QUALITÀ SENZA CONFINI anni di storia della Qualità in provincia di Ancona
Coordinamento: Maria Giovanna Gallo Oriana Torregrossa Si ringraziano per i testi: Antonella Cipollone Tommaso Rossi Filippo Schittone Raffaele Secchi Progetto grafico e impaginazione: Lara Diamante Stampa: Errebi Grafiche Ripesi srl Foto: Archivio Confindustria Ancona per la foto di Claudio Schiavoni si ringrazia PagineSĂŹ!spa
Indice
Premessa .................................................................................................................................... 5 di Claudio Schiavoni
Prefazione................................................................................................................................... 7 di Costantino Ricci
Nota metodologica.............................................................................................................. 9 Introduzione Storica......................................................................................................... 1 1 di Maria Giovanna Gallo
Il Club apre le menti......................................................................................................... 23 Imprenditori eccellenti........................................................................................ 24 Personaggi di altri mondi: lo sport.............................................................. 37 Personaggi di altri mondi: la comunicazione....................................... 41 Personaggi di altri mondi: uno sguardo dall’alto.............................. 46 Eventi Speciali........................................................................................................... 48 ll Club come palestra formativa............................................................................... 5 5 di Antonella Cipollone
Il Club in movimento....................................................................................................... 61 La regione Marche................................................................................................. 63 L’Italia............................................................................................................................. 71 Il Mondo....................................................................................................................... 80 Verso industria 4.0.......................................................................................................... 1 0 9 di Raffaele Secchi e Tommaso Rossi Il ruolo di Confindustria per Industria 4.0..................................................... 1 1 3 di Filippo Schittone
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Premessa
di Claudio Schiavoni* Parlare di qualità in Confindustria Ancona, oggi Confindustria Marche Nord, significa inevitabilmente parlare del Club, un sodalizio tra imprenditori nato spontaneamente in seno all’associazione durante la lungimirante presidenza Giampaoli e che negli anni, partendo dal tema della qualità, ha sempre esplorato temi innovativi e di avanguardia. Non è mio compito in queste poche righe raccontare cosa il Club abbia fatto negli ultimi 25 anni e cosa abbia rappresentato per gli imprenditori e per le imprese della nostra provincia: ne parliamo ampiamente nelle pagine di questo volume. La prima cosa che mi preme dire qui è grazie. Grazie al Club e a tutte le persone che lo hanno animato in questi anni, rendendolo punta di diamante della nostra associazione, luogo dove si sono affrontate tematiche di frontiera, esempio virtuoso di networking tra imprenditori e manager che hanno condiviso un percorso di crescita con modalità spesso informali e proprio per questo vincenti. Quello che mi sta più a cuore sottolineare è che il connubio esistente tra identità del Club e identità dell’associazione non deve venir meno: il Club non è organismo a sè stante, ma è parte integrante dell’associazione e così dovrà continuare ad essere anche in futuro. Il mio auspicio è che lavoreremo sempre di più valorizzando la forza dello stare insieme, soprattutto oggi che ci troviamo ad affrontare un cambiamento epocale: la quarta rivoluzione industriale, ovvero l’Industria 4.0, che
sta impattando in modo pesante non solo sulle nostre imprese, ma sulla nostra vita quotidiana. Una rivoluzione complessa che, a differenza di quelle precedenti basate sull’introduzione di una sola nuova tecnologia (vapore, energia elettrica ed elettronica), presuppone la conoscenza di molte e diverse nuove tecnologie, tutte molto sfidanti. Da tempo ci stiamo muovendo per far sì che il tema venga trattato in modo professionale, avvalendoci del supporto sia di Confindustria nazionale, che sta investendo notevoli risorse, sia del Politecnico di Milano, che si è dotato di un centro di studi e ricerca all’avanguardia nel panorama nazionale. Di ciò che stiamo facendo leggerete nel dettaglio alla fine di questo volume, ma credo sia importante essere consapevoli che in questa rivoluzione, e in quelle che verranno dopo, il Club dovrà essere in prima linea. Ecco perché accanto agli auguri più sinceri per la celebrazione dei 25 anni di storia del Club della Qualità, ne aggiungo un altro: che il Club continui a lavorare in sintonia con tutta l’Associazione e continui a catalizzate le energie di tanti soci verso lo studio di temi innovativi. Per far sì che non solo una singola impresa o un ristretto gruppo di imprese, ma tutto il sistema locale delle imprese nel suo complesso sia pronto ad affrontare la sfida competitiva che ci attende. * Presidente Confindustria Marche Nord già Presidente Confindustria Ancona
Prefazione
di Costantino Ricci* Era il 2013 quando mi fu data l’opportunità, che ho accolto con grande entusiasmo ma anche con forte senso di responsabilità, di presiedere il Club della Qualità di Confindustria Ancona (oggi Confindustria Marche Nord). Sin da subito mi sono reso conto che il Club era molto più di quanto pensassi: nato per accompagnare le aziende verso le varie forme di certificazione di qualità si è evoluto nel tempo diventando a tutti gli effetti il settore “ricerca e sviluppo” dell’Associazione. Qual è il segreto del suo successo? Prima di tutto le persone che negli anni lo hanno animato. I presidenti e i componenti del Comitato Direttivo in primis, ma anche tutti i soci che hanno sempre portato il loro contributo aderendo con entusiasmo a tutte le iniziative e gli incontri. Il clima di confronto e continua condivisione tra i soci ha contribuito ad allargare le nostre menti e a renderle terreno fertile per accogliere sfide sempre più ardue. Ci ha anche aiutato a metterci in discussione e spesso a rivedere le nostre posizioni: per apportare in noi stessi e nelle aziende quel cambiamento che sempre più è necessario per competere in un mondo più grande e più interconnesso. E tra le persone che hanno contribuito a far crescere e prosperare il club voglio citare Massimo Zuccaro: come segretario del Club si è dedicato con una passione ed un’energia encomiabile a tutte le iniziative, riuscendo in imprese a volte considerate impossibili! La sua dedizione e la sua professionalità rimangono un punto fermo nella storia del Club.
In secondo luogo la capacità di fare cultura su tematiche all’avanguardia: molti dei soci possiedono aziende che sul piano tecnico/produttivo hanno in gran parte interiorizzato e fatto proprie le idee e gli stimoli che il Club proponeva realizzando poi una serie innovazioni reali all’interno delle loro fabbriche. I procedimenti produttivi caratterizzati dalla lean e oggi dall’Industria 4.0, che vediamo applicati presso i nostri soci, sono l’espressione massima delle innovazioni aziendali promosse dal Club. Su questi due fronti il Club è ancora molto impegnato poiché è convinto che il futuro industriale sarà per coloro che meglio sapranno interpretarlo realizzando fabbriche snelle e intelligenti. E in ultimo la varietà e la valenza delle iniziative – numerosissime – che il Club ha promosso nei suoi 25 anni di storia: gli incontri formativi tecnici, le testimonianze di personaggi del mondo industriale e non solo, le visite alle eccellenze del nostro territorio e di tutta Italia, i viaggi studio per trovare in altri Paesi del mondo l’applicazione delle teorie studiate. Si dice “se non esisteva bisognava inventarlo”. Ebbene noi il Club l’abbiamo, e oggi che è giunto all’età di 25 anni, lo festeggiamo; non dobbiamo però dimenticare che occorre continuare ad alimentarlo e farlo lavorare, con sempre maggiore impegno, poiché non so immaginare un futuro in Confindustria senza il Club della Qualità e senza coloro che hanno contribuito a farlo grande. * Presidente Club della Qualità
Nota metodologica
Quando Costantino Ricci ha proposto di voler realizzare un libro per celebrare i 25 anni di storia del Club della Qualità di Confindustria Ancona, la prima reazione di chi ha lavorato alla realizzazione del volume, è stata di grande entusiasmo. Che l’esperienza del Club avesse significato per tantissimi imprenditori un percorso di crescita importante, non solo professionale ma anche umana era cosa nota. L’idea di raccogliere in un libro questa esperienza non poteva che avere successo. Poi ci è trovati a fare i conti con un mare magnum di materiale … ed è stato necessario fare delle scelte. La prima è stata “temporale”: si è scelto di raccontare nelle pagine di questo libro gli eventi dal 2002 in avanti, perché in quell’anno fu pubblicato un libro che celebrava i 10 anni di storia del Club. Non sembrava giusto sovrapporsi a quel primo volume. La seconda è stata sui “contenuti”: raccontare tutto era impossibile così si è lavorato per temi più che per ordine cronologico. Come si può vedere dall’indice, dopo una doverosa introduzione storica, il Club è stato raccontato attraverso le testimonianze di tantissimi personaggi che negli anni si sono avvicendati nella sede di Confindustria e attraverso i viaggi che gli imprenditori hanno fatto nella regione, in Italia e nel mondo. Tutti i
testi che si trovano in queste sezioni sono stati presi e rielaborati dalle pagine scritte su Realtà Industriale integrate con i comunicati stampa e gli articoli di giornale. Relativamente agli incontri “tecnici”, che sono stati moltissimi, è stato affidato ad Antonella Cipollone, Lean Senior Consultant di Considi e appassionata frequentatrice delle iniziative del Club negli anni, il compito di sintetizzare in un articolo l’evoluzione del concetto di qualità negli ultimi 25 anni, partendo dalle certificazioni fino ad arrivare alla lean in tutte le sue sfaccettature. Ma l’input che Costantino Ricci aveva dato era più ampio: non limitarsi ad un libro celebrativo, ma dare anche dei messaggi per il futuro. Ecco perché è stato inserito un articolo scritto da due professori della LIUC, Raffaele Secchi e Tommaso Grossi sul tema di Industria 4.0. E per finire è stato affidato a Filippo Schittone, Vice Direttore generale di Confindustria Marche Nord, il compito di raccontare come il sistema Confindustria, sia a livello nazionale che locale, sta affrontando concretamente lo stesso tema.
Introduzione Storica
di Maria Giovanna Gallo* Correva l’anno 1991 quando nell’allora Assindustria Ancona si cominciò a parlare di Qualità: l’idea era quella di coinvolgere anche le piccole imprese su temi che fino ad allora erano appannaggio delle grandi imprese. E lo si fece attraverso il progetto Qualità per piacere cercando di informare e formare da un lato e dall’altro di sensibilizzare gli imprenditori su un tema che stava diventando imprescindibile per la crescita delle aziende. L’allora Presidente Giampaolo Giampaoli, visto il successo del progetto sostenne la nascita nel 1993 del Club della Qualità che fin da subito si identificò come un vero e proprio centro di conoscenza: obiettivo era quello di diffondere e stimolare attività ed esperienze innovative in materia di qualità globale, attraverso la promozione di incontri informativi, visite aziendali in Italia e all’estero, gruppi di lavoro, progetti. Una vera e propria palestra formativa che ha contribuito a creare cultura e un modo diverso e innovativo di approcciare il problema della qualità in azienda. Qualità che dal 1993 ad oggi ha assunto significati e valori completamente diversi: se all’inizio ci si limitava ad affrontare il percorso delle certificazioni, con il passare del tempo si sono dovuti affrontare argomenti molto più complessi e allo stesso tempo stimolanti che passano dalla gestione delle risorse umane, al total quality management, alla sicurezza, alla tutela dell’ambiente, allo studio delle 6 sigma e del kaizen, dalle 5 S alla lean … Quello che il Club è stato in grado di fare in tutti
questi anni è di creare un atteggiamento mentale e culturale nuovo, che ha permesso di incidere realmente sulle aziende, trasformandole in veicoli trainanti di un nuovo modo di fare e di essere impresa. Ma non solo: attraverso l’esperienza del Club gli imprenditori e le aziende hanno potenziato la loro creatività e la loro capacità innovativa. Potremmo aggiungere un’altra definizione al Club: il settore Ricerca e Sviluppo dell’Associazione, un luogo dove si anticipano le tendenze dei mercati, si lavora su tematiche all’avanguardia, si sviluppano e si testano nuove idee e attraverso il confronto e la condivisione e perché no, a volte anche gli errori, si persegue la via del miglioramento continuo. Come uomini e donne e come imprese. Il Club è fatto prima di tutto di persone. Ecco perché abbiamo scelto di far raccontare la sua storia da chi l’ha vissuta in prima persona, i presidenti. Nelle lunghe e piacevolissime chiacchierate che abbiamo fatto con tutti e cinque i protagonisti di questa avventura, ognuno con le proprie caratteristiche e peculiarità, emerge chiaro un tratto comune. Nessuno dei presidenti ha mai parlato in prima persona, è stato sempre un “noi” e mai un “io”. Come a dire che il Club si è sempre basato sul lavoro di squadra, sul team, sul confronto e la condivisione. Il presidente è sempre stato un primus inter pares e l’orgoglio dei risultati ottenuti è sempre stato l’orgoglio del gruppo. * Ufficio Stampa Confindustria Ancona
1992-1998 Francesco Marchesi: in principio fu il Club Classe 1942, originario di Assisi ci racconta il suo percorso formativo che lo ha portato subito dopo il liceo a studiare a Firenze e a Bologna, dove si è laureato in ingegneria meccanica e aeronautica. “Volare era la mia passione. Ho iniziato a volare con gli alianti: librarsi in aria senza motori mi dava un senso di libertà assoluta” ci dice. Nel 1970 si trasferisce nelle Marche ed inizia a lavorare all’Api per 10 anni con mansioni di controllo, manutenzione e controllo qualità. Il passaggio in Angelini avvenne nel 1980 e dopo due anni dovette affrontare una crisi notevole per gli stabilimenti di Ancona. Nel dicembre 82 una frana annientò uno stabilimento di 150 persone dalla sera alla mattina. “In quell’occasione venne nel mio ufficio Iginio Angelini, una delle persone più importanti della mia vita, chiedendomi come potevamo uscire in tempi brevi dalla situazione di crisi per ridare il lavoro alle persone che ne erano rimaste senza. Io avevo già un “foglietto” con un’idea progettuale di pochi mesi antecedente alla frana per trasferire lo stabilimento a Pontelungo: li infatti era già attivo lo stabilimento farmaceutico e l’unificazione avrebbe portato certamente benefici a tutti. Era il 27 dicembre e mi arrivò un telex che diceva: partiamo in operativo!” In tre mesi, con l’entusiasmo e la passione e con una nomina a dirigente che attestava il mio ruolo nel progetto, siamo ripartiti col nuovo stabilimento e abbiamo riassunto tutte le persone. Erano anni d’oro quelli, in cui c’era un grande fermento nelle aziende: in Angelini lavoravo a stretto contatto con un substrato di piccole imprese bravissime dal punto di vista tecnico professionale, ma il tema della “qualità” era ancora pressoché sconosciuto. Era il periodo in cui si iniziava a sentire la necessità della certificazione: questo significava in pratica costringere l’azienda a prendere coscienza dei processi e mettere per iscritto cosa si produce e come si lavora. Ecco come dalla qualità del prodotto si doveva passare ad un nuovo modo di gestire l’azienda. Era questa la cosa più importante da far capire: non bisognava impegnarsi sulla qualità perché c’è scritto sulla procedura ma responsabilizzare le persone su tutto quello che fanno. La formazione dunque iniziò a rivestire un ruolo fondamentale”. Qualità significava prima di tutto fare prodotti buoni e in secondo luogo rendere le persone consapevoli. Quando nacque in Assindustria Ancona il Club della Qualità, sotto una spinta molto forte di Giampaolo Giampaoli, allora presidente dell’Associazione, non mi sono certo tirato indietro e ho accettato con grande
entusiasmo e convinzione il compito di guidarlo per i primi anni. La prima cosa che facemmo fu uscire dal nostro guscio: iniziammo a vederci tra di noi, parlando di quello che facevamo dentro le nostre aziende. C’era la freschezza del confronto aperto, la forza della condivisione, una bellissima atmosfera di gruppo. Lavoravamo di sera, portavamo anche via tempo alle famiglie ma eravamo felici, animati da un unico filo conduttore: la curiosità, la passione e la capacità di ascoltare e di accettare gli altri. Abbiamo iniziato a esplorare tematiche per noi nuove e affascinanti che si ispiravano al concetto del miglioramento continuo. Ne cito due per tutte. Il ciclo di Deming altrimenti conosciuto come ciclo di PDCA (Plan–Do–Check–Act, in italiano Pianificare - Fare - Verificare - Agire) che consiste in un metodo di gestione iterativo in quattro fasi utilizzato in attività per il controllo e il miglioramento continuo dei processi e dei prodotti. La metodologia 5S nata dalla tradizione giapponese dell’eliminazione di ogni spreco (muda), con l’obiettivo di eliminare tutto ciò che non è strettamente funzionale all’attività svolta, indipendentemente dall’attività stessa. La metodologia racchiude in cinque passaggi un metodo sistematico e ripetibile per l’ottimizzazione degli standard di lavoro e quindi per il miglioramento delle performance operative. “Illuminante fu il Viaggio in Usa nel 1995 - continua il suo racconto Marchesi - e in particolar modo l’incontro con Juran: era un vero guru,
incaricato dal governo federale di riportare dentro gli Stati Uniti dal Giappone le tecniche che i giapponesi avevano sviluppato. Andammo anche allo stabilimento della Caterpillar vicino ad Atlanta: il direttore dello stabilimento ci ricevette in jeans e maglietta e ci fece partecipare alla vita dello stabilimento. Non c’era un direttore, ma un Comitato per gestire l’azienda. Decidevano in modo paritario tutti insieme. Questa destrutturazione ci colpì tantissimo e la ritrovammo anche in un’altra azienda. Ci lavoravano 500 persone e avevano sì un organigramma ma quando entravi dentro ti rendevi conto che i capi in realtà non c’erano perché tutto veniva gestito dai team … i capi reparto non si chiamavano nemmeno capi ma facilitatori. E dentro alcune fabbriche c’erano perfino le “aree caffè” attrezzate con poltroncine e palme finte: in quei luoghi destrutturati, appunto, le persone parlavano di problemi di lavoro e spesso riuscivano a trovare soluzioni creative”. E arriviamo alla fine del racconto: “nel 2000, lasciata l’Angelini, l’allora Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Ancona, Marco Pacetti, mi chiamò alla SVIM Sviluppo Marche, di cui l’Ateneo era socio, nel ruolo di direttore generale e mi allontanai un po’ dal Club perché mi dovevo spesso assentare per lavorare a Bruxelles. Anche il lavoro alla SVIM è stato di grande interesse sia per la dimensione europea che aveva sia perché lavorando a fianco della “Politica”, ti rendi conto, in negativo ed in positivo, delle differenze esistenti rispetto al lavoro della impresa privata: spesso ti accorgi che per la Politica i tempi e gli orizzonti si dilatano cozzando con decisioni spesso assunte per l’immediato più che all’interno di una visione….”.
1998-2002 Tonino Dominici: il posto migliore per la gente migliore “Il posto migliore per la gente migliore” è così che Tonino Dominici definiva il Club della Qualità durante l’Assemblea del 2001 nella quale aggiungeva: “Il filo che unisce noi soci del Club è sì rappresentato dalla passione per la Qualità, ma essa sottintende l’amicizia, il rispetto reciproco, la voglia di migliorare, di scambiarsi impressioni e idee, per crescere insieme e per fare veramente la qualità della vita”. E ancora oggi, a distanza di 16 anni, l’idea di Dominici rimane la stessa. “Attraverso il club sono nate amicizie importanti e profonde tra noi imprenditori: all’inizio eravamo anche un po’ timorosi e diffidenti nel raccontarci le nostre esperienze aziendali: ma questo perché dovevamo solo cambiare modo di relazionarci con gli altri, aprirci e imparare che insieme si può davvero crescere. Ma non solo: attraverso la condivisione si superano anche le difficoltà”. “Il cambiamento culturale che il Club ci chiedeva di fare era prima di tutto dentro noi stessi e ci poneva davanti a una sfida tutta nuova – continua Dominici – non avevamo più a che fare solo con i macchinari, gli impianti, la tecnologia … ma anche e soprattutto con le persone e le idee. E la qualità aveva già superato il mero concetto di certificazione per esplorare mondi a noi completamente nuovi”. L’incontro con Vittorio Merloni è una delle cose che Dominici ricorda ancora con grande chiarezza: “Merloni ci parlò dei knowledge workers e ci spiegò che se volevamo che le nostre aziende crescessero avremmo dovuto dare le conoscenze ai lavoratori: oggi un concetto acquisito, ma allora – parliamo del 1997! – erano parole estremamente innovative e dirompenti che ci diedero molto da pensare e la spinta a rivedere anche il rapporto con i collaboratori”. In quegli anni si cominciava a capire che gli aspetti soft (uomini e conoscenze) diventavano altrettanto importanti di quelli hard (macchine, processi e organizzazione) nella spinta innovativa delle aziende. E le persone iniziano ad essere considerate come la fonte principale per generare idee. Ma nel cuore di Dominici rimangono sempre e soprattutto i viaggi. “Uno degli elementi fondamentali dei viaggi era il cosiddetto debriefing: la sera, nonostante la stanchezza, ci riunivamo sempre tutti insieme, prima o dopo cena e condividevamo le esperienze della giornata. Era un dibattito vivace e spontaneo, dove ognuno apportava qualcosa di suo e altrettanto prendeva dagli altri: da questo scambio immediato di idee nasceva uno spirito di sana competizione e la voglia di fare sempre meglio. Accresceva la nostra consapevolezza e apriva le nostre menti”. Dominici fa una carrellata di ricordi in libertà ... primo fra tutti il viaggio negli Sati Uniti e l’incontro con Juran: “allora era già ultra
novantenne e ci colpì per lo spessore professionale ed umano: rispondeva in maniera precisa ed efficace alle domande dei presenti. Il cambiamento, la crescita, il miglioramento continuo erano i principi ispiratori del professore che ha dedicato un’intera vita ad approfondire la conoscenza a livello mondiale della gestione della qualità. Da lui capimmo che la qualità si fa tutti i giorni, ognuno sul proprio posto di lavoro. E che la qualità può permeare ogni aspetto della nostra vita”. Dagli Usa al Giappone e al mercato del pesce (ASAICHI), esempio di efficienza e organizzazione dove ogni mattina per un minuto il responsabile qualità e il responsabile dei reparti analizzano, guardano e risolvono i problemi prima dell’apertura. Un altro salto lo riporta alla visita alla Disney a Orlando nel 1998: “la mattina formazione sulla leadership tenuta dai direttore dei parchi divertimento. Lo sa qual era una delle caratteristiche richieste a tutti i membri del personale? Imparare a ridere! E a trasmettere gioia … e noi abbiamo aderito appieno al consiglio e la sera ci divertivamo nel parco giochi. Quando l’autista del pullman ha le orecchie da Topolino come fai a non divertirti?”. Gli occhi tornano al ricordo della Sony dove fu colpito dallo skill passport: “sulle linee di assemblaggio delle fotocamere era necessario pianificare la produzione in base alle richieste dei negozi, che venivano segnalate in tempo reale grazie ad un call center efficiente che segnalava il sell out dei negozi. L’obiettivo era immettere nel mercato il prodotto all’avanguardia che potesse essere venduto meglio: il che significava che sulla linea giornalmente cambiavano le persone in base agli skills e alle competenze specifiche necessarie per quel particolare tipo di prodotto”. In massima sintesi: “Questo per me è stato il Club: una fucina di cultura industriale, una scuola che mi ha insegnato come si fa industria e come si gestiscono le persone, un luogo in cui si fanno bene le cose e in cui si generano comportamenti virtuosi, un circolo virtuoso fatto di scambio, condivisione, passione e bellezza. E su tutto un incontro tra anime”.
2002-2006 e 2008-2010 Sandro Paradisi: vitamina Q “Qual è l’azienda eccellente? Quella che apre le porte a clienti, fornitori, concorrenti, all’intero territorio”. Sono parole di Sandro Paradisi, che scrisse nel 2002 sul libro che celebrava i dieci anni di storia del Club. Parole che sintetizzano bene quello che l’esperienza del Club ha significato per lui. “Mi sono avvicinato ai temi della qualità alla fine degli anni 80 perché ero consapevole della sfida che l’azienda avrebbe dovuto affrontare con l’apertura del mercato europeo. Aderii dunque al corso Qualità per piacere dove iniziai a prendere confidenza con le normative in tema di qualità. Ma ben presto i discorsi si fecero più ampi e si iniziò da subito a parlare di risorse umane, comunicazione, sicurezza sul lavoro, ambiente. E si erano create importanti occasioni d’incontro tra imprenditori: la nascita del Club volle significare la volontà di non disperdere il patrimonio di esperienze e di contatti costruito durante quei primi due anni”. Paradisi divenne assiduo frequentatore e appassionato sostenitore delle iniziative del Club fin dagli esordi: seguì con costanza le sessioni formative, le testimonianze di imprenditori eccellenti, i viaggi in Italia e all’estero, fino ad assumere la presidenza del Club nel 2002 succedendo all’amico Tonino Dominici. Una presidenza lunga quella di Sandro Paradisi che dopo due mandati, dal 2002 al 2006 riprese le redini del Club tra il 2008 e il 2010 per impossibilità dell’allora presidente Polenta di portare avanti anche il secondo mandato. “La presidenza? – ci dice Paradisi – una gran bella emozione! Mi ha dato la possibilità di crescere professionalmente e umanamente e quella di rafforzare i legami già forti con i colleghi imprenditori. L’atmosfera che si creava durante i viaggi ad esempio era davvero unica: tante volte ci siamo ritrovati in pullman e allora non c’erano neppure i telefonini … non eravamo distratti e utilizzavamo quel tempo per condividere le nostre esperienze, una sorta di brain storming destrutturato, in completa libertà, senza paura di dire cose sbagliate. Momenti assolutamente non convenzionali ma dai quali spesso uscivano le idee più interessanti e innovative”. Oltre all’ormai famoso incontro con Juran che fu “illuminante ed emozionante” Paradisi ricorda lo shock dell’approccio alla Silicon Valley: “come puoi fare la qualità se le persone che lavorano con te non sono soddisfatte? Da quel momento, durante le nostre attività formative e anche durante le visite, abbiamo iniziato a confrontarci
non solo con i tecnici della qualità ma anche con le persone che in azienda si occupavano di risorse umane. Abbiamo aperto le nostre menti e abbiamo spostato il focus sulle persone. Questo non significa che ci siamo dimenticati dei tecnici, anzi … C’era sempre una figura tecnica all’interno del Comitato di coordinamento e durante i viaggi si parlava anche con i tecnici che spesso ci mettevano in crisi!” Dalle persone alla lean “Noi ne parlavamo già dal 2005 e il viaggio in Giappone fu il coronamento di un sogno. Una delle cose che mi hanno maggiormente colpito è stato vedere come, attraverso la velocità nel rispondere alle esigenze del cliente e la flessibilità spinta, i giapponesi stavano affrontando la concorrenza cinese soprattutto per il costo del lavoro. Non sempre abbiamo trovato un livello tecnologico all’avanguardia come ci saremmo aspettati, ma la pulizia e l’ordine negli stabilimenti erano incredibili. Fu particolarmente interessante non solo la visita alla Toyota – indubbiamente la culla del TPS non poteva mancare! – ma anche le aziende piccole che applicavano le tecniche delle sei sigma. Queste aziende erano molto vicine alle nostre come dimensioni e questo ci ha aiutato a capire che in fondo tutto era possibile e che avremmo potuto farlo anche noi”. Paradisi non si ferma al primo mandato, ma continua a reggere il Club fino al 2006: sono gli anni dell’integrazione tra qualità e cultura d’impresa e il Club rafforza il suo ruolo di recettore di segnali deboli e scopritore di temi di frontiera, come ad esempio la riduzione della supply chain. “Sono un imprenditore e devo riuscire a immaginare la mia azienda tra 5 anni, devo avere una visione, non posso passare il tempo a spegnere gli incendi. Il mercato non cambia da un giorno all’altro, ci sono sempre i segnali, ma a volte sono deboli e io devo essere in grado di intercettarli se voglio essere sempre in prima linea”. “Eravamo sempre molto orgogliosi di quello che stavamo facendo e forse anche un po’ gelosi del nostro marchio che in quegli anni abbiamo anche registrato. Tanto che quando Francesco Casoli, allora presidente di Confindustria Ancona, ci propose di cambiare il nome noi rifiutammo senza esitazione! Fu in quel periodo che coniammo anche lo slogan ‘Vitamina Q’ che simboleggiava il potere energizzante del Club. L’appartenenza al Club, il contatto con altri imprenditori, italiani e stranieri, l’apertura mentale derivata dai viaggi si è sempre tradotta in benefici reali per tutte le nostre aziende: personalmente, ma credo di non essere stato solo, alla riunione di fine anno in azienda portavo sempre materiale, spunti e suggerimenti derivati dal Club.
