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La responsabilità di creare il futuro
Intervista a ORESTE BOTTARO, vicepresidente di Confindustria Trento con delega alla Transizione Digitale e Innovazione tecnologica.
di Federico Pessot, Comunicazione Istutizionale, Confindustria Trento
Transizione digitale e innovazione tecnologica sono già da tempo priorità di Confindustria Trento, ma i grandi cambiamenti macroeconomici degli ultimi anni richiedono un nuovo cambio di passo. Qual è la direzione da intraprendere?
Il punto di partenza è buono, il Trentino è certamente un territorio maturo in termini di innovazione, infatti siamo un territorio ricco di eccellenze imprenditoriali che hanno saputo innovare come pochi, insieme ad un ecosistema locale che ha saputo coinvolgere e far crescere centri di ricerca ed università di prestigio internazionale. Questo quadro però è fondamentale non considerarlo una giustificazione per sentirsi “arrivati”. Ci sono ancora ampi spazi di miglioramento nel rapporto tra imprese e ricerca: nel concreto significa che ad oggi riusciamo a generare conoscenze scientifiche di estrema qualità, ma facciamo molta fatica a trasformarle in prodotti nuovi ed innovativi da offrire al mercato.
Dunque ci sono già le idee, l’obiettivo è metterle a terra con più efficienza…
Esattamente. Vanno meglio indirizzati i processi di generazione del valore e su questo Confindustria Trento può essere protagonista, costituendosi quindi come un attivatore di progettualità dove sono gli imprenditori a pensare al miglior progetto di ricerca e sviluppo, per poi trovare una sponda essenziale nei centri di ricerca. Se questo processo funziona al contrario risulta inefficace. Utilizzando una metafora: l’impresa deve essere la scintilla delle idee, poi insieme si capisce come alimentare quel fuoco per trasformare la visione in prodotti concreti.
Nel contesto più generale l’Associazione a settembre presenterà la sua idea di “Società Trentino 5.0”, ossia la somma di transizione digitale e transizione sostenibile. Può spiegarci cosa significa?
Partiamo dalla digitalizzazione. In primis non commettiamo l’errore di pensare che sia materia ad esclusivo interesse dell’industria, qualsiasi tipologia di impresa dovrebbe confrontarsi con la tecnologia, essa è concreta opportunità per sviluppare migliori: idee, processi, dunque prodotti e servizi. Guardando all’industria, possiamo ancora esprime ancora molto, anche sul modo di fare le cose. Mi spiego prendendo come esempio il piano industria 4.0: una legge che ha dato incentivi fondamentali per stimolare molte aziende a fare investimenti, ma ad oggi non sappiamo quali siano i suoi veri risultati, non perché non ci siamo, ma perché non sono stati misurati. Quanto le aziende sono più produttive ed efficienti rispetto a prima? Oggi facciamo fatica ad avere dati oggettivi su questo, e se non parti da essi come fai a progettare (bene) il futuro? Parlare di transizione digitale non significa solo trovare la migliore tecnologia, ma anche i modi migliori per fare impresa.
Ed è solo a questo punto che si potrebbe parlare veramente di sostenibilità: come facciamo a ridurre il nostro impatto sull’ambiente se spesso non abbiamo dati dai quali sviluppare tecnologie adeguate per essere veramente sostenibili?
Parlando di digitalizzazione, frequentemente la si associa solo all’efficientamento produttivo, quando invece è un processo più complesso che coinvolge le aziende in modo più ampio. Coretto?
Certamente, partirei dall’evidenza empirica dove coloro che registrano i risultati migliori, anche nelle crisi, sono sempre le aziende che hanno investito di più in innovazione. E non potrebbe essere il contrario, ma purtroppo non tutti gli imprenditori hanno capito a pieno l’importanza strategica di questo. Culturalmente siamo legati ad una manifatturiera di terzismo quindi meno abituata al pensiero sul lungo termine, questo però non deve essere un alibi per non compiere il cambio di prospettiva dove i processi di ricerca e sviluppo sono da considerarsi pilastro fondante delle nostre aziende. Compiere dunque lo sforzo di staccarsi dalle esigenze immediate e togliersi la pretesa della certezza e immediatezza dei risultati: è l’attività più difficile, ma quella che ti fa raggiungere i risultati più soddisfacenti. Nella sintesi più estrema dobbiamo entrare nella mentalità di creare e non inseguire il futuro.
Un altro tema forte di Confindustria Trento è quello della cybersecurity, che si esprime nei vari accordi di sistema siglati negli scorsi mesi. In che modo ci colleghiamo a quanto detto fino ad ora?
Crediamo molto negli accordi sulla cybersecurity firmati insieme all’Università di Trento, alla Fondazione Bruno Kessler, a Trentino Digitale e alla Polizia di Stato, proprio perché convinti che sia un tema prioritario ed urgente intorno al quale generare massa critica. Non casualmente le interlocuzioni sono trasversali, in quanto è urgente creare nuove percezioni del fenomeno con lo sforzo di tutti gli attori del territorio. Per poi, da questa nuova consapevolezza, dotarsi degli strumenti tecnologici più adeguati e dunque, anche in questo caso, essere ulteriore occasione di innovazione.
Avendo anche messo tutti questi elementi al loro posto, rimane la difficoltà a trovare le persone con le competenze adeguate per sviluppare questi processi. Come riusciamo dunque a chiudere il cerchio?
Anche il punto da cui partire è ottimo: il Trentino oggettivamente quando si parla di attrattività possiede una delle carte migliori da giocare ovvero la qualità della vita. Dato questo presupposto è fondamentale investire in un welfare sviluppato e infrastrutture efficienti, e dunque in incentivi che allarghino il concetto di benessere legato al lavoro. Questo vuol dire assumere un ruolo attivo nell’offerta di servizi ai collaboratori attuali e potenziali. Contemporaneamente è necessario aggiungere un ulteriore tassello: oltre a offrire servizi di qualità, dobbiamo convincerci che le “belle teste” sono da ricercare in tutto il mondo, e non solamente nella valle accanto. È difficile sì, ma senza impegno e dedizione difficilmente possiamo ambire ad essere i primi della classe.