Cfr. Coggi C., Calonghi L., Elementii di statistica per la ricerca scolastica, Giunti & Lisciani, Teramo 1992 109 Visalberghi A., Misurazione e valutazione nel processo educativo, Edizioni di Comunità, Milano 1955, p. 9 108
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progetto di che si definisca come un metodo di risoluzione cognitiva attraverso l’attuazione di altrettanti meccanismi cerebro-creativi. Non sempre, difatti, la strada piÚ battuta è sempre la migliore.
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6.1 Un tema che affonda le sue radici nel tempo
L’uso di metodologie che concernono il processo educativo e di valutazione, così come la presentazione di tecniche e strumentazioni sempre innovative ed aggiornate, richiedono un quanto mai puntuale excursus storico che permetta di ricostruire, fin dalle origini, i cambiamenti avvenuti in questo settore del sapere. La valutazione è uno degli aspetti cruciali e più sensibili dell’intero percorso educativo dalle cui soluzioni e dai cui risultati dipende, molto spesso, la qualità della formazione di ogni soggetto in apprendimento. Questo non solo per il fatto che il processo valutativo si pone come la “prova del nove” della programmazione scolastica, ma anche, e soprattutto, perché essa è la più soggetta a critiche. Sicuramente la sua natura non rende la vita facile a chi cerca di impadronirsi di modalità di pensiero o schemi mentali riguardanti una logica vera, sensibile, priva di pregiudizi assumibile come “linguaggio raffigurante il mondo”110, capace altresì, di decifrare quello che Notti Tale affermazione ribadisce il concetto che solo attraverso la logica è possibile decifrare ciò che avviene attorno all’essere Uomo. Infatti nel “tractatus logico-philophicus” Wittgenstein definisce il mondo come la totalità dei fatti o di tutti gli avvenimenti e degli 110
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descrive in queste righe: “continuamente, in ogni momento della nostra giornata siamo bombardati da statistiche, graduatorie, pagelle, grafici etc. si può tranquillamente affermare che non c’è trasmissione televisiva, giornale, telegiornale, trasmissione sportiva che non ci proponga sondaggi e relativi esiti, votazioni telematiche, graduatorie dei più belli, ricchi, amati, preferiti etc., pagelle e relativi voti”111. Occorre, quindi, una mentalità predisposta all’oggettivazione del dato esperenziale al fine di garantire un successo logico, duraturo e vero o, per lo meno, dal quale si possano trarre delle conclusioni che non si affidino al caso, all’effimero o alla fortuna. Tuttavia Mialaret esorta: “l’educazione è un arte e rimarrà arte”112. Con questo non si vuol affermare che ogni formazione è affidata all’istinto del docente, all’improvvisazione curriculare o solo alla esperienza dell’insegnante, quanto, piuttosto, che tale processo, anche se arte, non può prescindere, per essere esercitato correttamente, da una solida base di dati, non opinabili, veri e rispondenti alle finalità educative e del contesto di accadimenti: un evento è legato ad un altro fatto per mezzo di relazioni e combinazioni logico funzionali. I fatti, quindi, hanno ragione di essere se sono relazionati con il mondo che li circonda. Comprendere tali relazioni significa, per l’essere-uomo, capire il mondo circostante e determinare la verità attraverso il processo di “verificazione”. Di qui, la dimostrazione di proporzioni autentiche, proporzioni che mostrano “l’impalcatura logica del mondo”. 111 Notti A., Introduzione alla docimologia, Ediprint, Siracusa 1995, p. 9 112 Mialaret G., in De Landsheere G., Introduzione alla ricerca in educazione, La Nuova Italia, Firenze 1973, p. IX
114 108
appartenenza. Difatti, lo stesso Mialaret continua: “come dovremmo definire quel medico che volendo basarsi esclusivamente sulla propria intuizione, si rifiuta di far fare gli esami di laboratorio, delle analisi, oppure non si serve dei referti radiografici nel momento stesso in cui esegue o prescrive una terapia?”113. Ecco, dunque, che ogni innovazione è ben accolta al fine di garantire una soggettività di pensiero ed una oggettività di rilevazione. Sin dalle origini, soprattutto con l’avvento del positivismo, l’educazione ha cercato di togliersi di dosso quell’alone di metafisicità con la quale, spesso, i valutatori giocavano per interessi personali. Fino alla fine del XVIII secolo, non solo la valutazione era affidata alla mera intuizione, ma gli stessi sistemi formativi e di scolarizzazione risultavano parcellizzati, statici, a volte obsoleti, senza chiari obiettivi e con la completa assenza di norme e leggi che regolassero esami o pratiche di valutazione. Certo è che, a quel tempo, la funzione della valutazione fosse solo riferibile al fatto di compiere una classificazione per la formazione di una classe di élite, attraverso una vera e propria discriminazione sociale, economica e culturale. Nella scuola tradizionale “la valutazione aveva il compito da un lato di mantenere determinati livelli qualitativi dell’istruzione, dall’altro di verificare la rispondenza dei tratti individuali del comportamento degli allievi al complesso di valori propri delle classi 113
Ibidem, p. X
115 109
egemoni. In sostanza, la valutazione era il risultato di una contaminazione sistematica del giudizio sull’apprendimento con uno più generale di conformità ad un modello desiderato, a comporre il quale concorrevano considerazioni politiche e sociali”114. Non si valutava la qualità dell’apprendimento o il progresso fatto dal soggetto, quanto la sua corrispondenza a schemi autocratici di comportamento e di sapere nozionistico.
114 Vertecchi B., La verifica del prodotto scolastico, in Visalberghi A., Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondadori, Milano 1978, p. 202
116 110
6.2 I primi tentativi di legittimazione
Attraverso la spinta delle rivoluzioni, soprattutto quella francese115, la visione tradizionale di educazione lascia il posto ad un sistema di insegnamento fondato sulla meritocrazia, sull’uguaglianza delle possibilità di istruirsi e sulla preparazione del soggetto al fine di collocarlo secondo il proprio retaggio culturale all’interno della società e non più secondo la sua quantificazione monetaria. Una valutazione che si apre alla continuità formativa, sempre più richiesta dalla società. Agli inizi del secolo XIX si assiste, non solo alla formazione di sistemi educativi che poi diverranno i primi passi dei moderni modelli di istruzione, ma anche alla fiorente crescita di diplomi (tra i tanti si ricorda il baccalaurèat fondato nel 1808) e l’istituzione dei lycèes e delle prime Università.
115 Oltre ad aver sancito il passaggio tra l’età moderna e l’età contemporanea, la Rivoluzione Francese ha permesso l’abolizione della monarchia assoluta, che assoggettava una valutazione di èlite, e la proclamazione della repubblica, tipica espressione della volontà del popolo. L’educazione viene ad essere un diritto del “cittadino”, quale decisore delle sorti dell’intera nazione. Per questo la valutazione avrà il ruolo di compiere una constatazione della preparazione del soggetto alla vita politica e sociale.