2006-2008 Gianni Polenta: la forza del gruppo “Siamo convinti che innovare sia l’unico modo che le imprese hanno per restare competitive. E innovazione significa creatività, ingegno, passione, ma anche tecnologia, organizzazione e capacità gestionale”. E’ stato questo il leit motiv della Presidenza di Gianni Polenta, che come ci racconta, entra nel club molto giovane su spinta del padre. “Quando in azienda ti occupi di qualità significa che dell’azienda devi imparare a conoscere ogni ambito: e io come tanti giovani entrai in azienda proprio occupandomi di qualità: era naturale che fossi io in prima persona ad entrare nel Club. Ho iniziato a frequentare i primi incontri e mi sono subito appassionato: ben presto sono entrato nel direttivo, partecipando all’organizzazione e alla pianificazione delle attività. Fin da subito ho capito che uno degli elementi vincenti del Club era la formula conviviale che abbiamo sempre scelto per gli incontri: avevamo sempre un’ampia partecipazione, anche di persone esterne al mondo dell’imprenditoria, e un grande interesse verso il tema trattato e verso i testimonial. Uomini e donne che avevano un grande spessore non solo professionale ma anche umano, due aspetti imprescindibili. Un presidente giovane, con già un importante ruolo in azienda e che ha facilitato l’entrata nel Club di diversi altri giovani. “Ho accettato di diventare presidente perché sapevo di avere delle persone con cui avrei potuto condividere onori e oneri: non mi sono mai sentito solo, ma un primus inter pares. L’aspetto di convivialità, di apertura, di condivisione è stato fondamentale e veniva percepito anche all’esterno: tutti coloro che ci aprivano le porte vedevano in noi una grande apertura e ci trasmettevano le loro conoscenze per aiutarci a crescere”. E sicuramente di crescita si è trattato, anche perché il Club è sempre stato all’avanguardia: “Eravamo avanti dieci anni! Siamo stati dei pionieri sul territorio quando abbiamo affrontato il tema della lean e quando siamo stati in Corea parlavamo già di domotica”. E sempre a proposito di viaggi: “la forza del gruppo e di Confindustria era di riuscire ad arrivare in posti dove sarebbe stato impossibile arrivare da soli: aziende importantissime ci aprivano le porte, come anche centri di ricerca di fama internazionale. Per noi questi viaggi erano la sintesi e il coronamento del percorso fatto durante il corso dell’anno: vedevamo l’applicazione concreta delle tematiche che avevamo studiato. Ma non solo: attraverso i viaggi abbiamo anche portato le Marche nel mondo: quando arrivavamo nelle aziende all’estero, per prima cosa ci presentavamo e raccontavamo chi eravamo, dove vivevamo, come era il nostro territorio. Eravamo piccole imprese ma in un grande territorio e in rete”. Una nota finale di colore: “era tanto l’entusiasmo e la voglia di stare insieme e di condivisione che l’azienda Pigini aveva realizzato un inno che suonavamo all’inizio delle riunioni come sottofondo musicale!
2010-2014 Marco Cantori: l’entusiasmo del più giovane “Il mio primo contatto con il Club della Qualità fu quando avevo solo 24 anni e presi parte al viaggio in Corea e Vietnam: era il 2005, io ero davvero alle prime armi in azienda e durante quel viaggio mi entusiasmai non solo per le visite ma anche per la possibilità che mi fu data di confrontarmi con altri imprenditori. Fu un’esperienza formativa unica, sia dal punto di vista professionale che personale”. Da quel momento Marco Cantori inizia a frequentare sempre più assiduamente il Club e allo stesso tempo prosegue il suo percorso formativo nell’azienda di famiglia. Entra a far parte del Comitato di coordinamento e a soli 28 anni gli viene chiesto di diventare Presidente: “Ricordo l’emozione di aver avuto la fiducia da parte di un gruppo di imprenditori che prima mi hanno accolto, poi mi hanno voluto come presidente e in seguito mi hanno sostenuto”. La relazione tra imprenditori è ancora una volta uno stimolo ad accrescere le proprie conoscenze, a sviluppare una mentalità imprenditoriale, a completarsi: “mi confrontavo con chi da più tempo di me lavorava sull’organizzazione aziendale: questo mi è servito anche per sviluppare caratteristiche diverse da quelle che avevo in casa”. Erano gli anni in cui gli aspetti legati alla normativa erano già da tempo superati, in cui si iniziava a studiare e ad applicare in maniera determinante le tematiche della lean e del miglioramento continuo: il focus era sempre più sulla centralità della persona. “A livello personale ho dovuto fare uno sforzo creativo per trasferire alcuni concetti chiave per le aziende meccaniche - come ad esempio automazione o margini ridotti - in un’azienda come la nostra che ha mantenuto negli anni una forte componente artigianale che ne rappresenta comunque la forza. Grazie all’esperienza del Club che mi ha insegnato ad avere la mente aperta e libera da pregiudizi, a rompere gli schemi e a anche a saper mettere in discussione quello che si è sempre fatto sono riuscito a introdurre in azienda concetti completamente diversi, creando un po’ di scompiglio nel rapporto con la generazione precedente: ricordo che al ritorno dal viaggio negli Stati Uniti nel 2007 discussi con mio padre sull’opportunità di introdurre il nuovo sistema informatico. E’ anche vero però che al rientro di mio cugino dal Giappone – in quell’occasione purtroppo dovetti rinunciare al viaggio - tutti insieme abbiamo intrapreso un percorso di lean in azienda. L’aver introdotto concetti di organizzazione aziendale più spinta ci ha permesso di continuare a lavorare mantenendo un occhio attento alla produttività”. Un’ultima cosa sottolinea Cantori: “Quando andiamo all’estero portavamo con noi il nostro territorio. Eravamo piccole imprese ma in un grande territorio e in rete”.
Il Club apre le menti Una carrellata di testimonianze ed eventi che negli anni hanno animato la sede di Confindustria Ancona
Aprire le menti … uno dei maggiori benefici che tutti coloro che hanno frequentato il Club della Qualità hanno apprezzato. Ecco perché abbiamo titolato così questa sezione: perché l’ascolto delle testimonianze dei personaggi che hanno animato gli incontri promossi dal Club della Qualità nel corso degli anni ha contribuito a quell’apertura mentale necessaria per intraprendere qualsiasi cambiamento. Sono stati tantissimi coloro che hanno portato stimoli e spunti di riflessione, che hanno lanciato provocazioni, che hanno acceso nella mente e nel cuore di chi li ha ascoltati quel pensiero nuovo, quell’idea diversa, quel guizzo creativo che ha portato poi a provare a cambiare qualcosa, in azienda e a livello personale. Le pagine che seguono forniscono uno spaccato significativo, anche se non esaustivo, di quegli incontri: forse potrà stupire la scelta del format, nel quale è stata privilegiata la sintesi più che il dettaglio degli incontri, come anche la suddivisione non solo per ordine cronologico ma anche tematico. Abbiamo voluto fissare sulla carta solo i messaggi chiave, per riviverli oggi come allora e per scoprire, anche a distanza di anni, l’attualità di alcuni di essi. La prima parte è dedicata agli imprenditori eccellenti: uomini e donne che hanno raccontato la storia delle loro aziende e del loro successo: Nerio Alessandri, Giuseppe Prezioso, Ernesto Illy, Giuseppe Colaiacovo, Massimo Colomban, Giuseppe Nicoletti, Adolfo Guzzini, Rossella
Sirtori, Vittorio Merloni, Mario Moretti Polegato, Vittoria Bruschini Liuti, Elisabetta Tacchini Viezzoli, Giuseppe Lavazza, Ettore Riello, Enrico Loccioni, Laura Zegna, Giorgio Squinzi, Francesco Casoli , Franco Moschini, Paolo Boffi, Andrea Tomat, Marco Rosi, Andrea Pontremoli e Guido Martinetti. La seconda parte è invece dedicata a personaggi provenienti da mondi diversi da quello dell’imprenditoria: dallo sport con Claudio Gentile, Gabriele Gravina, Felice Gimondi, Cathy O’Dowd, Dan Peterson, Jury Chechi. Dal mondo della comunicazione con l’esperto di processi di cambiamento Franco d’Egidio, il sociologo Domenico De Masi, l’esperto di innovazione Pasquale Pistorio, il comico Paolo Cevoli, professor Paolo Preti, l’eclettico Giorgio Di Tullio, il comunicatore Alberto Castelvecchi, il professor Alberto De Toni. Per finire con uno sguardo dall’alto partendo dall’astrofisica Margherita Hack, passando per l’allora Vescovo Edoardo Menichelli e finendo con Massimo Folador e le sua regola Benedettina. L’ultima parte è invece dedicata a quelli che abbiamo definito eventi speciali e anche, perché no, insoliti nell’abito di un associazione di imprenditori, perché hanno coniugato l’industria con il teatro (spettacolo sulla vita di Olivetti), con l’arte (mostra delle opere di Musante e Mollica) e infine con la musica (il jazz di Erika Leonardi e il violino di Marco Santini).
Nerio Alessandri (2002) Il Presidente di Tecnogym dà la sua ricetta per diventare leader di un’impresa eccellente Quando tutti i miei collaboratori pensavano di essere arrivati all’apice del successo, io dicevo che era già ora di cambiare, di guardare avanti e di continuare ad innovare. L’innovazione è trasversale all’azienda: investe la cultura aziendale, il prodotto, il mercato, i servizi, i processi produttivi, la finanza. La motivazione dei collaboratori è uno dei motori principali della crescita: bisogna capire il valore delle risorse umane nel loro complesso, non solo le competenze
Imprenditori eccellenti
“L’organizzazione è fondamentale, insieme al rigore, alla disciplina e al metodo: non basta essere creativi e avere delle buone idee per fare un’azienda di successo”
Giuseppe Prezioso (2002) Da Max Mara alla creazione di IMAX che in 15 anni raggiunge risultati eccellenti Bisogna riuscire a prevedere quali sono i prodotti che avranno successo: certo non è facile, ma neanche impossibile. Il valore immateriale dei servizi e delle informazioni sta crescendo in modo esplosivo. Spazio, tempo e massa stanno rivoluzionando l’idea di business.
“Il cambiamento è divenuto una costante: governarlo è diventato una disciplina che tende a dilatarsi : come accettiamo il cambiamento definisce il nostro futuro”
Ernesto Illy (2002) Figlio del fondatore dell’omonima azienda Ernesto Illy considera il suo caffè come una vera espressione artistica Qualità: la perfetta corrispondenza del prodotto alla funzione che deve esercitare. Eccellenza: aggiungere alla qualità l’unicità, ovvero l’incapacità di sostituire il prodotto con altri, e i contenuti estetici. Noi italiani siamo avvantaggiati in questo: viviamo in un Paese dove il bello è di casa. L’intelligenza dell’imprenditore da sola non basta: in azienda ci deve essere un team di persone competenti in diverse discipline che collaborano in armonia.
“Il consumatore è al centro. Intorno ci sono passione per la qualità, innovazione, flessibilità, spirito di squadra, unicità”
Un’azienda di famiglia che negli anni si è affermata sul mercato diventando il terzo gruppo in Italia nel settore del cemento e del calcestruzzo La chiave del nostro successo è stata l’innovazione tecnologica: eravamo in un mercato chiuso, con un prezzo controllato, per cui ci siamo concentrati sulla tecnologia, cosa che molti nostri concorrenti non hanno capito. Investire all’estero è stato fondamentale. La formazione per noi è un tema centrale. Spendere in formazione dà sempre un ritorno, che può anche non essere immediato, ma è certo. Bisogna mettere le persone in condizione di esprimersi al meglio. Bisogna fidelizzare i dipendenti, farli sentire coinvolti in prima persona e se si lavora bene in gruppo il rischio è minimizzato. Bisogna dare valore alle idee e allo stesso tempo impiantare una politica retributiva premiante.
“Il capitale umano è il vero valore di un’azienda”
Imprenditori eccellenti
Giuseppe Colaiacovo (2002)
Massimo Colomban (2003) Fondatore di Permasteelisa, il “sarto dei grattacieli” ha raccontato le sue sfide Il primo fondamentale elemento di successo sono le persone: quando sono partito l’unico valore che avevo era quello umano. Da sempre ho valorizzato al massimo i miei manager: se vuoi che un manager pensi come te e faccia come te, lo devi mettere al tuo posto. Invece di aumenti di stipendio davo stock options. Le sfide non si affrontano da soli ma in squadra dove non esistono titoli, solo nomi, e un ambiente di lavoro trasparente
Imprenditori eccellenti
“Ho sempre spinto i miei a fare l’impossibile e ho introdotto livelli di tecnologia altissimi. Ho puntato tutto sull’innovazione: di prodotto, di processo, in fabbrica, in cantiere”
Giuseppe Nicoletti (2003) L’azienda di Matera che Nicoletti presiede si caratterizza per una crescita da sempre accompagnata a profondi valori e scelte morali Per un’azienda moderna le prestazioni economiche non possono essere separate da quelle etiche: lo sviluppo della mia azienda è passato attraverso lo sviluppo sostenibile e la qualità sociale. Le certificazioni ci costringono a monitorare ogni singola giornata con un’estrema trasparenza, è tutto chiaro, tutto alla luce. La certificazione etica è quella che dà più forza all’azienda perché coinvolge tutti, dal primo all’ultimo. L’etica è il valore che si dà al dipendente. Le risorse umane vanno valorizzate: noi le guidiamo nel loro lavoro, le sosteniamo nei momenti di difficoltà. Noi imprenditori dobbiamo dare energie al territorio con amore e passione. Impegniamoci anche nel campo della cultura, dello sport, ma soprattutto creiamo entusiasmo. Se così faremo, le cose funzioneranno e supereremo anche i momenti di crisi.
“Non esportiamo solo prodotti, ma anche qualità, efficienza, serenità. Emozioni che il cliente percepisce quando accarezza i nostri divani”
Adolfo Guzzini e Rossella Sirtori (2003) Il tema del passaggio generazionale affrontato da Adolfo Guzzini, AD de iGuzzini Illuminazione e Rossella Sirtori, consigliere delegato di Sircatene spa Adolfo Guzzini: Tanti giovani vengono troppo coccolati dalle mamme e non hanno nulla da chiedere alla società. Questo è il valore che trasmetto: dovete guadagnarvi il pane e soprattutto fare un lavoro che vi piace. Quello che è certo è che in azienda, a differenza dell’ambiente familiare, bisogna saper prendere decisioni veloci e incisive: ecco perché deve esserci una persona sola che abbia leadership riconosciuta, competenze , che sappia motivare i collaboratori e fare gruppo, sia esso l’imprenditore o il manager.
Rossella Sirtori: Mio fratello è stato imprenditore per obbligo, io l’ho fatto per caso, ma poi ho scoperto che è la mia vita. Il ruolo di mio padre è stato fondamentale, perché è stato alla finestra, mi ha lasciato rischiare e anche sbagliare, ma era sempre pronto a intervenire se si rendeva conto che non ce l’avrei fatta. I momenti difficili non sono mancati ...la vera sfida è stata quella di riaprire una fabbrica chiusa e renderla efficiente: a questo punto ho davvero guadagnato la fiducia completa di mio padre che da quel momento è diventato la mia spalla. Pensando al passaggio di consegne da madre a figlio mi rendo conto di quanto sia difficile cedere un amore. Di una cosa però sono soddisfatta: mio figlio ha un grande rispetto per le persone e questo è un elemento fondamentale per potersi guadagnare la fiducia e la stima di chi lavora con te.
“Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo se vuoi possederlo davvero”
Imprenditori eccellenti
“Noi abbiamo fatto dei regolamenti precisi per inserire i figli in azienda; allo stesso tempo abbiamo deciso di aprire i consigli di amministrazione a persone esterne, seppur in minoranza”
Vittorio Merloni e Marco Pacetti (2003)
Imprenditori eccellenti
Un bellissimo confronto tra l’imprenditore e il Rettore della Politecnica: parola d’ordine innovazione Vittorio Merloni Le nuove idee sono l’ingrediente principale della competitività, del progresso sociale e del miglioramento degli standard di vita di un paese. Quali sono gli ostacoli all’innovazione? Il rallentamento macroeconomico, la scarsità di risorse di qualità, di risorse finanziarie e di incentivi. E gli stimoli? Le esigenze dei clienti, la pressione dei concorrenti.
“Marco Pacetti: L’innovazione è un prodotto dell’Università. Le idee sono il capitale, i soldi sono solo il resto”
Vittorio Merloni: “ci sono tanti dati in giro e quando vengono aggregati generano conoscenza. I dati, insomma, sono vincenti”
Marco Pacetti Occorre sviluppare la capacità di far crescere i talenti e trattenerli facendoli lavorare. Le Marche non hanno nulla da invidiare ad altri territori. Il legame con il territorio è un vincolo? No, tutti vogliono crescere dove sono nati, dove hanno studiato, dove vivono, in Italia come all’estero.
Mario Moretti Polegato (2004) I segreti del successo della Geox svelati dal presidente e leader indiscusso dell’industria calzaturiera Non ho inventato la membrana e nemmeno la suola di gomma, ho inventato l’idea. Riflettete: ognuno può creare e può davvero cambiare il mondo con le sue idee. La società ha bisogno di idee e un’idea ben impostata vale più di un’impresa. Noi imprenditori dobbiamo riacquistare l’ottimismo anche se spesso il mercato ci vuole affossare. Bisogna credere nella propria azienda. Io ci credo fermamente, e bisogna avere obiettivi ambiziosi. E’ proprio il caso di dire che quando l’idea funziona e si ha il coraggio di perseguirla, tutti gli ostacoli si possono superare. Davvero.
“Conoscetevi: quello che penalizza l’azienda italiana è l’individualismo”
(2004)
“Donne e impresa” il tema della serata: due storie diverse ma la stessa passione per l’azienda e la capacità di conciliare la vita familiare con gli impegni lavorativi Vittoria Liuti Sono diventata imprenditrice per amore, dopo la prematura scomparsa di mio marito. Non è stato facile ma oggi posso ritenermi soddisfatta. Dentro un’azienda bisogna mettere tutto di voi stessi e soprattutto tanto amore. Ai miei figli ho dato tempo di qualità e ho insegnato loro la coerenza e l’onestà.
Elisabetta Viezzoli Mi sono trovata imprenditrice per caso, insieme a mio marito. Il mio ruolo è stato quello di aiutarlo nella gestione delle situazioni, delle risorse umane, dei processi. E’ un ruolo apparentemente di secondo piano, che appare poco, ma non per questo meno essenziale. E questo grazie anche alla sensibilità tipicamente femminile.
Imprenditori eccellenti
Vittoria Bruschini Liuti e Elisabetta Tacchini Viezzoli
Giuseppe Lavazza e Mauro Mortaroli (2004)
Imprenditori eccellenti
Consigliere di amministrazione dell’omonimo gruppo Giuseppe Lavazza ha intrattenuto la platea sul tema della pubblicità nella comunicazione aziendale, coadiuvato dal creativo Mauro Mortaroli Giuseppe Lavazza Se ci mettiamo dalla parte di chi guarda la pubblicità, sentiamo che abbiamo qualcosa da farci perdonare. Cerchiamo di convincere il nostro pubblico a comprare il nostro prodotto e lo ripaghiamo con una storia, uno spettacolo, cercando di rubare un pezzetto della sua memoria durevole. Il nostro è un prodotto trasversale: la nostra pubblicità non deve dividere, ma accomunare Il pubblico è estremamente esigente, non perdona un’azienda se fa delle cose al di sotto delle sue aspettative. Nel marchio abbiamo messo lo spirito positivo del caffè italiano.
“La sfida non è vincere una volta, ma riconfermarsi tutte le volte”
Mauro Mortaroli Non dimentichiamoci che l’elemento fondamentale della comunicazione è sempre l’interlocutore. Con il pubblico dobbiamo cercare di fare bella figura, di presentarci al meglio, di farci capire e ricordare e, non ultimo, di farci perdonare per questa interruzione riuscendo a strappare un sorriso. La pubblicità è nata come esigenza semplice dell’uomo per farsi ricordare e noi raccontiamo delle storie. Le storie non sono un’invenzione, sono la vita, tutti abbiamo una storia da raccontare. Le belle pubblicità si fanno insieme, il creativo e l’azienda che lo sostiene: certo è che se il prodotto è valido senza dubbio aiuta!
“La comunicazione deve essere semplice, immediata, deve esprimere un solo concetto, una particolarità che aiuta a farsi notare tra i tanti”
Ettore Riello e Enrico Loccioni (2004) Il Presidente di Riello Group e il Presidente del Gruppo Loccioni a confronto sul tema dello sviluppo sostenibile
“Presupposto fondamentale è che i punti forti dell’azienda siano sani e forti. Prima di tutto dobbiamo saper creare profitto e generare reddito poi investire in campi che a breve termine non danno reddito, ma nel futuro ritornano” Enrico Loccioni La crescita delle persone è sempre stata fondamentale per me e per la mia impresa. Le persone che lavorano in azienda sono capaci di sviluppare un alto grado di fantasia, possiedono inventiva e creatività nella soluzione dei problemi dell’organizzazione e rappresentano perciò l’unico vantaggio competitivo sostenibile. Da anni investiamo sui giovani fin dai banchi di scuola: molti dei giovani che noi abbiamo formato hanno scelto di aprire delle attività in proprio.
“L’impresa rappresenta il luogo ideale dove l’individuo può crescere, sia come persona che come imprenditore”
Imprenditori eccellenti
Ettore Riello Oggi un’azienda non può fare business senza essere socialmente responsabile: deve interagire positivamente con il mondo esterno e diventare un punto di riferimento sia per i mercati sia per la comunità in cui opera. Possiamo definire l’ambiente come un grande amico, che fa sì che la nostra tecnologia sia sempre in movimento. La nostra Carta dei valori parla di rispetto e tutela delle persone, attenzione al cliente, eccellenza e innovazione, tutela dell’ambiente, appartenenza a una identità di gruppo, fiducia e integrità.
Laura Zegna (2005) Nipote del fondatore Ermenegildo Zegna, Laura ha raccontato l’impegno verso il territorio e l’ambiente di un’azienda nata nel 1910 e divenuta negli anni sinonimo di eccellenza italiana Il successo del lanificio non è bastato a mio nonno: era convinto che l’intera collettività dovesse avere dei benefici e diede vita ad un progetto sociale di grandissimo valore. Ha costruito edifici di pubblica utilità e luoghi dedicati allo sport e ha contribuito alla rivalorizzazione delle sue montagne. Alla fine degli anni 90 è nata l’Oasi Zegna: in concreto abbiamo adottato la montagna, coinvolgendo 4 comunità montane e dando nuova linfa ad un turismo che languiva.
Imprenditori eccellenti
“L’amore per il territorio della mia famiglia dura da tre generazioni”
Giorgio Squinzi (2006) Gli ingredienti delle ottime performance ottenute dal gruppo MAPEI: specializzazione produttiva, qualità nella ricerca ed internazionalizzazione Il gruppo investe in ricerca il 5% del fatturato e destina il 12% dei suoi addetti. L’azienda dispone di 7 laboratori Ricerca e Sviluppo e di 46 laboratori di controllo qualità. Internazionalizzazione non vuol dire esportare o delocalizzare, ma conquistare quote di mercato all’estero. L’internazionalizzazione deve essere il motore della crescita. Investimenti e finanza per noi significano finanziare e sviluppare correttamente la crescita dell’azienda. Siamo e resteremo investitori industriali.
“Senza ricerca non c’è futuro”
Francesco Casoli (2006) Trent’anni di storia di Elica. Le fasi cruciali di un processo di evoluzione costante, ha trovato nelle criticità le spinte più forti allo sviluppo Competere richiede il saper lavorare in squadra, dare il proprio contributo di idee, di velocità nel rispondere a ciò che il mercato chiede, di visione che può addirittura anticipare le tendenze. Ad animare lo spirito di chi affronta oggi il mercato deve essere la fantasia, la flessibilità ma al tempo stesso la precisione, la lucidità e la conoscenza del rischio che è propria degli acrobati. Cercate gente complicata; cercate sempre la scintilla in chi lavora con voi. Cercate gente con la voglia di lasciare una traccia. Tenere a mente le nostre origini ci aiuta a rimanere con i piedi per terra e, al tempo stesso, alimenta l’orgoglio. Concretezza, realismo sono indispensabili per chi fa impresa, ma a fare la differenza è la visione.
Franco Moschini (2007) Nata nel 1912 Poltrona Frau è presto diventata un marchio di riferimento mondiale per le poltrone in pelle La rinascita è partita dalla ridefinizione di un concept aziendale. Abbiamo capito che l’acquisto di una poltrona è un fatto emotivo, che dovevamo vendere il prodotto, ma non solo: dovevamo vendere il modo di vivere italiano.
“Innovare significa avere il coraggio di affrontare le cose oggi in modo diverso da quello che si è fatto il giorno prima”
L’apertura del capitale a terzi è una scelta enorme, innovativa, significa mettere da parte quell’individualismo che ci limita. Abbiamo scelto di migliorare sempre, di aprire i nostri orizzonti, di guardare al di là del quotidiano. Innovazione significa cambiare, mettere da parte gli egoismi e l’abitudine di fare tutto da soli.
Imprenditori eccellenti
“Viviamo una condizione del mercato soggetta a cambiamenti improvvisi, inattesi. Per questo nelle aziende servono acrobati, con la voglia di affrontare le sfide e di vincerle”
Paolo Boffi (2007) 70 anni di esperienza e di storia della cucina italiana: Paolo Boffi, patron dell’omonima azienda caratterizzata da una grande capacità innovativa Il mondo è un mercato troppo grosso per affrontarlo da soli. Bisogna avere il coraggio di guardarsi allo specchio e capire quali sono i propri valori, i propri limiti e le proprie potenzialità di crescita.