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Sicuramente la valutazione da questi primi tentativi di sistematizzazione e formalizzazione del processo educativo e dal clima creato dall’Illuminismo, definito da Kant come “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità” (attraverso il ragionamento, la tolleranza e la libertà di giudizio), trae le sue origini. In tale periodo, si gettano le basi del metodo sperimentale e del bisogno della valutazione di fondarsi su solide basi scientifiche per il suo cammino; mattoni eretti da una quantificazione ed una qualificazione della realtà fenomenica attraverso il motto galileiano: “la matematica consente di penetrare nell’oscuro labirinto della natura”. Nella seconda metà del XIX secolo si intravedono in America e in Inghilterra i primi tentativi di oggettivazione. Nel 1842 H. Mann mise a confronto il rendimento, in un contesto lavorativo, di persone istruite con quelle non istruite; forse un tentativo arduo di quantificare la cultura, ma pur sempre una ipotesi di lavoro. A Boston, nello stesso anno, fu eseguita la prima indagine sul rendimento scolastico attraverso un rudimentale questionario. Seppur con la consapevolezza che le prime misure antropometriche sono riferibili ad una corrispondenza diretta fra modello culturale e processo di misurazione, è solo grazie ai lavori e agli studi positivisti di A. Binet e M. Cattel che abbiamo un sostanziale passo in avanti .
118 112
6.3 L’ingresso della docimologia: il XX secolo
A partire dal primo ventennio del XX secolo il processo educativo trova la sua ragione nella “razionalizzazione metodologica”, soprattutto riducendo l’aspetto “instabile” e aumentando il grado di riconoscibilità scientifica. Sicuramente tutto questo continuo fermento ha prodotto sopratutto nuove forme di strumentazioni e nuove tecniche, per lo più sperimentali che, nella “prima generazione 116 docimologica” , rappresentavano la migliore strategia di indirizzo al fine di misurare correttamente il profitto degli alunni. Considerata nei primi tentativi come la scienza della valutazione, la docimologia si sviluppa proprio come certificato di garanzia e controllo del percorso didattico. La sua matrice critica gli ha permesso, fin da subito, di essere una chiave di lettura del corretto funzionamento del percorso di formazione, così come la sua natura prescrittiva l’autorizza ad uno studio finalizzato al miglioramento delle tecniche e pratiche di valutazione.
116 Beccegato L. S., Varisco B. M., Docimologia. Per una cultura della valutazione, Guerini Studio, Milano 2000, p. 17
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Questi percorsi, assieme alla necessità di un piano di lavoro puramente scientifico, hanno portato Piéron117, in Francia a cavallo tra gli anni ’20 e gli anni ‘30, ad uno studio sistematico degli esami, constatando la precaria assegnazione dei voti; prima riflessione da cui potremmo far partire un periodo che analizzeremo come fase dell’assunzione dei problemi inerenti la valutazione. Nello stesso momento storico, con un marcato influsso delle “Scuole Nuove”, vanno collocate le ricerche condotte da Laungier e Weinber sui diplomi di scuola elementare, nei quali si mette in luce l’inadeguatezza tra il funzionamento di pratiche di valutazione e ciò che esse stesse tendono misurare. Tali correnti comprensive e influenzate dal pensiero di Claparéde, sottolineavano il fatto che “gli insegnanti, mentre avvertivano l’esigenza di una competenza nell’insegnare e nell’educare, ritenevano che il momento valutativo non richiedesse particolari abilità, perché si risolveva nella esperienza maturata nel quotidiano
117 Ormai noto è il lavoro di analisi fatto da Piéron nel testo Piéron H., La technique des examens et la nècessitè d’une docimologie, tesi che poi verrà ampliata dallo stesso autore nel lavoro: Piéron H., Examens et docimologie, Presses Universitaires de France, Paris 1963. Da questo lavoro emerse che circa il 20% delle votazioni avveniva in maniera del tutto casuale e che ciò che si indagava non era la maturazione e lo sviluppo del soggetto, piuttosto la sua predisposizione sociale alla vita scolastica, lasciando in disparte le sue difficoltà, spesso di natura economica.
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rapporti con gli alunni o poteva fondarsi sulle particolari capacità intuitive che ognuno possiede”118. Altrettanto importanti appaiono i lavori di Simon, soprattutto nella ricerca di una sistemazione della Pedagogia Sperimentale. Simon intravede delle lacune nelle relazioni tra i fattori educativi e l’assoluta assenza di piani scientifico-sperimentali su cui formulare ipotesi metodologiche. Il contributo oltre alla valenza sul piano della ricerca, suscita, soprattutto negli Stati Uniti, la consapevolezza di una esigenza di rifondare la pedagogia su nuovi modelli di riferimento ed interpretativi. Di colpo le ricerche americane, che fino a poco prima erano legate ai laboratori promossi da Wundt in Europa nel XIX secolo, assumono un peso specifico ed una chiara indipendenza scientifica che darà libero sfogo alle ricerche di Edward e Thorndike. Soprattutto quest’ultimo, attraverso gli studi sull’intelligenza animale, segna l’inizio del comportamentismo, chiave di volta nella lettura trasversale del processo educativo. Negli anni ’30 si sviluppò in America un movimento critico detto evaluation119 nel quale “si fece notare che il semplice ricordo delle nozioni è uno degli 118 Santelli Beccegato L., Varisco B. M., Docimologia. Per una cultura della valutazione, Guerini Studio, Milano 2000, p. 15 119 Il movimento dell’evaluation individua la necessità di definire scopi ed obiettivi ai quali tecniche e strumenti della misurazione devono tendere. Dati che poi nel controllo e nella valutazione vengono soppesati per dichiararne il loro peso specifico. Una sicura uscita da un ambito troppo tecnicistico dal quale i contenuti “culturali” possono solo parzialmente essere controllati.