Imprenditori eccellenti
Innovazione è cercare di rendere il prodotto che si fa assolutamente aggiornato e imparare a precorrere gli usi e i costumi di quel prodotto. Nel caso specifico del locale cucina bisogna concentrarsi non tanto sul Made in Italy, bensì sull’Italian style, ovvero la capacità che hanno gli italiani di vivere meglio. Restando sempre attenti alla nascita di nuovi materiali che possono innovare il look, la funzionalità e la praticità, senza mai dimenticare il design, la vera chiave di vittoria nel nostro settore.
“Noi imprenditori dobbiamo convincerci che dobbiamo puntare all’eccellenza in ogni settore. Dobbiamo cercare di essere come la moda: dobbiamo creare, innovare di continuo”
Andrea Tomat (2007) Patron di Lotto Sport, l’uomo “con le scarpe nel cervello” ha parlato di creatività, dinamismo, capacità di innovazione Il mondo economico è profondamente mutato con il nuovo millennio. La concorrenza orientale e le nuove leggi che regolamentano il mercato hanno fatto sì che nel breve volgere di tre o quattro anni l’imprenditoria italiana si sia trovata a doversi completamente rimettere in gioco. La forza del Made in Italy non è solo la manifattura italiana, ma anche il saper combinare processi creativi e genio imprenditoriale.
“La capacità di produrre qualità fa parte del bagaglio dell’imprenditore italiano”
Marco Rosi (2011) Il fondatore di Parmacotto, l’azienda del salume in vaschetta, che ha portato il prosciutto cotto nelle case di tutti gli italiani Nell’alimentare non serve innovare ma è decisivo rassicurare il cliente in termini di qualità di prodotto. È stata questa una delle leve che nel 1980 ha fatto decidere all’azienda di affrontare due grandi sfide: produrre prosciutto cotto di alta qualità senza polifosfati e lanciare la vaschetta salva freschezza. Nessuna ricetta del successo; ho iniziato a lavorare a 19 anni; ero ragioniere e commerciavo in prosciutti e formaggi, attività che molti altri facevano in zona. Di fatto, non ho mai approcciato, nemmeno per un’ora, il mio mestiere da dipendente.
“Credo di aver sempre avuto in me il gene dell’imprenditore, la sola molla che mi ha fatto avventurare in questo mondo”
Ex numero uno di IBM Italia e dal 2007 AD e DG della Dallara Automobili spa ha parlato di sogno e di passione come elementi di successo Il segreto del mio successo? Ho sempre seguito le mie passioni: l’elettronica, la musica, i motori. Le mie passioni hanno sempre guidato le mie scelte professionali e personali. Ma la passione da sola non basta: servono altre due capacità: il saper disegnare, tracciare, ideare qualcosa dove altri vogliono essere o a cui vogliono prendere parte e il sapersi focalizzare su ciò che di unico ci contraddistingue. Provate a chiedervi che cosa c’è di unico, in quello che fate, rispetto ai vostri concorrenti. E’ lì che dovete concentrare le risorse, gli investimenti. E’ sulla vostra unicità che si gioca il vostro futuro.
“Chi riesce a realizzare il proprio sogno è colui che ci crede e che ha la capacità di aggregare altri attorno al proprio progetto: clienti, fornitori, dipendenti”
Imprenditori eccellenti
Andrea Pontremoli (2011)
Imprenditori eccellenti
Guido Martinetti (2012) Grom è l’avventura di due ragazzi, un manager ed un enologo Inseguendo un sogno allo stesso tempo semplice e rivoluzionario – fare il gelato più buono del mondo – due amici partono da un negozio di 25 metri quadrati a Torino e in pochissimi anni, selezionando le migliori materie prime nei cinque continenti, rinunciando ad utilizzare additivi e coltivando frutta biologica nell’azienda agricola di proprietà, creano un gelato di altissima qualità che li impone come marchio di eccellenza sulla scena del food internazionale Devi essere moralmente convinto di una scelta di eccellenza per perseguirla fino in fondo e far sì che “biologico” o “altissima qualità” non siano solo parole da ufficio marketing. Gelati e sorbetti hanno una ricetta non complessa. Imitabile da tutti. Quindi la differenza la fai solo con le materie prime. È un po’ come il branzino al sale. C’è poco da inventare in cucina. Serve un branzino buono, e del buon sale.
“Aver scelto l’eccellenza in un settore dove ce n’era molto poca, ha pagato”
Claudio Gentile (2004) Campione del mondo ai mondiali di Spagna dell’82 e poi tecnico dell’under 21, Claudio Gentile spiega come creare e gestire una squadra vincente Essere motivati sul lavoro significa essere motivati nella vita. Oggi gestire un gruppo non è facile; gestire poi un gruppo di ragazzi già importanti, già famosi e lontani dai problemi di carattere finanziario è cosa difficile. Ecco dunque la motivazione, quella che rende tutto più facile.
Gabriele Gravina (2004) L’allora vice presidente del settore tecnico di Federcalcio e industriale Gabriele Gravina ha evidenziato il parallelismo tra mondo dell’industria e mondo del calcio L’azienda calcio sotto il profilo gestionale non è certamente diversa da un’azienda che tutti noi siamo chiamati quotidianamente a gestire. Tutti sappiamo che il fenomeno sportivo non può essere circoscrivibile al solo aspetto agonistico; è un fenomeno culturale, sociale e sicuramente economico che si pone in maniera trasversale rispetto a tutte le categorie sociali”. All’interno di un sistema aziendalistico i “calciatori” li consideriamo a tutti gli effetti “mezzi di produzione” mentre la società è il datore di lavoro; la partita della domenica è il bene che viene offerto sul mercato; il tifoso è il consumatore di quel prodotto.
“L’elemento vitale, lo stimolo, la gestione diretta all’interno di un gruppo, sia quello di stare attenti a tutta una serie di difficoltà, di pressioni e di tensioni. Guidare un gruppo non è facile, guidare un’azienda neppure”.
“Non è sufficiente imbroccare la formazione giusta per essere vincenti, occorre umiltà e disponibilità al sacrificio”
Personaggi di “altri mondi”: lo sport
L’aspetto economico è fondamentale, ma è fondamentale anche il tipo di fidelizzazione che riusciamo a creare all’interno del nostro gruppo. Dobbiamo essere bravi già all’interno della nostra selezione, a creare un rapporto di fidelizzazione con i nostri uomini, con coloro che saranno negli anni i soggetti che sosterranno la nostra azienda.
Personaggi di “altri mondi”: lo sport
Felice Gimondi (2006) Felice Gimondi, campione del mondo di ciclismo nel 1973 sul parallelismo tra ciclismo e vita d’azienda In gara come nella vita, se vuoi ottenere devi dare. La differenza è che nella vita magari ricevi e lo scopri dopo, in corsa invece lo scopri subito! Nella vita puoi essere utile anche arrivando secondo o quinto... purchè tu ce la metta tutta.
Cathy O’Dowd (2008) Cathy è la prima donna ad aver scalato l’Everest per ben due volte, non senza aver affrontato numerose difficoltà Scalare una montagna come l’Everest e arrivare in vetta è come condurre un’azienda e portarla al successo. Prerogativa comune è infatti disporre di persone che sappiano fare squadra. La riuscita dipende dall’aver scopo, determinazione, saper riconoscere la motivazione degli altri e saper gestire lo stress per poter prendere la decisione migliore ogni volta. Le persone giuste al momento giusto sono gli strumenti del successo di una spedizione e di un’azienda. Senza dimenticare che l’obiettivo non è la vetta, ma tornare a casa, così per un’azienda non è quello di puntare solo all’aumento dei profitti, che è una trappola, ma aver chiari gli obiettivi, sapere cosa è accettabile, calcolare il margine di rischio e saper vedere lontano.
“Non c’è montagna così alta che non possa essere scalata”
“La passione e il cuore sono indispensabili per ottenere dei risultati, in ogni campo”
Dan Peterson (2010) I mass media hanno sempre l’ultima parola, e bisogna imparare a gestirli, io l’ho imparato sulla mia pelle quando ho parlato troppo e il giorno dopo ho trovato le mie dichiarazioni scomode sulla prima pagina del giornale …
Avere un’idea e perseguirla, crederci davvero, con tutti se stessi, mettere il cuore in quello che si fa, avere passione. Se ci credi tu, ci crederanno anche gli altri.
Il pubblico nello sport sono i clienti per le aziende, sono loro che alla fine decretano il successo o meno. E infine gli arbitri che corrispondono alle regole, alle leggi a cui bisogna sottostare
Un buon capo ogni mattina saluta tutti, ascolta e ha una parola per ciascuno. A me bastava uno sguardo o una sola semplice domanda per capire se qualche giocatore aveva qualcosa che non andava. Allora per lui avevo più di una parola. Mi fermavo e cercavo di capire quale fosse il suo problema. Un giocatore scontento, come un dipendente demotivato, è un danno per tutto il gruppo.
Ogni coach, come succede a voi, ogni anno attraversa una crisi. E’ normale. E’ come un tunnel nero di cui non vedi l’uscita. Allora che fare? Andare avanti piano, a tastoni, a piccoli passi, ma non smettere mai di avanzare.
“Voi imprenditori dovete essere orgogliosi della vostra azienda: se voi lo siete e lo dimostrate i vostri dipendenti sentiranno fortissimo il senso di appartenenza”
Personaggi di “altri mondi”: lo sport
Noto telecronista dello sport Usa e delle partite NBA, testimonial di famose campagne pubblicitarie ha coinvolto la platea parlando dell’importanza del fattore umano, della motivazione, dell’appartenenza ad una squadra
Jury Chechi (2011)
Personaggi di “altri mondi”: lo sport
Il “signore degli anelli” della ginnastica italiana sul tema “reinventarsi, la voglia e il coraggio di crederci” Riuscire a trovare nelle difficoltà piccole motivazioni e pensare positivo: questa la ricetta di Chechi per uscire dai baratri in cui a volte ci si trova: passo dopo passo, riscoprendo dentro se stessi risorse molto più forti di quelle che pensiamo di avere. E gli avversari come gestirli? Dagli avversari ho imparato a non guardarli troppo. Ho sempre pensato a fare il mio meglio, se non vincevo mi dicevo che forse loro erano stati più bravi di me e che ci avrei riprovato. Ottenere fin da subito buoni risultati mi ha sicuramente dato lo stimolo giusto, ma quello che conta sul lungo periodo è l’allenamento, la costanza, il metodo, il lavoro quotidiano. In uno sport come la ginnastica artistica ci si allena per 4 anni per un minuto di esercizio. In quel minuto devi dare il massimo e per quel minuto la preparazione deve essere maniacale, alla ricerca della perfezione. Quando sono salito ad Atalanta nel 1996 e ho vinto la medaglia d’oro venivo da qualificazioni andate malissimo: sono riuscito a vincere la paura, ho svuotato la testa e sono diventato una macchina perfetta. La cosa più incredibile è che non ho alcun ricordo di quel minuto che mi ha regalato una delle più grosse soddisfazioni della mia vita.
“Mai arrendersi davanti alle difficoltà”
Il bilancio dell’intangibile il tema dell’incontro con Franco D’Egidio, esperto nella gestione dei processi di cambiamento Le aziende navigano in un mare in tempesta in cui si ha bisogno della bussola per non perdere l’orientamento: un nord che attrae, ha forza magnetica e che rappresenta la vision, il sogno imprenditoriale, un est che rappresenta la capacità di cogliere immediatamente le aspettative anche non manifeste e le istanze degli stakeholder, incominciando dal cliente interno, un sud che simboleggia le strutture, i sistemi, il capitale e un ovest, ovvero la cultura dell’innovazione. Il presente nasce dal futuro in cui stiamo per vivere. Bisogna essere in grado di intuire, illuminarsi, e presagire in assenza di dati, bisogna creare imprese con l’anima perché solo l’anima di un’impresa è inimitabile e solo con l’anima si può scegliere e decidere del proprio futuro.
Il capitale intellettuale è formato dal capitale relazionale che significa il network di sinergie, alleanze, rapporti condivisi all’interno e all’esterno dell’azienda; dal capitale strutturale o organizzativo che comprende la cultura e la capacità di innovare e dal capitale umano fatto da competenze, da livelli motivazionali e da vivacità intellettuale. La sfida del nuovo management è avere la capacità di integrare il bilancio tradizionale con quello intangibile.
“Quali sono i valori intangibili? La conoscenza, le idee, l’immaginazione, la reputazione, la cultura, la leadership, la relazione con i fornitori e i clienti e sono questi valori che fanno la differenza al momento in cui si vuole valutare il ‘valore globale’ di un’azienda. Senza questi valori intangibili è come se calcolassimo il punto nave avendo solo la latitudine a disposizione”
Personaggi di “altri mondi”: la comunicazione
Franco D’Egidio (2002)
Domenico De Masi (2005) Personaggi di “altri mondi”: la comunicazione
Il sociologo Domenico De Masi ha analizzato il passaggio dall’era industriale a quella post-industriale La differenza principale tra la società industriale e quella post-industriale è che la prima aveva come epicentro la produzione in grandi serie di grandi beni, la seconda ha come epicentro la produzione in grandi serie di beni immateriali. Dobbiamo iniziare a fabbricare le idee, dobbiamo produrre cose dense di idee, non è detto che siano immateriali. La Ferrari per esempio non è una macchina, è tante altre cose: gare, Schumacher, il rosso ...
“La forza della società post-industriale non è quella di far crescere le piramidi, ma di farle restare piccole. La vera forza non è quella di creare grandi imprese, ma di creare grandi network.”
In una regione come le Marche si può fare! È vero che siete restii a unirvi, ma questo è giusto, bisogna essere prudenti. Le Marche fanno molta pubblicità, evidentemente ci sono dei network. E questo facilita tutti voi. Un prodotto marchigiano porta con sé un marchio in più. Voi fate prodotti ricchi di estetica, soggettività e tecnologia. Di spazio per avere successo ce n’è all’infinito, ma non bisogna avere un senso di crisi, altrimenti non si progetta il futuro. Bisogna crederci. Ed essere consapevoli di poter fare le cose.
Pasquale Pistorio (2006) L’allora Vice Presidente di Confindustria ha dedicato al Club della Qualità una delle tappe italiane del road show in cui ha parlato dei processi di innovazione Il nostro mercato è il mondo e per competere le PMI non hanno scelta: devono puntare sull’innovazione. Per penetrare i mercati emergenti le piccole imprese devono consorziarsi o agganciarsi alle grandi imprese. Le imprese devono crescere prima di tutto culturalmente e poi infrastrutturalmente. Qui ad Ancona ho trovato un tessuto imprenditoriale reattivo e dinamico. In particolar modo ho apprezzato le iniziative che vengono portate avanti con l’Università: l’inserimento di talenti nelle imprese è essenziale.
“L’innovazione a 360 gradi è l’unico modo per competere: innovazione di prodotto e di processo”
Paolo Cevoli (2008) Tra il serio e il faceto l’intervento di Paolo Cevoli, inarrestabile comico di Zelig con un passato da imprenditore
Mi dissero che ero un cabarettista nato, e io da buon imprenditore ho colto l’opportunità che mi si è presentata in modo totalmente inaspettato. E ho pensato che in fondo un comico è come un’azienda: dà servizi nel settore dell’entertainment.
“Il cliente è fondamentale e bisogna volergli bene”
Paolo Preti (2009) Docente presso la Sda Bocconi di Milano e uno tra i massimi esperti di piccole e medie imprese ha affrontato il tema “Il caso Italia: un modello originale di sviluppo” Il nostro è un Paese di piccole imprese , con un tasso di imprenditorialità diffusa tra i più alti al mondo. Dobbiamo rimanere fedeli alle 4 caratteristiche identificative dell’impresa italiana: piccola, imprenditoriale, a gestione familiare, manifatturiera. Cosa cambiare? Superare la tendenza a chiudersi troppo e imparare ad aggredire il mercato. Evitare la tendenza a essere monoclienti. Cambiare il rapporto tra manager e imprenditore. Specializzarsi in quello che si sa fare meglio. In sintesi: continuare ad essere imprenditori all’italiana.
“Se volete superare la crisi state fermi! Ovvero: restate ancorati al modello di piccola impresa che caratterizza il nostro sistema industriale”
Personaggi di “altri mondi”: la comunicazione
Le analogie tra il mestiere dell’imprenditore e quello del comico sono tante: la capacità di cogliere gli elementi della realtà, la necessità di fare ricerca e sviluppo, avere capacità produttiva molto forte, avere una grande capacità di relazione. E non ultima la formazione “sul campo”.
Giorgio Di Tullio (2011)
Personaggi di “altri mondi”: la comunicazione
Di formazione filosofica ed antropologica, Di Tullio è anche fotografo, designer, registra teatrale, documentarista e docente. Il tema del suo intervento la progettazione dei prodotti industriali con modalità sostenibili Come deve essere un oggetto, un prodotto sostenibile? Deve essere innanzitutto responsabile, non solo riducendo l’impatto ambientale ma anzi creando esso stesso un nuovo ambiente. Deve nascere in armonia con la terra, prendere forma in modo pulito, deve essere usato e poi ancora usato e poi, al termine del suo ciclo di vita, assumere una forma nuova, tornando alla natura oppure cambiando forma e destinazione d’uso. Il prodotto sostenibile è quello che considera, già dalla fase di progettazione, anche la fase di riuso e di smaltimento dell’oggetto.
“Occorre passare da una nozione di consumo come distruzione ad una di consumo come costruzione”
Alberto Castelvecchi (2012)
Esperto di nuove tendenze nel settore della comunicazione ha spiegato agli imprenditori come comunicare se stessi. Il vostro nome e le cose che fate valgono di più del vostro conto in banca. Ci sono momenti difficili in cui è necessario reinventarsi e in quei momenti la vostra reputazione è quello che vi salverà sempre, è il vostro patrimonio più importante, il vostro marchio personale. E’ essenziale cercare di essere più che di apparire, bisogna provare il proprio stile e la propria autenticità.
“Se non ti dai un’immagine tu, te la danno gli altri”
Il professor De Toni ha intrattenuto la platea sul tema “Il dilemma della complessità nelle organizzazioni”. Convivenza nel mercato tra la semplicità e la complessità, la quale non deve essere ridotta, bensì capita e affrontata: per risolvere i problemi complessi bisogna entrarci dentro, immergersi e quando la complessità aumenta non si può affrontarla centralmente, ma decentrare, puntando sulla partecipazione e sull’assunzione di responsabilità da parte di tutti. E si arriverà a capire che la semplicità non precede la complessità, ma la segue. Quello che serve alle aziende oggi è intelligenza distribuita, interconnessa, auto-motivata e auto-attivata. E servono leader “eletti” e non “nominati”, in grado di creare contesti nuovi e di fornire l’energia del cambiamento: se nelle aziende è importante fare qualità e lean, è ancora più importante fare formazione specifica sul personale perché senza motivazione e coinvolgimento dei collaboratori la qualità e la lean non funzioneranno mai.
“Oggi è necessario correre più velocemente rispetto al passato, ovvero, per ottenere le stesse performance di qualche anno fa, oggi l’imprenditore deve correre il doppio”
Personaggi di “altri mondi”: la comunicazione
Alberto De Toni (2014)
Personaggi di “altri mondi”: uno sguardo dall’alto
Margherita Hack (2008) L’astrofisica di fama mondiale sul valore della scienza per la crescita dell’uomo
“Un paese che taglia i fondi all’Università e alla ricerca è un paese masochista”
Le nostre Università stanno pericolosamente invecchiando e invece le statistiche ci dicono che le grandi scoperte le fanno i giovani, quelli sotto i 40 anni. La ricerca pura è essenziale perché è la base per poi passare alla ricerca applicata e da lì alle innovazioni tecnologiche, fondamentali e necessarie per rendere competitive le nostre aziende. La scienza e la conoscenza sono fondamentali perché ci liberano dalle paure dovute all’ignoranza e ci aiutano ad avere senso critico. Ed è stato così fin dall’antichità, quando si davano ai fenomeni naturali significati misteriosi.
S.E. Edoardo Menichelli (2012) L’arcivescovo della Diocesi di Ancona-Osimo ha portato la sua testimonianza sul tema “Impresa e solidarietà. Utopia o realtà? “ La tendenza a cui assistiamo oggi è quella di creare dei falsi idoli che condizionano la nostra vita: il desiderio di essere sempre giovani, l’immortalità, il denaro, il successo. Al contrario noi dovremmo essere capaci di scegliere una strada senza idoli, recuperando la centralità della persona umana, per evitare di essere vittime di questo stesso passaggio epocale. Ognuno di noi ha talenti diversi da altri e ognuno di noi è responsabile del metterli a frutto, secondo le sue potenzialità. Vivete in modo operoso, mettetevi in gioco e date sempre il massimo di voi: non esiste la vita dalle braccia conserte! Ma esiste allora un’economia spirituale? Sicuramente sì e si declina in un modo nuovo di porsi verso il mondo che ci circonda. Mettete un impegno responsabile e partecipativo in tutte le
cose che fate, abbiate uno spirito collaborativo, lavorando insieme otterrete risultati migliori, rischiate e mettetevi in gioco, date stessa dignità ad ogni persona, perché è la diversità che genera l’armonia, e infine mettete sempre al centro l’uomo perché non è il lavoro che dà dignità all’uomo ma è l’uomo che dà dignità al lavoro.
“La vita non è per i furbi. Chi vince non è colui che basa tutto sulla competizione e avidamente vuole competere con il mondo, ma al contrario chi ha uno spirito collaborativo e agisce per il bene comune”
Massimo Folador è stato per anni dirigente di importanti aziende ed è presidente dell’Associazione “verso il cenobio” che ha lo scopo di far conoscere in diversi ambiti l’attualità e la forza dell’insegnamento di San Benedetto Da 1500 anni i monasteri benedettini sono un esempio illuminante di che cosa significhi vivere e lavorare in un contesto dove tutti abbiano chiari finalità ed obiettivi, ruoli e mansioni e sappiano fare della comunità il proprio punto di forza. Il bene comune deve transitare da due elementi principali: le persone e l’organizzazione. Seppur guidate dall’organizzazione, sono le persone che devono saper perseguire il bene comune, sviluppando una serie di caratteristiche, prima fra tutte quella dell’ascolto, una competenza molto raffinata perché presuppone la capacità di sospendere i pregiudizi e di creare un terreno fertile per ascoltare con umiltà e con l’obiettivo di trovare un accordo.
Colui che ha la responsabilità di altre persone deve essere in grado di ascoltare il talento individuale, di avere cura delle persone che lavorano con lui, di averle a cuore e di saperle motivare. Regola di San Benedetto: “Chi dunque assume il titolo di abate deve guidare i suoi discepoli con un duplice insegnamento: deve cioè mostrare più con i fatti che con le parole, tutto ciò che è buono e santo, così che ai discepoli in grado di comprendere presenterà i comandamenti del Signore con la sua parola, mentre a quelli di animo rozzo e ai semplici mostrerà i precetti divini con l’esempio del suo comportamento”.
“Un vero capo deve essere amato più che temuto e chi deve obbedire lo faccia senza esitazione, senza ritardo, senza svogliatezza o mormorazione o espressioni di rifiuto”
Personaggi di “altri mondi”: uno sguardo dall’alto
Massimo Folador (2010)
Industria e teatro
Metti una sera a teatro per raccontare Adriano Olivetti (2005) Al teatro Pergolesi di Jesi in scena tre attrici a rappresentare il cammino dell’industriale di Ivrea. Come fare Cultura d’impresa anche attraverso il teatro
Industria e teatro
Con la regia di Gabriele Vacis il palcoscenico jesino ha accolto Laura Curino, Mariella Fabris e Lucilla Giagnoni che hanno raccontato i momenti di una storia nata come “studio” ma diventata nella sua rappresentazione una storia artistica. La vita di Adriano Olivetti è l’esempio di chi è riuscito a coniugare le ragioni dell’economia e del profitto con una profonda umanità e attenzione al benessere dell’uomo. Più di cinquant’anni fa Olivetti si poneva domande importanti: si può essere capitalisti e allo stesso tempo rivoluzionari? Può l’industria darsi dei fini che non siano solo legati al profitto? Si può proporre la società perfetta che tende verso la città di Dio e intanto cominciare a correggere questa nostra realtà quotidiana, così imperfetta? Olivetti è stato capitano di un’impresa allora ai vertici mondiali, manager illuminato e sostenitore di un’azienda dal volto umano, di un’economia fonte di progresso anche sociale e intellettuale. La trasposizione teatrale della sua vita e delle sue idee è stato un modo inusuale per coinvolgere la platea di imprenditori.
Segni Disegni Pastrocchi e Sogni: in mostra le opere di Musante e Mollica (2015) Organizzare una mostra d’arte da parte di Confindustria significa stimolare la creatività, per trasmettere ottimismo e positività in un contesto economico complesso
Industria e arte
Uscire dai confini tradizionali e proporre attività e esperienze innovative favorisce la crescita ed il cambiamento culturale, forieri della nascita di nuove idee, da applicare poi anche nell’ambito della gestione delle imprese.
Industria e arte
La mostra, inaugurata il 2 febbraio 2015, ha raccolto una quarantina di opere: circa 20 opere di Francesco Musante, di cui 15 ispirate ai “mestieri” e circa 20 disegni di Vincenzo Mollica. Francesco Musante, è un noto artista ligure, illustratore di libri di racconti e di favole, onirico e fantasioso, affascinato dalla dimensione del viaggio. Si racconta così: “Mi sveglio e comincio il viaggio del giorno, mi allontano dal sentiero del quotidiano per andare incontro ad un nuovo sogno, viaggiatore senza bagaglio e senza biglietto, viaggio a piedi, in nave, in treno; scendo ad una stazione sconosciuta ed incontro gente nuova, raccolgo ingordo storie inedite, rubo i colori ai fiori, ai tramonti, alla notte, mi corico sotto una pianta ed aspetto il mattino per riprendere il mio infinito viaggio. Amo questo viaggiare, mi porta sempre lontano, amo i suoi colori, le sue musiche a volte silenziose, altre volte assordanti, amo le sue parole, anche le sue ingiurie, ma non sopporto i suoi silenzi di sogno offeso, cerco tra i sassi di una spiaggia i suoi frammenti più piccoli per ricostruire una trama che si perderà rubata dalla prima onda insieme all’ultimo quarto di luna. Amo dipingere sogni rubati alla realtà.” Vincenzo Mollica, noto più come giornalista di spettacolo che come artista, ma da sempre appassionato di fumetti, dice dei suoi disegni: “negli anni che mi sono toccati finora, ho disegnato a corrente alternata, quando la vista e la fantasia me l’hanno consentito. Disegno fin da quando ero bambino senza sapere disegnare. Perché l’abbia fatto non riesco ancora a capirlo. So solo che disegnare mi fa stare bene, mi porta lontano dal mondo. Non ho mai vissuto il disegno come una merenda fuori programma. La parola arte non si addice a questi scarabocchi sono solo un artificio per consentire una piacevole sopravvivenza. Vederli, però, mi dà serenità, non li ho mai rifiutati. Piuttosto li ho nascosti e sempre amati. Ora è giusto che vivano una breve libera uscita, il tempo di prendere un po’ di luce”.
Il jazz di Erika Leonardi che insegna a lavorare in squadra (2014)
Industria e musica
Un insolito parallelismo tra l’impresa e il jazz. Conferenza e musica dal vivo per aiutare gli imprenditori a vedere il mondo con occhi diversi
Una serata insolita quella animata da Erika Leonardi, autrice della metafora “Azienda in Jazz” (Il Sole 24 Ore, 2012, 3 ediz.), che ha proposto l’accostamento del mondo lavorativo con il Jazz. Erika ha intrattenuto gli imprenditori con una conferenza e uno spettacolo con musica dal vivo con la Black Cat Jazz Band. Una formula che orienta le aziende verso i nuovi indirizzi produttivi e una revisione organizzativa. La metafora aiuta a vedere con occhi diversi il proprio mondo. E il jazz insegna: permette di comprendere che l’appartenenza al gruppo rafforza la professionalità della persona e indirizza l’azienda verso l’innovazione. Le peculiarità del jazz ben rappresentano il mondo produttivo: regole associate alla flessibilità, improvvisazione ma non approssimazione, spirito di squadra e responsabilità personale, impegno alla competenza tecnica arricchita da innovazione. Questo approccio va visto in ottica di propensione al servizio: non basta dare il cliente il prodotto o il risultato del servizio, ma occorre avere un’attenzione spinta verso la sua esperienza con il prodotto e durante il servizio.
Il violino di Marco Santini che porta le Marche nel mondo (2017) Aprire le menti e i cuori a stimoli diversi e allo stesso tempo aprire realmente le porte dell’Associazione anche alla cittadinanza: questa l’idea del Club della Qualità che ha ospitato un concerto intenso e commovente. Stimolare gli imprenditori su tematiche nuove, portarli fuori dai loro naturali ambienti, perché le idee per migliorare se stessi e di conseguenza anche il modo di fare azienda possano provenire dalle situazioni e dai luoghi più diversi. Lo spirito del Club è proprio questo: essere motore del cambiamento, diffondere e stimolare attività e di esperienze innovative sui temi culturali d’avanguardia, per favorire attraverso il confronto la crescita ed il cambiamento culturale. Marco Santini è un innovatore nel suo campo e un grande artista che sta portando le Marche nel mondo. A gennaio 2014 ha ricevuto una lettera di complimenti e di ringraziamento da Papa Francesco che ha ascoltato “Il Cristo delle Marche”, primo brano da lui composto ed eseguito al Pantheon di Roma davanti alle più alte cariche dello Stato. “Mi piace spingere il violino fino al massimo delle sue possibilità toccando generi solitamente molto lontani”.
Industria e musica
La sede di Confindustria Ancona ha aperto le porte alla cittadinanza per un evento di grande impatto emotivo: Marco Santini al violino e la sorella Lucia al pianoforte hanno animato la serata con brani diversi tra cui il famoso “Cristo delle Marche” composto dallo stesso Santini.
ll Club come palestra formativa L’evoluzione del concetto di Qualità negli anni
Il Club della Qualità cresciuto assieme alle aziende, ha sempre cercato di anticipare le tendenze del mondo imprenditoriale mettendo a disposizione occasioni di scambio e approfondimento con le best practices incontrate in tutto il mondo. Nasce all’interno di un territorio caratterizzato da un tessuto imprenditoriale medio piccolo, dove inizialmente l’artigiano e l’imprenditore sono sinonimi e la vita nel capannone industriale si sviluppa sul lavoro del “padrone” e dei suoi due uomini di fiducia in produzione. Con il passare degli anni il “titolare” si è concesso una segretaria amministrativa, spesso reclutata in famiglia, e un commerciale che fosse in grado di sviluppare il mercato. Siamo nel regno del caos e dell’intuito, dove tutti fanno tutto, con grande spirito di adattamento e operosità, cercando di reagire a quello che accade attorno. Partendo da questa situazione, negli anni novanta gli imprenditori cominciano a sentire il bisogno di organizzare le proprie aziende per renderle efficienti. Abituati a sviluppare il business fondandolo sul fare, comprendono che per migliorare il proprio lavoro devono strutturarlo puntando sulla qualità, intesa allora come capacità di rispettare i requisiti del cliente. Si intraprende la strada della standardizzazione, costruendo organizzazioni rigide e replicabili grazie a flussi di lavoro formalizzati. Prendono vita sistemi che permettono il controllo e che inizialmente funzionano proprio perché consentono di governare quello che fino a ieri era guidato dal caso, dalla buona volontà e dal solo fiuto dell’imprenditore. In quegli anni nasce la ISO 9001, norma che nel suo stesso nome eleva la standardizzazione a faro dell’agire delle organizzazioni (International Organization for Standardization). La certificazione ISO 9001 diventa in poco tempo elemento imprescindibile per partecipare a gare ed essere selezionati come fornitori: chi si è certificato inizia infatti a scegliere i propri partner solo fra chi ha ottenuto la certificazione. In alcuni settori come l’automotive la certificazione ISO 9001 diventa un vincolo per la fornitura, così come lo è per la partecipazione ad alcune gare di appalto. Tutto questo finisce ben presto con il trasformare il sistema ISO, nato con la finalità
di Antonella Cipollone *
* Lean Senior Consultant Considi
di strutturare e migliorare l’organizzazione aziendale, in elemento di pura forma. Gli imprenditori vedono la certificazione non più come strumento di miglioramento qualitativo del proprio lavoro, bensì come un insieme di regole che, irrigidendo i processi, intralcia lo sviluppo del proprio business. Si crea una dicotomia fra ciò che è scritto nel “Manuale Qualità” e la vita reale dell’impresa, fra le procedure standardizzate dalla certificazione e l’operatività del lavoro quotidiano. La macchina che si è messa in piedi con la ISO 9001 e che doveva portare le imprese verso la semplificazione è divenuta strumento di controllo fine a sé stesso a causa di una sua interpretazione distorta, incentrata sul formalismo e per nulla attenta alla efficacia del lavoro svolto. Questa nuova consapevolezza porta alla nascita della ISO 9001:2000, revisione della norma che introduce il concetto di Processo, di Efficacia e di Misurazione. Nei “Manuali della Qualità” ora sono codificati i processi e non le singole attività verticali sulle mansioni dei vari dipartimenti. Si identificano gli Input e attraverso risorse e metodi si arriva all’Output, attraversando reparti e attribuendo la responsabilità dell’intero processo e quindi dell’output alla figura del Process Owner, al di là delle barriere generate dagli organigrammi gerachici. L’abitudine dell’imprenditore a prendere decisioni basandosi prevalentemente sul suo intuito, piuttosto che sull’analisi dei dati, rimane difficile da scardinare, ma ora le verifiche operate dagli Ispettori (ieri riguardanti esclusivamente il rispetto formale delle regole del Manuale con finalità di controllo) si
arricchiscono con le analisi di processo e la verifica dell’efficacia attraverso dati oggettivi, gli indicatori appunto. L’intenzione è quella di iniziare l’azienda alla cultura del dato. È uno sviluppo importante, ma con un limite evidente: la conoscenza e il controllo del processo sono sempre ferme alle regole scritte, non si dà una dimensione fisica alla verifica del processo reale. In sostanza, un’evoluzione della normativa che apporta modifiche ancora una volta più formali che reali, non accompagnando l’azienda verso i luoghi dove accadono le cose. L’abitudine a ragionare per mansioni, reparti e competenze verticali è un cambiamento di paradigma che non può essere raggiunto attraverso i Manuali Qualità scritti “al piano di sopra”. Manca ancora un passo per trasformare la qualità formale in qualità di fatto, in obiettivi di business. È però vero che la nuova norma, introducendo il concetto di processo, stimola l’azienda ad osservare le proprie attività come un unico flusso che si sviluppa orizzontalmente dall’inizio alla fine, dalle materie prime fino alla spedizione dei prodotti finiti. Si comincia ad avere una visione integrata ed organica, realizzando che ciascuna attività ha caratteristiche intrinseche impattanti sulla qualità della vita dei dipendenti e sulla loro sicurezza. Nasce così la norma OHSAS 18001 e la relativa certificazione, che offre guide e strumenti per ottimizzare la gestione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Inizia a prendere forma la consapevolezza che le Persone sono al centro dell’azienda. Allo stesso modo, vengono in evidenza gli effetti e le conseguenze che le attività svolte in azienda
portano all’ambiente nel quale i lavoratori e le loro famiglie risiedono, vivono. Proprio per fornire una guida ed identificare standard comportamentali per la tutela dell’ambiente nasce la norma ISO 14001. Con essa l’azienda acquisisce la consapevolezza che il territorio in cui opera è un asset strategico per il proprio business, che operare per la sua salvaguardia e la sua evoluzione equivale ad operare per il miglioramento delle risorse, degli strumenti e delle persone di cui l’azienda si avvale. In definitiva, per aumentare la propria competitività. Gli sviluppi normativi che abbiamo visto essere fin qui intercorsi negli anni hanno costruito una realtà per la quale ogni azienda deve sottoporsi a ben 3 sistemi di certificazione diversi, 3 norme che sottintendono altrettanti Manuali ed altrettante procedure, schematizzando 3 volte lo stesso processo, ora osservato da 3 punti di vista diversi: il sistema qualità, il sistema sicurezza ed il sistema ambiente. Questo si traduce nella pratica in 3 diversi ispettori, 3 diverse verifiche annuali, 3 diversi manuali. Come può facilmente comprendersi, anche i costi diretti ed indiretti che l’azienda deve sostenere alla voce ufficio qualità sono aumentati esponenzialmente, senza però che l’imprenditore percepisca contestualmente un proporzionale aumento del valore generato. Conseguenza naturale di questo sviluppo è l’esigenza di una unificazione delle procedure. Per questo nasce il Sistema di Gestione Integrato Qualità, Ambiente e Sicurezza: un solo manuale che racchiude i 3 sistemi, un solo processo di certificazione che integra le 3 sfaccettature prima affrontate singolarmente. Nella realtà aziendale
le cose accadono assieme, sono già naturalmente integrate, è pertanto logico rappresentarle come un unico processo. Mentre intorno agli anni 2000 il mondo occidentale sviluppava queste norme nelle intenzioni finalizzate al miglioramento qualitativo delle organizzazioni aziendali, in Giappone già dalla fine della seconda guerra mondiale era nato e si era sviluppato un diverso sistema di ottimizzazione dei processi produttivi. Una piccola azienda del settore automobilistico, la Toyota, gravata da tutte le conseguenze che porta con sé il perdere una guerra mondiale, si trovava a competere in un mercato dominato da un gigante come Ford, forte di una capacità produttiva di gran lunga superiore a quella che Toyota avrebbe mai potuto mettere in campo. Nonostante il divario di partenza i manager della Toyota cercarono una via che permettesse loro di far fruttare al massimo le risorse possedute, trovandola nell’idea di produrre solo quello che il mercato è disposto a pagare: il massimo orientamento all’efficacia con la massima efficienza. È il Toyota Production System, la cui filosofia portante è generare valore per il cliente. Semplificando molto il concetto, Ford era in grado di fabbricare migliaia di macchine per pochissimi modelli a catalogo, dandosi poi come obiettivo quello di vendere ciò che aveva prodotto. Toyota invece decide di operare partendo dallo studio del mercato e, una volta appreso ciò che lo stesso richiede, produrlo facendosi tirare dalla domanda, sia in mix che in volume. Il primo esempio di quello che sarebbe diventato il trend globale “solo” 50 anni dopo: la customizzazione.
In circa 40 anni questo approccio culturale porta Toyota a primeggiare sul mercato mondiale, tanto da destare l’attenzione dell’occidente. Viene commissionata una ricerca al MIT di Boston che, con Daniel Jones e James Womack, si reca in Giappone per studiare il caso Toyota. Da questa esperienza scaturiscono due pubblicazioni: un primo libro dal titolo “La Macchina che ha cambiato il mondo”, ed il seguente da cui la disciplina prenderà il nome in occidente: “Lean Thinking”. L’intenzione è quella di identificare gli elementi fondanti la filosofia toyotiana per tentare di esportarli in tutti i settori. Vengono così sintetizzati i 5 principi che descrivono le 5 fasi di processo da utilizzare come linee guida per approcciare la trasformazione. Questi, assieme alla cultura della centralità delle persone (presupposto fondante per la trasformazione lean), possono portare al successo qualunque organizzazione, senza eccezioni di settore, prodotto o servizio offerto al mercato. Caratteristica della lean è l’assenza di “bollini” o certificazioni da mostrare. Non è un manuale da leggere, ma un vero e proprio percorso di trasformazione culturale molto faticoso. Il successo presuppone la convinzione da parte di chi lo intraprende di voler guardare le cose da un diverso punto di vista, quello del cliente, allo scopo di
eccellere sul mercato attraverso il coinvolgimento delle proprie persone. L’imprenditore scopre che grazie al tentativo di conoscere e strutturare i propri processi, anche se solo formalmente, il percorso di certificazioni ISO ritenuto a volte inutile, ha portato invece una consapevolezza maggiore all’azienda, ora più pronta a confrontarsi con la nuova filosofia giapponese. Sente maggiore affinità con la lean, nonostante debba nuovamente mettersi pesantemente in discussione, perché vede in questo un sistema che vive e sviluppa la sua azienda non dagli uffici o sulla carta, ma nel Genba, cioè, finalmente, nel luogo dove accadono le cose. La lean attiva un continuo confronto con gli operatori che tutti i giorni governano i processi operativi, portandoli a migliorarli autonomamente le proprie attività e avvicinando il mercato a tutti i livelli dell’azienda. Il profondo scollamento fra quello che avviene realmente in produzione o negli uffici e quello che risulta nei manuali dell’ufficio qualità si trasforma in cantieri di miglioramento sul campo. Il costo della qualità torna ad essere investimento, generando benefici sul conto economico e la trasformazione, per la prima volta, diventa funzionale al Business. L’esperienza di miglioramento di alcune aziende parte da altri presupposti, seguendo altre discipline,
che in parte si discostano e in parte si integrano con il Lean Thinking. Sono la risposta occidentale alla trasformazione culturale e dei processi. Parliamo del Six Sigma e del World Class Manufacturing. Il primo, il Six Sigma, introdotto nella seconda metà degli anni 80 da alcune grandi aziende tra cui Motorola e General Electric, è una disciplina basata sulla statistica, caratterizzata dal focalizzarsi sui problemi attraverso la raccolta di dati oggettivi. Promuove l’”approccio scientifico” fondato sul metodo DMAIC, acronimo con il quale si identificano i passaggi necessari ad applicare il metodo. Semplificando i concetti il Six Sigma accompagna in un percorso di miglioramento che pone l’attenzione nel qualificare inizialmente con grande cura il problema, caratterizzando il fenomeno studiato e analizzandone gli andamenti storici. Solo dopo aver compreso il problema è possibile ipotizzare, attraverso l’uso di strumenti statistici evoluti, comportamenti e fattori influenzanti del processo. La progettazione delle azioni di miglioramento diventa una diretta conseguenza della comprensione della causa radice del problema. La metodologia evita di incorrere nell’errore molto frequente di saltare alle conclusioni, implementando soluzioni, anche costose, senza essersi accertati che eliminino davvero la causa del problema. L’approccio scientifico richiesto dalla metodologia insieme ad un potente toolset statistico permette di intervenire in maniera molto efficace sui singoli processi e di rafforzare la cultura del dato. Alcune aziende, pur riconoscendo questa metodologia molto efficace nella gestione verticale dei singoli problemi, ha deciso di integrarne i concetti con quelli della lean per avere una visione più organica dei processi seguendo l’approccio Lean Six Sigma. Parallelamente, altre aziende hanno invece scelto di sviluppare un percorso di miglioramento che, includendo alcuni dei principi del Lean Thinking, parte però dall’analisi dei costi (Cost Deployment) con l’intenzione evidente di ridurli in un’ottica di efficientamento interno. È il World Class Manufacturing (WCM), che nasce dal mondo automotive occidentale ed ha come obiettivo l’ottenere zero difetti, zero guasti, zero incidenti e zero scorte, quindi una sensibile riduzione dei costi
dello stabilimento. Si fonda su dieci pilastri (Pillar), che rispecchiano l’organizzazione dell’azienda che lo adotta, poiché ogni pilastro è gestito da un ente responsabile. Percorsi metodologici strutturati e sistematici guidano le attività di recupero di efficienza obiettivo di ciascun ente. La caratteristica di questa disciplina è il sistema di prioritizzazione delle attività di miglioramento che pone il focus sui costi interni e sull’abbattimento delle cause che li generano. Provenendo da culture a volte opposte come quella orientale ed occidentale, ciascuna delle 3 filosofie ha caratteristiche differenti, punti di forza e di debolezza. Possono però in parte essere integrate tra loro per ottenere un proprio percorso di trasformazione e sviluppo, coerente con gli obiettivi strategici e con la cultura aziendale in cui si opera. Il percorso evolutivo che ha portato le aziende a confrontarsi con continui cambiamenti, approcci e tecniche sempre più avanzate, molto probabilmente condurrà l’imprenditore ad imbattersi ed attraversare il mondo dell’Industry 4.0. Oggi infatti si moltiplicano gli approfondimenti su riviste di settore, le conferenze ed i workshop organizzati sul tema, così come in passato era accaduto prima per il sistema ISO e poi per la filosofia lean. L’Industry 4.0 è un programma elaborato nel tentativo di facilitare l’introduzione delle nuove tecnologie all’interno dell’industria. Le politiche e gli incentivi messi in campo sempre più spesso per stimolare l’impresa all’adozione di questo programma potrebbero rivelarsi una grande opportunità per lo sviluppo industriale. Allo stesso tempo però, presentano il rischio che l’imprenditore, affascinato dal nuovo trend e influenzato da aspetti economici lontani dall’obiettivo dell’ottimizzazione dei processi che stava perseguendo, finisca con il dotare la propria azienda di strumenti non funzionali al raggiungimento della propria strategia di business, non costituenti un fattore abilitante per la propria competitività. I network di valore offrono proprio l’opportunità a manager e imprenditori di confrontarsi e usufruire dell’esperienza delle aziende più all’avanguardia, creando le condizioni per operare scelte più consapevoli.
Il Club in movimento Le visite ad aziende eccellenti, nelle Marche e in Italia, le frasi più significative degli imprenditori, i viaggi all’estero
Una parte essenziale delle attività del Club della Qualità è sempre stata quella di uscire dai propri confini per andare a “toccare con mano” quello che succede “fuori”. Le visite alle aziende e i viaggi sono stati nel tempo un modo per trovare riscontro pratico delle tematiche trattate durante l’anno e sono state sempre esperienze molto intense e coinvolgenti, che hanno lasciato ricordi indelebili in tutti i partecipanti. Ancora una volta, le pagine che seguono non sono esaustive, ma ripercorrono il viaggio del Club attraverso la nostra regione, l’Italia e il mondo alla scoperta delle eccellenze produttive. Quello che emerge da queste pagine sono due elementi fondamentali: il primo è la caratteristica pioneristica del Club, che da sempre è stato capace di intercettare le tematiche emergenti e di andarle a studiare laddove erano state affrontate per prime. Un esempio su tutti: la lean in Giappone. La seconda è il format dei viaggi: un elemento importante è sempre stato il cosiddetto debriefing. A fine giornata, nonostante la stanchezza - le visite erano serrate e le giornate sempre molto intense – era d’obbligo ritrovarsi tutti insieme, sotto la guida di esperti, per trarre le conclusioni di quanto si era visto. Questa attività in apparenza banale è risultata invece essenziale per non disperdere la quantità di informazioni, suggestioni e stimoli che emergevano dai diversi contesti.
La frase “che cosa mi son portato a casa” è diventata un leit motiv di ogni iniziativa: e non è stato solo uno slogan. Molto spesso chi rientrava in azienda apportava dei cambiamenti, intraprendeva un percorso nuovo, modificava una procedura, introduceva piccole migliorie: e soprattutto tornava arricchito a livello personale. E’ questo il motivo per cui i viaggi sono rimasti nel cuore di tutti. Nelle prossime pagine siamo partiti con il racconto di alcune visite ad aziende della nostra regione (Cantori, Fiorini Industrial Packaging, Tecnoplast, Aethra, Merloni Elettrodomestici, GI&E, FIAM, Tod’s, Fileni, Clementoni, Loccioni, Sifim, JCube, Diatech), abbiamo proseguito con il territorio nazionale (Cucinelli, Brembo, Lovato, Ova Bargellini, Ducati, Maserati, Science Park Vega, Fiorentini, Sicon, Caron, Fiat Melfi, Parmacotto, Dallara, Toyota Material Handling, Cubo Rosso, Carel, Carraro, Vici&C e TetraPak Packaging Solutions) e abbiamo finito con i viaggi più importanti a cui abbiamo scelto di dedicare più spazio considerata la ricchezza e la varietà del materiale che avevamo a disposizione. Il viaggio in Giappone del 2002 inaugura la carrellata che prosegue con gli Usa, la Cina, la Corea e Vietnam, Graz, Londra, India, ancora USA, ancora Giappone, Friburgo, Silicon Valley e si conclude con il CERN a Ginevra.
La regione Marche
Fiam
Tecnoplast Fiorini Industrial Packaging
Sifim JCube Diatech Aethra
Cantori GI & E Merloni Elettrodomestici Tod’s Loccioni Fileni
Cantori (2002) Cantori è stata una delle prime aziende in provincia di Ancona ad ottenere le certificazioni ISO 9000 e ISO 14.000 interiorizzando il Sistema Qualità. Sante Cantori: come tanti di noi che si sono avvicinati ai sistemi qualità all’inizio avevo paura di un’eccessiva burocratizzazione e di un aumento dei costi fissi. In realtà gli obiettivi sono stati raggiunti senza affanno e senza costi eccessivi. Quali sono i vantaggi? Economici, riduzione dei consumi, risparmio energetico e miglioramento dell’immagine aziendale in un settore particolarmente sensibilie - quello del mobile - alla tutela dell’ambiente e al concetto di ecocompatibilità. Una volta imboccata la strada della qualità è difficile tornare indietro!
Fiorini Industrial Packaging (2002) A 55 anni dalla nascita l’azienda è diventata una holding che conta 3 unità produttive e produce oltre 200 milioni di sacchi per alimenti ogni anno. Giuseppe Fiorini: La nostra volontà è quella di operare in un sistema etico: ciò significa applicare la logica dei valori in tutta la nostra attività, a partire dallo stesso profitto che da anni viene sempre reinvestito in azienda per favorirne la crescita. Il valore della persona umana è centrale: per creare una cultura di valori all’interno di un’impresa è necessario rispettare i ruoli e le persone. E’ essenziale, ad esempio, che il rispetto dell’ambiente sia percepito come fondamentale da tutta la struttura e che sia chiaro come l’equilibrio con il contesto sociale in cui l’azienda opera porta a concepire in maniera corretta il rapporto tra profitto e solidarietà dando all’uomo il valore che merita.
Tecnoplast (2002) Core business dell’azienda di Monte San Vito è lo stampaggio di materie plastiche Obiettivi dell’azienda: soddisfazione del cliente finale e co-progettazione, continua innovazione tecnologica, diversificazione della clientela, integrazione verticale. Giancarlo Manoni: “Credo molto nella qualità e nel bisogno per ogni azienda di pianificare, di creare un’organizzazione efficiente, ma la cosa più importante è mettere l’anima nella propria azienda. La guerra sui costi, la tecnologia sono sì importanti, ma oggi non sono più quelle che fanno la reale differenza. Quello che ci rende vincenti è l’anima”.
Aethra (2006) Un’azienda dove è costante l’attività di Ricerca & Sviluppo, primaria la qualità, fondamentale il design, indispensabile l’internazionalizzazione, imprescindibile il rispetto per l’uomo e l’ambiente. Giulio Viezzoli: “Il cuore Aethra risiede proprio nel reparto di Ricerca e Sviluppo, dove investiamo più del 10% del nostro fatturato. Non dimentichiamo, poi, che sei laboratori controllano costantemente gli apparati ed i sistemi; nove riconoscimenti in sei anni premiano inoltre una scelta precisa: la qualità senza compromessi”.
Merloni Elettrodomestici (2003)
Siamo ad Albacina dove la Merloni Elettrodomestici produce cucine, forni e piani incasso E’ un modello di eccellenza sotto diversi punti di vista: l’efficienza delle linee produttive, l’attenzione maniacale alla qualità, gli investimenti, l’innovazione di prodotto, l’organizzazione perfetta, l’elevata automazione, i laboratori di miglioramento e non ultimo la forte determinazione e la coesione delle persone che vi lavorano. Il lavoro in team è essenziale per rafforzare lo spirito di corpo e particolare attenzione è stata data alla formazione: tradizionale, in aula, e ma anche outdoor e insolita, come la partecipazione di un team di Merloni Elettrodomestici alla maratona di New York. Diceva Aristide Merloni già nel 1967: “In ogni iniziativa industriale non c’è valore del successo economico se non c’è anche l’impegno nel progresso sociale”.
GI&E (2006) Ghergo Industry and Engineering è una società del gruppo Ghergo che oltre 30 anni opera nei settori più disparati e basa il suo successo sull’innovazione e sul valore del prodotto. Energia e ambiente sono il core business del gruppo che attraverso le controllate si occupa anche di packaging, edilizia, attività alberghiere, quadri e impianti elettrici. Ogni anno investe il 6% del proprio fatturato in Ricerca e Sviluppo. Clemente Ghergo. “La nostra ricchezza è l’alta
professionalità delle maestranze: sono loro che ci danno grandi possibilità di sviluppo anche a lungo termine”. Di particolare interesse le microturbine generatrici di energia e calore, che raggiungono un’efficienza dell’80% grazie al riutilizzo dell’energia termica dei gas di scarico.
FIAM (2012) E’ stata la passione di un uomo per il vetro a dar vita a FIAM Italia Spa di Tavullia (PS), un’azienda leader nella progettazione, sviluppo e produzione di elementi di arredo in vetro curvato. L’uomo in questione è Vittorio Livi. Fin dai suoi esordi, FIAM ha puntato sull’innovazione come motore principale per realizzare le proprie scommesse commerciali e culturali e seguendo processi artigianali e industriali insieme, di fatto fonde perfettamente tradizione e innovazione, lavorazione manuale e design. Vittorio Livi: “Sono una persona molto curiosa e soprattutto piena di passione. Mi definirei anche un rivoluzionario, nel senso del “fare” con l’obiettivo di cambiare le cose. E’ da quando ho 18 anni che faccio cose diverse e non ho ancora finito. Ho sempre avuto sete di fare e di sapere. Per quanto riguarda il sapere sono convinto (ed il tempo mi ha dato ragione) che nella vita non basti soltanto studiare, ma occorra saper fare: chi fa impara, chi si limita soltanto a studiare non è detto che impari a fare”.
L’innovazione per Livi procede su tre fronti: la sapienza artigianale, il design e la ricerca. Una storia affascinante che ha portato l’imprenditore del vetro a realizzare arredi che stupiscono per la loro solidità e affascinano per la loro trasparenza, oggetti di design che non segnano il tempo nel quale vengono prodotti, ma resistono alla sopraffazione degli anni, degli spazi e delle mode. In FIAM, il Maestro Artigiano è considerato autore del pezzo tanto quanto il Designer. Oggi siamo alla quinta generazione di impianti di curvatura: al Maestro Vetraio si sono aggiunte le tecnologie più innovative, sia negli strumenti che nei materiali, permettendo all’azienda di accettare sfide sempre più audaci proposte dai designer che vogliono confrontarsi con questo impareggiabile materiale.