121 115
aspetti dell’apprendimento più facili da misurare, non certamente il più significativo. Lo sviluppo di capacità critiche, di comportamenti sociali positivi, sono aspetti più difficilmente quantificabili, ma a cui non si può certamente rinunciare se si intende affrontare, in modo valido, il problema della misurazione in campo educativo”120. Attraverso questi contributi le ricerche riguardanti la valutazione vengono ad essere delle vere e proprie misurazioni. Difatti, i lavori di Lay aprono la strada a Thorndike per un allontanamento da una didattica sensualista-empirista, soprattutto grazie alle nuove scoperte biologiche dell’arco riflesso e della sensazione cinestatica. Da questo Lay deduce che la vita psichica “non è né la sensazione, né un’altra funzione isolata, ma la reazione d’insieme che consiste nel ricevere delle impressioni dall’ambiente ed a reagire, in risposta, su di esso. In tal modo gli atti vitali sono caratterizzati da un’unità dell’impressione e della reazione (espressione), che permette al soggetto di adattare all’ambiente i suoi bisogni”121. Sicuramente un punto di vista troppo sintetico per risolvere le difficili problematiche inerenti i processi di formazione. Ad azione non si può far corrispondere una Grandi G., Misurazione e valutazione, La Nuova Italia, Firenze 1977, p. 9 121 Aebli H., Didattica psicologica, Universitaria G. Barbèra, Firenze 1966, p. 24 120
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sola reazione; ad uno stimolo non potrà mai corrispondere una sola risposta. Un primo superamento, di quanto appena espresso, è dato dal modello psico-didattico del teorico tedesco G. Kerschensteiner, il quale propone il concetto di “intuizione creatrice”. L’intuizione risulta essere l’unica capace di attivare, nel discente e nel docente, il gusto della scoperta, del fare, del mettersi in discussione e dell’avanzare sotto un piano formativo e di maturazione. Tale traduzione verrà poi completata dal Piaget come processo di assimilazione e interiorizzazione. Ecco, allora, il concetto privilegiato del “fare”, come proposta, che porterà molto più tardi J. Delors a definirlo come pilastro su cui fondare la conoscenza. “Imparare a conoscere e imparare a fare sono in larga misura indissociabili, ma imparare a fare è più strettamente legato al problema della formazione”122. Questo teorizzare non ha prodotto solo delle mutazioni a livello teorico e concettuale o la messa a fuoco di problemi più o meno vasti riguardo la valutazione, ma ha dato la spinta per uno sviluppo di elaborazioni, di tecniche di rilevazione e di lettura dei risultati, che classificheremo come fase di
Delors identifica quattro pilastri su cui fondare l’educazione al fine di permettergli di trasmettere efficacemente una crescente consapevolezza del complicato compito di educare: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme e imparare ad essere. Delors J., Nell’educazione un tesoro, Armando Editore, Roma 1997 122
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sistematizzazione tecnica, metodologica e innovazione dell’insegnamento. Difatti, tanto per fare un esempio, l’ipotesi di Thorndike che “tutto ciò che esiste, esiste in una determinata quantità e può essere misurato”123, apre la strada a tecniche risolutive di misurazione che hanno la pretesa di arrivare a stipulare scientificamente il miglior curricolo ed il miglior modo per insegnare; affermazione che lo distaccherà dalla corrente progressista deweyniana. Oltre agli autori precedentemente citati, a livello mondiale non possono essere tralasciati i contributi di E. Meumann in Germania, P. Bovet e R. Dottrens in Svizzera, ma soprattutto O. Decroly, esponente di quella corrente scientifica che rivendica una solida base sperimentale nel percorso educativo, G. De Landsheere e R Buyse in Belgio e G. Fisher e K. Pearson in Inghilterra.
123 Cfr. Jonçich – Clifford G., The Sane Positivist: A Biography of Edwaed L. Thorndike, Wesleyan University Press, Middletown Conn. 1968
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6.4 I giorni nostri
Lungi dal voler affrontare uno per uno i vari contributi dati dai più illustri esponenti della Pedagogia Sperimentale, ciò che preme mettere in luce è che la docimologia, così come la valutazione, risente degli influssi teorici fino ad essere definita come “la scienza che ha per oggetto lo studio sistematico degli esami, in particolare dei sistemi di votazione e del comportamento degli esaminatori”124, differenziandola dalla Docimastica quale tecnica degli esami e dalla Dossologia, accezione usata per identificare lo studio sistematico della funzione che la valutazione ha nell’educazione scolastica. Verso la fine degli anni Cinquanta, alcuni pedagogisti italiani, tra cui Calonghi e Visalberghi, si interessarono alla docimologia. Significativo è l’aneddoto descritto da Tullio De Mauro riguardate l’ingresso del termine docimologia nel lessico italiano. “Molti anni fa (non tantissimi però) uno dei nostri più illustri studiosi di problemi educativi, Aldo Visalberghi, si alzò nel consiglio della Facoltà di cui è componente autorevole per sottolineare l’importanza di un certo campo di studi, e ne pronunziò il nome: docimologia. Raccontano le storie che, messo da parte il De Landsheere G., Storia della pedagogia sperimentale: cento anni di ricerca educativa nel mondo, Armando, Roma 1994
124
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rispetto per l’autorevolezza, molti colleghi scoppiarono a ridere, tanto nuova e strana pareva la parola”125. Mossi dal problema della misurazione delle performance degli alunni e soprattutto dalla completa assenza, in campo nazionale, di un sistema metrico e di classificazione di riferimento, si cercò una soluzione al difficile connubio tra educazione e valutazione; querelle che verrà poi risolta, sul finire degli anni Sessanta da Bruner, come “forma di intelligenza pedagogica”. Prove oggettive e prove di profitto entrano prepotentemente nel lessico quotidiano come nuove strumentazioni a disposizione dell’insegnante; prove che per la prima volta indagano non la quantità delle conoscenze possedute (fattore mnemonico), piuttosto cercano di intravedere il valore del ragionamento e di critica di ogni soggetto. Per queste ragioni è stato necessario stabilire la validità delle misurazioni e la netta separazione esistente tra misurazione e valutazione. Assieme alla continua ricerca di soluzioni e strategie sempre più sofisticate, dagli anni sessanta si è sentita la necessità di rendere la valutazione un aspetto sempre più marcato dell’intero percorso formativo; questa terza fase, derivante dal personalismo, connota come ogni soggetto sia promosso per le proprie potenzialità e qualificato secondo le proprie aspettative e motivazioni di apprendimento.
125 De Mauro T., Esami, non confessioni. No all’improvvisazione. Sì criteri oggettivi, in “Il Mattino”, aprile 1994
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All’interno del vasto movimento del Personalismo126 e successivamente dai movimenti studenteschi sul finire degli anni Sessanta, la valutazione non è più vista come forma di selezione o classificazione, piuttosto come momento di formazione vera e propria. La valutazione “non è dunque data dall’eliminazione di tale momento, ma è invece reperibile in un’attenta considerazione dei significati che la valutazione può esprimere, nelle funzioni che essa può e deve svolgere nell’ambito formativo, nell’identificazione delle corrette procedure, nella formazione di idonee ed efficienti metodologie di lavoro”127. Tale prospettiva, ripresa da Reuchlin nella “funzione pedagogica della valutazione”128, non verrà più abbandonata se non per stabilire il valore che la misurazione deve avere nel percorso di valutazione. Ancora fresco sembra essere il contributo di Lord Kelvin, il quale ribadisce che solo nel momento in cui si può misurare la cosa di cui si parla e rappresentarla con 126 Il personalismo più che una corrente di pensiero o una scuola filosofica rappresenta la rivendicazione del valore assoluto della persona, della sua singolarità, della sua apertura e della sua autonomia. Collocabile, come volontà di descrivere la persona nella sua pienezza, intorno agli anni trenta nella rivista Espirt da un lavoro di Emanuel Mounier il personalismo trova la sua specificità in un’idea di persona che si diversifica sia da quello giuridico, norme e leggi dell’agire, che da quello medico o prettamente bio-meccanico. 127 Santelli Beccegato L., Varisco B. M., Docimologia. Per una cultura della valutazione, Guerini Studio, Milano 2000, p. 11 128 Cfr. Reuchlin M., Problemi di valutazione, in Debesse M., Mialaret G., Trattato delle scienze pedagogiche, Armando, Roma 1974
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dei numeri, si comincia a conoscerla; ma se non è possibile rappresentarla con dei numeri, la conoscenza che si può avere è scarsa e insoddisfacente. Questa riflessione, anticipatrice delle idee espresse da Richmond129 riguardo lo spostamento dell’attenzione dell’atto educativo dall’educatore all’educando, ha portato ad affermare che “non si valuta per giudicare, si valuta per conoscere e quindi educare”. Tale affermazione decifra la necessita, ancora odierna, che sia il misurare che il valutare debbano avere come unico scopo quello di formare e non di stilare graduatorie tra i più bravi e i meno bravi, concetto che verrà ripreso da Bruner nello stabilire che la valutazione deve essere intesa ancora di più come una “forma di intelligenza pedagogica”. Nel corso di questi ultimi vent’anni la valutazione assorbe tali concetti diventando vero e proprio momento pedagogico, attenzione che porterà ad una presa di coscienza dell’importanza dei processi valutativi, dell’eliminazione di soggettività, dell’adozione di esperimenti scientificamente controllati e della collegialità dell’azione formativa. Con la legge 148 del 1990 di Riforma dell’Orientamento della Scuola Elementare, del Progetto Giovanili del 1993 e del Progetto di Dispersione Scolastica, la valutazione non viene ad essere concepita come momento finale della resa dei conti, quanto un 129 Cfr. Richmond K., La rivoluzione dell’insegnamento, Armando, Roma 1969
128 122
processo in itinere; un percorso che risulta essere parallelo alla stessa attività didattica. Quindi, “non più la valutazione come controllo, momento finale di un processo educativo formulato dall’insegnante, in cui l’alunno veniva ad assumere il ruolo di destinatario, bensì un nuovo orientamento che porta l’allievo ad assumere, anche nel momento valutativo come in tutto il processo educativo, una consapevole e responsabile partecipazione”130.
130 Santelli Beccegato L., Varisco B. M., Docimologia. Per una cultura della valutazione, Guerini Studio, Milano 2000, p. 21
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7.
Il diritto di essere sicuri
Dare alla valutazione una propria competenza, un proprio oggetto di studio ed un proprio campo applicativo significa, principalmente, percorrere una strada che porta alla definizione di strumenti, metodi e tecniche che misurano il complesso procedere della relazione esistente tra docente e discente. Le lacune valutative, che riguardano soprattutto le scienze dell’educazione, richiedono una base solida e scientificamente valida su cui fondare il proprio teorizzare e appoggiare il proprio essere nel momento applicativo. Per questo la scienza si può descrivere come “un metodo di avvicinamento all’intero mondo empirico, quel mondo cioè di cui l’uomo può avere esperienza”131, cosicché la valutazione svolgerà la funzione di analizzare quel complicato momento in cui si ricerca l’obiettività nel giudizio, tramite elaborazioni teoriche che fanno da sfondo e da guida al momento pratico. La valutazione risulta essere scienza epistemologicamente valida a patto che si conceda come momento pratico, nel quale si cercano strategie attuative per poter andare oltre la singolarità del caso e produrre generalizzazioni di sicuro successo. 131 Goode J. Hatt P. K., Metodologia della ricerca sociale, tr. it., Il Mulino, Bologna 1962, p. 124
131 124
Realtà e teoria, pragmaticità ed empiria sono antitesi che si ripetono nel tempo, ma che si risolvono “quando la prova è compiuta, la teoria diventa fatto. I fatti sono considerati come definiti, sicuri, senza problemi ed il loro significato come evidente di per se stesso”132. Si tratta di una presa di posizione netta e definita, ma che propone un parallelismo forse troppo accentuato; infatti i due studiosi continuano: “teoria e fatto non sono diametralmente opposti, ma al contrario inestricabilmente intrecciati; la teoria non è speculazione e gli scienziati hanno a che fare con entrambe due le cose”133 e di entrambe cercano una soluzione il più generale possibile. Il fatto, a questo punto, può essere considerato come una sorta di esperimento verificabile e la teoria come una serie, più o meno limitata, di fatti ipoteticamente costruiti. Esiste però una diversità di vedute su ciò che è stato appena affermato. Se nelle scienze naturali l’oggettività è quasi accertabile ed è data dalla riproducibilità in laboratorio di un dato evento o dall’osservazione sistematica della natura134, nelle scienze dello spirito135 la veridicità è acquisita tramite una scientificità del metodo.
Ibidem, p. 233 Ibidem, p. 178 134 Per maggiori approfondimenti sull’etologia, tra gli altri, si veda: Lorenz K., L’etologia, Bollanti Boringhieri, Torino 1990 135 Cfr. Blankterz H., Teorie e modelli della didattica, Armando Editore, Roma 1969 132 133