Tod’s (2015) Partiti con 210 dipendenti negli anni 80 oggi il gruppo impiega circa 4.300 persone in tutto il mondo e sfiora il miliardo di euro di fatturato
La dimensione industriale di un’azienda che esporta in tutto il mondo si sposa perfettamente con la tradizione artigiana che trova radici fortissime nel territorio. Ci sono ancora alcuni macchinari che si usavano 40 anni fa, e ci sono ancora gli operai che lungo la catena di montaggio tengono in bocca i chiodi prima di fissarli sulla scarpa, come facevano i ciabattini un tempo … e stiamo parlando di un’azienda quotata in borsa. La maestria degli artigiani Tod’s incontra il design più attuale e crea le nuove icone, dettagli imprescindibili per uno stile senza tempo: prodotti unici, un’attenzione costante al dettaglio, pellami pregiati e la straordinaria tradizione italiana del fatto a mano. Ogni singolo prodotto Tod’s è il frutto della costante ricerca dell’eccellenza, segno distintivo di qualità e di artigianalità.
Fileni (2015) Il racconto di una storia avviata dal nulla, dal desiderio di essere “artigiano” e creare un’attività propria. Giovanni Fileni :“La fatica non è fatica se si fa con la voglia”. Giovanni Fileni ha trasmesso un grande senso di umiltà, spirito di sacrificio, sana ambizione e voglia di fare sempre meglio. Le sue radici contadine sono state per lui una
sorgente di ispirazione che gli ha permesso di realizzare una realtà di indiscussa eccellenza, testimone della vitalità della nostra regione in tutta Italia e nel mondo. Una storia di trasparenza, qualità e rispetto verso i consumatori. Una grande lezione di imprenditoria!
Clementoni (2015) L’azienda fondata a Recanati nel 1963 da Mario Clementoni si conferma come un’importante realtà del panorama italiano nel settore dei giochi da tavolo Clementoni nasce per far giocare i bambini di tutte le età, ponendosi l’ambiziosa missione di supportarli nel delicato processo di crescita, attraverso il linguaggio che conoscono meglio e che è per loro una naturale forma di espressione: il gioco. Gestita dalla seconda generazione della famiglia fondatrice, si caratterizza per il forte radicamento territoriale ed una spiccata vocazione internazionale. Attualmente Clementoni conta 500 dipendenti in Italia e oltre 80 all’estero, filiali commerciali in Spagna, Germania, Francia, Portogallo, Polonia, UK, Turchia, Benelux e una filiale operativa ad Hong Kong. Secondo una precisa scelta strategica, l’azienda ha perseguito in questi anni una continua innovazione di prodotto che ha dato vita ad una gamma ampia ed articolata di giochi educativi, tutti ideati, progettati e sviluppati internamente dal team Ricerca e Sviluppo, composto da oltre 60 giovani ricercatori. “Il gioco è una cosa seria. Non bisognerebbe mai smettere di giocare, specialmente quando si diventa grandi” (Mario Clementoni)
Loccioni (2016) L’azienda che integra idee, persone e tecnologie sviluppa sistemi automatici di misura e controllo finalizzati al miglioramento della qualità, dell’efficienza e della sostenibilità di prodotti, processi ed edifici. Colpisce la centralità delle persone, in particolare dei giovani: la gestione delle risorse umane è vissuta come un processo e gestita in tutte le sue fasi: prima che entrino nel Gruppo, durante la loro permanenza e anche dopo l’uscita. Loccioni è un’azienda che crede molto nell’importanza di fare rete: fin dall’inizio della sua attività ha collaborato con scuole, istituzioni, clienti, partner, fornitori e con il territorio, seguendo il concetto che il benessere dell’impresa è legato a quello del territorio. L’attenzione e il rispetto per l’ambiente da parte del Gruppo Loccioni già nel 2008 si era concretizzato con la Leaf Community, la prima comunità sostenibile d’Italia. Un luogo in cui si abita in appartamenti a zero emissioni di CO2, si lavora in edifici efficienti e si produce e si accumula energia dal
suolo, dall’acqua del fiume e dalla terra, gestendo ed ottimizzando i flussi energetici. Attenzione all’ambiente che oggi ha visto la sua massima realizzazione con Flumen, il progetto di “adozione” del fiume Esino, per mettere in sicurezza e valorizzare i 2 km di area fluviale accanto alla sede del Gruppo. Una best practice da seguire, un esempio di virtuosa e armoniosa collaborazione tra pubblico e privato.
Sifim, JCube e Diatech (2016) Leit motiv del Club della Qualità nel 2016 è stata la green economy: nel corso dell’anno sono state organizzate diverse iniziative tra cui un convegno di alto profilo dal titolo “Criticità ambientali e inquinamento, Sviluppo industriale sostenibile, Green Economy e clima” a cui hanno aderito peronsaggi illustri del Ministero dell’Ambiente, ARPAM, ISPRA, ENEA. Per andare a studiare le tematiche sul campo gli imprenditori sono partiti dal nostro territorio, andando a visitare tre realtà della Vallesina molto diverse per settore di attività, ma accomunate da una grande capacità innovativa, da una costante attenzione alla ricerca, da una particolare attenzione alla qualità e da uno sguardo costante al rispetto e alla tutela dell’ambiente. Sifim: l’attenzione all’efficienza energetica L’azienda specializzata nella produzione di filtri metallici e nella realizzazione di componentistica estetica metallica di qualità per il settore dell’elettrodomestico ha raggiunto l’autosufficienza energetica per gas e metano grazie a un modernissimo impianto geotermico. L’impianto fotovoltaico, inoltre, copre quasi interamente il fabbisogno di energia elettrica. Il tutto nel pieno e totale rispetto dell’ambiente e all’interno di un sistema integrato della qualità. JCube: ricerca e innovazione JCube è una piattaforma che ha l’obiettivo di favorire la crescita di un ecosistema d’innovazione in Italia e nell’area adriatica, attraverso iniziative, infrastrutture fisiche, network e uno specifico know-how per il supporto dell’imprenditorialità. Nato come Incubatore per start-up, ha ampliato le proprie strutture e attività nell’ottica di diventare un vero e proprio parco d’innovazione. Gli imprenditori hanno toccato con mano l’innovazione tecnologica della stampa in 3D e, al contempo, hanno visto i risultati della ricerca di alcune start-up nate all’interno dell’incubatore. Diatech: un’azienda all’avanguardia Leader in Italia nella ricerca e nella commercializzazione di kit diagnostici per test farmacogenetici. Un’azienda all’avanguardia che investe oltre il 20% del fatturato in Ricerca e Sviluppo, l’unica in Italia ad occuparsi di farmacogenetica. Operare in un settore di alta tecnologia richiede uno strettissimo controllo della qualità dei parametri tecnico-scientifici durante l’intero processo di sviluppo e realizzazione di un prodotto. Diatech Pharmacogenetics ha raggiunto questo traguardo ottenendo: la certificazione ISO 9001:2008 e la certificazione ISO 13485:2003. Gli elementi che determinano la qualità del prodotto Diatech sono progettazione e sviluppo, processo produttivo, qualità dei materiali, controllo di qualità, competenza degli operatori e strumenti sotto controllo.
L’Italia Brembo
Lovato
Fiorentini - Sicon- Caron Cubo Rosso Carel Science Park Vega Carraro
OVA Bargellini
Toyota Material Handling Parmacotto Dallara Ducati Maserati
Vici & C Cucinelli
TetraPak Packaging Solutions
FIAT
Brunello Cucinelli (2002) La fabbrica umanistica esiste davvero. E si trova a Solomeo, in Umbria. Un borgo medievale circondato da boschi e colline sapientemente restaurato dall’imprenditore del cashmere, Brunello Cucinelli. In azienda non esistono procedure scritte, nessuno timbra il cartellino, l’organigramma ha pochissimi livelli, il turn over è molto basso e i clienti e i fornitori sono fidelizzati. L’organizzazione c’è e funziona: non è scritta ma è interiorizzata dalle persone che lavorano e condividono nel profondo gli obiettivi dell’azienda. Ogni decisione viene condivisa, si lavora sempre e comunque in team per ridurre gli errori e condividere le competenze.
Brembo (2002) Con sede a Bergamo, è leader nella produzione, progettazione e commercializzazione di sistemi frenanti, quotata alla Borsa Valori di Milano. Alberto Bombassei ha raccontato la filosofia aziendale partendo dalla mission: “ideare e fornire soluzioni innovative per il controllo dinamico del veicolo, oltre a creare valore e benessere per clienti, collaboratori, azionisti, fornitori e la collettività in generale”.
La ricerca per noi è fondamentale: il 10% del personale lavora nel settore ricerca e innovazione e nell’ultimo anno sono stati assunti 150 ingegneri. Una squadra altamente scolarizzata è una squadra vincente. I valori condivisi in azienda: etica, qualità, spirito di appartenenza, proattività, impegno, responsabilità e valorizzazione. Non abbiamo mai perso un cliente per un prodotto che non fosse di qualità.
Lovato (2003) Specializzata in componenti per l’automazione industriale la Lovato Electr spa di Gorle (BG) è una realtà modello fatta di uomini intelligenti e di grande cultura, lungimiranti e pragmatici. Pietro Cacciavillani, Presidente e AD: l’orientamento al cliente presuppone l’individuazione delle aspettative dei clienti: ridurre i prezzi, consegne affidabili, personalizzazione, flessibilità nell’evasione degli ordini, tempestività nel flusso di informazioni. I valori di Lovato: leadership, approccio sistemico alla gestione per processi, miglioramento continuo, decisioni basate su dati di fatto e coinvolgimento del personale. La condivisione dei valori aziendali con i dipendenti si esplica attraverso un coinvolgimento del personale a livello operativo, nella raccolta dati, attraverso la diffusione di comunicati nelle bacheche, con la formazione di gruppi di lavoro, con incontri frequenti tra responsabili e collaboratori, con la mappatura e la valutazione delle competenze, con analisi degli aspetti motivazionali dei dipendenti attraverso indagini mirate, con l’informazione e la diffusione dei dati relativi a bilanci, risultati e obiettivi aziendali.
Ova Bargellini (2004) La storia dell’azienda Ova Bargellini di Pieve di Cento è una storia di energia. Giulio Bargellini, coraggioso e tenace imprenditore e appassionato mecenate spiega l’acronimo di OVA: Ohm, Volt e Ampère ... energia appunto! I prodotti realizzati da OVA hanno infatti l’obiettivo di portare energia e luce quando vengono a mancare e di generarle nelle situazioni più disagiate. OVA è stata la prima azienda al mondo a realizzare una lampada di illuminazione d’emergenza portatile e da allora, attraverso una costante ricerca e una costante innovazione tecnologica, progetta, produce e commercializza prodotti, sistemi e servizi per l’energia e l’illuminazione d’emergenza
e connessioni elettriche per uso civile e industriale. Le innovazioni tecnologiche si coniugano al rispetto dell’ambiente, in cui l’impegno degli uomini affianca l’efficienza dell’automazione.
Ducati (2004)
Maserati (2004)
Nel 1926 i fratelli Ducati fondarono un’azienda elettromeccanica alla periferia di Bologna ...
Alla Maserati gli imprenditori ascoltano un termine nuovo: la certificazione del posto di lavoro: obiettivo è rendere il posto di lavoro il più agevole possibile ed ogni operatore è invitato a comportarsi e a mantenere l’ordine come a casa sua.
Nasce così la storia di un’azienda che ha legato indissolubilmente la propria storia a vittorie ottenute in gare memorabili come la 200 miglia di Imola, il Tourist Trophy dell’isola di Mann e i mondiali di superbike. La visita ha interessato le linee di produzione e montaggio e il Museo, che racconta la storia di uomini e motori che hanno alimentato la passione dei Ducatisti di tutto il mondo.
Il valore più grande per l’azienda è comunque rappresentato dalle persone. Da questa affermazione parte la filosofia aziendale che permette a tutti, a fronte di un’anomalia, di dare il proprio contributo e ricevere un premio. Attraverso l’orgoglio delle persone è possibile far diventare un’automobile un sogno conosciuto ed invidiato in tutto il mondo.
Science Park Vega (2005)
Lo Science Park “Vega” di Porto Marghera è una struttura di grandissimo pregio architettonico con ampi spazi creati per incubare nuove imprese o per ospitare consorzi - universitari e non - che abbiamo come missione comune quella di investire in nuove tecnologie. In particolare il Civen (Consorzio Interuniversitario Veneto) è dedicato allo studio delle nanotecnologie e si avvale di due strutture operative. La prima è l’IM.N. (International Master in Nanotechnologies) che trasferisce le conoscenze scientifiche per meglio approcciare le nanotecnologie.
con esperienza acquisita nelle diverse università italiane ed estere. Gli stessi ricercatori hanno potuto dimostrare agli imprenditori una tecnologia che ormai incomincia a essere a disposizione dell’industria. Possiamo infatti, attraverso tecnologie cold-spray, modificare le caratteristiche chimico-fisiche dei metalli, stoffe, polimeri. Utilizzare polveri per modificare cosmetici vernici e tessuti, e creare oggetti ed attrezzature senza utilizzare gli stampi tradizionali.
La seconda è Nanofab, struttura operativa dotata di laboratori e di personale specializzato, in grado di soddisfare sia le commesse sia le varie soluzioni in chiave nanotecnologica. Si avvale di ricercatori
L’unica certezza è che praticare la conoscenza, senza vincoli e con il coraggio di voler percorrere nuove strade, spesso rischiose, sia l’unica via per una riconversione industriale a cui siamo obbligati.
E’ il trionfo di discipline come matematica, chimica e fisica, troppo trascurate dagli atenei italiani.
Fiorentini, Sicon e Caron (2009) Tre industrie tra loro diverse per dimensione, tipologia di prodotti e mercato, per storia, tutte però accomunate dall’applicazione convinta del Lean management (il “pensiero snello”), modello, o meglio cultura gestionale che ha fatto di Toyota il punto di riferimento dell’automotive a livello mondiale. Fiorentini: soluzioni per l’industria oil&gas “Ci siamo convinti subito, approcciando la lean, che è più facile agire con un nuovo modo di pensare, piuttosto che pensare a un nuovo modo di agire. Per questo abbiamo deciso di agire subito, anche con strumenti semplici purché immediati e percepibili da parte di tutti” Sicon: specialisti nella gestione dell’energia “Si è riuscito a fare di più con meno risorse” Oggi le aziende guardano al valore, sono in continuo movimento organizzativo, cercando di dare visibilità ai problemi per poi guidare l’organizzazione interna verso le soluzioni da adottare.
Caron : veicoli per i settori agricoli e industriali “Se non avessimo sposato la cultura Lean, forse non avremmo percepito la crisi per tempo e non avremmo saputo regolare i nostri cicli produttivi in tempo utile per rallentare le produzioni. Questo non deve sorprendere. Con l’introduzione della lean, di fatto, siamo noi a regolare l’orologio in funzione del tempo che il mercato scandisce; in questo momento, pertanto, possiamo dedicarci maggiormente all’efficacia della nostra azienda, allo sviluppo di nuovi prodotti, senza avere il timore eccessivo del calo di domanda a seguito della crisi”.
Fiat Melfi (2009)
Uno dei più importanti e tecnologicamente avanzati tra gli stabilimenti Fiat in Italia si trova nel cuore della Basilicata: una superficie di 2.7 milioni di mq, 5000 addetti e una produzione annuale di circa 300mila vetture. Da alcuni anni il gruppo Fiat ha scelto di allinearsi ad uno dei migliori standard di produzione e livello mondiale, il World Class Manufacturing.
Insieme ad esperti europei e giapponesi è stato sviluppato un sistema integrato che prevede l’eliminazione sistematica di ogni forma di spreco e perdita produttiva e che interessa l’organizzazione della fabbrica nel suo complesso - dalla gestione degli aspetti ambientali e di sicurezza del lavoro alla qualità, dalla manutenzione al controllo dei costi e alla logistica - in un’ottica di miglioramento continuo. Il processo produttivo è altamente automatizzato e l’intera struttura produttiva studiata già in fase di progettazione per rendere l’ambiente di lavoro il più possibile confortevole: ambienti luminosi, spazi abbondanti, niente sporco e materiali a terra, rumore contenuto in limiti accettabili e, là dove è richiesto, un intervento manuale da parte degli operatori, posizioni di lavoro ergonomiche in modo da rendere più agevoli e meno stressanti le operazioni a bordo linea.
Parmacotto e Dallara (2011) Una visita a due aziende leader nel loro settore che testimoniano nel mondo l’eccellenza e la vitalità dell’industria italiana Dallara Una piccola azienda che da 40 anni progetta e realizza alcune tra le migliori vetture da competizione del mondo. Particolarmente affascinanti le due gallerie del vento dove si effettuano test aerodinamici su vetture di serie e da competizione per i maggiori costruttori mondiali. L’impianto di una delle più recenti gallerie è progettato per accogliere fino al 60 m/s e tappeto mobile orientabile per simulare condizioni d’imbardata. Gli imprenditori del Club della Qualità ha avuto l’occasione di vedere in funzione il simulatore di guida, un gioiello tecnologico progettato, sviluppato e realizzato da un team di ingegneri provenienti dalle migliori università italiane ed europee, quasi tutti sotto i trent’anni. Il simulatore è in grado di aiutare moltissimo il pilota e i tecnici nello sviluppo della vettura prima ancora di metterla in produzione in quanto consente di testare soluzioni e innovazioni di ogni genere.
Parmacotto Alle porte di Parma, nel cuore della “food valley”, lo stabilimento occupa 72mila mq di cui 25mila coperti. Uno stabilimento tecnologicamente avanzato e fortemente orientato alla sicurezza alimentare (clean rooms per le lavorazioni e aria filtrata) e alla sostenibilità ambientale (recupero acqua calda per il riscaldamento, tetto in legno, pavimenti ventilati e pareti a doppia coibentazione, pannelli fotovoltaici). Modernissime linee di affettamento e confezionamento e celle di tempering e stoccaggio della materia prima e del prodotto finito realizzate secondo i più moderni standard qualitativi.
Lean Tour (2014) Viaggio studio in quattro aziende italiane all’avanguardia dal punto di vista della qualità, in particolare per l’applicazione della lean production e del miglioramento continuo Toyota Material Handling di Bologna TOYOTA di Bologna produce e commercializza carrelli elevatori per la movimentazione di merci. Il punto di forza sta nel saper miscelare il buon senso all’applicazione degli strumenti lean giusti e nel modo giusto customizzandoli sulla propria realtà. La lean è rappresentata al 90% dalla sincronizzazione della logistica. Fondamentale il cambio di approccio alla produzione: da make to stock (produrre per il magazzino) a make to order (produrre sull’ordine). Hanno colpito la stanza formazione vicino alla linea, con diverse foto e giochi per apprendere abilità, la yokoten, ovvero una lavagna per le cose che ti porti a casa dalle visite in altri stabilimenti, anche clienti e fornitori. Cubo Rosso di Padova E’ un centro di formazione esperienziale anche su argomenti lean. La maggior attenzione è alle persone che vengono categorizzate in cinque famiglie: i motivati, che ci credono (devono imparare a portarsi dietro gli altri); i motivati ma che non hanno ben chiari gli obiettivi; quelli che fanno ciò che gli si dice di fare, quelli che vanno piano e tirano indietro e i sabotatori che dicono sempre sì, ma poi seguono solo i loro obiettivi personali. La mappatura delle competenze viene invece rappresentata con la colorazione di quattro quadranti: un solo quadrante: sa fare attività semplici; due quadranti sa fare attività complesse (pieno a metà); tre quadranti sa risolvere i problemi; quattro quadranti sa insegnare tutte queste cose. Carel di Brugine (PD) La Carel è azienda specializzata nella regolazione elettronica per la climatizzazione e refrigerazione. Gli obiettivi della Carel sono sicurezza, qualità ed efficienza. Il loro raggiungimento si articola su 6 pilastri: 1) l’organigramma funzionale diventa
organigramma a matrice con centri competenza, 2) i team sono compatti, dedicati, autonomi, non isolati per competenze specialistiche, contenuti nelle dimensioni (4-5 persone), non sono assegnati nuovi progetti finche’ non sono terminati i compiti in quelli aperti; 3) Le competenze sono a T, ovvero una base di alto livello di competenze affiancate a campi in cui si hanno conoscenze basilari e a lato campi in cui ci si rivolge a specialisti; 4) X-MATRIX: viene costruita tramite un processo sempre più preciso ed è condivisa dalla direzione e tutti i change agent; 5) la pianificazione viene fatta per tre giorni e si considera la capacità finita delle linee Carraro di Rovigo CARRARO è specializzata nella produzione di attrezzi agricoli. L’azienda si rifà ai seguenti cinque valori: essere responsabili, creare valore, sviluppare talenti, stimolare l’innovazione e lavorare insieme ai fornitori e ai clienti. La cosa più importante nell’applicare la lean è il coinvolgimento delle persone; la formazione base viene effettuata in aula ma poi subito sul campo, nella logica del learning by doing. Grande attenzione anche ai fornitori che sono stati formati da personale di Carraro.
Vici & C (2015) A Sant’Arcangelo di Romagna dal 1977 lo stabilimento Vici&C produce macchine per la misurazione e strumenti di controllo sulla riduzione degli scarti: dall’officina al reparto “Il controllo è ciò che nella vita quotidiana ci progettazione dotato degli strumenti più moderni e conferma quello che quello che stiamo facendo è avanzati, dal reparto ricerca e sviluppo che affianca corretto, garantendoci la possibilità di continuare il cliente nella fase di sviluppo del prodotto al sulla giusta strada”. Questa la filosofia di un’azienda magazzino basato su logiche Kanban e Just in time. Tutta l’azienda è tesa al miglioramento continuo: all’avanguardia, fortemente impegnata nella ricerca e con un orientamento spinto al cliente. almeno 16 ingegneri, su una totalità di 100 dipendenti, operano nel settore della ricerca tecnologica e tale impostazione vige nell’azienda da oltre 20 Gli imprenditori hanno visitato tutti i reparti dell’azienda e hanno toccato con mano un metodo anni. di lavoro basato sull’efficienza, sulla flessibilità e
TetraPak Packaging Solutions
(2015)
Tetra Pak è specializzata nel fornire soluzioni complete per il trattamento, il confezionamento e la distribuzione di prodotti alimentari. Accolti dal Direttore dello stabilimento Maurizio Cazzarolli il gruppo di imprenditori ha potuto osservare i vari processi produttivi e la gestione del personale caratterizzata da un Welfare che ha veramente colpito. II personale dipendente si rapporta con la direzione e i loro quadri di riferimento come autentici collaboratori e gode di ampia libertà di azione durante lo svolgimento del proprio lavoro. Esso usufruisce di un ampio orario flessibile e può per particolari motivi, anche personali, operare addirittura in casa (quando la tipologia del lavoro lo consente). I figli dei dipendenti sono accolti in strutture che vanno dall’asilo nido ad altre forme di assistenza, e chi fa uso di mezzi pubblici, anziché della propria auto per raggiungere il luogo di lavoro, riceve specifici incentivi. Una particolarità dell’azienda che ha molto colpito è stata la “trasparenza”. Essa normalmente applicata nei
rapporti tra i vari operatori, è stata estesa persino in termini “fisici” all’edificio: le stanze, gli uffici, le sale riunioni ecc., sono realizzate con pareti, oltre che modulari, tutte di vetro trasparente.
Il Mondo
Wisconsin
Boston Detroit Silicon Valley
Europa: - Losanna - Graz - Londra - Friburgo - Ginevra e Torino
Giappone
Corea - Vietnam India
Cina
Giappone: la velocità inghiotte la lentezza (2002) Accompagnati dal professor Kazuo Inumaru
La missione studio in Giappone ha offerto la possibilità di un confronto dinamico con una realtà aziendale lontana da quella italiana, per ragioni culturali e sociali, ma di stimolo per una riflessione generale sull’organizzazione del lavoro nel nostro paese. Il confronto si è focalizzato su alcuni
temi salienti che hanno fatto da filo conduttore alla visita delle aziende, vale a dire la necessità di sopravvivenza in un mondo sempre più competitivo e interdipendente. Il Giappone ha colto la sfida del mercato – abbassare i costi e aumentare la qualità – in virtù di una gestione pianificata delle risorse umane e di una razionalizzazione dell’intero processo industriale. La visita nel paese del Sol Levante è iniziata con un seminario tenuto da Mr. Shiro Takahashi, senior advisor della Sony dal titolo “La sopravvivenza del mondo industriale del 21° secolo”: nel seminario sono stati analizzati aspetti della qualità come il limite dell’azione bottom-up attraverso i piccoli gruppi, la concezione “zero difetti” di Crosby, il controllo di gestione 6 sigma e l’ISO 9000 e aspetti più strettamente legati all’esperienza Sony, come la divisione internazionale del lavoro, le attività di innovazione nella produzione, la ricerca del miglioramento nella produzione intellettuale.
Sony EMCS Corporation Kohda TEC E’ il maggior centro produttivo della Sony in cui vengono prodotti gli articoli di punta come videocamere, personal computer, giochi elettronici. Nel 1995 ha ricevuto il riconoscimento per la tutela dell’ambiente. INCS, Inter Computer Systems Sede di uno dei distretti industriali giapponesi, paragonabili, seppur con qualche riserva, ai distretti industriali italiani. Produce prototipi in stereolitografia e ha sviluppato software ed impianti innovativi in grado di fornire ai clienti stampi per i prototipi e prototipi in poche ore, invece dei giorni occorrenti prima della loro innovazione. Toyo Plastic Seiko C. Ltd Leader nello stampaggio plastico per iniezione, estrusione, lavorazione composti e vendita prodotti derivati. Fondata nel 1961 ha saputo acquisire negli anni tecnologie all’avanguardia e mantenere elevati standard qualitativi, anche attraverso accordi con aziende eccellenti. Debriefing La velocità inghiotte la lentezza: il vincitore si prende tutto: i giapponesi hanno vinto la sfida competitiva grazie alla rapidità. In Giappone si applicano costantemente tutte le teorie sulla qualità: le 5S, le 6 sigma, il metodo Kaizen e il Kanban. E c’è una costante ricerca dell’eccellenza nell’organizzazione del lavoro, attraverso la corretta identificazione dei processi, il rigore, la disciplina ferrea, la riduzione e l’ottimizzazione degli spazi, la produzione snella e l’eliminazione totale degli sprechi. Le persone non si valutano per anzianità come
un tempo, ma per capacità: i giapponesi hanno fatto enormi investimenti sulla formazione e tutti lavorano per raggiungere obiettivi estremamente ambiziosi, quasi irraggiungibili. La cultura giapponese è vincente per ciò riguarda l’organizzazione del lavoro ma non sviluppa la creatività dell’individuo. L’imprenditore giapponese è apparentemente lento nel decidere, ma essendo un esperto pianificatore, può arrivare prima al raggiungimento di un obiettivo. Il lavoratore possiede un fortissimo senso della disciplina e pertanto rispetta con rigore le procedure. Ha uno spiccato senso della pulizia e dell’ordine, è fedele all’azienda e determinato. Se non riusciremo a fornire maggiore valore aggiunto ai nostri prodotti saremo vittime dei paesi in cui il costo della manodopera è minore. Questo stimolo quotidiano deve portarci a migliorare i nostri processi e prodotti utilizzando i concetti appresi in Giappone: miglioramento dell’organizzazione del lavoro attraverso le 5S, identificazione dei processi, esplicitazione degli indicatori di produzione visibili a tutti con dati aggiornati in tempo reale e dei livelli delle competenze acquisite, monitoraggio attento e continuo del mercato per anticipare le richieste del cliente.