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Oltre a tale fattore “la dicotomia più nota tra i due campi dello sviluppo della scienza: quello della Naturwissenschaften e delle Geistwssenschaften è individuata nella differenza che si esprime nella dichiarazione di estraneità del ricercatore nei confronti degli esperimenti condotti nel suo laboratorio, mentre questa dichiarazione di estraneità non può essere fatta nel secondo caso”136. Per questo si sente il bisogno continuo di ricercare nuove forme di controllo che diano una sempre maggiore obiettività al discorso sulle scienze dell’educazione, per proporre tesi finali in cui si possa affermare che il giudizio sintetico elaborato a-posteriori sia univoco ed incontestabile, insomma, rispecchi appieno il soggetto o l’oggetto valutato. Ciò che è stato appena descritto è legato in maniera indissolubile con il “coinvolgimento del valutatore e dei soggetti valutati in un processo che può sì concludersi con indici quantitativi, ma, per ottenere i quali, è sempre necessario la preliminare scelta comune dei criteri da adottare per la valutazione o (…) l’adeguamento di criteri elaborati da altri specialisti in alcuni ambienti ad una particolare area, nella quale vengono combinati docenza e apprendimento”137. In questo quadro di insieme la valutazione entra non solo a far parte del discorso pedagogico, ma si presenta Cfr. Quaderni del Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università degli Studi di Salerno n.1 1995 137 Ibidem, p. 74 136
133 126
come timone, per evitare, per usare parole di Tafuri G., “secche insidiose” che si creano nel ritenere l’analisi quantitativa immune da errori nel suo procedere analitico e scientifico. Oggi, dopo circa un cinquantennio di elaborazioni teoriche e dopo centinaia di tentativi di assestamento si è cercata costantemente una strada per migliorare la qualità della valutazione stessa. Infatti, “mentre la docimologia della prima generazione incarnata da Pièron aveva come preoccupazione principale la denuncia della manchevolezza degli esami e assumeva un carattere negativo (in quanto si limitava solo ad esso), l’orientamento attuale è la dominante positiva: ricerca di una più grande validità e analisi dei processi psicologici”138. Una presa di coscienza di sicuro spessore scientifico, che ha con sé un valore non solo di diversità di orientamento verso strumentazioni sempre più specializzate nei vari contesti educativi e maggiormente efficienti ed efficaci, ma anche una elaborazione pedagogica che spinge verso un apprendimento sempre più basato su una relazione educativa adeguata. Per questo si richiede, come si evince dalle riflessioni di De Augustinis139, una sempre maggiore obiettività alla valutazione che ha nella validità dei processi scientifici, nell’affidabilità dei discorsi da Cfr. De Landsheere G., Storia della pedagogia sperimentale. Cento anni di ricerca educativa nel mondo, Armando, Roma 1988 139 Cfr. De Augustinis M., La comunicazione educativa, La Scuola, Brescia 1993 138
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proporre ed infine nella selettività delle procedure da attuare, il suo nodo cruciale. Appare ovvio che ogni educatore ponga la sua attenzione verso la relazione che il discente si trova ad affrontare singolarmente con il docente stesso e, di conseguenza, con il sapere specifico. Per questo appare doverosa un’ultima riflessione circa “la natura del dialogo educativo”140. “Il dialogo nella situazione pedagogica presenta un carattere asimmetrico risultante dalla natura delle funzioni assunte da ciascuno dei partners e dalla dimensione temporale aperta sul futuro: l’insegnante avvia il processo educativo e agisce in base alla percezione del futuro dell’allievo. Anche se ha come scopo quello di emancipare… (l’allievo) e di aiutarlo a costruire il suo itinerario personale, egli rimane il protagonista della situazione”141, creando uno sbilanciamento che dà ragione di ritenere che esista una naturale asimmetria nella relazione educativa. C’è da aggiungere, però, che lo stesso Postic intravede una possibile soluzione, o per lo meno un momento, in cui esista una presunta simmetria nel gioco relazionale tra docente e discente. Esistono “delle possibilità di apertura del dialogo e di riduzione della simmetria. Osservando attentamente la relazione che si istaura, infatti, non risulta essere dicotomica, anzi appare Postic identifica la relazione tra il discente ed il docente asimmetrica. Postic M., La relazione educativa. Oltre il rapporto maestroscolaro, Armando, Roma 1983 141 Ibidem, p. 335 140
135 128
una configurazione triangolare, poiché ha come oggetto la conoscenza, come obiettivo lo sviluppo della personalità e come mediatore l’insegnante”142; un “dialogo paritario” che determina un accostamento dell’insegnante stesso verso un rapporto che lo pone a mediana tra la conoscenza ed il soggetto che apprende. Naturalmente in questo gioco di parti, fattore determinate diventa la motivazione che il discente ha nei confronti della disciplina di riferimento, ma si ricorda che anche la stessa motivazione è derivante dal complesso relazionale che si instaura tra i soggetti in questione, tanto da far affermare che “nel corso delle interazioni, attraverso i giudizi espressi su di lui, ogni allievo definisce ciò che gli insegnanti, gli altri allievi, i suoi genitori si attendono da lui in una certa area di apprendimento e a determinare, non solo il livello di rendimento che gli altri si aspettano da lui in tale materia, a un dato momento”143, ma anche il grado di motivazione che lo spinge ad apprendere. Per questo la valutazione si strutturerà come “una misura che scandisce il tempo/scuola con accertamenti di vario genere, ma dovrà avere coscienza del fatto che i problemi della misurazione (…) dai voti ai giudizi non possono non incardinarsi all’interno di un itinerario che vede intrecciato insegnamento (momento relazionale) ed apprendimento in un processo che ha pur sempre almeno due punti di grande rilievo: la formazione 142 143
Ibidem, p. 211 Ibidem, p. 212
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dell’allievo e l’arricchimento del patrimonio di conoscenze, di cui l’insegnante è portatore”144. La relazione educativa, si può concludere, risulta essere una delle “categorie della didattica” 145, come annota Rosati nel suo più recente lavoro, che rinviano necessariamente a quelle forme a-priori kantiane che permettono alla conoscenza di farsi cosa concreta nel momento esperenziale. Per queste ragioni la relazione non solo deve essere accolta come momento topico dell’educazione ma deve, allo stesso tempo, essere valutata per poterne migliorare l’efficienza.
Cfr. Serpico Persico L., La valutazione come problema educativo pedagogico, in Acone G., Dimensioni attuali, etc. La Scuola, Brescia 1991 145 Cfr. Rosati L., Dentro l’anima della professione docente, MargiacchiGaleno, Perugia 2005 144
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7.1 Il modello predittivo e la persona come limiti della valutazione
Il concetto di verificabilità, argomento base nella teorizzazione del Circolo di Vienna atto a contrastare il criterio neopositivistico di significanza impostosi fino a quel momento nel discorso scientifico, apre le strade a riflessioni che portano a definire il rapporto esistente tra i vari metodi usati dalle discipline nella ricerca. Shlick146 ne dà una prima chiarificazione e classificazione. Secondo tale impostazione il significato scientifico di un concetto è costituito dal momento della sua verificabilità, dando un senso all’agire solo se basato su un valore conoscitivo dimostrabile tramite un percorso empirico. 146 Shlick, fisico viennese, sentì la necessità di condividere le sue idee e i suoi dubbi circa i differenti ambiti disciplinari al fine di concertare nuove teorie e nuove forme di riassestamento scientifico. Il circolo di Vienna da lui promosso risulta essere uno dei più grandi consessi scientifici del passato, dove oltre che criticare le direttive scientifiche presenti a Vienna ed in tutta Europa si cercò di analizzare quelle stesse direttive al fine di modificarle, correggerle ed imparare a controllarle e magari presentarne delle nuove.
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Il problema riguardante la verificabilità dei modelli e dei metodi adottati sia nelle scienze così dette forti, sia in quelle deboli ha origine nell’età moderna, quando, cioè, si iniziano a considerare le prove come fondamento di controllo. Sicuramente un contributo fondamentale a ciò è depositato nei lavori di G. Galilei, sul seguito degli Accademici del Cimento, quali promotori di nuovi mezzi e nuove strumentazioni di misura. Solo più avanti con l’ingresso sulla scena del Circolo di Vienna il problema della verificabilità si traduce in una epistemologia di verità, caratterizzata, però, dalla limitazione riguardante la possibilità di una valutazione oggettiva. Popper oltrepassa la linea di confine tracciata dalla verifica intesa come momento di conoscenza assoluta e rintracciabile in ogni contesto, tramite il principio di falsificazione. Celebre risulta essere il suo passaggio riguardante l’avanzamento scientifico: “voi tutti conoscerete la storia del soldato che scoprì che tutto il suo battaglione (a parte lui, naturalmente) non marciava al passo”147. Tale metafora, usata molto spesso dall’autore voleva significare che la scienza si era fermata e si dirigeva disordinatamente verso traguardi sbagliati, alla ricerca di un controllo sistematico degli eventi. Una nuova prospettiva nella quale una teoria può essere definita scientifica o vera se non può essere falsificata tramite dimostrazioni o asserzioni divergenti. Di qui la consapevolezza popperiana che il metodo induttivo non 147 Popper K. R., La logica della scoperta scientifica, Einaudi, Milano, p. 549
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può essere un metodo che porta a verità: la scienza non può partire dai fatti per risalire alle leggi generali della natura, piuttosto deve creativamente ideare modelli e teorie che possano poi essere controllati e esaminati attraverso i fatti. Pochi anni prima rispetto a Popper, R. Carnap sostituisce a tale criterio valutativo quello della confermabilità148, nella quale trova campo un’idea di scientificità a spirale sempre crescente ma mai definitiva, in quanto nulla può essere dimostrato con esattezza matematica nel campo da noi circoscritto, quello delle scienze umane. A tale proposito sembra doverosa una riflessione sul concetto di esperienza come modello identificativo dei procedimenti conoscitivi. Esistono metodi che tracciano il percorso tramite un’induzione dal particolare al generale o altri che passano dal generale fino al particolare attraverso deduzioni. Stuart Mill149 prende in esame una metodologia diversa, basata nella logica che prevede una ricerca dal particolare al particolare. Una operazione logica derivata da una o più proposizioni già esistenti. Netto è il distacco di questo modello rispetto al concetto kantiano di forme di conoscenza a posteriori, additando al valore di verità della conoscenza un Cfr. Pasquinelli A., Introduzione a Carnap, Laterza, Bari, 1972 Noto è ormai il lavoro di Mill sul sistema di logica deduttiva e induttiva. La logica, derivante da un processo di induzione, osservazione e distinzione, per Mill è la scienza della prova dell’evidenza e, in quanto tale, l’unico mezzo a disposizione per raggiungere la verità. 148 149
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significato esperenziale e, cioè, cercare nella natura e nell’esperienza stessa la sua giustificazione. Un altro modello di riscontro oggettivo della critica empirica del positivismo è stato elaborato da E. Mach150. Si ritiene che la conoscenza sia una esperienza pura nella quale si effettuano delle sintesi scientifiche o descrizioni sintetiche per una economia di pensiero. Soltanto queste sintesi possono essere sottoposte a controllo di verifica sperimentale rappresentando la massima espressione della conoscenza stessa. Difatti, egli intende dimostrare l’infondatezza del positivismo nell’accreditare quelle discipline che sono saldamente radicate nel pensiero oggettivo di dati ricavabili solo dall’esperienza. A suo parere è l’opera del soggetto che qualifica e quantifica il momento della conoscenza tramite un ordinamento convenzionale e non il percorso inverso. Cfr. Mach E., in F. Adler, E. Mach e il materialismo, Armando, Roma, 1978. Dopo molte riflessioni riguardo la vera natura della scienza, Mach arriva alla conclusione che l'essenza della scienza risulta essere il continuo perfezionamento dell'adattamento biologico che ogni soggetto ha con l’ambiente. La scienza, così, si riflette sull’osservazione, come momento di corrispondenza delle idee con fatti e teoria, in cui si cercano relazioni tra le stesse idee. Mach riteneva che le unità di misura per la conoscenza degli oggetti siano costituite dalle sensazioni. Egli rileva tra fatti fisici, quindi oggettivi, e fatti psichici, la conoscenza effettiva; non esiste una differenza, bensì soltanto un diverso modo di interpretazione e di considerazione. Tale riflessione porta alla conclusione che non sono i corpi che producono le sensazioni, bensì è l’orchestrazione delle sensazioni a dare origine ai corpi. L’oggetto, così, viene ad essere tale se, e solo se, percepito attraverso le sensazioni.
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L’epistemologia in questo contesto si trova a doversi relazionare con l’esperienza oggettiva dei fatti esperenziali e su di essi basare il concetto di scientificità oggi inteso. Dalla seconda metà del ‘900, il discorso si sposta verso il primato della teoria sul momento pratico accreditando nuovi modelli di accertamento di verificabilità. Si tratta di una querelle ancora aperta, nella quale si mettono in luce le fasi delle rivoluzioni scientifiche, definite da Bachelard come rotture epistemologiche, e il rapporto che le teorie si trovano ad avere con il contesto storico culturale che le circonda, tipico campo di investigazione di Kuhn. Da qui desumere e risolvere il problema docimologico-valutativo non è cosa di poco conto. Prospettando una ipotesi risolutiva ciò è possibile tramite due modalità: la prima tende verso l’obiettività, alla ricerca di quella vis descritta da Clapàrede che ha come fine ultimo la non criticabilità dell’intervento valutativo, mentre l’altra si dirige alla ricerca di una oggettivazione epistemologica che determini un impianto strutturale diretto dalla persona alla persona. Obiettività ed impianto epistemologico possiedono nella loro natura la risposta ad una continua logicità del discorso sulla valutazione. Impianti o, per meglio dire, schemi mentali di riferimento che vedono nella loro
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dicotomia l’oggetto della valutazione accreditata come percorso formativo della persona stessa151. Al fine di rendere scientifico quello che momentaneamente non lo è, o per lo meno cercare di intravedere ciò che sta dietro alla valutazione, come del resto quello che resta nascosto o celato nell’educazione stessa, è doveroso analizzare dei modelli di riferimento che facciano da guida per una valutazione di senso. I modelli sociologici, per esempio, mettono a fondamento il percorso scientifico una metodologia in grado di dare obiettività alla ricerca, diversamente da quelli di stampo psicologico che, nella visione montessoriana, trovano la loro matrice identificativa attraverso l’esperimento. D’altro canto ciò che ancora non si è detto è che non è possibile trascurare un modello che nell’eticità e nella morale trova la sua essenza e che nell’elaborazione di apprendimenti significativi dei valori trova un sistema che valuti la persona nel suo contesto di appartenenza, nel suo essere nel sociale. Le prime due impostazioni orientative, quella sociologica e quella psicologica, presentano nella loro strutturazione dei vistosi limiti. Nella prima troviamo un focus orientato verso la ricerca di una teoria fondante Forte è il richiamo al pensiero di Spinosa il quale afferma che la connessione delle idee è identica all' ordine e alla connessione dei corpi, quindi che le idee sono ad immagine e somiglianza degli oggetti a cui si riferiscono. Questo passaggio supera la dicotomia imposta dalle vedute precedenti, risolte attraverso la presa di coscienza dell’unicità della materia. 151
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che lascia trascurato tutto l’universo caratterizzante la persona, mentre, nella seconda si trovano aspetti che identificano quest’ultima, ma che non vedono la necessità di una strutturazione a monte dell’atto valutativo. Di qui il problema didattico. Se la valutazione, infatti, si denota come carattere descrittivo, espositivoanalitico, che abbia cioè come fine ultimo quello di dare un voto attraverso una caratterizzazione numerica, essa si espone a critiche feroci riguardanti la sua oggettivazione. Come per il carattere descrittivo, anche il fondamento prescrittivo della valutazione, comporta notevoli lacune rintracciabili nella prospettiva di giudizio a-priori, fortemente vanificata nell’attuazione del processo didattico. In ultima analisi si ha il modello predittivo, il quale, nelle scienze dell’educazione, risulta essere, usando una definizione di G. Acone, aeriforme, o, come ricorda Popper, difficilmente rintracciabile e identificabile. Anche se il momento sperimentale altro non è che la prassi empirica sistemizzata ed organizzata, l’impostazione predittiva tende a dare oggettivazione a ciò che risulta essere psicologico soggettivo e, quindi, esente da una seppur sommaria classificazione. Per capire meglio: fare una operazione di oggettivazione dell’essere psicologico soggettivo, in educazione, è paragonabile alla misurazione della quantità di acqua presente nell’oceano quando si ha a disposizione un bicchiere come misuratore al fine di
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vedere quante volte quello stesso contenitore debba essere riempito; questo risulta cosa non fattibile e perciò non calcolabile; o si cambiano le strumentazioni o si tira a caso. Al fine di determinare e produrre un passo in avanti è necessario chiarire una questione che per molti risulta essere cosa dovuta o almeno troppo evidente per essere argomentata, non comprendendo come risulti essere fatto fondamentale. Il successo formativo è la risultante di un percorso che vede nel soggetto valutato la sua matrice o viene preso a seconda dell’oggetto da valutare? Per il momento basti chiarire il fatto che le due strade non possono essere confuse in una educazione di senso. Ma della persona, della sua singolarità e delle sue potenzialità, che cosa possiamo trasformare in entità numeriche? Cosa possiamo stabilire con esattezza se quello che determiniamo nel momento successivo non lo è più? E’ doveroso, allora, tenere presente che il tutto, della pansofica visione, non è riconducibile a formule matematiche prestampate, ma bisogna andare alla ricerca di una impostazione che segua il continuo divenire dell’oggetto valutato. La docimologia è, quindi, destinata a cadere sotto i colpi della variabilità della persona, oggetto non pienamente conoscibile.