USA: il sei sigma (2003) Era il settembre 2003 quando quaranta imprenditori sono partiti alla volta degli Stati Uniti, lì dove la teoria del “6 sigma” è stata applicata per la prima volta nella storia.
Un viaggio illuminante quello negli Usa, dove gli imprenditori italiani hanno avuto la possibilità di toccare con mano l’applicazione della teoria secondo la quale riducendo la varianza dei processi aumenta la profittabilità. Fluno Center di Madison: il più importante centro di formazione del management americano per dimensioni, collegato con la Business School dell’Università del Wisconsin. “La leadership e il management − come ha spiegato la Vice President Tammy Thayer, allieva preferita del grande Deming − sono due modi di agire distinti e complementari, ma sono entrambi necessari, anche se perseguono scopi diversi: il management ha attinenza con il fare di fronte ad organizzazioni complesse, la leadership viceversa ha attinenza con il coinvolgimento e quindi è quest’ultima che definisce la vision dell’azienda. Ma per acquisire una vision il leader deve richiedere a tutti motivazione ed ispirazione, ossia deve
assicurare che le persone si muovano nella direzione corretta appellandosi alle semplici e basilari necessità umane, ai suoi valori ed alle sue emozioni”. Le visite sono state ad aziende leader che condividono certamente una grande attenzione alla sicurezza e alla qualità. General Electric: è stata tra le prime aziende al mondo a sviluppare l’approccio Sei Sigma diventandone caposcuola a livello mondiale. La General Electric identifica l’essenza del Sei Sigma come nuovo approccio al “valore” per il cliente. Lunar: opera nel settore delle attrezzature di indagine radiologica e di laboratorio. Gli imprenditori sono rimasti affascinati dalle nuove modalità di controllo di avanzamento dei processi in tempo reale grazie a pannelli digitali in formato murale. Decisionismo ed efficienza completano il quadro. Placon, azienda leader nel settore dei contenitori
termoformati per l’industria alimentare. Spiccano le tute bianche, le cuffie e la grande attenzione alla sicurezza che conferiscono alla Placon un clima sereno e un ambiente di lavoro ben progettato. Endres Manufacturing, azienda altamente innovativa che da mini acciaieria ha saputo trasformarsi in leader della tecnologia di settore. Il meccanismo del premio ai salariati della Endres raggiunge un incremento del 300% annuo a fronte di risultati concreti. Realtà apparentemente lontane dal modo di fare impresa all’italiana la cui esperienza ha certamente permesso agli imprenditori di crescere e di ampliare i propri orizzonti. Debriefing E’ vero, hanno inventato il 6 sigma. È vero, hanno una capacità produttiva invidiabile e una forte capacità innovativa. È vero, sanno comunicare molto meglio di noi e riescono meglio a mettersi in discussione … ma nella pratica noi imprenditori italiani non facciamo le stesse cose? Non è forse vero che anche noi, esattamente come loro, combattiamo giorno dopo giorno per limitare gli sprechi, ridurre i costi, aumentare l’efficienza delle nostre aziende? E allora non ci sembra di avere molto da imparare da un sistema che ha molti punti in comune con il nostro: gli italiani riescono a fare miracoli anche senza le loro infrastrutture! Dagli Stati Uniti torniamo rinvigoriti nelle nostre certezze e consapevoli che gli strumenti per l’eccellenza sono alla nostra portata e sono tutto sommato semplici perché semplici sono i principi cardine su
cui si basano: rapporti umani, trasparenza, lealtà, passione, obiettivi comuni.
Cina: un gigante da scoprire (2004) Una spedizione di 50 imprenditori guidati da Gerry Pellegrini, un programma ricco e intenso che ha toccato tre città simbolo della rinascita cinese − Shangai, Qingdao, Pechino − e numerose visite aziendali che hanno aiutato i partecipanti a prendere coscienza di una realtà sempre più importante per il nostro paese. “Se non c’è crisi, non c’è opportunità. Se non c’è opportunità, non c’è cambiamento”. Così recita un detto cinese millenario. Interrogarsi sul senso delle grandi trasformazioni economiche e sociali che stanno modificando anche il nostro modo di pensare è ormai doveroso e necessario. Secondo gli osservatori siamo entrati nel “secolo dell’economia del Pacifico”, in cui la Cina rappresenta di certo l’attore principale, parlare quindi del paese asiatico oggi significa riferirsi ad un enorme distretto produttivo il cui punto di forza è un misto tra tradizioni, laboriosità, capacità di risparmio, povertà e voglia di riscatto.
La scelta della Cina per l’annuale viaggio del Club è stata dunque inevitabile: un paese in cui il PIL sale del 10% l’anno e che l’ha portata ad essere la quarta potenza economica mondiale. E’ un mercato enorme dove c’è spazio per tutti. Un quadro risultato ancora più chiaro dopo la lezione tenuta a Shangai presso l’Università di Fudan, dal Prof. Deming Li, Direttore della School of Economics, esperto in macroeconomia, incaricato dal Governo per le proiezioni a medio/lungo termine, e dal Prof. Aiguo Kong, docente di marketing e relazioni internazionali.
Visite aziendali: Global Advanced Packaging Technology Ltd, azienda di semiconduttori, Haier spa, quinto produttore mondiale di apparecchi elettrodomestici, Haier Moulds Co. Ltd, azienda produttrice di stampi e stampaggi nell’orbita Haier Madison Forging & Casting Industrial Company Ltd, fonderia. Ciò che ha interessato il Club della Qualità è stato aiutare le imprese ad assumere le informazioni, conoscere la cultura, lo sviluppo economico, il quadro legale, il sistema finanziario e bancario, il diritto intellettuale e copyright ed il modo di produrre in Cina. Ecco il perché di incontri in aula e di testimonianze specifiche nelle visite aziendali. Visite aziendali di alto livello, scambio di informazioni, botta e risposta su ogni tipo di tematica, benchmarking, analisi … questi i risultati dei lavori dei giorni passati in Cina. Debriefing Per capire come relazionarsi con la Cina è necessario avere il maggior numero di informazioni possibile: le nostre aziende sono piccole ma non ci si può
trincerare di continuo dietro questa scusa: è necessario cambiare atteggiamento. Mettersi insieme, imparare ad uscire dai nostri confini, smettere di essere provinciali, superare i vecchi concetti e imparare a fare squadra trovando forme di aggregazione e di associazionismo nuove. Abbiamo toccato con mano le condizioni in cui operano i lavoratori non qualificati: nessuna assistenza, nessuna protezione sul lavoro, stipendi a livello di minimo sostentamento. E’ questa la Cina che fa più paura, perché gioca con regole inattuali, inaccettabili nei paesi dalle economie più evolute. La prima volta che vai in Cina ci stai una settimana e quando torni scrivi un tomo. La seconda volta ci stai due settimane e scrivi un articoletto. La terza volta ci stai un mese e quanto torni butti via quello che hai scritto le volte precedenti. Un’ esperienza assolutamente unica e fondamentale per chi, come noi, ha un’impresa da mandare avanti e vuole stare sul mercato. Andare a toccare con mano un paese come la Cina, che sempre più rappresenta un partner commerciale fondamentale, è essenziale per capire come interfacciarsi.
Corea e Vietnam: l’avanzata del Sud Est asiatico (2005) Dopo Cina e Giappone un altro viaggio nel Sud Est Asiatico, alla scoperta della Corea del Sud e del Vietnam, due Paesi che stanno diventando protagonisti dell’economia mondiale e che maggiormente lo saranno in futuro. La Corea del Sud è una delle realtà economiche asiatiche più consolidate, forte di una buona struttura finanziaria e della presenza di colossi industriali. Il governo coreano ha preso iniziative volte a limitare la posizione dominante dei grandi conglomerati industriali quali le Chaebol (grandi gruppi industriali normalmente sotto il controllo di singole famiglie che hanno un peso rilevante nella vita socio politica del paese), per dare maggiore spazio ed opportunità alle PMI. LG Electronics Alla LG lavorano circa 7000 persone, suddivise in ben 76 località diverse, 19 delle quali in Europa. I prodotti variano da laptop a terminali telematici, camere a 5 megapixel, telefonini cellulari di ultima generazione, elettrodomestici, schermi
video al plasma e LCD. La visita ai reparti produttivi mostra in funzione macchine ed attrezzature non modernissime e la sicurezza dei lavoratori non appare all’altezza degli standard italiani. SK Un fatturato pari a quello della Boeing, un personale di 30.000 dipendenti, un’espansione conseguita per mezzo di importanti acquisizioni, SK è attiva principalmente nel settore petrolifero e chimico, nel turismo alberghiero, e per quanto riguarda la ricerca, nelle fibre ottiche e nel settore farmacologico. Notevole il programma di TQM e l’enfasi data alla cultura d’azienda. Come per altre visite si ha l’impressione di una cultura autoimposta, certamente poco autoctona.
Stabilimento di Hyundai Motor Qui si producono sino a 300.000 veicoli l’anno, esiste uno stabilimento principale a Ulsan, nel sud, ritenuto il più grande al mondo e dove la capacità produttiva raggiunge il milione e mezzo di veicoli l’anno; ed uno stabilimento più piccolo a Jeonju dove vengono prodotti circa 60.000 veicoli industriali. Hanno in funzione presse sino a 5000 tonnellate e 330 robot nei reparti di saldatura e verniciatura. Riciclano il 100% dell’acqua consumata in produzione e dispongono di inceneritori per gli scarti e rifiuti ad alta efficienza ecologica. I temi su cui Hyundai sembra insistere sono centrati sulla qualità, la ricerca per l’innovazione e soprattutto sulle responsabilità sociali, nell’evidente tentativo di irrobustire l’immagine aziendale.
Samsung Con una forza lavoro di 120.000 dipendenti, Samsung opera in 48 Paesi, 101 località differenti ed esporta circa l’80% dei propri prodotti. Prodotti che spaziano dalle TV al plasma e LCD, sistemi di home network, notebook, cellulari di ogni tipo, sistemi integrati di suono/visione, ecc. Il loro fatturato è cresciuto del 32% nel 2004 rispetto al 2003; impressionante risulta l’investimento in Ricerca e Sviluppo, oggi pari all’8,4% ma destinato a raggiungere il 9% con 30.000 addetti. Il Vietnam è una realtà particolarmente interessante che ha avuto un forte balzo in avanti della produzione industriale e con una crescita del PIL ormai sugli stessi livelli della Cina. Di recente il clima si è più aperto alla presenza di privati e agli
investimenti stranieri; in pochi anni il governo ha ridotto il numero delle imprese pubbliche da 10mila a 4mila. Oggi il Vietnam tratta principalmente con i paesi asiatici (Giappone, Singapore, Cina, Corea e Taiwan), mentre l’Italia detiene al momento solo l’1,6% delle importazioni. Thang Cong Die Casting Strade in terra battuta, fogne a cielo aperto, rottami e scarti di ogni genere fanno da ingresso ad un capannone dove lavora una sessantina di operai accovacciati per lo più in terra attorno a rudimentali attrezzature e stampi per pressofusione. Nessuna norma di igiene o sicurezza, ma i Vietnamiti hanno lo sguardo limpido, pieni di fiducia e di entusiasmo per quello che sanno essere un futuro migliore. E affisso al muro un foglio dove si rammentano le regole delle 5S …
Fuvi Nel Parco industriale di Tan Tao, l’azienda dove lavorano 150 operai e 10 tecnici, si dimostra pulita, ordinata e ben condotta. Per disegnare, progettare e realizzare gli stampi si avvalgono di CAD, CAM e CAE e possono realizzare uno stampo in non più di due mesi dall’ordine. Certificati ISO 9001, metà della loro produzione è destinata all’esportazione. Lo stabilimento di Mekong Auto Il capitale sociale è per il 70% giapponese e coreano e solo per il 30% vietnamita. Vi lavorano 316 impiegati e 45 manager con 4 linee di produzione destinate fondamentalmente a verniciatura, saldatura e montaggio. Dichiarano di assemblare circa 5000 veicoli l’anno. Quasi ogni operazione è effettuata a mano, con risultati di qualità non esaltanti: non c’è traccia di norme di sicurezza, né di controlli in linea.
Debriefing La nostra forza industriale è nella nostra cultura, frutto di secoli di storia: sta a noi ritrovare gli stimoli di ripresa, il nostro benessere ci ha resi troppo molli. La Corea ha imboccato la via della razionalità, dell’organizzazione, della competitività ottenute con la strategia dell’innovazione, della ricerca e dei forti investimenti. Un Paese con una splendida facciata, per certi versi invidiato anche da noi italiani. Ma la realtà è che 5 grandi aziende cercano di non lasciar trasparire la realtà produttiva più sofferente e problematica delle piccole aziende. Si deve fare ricerca e innovazione: dobbiamo imparare a gestire la conoscenza e saper decidere quando è ora di lasciare la tecnologia per fare in modo che tramite la ricerca e l’innovazione si inneschi la spirale positiva.
La Corea è riuscita a superare le difficoltà grazie alla determinazione e all’audacia. Il sostegno che le banche e il governo hanno rivolto alle grandi aziende con lo scopo di far nascere una nuova economia ha fatto sì che oggi essa sia trainante, abbia una grande influenza a livello mondiale ed il debito delle aziende verso i finanziatori stia già diminuendo in modo significativo. Il Vietnam presenta molte analogie con l’Italia dell’immediato dopoguerra: grande entusiasmo, bassi costi e ottime opportunità di crescita. L’impressione più viva è quella di un paese dove tutti lavorano alacremente, anche se a volte con attrezzature e ritmi primordiali. L’unione fa la forza: l’Associazione deve coordinare e far condividere delle scelte forti e importanti nel mondo industriale, politico, economico e sociale. Bisogna perseguire fattivamente l’aggregazione, è necessario fare sistema con le banche e con la politica.
Graz: un modello di città ecologica (2005) Alla scoperta di ECOPROFIT, applicazione concreta del modello di sviluppo sostenibile È possibile fare profitto con l’ecologia? È possibile realizzare una zona industriale seguendo determinati criteri di rispetto ambientale e trarne benefici economici? Sembra proprio di sì. Un’applicazione concreta del concetto teorico di “sviluppo sostenibile” esiste e si trova in Graz, una ridente cittadina verde dell’Austria Moderna che ha applicato il sistema ECOPROFIT, un vero e proprio modello di sviluppo che partendo da una corretta progettazione della zona industriale permette a quest’ultima di inserirsi in maniera ottimale nell’ambito ecologico della città. Il Club della Qualità, guidato dal presidente Sandro Paradisi, sempre alla ricerca delle eccellenze in tutti i settori, è partito per Graz con una folta delegazione per andare a toccare con mano questa realizzazione: gli imprenditori hanno coinvolto anche rappresentanti del comune di Jesi, del Consorzio Zipa e dell’Ordine degli Architetti. A Graz si sta sperimentando un nuovo modo di approcciare il problema del rispetto dell’ambiente, a tutti i livelli, coinvolgendo i cittadini, le istituzioni, gli attori economici. La filosofia di base è di non sanzionare i comportamenti scorretti, bensì di incoraggiare quelli ecologicamente corretti. Le aziende che hanno scelto di insediarsi nell’area di Graz stanno anch’esse applicando con successo i criteri di rispetto ambientale. Il marchio ECOPROFIT altro non è che una buona pratica, che non sostituisce le certificazioni ambientali già
esistenti, ma le integra. Fare profitto con l’ecologia significa premiare le aziende che hanno implementato delle buone pratiche che hanno fatto loro risparmiare dei soldi. Assindustria, Consorzio ZIPA e comune di Jesi, infatti, si sono trovati a condividere un modo nuovo di ragionare, insieme, pur ognuno con le sue competenze e le sue aree di intervento; hanno innovato i modi di compartecipare alle scelte essenziali per il territorio; hanno costruito le basi per un confronto attraverso cui studiare i possibili canoni progettuali di una ZIPA VERDE, l’ambizioso “ecodistretto” territoriale. Debriefing Il più grande successo di questa iniziativa è stato quello di essere riusciti a coinvolgere le istituzioni. Si parla tanto di territorio amico: questo ne è un esempio concreto, abbiamo fatto davvero sinergie e aggregazione. L’ aver visto di presenza il marchio EUROPROFIT ha reso la delegazione consapevole di un concetto fondamentale: investire nell’ambiente conviene anche dal punto di vista economico e non solo di immagine. Ma la cosa più significativa che tutti si sono portati a casa da questa esperienza è senza alcun dubbio la voglia di collaborare, di creare sinergie tra pubblico e privato, di lavorare insieme, di condividere le scelte.
Londra: design, creatività e arte (2006) Un viaggio soprattutto culturale quello organizzato a Londra. L’Istituto di Cultura italiana, poi la mostra 100% design e una visita guidata alla Tate Gallery per una tre giorni fuori dai normali schemi. E per scoprire il binomio arte-azienda.
Prima tappa: Istituto di Cultura Italiana dove gli imprenditori sono stati intrattenuti da un personaggio sicuramente non convenzionale ed estroso, all’apparenza molto slegato al mondo industriale in quanto lavora in un settore particolare, quello dei fiori. Ercole Moroni è il nome del fiorista di grande successo che vive a Londra da oltre 20 anni e che ha condiviso con la delegazione i concetti posti alla base della propria attività: essenzialità, creatività, valore dell’ambiente, necessità di colpire non solo la vista ma anche la mente; valori che in realtà possono essere adattati a tutti i mondi, anche a quelli industriali – in quanto i prodotti devono essere capiti, apprezzati e acquistati – e a quelli legati al design. A tal proposito, il gruppo ha visitato la “Fiera 100% design”, la più importante nel Regno Unito, ubicata nel cuore della capitale britannica, in cui hanno potuto ammirare le ultime novità in tema di arredamento, accessori, apparecchi di illuminazione, rivestimenti e pavimenti, tessili, cucine e bagni. Tutti gli espositori vengono accuratamente scelti da un comitato di esperti design e solo le aziende più innovative superano la selezione. Quel design inteso come creatività che ha portato la delegazione a pensare all’arte, espressione massima dell’estro di una persona che diventa artista. La visita alla Tate Modern Gallery è stata l’occasione per riflettere sulle sponsorizzazioni d’arte come un modo per costruire un’immagine vincente dell’impresa, associandola a concetti quali innovazione, qualità e successo. Ma non solo, gli obiettivi sono anche quelli di intrattenere e attirare clienti esistenti e i prospect, interessare i media, diffondere il proprio nome. Debriefing Nessuna sorpresa nel vedere numerosissimi espositori italiani, anche in stand di altri paesi dove spesso si poteva leggere design by … e un nome italiano. Perché noi italiani, ricordiamolo, non abbiamo nulla da imparare in quanto a creatività, estro e design. Binomio arte-azienda dunque non solo possibile ma auspicabile.
India: il Paese dei contrasti (2006) Ultimo tassello per completare la conoscenza del Sud Asiatico il viaggio studio in India ha portato la delegazione alla scoperta di un Paese in grande crescita e fortemente orientato alla ricerca.
Oltre ad essere una grande democrazia parlamentare, stabile e progressista, forte di un sistema giuridico di derivazione britannica allineato agli standard internazionali e promotrice di una serie di riforme che stanno orientando le politiche di investimento nella direzione di una sempre più accentuata liberalizzazione, l’India dispone di un’eccellente rete di laboratori di ricerca (oltre 1500) e di una forza lavoro altamente qualificata ed istruita, oltre che molto giovane. Le oltre 38 università e i quasi 11.200 college producono ogni anno circa 360.000 laureati in discipline tecnico scientifiche. L’India, dunque, non solo brulica di centri di ricerca – il più famoso è l’IIT, Indian Institute of Technology di Bombay – ma rappresenta anche un grosso bacino per attingere manodopera, sia di carattere elevato che di più semplice livello. Gli indiani sono persone miti, hanno voglia di imparare e si lasciano coinvolgere nella giusta misura; basta non trasformare queste doti in una schiavitù mascherata.
Per tutte queste ragioni, dopo Giappone, Cina, Corea del Sud e Vietnam, il Club della Qualità ha scelto come meta per il consueto viaggio-studio proprio il subcontinente asiatico. Un viaggio bellissimo e difficile allo stesso tempo: bellissimo perché l’India è una realtà talmente complessa e affascinante che non può lasciare indifferente chi le si avvicina e difficile per gli stessi motivi; le mille sfaccettature del paese consentono di averne solo una percezione. L’India è il paese dei contrasti: un paese dall’identità ben definita e molto profonda, ma un paese molto complesso e diversificato (tanti stati, tante lingue diverse, tante religioni), un paese dalle mille difficoltà, un paese con un modo di lavorare molto diverso da quello italiano e con un sistema di infrastrutture carentissimo. In India la paura della globalizzazione non c’è più perché l’industria indiana è capace di far fronte all’importazione, la produzione interna ha guadagnato di qualità e organizzazione e le persone si sono abituate al cambio di lavoro riciclandosi in altri settori Il programma di lavoro della delegazione, intenso come sempre, si è concentrato sulla zona di Mumbai (Bombay): numerosi gli incontri, i workshop e i seminari presso la facoltà di Economia dell’Università e presso i principali centri di ricerca, alcuni dei quali collaborano con la Banca mondiale dell’ONU. IIT, Indian Institute of Technology di Bombay Con 24.000 laureati all’anno, il campus attrae i migliori studenti indiani e accoglie studenti che arrivano da tutto il mondo. Il processo di selezione è
molto duro, solo il 2% dei candidati supera l’esame di ammissione. Si lavora su progetti di ricerca concreti e parte tutto dallo sviluppo di idee: il campus è un’incubatore di idee e di affari. Anche se i laboratori hanno quell’aspetto polveroso stile i nostri istituti tecnici del dopo guerra, l’IIT è arrivato ad essere uno dei centri di ricerca migliori al mondo. Il Gruppo Tata E’ un colosso indiano, una holding che possiede alberghi, assicurazioni, forniture elettriche, acciaierie, società di software. Ha duplicato le entrate negli ultimi 8 anni e il suo valore è pari al 3% del PIL dell’intero Paese. Lo stabilimento FIAT Sembra uno stabilimento degli anni 50, ma a pieno regime ha una capacità produttiva di 75.000 vetture annue. Il viaggio ha consentito di unire efficacemente l’aspetto conoscitivo al business e di affiancare alle visite aziendali e agli appuntamenti istituzionali – tra cui quelli con il Consolato d’Italia a Mumbai, l’Istituto nazionale per il Commercio Estero e la Federation of Indian Export Organizations (FIEO) – l’organizzazione di incontri one-to-one con imprenditori indiani alla ricerca di possibili partnership sul piano commerciale e/o produttivo. Debriefing Dobbiamo imparare a vendere il nostro distretto, andare all’estero e proporci come un territorio ricco di competenze, di know how, di professionalità: bisogna mettersi insieme per essere più forti.
Il dharma, l’ordine cosmico è quello in cui credono gli indiani. E magari immaginano il loro Paese in un futuro non lontano, ordinato, dove continuerà ad esistere la suddivisione in caste ma con reincarnazioni meno brutte ... I palazzi dell’epoca degli inglesi sono lasciati andare: forse un modo per liberarsi della vissuta condizione di dominati? Gli occhi dei bambini, lo specchio dell’India ... occhi grandi, scuri ma brillanti, profondi e intensi, occhi d’India. Grandi come il suo territorio geofisico, scuri come i suoi fiumi ed ogni pozza ma brillanti quando si rigenerano per il riprendere il ciclo di vita con l’arrivo dei monsoni, profondi come l’impegno che viene chiesto a tutti gli abitanti di questo mondo di non mascherare sotto forma di partenariato corretto una schiavitù sia di braccia che di cervelli, intensi come gli odori delle spezie e degli incensi che si trovano ad ogni angolo.
USA: ricerca e innovazione (2007) In viaggio tra Boston e Detroit, 40 imprenditori hanno incontrato gli esperti del MIT (Massachusetts Institute of Technology) e dei laboratori Watson di IBM (Web Technologies) per capire sul campo come gli Stati Uniti d’America affrontano e gestiscono l’innovazione nelle aziende e più in generale il rapporto tra industria ed il mondo della ricerca. Tutto è iniziato al Boston College, con Matteo Iacovello, docente dei corsi di Teoria Monetaria e Macroeconomia, giovane italiano che, al pari di tanti altri colleghi “dai cervelli fini”, ha deciso di rinunciare al suo Paese d’origine per trovare adeguata valorizzazione professionale, meritocrazia e sfide. Massachusetts Institute of Technology Serenella Sforza, responsabile del MIT Italy Program, Federico Casalegno, direttore del Mobile Experience Laboratory, e Carlo Ratti direttore del Laboratorio SENSEable City, (altri tre italiani ai posti di comando e lontani da casa!) hanno
condotto nel futuro la nostra delegazione, dimostrando che è possibile coniugare tecnologia e qualità di vita ma soprattutto insegnando l’importanza dell’essere proiettati in avanti e se - come dicono loro - si cade per errore, l’importante è “cadere sempre in avanti”. Watson Research Center di IBM Oltre ad una stimolante presentazione di progetti per supportare e migliorare processi collaborativi tra le persone, è stato dimostrato che l’età non è parametro di valutazione proporzionale alla bontà dei progetti. A parte Maida Eisenberg, sicuramente con molti anni di esperienza alle spalle, Operation Manager Collaborative User Experience, gli altri responsabili di progetto erano freschissimi di laurea! Delphi Steering di Detroit La delegazione ha potuto apprendere che da una crisi si può uscire innovando metodologie tecnologiche ed organizzative in uso, comprendendo l’importanza di un approccio PROattivo per non fermarsi mai. Henry Ford Hospital di Detroit Un momento concreto di efficienza ospedaliero-sanitaria, fatta di totale orientamento al paziente, a partire dall’accoglienza che prevede addirittura addetti al parcheggio delle auto. Se è vero che l’assistenza americana è per chi può economicamente permettersela, l’Henry Ford Hospital assiste ogni anno gratuitamente oltre 115.000 persone prive di copertura sanitaria.
Debriefing Le migliori idee viaggiano con le scarpe: un grande valore viene attribuito alle idee, soprattutto quelle dei giovani, che sono incoraggiati nelle loro iniziative e sempre efficacemente coinvolti nel processo di innovazione. Ragazzi che studiano con incredibile impegno e che a volte arrivano perfino a dormire nei laboratori. Come soci di Assindustria: facciamo un investimento per mandare qualche ragazzo a studiare a Boston per dare un valore aggiunto alla nostra Associazione e al nostro territorio. Come genitori: mettiamo i nostri figli nella condizione di vivere esperienze serie e prolungate di studio all’estero Negli Stati Uniti si respira il convincimento che le cose si possono cambiare in meglio, con l’impegno comune, l’onestà e l’intelligenza. Gli americani guardano sempre avanti e vivono il cambiamento come sfida positiva e rigenerante. Il cambiamento è fondamentale per l’innovazione e il “primo cambiamento siamo noi”; la partecipazione delle prime linee ai processi di cambiamento è essenziale; Quando negli USA si progettano beni o servizi, oltre alle funzioni dell’oggetto o del servizio si pensa sempre alla loro integrazione con l’ambiente esterno e le persone. Al MIT si è visto come i progetti girano intorno a: uomo, informazioni, luoghi; e come la tecnologia è disegnata intorno all’uomo e non viceversa. Noi europei troppo spesso crediamo che la società determini gran parte del destino di un individuo, gli americani sono convinti che l’individuo sia responsabile del proprio destino. La “tecnologia” più importante è l’uomo.
Alcuni dei must che fanno capire che per gli americani il lavoro è davvero una cosa seria: la focalizzazione costante e consistente; una leadership entusiastica, chiave del successo; la metodologia di lavorare per progetti, c’è una forte specializzazione di competenze ma sempre uniti all’interno di un team; tutti i programmi sviluppati hanno in comune la condivisione di dati e la loro facile e veloce raggiungibilità. E soprattutto c’è un approccio semplice e concreto alle cose, per consentire a tutti di capirle (fool proof). Università, studenti, professori, imprese: insieme rappresentano un team vincente. Il Vantaggio competitivo: i giovani, le loro idee, le loro conoscenze. Ricercatori molto giovani in posti di assoluto prestigio e responsabilità, dipartimenti proattivi e orientati a proporre idee e recepire le istanze dell’industria in modo informale e pragmatico, un grande lavoro di gruppo dove le soluzioni scaturiscono da un mix di intelligenze, culture e professionalità diverse, piena condivisione delle informazioni all’interno di organizzazioni molto complesse. Insomma, non è azzardato dire che per quanto riguarda la R&S gli USA devono essere presi a riferimento e come caso da imitare forti di un approccio interdisciplinare e inter-funzionale certamente unico.
Giappone: il pensiero snello (2008) A sei anni dalla prima visita nel 2002, il Club della Qualità è tornato per la seconda volta in Giappone. Un viaggio-studio come al solito ricco di stimoli positivi e di spunti di riflessione che ha consentito ai 40 partecipanti di approfondire, attraverso un fitto programma di visite aziendali, quelle teorie e quegli strumenti di organizzazione della produzione di cui tanto si è parlato e discusso quest’anno all’interno del Club: il lean thinking (“pensiero snello”) e il TPS (Toyota Production System). La settimana trascorsa in Giappone è iniziata a Tokyo con una lezione della Prof. Noriko Hama - docente di economia presso la prestigiosa Doshisha University - sulla difficile situazione economico-sociale che il Giappone stava attraversando: bassa crescita, yen debole, disoccupazione in forte aumento, diseguaglianze reddituali e sociali sempre più marcate hanno prodotto una crisi senza precedenti che il governo centrale stentava a risolvere. Una crisi che - a detta della Prof. Hama - sta assumendo dimensioni drammatiche e tanto più preoccupanti quanto più le aziende giapponesi diventano competitive nella “giungla globale”, efficienti e selettive in termini di risorse umane impiegate. Dopo l’incontro con l’Università, il viaggio-studio è proseguito con un ciclo di visite guidate ad aziende eccellenti con l’obiettivo di verificare direttamente sul campo l’applicazione dei principi e degli strumenti tipici della produzione snella e al tempo stesso valutare se ed in che misura tali strumenti potessero essere adottati anche in Italia. La prima azienda ad essere visitata è stata la Toshiba Lighting & Technology Corp. di Kanuma (lampade a fluorescenza), poi è stata la volta della Denso Corp. di Takatana (sistemi e componenti per il settore automotive), quindi dello stabilimento Toyota Tsutsumi di Aichi e infine della Yamada Seisakucho Inc. di Osaka (lavorazione lamiera, produzione latte e fusti metallici). Le aziende visitate adottano tutte un approccio di tipo lean e fanno uso di strumenti e sistemi di
pianificazione e gestione della produzione che hanno come finalità quella di individuare e bandire sistematicamente ogni forma di spreco orientando tutte le risorse, le politiche, gli obiettivi, gli incentivi verso la creazione di valore. Per perseguire l’eliminazione dei “muda” (traduzione giapponese di “spreco”), si opera su tutti gli aspetti del processo logistico/produttivo/organizzativo con un approccio basato sul miglioramento continuo e a piccoli passi detto “kaizen”. Per le aziende “snelle”, questa continua ricerca della perfezione rappresenta una vera sfida, un obiettivo che, sebbene irraggiungibile, deve svolgere un ruolo di riferimento costante allo scopo di mantenere attivo un processo sistematico di miglioramento. I risultati straordinari ottenuti con questa nuova filosofia produttiva hanno portato all’affermazione universale del Toyota Production System (TPS), un metodo di organizzazione della produzione alternativo alla produzione di massa, ovvero alla produzione in serie e spesso su larga scala che contraddistingue le catene di montaggio di stampo fordista. Alla base di questa nuova filosofia produttiva, apparentemente quasi scontata nella sua semplicità e razionalità, c’è l’idea di produrre di più con un minor consumo di risorse, nel senso di eliminare tutto ciò che, essendo non necessario, genera costi, inefficienze e rigidità anziché aggiungere valore. Tutti gli stabilimenti produttivi visitati applicano gli strumenti e le azioni di intervento tipici della lean production: dalla metodologia 5 S alla sostituzione, ove possibile, della lavorazione per lotti con
la produzione a flusso, dall’introduzione delle celle di lavorazione alla formazione di operatori multiskill in grado di controllare macchine diverse, dall’introduzione di sistemi di produzione di tipo pull − in alternativa ai sistemi tradizionali di tipo push basati su programmi di produzione prefissati e quindi destinati a non rispecchiare l’effettiva domanda − a sistemi di governo del flusso logistico basati sul concetto di produrre solo quanto serve e quando serve, in funzione della reale domanda espressa dal cliente (just in time), dai sistemi di visual management (“andon”) − che rendono subito evidenti, con una semplice occhiata, lo stato di un’operazione e la presenza di eventuali anomalie − ai sistemi di progettazione a prova d’errore (“poka-yoke”) fino ai sistemi “jidoka” di controllo automatico dei pezzi difettosi. Uno degli aspetti che ha maggiormente colpito la delegazione è stata la continua attenzione al miglioramento. Un miglioramento che viene attuato in modo sistematico non solo dal management ma anche, e forse soprattutto, dai team leader e dagli stessi operatori che vengono coinvolti e stimolati, attraverso un apposito sistema di incentivi, a proporre idee di miglioramento e a farsi essi stessi promotori del cambiamento. Debriefing Si ritorna con la consapevolezza che sebbene gli attuali sistemi produttivi si avvalgano di macchinari e di tecnologie sempre più sofisticate, i nuovi modelli organizzativi sono in grado di integrare efficacemente gli aspetti tecnologici e quelli sociali e le risorse umane continuano ad essere il vero fattore competitivo e motore del cambiamento aziendale.
“Produrre prodotti significa innanzitutto formare uomini”, diceva l’Ing. Kousaka a proposito della filosofia Toyota. Infine, ci si è resi conto di quanto sia importante la comunicazione interna, soprattutto nella logica di favorire lo scambio di idee ed incentivare la risoluzione dei problemi pratici con un approccio bottom-up. Il confronto costante e alla pari − lo “spirito equo” di cui parlava l’Ing. Kousaka nel corso del suo intervento − tra il management e gli operatori di line costituisce un elemento di fondamentale importanza per qualsiasi organizzazione aziendale che ambisca al miglioramento continuo delle proprie performance. Difficile competere con la precisione dei giapponesi, ma è importante portare a casa gli spunti di crescita che sono stati notevoli. Primo fra tutti la riduzione degli sprechi e la gestione eccezionale dello spazio, poi il monitoraggio continuo della soddisfazione del cliente, a seguire la semplicità con cui a volte si risolvono i problemi in apparenza più difficili e per finire la pratica degli skill passport che rende trasparenti e ben visibili a tutti le competenze delle persone. I punti di forza delle aziende nipponiche? Un’attenzione particolare per la qualità − si pensi alla Sony che, in quell’anno, su un fatturato di 7500 mld di lire aveva un tesso di difettosità di 182 pezzi − e l’efficienza, attraverso una perfetta organizzazione delle linee produttive; un’attenzione maniacale al cliente, una particolare cura delle risorse umane − il lasciare spazio alla creatività e all’iniziativa delle singole persone − e l’attenzione alle tecnologie e alla ricerca e sviluppo. Tutti fattori che portano alla riduzione dei costi e a una grossa capacità di innovazione sia nei prodotti sia nei processi.
Friburgo: mobilità sostenibile (2010) Sostenibilità. Risparmio. Efficienza. Sono queste le parole chiave che hanno accompagnato la delegazione di imprenditori del Club della Qualità di Confindustria Ancona durante il viaggio-studio a Friburgo. Un’importante occasione per conoscere la città tedesca, pluripremiata a livello internazionale come la migliore realtà urbana sostenibile in Germania e visitare realtà industriali eccellenti che hanno adottato soluzioni tecnologicamente avanzate per la produzione e l’impiego di energia da fonti rinnovabili. Friburgo è una città di circa 220.000 abitanti ai piedi della Foresta Nera che a partire dalla metà degli anni ‘70 - e precisamente dal 1975, anno in cui la cittadinanza si oppose pacificamente al progetto che prevedeva la costruzione nella zona di una centrale nucleare - ha intrapreso un percorso virtuoso che le ha permesso di dare vita ad un modello di sviluppo sostenibile caratterizzato da alcuni elementi chiave: un forte coinvolgimento, da parte dell’amministrazione comunale, delle numerose associazioni di cittadini, imprese e gruppi di interesse in tutte le decisioni fondamentali che impattano sullo sviluppo della città, un concetto avanzato di mobilità sostenibile più del 70% dei percorsi cittadini viene fatto con i mezzi pubblici, a piedi o, grazie agli oltre 500 km di piste ciclabili, in bicicletta - una pianificazione dei quartieri urbani ispirata al modello della “città dalla brevi distanze” e un programma di costruzione di nuovi alloggi basato sull’efficienza energetica e sull’impiego diffuso di un mix di fonti rinnovabili. Negli anni ‘70 nessuno sapeva che cosa fosse la green economy, ma i cittadini di Friburgo, nell’opporsi alla costruzione di una centrale nucleare a 30 km dalla città, avevano espresso fermamente la volontà di qualcosa di diverso. Un’idea che andò progressivamente rafforzandosi e che dopo il disastro di Chernobyl nel 1986 trovò la città pronta ad adottare un programma di sviluppo regionale che prevedeva l’uscita definitiva dal nucleare ed un forte sostegno a favore di politiche urbanistiche, energetiche, ambientali e di trasporto sostenibili. Oggi la città di Friburgo è un esempio
illuminante per molte municipalità europee perché ha saputo ridurre del 14% le emissioni di gas serra rispetto al 1992 e punta ad un taglio del 40% entro il 2030, ben oltre i target fissati in sede comunitaria. La prima parte del viaggio-studio è stata dedicata alla visita dei quartieri di Rieselfeld e V auban, entrambi riconosciuti internazionalmente come progetti modello di sviluppo urbano sostenibile. Quartieri “speciali” caratterizzati da soluzioni innovative e all’avanguardia da un punto di vista energetico e progettati secondo criteri urbanistici che rendono l’uso dell’auto privata quasi superfluo; si tratta di quartieri che offrono soluzioni innovative sotto ogni punto di vista, compreso quello sociale: integrano progetti di co-housing, svariate cooperative gestiscono condomini in cui gli abitanti si impegnano alla solidarietà reciproca e le associazioni offrono spazi abitativi per famiglie con particolari problemi, dando loro la possibilità di scambiarsi sostegno e servizi. I quartieri sono dotati di centri culturali molto attivi che coinvolgono i cittadini nei più svariati ambiti. L’offerta di iniziative è talmente ampia ed articolata che non si ha assolutamente l’impressione di vivere in quartieri residenziali periferici, ma in zone nuove ed attive del centro cittadino. I partecipanti al viaggio-studio hanno poi avuto l’opportunità di visitare il villaggio e la nave solare, progettati entrambi dall’architetto Rolf Disch secondo gli standard delle Plusenergie®-Bauweise, cioè degli edifici che producono più energia di quella che consumano, e l’albergo Victoria, hotel in pieno centro a zero emissioni il cui fabbisogno
energetico è coperto integralmente grazie a fotovoltaico, solare termico, minieolico, centrale a pellets e impianto di geotermia. La seconda parte del percorso tecnico - formativo ha consentito ai partecipanti di visitare alcune tra le più importanti realtà industriali di Friburgo. Concentrix Solar. Nata nel 2005 come spin-off del Fraunhofer Institute, l’azienda è attiva nella produzione di pannelli fotovoltaici a concentrazione, una tecnologia complessa che garantisce ottime performance, in termini di energia prodotta, nelle zone ad elevata irradiazione diretta (Europa del sud, Nord Africa, Medio Oriente, Australia, ecc.). Rhodia Group, impresa multinazionale leader di mercato nella lavorazione dell’acetato di cellulosa. Lo stabilimento visitato è il complesso industriale più grande di Friburgo e dispone di un potente impianto di cogenerazione in grado di produrre ogni anno 450.000 MWh di energia elettrica: un quarto è utilizzata dal gruppo e i restanti tre quarti da Badenova, la società regionale di distribuzione di energia elettrica che in questo modo riesce a soddisfare il 40% del fabbisogno dell’intera città di Friburgo. L’impianto produce anche 660.000 MWh di energia termica. Stabilimento friburghese della Pfizer, multinazionale farmaceutica tra le più importanti al mondo, che quest’anno conta di raggiungere il limite del 91% di copertura del proprio fabbisogno energetico con fonti rinnovabili (centrale a pellets, impianto di geotermia, solare fotovoltaico, impianto di raffreddamento adiabatico, chiller ad alta efficienza).
Biopower, un impianto di produzione di biogas e compost della società nella città svizzera di Pratteln, poco distante da Basilea. I rifiuti alimentari provenienti da ristoranti, mense, abitazioni private e supermercati situati nel raggio di 30/40 km dall’impianto e gli scarti del verde urbano vengono sottoposti a processi di fermentazione e compostaggio per produrre gas metano per autotrazione. La produzione è di circa 1,8 milioni di m3/anno, una quota importante che consente di coprire quasi il 50% del consumo di gas metano dei mezzi pubblici circolanti nella vicina città di Basilea. Debriefing Abbiamo toccato con mano che le barriere che spesso riscontriamo nel nostro paese in tema di comportamenti ecocompatibili sono principalmente culturali e a volte difendono solo posizioni di retroguardia. In Germania gli obiettivi di ecosostenibilità sono stati condivisi a monte ed è allora che si riesce a fare davvero sistema e ad ottenere dei risultati. Nelle aziende che abbiamo visitato il livello tecnico è molto elevato e il perseguimento di politiche per il risparmio energetico è visto come un dovere etico e soprattutto come un modo di lavorare che porta vantaggi economici. Ecosostenibilità? Una scelta difficile ma praticabile. Nella tre giorni tedesca abbiamo visto alcune buone pratiche applicabili anche nel nostro territorio. Le industrie là sono in prima linea e pertanto non sono considerate grandi consumatori di energia, ma produttori di energia. Con il loro processo, infatti, versano alla rete la parte in eccesso dell’energia che producono.
Silicon Valley: la culla della rivoluzione digitale (2011) Negli Stati Uniti alla scoperta della Silicon Valley, l’area a sud di San Francisco da cui è partita la rivoluzione digitale che sta cambiando il mondo e in cui sono nate e hanno il loro quartier generale realtà come Apple, Google, HP, Cisco. Un luogo dove tutto è possibile: se hai una buona idea e una tecnologia innovativa trovi sicuramente il talento manageriale per implementarla e il capitale per finanziarla. Il viaggio studio del Club della Qualità inizia al 2590 di Webster Street, sede del Consolato Generale d’Italia a San Francisco. A fare gli onori di casa il Console Fabrizio Marcelli che ha ricevuto la delegazione del Club della Qualità. Presenti anche alcuni esponenti della comunità italiana in Silicon Valley che, a dispetto di quanto si possa credere, sono davvero numerosi. Tanti connazionali hanno raggiunto posti di primo piano nel settore privato e in ambito accademico. Non è un caso se negli ultimi anni sono nate ben tre associazioni (SVIEC, BAIA e Mind The Bridge) che, sia pure con ruoli e finalità diverse, hanno tutte l’obiettivo di favorire un collegamento permanente tra il mondo americano e le tante eccellenze che il nostro Paese riesce ad esprimere ma che purtroppo non trovano in Italia il successo che meriterebbero. Funambol L’incontro con Fabrizio Capobianco, Presidente e fondatore dell’azienda che sviluppa un prodotto software open source di sincronizzazione dati per dispositivi mobili evoluti, è stato memorabile. Ha raccontato la sua vita, i suoi studi a Pavia dove si è laureato in ingegneria informatica, il trasferimento nella Silicon Valley alla fine degli anni ’90, i suoi successi che sono, ha spiegato, “frutto degli sbagli e degli insuccessi da cui ha saputo imparare”. Funambol è oggi diventato il più grande progetto open source nel mondo wireless ed è tra le start-up di maggiore successo negli Stati Uniti. Il modello di
business alla base di Funanbol è piuttosto singolare in quanto la sede, le operation, le vendite, il marketing, il business development sono a Redwood mentre la ricerca e lo sviluppo, affidate ad un team di 60 persone, sono in Italia, a Pavia. Una scelta in controtendenza, quella di Capobianco, che dimostra come l’Italia possa essere, per tanti motivi, un Paese di primissimo piano anche nel settore high-tech. Capobianco ne cita alcuni: lo sviluppo del software in Italia costa relativamente poco, sicuramente meno che nella Silicon Valley o in Israele; gli ingegneri italiani, che lui ama definire non programmatori ma “software designer”, non hanno nulla da invidiare ai colleghi di altri paesi, lavorano di più che all’estero e non sono soliti cambiare lavoro, sono costanti e creano team coesi abbastanza facilmente. In Italia però mancano i capitali e occorre cercarli là dove sono abbondanti. La Silicon Valley è uno di questi posti. Se hai una buona idea in testa, trovare qualcuno disposto a finanziarla non è poi così difficile. In Italia invece si ha paura a rischiare dei capitali, si investe in società già ben avviate che possano assicurare un ritorno immediato. E’ per questo motivo che l’alta tecnologia e i settori altamente innovativi stentano a decollare. Chi ha grandi idee e grandi progetti, i quali impiegano sempre del tempo prima di essere veramente remunerativi, molto spesso non riescono a trovare i fondi necessari e abbondano prima ancora di iniziare.
M31 USA Elisabetta Ghisini, VP, Marketing & Communications di M31 ha presentato l’azienda agli imprenditori. M31 è il nome in codice della galassia di Andromeda ma è anche il nome di un incubatore di Padova che si considera una “galassia di stelle tecnologiche”. Fondato nel 2006, M31 aiuta i giovani ricercatori che vogliono fondare un’azienda e li supporta nel difficile passaggio dall’idea alla start-up. Per fare ciò, M31 non si limita a mettere a disposizione degli spazi fisici, ma fornisce servizi che vanno dall’amministrazione alla gestione del personale, allo sviluppo prodotti, al general management, abbattendo così i costi e i tempi di avviamento che per una start-up sono spesso fattori critici. M31 USA nasce 4 anni più tardi, nel 2010 a Santa Clara, nel cuore della Silicon Valley, con l’obiettivo di supportare le aziende italiane hightech nel loro processo di internazionalizzazione ed espansione negli Stati Uniti. “Troppo spesso infatti accade che aziende hightech italiane siedano su un patrimonio di tecnologie innovative che potrebbero e dovrebbero conquistare il mondo ma che invece rimangono in cantiere per i costi e i rischi associati all’avventura internazionale”. (Elisabetta Ghisini)
VMWare E’ un’azienda da 3 miliardi di dollari di fatturato, leader globale nelle infrastrutture cloud e nelle tecnologie di virtualizzazione. La delegazione ha incontrato Vittorio Viarengo, genovese, un passato da imprenditore nel settore del software e poi, con l’arrivo negli Stati Uniti negli anni ’90, una carriera divisa tra Oracle, grandi aziende e ultimamente VMWare dove è Vice President End User Computing. Visible Energy Una start-up fondata nel 2008 a Palo Alto specializzata nella realizzazione di prodotti consumer per il risparmio energetico in ambiente residenziale. Ad illustrare l’azienda e il suo prodotto di punta − un sistema che permette di allacciarsi alla rete elettrica domestica tramite WiFi per registrare i dati di consumo energetico permettendone l’immagazzinamento e la gestione − il co-fondatore, nonché Presidente e Amministratore Delegato, Marco Graziano. Da più di 20 anni nella Silicon Valley, Graziano ha ricoperto importanti incarichi tecnici e manageriali in diverse aziende prima di avviare, nel 1994, un’attività imprenditoriale che lo avrebbe portato, nell’arco di meno di 15 anni, a fondare
4 start-up nel settore energetico, da vero “serial entrepreneur” come lui stesso si definisce. Visible Energy è una piccolissima realtà se confrontata con le grandi multinazionali localizzate nella Silicon Valley eppure proprio le start-up rappresentano una componente essenziale di quel sistema: sono tanti piccoli “motori” che insieme azionano le leve del progresso scientifico e tecnologico. Google Ad accogliere la delegazione e presentare l’azienda Mario Callegaro, Survey Research Scientist. Sebbene sia cresciuta molto da quando è stata fondata nel 1998, Google conserva tuttora un’atmosfera familiare ed informale. Tutti i venerdì pomeriggio, Larry Page e Sergey Brin, i due fondatori della società, comunicano ai dipendenti dove sta andando Google e quali risultati ha ottenuto. Partecipano quasi tutti i dipendenti nella sede e molti altri collegati in videoconferenza da ogni parte del mondo. Chiunque può porre domande o inserirsi negli appuntamenti con i due capi. In Google non ci sono orari di lavoro da rispettare, ma risultati da raggiungere in un arco di tempo prestabilito, generalmente trimestrale. Si lavora
ovunque sia possibile stabilire una connessione alla rete: distesi su un divano, alla macchina del caffè, sul prato del campus. Ci sono notebook ovunque per programmare, gestire le e-mail e prendere appunti. Biciclette e scooter sono a disposizione dei dipendenti per passare in modo pratico da un meeting all’altro; lungo i corridoi si trovano calcio balilla, tavoli da biliardo e da ping pong, ampi spazi relax, aree ristoro allestite come grandi cucine domestiche con snack e bevande di tantissimi generi offerte gratuitamente a tutti. Gran parte dei servizi sono gratuiti e liberamente fruibili dal personale dipendente: ristoranti, lavanderia, asilo, palestra, bar, sala massaggi, campi da pallavolo e da beach volley. Altro aspetto molto interessante che fa di Google un’azienda modello, il fatto che ciascun dipendente possa impiegare fino al 20% del suo tempo lavorativo per dedicarsi ad attività di proprio interesse. Molte delle recenti invenzioni di Google come Gmail, Street View o Google Map sono nate proprio in questo modo. La parte restante del viaggio è stata dedicata ad incontri con il mondo accademico. Non potevano infatti mancare le visite a due delle più prestigiose università al mondo: l’Università di Stanford e il Lawrence Berkeley National Laboratory. Per l’occasione, sono intervenuti rispettivamente Alberto Salleo, docente presso il Dipartimento di Ingegneria e Scienza dei Materiali e Alessandro Ratti, responsabile del Gruppo Tecnologie Avanzate, due dei tanti giovani cervelli che il nostro paese non è riuscito a trattenere. Illustrati, ciascuno nell’ambito delle tematiche
di propria competenza, i progetti di ricerca su cui sono impegnati, Salleo e Ratti si sono soffermati sul rapporto di forte complementarietà tra il mondo universitario e quello imprenditoriale, vero punto di forza di un sistema dove università e imprese convivono praticamente in simbiosi totale: le aziende possono contare su strutture e risorse umane di eccellenza mondiale con cui sviluppare progetti di ricerca o di sperimentazione, le università si finanziano e riescono a mantenersi a livello di eccellenza. Stanford, ma lo stesso discorso vale per Berkeley, ha visto nascere da iniziative dei suoi studenti aziende come HP, Sun Microsystems, Yahoo, Cisco e Google. I professori universitari sono spesso consulenti delle aziende della Silicon Valley e finanziatori di brillanti start-up, d’altro canto le università ospitano assiduamente lezioni di imprenditori che in questo modo possono trasferire alle nuove leve una mentalità imprenditoriale e forgiare persone pronte a cambiare la società e il mondo in cui vivono. Debriefing “Volevamo capire quali sono gli ingredienti di successo che rendono la Silicon Valley un ecosistema particolarmente fertile per generare innovazioni e per attrarre (giovani) talenti da tutto il mondo” e ne sono stati individuati quattro principali. Il primo è la presenza di un sistema universitario fortemente connesso al mondo dell’industria, tanto che i professori sono tra i principali investitori delle nuove imprese. Secondo, uno spirito imprenditoriale estremamente dinamico, competitivo e orientato al rischio. Terzo, la tendenza ben poco italiana di
interpretare il fallimento non come una fine professionale, ma come un fenomeno fisiologico che molto spesso sta all’origine di futuri successi. Quarto, un sistema finanziario particolarmente sviluppato ed efficiente capace di sostenere le imprese, non solo le grandi ma soprattutto le piccole e le start-up e che normalmente utilizzano strumenti che da noi sono ancora considerati innovativi, dai venture capital ai gruppi di private equity. Difficile non trovare spunti di riflessione dopo un viaggio di questo tipo. Gli incontri di altissimo livello a cui abbiamo partecipato ci hanno fatto respirare per qualche giorno l’essenza stessa della Silicon Valley, un luogo unico al mondo dove tutto si sviluppa in modo veloce e incessante, estremamente dinamico, che riesce ad attirare e valorizzare talenti da tutto il mondo, che mette al primo posto valori quali la meritocrazia e la passione per il proprio lavoro, dove c’è una cultura del rischio e del fallimento che sprona all’innovazione continua. Nella Silicon Valley si tentano ogni giorno strade nuove senza paura di fallire. Lo sanno bene i venture capitalist che, come ci ha testimoniato Giacomo Marini nel corso del suo intervento al Consolato, investono sulle idee sapendo che solo alcune (poche) frutteranno ed altre (la grande maggioranza) falliranno. Un luogo, la Silicon Valley, in cui imprese, università, sistema finanziario si muovono all’unisono all’interno di un contesto culturale e socio-economico che fa di questa zona della California, prima ancora che la sede delle più importanti aziende high-tech al mondo, un “entrepreneurial state of mind”.
Ginevra e Torino: l’innovazione scientifica e tecnologica (2016) 50 imprenditori hanno visitato due indiscusse eccellenze nel campo della ricerca e dell’innovazione tecnologica: l’Environment Park di Torino e il CERN di Ginevra. Environment Park Acceleratore di innovazione nato circa 20 anni fa da un progetto di riqualificazione urbana di vecchie ferriere Fiat, occupa 30 mila mq di spazi, accoglie 60 imprese innovative che impiegano circa 600 persone e ha visto la presenza di oltre 150 aziende negli anni: è un punto di riferimento nazionale
per chi vuole lavorare sul tema della sostenibilità ambientale ed energia pulita. Il direttore del parco Davide Da Mosso ha personalmente accolto e poi guidato la delegazione di Ancona verso le varie aree del parco, in cui si stanno sviluppando progetti sul green building, sulle nanotecnologie al plasma, sul trattamento di biomasse, sull’idrogeno.