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7.2 Una valutazione corretta: ipotesi di fattibilità
L’interesse per la programmazione, la complessità e la facilitazione del lavoro quotidiano dell’insegnante e dell’alunno, ha portato alla formulazione di modelli basati sull’introduzione dei computer nel processo di apprendimento. Se il percorso che porta la persona al suo miglioramento è sistematicamente controllato e verificato in tutti i suoi passaggi tramite il controllo delle variabili da parte di elaboratori capaci di calcoli esorbitanti in frazioni di secondo, allora l’istruzione programmata così concepita risulta essere di “più alto grado di efficacia rispetto all’istruzione tradizionale”152. Difatti “una teoria così tecnologizzata comporta la conoscenza di tutte le condizioni, cosicché si possa calcolare in modo scientifico tutto l’algoritmo di un apprendimento efficace”153. Una innovazione ed un concetto che rendono “reiterabile a piacimento” il successo dell’insegnamento al punto tale che l’educazione diventerebbe solo la Blankertz H., Teorie e modelli della didattica, Armando, Roma 1969, p. 71 153 Ibidem, p. 78 152
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risoluzione di più o meno facili calcoli. Questa generalizzazione o riproducibilità è anche limitata a quelle condizioni che di volta in volta vengono descritte nell’algoritmo di partenza e, quindi, di un solo obiettivo, di una sola condizione, di un solo tema didattico ed in un contesto immutato. La sua specificità determina anche un limite da non sottovalutare. Difatti, non appena muta una condizione si deve nuovamente ricercare l’algoritmo didattico efficace per quella nuova situazione. Risulta quanto mai particolare questa dimensione se non altro per il fatto che ogni successo didattico è indissolubilmente legato alla particolarità del contesto e delle persone di riferimento. L’immobilismo educativo come componente fondamentale che può però essere superato attraverso una sinergia di calcoli provenienti da altri contesti o da altri atti educativi, al fine di poter standardizzare ogni segmento educativo e renderlo valido in ogni contesto e con ogni persona. E’ certo che il successo, una volta ottenuto, si possa calcolare tramite schemi che lo hanno determinato e che tengano conto delle leggi psicologiche e sociali, ma appare chiaro che si tratti di un dato non generalizzabile. Di questi elementi però bisogna farne tesoro memorizzando quella soluzione in una banca dati per far sì che, qualora si riproponga un contesto educativo, si possa procedere secondo una programmazione di sicuro valore e spessore scientifico.
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Programmare un dato percorso significa, a questo punto, reperire da altri contesti passaggi che si sono rivelati soddisfacenti nel loro risultato e attuarli nella situazione di riferimento, il quale a sua volta formerà nuovi dati e nuove strategie, sempre segmentati secondo una determinata modellistica, da riferimento per altre strategie educative. Una limitazione lampante si legge tra le righe: questo modello consiste soltanto in un trasferimento a codici numerici di dati che per loro natura possono essere trasformati in numeri, schemi o algoritmi. Il rappresentante più autorevole di questo modello è Helmar Frank, il quale avvia la discussione dei metodi cibernetici e tecnologici nell’ambito educativo, non lasciando però trascurato l’aspetto didattico concentrato principalmente sulle procedure algoritmiche. “Un algoritmo didattico, prodotto da una didattica formale nel senso della cibernetica, è dunque applicabile empiricamente solo se è provato che i dati assunti per il modello destinatario abbiano un preciso riscontro nella realtà”154. Ma come detto neanche questo modello riesce a conferire tale prova. Un algoritmo didattico comprende, secondo Frank, tre grandezze: la quantità dell’azione, la quantità delle relazioni distinguibili del destinatario, la macrostruttura presentata dal diagramma dell’algoritmo. Questo comporta una misurazione dello stesso, in quanto 154 Cfr. Frank H., Ansate zum algorithmischen Lehralgorithmieren, in lehrmaschinen in kybernetisher Sicht, vol. 4, Stuttgart-Munchen 1966
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espressione di “quantità” tramite delle variabili indipendenti: l’obiettivo (Z), il materiale didattico (L), il mezzo (M), la psicostruttura (P) e la sociostruttura (S). Se tutte le suddette quantità sono esprimibili matematicamente allora: A= (L, M, P, S, Z) Questa formula esprime l’algoritmo didattico e “viene sviluppata tanto la didattica formale interamente algoritmica (ALZUDI) quanto la didattica formale semialgoritmica (COGENDI)”155. Tramite un’elaborazione di dati da parte di un calcolatore “alzudi trasforma l’algoritmo didattico formulato in base alle suddette variabili in un programma didattico. Il materiale didattico viene presentato nella forma di un cosiddetto testo base”156, e ciò significa un testo che presenta, senza nessuna parte superflua, le informazioni da trasmettere nel processo di apprendimento. In ragione delle limitazioni dettate dalla natura degli alzudi, e dalla loro scarsa applicabilità in scala generale, gli informatici hanno sviluppato una didattica cibernetica semialgoritmica con più ampie possibilità di applicazione, i cogendi. Da essi ne risulta una maggiore flessibilità rispetto ai primi per il fatto che “viene a mancare la limitazione,
155 Blankertz H., Teorie e modelli della didattica, Armando, Roma 1969, p. 80 156 Ibidem, p. 81
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nel testo base, a sole dieci quantità suscettibili di essere coordinate tra loro”. In conclusione. Gli algoritmi esposti, e il loro teorizzare il modello dell’istruzione tramite un processo di calcolo, designano quello che più comunemente viene ad essere il metodo con cui cercare la via di accesso nella pratica educativa. Quello che si intende dire è che pezzetto dopo pezzetto, calcolo dopo calcolo, variabile dopo variabile, si può determinare una educazione nella quale il risultato finale è certo, non opinabile, quindi, non soggetto a critiche, se, però, la sua programmazione, nella sua articolazione, rispecchia il contesto di riferimento.