CERN di Ginevra Il più grande centro di ricerca fondamentale al mondo fondato nel 1954, che oggi conta 2.500 dipendenti, 22 stati che vi partecipano e la presenza di ben 1500 scienziati italiani . Accolti da Gian Mario Bilei e Mauro Morandini gli imprenditori hanno visitato il Lab28, alla scoperta del famoso acceleratore di particelle. Debriefing Esiste una ricetta italiana vincente per la ricerca, un settore in cui il Made in Italy rimane trainante: basti pensare che la comunità scientifica italiana all’interno del CERN è un punto di riferimento. Environment Park è la dimostrazione tangibile che realtà come queste determinano effetti positivi e non solo per la funzione R&D che sviluppano: fertilizzano positivamente la comunità locale in
cui si inseriscono e rappresentano un acceleratore positivo di competenze per le aziende. Due tra i tantissimi stimoli che ci siamo portati a casa sono estremamente interessanti per le nostre aziende. Il primo è il trasferimento tecnologico: la disseminazione è un’idea molto forte per il CERN che punta a massimizzare il trasferimento di tecnologia agli stati membri per aumentarne le competenze, senza entrare in concorrenza con le aziende locali bensì offrendo loro servizi di consulenza di altissimo livello. Il secondo è la reale possibilità che il CERN sia un potenziale committente per le aziende di Ancona e delle Marche, per forniture di prodotti più o meno complessi e servizi e partner preziosi per sviluppare progetti industriali. Senza contare che a livello di Confindustria nazionale si sta lavorando con un accordo di collaborazione tra le due strutture.
Verso industria 4.0
Israel Singer in uno dei suoi capolavori, ‘I fratelli Ashkenazi’, dà vita a un personaggio minore quanto mai attuale: Reb Chaim Alter. Reb Chaim era un imprenditore del tessile di grande successo nella Lodz zarista della seconda metà dell’ottocento. “Non era un amante delle innovazioni. Se una cosa andava bene per suo padre andava bene per lui [...]. […] Non era affatto colpito dalle fabbriche a vapore [...]. I suoi amici avevano più volte cercato di convincerlo a farsi la sua fabbrica a vapore. [...] L’idea non lo stuzzicava. I suoi telai a mano facevano ancora il loro bel profitto. Il vapore non li aveva ancora scacciati”. Quello però che Reb Chaim non capiva era che qualcosa di più grande di lui, della sua fabbrica e della posizione dominante che questa per lustri gli aveva garantito, stava investendo Lodz, la Polonia e tutto l’Est Europa: la prima rivoluzione industriale. Non capiva che, nonostante la sua avversione per i cambiamenti, doveva necessariamente adeguarsi se non voleva che la sua fabbrica venisse scalzata dalle altre che, sfruttando la forza del vapore, stavano aumentando in modo esponenziale la loro produttività. Oggi viviamo un momento storico simile. Siamo infatti testimoni della quarta rivoluzione industriale, dell’affermarsi cioè del paradigma industry 4.0 che, sviluppatosi all’interno delle aziende automobilistiche tedesche, sta ormai diffondendosi in tutti i settori manifatturieri e in tutti i Paesi del mondo industrializzato. Se guardiamo all’Italia, i nostri imprenditori certamente non corrono il rischio di fare come Reb Chaim Alter, di non comprendere, cioè, la portata epocale del cambio di paradigma produttivo che si prospetta loro. Il Ministero dello Sviluppo Economico con il Piano Nazionale Industria 4.0, il Cluster Fabbrica Intelligente, le Università con convegni ad hoc e fabbriche modello 4.0, il mondo confindustriale con i Digital Innovation Hub e addirittura i mass media stanno da tempo sensibilizzando imprenditori e manager circa l’ineluttabilità della quarta rivoluzione industriale e stanno illustrando i vantaggi insiti in essa per quelle aziende che non vogliono esserne semplici testimoni ma vogliono diventarne protagoniste. Nonostante una maggior consapevolezza rispetto a quella di Reb Chaim, per gli imprenditori italiani implementare il paradigma industry 4.0
di Raffaele Secchi* e Tommaso Rossi**
* Professore Associato di Impianti Industriali Meccanici presso la Scuola di Ingegneria Industriale di LIUC Direttore del Lean Club e Responsabile Scientifico di i-FAB ** Professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese presso LIUC Dean della LIUC Business School
non è esente da problemi e difficoltà. A differenza delle tre rivoluzioni che l’hanno preceduta che erano basate su una singola tecnologia, la prima sull’energia del vapore, la seconda sull’energia elettrica, la terza sull’elettronica, la quarta rivoluzione industriale è basata sulla combinazione di nove elementi tecnologici. Dai robot collaborativi all’additive manufacturing passando per il data analytics, l’integrazione tra macchine e tra nodi della supply chain, l’internet of things, la simulazione, la realtà virtuale e quella aumentata, il cloud e la cybersecurity. Un’azienda deve quindi gestire e combinare più di una tecnologia per ottenere i vantaggi promessi da industry 4.0. Tutto ciò rende la quarta rivoluzione industriale molto più complessa delle precedenti e così per l’imprenditore italiano il tema non è se passare o meno al nuovo paradigma, bensì se la propria azienda è pronta per affrontare questo cambiamento. Ma a quali aspetti un imprenditore deve guardare per dare risposta a questa domanda? Secondo il modello di Digital Manufacturing Readiness che LIUC ha sviluppato conducendo numerosi casi di studio, i fattori abilitanti l’implementazione del
paradigma Industry 4.0 sono di diversa natura. Vi sono fattori strategici: se un’azienda ha capacità di pianificazione strategica e di gestione del rischio ed è abituata, da un lato, a condurre analisi di competitive e technology intelligence e, dall’altro, a comprendere gli impatti di nuove tecnologie sul proprio modello di business sarà senz’altro facilitata nell’individuare quali elementi tecnologici di Industry 4.0 è opportuno che implementi all’interno dei propri processi logistico-produttivi. Vi sono fattori organizzativi: l’orientamento all’interfunzionalità, la propensione allo sviluppo delle competenze e la capacità di gestire il cambiamento sono aspetti fondamentali per guidare l’adozione di un paradigma industriale basato sulla combinazione di più tecnologie in continua e rapida evoluzione. Vi sono poi fattori IT: da un lato, la capacità di gestire le risorse e la sicurezza informatiche e, dall’altro, la presenza di un adeguato substrato digitale (per esempio: copertura della rete di trasmissione dati sull’intero stabilimento, macchine dotate di PLC e sensori, sistemi di supervisione e di controllo dell’avanzamento) sono fondamentali per introdurre in azienda un paradigma basato sulle tecnologie del digitale come Industry 4.0. Vi sono anche fattori di
filiera: per un’azienda abituata alla collaborazione e agli scambi informativi inter-aziendali, vicina a centri di ricerca e università e inserita nei diversi network associativi è senz’altro più semplice sia applicare il pilastro dell’integrazione, sia ricevere utili suggerimenti su come percorrere la strada che porta a rendere la propria fabbrica una fabbrica intelligente. Infine vi sono i fattori produttivi. Da questo punto di vista, qual è il prerequisito fondamentale per l’implementazione del paradigma Industry 4.0? Per dare una risposta a questa domanda, basta ripensare da dove trae origine la quarta rivoluzione industriale: il settore dell’auto. Ancor prima che giapponesi, tedesche, italostatunitensi-olandesi le grandi aziende dell’auto sono aziende che organizzano i loro processi operativi secondo logiche lean. È il lean, quindi, che ha fatto, e può fare, da substrato fertile per l’innesto del paradigma Industry 4.0. Un processo semplificato e reso stabile, infatti, è un processo nel quale può essere inserita automazione. Un sistema logistico-produttivo dove ogni cosa ha un posto e ogni cosa è al suo posto permette di delegare attività non a valore di handling e di movimentazione agli AGV. Contesti nei quali c’è già confidenza con il
TPM e l’OEE e con gli strumenti statistici lean per la qualità sono contesti nei quali è senz’altro più semplice implementare sistemi di data analytics. La collaborazione con i fornitori richiesta dal lean ha come conseguenza quasi naturale l’integrazione mediante condivisione in tempo reale o quasi reale di informazioni riguardanti i processi operativi. Per contro, il paradigma Industry 4.0 rende il lean ancora più efficace, rende il substrato ancora più fertile. L’automazione amplifica la stabilità e la ripetibilità del processo. Sistemi di data analytics consentono di aumentare l’efficienza della manutenzione e l’efficacia dei processi di problem solving. Applicazioni IoT che permettono di riconoscere l’oggetto che si muove lungo la linea fanno sì che all’operatore vengano mostrate le istruzioni operative di assemblaggio di quell’oggetto particolare. Ciò consente di aumentare la stabilità del processo di assemblaggio anche nel caso di contesti mixed-model. In fase di progettazione di una linea la simulazione permette di dimensionare correttamente le risorse condivise dalle diverse postazioni della linea stessa in modo tale che il takt-time richiesto non venga compromesso. La realtà aumentata amplifica enormemente l’efficacia
di OPL e di standard operating sheet essenziali nell’addestramento degli operatori nel caso di attività che devono essere svolte frequentemente e ancora più essenziali nell’esecuzione di quelle attività che, invece, vengono effettuate sporadicamente come manutenzioni e set-up. Oltre ai lean tool, ci sono alcuni principi del lean management che possono fornire un efficace supporto metodologico per la realizzazione di progetti Industry 4.0, come ad esempio l’applicazione del metodo scientifico. Come in precedenza sottolineato, i progetti Industry 4.0 sono caratterizzati da un livello di complessità molto elevato in ragione della possibilità di combinare diverse tecnologie che devono essere opportunamente integrate. Per questo motivo, le aziende che per prime si sono messe in cammino per implementare il paradigma Industry 4.0 hanno ritenuto più efficace, all’interno di una più ampia cornice strategica di digital transformation, attivare dei progetti pilota che diventano dei laboratori di apprendimento sulle implicazioni organizzative e tecnologiche e sui reali benefici che possono essere conseguiti. Affinché questi progetti pilota possano trasformarsi in una vera occasione di apprendimento organizzativo, è necessario che tali “sperimentazioni”, sia nella fase progettuale che in quella implementativa, vengano condotte secondo un rigoroso approccio scientifico, seguendo un processo di problem solving strutturato, disciplinato e condiviso così come viene fortemente raccomandato a chi decide di intraprendere una trasformazione lean.
Un’attività sistematica di problem solving permette di definire in modo appropriato il problema da risolvere o l’opportunità da cogliere, di identificare le cause o i fattori di ostacolo, di proporre una serie di possibili soluzioni (da intendersi come mix tra tecnologie, processi e competenze), di sperimentarle e di verificarne l’adeguatezza. Da ultimo, ma certamente non in ordine di importanza, occorre segnalare la centralità delle persone. Il lean management ha evidenziato come il processo di trasformazione verso l’eccellenza non possa fare a meno del contributo delle persone, sia di coloro che si occupano della direzione aziendale sia di coloro che svolgono attività di carattere operativo. Nelle aziende che hanno abbracciato in modo convinto il Lean Thinking, processi di formazione continua e occasioni di apprendimento “on the job” rappresentano le modalità concrete per sviluppare le competenze necessarie per operare in contesti lavorativi fortemente dinamici, in cui l’orientamento al miglioramento continuo rappresenta la sfida quotidiana. Anche per Industry 4.0 si pone il tema cruciale del capitale umano. Analogamente alle sfide proposte dal Lean Management, occorre concentrare l’attenzione non tanto sullo sviluppo di specifiche competenze tecnologiche, quanto di competenze manageriali che risultano necessarie per supportare la conduzione di progetti complessi, favorire la gestione del cambiamento, incentivare la cultura del miglioramento continuo e promuovere l’apprendimento dell’intera organizzazione
Il ruolo di Confindustria per Industria 4.0 #rappresentanza #servizi: la ricetta 4.0 del Sistema Confindustria
Tra le definizioni di innovazione più attuali e stimolanti quella proposta di recente da Enzo Baglieri, Professor di Operations and Technology alla SDA Bocconi School of Management, “innovazione è la capacità delle imprese di soddisfare in modo originale il fabbisogno del cliente”, è ideale per raccontare l’impatto che il modello di smart manufacturing, o il 4.0 come nel quotidiano si usa dire, avrà sulle imprese italiane. Il 4.0 ripensa il ruolo dell’uomo nella fabbrica, attiva nuove modalità di interazione tra uomo e macchina e tra gli stessi macchinari, mette in rete fasi produttive in una logica profondamente integrata e simultanea, a tal punto che consente di “ascoltare” il cliente, i suoi fabbisogni e soddisfarli in modo customizzato, cioè personalizzato (o meglio, come dice Baglieri, “originale”).
di Filippo Schittone*
Oggi appare quasi scontato che il 4.0 è “la” sfida tecnologica per le imprese, dal manifatturiero ai servizi, che richiede un salto culturale, un adeguamento strutturale e organizzativo molto impegnativo, comunque portatore di nuove e migliori prospettive di crescita per la produzione e il consumo. Oggi è ancor più facile affermare che la diffusione del 4.0 è determinante sia per la competitività del nostro sistema produttivo sia per il futuro del nostro Paese. Se riportiamo le lancette dell’orologio ad un paio di anni or sono, però, in Italia non era poi così diffusa questa visione. Con una voce fuori dal coro fu in primis Confindustria a sottolineare con determinazione l’importanza di questa sfida. Tutto prese spunto dall’analisi che proprio Confindustria effettuò in modo molto approfondito sulle esigenze delle imprese associate, nel gennaio 2016. Una volta individuate le priorità da affrontare per il rilancio degli investimenti e della competitività, si passò alla formulazione delle proposte sugli strumenti da mettere in campo.
* Vice Direttore Generale Confindustria Marche Nord già Direttore Confindustria Ancona
Il lavoro di ascolto, analisi e proposizione fu la base del confronto che Confindustria avviò con il Ministero dello Sviluppo Economico; a seguire, nel luglio 2016, il Sistema Confindustria presentò al Governo nuove proposte con il documento “Prime indicazioni sul Piano di digitalizzazione dell’industria italiana”. Non è quindi eccessivo scrivere che Confindustria ha effettivamente avuto un ruolo determinante nella collaborazione con il Governo − nello specifico con il Ministero dello Sviluppo Economico − per la messa a punto del Piano Nazionale Industria 4.0. Ha fornito loro importanti indicazioni sulle priorità da affrontare, sulle necessità delle imprese e sugli strumenti più adatti a supportare il sistema produttivo italiano in questa nuova sfida. È anche grazie al ruolo convinto e determinante di Confindustria
se il Piano, dopo anni di assenza di politica industriale nazionale, ha un orizzonte temporale di quattro anni (2017-2020) e delinea una strategia complessiva di crescita del sistema produttivo e del Paese con un approccio innovativo. Gli interventi previsti sono orizzontali, superando la frammentarietà delle logiche settoriali che negli anni passati non hanno soddisfatto il fabbisogno di innovazione del Paese; puntano alle tecnologie. Gran parte delle proposte di Confindustria – iperammortamento, Nuova Sabatini, rete dei Digital Innovation Hub e dei Competence Center − sono state accolte e declinate nel Piano nazionale. In questo modo il Piano Industria 4.0 permette di sostenere il potenziale innovativo del Paese, di ridurre i gap esistenti, affrontando il tema degli investimenti privati, dell’innovazione nel mercato e per il mercato.
L’azione del Sistema associativo non si è certo esaurita con l’approvazione del Piano nazionale Industria 4.0; Confindustria ha continuato a portare la voce delle imprese laddove serviva e così molte delle misure proposte (in particolari le misure fiscali) hanno trovato applicazione con la Legge di Bilancio 2017. Altre − creazione della rete dei Digital Innovation Hub e dei Competence Center − sono in corso di realizzazione. La sinergia propositiva con il Governo è proseguita anche dopo il lancio del Piano. In particolare, la complessità della definizione dell’ambito di applicazione dell’iperammortamento sui beni 4.0 ha richiesto il coinvolgimento di Confindustria e di alcune Associazioni di categoria per arrivare alla puntuale individuazione dei beni, delle caratteristiche tecnologiche e della definizione di interconnessione, che è un aspetto qualificante ai fini dell’accesso all’agevolazione. Contemporaneamente è stato portato avanti il dialogo con l’Agenzia delle Entrate sui profili fiscali più delicati relativi all’applicazione della nuova misura. La collaborazione è continuata ai fini dell’elaborazione della circolare del MiSE e dell’Agenzia delle entrate (Circolare n. 4/E del 30 marzo 2017), che fornisce indicazioni sia sugli aspetti tecnologici che fiscali e, tuttora, il confronto prosegue per la soluzione dei quesiti e dei dubbi interpretativi che sorgono ora che le imprese stanno avviando gli investimenti. Si era tra l’altro consapevoli che parlare di Industria 4.0 non significasse parlare solo di strumenti agevolativi. Proprio per questo Industria 4.0 è stato inserito nelle 12 Raccomandazioni alla base del Patto per la competitività che Confindustria e BDI (Confindustria tedesca) hanno formalizzato nel Forum bilaterale tra Confindustria e BDI (Bolzano, 13-14 ottobre 2016). Con questo atto si è voluto “certificare” l’importanza di questa nuova frontiera tecnologica, culturale e organizzativa che rende di fatto sempre più labili i confini tra manifattura e servizi.
Per garantire il salto culturale, l’adeguamento strutturale e organizzativo delle imprese, per avvicinare soprattutto le piccole e medie imprese verso i modelli Industria 4.0, Confindustria si è anche impegnata in una intensa attività di promozione e di formazione, che ha coinvolto imprese e Sistema associativo. Progetto “Industry 4.0”, un roadshow di oltre 25 tappe sul territorio nazionale, è stato il progetto formativo destinato alla struttura di Confindustria, realizzato in collaborazione con SFC-Sistemi Formativi Confindustria, Politecnico di Milano, LUISS e Confindustria Digitale e il cui primo appuntamento si è tenuto ad Ancona il 26 settembre 2016. Tantissimi gli incontri presso le Associazioni del Sistema per presentare gli strumenti messi a disposizione dal Piano Nazionale e spiegare la portata di Industria 4.0. In particolare, è stata organizzata una serie di incontri, uno dei quali ha avuto luogo ad Ancona, nella sede di Angelini S.p.A., per presentare l’Accordo, sottoscritto da Piccola Industria e Intesa Sanpaolo, “PROGETTARE IL FUTURO. Accelerazione, Trasformazione Digitale, Competitività” e le soluzioni previste dal Piano nazionale Industria 4.0. Mentre andiamo in stampa Confindustria ha messo in rete il proprio sito dedicato ai temi di Industry 4.0 - http://preparatialfuturo.confindustria.it - per diffondere in modo organico e ragionato quanto sta fiorendo in materia sia nel Sistema sia nelle aziende associate, con l’obiettivo principe di diffondere conoscenza e consapevolezza sui modelli e le tecnologie connesse alla quarta rivoluzione industriale. L’azione del Sistema non si esaurisce qui, perché ancora molto resta da fare, e questo anche se i risultati dell’impegno fin qui profuso cominciano a vedersi. Il Politecnico di Milano ci dice che solo l’8% dichiara di non conoscere Industria 4.0 (un anno fa era il 38%). Gli investimenti sono in aumento – nei primi 6 mesi del 2017 l’incremento medio degli ordinativi
dei beni strumentali è pari al 9%, con picchi del 24% nel settore costruzione macchinari e del 60% nel settore della produzione di macchine per la ceramica (ACIMAC) − e le previsioni sulla crescita del PIL e sull’occupazione sono incoraggianti: fanno riacquistare quella fiducia che negli ultimi anni ha bloccato gli investimenti e che ha portato le nostre imprese ad avere macchinari con una vita media di 13 anni. Se questi primi numeri saranno confermati a fine anno, il nostro Paese, in due anni, avrà quasi raddoppiato gli investimenti per la trasformazione digitale, recuperando il ritardo rispetto alle situazioni internazionali più mature. Questo comporta il rischio concreto di un eccesso di domanda rispetto alla capacità di consegna dei fornitori. La crescita degli ordini e la loro concentrazione sulle imprese italiane più dinamiche e tecnologicamente avanzate sta già producendo effetti di overbooking. Per questo è positiva la proroga al 30 settembre 2018 della data per la consegna dei beni che beneficiano di misure come l’iperammortamento, anche se siamo consapevoli che sarebbero necessari tempi più ampi (almeno al 31 dicembre 2018) per non deprimere le potenzialità di stimolo
agli investimenti che l’incentivo ha già dimostrato in questi primi mesi di utilizzo. Confindustria è poi impegnata in un progetto strategico per il Sistema: la creazione di una rete di Digital Innovation Hub (DIH) sul territorio, strutture che devono stimolare la domanda di innovazione da parte delle imprese e rappresentare la “porta di accesso” al mondo di Industria 4.0. I DIH costituiscono il canale di collegamento tra i tanti soggetti che sul territorio offrono innovazione e le imprese. Sono state elaborate specifiche Linee Guida, per assicurare omogeneità di impostazione e un livello standard di servizi offerti su tutto il territorio nazionale; è stato costituito un “Coordinamento Nazionale” degli Hub con l’obiettivo di creare una vera rete dell’innovazione e del trasferimento tecnologico. Sono oltre 20 le iniziative in corso: alcuni DIH sono già operativi, altri si stanno strutturando. Anche l’Associazione di Ancona e Confindustria Marche sono al lavoro sul tema Industria 4.0. Lo sono su più fronti, in primis per dare vita ad un Hub che sia coerente alle necessità delle aziende
locali e soprattutto di qualità. I principali obiettivi di tale progetto sono quelli di creare consapevolezza nelle imprese associate e aiutarle a trovare il proprio percorso verso la quarta rivoluzione industriale, a investire e a rafforzare la propria competitività, facendo sì che le aziende leader facciano da traino dell’intera filiera in termini di strategie di sviluppo. Per far questo occorre mettere insieme competenze interne ed esterne in grado di offrire ad ogni impresa la tipologia di supporto più adatto alle sue esigenze, stabilendo anche forme strutturate di collaborazione con partner tecnologici di prim’ordine, Università in primis ma anche Centri di Ricerca di eccellenza ed altro ancora. L’obiettivo di medio termine che ci si pone è quello di affiancare e guidare un target di imprese nel loro percorso di crescita, definendo una digital roadmap che partendo dalla mappatura dello stato attuale, definisca le priorità di business, le opportunità tecnologiche, gli investimenti da pianificare, gli incentivi a disposizione e i singoli passi di questo percorso verso l’industria 4.0. Nel mentre, a livello regionale, è forte l’azione del Sistema confindustriale nei confronti della Regione
Marche sul tema. I risultati di questa azione sono visibili, anzi tangibili! Nel settembre scorso la Regione Marche ha promulgato il bando “Manifattura e Lavoro 4.0” a sostegno dei processi di innovazione aziendale e all’utilizzo di nuove tecnologie digitali nelle tante imprese marchigiane in un’ottica di Industria 4.0; su questo bando, in logica di servizio alle imprese associate, l’Associazione di Ancona si è immediatamente attivata nel supportare i progetti aziendali che possono rientrare proprio nel bando succitato. Il costante confronto tra il Sistema in ambito locale e la Regione ha di fatto convinto il Governo Regionale a non limitare la propria programmazione al solo bando; Regione Marche, infatti, sta lavorando all’emanazione di una propria Legge sul tema Industria 4.0: con questo provvedimento la Regione intende da un lato valorizzare e ricondurre in quadro unitario le iniziative già avviate per la diffusione della banda larga e la creazione di infrastrutture abilitanti, dall’altro facilitare il percorso delle PMI affinché riescano ad utilizzare le opportunità offerte dalla rivoluzione del Manufacturing 4.0, agevolando la diffusione delle nuove tecnologie di produzione e di informazione,
gli investimenti in ricerca e sviluppo, reti e filiere basate su standard comuni, la formazione di nuove professionalità, la creazione di imprese digitali e di spazi di aggregazione e co-progettazione fra sistema delle imprese e mondo della conoscenza. Il puzzle dorico delle iniziative a supporto delle aziende associate sul 4.0 è certamente articolato; prevede incontri, servizi reali alle imprese per cogliere appieno tutte le opportunità oggi disponibili in materia. Un tassello importante è, per esempio, l’incontro organizzato il 19 ottobre scorso, dal titolo “La manifattura del futuro: processi, applicazioni e tecnologie abilitanti” tenuto da Giovanni Miragliotta - Docente di Impianti Industriali, Gestione della produzione e Sistemi Logistici, Politecnico di Milano; Direttore dell’Osservatorio Smart Manufacturing del Politecnico di Milano. A tale evento, che ha rappresentato un importante momento di orientamento e acculturamento sui concetti della quarta rivoluzione industriale, fa seguito un percorso di diversi workshop tematici realizzato in collaborazione con MIP – Politecnico di Milano, che vedrà alternarsi docenti dei dipartimenti a maggior vocazione industriale del Politecnico, sotto la direzione di Marco Taisch, Professore del Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria Gestionale, Manufacturing Group, Docente di Advanced and Sustainable Manufacturing, membro del comitato di regia del piano nazionale Industria 4.0. L’obiettivo è fornire ai partecipanti competenze innovative, a livello tecnico e gestionale, in modo tale che possano identificare le necessità e opportunità connesse alla Digital Trasformation. A tale attività sono affiancati servizi più operativi come il supporto tecnico specifico finalizzato all’ottenimento dei benefici fiscali da Iperammortamento, con partner diversi tra cui
COBEST srl, società del gruppo UCIMU (Unione Costruttori Italiani Macchine Utensili). Tutto questo, tradotto in azione concrete, significa stimolare la domanda di innovazione da parte delle imprese. Occorre però proseguire nello sforzo e come Confindustria ne siamo consapevoli; dobbiamo sfruttare al massimo questo momento che di fatto ripone al centro dello sviluppo l’industria e che dimostra come senza industria non ci sia né crescita, né occupazione né benessere. E in questo scenario, Confindustria non ha certo dimenticato quanto il tema delle competenze sia cruciale: Industria 4.0 determinerà cambiamenti profondi nella dimensione qualitativa della domanda e offerta di lavoro. Servono quindi più formazione, più investimenti sul capitale umano e più attenzione ai lavoratori. Sono quindi necessari incentivi per corsi di formazione 4.0 e incentivi per le assunzioni volte a colmare il gap di competenze. In questo senso, la proposta di Confindustria è di valorizzare l’utilizzo dei fondi interprofessionali, così come fondamentale sarà dare attuazione alle misure previste dal Piano Nazionale per la formazione scolastica, universitaria e post universitaria, che prevede percorsi di formazione con focus su i “temi 4.0”. È fondamentale definire percorsi di studio in linea con le esigenze delle imprese, in particolare intervenendo sull’istruzione professionale. L’obiettivo è incrementare il numero degli studenti degli ITS. In particolare, l’obiettivo di Confindustria è arrivare a 24mila studenti nei prossimi 3 anni (dagli attuali 8mila) e, contemporaneamente, costruire una forte sinergia tra ITS, imprese e università delineando percorsi di crescita tra loro coerenti.