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7.3 Dall’oggettività all’obiettività
“E’ sintatticamente e semanticamente corretto dire che le asserzioni soggettive sono fondate da soggetti. Allora, in modo corrispondente, potremmo dire che le asserzioni oggettive sono fatte da oggetti. Disgraziatamente queste dannate cose non fanno asserzioni”157. Difatti, per oggettività si può intendere “il carattere dell’oggetto e, per estensione, della realtà. Se riferito a un sistema di sapere, lo si qualifica in termini di validità assoluta e universale, in quanto ciò che è oggettivo non
Cfr. Heinz von Foerster - Bernhard Pörksen, La verità è un'invenzione di un bugiardo. Colloqui per gli scettici, tr. it. Maltemi, Roma 2001. Heinz von Foerster, noto scienziato nato a Vienna nel novembre 1911, si contraddistinse per la “cibernetica di secondo grado”, da lui stesso definita così perché si differenzia dalla prima per l’introduzione dell’osservatore, con la conseguente perdita di neutralità e oggettività assoluta. Solo attraverso l’osservazione diretta, quindi partecipata, afferma Foerster, è possibile indagare in profondità ed in modo analitico “l’epistemologia dei sistemi viventi”; senza una partecipazione diretta dello scienziato all’esperimento stesso non sono comprensibili appieno le dinamiche e le variabili che intervengono nello sviluppo dell’uomo, ma soprattutto non è possibile ricercare le linee di principio e la conseguente formulazione di teorie e modelli di riferimento.
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è vincolato a elementi soggettivi e individuali di giudizio”158. L’oggettività può essere considerata una chimera alla quale tendere in quasi tutte le scienze, una illusione ben costruita dall’uomo per l’uomo, un ideale su cui riflettere, insomma un utopia da ricercare nel cammino dell’evoluzione. La ricerca, nelle scienze dell’educazione, deve affrontare nuove sfide, non solo nella costruzione di elementi tecnici adatti a semplificare il percorso di apprendimento, ma soprattutto a livello teorico, metodologico ed epistemologico. Di oggettivo nella valutazione così come nella misurazione delle qualità umane non c’è niente; e allora perché chiamarle oggettive? Senza addentrarci maggiormente nel complicato sentiero dell’oggettività delle scienze dell’educazione, ciò che si vuole mettere in luce è che se ancora dopo quasi un secolo l’uomo non è riuscito a trovare una soluzione a questo sostanziale problema, sembra essere giunto il momento di cambiare strada, di affrontare il problema da nuove prospettive, diverse sicuramente, ma pur sempre indirizzate a forme di tutela dell’uomo. Per anni si è cercato scientificamente di trovare strategie valutative e tecniche di misurazione che portassero ad un risultato esatto, cioè che si misurasse con esattezza ciò che si voleva misurare, nella 158 Morselli E., Dizionario di filosofia e scienze umane, Signorelli Editore, Milano 1993, p. 161
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convinzione che queste potessero esistere e che bisognava solo trovarle, perfezionarle e renderle il più possibile fruibili ai vari educatori. L’oggettività di una prova non è dimostrabile attraverso lo stesso risultato ottenuto con la reiterazione della prova stessa e neanche per mezzo di una fantomatica prova del nove. Troppi sono gli elementi che in queste fasi entrano in gioco; è come se al sodio non si aggiungesse la stessa quantità di cloro; è vero che si otterrebbe sempre il sale ma non risulterebbe sicuramente uguale in tutto e per tutto. Nella natura niente è ripetibile nella stessa modalità, nella stessa forma e nella stessa misura. Non si può nemmeno affermare che l’oggettività sia data da un valore universale attribuito ad un dato evento o ad una data performance, quale detentore di un sapere assoluto e neanche parlare di oggettività assoluta, ma di oggettività relativa; relativa ad un sistema di riferimento, a criteri di appartenenza a modelli prefissati. Di sicuro le “prove oggettive” possono essere considerate come un notevole miglioramento nel percorso didattico, nella necessità di formulare giudizi il più possibile corrispondenti alla realtà con la consapevolezza che tali giudizi non possano essere totalmente corrispondenti alla realtà e allo stato dei fatti, ma inclini ad una funzionalità formativa. Obiettiva può essere considerata, nel nostro settore del sapere, una azione che ha nella sua natura un realismo e una imparzialità al massimo nelle sue procedure e non il risultato di questa azione.
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Non poche sono le difficoltà di tale prospettiva, soprattutto alla luce delle modalità di valutazione ancora vigenti in Italia, basate sulla corrispondenza di una data prova con lo standard di riferimento di un singolo insegnante o di più insegnanti. Un problema di non poco conto che già da Pièron, nel 1920, viene sancito come carenza nell’azione esaminatrice. Un problema che ha ormai quasi novanta anni e che ha permesso, alla Docimologia, di diventare un settore di ricerca sempre più approfondito e raffinato circa le indagini sull’attendibilità e validità delle prove di valutazione. Anche le diverse tipologie di verifica (strutturate, semistrutturate ecc) hanno messo in luce il problema dell’affidabilità delle verifiche e del controllo scolastico. Pellerey159 ha distinto tre dimensioni che entrano a far parte della valutazione: soggettiva, oggettiva, intersoggettiva. Tali dimensioni, spesso presenti simultaneamente del processo valutativo, “rimandano alle modalità attraverso le quali si giunge all’attribuzione di punteggi, voti o giudizi, e sono fortemente legate al soggetto in quanto individuo (dimensione soggettiva), a criteri predefiniti e uniformi di valutazione (dimensione oggettiva) o a criteri discussi e condivisi da più persone (dimensione intersoggettiva). Le due polarità di queste dimensioni, soggettiva/oggettiva, e la loro mediazione, a ben vedere, vanno riportate alle diverse esigenze e ai 159 Cfr. Pellerey M., Progettazione didattica. Metodi di programmazione educativa scolastica, SEI, Torino 1994
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contesti valutativi e agli specifici strumenti di verifica”160. Qui la dimensione soggettiva e oggettiva trovano una simultanea convivenza nella compenetrazione dell’una sull’altra, alla ricerca di un equilibrio costante e veritiero. Oggettivo, quindi, non può mai essere considerato il risultato di una azione formativa; piuttosto si potrebbe intendere con questo il metodo con cui si è giunti ad esso, ma anche in questo caso non poche sarebbero le critiche che si potrebbero muovere a tale affermazione.
160 Benvenuto G., Mettere i voti a scuola. Introduzione alla docimologia, Carocci, Roma 2003, p. 51
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